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Jude Law e Norah Jones travolti dal Bacio romantico di Wong Kar-wai

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Jude Law e Norah Jones travolti dal Bacio romantico di Wong Kar-wai
R I V I STA
D E L C I N E M ATO G R A FO
WWW.CINEMATOGRAFO.IT
MENSILE
MARZO 2008
N. 3 € 3,50
SPECIALE
MADE IN ASIA
Vietnam, Cina e
Cambogia
all’insegna
dell’Occidente
CARLO
VERDONE
La mia satira
sulla società
contemporanea
TENDENZE
Ossessione
d’autore
Jude Law e Norah Jones travolti dal
Bacio romantico di Wong Kar-wai
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.L.
353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1,
comma 1, DCB Milano
Con Jumper
il supereroe è
cambiato
rC
PUNTI DI VISTA
CINEMA TELEVISIONE RADIO
TEATRO INFORMAZIONE
Nuova Serie - Anno 78
Numero 3
Marzo 2008
In copertina Jude Law e Norah
Jones in Un bacio romantico
Paul Haggis
anfitrione
da Oscar
al festival
piemontese:
cinema
da bere
Per Paul Haggis Alba
nel mirino
Dario Edoardo Viganò
CAPOREDATTORE
d
Rivista del Cinematografo
DIRETTORE RESPONSABILE
Marina Sanna
REDAZIONE
STATUETTE ALL’ALBA
Orizzonti di statuette. Gli 80esimi Academy Awards
consegnano un’Europa in gran spolvero, che porta
Oltreoceano tutti i premi per le interpretazioni, con Il
petroliere inglese Daniel Day-Lewis a tirare la cordata per la
francese Marion Cotillard, lo spagnolo Javier Bardem e la
connazionale Tilda Swinton. Orgoglio tricolore per il bis
degli scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo chez
Sweeney Todd e le note ammalianti di Dario Marianelli per
Espiazione, a farla da padrone sono i “quadruplici” Coen di
Non è un paese per vecchi, che mettono al tappeto (rosso) il
grande rivale della vigilia, Paul Thomas Anderson: al suo
Petroliere solo la fotografia e il protagonista.
Vittoria “strana” quella dei fratelli Coen, perché
sintomatica dell’indifferenza dell’Academy 2008 per i
verdetti festivalieri: in anteprima a Cannes, erano tornati a
casa a mani vuote, come pure Berlino 2007 aveva
snobbato il miglior film straniero Il falsario (prima volta
dell’Austria) e mancato il debito riconoscimento alla prova
di Day-Lewis nell’ultima edizione. Un po’ di schizofrenia,
forse: si accolgono a braccia aperte le prove d’attori del
Vecchio Continente, ma si snobbano in toto i grandi
festival europei. Questa è l’America, e magari c’è di mezzo
il beniamino Obama, con la sua ondivaga esterofilia…
Sempre in ambito festivaliero, da segnalare la
politicizzazione, ovvero la preferenza accordata a contenuti
scottanti a scapito della
forma cinematografica,
della Berlinale, che sotto la
guida del presidente di
giuria Costa-Gavras chiude
un occhio - se non due sui meriti artistici,
assegnando l’Orso d’Oro al
brasiliano Tropa de elite.
Che dire? Se Berlino
piange, rideranno di più
Venezia e Roma, entrambe chiamate a consolidare e
potenziare il proprio appeal internazionale.
In attesa delle grandi kermesse nostrane, a parlare Oscar
è anche Alba International Film Festival, che sceglie per la
settima edizione un anfitrione da statuetta: Paul Haggis,
premiato per Crash - Contatto fisico e lo script di Million
Dollar Baby. A lui il compito di portare un pezzo di
Hollywood tra le colline albesi: nel segno di un cinema
sempre più universale. Anzi, glocal.
Gianluca Arnone, Federico Pontiggia,
Valerio Sammarco
CONTATTI
[email protected]
[email protected]
[email protected]
ART DIRECTOR
Alessandro Palmieri
HANNO COLLABORATO
Andrea Agostini, Gabriele Barcaro, Luciano
Barisone, Paolo Bertolin, Pietro Coccia,
Ermanno Comuzio, Silvio Danese, Bruno
Fornara, Antonio Fucito, Marcello Giannotti,
Diego Giuliani, Pier Paolo Mocci, Massimo
Monteleone, Franco Montini, Morando
Morandini, Roberto Nepoti, Anna Maria
Pasetti, Luca Pallanch, Sergio Perugini,
Giorgia Priolo, Angela Prudenzi, Alessandro
Scotti, Mario Sesti, Boris Sollazzo, Marco
Spagnoli, Davide Turrini
REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA
N. 380 del 25 luglio 1986
Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007
STAMPA
Società Tipografica Romana S.r.l.
Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM)
Finita di stampare il 26 febbraio 2008
MARKETING E ADVERTISING
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Via L. Soderini, 47 - 20146 Milano
Tel./Fax: 02-45497366 - Cell. 335-5428.710
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DISTRIBUTORE ESCLUSIVO
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Veneto, 28 - 20124 Milano
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(10 numeri) 30,00 euro
ABBONAMENTO PER L’ESTERO
(10 numeri) euro 110,00
SERVIZIO CORTESIA
Direct Channel S.r.l. – Milano
Tel. 02-252007.200 Fax 02-252007.333
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PROPRIETA’ ED EDITORE
PRESIDENTE
Dario Edoardo Viganò
DIRETTORE
Antonio Urrata
COMUNICAZIONE E SVILUPPO
Franco Conta
COORDINAMENTO SEGRETERIA
Livia Fiorentino
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma
Tel. 06-663.74.55 - Fax 06-663.73.21
[email protected]
Associato all'USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
Iniziativa realizzata con il
contributo della Direzione
Generale Cinema – Ministero
per i Beni e le Attività Culturali
SFOGLIA
LA STORIA
DEL CINEMA
IN DVD
30 FILM IN UN ESCLUSIVO DVD BOOK IN EDIZIONE LIMITATA
United Artists celebra il novantesimo anniversario con un cofanetto imperdibile che include
i migliori film da collezione, quelli che hanno scritto la storia del cinema americano:
“ A qualcuno piace caldo” ,“I magnifici sette” , “ West Side Story” ,“ La grande fuga” ,
“ Rocky” , “New York, New York” , “ Hair” , “Manhattan” , “ Toro scatenato” ,
“ Goldeneye” , “ La maschera di ferro” e molti altri ancora.
DISPONIBILE DA MARZO NEI MIGLIORI NEGOZI DI HOME VIDEO.
UNITED ARTISTS. NON ABBIAMO INVENTATO IL CINEMA, LO ABBIAMO RESO PIÙ GRANDE.
5.
5.
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5.
sommario
Numero 3 > Marzo 2008
In copertina
20 America ai mirtilli
Jude Law e Norah Jones
per il primo film in lingua
inglese di Wong Kar-wai:
Un bacio romantico girato
150 volte
(Marina Sanna, Leonardo
Jattarelli)
Servizi
14 Oscar all'Europa
Coen e attori stranieri per
gli 80 anni delle statuette
(Federico Pontiggia, Mario
Sesti)
26 Verdone in maschera
Il ritorno al grottesco e ai
personaggi che l’hanno
reso celebre in Grande,
Grosso e…
(Pier Paolo Mocci)
30 Addio calzamaglia
Con Jumper di Doug Liman
(e non solo) il supereroe
cambia look e personalità
(Gianluca Arnone)
53 Patierno azzarda
L’altra faccia del dj Baldini
ne Il mattino ha l’oro in
bocca
(Diego Giuliani, Federico
Pontiggia)
FOTO: PIETRO COCCIA
Speciale
35 Import export d'Oriente
L’Asia punta ad Occidente
e viceversa: Cannes
aspetta Tran Anh Hung, il
Louvre ospita Tsai Mingliang e Bruce Lee rivive nel
ricordo di Malisa Longo
(Gabriele Barcaro, Paolo
Bertolin, Luca Pallanch,
Federico Pontiggia,
Angela Prudenzi, Valerio
Sammarco, Boris Sollazzo,
Davide Turrini. A cura di
Marina Sanna)
Daniel Day-Lewis
cerca l’oro
nero e trova
l’Oscar
14
Dicembre 2007 RdC 7
sommario
Numero 3 > Marzo 2008
Per Norah
Jones una torta
e un bacio
indimenticabile
I film
56
60
60
61
62
64
64
65
68
68
69
69
69
Non è un paese per vecchi
La rabbia
Rec
Onora il padre e la madre
Il petroliere
Il cacciatore di aquiloni
Nelle tue mani
Nessuna qualità agli eroi
Il futuro non è scritto –
Joe Strummer
Forse Dio è malato
Prospettive di un delitto
Le cronache di Spiderwick
Tutta la mia vita in
prigione
(Silvio Danese, Roberto
Nepoti, Federico Pontiggia,
Valerio Sammarco, Boris
Sollazzo, Marco Spagnoli)
Le rubriche
10 Tutto di tutto
News, festival e protagonisti
(Andrea Agostini,
8 RdC Dicembre 2007
20
Marcello Giannotti,
Massimo Monteleone,
Morando Morandini)
72 Dvd & Satellite
Fate, regine e un
Bellocchio da collezione
(Federico Pontiggia,
Alessandro Scotti)
78 Inside Cinema
Nuovi orari per le sale:
ascoltando s’impara
(Franco Montini, Marco
Spagnoli)
80 Libri
Lynch, Godard e le teorie
di Rancière
(Giorgia Priolo, Sergio
Perugini)
82 Colonne sonore
Rabbia, Petroliere e
gangster all'americana
(Ermanno Comuzio,
Federico Pontiggia)
Settembre 2006 RdC 8
TuttoDiTutto
CHI FA COSA DI ANDREA AGOSTINI
Amour fou
per Kirsten
Non solo bambole per Ryan Gosling. Il
giovane attore farà perdere la testa a Kirsten
Dunst nel romantico All Good Things. Nel film,
che “Variety” descrive come una storia
d’amore venata di mistero, Gosling
interpreterà il giovane erede di una
ricchissima dinastia che si innamora di una
povera ragazza (la Dunst). La loro storia
d’amore è però destinata a finire tragicamente
quando lei scompare in circostanze misteriose.
Al povero innamorato non rimane che mettersi
sulle sue tracce e scoprire la verità.
10 RdC Marzo 2008
Ultimissime in pillole dal pianeta cinema:
news e tendenze
A cura di Valerio Sammarco
Jessica on
the road
Nessuno fermi Jessica
Biel. Nonostante Megan
Gale le abbia soffiato il
ruolo di Wonder Woman, la
giovane attrice non si è
data per vinta: tra breve
interpreterà la commedia
romantica Easy Virtue nei
panni di una ragazza
americana divorziata che
durante un viaggio in
Francia sposa, sull’onda
dell’entusiasmo, un giovane
inglese conosciuto da poco.
E insieme a lui partirà verso
l’Inghilterra per conoscere i
suoceri (interpretati da
Colin Firth e Kristin Scott
Thomas). Alla regia Stephan
Elliott (Priscilla – La regina
del deserto).
Neeson tra
le belle
Liam Neeson tra due
donne. L’attore sarà
affiancato da Laura
Linney (candidata
all’Oscar 2008 per
l’interpretazione ne La
famiglia Savage) e
Romola Garai in The
Other Man, diretto da
Richard Eyre. La storia è
quella di un marito che
inizia a sospettare di non
essere l’unico uomo nella
vita della moglie.
Tormentato da questo
sospetto, inizia la ricerca
dei presunti amanti della
donna. Le riprese
verranno effettuate in
Inghilterra e in Italia.
Zac all’esame
Orson Welles
Zac Efron alla corte di Orson
Welles. Il giovane interprete di
Hairspray ha scelto il modo
migliore per abbandonare i panni
del ragazzino perbene di High
School Musical: affidarsi alle cure
di un maestro del cinema. Nel
film Me and Orson Welles Efron
sarà uno studente che viene
ingaggiato dal grande regista per
una piccola parte nella versione
teatrale del “Giulio Cesare”. Alla
regia del film il poliedrico Richard
Linklater.
TuttoDiTutto
Morandini in pillole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC
di Morando Morandini
1 Febbraio Il memorabile, taciturno protagonista di Cous Cous di Kechiche si
chiama Slimane. Dopo averlo visto per la seconda volta, sono uscito dalla sala
tormentato da un ricordo: in quale altro film francese avevo sentito quel nome arabo?
L’ho trovato, finalmente: Il bandito della Casbah (Pepe le Moko, 1936), uno
dei titoli più amati nella mia adolescenza comasca. C’è un personaggio
importante, almeno per lo sviluppo della vicenda, l’ispettore algerino Sliman
di Lucas Gridoux. Venti o trent’anni dopo rividi quel film in cineteca e lo
ridimensionai, così come presi le giuste misure su Duvivier, ma allora ero un
ignorante di quattordici anni. Oggi ricordo ancora, fra i tanti momenti
magici, il dialogo in cui nella casbah Jean Gabin e Mirelle Balin cullano la
loro nostalgia di Parigi, evocando il metrò e le sue stazioni – lui venendo
dalla periferia, lei sugli Champs-Élysées finché s’incontrano al Place
Blanche. (Ora so che i dialoghi erano di Henri Jeanson). Detesto l’inflazione
della parola “mito”, ma per me – che non avevo mai visto Parigi né un metrò
– Pepe le Moko rimane un titolo mitico. Fu uno di quei film che allora,
quand’ancora portavo i calzoni corti, mi spinsero a fare questo mestiere.
“Sulla tomba
di Mizoguchi, il
suo produttore
fece scrivere:
il più grande
regista del
mondo”
“I pescatori di
ostriche sono
quei critici che
ogni tanto
scoprono
capolavori
sfuggiti ai
colleghi”
2 Febbraio Si narra che, dopo la morte di Mizoguchi Kenji (24 agosto
1956), il suo produttore preferito fece scrivere sulla sua tomba: “Il più
grande regista del mondo”. Nella discussa e discutibile graduatoria per stellette di critica
che ogni tanto si pubblica sul “Dizionario dei film” Zanichelli, Mizoguchi figura al 1° posto.
In gennaio ho seguito una retrospettiva di otto suoi film, dal 1934 al 1956, allo Spazio
Oberdan della Cineteca di Milano. La strada della vergogna, in cartellone a Venezia 1956,
fu distribuito in Italia soltanto all’inizio del 1960. Per la seconda volta lo recensii il 29
gennaio sul quotidiano “La Notte”. Dopo averlo rivisto, sono andato a rileggermi. (E ho
riscritto la schede sul dizionario). Vi avevo citato due momenti. Dopo una violenta scena
madre tra Kyo Machiko, una delle cinque prostitute, e suo padre, Mizoguchi ne corregge
l’enfasi con una battuta della ragazza: “Che melodramma disgustoso! Adesso faccio un
bagno e vado a vedermi un film con Marilyn Monroe”. Nel finale si vede, in un piano
ravvicinato (Mizoguchi detestava i primi piani), una ragazzetta ignara che, abbigliata e
truccata come per un rito, è avviata al mestiere. Chiusi la mia recensione così: “... è uno
dei momenti più alti del cinema contemporaneo”. Continua a esserlo nel 2008.
6 Febbraio Nello sfogliare “D-Repubblica
delle donne” (non lo leggo quasi mai, lo
scartabello) scopro che c’è in giro un divo del
cinema di cui ignoravo l’esistenza: Hayden
Christensen, canadese, classe 1981, proprio un
bel ragazzo. Gli dedicano sette fotografie a
piena pagina e una intervista di Silvia Bizio a
pag. 118. Era stato, ventenne, Anakin Skywalker
in Star Wars 2 e il cupo Darth Vader in Star Wars 3. L’avevo dimenticato, scusatemi.
Affari tuoi, si dirà. Tra i suoi altri film si citano Life as a House, Shattered Glass e
Factory Girl. Si dà il caso che siano stati distribuiti in Italia, il primo come L’ultimo
sogno (2001) e il secondo come L’inventore di favole (2003), Factory Girl è del 2007.
Tutti e tre stanno tra il medio e il mediocre per la critica, e non è che, almeno in Europa,
abbiano attirato pubblico. Perchè non citarne i titoli italiani? Perchè ormai, soprattutto
nel giornalismo italiano, è diventato difficile distinguere l’informazione della
promozione, dalla pubblicità indiretta?
10 Febbraio Li chiamavano pescatori di ostriche, ma la definizione non attecchì.
Erano e sono quei critici che – per snobismo o vanità professionale – a ogni festival fanno
la scoperta di qualche capolavoro sfuggito ai colleghi. Preferibilmente è un film di basso
costo, meglio se del Terzo Mondo, africano o asiatico. Se occidentale, dev’essere di
produzione indipendente; se italiano, recuperato in retrospettiva, un film comico degli
anni ’60 o ’70.
Berlino in
chiaroscuro
Edizione 2008 tra luci e ombre: ai nomi
altisonanti non risponde un programma
organico
Il Festival di Berlino 2008 assomiglia a una
lussuosa confezione regalo, in cui l’involucro
vale più del contenuto. Presentatosi in grande
pompa con il film concerto dei Rolling Stones,
Shine a Light di Martin Scorsese, e con la
folgorante parabola di un petroliere, raccontata
da Paul Thomas Anderson in There Will Be
Blood, col passare dei giorni ha rivelato lo
scarso interesse di un programma denso di
titoli ma privo di sorprese. La collocazione in
Potsdammer Platz, unità di luogo e di azione,
rende la manifestazione un’efficiente macchina
di spettacolo, sia per la comodità, la qualità
tecnica dei luoghi di proiezione, sia per la
location del Mercato, sia per l’efficace opera
dell’ufficio stampa o del personale delle varie
sezioni. Ma questo confort finisce per
ingigantire la mancanza di linea del
programma, teso a contenere di tutto e di più e
interessato più ai soggetti (politici, clamorosi,
scandalistici) che ai loro modi di
rappresentazione. Fatichiamo così a individuare
titoli che si presentino come un complesso
organico di pensiero e che permettano
l’articolarsi di un discorso di cinema. È più
facile invece enunciare alcuni film che, per
singolarità narrativa o eccellente livello di
messa in scena, meritano di essere segnalati. In
tal senso sono più i veterani che gli esordienti a
mettersi in luce: ricordiamo Yoji Yamada, che
con Kabei realizza un film alla Ozu sui sacrifici
di una donna per mantenere unita la sua
famiglia; Mike Leigh, che con Happy-Go-Lucky
riscopre la sua vena di commedia raccontando
le disavventure di un’insegnante, e Hong Sangsoo, che, seguendo l’esilio forzato di un artista
a Parigi, realizza con Night and Day un film
sulla ricoperta dei sentimenti. Fra i più giovani
hanno impressionato Lance Hammer e
Fernando Eimbecke, autori di Ballast, ritratto
semidocumentaristico di una comunità
afroamericana, e Lake Tahoe, racconto
stralunato di un momento di lutto familiare.
LUCIANO BARISONE
12 RdC Marzo 2008
adattamamento grafico: Rita Giacalone - Cantoberon Multimedia, Roma
Domenico Procacci presenta
tutto ciò che dici
può essere (e verrà) usato
contro di te
SUNDANCE FILM
FESTIVAL 2007
BERLIN INTERNATIONAL
FILM FESTIVAL 2007
LOS ANGELES FILM
FESTIVAL 2007
LONDON FILM
FESTIVAL 2007
COLUMN e IRONWORKS presentano in collaborazione con KISS THE CACTUS un film di STEVE BUSCEMI SIENNA MILLER STEVE BUSCEMI “INTERVIEW” Direttore della Fotografia THOMAS KITS Montaggio KATE WILLIAMS Scenografie LOREN WEEKS
Costumi VICKI FARREL Musica originale EVAN LURIE Line Producer MARK KAMINE Produttore SCOTT HORNBACHER Executive Producer NICK STILIADIS Prodotto da BRUCE WEISS e GIJS VAN DE WESTELAKEN
Tratto dal film di THEO VAN GOGH e dalla sceneggiatura originale di THEODOR HOLMAN Scritto da DAVID SCHECHTER e STEVE BUSCEMI Regia STEVE BUSCEMI
www.fandango.it
TuttoDiTutto
SPECIALE OSCAR
DI FEDERICO PONTIGGIA
Vince la nuova
L’America si scopre diversa: i fratelli Coen trionfano con quattro statuette, Day-Lewis
esordio d’oro. Per l’Academy è New Deal, con il motto di Obama: Yes We Can!
DAY LEWIS,
ORO VERO
Fedele suddito di Sua
Maestà britannica: Daniel
Day-Lewis si inchina a
Helen Mirren. Duplice
passaggio di consegne:
statuetta e classe. “Siamo
tutti sulle sue spalle”,
confessa l’oscarizzato
direttore della fotografia
Robert Elswit: per il
gigantesco petroliere è
oro vero!
I premiati
EUROPA ALLA PROVA
Petrolieri (Daniel Day-Lewis), killer (Javier
Bardem), donne in carriera (Tilda Swinton) e
ugole da Usignolo (Marion Cotillard) per un en
plein inedito. E una previsione: Stati Uniti
d’Europa?
14 RdC Marzo 2008
Hollywood
SUPPLENTE
PROMOSSO
Il cortista Andrea
Jublin passa l’esame.
Grazie a Fellini…
guida gli attori di Oltreoceano, la sceneggiatrice Diablo Cody firma un
UN’ALTRA GIOVINEZZA
ITALIANS DO IT BETTER
DIABLO DI UNA CODY
In comune tre delle quattro statuette
(film, regia e script): i Coen come
Scorsese, un anno dopo. Non è un paese
per vecchi e The Departed: Hollywood si
stira le rughe – e fa gli scongiuri.
Fratelli tricolori: gli scenografi Dante
Ferretti e Francesca Lo Schiavo bissano la
statuetta di The Aviator, la partitura di
Dario Marianelli trova meritata Espiazione.
Se si parla d’arte, non ce n’è per nessuno...
Dallo strip allo script: ex spogliarellista,
la debuttante Diablo Cody mette a nudo
gli Academy Awards. Mise e tattoo coatt,
e miglior sceneggiatura originale per
Juno: Diablo di ragazza!
Sarebbe potuto
succedere a tutti:
l’arrivo, ai tempi del
liceo, di un supplente
così spietato e
repressivo da mettere
in luce i conflitti e le
frustrazioni della vita
di una classe.
In Il supplente di
Andrea Jublin è lo
stesso regista a
impersonare il
vendicatore che
irrompe nel caos di una
classe delle superiori:
si appropria di una
palletta con la firma di
Del Piero, smaschera i
secchioni, umilia i
somari. Il finale del
corto rivela che non si
tratta di un vero
supplente, ma di un
avvocato deluso che
ricorre a queste
performance
situazioniste per
evadere da una vita
adulta odiosa e vile.
Scritto con brio quasi
crudele, girato a Roma
con pulizia grazie ai
produttori per SKY
Lorenzo Foschi e
Davide Luchetti, il
cortometraggio non ha
vinto l’Oscar, ma la
nomination gli è servita
per mettersi in luce.
Viene curiosità di
vedere Jublin in un
lungo: la citazione
felliniana nascosta sulla
lavagna
(“ASANISIMASA”,
formula di un celebre
sogno infantile di 8 1/2)
non nasconde notevoli
ambizioni.
MARIO SESTI
Marzo 2008 RdC 15
TuttoDiTutto
FESTIVAL DEL MESE DI MASSIMO MONTELEONE
ALBA,
MEETING E FRANCIA IN ROSA
Paul Haggis in Piemonte, gli indipendenti a Bergamo e le donne a Créteil
INTERNATIONAL
1 ALBA
FILM FESTIVAL
VII edizione del festival piemontese nel segno
di Paul Haggis: il regista e sceneggiatore
premio Oscar il giorno 7 marzo tiene una
lezione di cinema per studenti e spettatori,
presentando una selezione di film da lui
scelti, tra cui L’amerikano di Costa-Gavras.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Alba (CN), Italia
7-12 marzo
(011) 4361912
www.albafilmfestival.it
[email protected]
Bruno Fornara
FESTIVAL
2
INTERNATIONAL DE
FILMS DE FRIBOURG
DU CINEMA
3 FESTIVAL
NORDIQUE
XXI edizione della manifestazione
competitiva che presenta produzioni
cinematografiche provenienti dalla
Scandinavia e dai paesi baltici. In
programma un omaggio a Ingmar Bergman.
XXII edizione del festival internazionale, con
sezioni competitive, specializzato nelle
cinematografie d’Asia, America Latina e
Africa. In programma lungometraggi di
fiction, documentari e opere indipendenti.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Località Rouen, Francia
Periodo 5-16 marzo
tel. (0033-2) 32767322
Sito web www.festival-cinemanordique.asso.fr
E-mail [email protected]
Resp. Jean-Michel Mongrédien
INFO UTILI
Friburgo, Svizzera
1-8 marzo
(0041-26) 3474200
www.fiff.ch
[email protected]
Edouard Waintrop
FESTIVAL
4
INTERNATIONAL DE
FILMS DE FEMMES
XXX edizione del noto festival europeo
dedicato alle donne registe. Le novità sono
nella sezione competitiva (film a soggetto,
documentari e “corti”).
INFO UTILI
Località Créteil, Francia
Periodo 14-23 marzo
tel. (0033-1) 49803898
Sito web www.filmsdefemmes.com
E-mail [email protected]
Resp. Jackie Buet
6 N.I.C.E. 2008
XI edizione per la manifestazione
organizzata dal “New Italian Cinema Events”
di Firenze. In programma 7 lungometraggi
(tra cui Italian Dream di Sandro Baldoni),
selezionati fra le migliori opere di autori
emergenti, eventi ed incontri con i registi.
Prevista una retrospettiva su Antonioni.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Amsterdam, Olanda
29 febbraio - 12 marzo
(055) 290393 (rif. a Firenze)
www.nicefestival.org
[email protected]
Viviana del Bianco
KOREA
5 SAMSUNG
FILM FEST
VI edizione del festival internazionale di
cinema e cultura della Corea del Sud, che
offre circa 40 film fra anteprime e classici.
Previsti anche cortometraggi, due
retrospettive e dibattiti sul folklore coreano.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Firenze, Italia
7-15 marzo
(055) 5535858
www.koreafilmfest.com
[email protected]
Riccardo Gelli
AMPERE INTERNATIONAL
INTERNATIONAL
FILM
7 TSHORT
8 ANKARA
9 BERGAMO
FILM FESTIVAL
FILM FESTIVAL
MEETING
XXXVIII edizione della maggiore e longeva
rassegna nordeuropea dedicata ai
cortometraggi. Il concorso riguarda opere di
fiction, d’animazione e documentaristiche,
anche realizzate da studenti.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Tampere, Finlandia
5-9 marzo
(00358-3) 2235681
www.tamperefilmfestival.fi
[email protected]
Jukka-Pekka Laakso
XIX edizione per la manifestazione
competitiva a cui partecipano produzioni
turche (lungometraggi, “corti”, documentari
e film d’animazione). Proiezioni di opere
internazionali non in concorso.
INFO UTILI
Località Ankara, Turchia
Periodo 13-23 marzo
tel. (0090-312) 4687745
Sito web www.filmfestankara.org.tr
E-mail [email protected]
Resp. Oguz Onaran
XXVI edizione dell’autorevole vetrina del
cinema indipendente internazionale, con
anteprime. I film della mostra-concorso
partecipano per l’assegnazione delle Rose
Camune. In
programma una
retrospettiva su
René Clair e
una personale
sullo spagnolo
Julio Medem
(ospite).
FIFA – FESTIVAL
1FILM
0SUR
INTERNATIONAL DU
L’ART
XXVI appuntamento con la manifestazione
interdisciplinare dedicata a film e video
riguardanti qualsiasi forma d’arte. Prevede
un concorso.
Località
Periodo
tel.
Sito web
E-mail
Resp.
INFO UTILI
Montréal (Quebec), Canada
6-16 marzo
(001-514) 8741637
www.artfifa.com
[email protected]
René Rozon
16 RdC Marzo 2008
INFO UTILI
Località Bergamo, Italia
Periodo 8-16 marzo
tel. (035) 363087
Sito web www.bergamofilmmeeting.it
E-mail [email protected]
Resp. Angelo Signorelli
I PROTAGONISTI
TuttoDiTutto
[
Il grande schermo a tu per tu.
Ovvero finta intervista a personaggi
realmente esistiti. Al cinema
DI MARCELLO GIANNOTTI
]
Il personaggio
Dr. Jekyll (o Mr.
Hyde?)
Il film
Il dottorJekill
e Mr. Hyde
Il regista
Victor Fleming
L’attore
Spencer Tracy
ESSERE O MALESSERE?
Mr. Hyde operaio per combattere il padrone: Dr. Jekyll
Il dottore Henry Jekyll (Spencer Tracy)
mette a punto una formula che lo trasfoma nel
mostruoso e malvagio Hyde. La contesa tra il
bene e il male esplode nei confronti delle due
donne verso cui è attratto, la fidanzata Beatrix
(Lana Turner) e la prostituta Ivy (Ingrid
Bergman). Remake del film del 1932 diretto da
Rouben Mamoulian e tratto dal racconto di
Robert Stevenson, la pellicola, diretta da
Victor Fleming, ebbe tre nomination agli
Oscar. Mister Hyde è in una fabbrica
metallurgica. Operaio di terzo livello. Lavora a
una macchina incomprensibile. Appena lo
guardo mi si accappona la pelle. E’ orribile, le
sopracciglia folte, l’occhio malvagio. E poi, ogni
tanto, quella risata improvvisa che non riesco
più a togliermi di dosso.
CURIOSITA’
PERSONALITA’ VARIABILI
Spencer Tracy sdoppiato per Lana Turner e Ingrid Bergman
Il dottore inglese Henry
Jekyll (Spencer Tracy)
conduce esperimenti
sulle variazioni della
personalità. Sarà proprio
il risultato di una sua
formula a trasformarlo
nel malefico mr. Hyde. Ma
lo sdoppiamento della
personalità coinvolge
curiosamente anche le
due attrici
18 RdC Marzo 2008
coprotagoniste nel film di
Victor Fleming: ad Ingrid
Bergman era stata
assegnata la parte di
Lana Turner, cioè quella
della futura moglie
(Beatrix) di Tracy, ma la
Bergman volle a tutti i
costi quella di Ivy, la
prostituta che fa
innamorare il
protagonista.
Mr. Hyde? Lei, un operaio?
Sorpreso? Non ti aspettavi forse di vedermi
qui? Dovresti saperlo, sciocco, che il male per
me è una cosa bella. Questo è il posto che fa per
me, mi ci trovo a meraviglia.
Hyde, non dica sciocchezze, un operaio non è
il male…
Mi piace come porgi le domande con quella
bella vocina. Te lo spiegherò con calma. Gli
operai non sono il male. Il male sono le cose che
ci costringono a vivere in queste condizioni.
Come può la personificazione del male essere
una vittima?
Molto graziosa questa domanda. Ho cercato
sempre il peggio della vita. Qui dentro l’ho
trovato a causa di quelli che ci stanno sopra. Sa
quanto prende oggi Mr. Hyde? A fatica arrivo a
1.300 euro al mese.
Ma lei è ancora cattivo?
Certo! Cattivissimo! Venga a trovarmi di notte,
quando esco di qui, dopo 10 ore di lavoro. Venga
a trovarmi, che le faccio vedere quanto sono
cattivo.
Questo posto è anche molto pericoloso…
Intendevo dire: per voi, naturalmente.
Vuoi un racconto dei tanti amici che ho visto
morire da quando sono qua dentro? Oh, potrei
farti soffrire davvero. Non è che ti stai sentendo
male? Hai forse bisogno di un dottore?
Il dottor Jekyll?
Jekyll… È un ipocrita, un lurido vigliacco. E’ lui
che mi costringe a stare qua dentro. Se vai su,
nelle stanze dei bottoni, lo troverai, il dottor
Jekyll. Vedrai che, pur di avere un po’ di spazio
sui giornali, sarà persino disposto a smettere
per un attimo di contare i suoi soldi.
COVER STORY
IN THE MOOD
FOR
20 RdC Marzo 2008
WONG
Il regista di Hong Kong torna a raccontare una storia d’amore. Con happy
end e Un bacio romantico tra Jude Law e Norah Jones
di Marina Sanna
Marzo 2008 RdC 21
COVER STORY
R
Romantico. Struggente fino allo spasimo.
Grondante di malinconia esistenziale.
Ancora una volta, Wong Kar-wai intesse
abilmente le sorti dei suoi personaggi e si
conferma grande cantore di sentimenti
universali. In uno dei suoi film più belli,
Hong Kong Express, Tony Leung fissa uno
straccio bagnato. E gli chiede: “Hai pianto
anche tu tutte le lacrime che avevi?”. Le
opere di Wong fanno parte di un unico
La sequenza dura
meno di un minuto
ma è stata girata a
velocità diverse
22 RdC Marzo 2008
disegno teso ad afferrare il tempo, alla
consacrazione dell’attimo fuggente, qui
dilatato nel lunghissimo bacio che dà il
titolo al film in italiano. La sequenza dura
meno di un minuto ma è stata girata a
diverse velocità e con inquadrature
differenti (grandangolo, soggettiva di lei, di
lui, attraverso i vetri della finestra): in tre
giorni Jude Law (strepitoso) e Norah Jones
(la cantante) si sono baciati oltre 150 volte.
Per suggellare e trasfigurare nella memoria
un breve istante che sarà il leitmotiv della
storia. Uomo colto e affascinante, il regista
di Hong Kong ha mutuato dal padre
marinaio la passione per la letteratura
europea, sceneggiatore occulto per molti
anni, conosce la fatica della scrittura e
lavora improvvisando. Il copione è una
bozza in continuo sviluppo (quando portò
2046 a Cannes era una versione magmatica
e onirica molto più suggestiva di quella
finale), ed è anche un perfezionista
ossessivo. I dettagli, ripetuti all’infinito,
sono la cifra stilistica del suo cinema, dalle
scarpe ai vestiti e alle acconciature, è tutto
un vero splendore. Per ottenere l’alchimia
perfetta monta, smonta, ci ripensa, taglia.
Un bacio romantico, il primo in lingua
inglese (a proposito di “globalizzazione
cinematografica” vedi inserto a pag. 35),
l’ha girato in sette settimane, un record
rispetto ai precedenti In the Mood for Love,
a oggi il suo capolavoro, e 2046. Anche qui
ci sono relazioni finite o che stanno
finendo, desideri nascenti, emozioni negate.
Diversamente dagli ultimi lavori però si
concentra sull’elaborazione del lutto
amoroso, sulla separazione, e c’è un
barlume di speranza alla fine del film
contrapposto all’ineluttabilità del fato, filo
rosso della sua filmografia. Un bacio e una
torta incominciano e concludono il viaggio
di Elizabeth, arrivata a New York per
raggiungere il fidanzato che non la vuole
più. In un luogo di incontri e depositario
VISIONI PRIVATE
di chiavi dimenticate, conosce Jeremy,
orfano delle ambizioni di un tempo e
gestore del bar in cui Elizabeth torna ogni
sera. Insieme mangiano i dolci rimasti, in
particolare quello ai mirtilli (da qui il titolo
originale My Blueberry Nights) non va per la
maggiore ed Elizabeth ne fa il piatto
favorito. Sul viso abbandonato alla
stanchezza, rimangono tracce minuscole di
panna che, con delicatezza, Jeremy bacia
via. Arriva il momento di andarsene (i
sentimenti come gli oggetti hanno sempre
una scadenza), New York, Memphis, Las
Vegas, Nevada e ritorno, 300 giorni per
perdersi e ritrovarsi. Un percorso on the
road alla scoperta di se stessi e dell’America
(è anche il viaggio di Wong). Altri incontri
diventano vita quotidiana: un poliziotto
dagli occhi malinconici (David Strathairn,
protagonista dell’ottimo Goodnight and
Goodluck) beve per dimenticare la moglie
che l’ha lasciato (Rachel Weisz). Sera dopo
sera si trascina al bancone del caffé in cui
lavora Elizabeth, per sprofondare nella
disperazione assoluta. Persone vanno e
vengono, un pezzo di strada lo farà in
compagnia di una giovane giocatrice
d’azzardo (Natalie Portman). Col passare
dei chilometri, tra una cartolina e l’altra,
Elizabeth sente il richiamo del primo
incontro. I riflessi, le luci che avvolgono le
immagini dei protagonisti, i vetri sfumati
danno la sensazione (voluta) di essere
spettatori di una storia intima, di una
relazione privata. Gli interpreti sono diretti
alla perfezione, sorprendente Norah Jones
alla sua prima apparizione, e la colonna
sonora doverosamente malinconica (alla
stregua di Tarantino, mentre scrive il
soggetto si lascia ispirare dalle musiche che
ascolta). Otis Redding su tutti con “Try a
Little Tenderness”, equivalente del
“California Dreaming” di Hong Kong
Express. Non so ancora dove, ha detto
Wong, ma ci sarà un secondo bacio.
Natalie Portman e Norah
Jones. In alto a sinistra
Wong Kar-wai sul set.
Sopra ancora le due attrici
Il bacio perduto
By Leojatt
Mi ha restituito quella stampa,
“Les amourex” di Man Ray.
Gliela regalai appena sei mesi fa,
perché, le dissi, quella bocca rossa
come un desiderio tra nuvole
bianche, era la sua bocca. Due
giorni dopo, nel parco, lei
camminava a fatica portando tra
le mani una gigantesca tela
avvolta in carta da pacchi.
Strappammo la carta e apparve
il mio preferito, Il bacio di
Klimt. Tre giorni fa ci siamo
lasciati. Senza neanche un bacio.
Mi rifugio in un cinema per
scappare dai pensieri. Entro,
leggo il titolo, My Blueberry
Nights. Voglio il buio per
diventare anonimo. I miei passi
lenti cercano una poltrona libera,
la trovano. Le immagini si
rincorrono, i due si abbracciano
e si baciano, incorniciati dalle
loro braccia, come nel quadro di
Klimt, il mio quadro. Lo sguardo
ora percepisce i dettagli. Abbasso
gli occhi, cerco il block notes e la
penna che si illumina come una
lucciola, scrivo “Amore mio, che
pena lasciarci così, sto piangendo
e tu non lo saprai mai”. Fischi in
sala, sta succedendo qualcosa ma
non me ne curo, poi alzo gli
occhi...O mio Dio, le mie parole
sul grande schermo tagliano i
volti dei protagonisti, leggo
“Amore mio, che pena…”.
Immediatamente spengo la
lucciola. Com’è stato possibile
raggiungere il telone? Mi
irrigidisco. E’ tutto passato mi
dico, tranquillo.
Improvvisamente altre parole
tagliano l’immagine come un
bisturi affilato “Ti ho trovato nel
buio, forse sei tu, è
meraviglioso...”. Gli spettatori si
guardano attorno, qualcuno
strilla “Avvertite il proiezionista,
ma che succede?!?”. Io riprendo
la mia lucciola, il block notes
aperto, scrivo “Chi sei? Dove
sei?”. Mi volto tirandomi su
dalla poltrona, scorgo in fondo
alla sala, penultima fila, una
lucciola. Una frazione di
secondo, si è spenta. Il cuore in
gola, esco dalla fila, cerco di
raggiungere quella poltrona,
eccola. Vuota. Esco dalla sala, la
troverò. Spingo la porta, sono
fuori alla luce del giorno. Il sole
mi acceca.
Marzo 2008 RdC 23
Un Verdone
Grande grosso e… Carlo riprende
la vecchia formula e tenta il sorpasso
al box office, con tre vicende sulla
“solitudine, profonda e lancinante”.
E “la mia interpretazione migliore”
di Pier Paolo Mocci
26 RdC Marzo 2008
Il personaggio
Il bamboccione Leo
e il diabolico Callisto
Cagnato: ingenuità e
repellenza nelle
maschere di Verdone
per il cinema
C
‘‘
redo sia la mia interpretazione
migliore. Nell’episodio con il
professor Callisto Cagnato, ho
pensato addirittura non fossi io quello sullo
schermo. È stato molto faticoso, ma anche
divertente e stimolante: ho tirato fuori dal
cilindro tre caratteri già noti che avrei
dovuto rinnovare, spingendomi in
profondità nei loro stati d’animo, tic e
nevrosi”. Parola di Carlo Verdone alla
vigilia dell’uscita in sala di Grande, grosso
e... Verdone, il suo ritorno al film a
personaggi, sulla scia dei mitici Bianco rosso
e Verdone e Viaggi di nozze. “Ma questo –
spiega Verdone, al suo ventunesimo film –
va considerato diversamente: non un film a
episodi, ma tre minifilm che vivono di vita
propria, legati soltanto da una tematica di
fondo: una grande solitudine”.
Leo,
il “puro”
“Il comune denominatore è la solitudine,
profonda e lancinante, in cui sono
ingabbiati i protagonisti. Leo è il puro, il
candido, il bamboccione votato alla causa
boy scout. È un eterno bambino ingenuo,
stralunato. E in questo mondo posto per
persone così buone purtroppo non c’è”.
Satira
politica
“Si esce dal semplice divertimento per
toccare le corde della satira sociale, di
Marzo 2008 RdC 27
Il personaggio
Ancora “coatta” dopo Viaggi di nozze, Claudia Gerini
è Enza, moglie del supercafone Moreno
costume e politica. Tutto questo, in
particolare, con il personaggio di Callisto
Cagnato, il professore, repellente e
diabolico: ha seppellito tre mogli e ora
cerca di rovinare la vita al figlio (Andrea
Miglio Risi, ndr). Ho ricreato un’atmosfera
cupa, alla Dickens, con una fotografia
tardo ottocentesca, opprimente. Lui è un
falso moralista, ipocrita, un po’ come i
nostri politici che, anziché rispettare la
propria carica istituzionale, si lanciano in
risse, sputi e grida in parlamento”.
Moreno
ed Enza
“L’episodio con i coatti è naturale
conseguenza di Ivano e Jessica di Viaggi di
nozze: la volgarità degli arrivisti, che
ostentano i propri averi, ma in realtà sono
dei poveri cafoni. E non perché parlano
romano, ben inteso: il dialetto mi è solo
più congeniale per raccontarli. È gente
che vorrebbe raggiungere eleganza, qualità
e classe, ma è roba che non si compra”.
Strepitosa
Gerini
“Claudia è straordinaria, ha raggiunto una
maturità interpretativa che mi ha felicemente
sorpreso. Recito con lei per la terza volta in
un mio film, non era mai capitato prima. Ha
dei tempi comici pazzeschi, anche
rimanendo zitta riesce a essere espressiva”.
De
Laurentiis
“Aurelio De Laurentiis (produttore e
28 RdC Marzo 2008
distributore con Filmauro, ndr) è unico:
non ha mai intralciato il mio lavoro, non ha
mai messo un veto o detto una parola. Per
un regista è la libertà più grande, ti toglie
quella pressione che può farti sbagliare”.
Una
vita per il
cinema
“A questo film ci ho lavorato per mesi
interi, dalla mattina alla sera. Sto dando
tutta la mia vita al cinema.”.
Ecce Leo, l’amico di Carlo
“La gente mi ferma e crede imiti Verdone”:
parola dell’alter ego Stefano Natale
Un uomo, un personaggio. La storia è quella di Stefano
Natale, pittore della scuola romana e attore
filodrammatico. Ma soprattutto compagno di merende,
negli anni ’60 e ‘70, di Carlo Verdone, entrambi nati e
cresciuti nello stesso palazzo ai portici di Lungotevere,
all’angolo tra via Giulia e ponte Sisto. “Abbiamo
cominciato a frequentarci dalle elementari, dopo la
scuola – racconta Natale - Carlo, Luca e io giocavamo a
pallone a casa mia: una dopo l’altra abbiamo fatto fuori
tutte le finestre”. Lì nascevano i personaggi culto
dell’epopea verdoniana, da Furio a Enzo, dal
fricchettone Ruggero a don Alfio, il prete di Un sacco
bello. Tutti finti, ma tratti dalla realtà e rielaborati a
pennello. Eccetto uno, Leo, il candido, ovvero Stefano
Natale: la voce è la stessa, lo sguardo trasognato
all’insù. “Sono io Leo, ma Carlo non mi ha rubato
niente. Sono trent’anni che la gente mi ferma, e
chiede di Leo. Prima pensano che imiti Verdone, in
realtà io sono così: sono Leo”. Ora per Natale è
arrivato il momento di “riprendersi” la
maschera, in Grande, grosso e... Verdone,
proprio nell’episodio con Leo: “Nel film sono
suo fratello Guerino, tornato dall’Australia
per la morte della madre. Duettare con
Carlo è sempre stato un sogno: lo
aspettavo da trent’anni”. (P.P.M.)
DA L 29 F E B B R A I O A L C I N E MA
Tendenze
Via calzamaglia e ansia di giustizia:
dai comuni mortali di Heroes ai narcisisti
di Jumper, i supereroi si adeguano ai
tempi. E scoprono che il potere non è
(solo) al servizio degli altri
di Gianluca Arnone
N
on ci sono più i supereroi di
una volta. Gentleman in
ritardo agli appuntamenti con
le donne, ma puntuali come svizzeri
quando devono salvarle. Filantropi
accaniti alla Superman, archetipo di un
supereroismo tutto risolto nella
funzione che svolge, nel simbolo che
incarna, nella divisa che indossa. Tra la
calzamaglia e il man che la porta, mai
un dubbio: il supereroe è la calzamaglia.
Poi le cose cambiano. Con il Peter
Parker di Raimi a imporsi è il profilo
psicologico dietro la maschera, il
dubbio esistenziale. L’ “io devo” del
personaggio balbetta incalzato dalle
richieste dell’ “io sono”. Ad emergere è
la natura alienante del potere, la
scoperta di un’aberrazione
(letteralmente corporea in Hulk di Ang
Lee). La crisi identitaria lo investe fino
al rifiuto del proprio ruolo (Spider-Man
Il protagonista
Hayden
Christensen.
A destra l’eroe in
calzamaglia
Spider-Man e il
“paladino”
Samuel L.
Jackson
2): il supereroe chiede il pensionamento
(Gli incredibili). “Ci struggiamo per
cercare un senso, e alla fine lo troviamo
in noi stessi. Il fondamentale bisogno
umano di trovare propri simili con cui
entrare in connessione, per sapere nel
profondo dei nostri cuori che non
siamo soli”. È l’ epitaffio che chiude la
prima stagione di Heroes, dove gli eroi si
moltiplicano, si confondono con le
persone comuni, maledicono la loro
diversità. La solitudine definisce anche il
protagonista di Jumper. David Rice –
viso e muscoli sono di Hayden
Christensen - dopo l’abbandono della
madre, è malmenato dal padre e deriso
dai compagni. Però nato con un dono,
quello del teletrasporto. In un batter di
ciglia è capace di catapultarsi dove
vuole, tra una colazione sulla Sfinge
egiziana e una passeggiata nelle segrete
del Colosseo. David non è l’unico ad
avere questa libertà. Allegri giramondo,
i jumpers sono l’incubo di ogni
compagnia aerea e l’ossessione di una
setta di fanatici, i Paladini, capitanati da
Samuel L. Jackson, killer spirituale alla
Pulp Fiction. Tra conflitti familiari e
integralismo religioso, il film non
rinuncia a declinare – nei limiti di una
confezione sci-fi – alcuni temi ricorrenti
del cinema americano di questi anni.
Ma è nel trattamento del supereroe che
Jumper fa “il salto”: “Questa persona
che ottiene dei superpoteri, e la prima
cosa che fa è rapinare una banca, è
quello che ho amato di più della
sceneggiatura” confessa Christensen.
Non è la sola violazione alla regola. In
una sequenza di estremo cinismo,
David vede in Tv New Orleans
devastata dall’uragano Katrina. Fosse
stato Clark Kent si sarebbe precipitato.
Lo stacco di montaggio ci mostra invece
un interno pub londinese, dove il
protagonista beve tranquillo flirtando
con una bionda. “Avevo girato un finale
alternativo in cui David rinuncia a
salvare la sua ragazza perché lo ritiene
troppo pericoloso”, svela il regista,
Doug Liman. Finale bocciato dalla
produzione, che la dice lunga però sulla
metamorfosi in corso. L’etica all’ uomo
ragno, “da un grande potere derivano
grandi responsabilità”, si affloscia. L’hero
scopre che il potere può essere
piacevole. Narciso e individualista,
l’odierno Nembo Kid è riluttante
all’azione e indifferente verso un dovere
che non lo riguarda. Sarebbe troppo
facile leggervi le pulsioni isolazioniste di
un’America che vorrebbe tirarsi fuori
dal pantano iracheno. Ma non sarebbe
del tutto sbagliato. Nell’attesa di sapere
quale eroe uscirà vittorioso dalla
presidenziali, Hollywood ne anticipa la
filosofia. Il motto è: si salvi chi può. Marzo 2008 RdC 31
FOTO DI MARIA MARIN
Derive
Orientali
ll Vietnam guarda a Hollywood, Cina e Corea trovano la Francia. Il cinema
asiatico ha un debole per l'Occidente, ma anche l'America non scherza
Hanno collaborato: Gabriele Barcaro, Paolo Bertolin, Luca Pallanch, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Valerio Sammarco,
Boris Sollazzo, Davide Turrini A cura di: Marina Sanna
Marzo 2008 RdC 33
contaminazioni asiatiche
Saigon? Cercatela sotto la Tour Eiffel, almeno
al cinema. Il più noto regista vietnamita vive a
Parigi dall’età di tredici anni, quando la
famiglia (con l’aria che tirava) decise di
trasferirsi: qui, Tran Anh Hung si è diplomato
alla scuola di cinema, e ha esordito con un
film, Il profumo della papaya verde, ambientato
in Vietnam ma tutto ricostruito in studio (in
Francia, ça va sans dire). E se l’opera prima
raccontava un Paese ricamato sui propri ricordi
di bambino, la seconda (Cyclo, uno dei Leoni
d’oro più contestati degli anni Novanta)
metteva a frutto la cinefilia, con un remake
apocrifo e iper-violento di Ladri di biciclette.
A otto anni dal suo film più sinceramente
vietnamita, Solstizio d’estate, tradisce Ho Chi
Min City con Hong Kong. L’ex colonia
britannica, d’altronde, gli è sempre piaciuta. A
cominciare dal suo cinema, in primis l’actionmovie alla John Woo: ci sarà pure un motivo,
se il protagonista di Cyclo aveva il volto e la
fisicità di Tony Leung, l’icona dei film di Tsui
Hark e Ringo Lam. A quel personaggio di
antieroe sprofondato in una città ostile e
violenta, rimanda il plot del nuovo I Come
with the Rain, che sin dal titolo promette la
disillusione di un hard boiled d’altri tempi: un
ex poliziotto losangelino deve ritrovare il figlio
S
d’un magnate cinese, inghiottito dalla giungla
d’asfalto di Hong Kong. E come se non
bastasse, deve vedersela coi fantasmi del
passato, che hanno le sembianze d’uno spietato
serial killer.
Le prime indiscrezioni assicuravano la presenza
di Harvey Keitel (che in Vietnam è di casa, dai
tempi di Tre stagioni di Tony Bui): ma
sembrano smentite dai credits, dove gli unici
occidentali (in un cast che più pan-asiatico non
si può, dal coreano Byung-hun Lee di A
Bittersweet Life al giapponese Takuya Kimura
di Hero, passando per la vietnamita Tran Nu
Yên-Khê, moglie e musa del regista) sono Elias
Koteas, e il protagonista Josh Hartnett, che
qualche anno fa perse l’occasione di diventare
una star ma, dopo qualche buco nell’acqua, si è
cucito addosso un’interessante carriera noir, da
Sin City a The Black Dahlia.
Per un nativo di Saigon che va a girare “loin du
Vietnam”, ecco il maestro del cinema
cambogiano, Rithy Panh, che incontra un
simbolo dell’Indocina coloniale e della
letteratura francese, Marguerite Duras: nata e
cresciuta tra Giadinh e Phnom Penh, l’autrice
di Hiroshima, mon amour pubblicò Un
barrage contre le Pacifique nel 1950,
ispirandosi in parte alla vita di sua madre, che
GoodMorning,
Indocina!
Asia chiama Usa: Josh Hartnett hard-boiled
per Tran Anh Hung, Isabelle Huppert (e Marguerite
Duras) per il cambogiano Rithy Panh
di Gabriele Barcaro
34 RdC Marzo 2008
La giungla
d'asfalto di Hong
Kong e la
tenacia di una
vedova sulla
strada per
Cannes
come la protagonista del romanzo lottò senza
sosta per strappare all’oceano il pezzo di terra
incautamente acquistato alla morte del marito.
A mezzo secolo da una prima trasposizione (La
diga sul Pacifico, di René Clément), e dopo un
decennio di documentari sulle pagine buie
della storia del suo Paese (vissute in prima
persona, come prigioniero di un campo di
lavoro dei khmer rossi, prima di riparare a
Parigi), Panh torna al cinema di fiction con
questa storia che ricorda, per ambientazione e
dinamiche familiari, il suo capolavoro Gente
della risaia.
La vedova del libro, stavolta, è Isabelle
Huppert, che negli ultimi tempi si è calata con
dolorosa convinzione in altri ruoli di genitrice
problematica (Nuda proprietà, Médée Miracle,
L’amour caché); il figlio, un concentrato di
violenza che cinquant’anni fa aveva il fascino
disturbato di Anthony Perkins (doveva essere
James Dean, ma sappiamo tutti come andò a
finire), è Gaspard Ulliel, il giovane Hannibal
Lecter ingrassato di otto chili per l’occasione;
mentre l’emergente Astrid Berges-Frisbey si
confronta con il ricordo di Silvana Mangano.
Il vecchio film, scegliendo la strada del
kolossal, sottovalutava il sostrato politico della
Duras, che al cinema non fu mai troppo
fortunata (forse neppure con i film scritti e
diretti in proprio): persino L’amante, il suo
capolavoro, diventò sullo schermo un esausto
fumettone di languori erotici. A Rithy Panh, il
compito di invertire la tendenza: con un film
che promette non poche asprezze, e che voci
insistenti danno in concorso al prossimo
Festival di Cannes. Sotto le insegne della
Francia, naturalmente: e chissà che la Palma
d’oro che oltralpe inseguono da vent’anni, non
giunga proprio da un regista cambogiano.
Josh Hartnett.
Accanto Trân Nu
Yên-Khê in
Solstizio d’estate
Marzo 2008 RdC 35
contaminazioni asiatiche
OrientExpress destinazione
Hollywood, andata e ritorno
Dai “furti” di Tarantino e Scorsese fino al grande salto di Wong Kar-wai
di Boris Sollazzo
N
Nord America- Estremo Oriente: in un
senso o nell’altro il viaggio, soprattutto se di
sola andata, è sempre redditizio.
Artisticamente e non solo. Lo sa il maestro
Martin Scorsese: critica, pubblico e
finalmente persino l’Academy, hanno
adorato The Departed. Giustissimo, è un
capolavoro. Ma zio Marty, che ultimamente
non aveva ingranato le marce giuste, deve
ringraziare Hong Kong. Andrew (o WaiKeung) Law e Alan (o Siu Fai) Mak sono
gli autori di una trilogia geniale e selvaggia
– in Italia la trovate in dvd: uno distribuito
da Buena Vista, due da Lucky Red –,
Infernal Affairs. Ha ispirato e guidato la
mano del cineasta italo-americano, che ne
36 RdC Marzo 2008
Il fascino di Tony
Leung. Al centro
Infernal Affairs, in
basso Brokeback
Mountain, a destra
Gong Li
ha fatto un sontuoso (e ben pagato)
remake. Prima di lui, Quentin Tarantino,
per conquistare Cannes e il mondo, aveva
scelto una delle sue tecniche di regia
preferite: la rapina con destrezza. Se ogni
singola sequenza dell’autore di Pulp Fiction
è tributo, omaggio e citazione di altri
(preferibilmente asiatici o italiani), il suo
capolavoro Le iene (1992) è addirittura un
abile plagio del misconosciuto City on Fire
(1987) di Ringo Lam. Ancora un regista di
Hong Kong. Mai ammesso da Tarantino il
furto, sebbene il furbastro usi come motto
cinematografico “i grandi artisti non
copiano, rubano”. Molto meno felice è il
rimestamento nel torbido dell’horror. Si va
ancora più ad est, preferibilmente in Corea,
e si esportano script e registi apprezzati.
Videocassette e telefoni assassini,
elettrodomestici impazziti, televisorioracoli o vecchie leggende rimesse a
nuovo, fanno bene (e neanche sempre)
solo al primo tentativo. Passato l’oceano,
crollano miseramente. Non così è però
successo a John Woo come regista e Jackie
Chan come attore: tra alti e bassi, non
pochi, hanno saputo portare il proprio
linguaggio cinematografico e “fisico”
anche oltre i propri confini, finendo per
creare nuovi sottogeneri amati e imitati.
La novità degli ultimi anni, però, è la
temibile trasferta tentata dai grandi
autori. Se la quinta generazione cinese
(escluso l’uomo blockbuster Zhang
Yimou) come Kim Ki-duk (almeno fino
agli exploit di Primavera, estate, autunno,
inverno… e ancora primavera a Locarno e
di Ferro 3 a Venezia) era il classico
modello da “festival export”, ignorati in
patria, adorati nelle rassegne
internazionali e poco seguiti dal pubblico,
Ang Lee e Wong Kar Wai sanno
rimbalzare tra le due culture con bravura e
talento. Il primo ha vinto un Oscar
dirigendo Jake Gyllenhaal e il compianto
Heath Ledger in un dramma western gay
come Brokeback Mountain per poi tornare
in patria con il conturbante Lussuria. Il
secondo, poeta raffinato e cineasta
straordinario, con Un bacio romantico ha
tentato il grande salto, mostrando un agio
insospettabile nel dirigere un cast
americano all star. Ed ecco la nuova
frontiera, probabilmente: non accontentarsi
più delle splendide Gong Li e Maggie
Cheung, icone dello star system e della
sensualità asiatica, ma saper “globalizzare”
anche altri talenti
cristallini ora ghettizzati.
Un esempio? Quel
Tony Leung,
incrocio asiatico tra
Marcello
Mastroianni e
Humphrey Bogart,
interprete
straordinario e star
di prima grandezza
in patria, ma non
considerato da
Hollywood e
dintorni. Marzo 2008 RdC 37
nel segno della Francia
Il tempo secondoHou
La storia e il suo dispiegarsi
attraverso lo sguardo del maestro (dell’inquadratura) taiwanese
di Davide Turrini
F
Fu il giovane critico dei Cahiers du cinéma,
Olivier Assayas, a scoprire nell’oramai
lontano 1984 il cinema di Hou Hsiaohsien. Nel reportage “Du nouveau dans le
cinéma de Taiwan” (Cahiers, dicembre ’84,
numero 366), Assayas portava
entusiasticamente a conoscenza del
pubblico francese (e, purtroppo, non tanto
di riflesso il rimanente pubblico del resto
d’Europa) il regista trentasettenne di Quelli
di Fengkuei, all’epoca quinto
lungometraggio di una carriera di cineasta
che oggi ne annovera ben diciannove. Hou
nasce a Canton nel Sud della Cina l’8
aprile del 1947 mentre è ancora in atto la
38 RdC Marzo 2008
guerra tra i comunisti di Mao Tse-tung e i
nazionalisti di Chiang Kai-shek. Appena
un mese dopo, il padre di Hou,
provveditore agli studi, si trasferisce nel
nord dell’isola di Taiwan, ex dominio
giapponese, che di lì a poco diventerà
rifugio dei nazionalisti in rotta dal
continente dopo la guerra perduta.
Avvenimenti storico/politici che
segneranno indelebilmente la memoria di
Hou e che diventeranno elementi
preponderanti dell’impianto narrativo di
almeno due dei più recenti film: Città
dolente (1989) e Il maestro burattinaio
(1993). Hou segue il classico percorso di
apprendimento della tecnica
cinematografica: i primi rudimenti sul
finire dei ’60 all’Accademia Nazionale
d’Arte; segretario di edizione nei film di Li
Hsing nei primi anni ’70; qualche
documentario su commissione per
l’esercito taiwanese; infine l’esordio nel
1980 con E’ proprio carina, commedia
musicale che a Taiwan registra più di un
milione di spettatori. Nel 1982 con il
cambiamento ai vertici del CMPC, la
cinematografia di Stato, viene prodotto un
film collettivo a episodi che ha tra i sei
giovani registi Hou ma anche l’altrettanto
importante regista (sdoganato anch’esso
Hsiao-hsien
dalla critica francese) Edward Yang. Nasce
quella che viene definita la Nouvelle Vague
Taiwanese: bassi budget e un impianto
drammaturgico letterario che vira sul
privato. Per Hou significa anche l’incontro
fecondo con la scrittrice taiwanese Chu
Tien-wen che diventerà sua collaboratrice
fino ai giorni nostri. Il cinema di Hou si
presenta dopo ventisette anni fondandosi
su alcune ben definite coordinate formali
(profondamente debitrici della pittura
paesaggistica cinese) e stilistiche (l’uso del
piano sequenza), piuttosto che un peculiare
andamento fluttuante dello sguardo
autoriale sullo scorrere della storia
taiwanese e del tempo interno ad ogni
singola sequenza. Come un lento
dischiudersi di macroepoche nel
microcontesto della memoria del singolo
individuo. Paradigmatici in ciò, i titoli che
hanno dato ad Hou riconoscimenti
internazionali prestigiosi: il Leone d’oro a
Venezia con Città dolente, il Gran premio
della giuria a Cannes con Il maestro
burattinaio. In questi due film la fissità
dell’inquadratura, spesso increspata da
azioni dinamiche al suo interno, dilata
l’idea filosofica di tempo, quasi a rilevarne
l’estrema ieratica fuggevolezza. Probabile
che in questa singolare versione estetica
dello scorrere del tempo, si possano gettare
le fondamenta per imporre un senso del
racconto che non segua i classici binari da
melodramma hollywoodiano a sfondo
storico. Ogni lavoro di Hou scompagina
temi e iconografie (si passa dal burattinaio
del primo novecento – Il maestro
burattinaio - ai delinquentelli degli anni
’90 – Goodbye South Goodbye – ; dai
sacrifici della prole per la resistenza
antigiapponese – Good Men, Good Women
– alla musica techno e alle droghe del 2000
– Millennium Mambo) ma mantiene
intatta questa granitica fruizione
dell’elemento tempo quasi fosse una
prerogativa, una forza creativa centripeta
che si appropria della dimensione
melanconica e dolorosa della memoria del
singolo per tramutarli in affreschi sulla
contemporaneità della visione. Poi, a ben
vedere, la fissità del piano sequenza sta in
qualche modo mutando. In Millennium
Mambo come in Three Times (assoluto
capolavoro di Hou per chi scrive) la
macchina da presa si sposta in profondità
(poco), in orizzontale (molto) per
recuperare brandelli di racconto sparsi oltre
il confine del fuori campo. Per poi
magicamente tornare, con l’ultimo Le
voyage du ballon rouge ad una fissità
primigenia in un’unica stanzetta parigina
per almeno un’ora e mezza di film. Peccato
che per vedere questi film in sala si deve
essere francesi (e parigini soprattutto): le
sale italiane non sanno quasi per nulla cosa
sia stato il fenomeno Hou Hsiao-hsien. Una scena di Three
Times. Sotto Juliette
Binoche in Le voyage
du ballon rouge
Nouvelle
vague e premi
internazionali.
Ma in Italia è semi
sconosciuto
Marzo 2008 RdC 39
nel segno della Francia
Tsai
vainMostra
Il Louvre avrà presto il suo Visage: il regista è in trasferta per
riscoprire Salomé. Nel nome del corpo
di Federico Pontiggia
Nell’era del consumismo, esiste
qualcosa che non possa essere
venduta? Nulla, tranne
l’amore. Ci credi ancora
all’amore?
TSAI MING-LIANG
I Don’t Want to Sleep
Alone. In alto il regista
e una scena de
Il gusto dell’anguria
40 RdC Marzo 2008
T
Truffaut, Fassbinder, Bresson e Antonioni.
Tutti e quattro insieme, si trovano solo in
una storia del cinema. O nel cinema di Tsai
Ming-liang. “Penso che i film europei mi
siano più vicini perché inquadrano vita e
uomini moderni. Sono più realistici, più
sinceri nei confronti della vita”. Umanesimo
(Truffaut); questioni sessuali e di genere
(Fassbinder); l’attenzione per i corpi di
attori non-professionisti (Bresson); i
paesaggi urbani alienanti (Antonioni), tutto
questo è Tsai, con Edward Yang e Hou
Hsiao-hsien tra i registi del nuovo cinema
taiwanese giunti alla fama internazionale
negli anni ‘90.
Nato e cresciuto in Malesia, a Kuching,
introdotto al cinema dai nonni, figlio di un
contadino, ha un’infanzia tranquilla, dove
può “sviluppare i propri interessi e godersi
la vita”. E’ la pace che ritroveremo nei suoi
film, quella calma che lo differenzia
sensibilmente dai colleghi: long take, piani
sequenza, lunghe inquadrature, che
richiedono allo spettatore disarmo e
pazienza per accostarsi a un’altra esistenza,
e il rifiuto della frammentazione del
montaggio, che porterebbe – nelle parole di
Tarkovsky – a “una facile interpretazione
della complessità della vita”.
Comportamentista per immagini, Tsai con
una manciata di lungometraggi – Rebels of
the Neon God (1992), Vive l’amour (1994),
Il fiume (1996), The Hole (1998), Che ora è
laggiù? (2001), Goodbye, Dragon Inn
(2003), Il gusto dell’anguria (2005) e I
Don’t Want to Sleep Alone (2006) – si è
ritagliato un posto idiosincratico nel
panorama cinematografico mondiale,
professando sullo schermo il naturalismo di
Flaubert e Zola, con un surplus di cinismo,
da anatomopatologo di corpi sani.
Navigando fiumi trasgressivi, infilando la
macchina da presa in buchi virali, le dita in
angurie lussuriose, da uomo di teatro senza
teatralità, Tsai continua a scolpire il tempo,
a immagine e somiglianza dei corpi che
insegue, seziona, prega. In silenzio e in
solitudine, perché “il corpo appartiene a
una persona solo quando è da sola”.
Feticcio l’attore Lee Kang-sheng (di cui ha
prodotto la regia Help Me Eros nel 2007),
la sua ricerca è un’antropologia senza note a
margine, romanzo anziché saggio,
indifferente all’indifferenza per l’umano del
cinema pastorizzato. Quello di tanta
Europa, che non ha potuto non accogliere a
braccia aperte l’umano, troppo umano
Tsai: prima fenomeno da cinephiles, e ora
adottato, con domicilio temporaneo al
Louvre. Invitato dal celebre museo parigino
- secondo a “profanarlo” dopo il Ron
Howard del Codice Da Vinci - per girarvi,
Visage, con il sodale Lee Kang-sheng,
l’icona Nouvelle Vague Jean-Pierre Lèaud e
Maggie Cheung, nel ruolo della biblica
Salomé. Probabile destinazione Cannes,
Visage ha nei cromosomi la definitiva
consacrazione di Tsai, malese-taiwanese da
esportazione. Senza isterizzare la “calma
piatta” di Kuching, senza amputare la
carnalità di Taipei, aspettando che altri due
corpi si incontrino, “come due nuvole che
si toccano e si trasformano in pioggia,
ammorbidendo la terra”.
Lapoetica di
Kim
Sempre in equilibrio tra eros e thanatos, il coreano
da esportazione ha scoperto il cinema a Parigi
di Angela Prudenzi
Marzo 2008 RdC 41
nel segno della Francia
Ispirazioni
europee per
estetismi
destabilizzanti
ed estremi
’
E
E’ entrato per la prima volta in un cinema
a Parigi, dove ha vissuto vendendo per
strada i suoi dipinti. Cita spesso Leo
Carax, reo di averlo folgorato con Les
Amants du Pont-Neuf. Tracce importanti
per decifrare la poetica di Kim Ki-duk e
capirne i legami con la cultura europea.
Affinità neanche troppo nascoste che il
regista coreano lascia filtrare attraverso
rimandi e citazioni di artisti del vecchio
continente. Le luci bluastre e le atmosfere
soffuse di Crocodile, ad esempio,
riconducono a Carax ma anche a Beinex,
mentre il Buñuel di Le chien andalou ha
avuto una indubbia influenza sulla
surreale crudeltà de L’isola. Accanto ad
essi, e più propriamente prima secondo
una gerarchia che vede le arti visive
componente privilegiato della sua poetica,
Klimt e soprattutto Schiele, i cui dipinti
giocano un ruolo importante in Bad Guy.
Insomma, basta aprire bene gli occhi per
scoprire che il più filosofico degli autori
asiatici guarda all’Europa come fonte di
ispirazione per costruire un universo
dall’estetismo estremo e destabilizzante
popolato di figure appassionate e dolenti.
Uomini e donne preda di passioni
totalizzanti che si muovono su fondali
dalla composizione perfetta dove, come
spesso in pittura, all’assoluta semplicità
corrisponde la massima produzione di
senso. Kim Ki-duk si serve di loro alla
ricerca di un impossibile equilibrio tra
eros e thanatos, perdizione e redenzione,
gioia e dolore. Temi forti che il regista
veste di spiritualità costruendo un
percorso simbolico omogeneo che
attraversa tutta la sua produzione. Così se
L’isola incarna l’elaborazione più alta
dell’amore come sacrificio e La samaritana
è una digressione sulla colpa, Bad Guy si
pone come confine tra l’essere vittima e/o
carnefice. E che dire di Ferro3 - La casa
vuota, in cui tutto sfugge alle leggi della
fisica sottomettendosi però a quelle
dell’amore? Che siamo, ancora una volta,
assai lontani eppure misteriosamente
vicini all’estetica post-romantica e
decadente tanto cara a un certo cinema
francese.
A sinistra La samaritana. In alto una scena di
Soffio e nell’altra pagina Time
42 RdC Marzo 2008
nel segno della Francia
Spirito e
Kawase
La giapponese Naomi alla ricerca
dell'invisibile. In prima persona, con il
plauso (soprattutto) d'Oltralpe
di Paolo Bertolin
I
Il cinema della giapponese Naomi Kawase
si può etichettare come un cinema di
ricerca. Ricerca attraverso immagini e suoni
di una presenza impalpabile e ineffabile,
che pare sfuggire alla presa immediata e
diretta dei sensi. Un cinema della
spiritualità, quindi, che trova lo spirito
nell’immanente, nel mondo e nella natura
che circondano l’uomo, e la cineasta stessa
in primis. Un cinema spesso in prima
persona – si veda la copiosa produzione
documentaria, da Ni tsutsumarete (1992) a
Tarachime (2006) – che produce sovente
esiti venati di una sorta di primordiale
animismo, fatto di una spiritualità diffusa e
pervasiva. La Kawase, del resto, è nata (nel
1969) a Nara, antica capitale del Giappone
(710-784), città che porta ancora la
memoria di un’epoca in cui shintoismo e
buddismo dominavano la vita spirituale dei
giapponesi. Sarà anche azzardato dirlo, ma
la Kawase sembra proprio aver
intimamente assorbito e trasferito
inconsciamente nel suo cinema questa cifra
spirituale. Eppure il suo è un cinema che
valica i confini delle specificità culturali e
che ha conosciuto in Occidente - in
particolare in Francia - riconoscimenti
critici e sostegno economico superiori a
44 RdC Marzo 2008
Sintomatico ritorno al pre-moderno, con la natura che
sembra osservare le vicende degli uomini
quelli riscontrati in patria.
La sua ultima fatica, Mogari no Mori
(letteralmente, la foresta di mogari; una
nota a fine film rivela come il termine
‘mogari’ indichi sia il periodo sia il luogo
del lutto), le è infatti valsa il Grand Prix
del Festival di Cannes 2007. Come già nei
suoi precedenti lungometraggi di fiction,
Moe no Suzaku (1997), - esordio che le
era valso la Caméra
d’Or a Cannes –
Hotaru (2000) e
Sharasojyu (2003),
Mogari no Mori
prende le mosse da
un’assenza, da una
scomparsa, da una
perdita. In questo
caso, si tratta del
lutto insormontabile
per la dipartita di
una persona cara:
l’amatissima moglie
del vecchio Shigeki,
che per trentatré
anni ne ha tenuto
vivo il ricordo, e il figlioletto di Machiko,
che per dimenticare la propria tragedia
presta assistenza volontaria nell’ospizio
dove Shigeki è ospitato. L’incontro tra il
dolore di Shigeki e quello di Machiko è
ripetutamente punteggiato da
inquadrature “non economiche” della
natura loro circostante. Laddove
nell’opera di Ozu Yasujiro, che fece di
quest’incongrua punteggiatura visiva una
delle marche del suo stile, le immagini di
raccordo presentavano il paesaggio di un
Giappone in trasformazione, paesaggi ed
elementi urbani segno di modernizzazione
e industrializzazione ferventi, nei film
della Kawase si verifica in esse un
sintomatico ritorno al pre-moderno, a
quella natura che pare in costante
osservazione (impassibile? Partecipe?)
delle vicende degli uomini (si noti che il
titolo del primo lungometraggio della
Kawase, Moe no Suzaku, fa riferimento ad
uno spirito della montagna, vero e proprio
genius loci che scruta gli abitanti del
luogo).
Sarebbe però scorretto dare per scontato
che questa natura osservante offra
deterministicamente spalla o conforto alle
pene degli uomini. “L’acqua del fiume che
scorre senza posa non torna mai alla
sorgente”, dice Shigeki in Mogari no
Mori; in quest’impossibilità del ritorno al
passato, all’origine è da riconoscersi la
vera comunanza tra uomo e natura.
Lungo tutta la sua carriera, da Ni
tsutsumarete (il cui titolo inglese era
Embracing) a Moe no Suzaku, da Hotaru
a Tarachime (documentario sulla propria
maternità), la Kawase sembra invece
ricordarci che quel conforto è da cercarsi
nell’abbraccio di un’altra persona, nel
calore che ci rammenta d’esser vivi.
Una scena di
Mogari no Mori.
Sopra padre e figlio
della regista
Marzo 2008 RdC 45
passioni giapponesi
Ibri
d
o
Tsukamoto
Onirico e voyeuristico, ecco l’artigiano
totale del cinema nipponico
di Valerio Sammarco
Asuka
Kurosawa
in A Snake
of June.
Sopra
Tsukamoto,
a destra
Vital
46 RdC Marzo 2008
Soggettista, sceneggiatore, scenografo, operatore,
regista, montatore, produttore e attore. Nasce e si
sviluppa sotto il segno dell’autarchia, deformandosi in
mille altre cose, il cinema di Shinya Tsukamoto, vertice
e punto di (non) ritorno del “nuovo-nuovo cinema
giapponese”, indipendente con la i maiuscola,
ipotizzato agli esordi degli anni ‘80, esploso da quelle
stesse ceneri e sedimentatosi nel decennio successivo. In
super-8 (qualche corto e Le avventure del ragazzo del
palo elettrico) i prodromi di un discorso apparentemente
folle, in realtà disegno lucidissimo per quella
rappresentazione rabbiosa e scarnificante, ancora di là
da venire, dell’individuo/massa nella società capitalistica
e senz’anima di un Giappone sempre più proiettato
verso il progresso. Nelle mani di Tsukamoto, artigiano
totale e “protesi” cyber-punk dei magnifici deliri
provenienti da Occidente (nel 1983 Cronenberg
firmava quel capolavoro dell’ibridazione che era
Videodrome, tre anni più tardi si confrontava con La
mosca di Kurt Neumann), i segnali di una mutazione
irreversibile si fanno carnalmente metallo in Tetsuo –
The Iron Man, metamorfosi fino ad allora mai così
esplicitamente “raccontata” e film manifesto per cinefili
di mezzo mondo: la fusione tra organico (sesso) e
inorganico (macchina) è violenta, fulminea, dirompente
come le sonorità elettro-techno di Chu Ishikawa, da qui
in avanti fedele collaboratore del cineasta. Quattro anni
dopo, nel 1992, Tetsuo II: Body Hammer segna quel
passaggio dal cyber-horror alla “fantascienza d’azione”
che, lasciando in sordina il sottotesto erotico, fa
emergere con forza un intreccio più radicato, in qualche
S
modo antesignano di quello che sarebbe stato di lì a
poco: Tokyo Fist (il pugno di Tokyo, sferrato ancora
una volta allo spettatore sgomento: non più la
mutazione in acciaio, ma la potenza e la caducità della
carne come avamposto dove ritrovare l’essere umano),
Bullet Ballet e Gemini, sinfonia asincrona d’amore e
morte e ritorno all’horror nel passato di un Giappone
perduto. Tutto questo condurrà ad A Snake of June
(unico titolo finora distribuito in Italia), voyeuristico e
sensazionale triangolo (occhio-corpo-malattia)
immortalato dal ferreo e notturno bianco/blu di una
Tokyo sommersa dalla pioggia: seguiranno Vital
(estenuante ricerca di una corporeità dell’anima),
l’episodio Tamamushi nel collettivo Fîmeiru, il
claustrofobico ultrasperimentale Haze e Nightmare
Detective (del quale dovrebbe già essere pronto il
sequel), disarmante viaggio nei meandri di menti
suicide.
Kitano al tramonto
Kantoku banzai!, ovvero cronaca di una rovina annunciata. “Ho distrutto la mia carriera”, confessa Takeshi di Federico Pontiggia
Canto di un cigno orientale: Takeshi Kitano, che
all’ultima Mostra di Venezia portava Kantoku banzai!,
ovvero Glory to the Filmaker!. Un filmaker, che non c’è
più, o almeno non è più il Kitano dal Giappone con
furore, instant-cult europeo da Hana-bi in poi: “Questo
film ha rappresentato un punto di svolta nella mia
carriera, i seguenti sono stati sopravvalutati. Poi con
Zatoichi è arrivato il successo di pubblico, ma con
Dolls il gap tra il mio cinema e gli spettatori si è
acuito. Con Takeshis’ ho iniziato il processo di
distruzione della mia filmografia: voglio ricominciare
da zero”. Accolto al Lido da sorrisi a mezz’asta e
dinieghi imbarazzati sull’amore che fu, Kantoku
banzai! è per il Beat della nippo-generation il passo
successivo di una trilogia iconoclasta: “Proseguirò in
questo cinecubismo: progettazione di tempi e
immagine, loro distruzione e riassemblaggio”. E sì
che le premesse di Kantoku banzai! parevano
buone: “Da che cosa dipende il successo o
l’insuccesso di un film? Sono contrario
ai blockbuster, miei o altrui, ma non posso sempre
lamentarmi”. Accostando generi diversi, già esplorati:
yakuza, commedia, o meno: fantascienza, love story,
dramma storico, Kitano è ora giunto a riflettere
(auto)criticamente sul proprio cinema, senza mezzi
termini: “Mi sono trovato senza sapere che cosa fare”.
Per scongiurare questo horror vacui, Kantoku banzai!
introietta tutto, anche una consapevolezza: “Potevo
fare di meglio, ma stavo impazzendo: nell’episodio
horror ho tenuto anche le scene sbagliate, come se
fossi un regista dilettante”. Che pur in “rovina”, non
dimentica l’autoironia: “Dalle mie esperienze comiche
in tv ho imparato a ridere di me stesso “ e il tema a lui
tanto caro del doppio: “In Takeshis’ Beat e Kitano si
criticavano reciprocamente, qui il gioco tra il mio
personaggio e il suo alter ego manichino punta
all’autodistruzione”. Che tale si è rivelata anche al
box office nipponico, dove il film non ha sfondato:
“Solo le giovani donne l’hanno capito, e accettato”.
Rosea consolazione…
Marzo 2008 RdC 47
un pò d’Italia
Quando l’Asia
Suggestioni e parodie di “genere”: i samurai di Kurosawa per i west
A
Anni ‘60: la Cina era vicina e l’Oriente si
tingeva di rosso, Sergio Leone adattava La
sfida del samurai di Kurosawa, gettando le
basi del western all’italiana, e per ripicca il
maestro giapponese otteneva i diritti di
distribuzione di Per un pugno di dollari in
molti paesi asiatici, Umberto Lenzi girava a
Ceylon e in Malesia un ciclo di film
salgariani, mentre Gianfranco Parolini, in
arte Frank Kramer, esportava i film
spionistici con Tony Kendall e Brad Harris in
località non meno esotiche (Agente Jo Walker
operazione estremo Oriente) e Bitto Albertini
con i suoi supermen si spingeva fino a Tokyo
e a Bangkok (3 supermen a Tokyo e Crash!
Che botte… (Strippo, strappo, stroppio)).
Cortocircuito fra l’Italia e l’Oriente, quando
il cinema italiano era internazionale e le
coproduzioni consentivano voli di fantasia.
Nascevano pellicole postmoderne: le
contaminazioni fra stili diversi echeggiavano
i continui rimandi dell’arte contemporanea a
orizzonti sempre più lontani, un’esplosione
di vitalità che di lì a breve porterà a ogni
sorta di ibridazione. Mario Bava rigirava
Rashomon in Quante volte… quella notte, il
western all’italiana e i film di kung fu
partorivano capolavori involontari come Il
mio nome è Shangai Joe di Mario Caiano, un
48 RdC Marzo 2008
Coproduzioni
e fantasia:
Bava rifaceva
Rashomon,
Lenzi girava
a Ceylon e
in Malesia
era vicina
tern di Leone e le arti marziali per il ku-fu di Franco Franchi
di Luca Pallanch
5 dita di violenza casareccio:
Chen Lee, scovato in una
lavanderia di Roma e scelto per
le sue doti atletiche e una certa
somiglianza con Dustin
Hoffman, vagava per il West,
ovvero l’Almería, in difesa dei
peones messicani. Come scrisse
Jean-François Giré, citato da Marco
Giusti nel suo “Dizionario del
western all’italiana”, “Rispetto alla
volgarità, al razzismo e alla violenza
incontrollabile dei cowboy, Caiano
mette in scena la saggezza del cinese e
gioca la carta della demistificazione e
dell’ironia”. Uno dei vertici del western kung
fu, esploso nei primi anni ’70 sulla scia del
successo planetario dei film di Hong Kong,
che invasero le sale cinematografiche e poi il
piccolo schermo. Nando Cicero porta a
compimento l’operazione di destrutturazione
dell’intero filone dei film di kung fu con la
parodia di Dalla Cina con furore: Ku-Fu?
Dalla Sicilia con furore, interpretato da
Franco Franchi, il quale, per essere assunto
come vigile urbano, si scontra con due
improbabili maestri di arte marziali, Gianni
Agus (Kon Chi Lay) e Enzo Andronico (Ce
Lo Kon Te). È in questo contesto che Bruce
Marzo 2008 RdC 49
un pò d’Italia
Per un pugno
di dollari e Sergio
Leone. Sotto
Mario Merola e
I sette samurai
Lee e Chuck Norris vennero in Italia a
girare L’urlo di Chen terrorizza anche
l’Occidente, dove Malisa Longo tenta di
conquistare il mitico Bruce, film di culto
soprattutto per la scena del combattimento
nel Colosseo, definita da Giovanni
Buttafava: “il vertice del cinema di arti
marziali, e uno dei più straordinari pezzi di
cinema d’azione in assoluto”.
Roma in quegli anni era veramente la
periferia dell’impero (non solo americano) e
i produttori si associavano ai mitici Shaw
Brothers, come per il cult mancato
Superuomini, superdonne, superbotte di
Alfonso Brescia, in arte Al Bradley, anch’esso
interpretato da Malisa Longo accanto a
stuntmen nostrani e stelle del kung fu. A
Brescia va il merito di aver anticipato le
tanto decantate scene dei film di John Woo
in cui poliziotti e malviventi sparano a due
mani, come Mario Merola in Napoli…
serenata calibro 9, che demitizza
buona parte del cinema
hongkonghese a venire. Ma i
50 RdC Marzo 2008
contatti con il cinema asiatico sono più
ampi e coinvolgono film d’autore, come il
viaggio di Antonioni in Cina (Chung Kuo,
Cina) e, successivamente, il Marco Polo di
Montaldo, investono la popolarità in Asia di
attori come Bud Spencer e Terence Hill,
Giuliano Gemma e Lando Buzzanca, ma
anche l’invasione di film italiani in posti
impensabili, magari doppiati in modo del
tutto improvvisato. Così avveniva in Iran,
dove Enzo Dell’Aquila, fresco di diploma al
Centro Sperimentale di Cinematografia e
prima di intraprendere una fortunata
carriera di sceneggiatore, girò Yasmine, oggi
introvabile. Per dire quanto, negli anni ‘60 e
nel decennio successivo, l’Oriente fosse
vicino, a un passo dai nostri gusti cinefili. E
come invece diventerà sempre più distante
negli anni Ottanta e Novanta, quando le
Filippine saranno elevate a set ideale dei film
d’imitazione in stile Rambo o per film
dell’orrore targati Lucio Fulci o Bruno
Mattei. Dall’Asia, da Hong Kong, da
Taiwan, dalla Cina, dalla Corea
giungeranno capolavori sempre più rarefatti
e inavvicinabili e i generi, caduti in disgrazia
in Italia, riceveranno nuova linfa. Ma questa
è un’altra storia, tuttora in corso.
PerchéBruce mi scelse
Correva l’anno 1972 e Lee al Colosseo terrorizzava l'Occidente con L’urlo di Chen.
Nel cast la nostra Malisa Longo, adottata in Oriente grazie a quel piccolo ruolo
di Luca Pallanch
Ci sono film che acquistano rilievo a distanza
di tempo, spesso per circostanze particolari.
L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente è
diventato un film di culto per la morte, a
distanza di un anno, di Bruce Lee, per la
presenza nel cast di Chuck Norris e per il
celebre combattimento al Colosseo. Vi ha
lavorato anche un’attrice italiana, Malisa Longo,
che ha girato alcune scene con Bruce Lee, e a
questo film deve una grande notorietà,
soprattutto nei paesi asiatici, perché la presenza
di un’attrice europea in un film di kung fu era
assolutamente anomala. Grazie a questo piccolo
ruolo, oggi Malisa Longo è tempestata da
messaggi di fan e da richieste di interviste da
tutto il mondo. Il suo nome, per molti, è legato a
quello del grande Bruce Lee, icona del cinema,
non solo orientale. Parlando con lei, sono
emersi molti retroscena intorno alla lavorazione
del film, avvenuta a Roma nel maggio 1972.
Come sei stata contattata per fare L’urlo di
Chen terrorizza anche l’Occidente?
Bruce Lee vide una mia foto su un giornale. Il
caso volle che il direttore di produzione del film,
che era italiano, avesse chiamato mio marito
Riccardo Billi per occuparsi delle questioni
produttive e organizzative. Quindi i produttori di
Hong Kong mi contattarono attraverso l’agente
e mi scelsero subito, senza nemmeno farmi un
provino, anche perché il ruolo era piuttosto
breve, erano appena due scene. La prima la
girammo a Piazza Navona. La scena comincia
con la protagonista del film Nora Miao che parla
con Bruce Lee e gli dice che in Italia sono molto
bravi a sedurre e a convincere le persone;
mentre la ragazza parla, io flirto con gli occhi
con Bruce Lee, mi alzo e gli faccio capire che
sono disponibile. La seconda scena l’abbiamo
girata all’Hotel Flora, dove la troupe alloggiava.
Andiamo in camera, io mi spoglio… e lui
scappa! La scena poi è stata tagliata perché i
cinesi sono molto puritani e volevano che fosse
un film per tutti e non ci dovevano
essere scene di nudo.
Queste poche scene ti hanno dato
una grande notorietà.
Ad Hong Kong e in Oriente sì.
Prima che il film uscisse
cominciò a circolare il mio
nome, si vedevano le mie foto,
quindi si era creata
un’attesa attorno a me.
Lo stesso era accaduto,
poco tempo prima,
quando avevo girato Io
Cristiana, studentessa
degli scandali di
Sergio Bergonzelli, e
Antonioni mi volle vedere per Zabriskie Point. Lo
incontrai quattro volte, ma poi scelse o gli
imposero un’attrice americana. Avrei dovuto
fare l’hippy, ma non parlavo benissimo l’inglese,
anche se il mio secondo film, Nude… si muore
di Antonio Margheriti, lo avevo girato in presa
diretta in inglese. Comunque, dopo un paio di
mesi dalla fine delle riprese, L’urlo di Chen
terrorizza anche l’Occidente uscì ad Hong Kong
ed ebbe un grande successo, tanto che i più
grandi produttori locali, gli Show Brothers, mi
offrirono di fare tre film, un paio dei quali con
Bruce Lee. Ma a febbraio ebbi un incidente
stradale e così non potei partire. Gli Shaw
Brothers non si fidarono e mandarono
una persona a Roma a controllare se
realmente avessi avuto un incidente!
In quanto tempo fu girato il film?
Due settimane. Una scena e via!
Giravano senza permessi: quando
mai si riesce a girare dentro il
Colosseo? Nessuno dava una
lira a questo cinesino.
Nemmeno io! Per me era un
signor nessuno, anche se a
Hong Kong era famosissimo.
Che tipo era Bruce Lee?
Fisicamente era piccolo di
statura, ma sembrava di
marmo. Aveva un fisico
bellissimo. Caratterialmente era
un po’ ombroso, stava molto
sulle sue. Poi era un grande
lavoratore. Mi ricordo che la
mattina all’Hotel Flora faceva gli
esercizi sulla spalliera del letto.
Per il film fece tutto lui, la
troupe infatti era composta da
poche persone, tutte di Hong
Kong: scriveva le scena,
dirigeva, faceva vedere agli
attori quello che dovevano fare.
Che rapporti hai avuto con lui?
Io l’ho incontrato solamente il
giorno delle riprese. Dopo
siamo diventati amici,
andavamo spesso a cena fuori,
insieme alla troupe, ovviamente
in ristoranti cinesi. L’ultimo
ricordo che ho di Bruce Lee è il
giorno in cui finirono le riprese.
La sera andammo a cena con la
troupe per festeggiare, poi
invitai tutti quanti a casa mia a
bere un whisky e mi fermai in
un bar di Piazza Navona a
comprare una bottiglia perché
non avevo da bere. In quel
periodo andavano di moda i pantaloncini, gli hot
pants, e io ne portavo un paio. Un gruppo di
ragazzi fuori dal bar cominciarono a fare
commenti sui miei pantaloncini, il direttore di
produzione italiano, che era un po’ ubriaco,
prese di petto i ragazzi e scoppiò il patatrac.
Quando uscii dal bar, trovai la troupe che faceva
a botte con questi ragazzi!
E Bruce Lee?
Era scappato con il suo amico ranger, che lo
seguiva ovunque. Lo abbiamo recuperato in
albergo: non poteva fare a botte, perché era
troppo forte, e non voleva avere rogne perché
aveva girato senza permessi. Il giorno dopo
sono partiti e qualche mese dopo è morto.
La troupe italiana del film. A sinistra Malisa
Longo. Nella locandina in alto l’Anfiteatro
Flavio per il combattimento con Chuck Norris
Marzo 2008 RdC 51
MEDUSA FILM E MOTORINO AMARANTO
PRESENTANO
UN FILM DI
PAOLO VIRZÌ
ISABELLA RAGONESE MASSIMO GHINI VALERIO MASTANDREA
MICAELA RAMAZZOTTI ELIO GERMANO SABRINA FERILLI
www.tuttalavitadavanti.it
DAL 28 MARZO AL CINEMA
Il caso
LA VERITA’ SU
MARCO BALDINI
L’altra faccia del popolare dj ne Il mattino ha l’oro in bocca.
Con il volto di Germano e la regia di Francesco Patierno
di Diego Giuliani
U
n ragazzo come tanti. Un campo desolato. Alla
tempia una pistola e in mano una vanga, con cui
due ceffi lo costringono a scavarsi la fossa. Da qui
è cominciata la nuova vita del “giocatore” Marco Baldini,
altra faccia del popolare dj e spalla di Fiorello, che per le
scommesse ai cavalli ha rischiato la pelle e ipotecato lo
stipendio. E da qui è cominciata anche la seconda vita di
Francesco Patierno, nel 2002 rivelazione con Pater
Familias, a cui due film morti sul nascere, la fossa
rischiavano di scavarla davvero. Un’immagine, per dirla
con lui, che “già da sola consentiva di raccontare tutto”.
Di indagare l’odissea di un beniamino dell’etere, sull’orlo
del baratro, proprio mentre stava conoscendo la celebrità.
Ma anche di emanciparsi dal personalissimo Pater
Familias, misurarsi con attori come Elio Germano e Laura
Chiatti e, non ultimo, sfidare il mercato con numeri da
blockbuster: circa 200 le copie con cui Medusa ha portato
in sala Il mattino ha l’oro in bocca. Più che Il giocatore,
Marzo 2008 RdC 53
Il caso
il bel romanzo autobiografico a cui
Baldini ha affidato le sue memorie, a
ispirarlo è stata una chiacchierata con
lui di una ventina d’ore. “A differenza
del libro, non volevo fare un film sul
gioco. Mi interessava di più
l’avventura umana del personaggio,
ma mancavano degli elementi. Per
questo mi sono fatto raccontare da
Marco tanti dettagli sulla sua vita
privata, il suo passato, l’avventura di
Firenze prima e quella di Milano
poi”.
Che cosa resta quindi rispetto al
romanzo?
Resta anzitutto l’ironia. Un filo rosso
che accompagna il film anche nei
momenti più drammatici. Anche i
tanto vituperati ’80 ne escono alla
fine vincitori. Mi ha divertito
raccontare il mondo dello spettacolo
e l’approccio di Fiorello e Baldini:
due persone, che oggi sono numeri
uno, con tutte le insicurezze e la
selvaggia spontaneità che ne
contraddistingueva i primi passi.
Altri amarcord dallo spettacolo di
quegli anni?
Non aveva senso parlare di personaggi
noti, mascherandone l’identità. Ci
sarà quindi Claudio Cecchetto e ci
sarà anche Radio Dee Jay. Non ho
però mai cercato dei sosia: quelli che
vedete sono i Fiorello, i Baldini e i
Cecchetto “a mia immagine e
somiglianza”.
Il cast è di grande richiamo.
Esigenze di copione o anche
volontà di andare incontro al
pubblico?
Il cinema ha delle regole. Ovunque,
per farlo, servono anche delle star. Di
vere e proprie noi forse non ne
abbiamo. Ci sono però attori che si
stanno imponendo al grande
pubblico e hanno un certo potere
d’attrazione. Non è stato il mio unico
criterio, ma ho cercato di sposarlo alla
qualità. Laura Chiatti, che conoscevo
poco, si è rivelata strepitosa e di
grande talento. Martina Stella si è
prestata con grande umiltà a un
piccolissimo ruolo…
Ed Elio Germano?
Semplicemente straordinario. Pur
essendoci più di 50 ruoli parlanti,
poggia tutto sulle sue spalle. Soltanto
lui poteva interpretare una parte così
impegnativa, che passa
continuamente dal dramma al
registro brillante.
Il prossimo film dovrebbe
chiamarsi Napoli…
No, no. Ho solo detto che sto
prendendo appunti per quello che
scherzosamente chiamo “il film della
mia vita”. Un progetto ancora vago,
che non sarà però il mio prossimo
film.
Sul blocchetto d’appunti che cosa
ci è finito per ora?
Ho sempre pensato a una specie di
Cielo sopra a Berlino ambientato nella
mia città: note di una vita intera, ma
che per ora sono ancora al semplice
stadio di appunti.
FRATELLI D’ITALIA[NS]
Germano e Scamarcio: da Luchetti al nuovo Placido, la meglio gioventù europea
di Federico Pontiggia
Colpo d’occhio
per Scamarcio,
diretto da
Sergio Rubini.
A destra Germano
ne Il mattino
ha l’oro in bocca
Elio Germano e Riccardo Scamarcio, fratelli e figli unici. Un titolo rivelatore,
quello del loro incontro/scontro per Luchetti: agli antipodi per recitazione e
appartenenza allo star-system, insieme sono i portabandiera del cinema tricolore.
Per Germano una veste letterale: lui la nostra Shooting Star all’ultimo festival di
Berlino, inserito di diritto tra i nove attori emergenti dell’UE. Lanciato proprio da
Mio fratello è figlio unico, che gli è valso il David di Donatello, Germano ha nel
2008 le cifre della consacrazione. Quattro Formaggi in Come Dio comanda,
l’adattamento del romanzo di Niccolò Ammaniti che Gabriele Salvatores ha iniziato
a girare il 4 febbraio, ha precedentemente concluso le riprese di un’altra
attesissima trasposizione: Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari, dal
Elio Germano e
Martina Stella
nel film di
Francesco Patierno.
Nella foto accanto
il regista, in
apertura Germano e
Marco Baldini
bestseller di Gianrico Carofiglio. Nel frattempo, in sala il suo Mattino ha l’oro in
bocca, ennesimo adattamento per la regia di Francesco Patierno (vedi intervista
accanto). Non è tutto: dal 14 marzo sarà in missione antagonista nella precarietà
dei call center con Tutta la vita davanti, seconda collaborazione di Elio con Paolo
Virzì dopo N - Io e Napoleone, mentre non manca molto neanche per (ri)vederlo
“desnudo ed eroico” in Nessuna qualità agli eroi, il dramma di Paolo Franchi che lo
ha portato in concorso alla Mostra di Venezia, suscitando polemiche, ma anche
plausi per la sua interpretazione. Sempre nel nome della ribellione al sistema,
ritornerà con Scamarcio da Michele Placido per l’annunciato Grande sogno, quello
che animò le lotte studentesche del ’68, cercando di bissare con Favino e la Trinca
la fortuna di Romanzo criminale. Dall’altra parte, Scamarcio non sta a guardare
(immigrato ideale per The Eden is West di Costa Gavras): dal 21 marzo in sala, sarà
uno scultore talentuoso e arrivista, diviso tra l’amore per Vittoria Puccini e la
carriera favorita dal critico d’arte Sergio Rubini, che firma anche la regia di Colpo
d’occhio. In attesa di vederlo, dal romanzo omonimo di Giuseppe Ferrandino,
(ma)Scalzone in Pericle il Nero di Abel Ferrara, che lo ha già diretto in Go Go Tales,
Scamarcio è con Verdone e Castellitto tra gli Italians di Giovanni Veronesi, su un set
itinerante tra Roma, Marocco, Emirati Arabi e San Pietroburgo. Lo dicevamo, sia per
lui che per Germano l’internazionalità è d’obbligo: Italians…
Punto critico: manuale per
DA NON in
PERDERE
☺☺☺☺☺ CAPOLAVORO
☺☺☺☺
sopravvivere
alle uscite
sala ☺☺☺ BUONO ☺☺ DISCRETO ☺ DELUDENTE
NON E’ UN PAESE
PER VECCHI
La fine è vicina: dal romanzo di McCarthy,
il monito dei Coen. Strepitoso
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
JOEL ED ETHAN COEN
Javier Bardem, Tommy Lee Jones
Drammatico, colore
Universal
122’
Ci sono gli aiuti umanitari, ormai
un’industria multinazionale, perché
nel mondo la gente muore di fame
ma, se gli aiuti arrivano, passano la
dogana delle mazzette, a partire
dall’Onu. Non vorrai mica aiutare la
gente gratis. Pompieri, poliziotti, i
cittadini sopravvissuti all’11 settembre
o che hanno rischiato la vita per
aiutare, sono ammalati, per aver
resistito all’onda delle polveri, ma la
legale mafia medici/assicurazioni
copre tutto per evitare i rimborsi
clinici e aumentare i conti milionari in
banca. Con la crisi dell’industria delle
armi, la pressione dei petrolieri e del
terziario di ricostruzione, è meglio
dichiarare che Saddam Hussein ha
armi micidiali nascoste, anche se non
è vero, e incominciare una guerra in
Iraq versando sangue per centomila,
Vincitore di 4
premi Oscar
IN
LA
SA
le famiglie, i bambini spaccati
in due e i soldati che vanno con i fucili
a diecimila chilometri da casa per
garantire che la moglie possa
comprare il nuovo Suv. Se faccio il
brooker, potrei dimostrare di essere
migliore di tutti e farmi dare un
aumento di stipendio (per una casa
con piscina e il suv più grande)
cambiando gioco, rubo i soldi ai file
dei colleghi, punto a modo mio e
rischio, e se va male, pazienza se
brucio 4,5 miliardi di euro e provoco
un terremoto in borsa che fa perdere
a tutti i piccoli risparmiatori pezzi di
vita.
“E questo schifo non smetterà. Poco
ma sicuro. Non smetterà. E come
farebbe a smettere?”. Già, come. La
domanda dello sceriffo Bell, nel
romanzo di Cormac McCarthy Non è
un paese per vecchi si riferisce al
poliziotto corrotto che “non è altro
che un obbrobrio schifoso. Non c’è
altro da dire. E’ dieci volte peggio del
criminale”. Ma è rivolta a tutto il
resto, tutto il resto che non smetterà,
la corruzione per il profitto per la
merce idolatrata, il sangue per la
valigetta contesa a pallettoni e morti
dove ci sono i dollari del traffico di
droga in quell’America-mondo che,
dalla pagina urtante e
prosciugata, passa all’immagine
estatica dei cieli limpidi e
indifferenti, gli stessi cieli del
“sogno” western, delle
primavere di pace dei marines,
della Nuova Frontiera. Quanto si
sente, nel filmico dei Coen (ma,
attenzione, anche in quelli di
Van Sant, Sean Penn, Haggis,
Scott) la disperazione della
“country” lacerata nei valori
perduti sotto lo stesso cielo delle
promesse, dove sono saltate anche
le “regole” criminali? Riuscita, la
trasposizione dei Coen, proprio in
questo, la messa in visione, a partire
dal corsivo monologante dello
sceriffo Bell del romanzo, del
disfacimento, di una sua eternità,
ma con le caratteristiche di
un’attualità sezionata nella peripezia,
iFilmDelMese
JAVIER BARDEM
È IL SERIAL
KILLER CHIGURH
Marzo 2008 RdC 57
iFilmDelMese
se vogliamo anche nel “genere”, e
con una data precisa di particolari
disfatte, di moltiplicatori di rapacità,
estorsione, tradimento.
“Quando non si sente più dire
‘Grazie’ e ‘Per favore’, vuol dire che
la fine è vicina, è una cosa che va a
toccare ogni strato sociale, si arriva
a quella sorta di crollo dell’etica
mercantile che lascia la gente morta
ammazzata in mezzo al deserto, e
SUPERLATIVO TOMMY LEE
JONES, L’ICONA FORDIANA DEL
CINEMA STELLE E STRISCE
allora è troppo tardi” dice Bell
(Tommy Lee Jones, ormai
reinventata icona fordiana del
cinema americano) nelle ultime
pagine di McCarthy da cui i Coen
saccheggiano anche le ottime
battute, trasferite spesso identiche
in sceneggiatura. Nel Texas
meridionale anni ‘80 (una data, un
passaggio ad altro livello), tra
58 RdC Marzo 2008
praterie sterminate attraversate da
giganteschi fuoristrada e duelli
efferati in motel loschi, un killer
psicopatico insegue un reduce del
Vietnam, il cacciatore Moss, entrato
in possesso di una valigetta piena di
milioni. Bardem, in tuta, capelli
lunghi e bombola d’ossigeno, la sua
micidiale arma insospettata, è
Chigurh, feticcio dei killer d’America,
che cresce nel film come metafora
della morte in agguato, punizione di
ogni avidità e mangiatrice di se
stessa. Quando spiega alla fidanzata
di Moss perché la deve uccidere
anche se non serve a niente, in una
fosca camera da letto, si sente l’alito
del Signore calvo del Settimo sigillo.
L’inevitabilità, fondata anche dal
controllato iperrealismo del libro, è la
mano sovrana che muove la regia,
l’inevitabilità di una catena
inarrestabile che, per il profitto, entra
in una sorta di zona metafisica del
SE TI E’ PIACIUTO QUESTO
FILM VEDI ANCHE:
Male. E quando si avverte una certa
macchinosità delle azioni, è anche il
momento in cui si rivela
l’irreversibilità del meccanismo di
azione/reazione criminale, perché,
saltate le regole, “vuol dire che la fine
è vicina”.
SILVIO DANESE
☺☺☺☺
Il petroliere (2007)
Inside Man (2006)
La promessa dell'assassino (2007)
Le tre sepolture (2006)
iFilmDelMese
LA
RABBIA
I dolori di un giovane filmaker. Louis Nero denuncia, ma non convince
IN
LOUIS NERO
Nino Rogner, Franco Nero, Faye Dunaway
Drammatico, colore
L’Altrofilm
104’
Realizzare un film? Un’impresa
disperata. Difficoltà a reperire fondi,
produttori insensibili, distributori che si
danno a gambe levate, contrasti con gli
sceneggiatori: è vita grama quella di un
aspirante regista. Vita a pane e rabbia.
Tanta rabbia, che se non canalizzata, ti
porta all’autodistruzione, all’implosione
artistica ed esistenziale. Ed è un Louis
Nero di Rabbia quello che porta sullo
schermo i dolori del giovane filmaker:
non autobiografici, comunque molto
privati. Effetto notte per fare metacinematografia di denuncia, ovvero
portare alla luce le miserie, variamente
declinate, del sistema cinema. Dalla
parte di Nero, torinese, classe 1976,
all’attivo tre lungometraggi (Golem,
Pianosequenza, Hans), un cast all star:
accanto al protagonista Nino Rogner,
un popolo di cineasti con i volti di
Franco Nero, Tinto Brass, Faye
Dunaway, Philippe Leroy, Giorgio
Albertazzi, Corso Salani, Gregorio
LA
SA
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PUNTI DI
FORZA,
LE MUSICHE
DI BACALOV
E TEARDO
E CAST ALL
STAR, CON
FRANCO
NERO E FAYE
DUNAWAY
Napoli, avviluppati dalla canzone
originale di Luis Bacalov e dallo score
ipnotico di Teho Teardo. Opera totale
(Nero è regista, produttore, direttore
della fotografia e montatore), La rabbia
è ben girato, e non banalmente
ispirato. Ma finisce qui: solipsismi
d’autore, sviluppo didascalico,
verbosità letteraria, ironia – e
autoironia – al lumicino, il film si
accartoccia su se stesso. E a far
capolino è un terribile interrogativo: cui
prodest?
Suona l’allarme, ma è solo ordinaria
amministrazione, niente scoop. Pensa
lei con rammarico, sbagliando due
volte. Vediamo l’ozioso prima e il
terribile dopo con lunghi piani
sequenza ansiogeni e sbilenchi, dalla
videocamera dell’operatore, eroico nel
suo stakanovismo. Di lui conosceremo
solo voce e caviglie. Da Blair Witch
Project e Cloverfield a Danny Boyle, la
premiata ditta Balagueró-Plaza non
inventa nulla, ma sa essere veloce,
cattiva, adrenalinica. Condominio in
quarantena e claustrofobico, uomini
che lottano all’ultimo morso. Semplice
ed efficace come il finale politicamente
scorretto. Polizia cinica, lotta di classe,
di razza, di religione. C’è tutto. Meglio
di così… si muore.
FEDERICO PONTIGGIA
☺☺
IN
REC
Macchina a mano e claustrofobia all’ultimo morso
LA
SA
per Balagueró e Plaza, profeti dell’horror spagnolo
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
JAUME BALAGUERÓ, PACO PLAZA
Manuela Velasso, Pablo Rosso
Horror, colore
Mediafilm
131’
Jaume Balagueró è il nuovo profeta
dell’horror spagnolo. Il ciclo Peliculas
para non dormir, gli acclamati
Nameless e Darkness sono dei gioielli.
Unico flop Fragile, la trasferta USA con
Calista Flockhart. Uccidere Ally McBeal
è il sogno di molti, lui non riuscì a farlo
diventare un incubo. Regista di talento,
confeziona blockbuster indipendenti e
con la Filmax usa questo successo per
far crescere i giovani connazionali e
arginare l’invasione USA. L’aria di casa
gli fa bene e si vede, con quel
genialoide pazzo di Paco Plaza (Second
Name) sforna Rec, l’horror della porta
accanto. Una giovane reporter tv,
spregiudicata e coraggiosa (Manuela
Velasco) è in una caserma dei
pompieri, per documentarne le gesta.
60 RdC Marzo 2008
DOPO IL FLOP
DI FRAGILE,
RITORNO IN
GRANDE PER
L’ARTEFICE
DEGLI
AVVINCENTI
NAMELESS E
DARKNESS
BORIS SOLLAZZO
☺☺☺
AN
TE
PR
IM
A
ONORA IL PADRE E LA MADRE
Tragedia formato famiglia per l’84enne Sidney Lumet. Diabolica la resa
Cominciò con una rapina... Mancano
pochi minuti alle otto del mattino,
quando l’anziana Nanette apre la
piccola gioielleria di famiglia, alla
periferia di New York. Qualcuno cerca
di rapinare il negozio: uno dei
malfattori cade, l’altro si dà alla fuga,
la donna è gravemente ferita. Dopo
l’esordio “in medias res”, il film ci
racconta gli antefatti dell’episodio, poi
le sue conseguenze. A preparare il
colpo sono stati i due figli di Nanette,
Andy e Hank. Andy, il maggiore (Philip
Seymour Hoffman) sembra un
tranquillo uomo d’affari, sposato a una
bella donna, che ama. Hank (Ethan
Hawke) è separato e ha una figlia, che
vorrebbe iscrivere a una prestigiosa
UN ALTRO GIORNO DA CANI, CON LO
STRAORDINARIO ALBERT FINNEY
scuola privata. Entrambi, in realtà,
sono afflitti da problemi economici, cui
il “colpo” era destinato a porre riparo
con la riscossione dell’assicurazione e
la vendita dei gioielli rubati. Mentre la
polizia indaga, l’anziano pater familias
Charles (un formidabile Albert Finney)
comincia a intuire cose diverse dalla
verità ufficiale. Dopo mezzo secolo di
carriera nel cinema, Sidney Lumet
ritrova buona parte della forma di un
tempo. Il suo nuovo film evoca alla
memoria Quel pomeriggio di un giorno
da cani, ma senza la nota grottesca:
somiglia in tutto e per tutto, invece, a
una tragedia familiare. E’ con i toni
propri della tragedia che il destino
incombe sui personaggi: un destino
con la “d” minuscola, però, poiché non
sono divinità malvage e oscure a
condurli verso la rovina, bensì precise
responsabilità individuali. Il titolo
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
SIDNEY LUMET
Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke
Drammatico, colore
Medusa
105’
originale, Before the Devil Knows
You’re Dead, si riferisce a un detto
irlandese che suona: “Cerca di andare
in paradiso mezz’ora prima che il
diavolo sappia della tua morte”: titolo
“demoniaco”, incombente e terribile,
assai più efficace del pur accettabile
Onora il padre e la madre. Per
trasmetterci il senso di questa
ineludibile fatalità, Lumet adotta una
struttura a-cronologica, mostrando
punti di vista diversi per illuminarci
sulle ragioni del crimine. L’effetto è
raggiunto, in simultanea con quello di
stringere sempre più il cerchio intorno
ai due fratelli. L’articolazione dei tempi
narrativi è sapiente; forse perfino
troppo, col rischio, a momenti, di far
sentire un eccesso di “scrittura”.
ROBERTO NEPOTI
☺☺☺☺
Novembre 2007 RdC 61
iFilmDelMese
IL PETROLIERE
Day-Lewis e il capolavoro di Anderson: epica scolpita nel tempo e negli spazi
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PAUL THOMAS ANDERSON
Daniel Day-Lewis, Paul Dano
Drammatico, colore
Buena Vista
158’
Avidità, misantropia
e duello di fede
sulle tracce del
mercante d’oro nero di
Upton Sinclair
IN
SA
LA
Buio e polvere. Rocce e petrolio.
Scorrerà sangue, annuncia il titolo
originale del film (There Will Be Blood)
e la promessa è mantenuta: Daniel
Plainview – un Daniel Day-Lewis
monumentale (vincitore di Oscar,
Golden Globe e Bafta) – cerca minerali
pregiati e trova l’oro nero. Ai primi del
‘900 mette su una società, insieme al
figlio (non suo) di nemmeno dieci anni
(l’esordiente Dillon Freasier), e quando
un giovane sconosciuto, Paul Sunday
(Paul Dano), gli rivela che a Little
Boston, cittadina sperduta nell’arida
California, dove il ragazzo vive insieme
alla famiglia, c’è un oceano di petrolio
che aspetta solamente di essere
trivellato, l’uomo non esita a
raggiungere il luogo indicato: acquista
tutto (o quasi) il terreno circostante,
promettendo prosperità, istruzione e
pane quotidiano alla piccola comunità,
devota ai dogmi del giovane pastore
Eli Sunday (ancora Paul Dano, qui alla
sua prova più convincente) – almeno
sulla carta fratello di Paul (che non
comparirà mai più) – ma al tempo
stesso solleticata all’idea di nuove,
materiali prospettive. Mese dopo
mese, senza cedere alle lusinghe della
Standard Oil, il petroliere costruisce il
suo denso e viscoso impero: il figlio ci
rimetterà l’udito, un presunto
fratellastro (Kevin O’Connor) venuto
da chissà dove la vita e il predicatore
invasato – il cui tornaconto personale
sarà molto più chiaro con gli anni a
venire – la dignità della propria,
declamata fede.
È nella gestione di un’epica,
magniloquente e meschina vicenda
SE TI E’ PIACIUTO QUESTO
FILM VEDI ANCHE:
62 RdC Marzo 2008
I giorni del cielo (1978)
Rapacità (1924)
Il gigante (1956)
Non è un paese per vecchi (2007)
Vincitore di 2
premi Oscar
individuale, nella capacità di contenere
in quasi tre ore un racconto che
poteva durarne nove e, soprattutto,
nel labilissimo equilibrio in cui riesce a
far muovere contemporaneamente
corpi e spazi infiniti (molte scene
girate a Marfa, stessa cittadina texana
utilizzata dai Coen in Non è un paese
per vecchi e, cinquantuno anni prima
da George Stevens per Il gigante), resi
immortali dalle luci di Robert Elswit
(Oscar alla fotografia) che Paul
Thomas Anderson porta a
compimento il suo vero, indiscusso
capolavoro: ex enfant prodige (realizzò
Boogie Nights a 27 anni, Magnolia a
29) già acclamato a livello
internazionale, il regista californiano si
ispira al romanzo di Upton Sinclair
(Oil!, del 1927) e riesce laddove – nei
film precedenti – intrecci, coralità, salti
temporali e ritorni non erano arrivati.
Progressione lineare, scandita dallo
scorrere degli anni (1898, 1902, 1911,
1927), centralità del personaggio –
Daniel Plainview, uomo d’incredibile
avidità e fermezza, capace di mettere
il figlio su un treno perché la sordità
intralcia la propria ascesa, ma anche di
farsi “battezzare” nel “sangue
dell’agnello” purificatore pur di
ottenere il beneplacito per costruire
un condotto in un’area che ancora non
gli appartiene (sono gli anni che
cambieranno per sempre gli Stati Uniti
rurali nella società capitalista, e
oligarchica, che conosciamo) – e il
sibilo di una sirena in lontananza,
acuto di una colonna sonora
magmatica e miracolosa (firmata dal
Jonny Greenwood chitarrista dei
Radiohead), per introdurre e
contrappuntare uno dei film più
importanti degli ultimi tempi, sorretto
da un Daniel Day-Lewis
imprescindibile, probabilmente l’unico
attore in grado di non rendere ridicola
la scena madre (“Sono un falso
profeta e Dio è solo una
superstizione”, farà urlare al
reverendo arrivista) che conclude,
ovviamente nel sangue, la parabola
della sua vicenda. “Dedicato alla
memoria di Robert Altman”.
Candidato a 8 premi Oscar – tra cui
miglior film e miglior regia – è stato il
grande sconfitto dell’80a edizione
degli Academy Awards.
VALERIO SAMMARCO
☺☺☺☺☺
Marzo 2008 RdC 63
iFilmDelMese
IL
CACCIATORE
DI
AQUILONI
Occasione persa per immergersi nel romanzo di Hosseini. Sterile la trasposizione di Forster
A
IM
PR
TE
AN
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
MARC FORSTER
Khalid Abdalla, Homayon Ershadi
Drammatico, colore
Filmauro
131’
“Il passato si aggrappa con i suoi
artigli al presente”. Una delle prime
frasi di Khaled Hosseini ne Il
cacciatore di aquiloni. Straziante,
essenziale e cruda come solo la vita sa
essere. Best seller a scoppio ritardato
e capolavoro, racconta l’amore,
l’amicizia, persino la politica e la storia,
attraverso la parabola di un
Afghanistan violentato da sempre.
Russi, americani, talebani, imperialismi
malati che hanno tentato di
schiacciare un popolo fiero, aggettivo
inteso nell’accezione dell’orgoglio
come in quello della ferocia. Ma se
Hosseini, americano di origini afgane,
caccia aquiloni, il regista Marc Forster
va per farfalle. Del libro capisce poco,
rendendolo un melodramma da
feuilleton, proprio lui, il raffinato
regista di un gioco di vita e finzione
come Stranger than fiction. E’ tanto
felice nella scelta degli attori, dei visi
(Khalid Abdalla, Atossa Leoni, i vecchi
FELICE
SCELTA DEGLI
ATTORI, MA
REGIA E
NARRAZIONE
SONO BANALI
E SBRIGATIVE
amici Shaun Toub e Homayoun
Ershadi) quanto sbrigativo nella
narrazione e nella regia, senza guizzi.
Lì dove Hosseini smorzava il dolore
con poesia, approfondimento,
descrizione, Forster prende furbe e
superficiali scorciatoie, nella parte
centrale come nel finale banalizzato.
Un’occasione persa per immergersi in
un romanzo che è autobiografia
personale, generazionale, culturale ma
anche affresco emotivo e storico. Noi
occidentali presuntuosi e/o
paternalisti, continuiamo a non capire
gli altri. Li giudichiamo e basta.
Smutniak, a cui Del Monte chiede
tantissimo: immediatezza, naturalezza
e semplicità, per portare sullo schermo
una liaison pericolosa, perché
prosaicamente normale. Tira e molla,
strappi e affondi, dipartite e rentrée,
un’unica certezza: l’amore disperato
che unisce Mavi e Teo, così disperato
da non curarsi nemmeno di buchi di
sceneggiatura, incongruenze
drammaturgiche e salti spazio-
temporali da sci-fi sentimentale. Poco
male, rispetto ai canoni del nostrano
giovanilismo cinematografico, Nelle tue
mani è una piacevole e – purtroppo innocua estroversione: un film che un
po’ se ne frega (anche della
coerenza…), sociopatico, non allineato
ai tanti furbetti del cinemino tricolore.
BORIS SOLLAZZO
☺
A
IM
PR
TE
AN
NELLE
TUE
MANI
Low-budget, HD e tormenti: gli effetti
sentimentali di Peter Del Monte
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PETER DEL MONTE
Kasia Smutniak, Marco Foschi
Drammatico, colore
Teodora Film
100’
“Tormentatissima storia d’amore tra
due non ventenni, cosa rara nel
panorama cinematografico italiano,
Nelle tue mani nasce dalla mia
predilezione per personaggi femminili
instabili: rifletto sul rapporto tra
l’ordine e il caos, con un astrofisico
abituato a esplorare l’ignoto cosmico e
una donna, Mavi, che irrompe nella sua
vita con la violenza di un meteorite”.
Parola di Peter Del Monte, che torna a
girare in alta definizione vent’anni
dopo il pioneristico Giulia e Giulia.
Distribuito da Teodora, prodotto da
Roberto e Mattia Levi, budget inferiore
ai 700mila euro, regista e attori senza
cachet, Nelle tue mani è interpretato
da Marco Foschi (astro teatrale, Fame
chimica al cinema) e la quasi-deb Kasia
64 RdC Marzo 2008
MARCO
FOSCHI E
KASIA
SMUTNIAK
CONTRO I
“FURBETTI DEL
CINEMINO”
ITALIANO
FEDERICO PONTIGGIA
☺☺☺
AN
TE
PR
IM
A
NESSUNA QUALITA’ AGLI EROI
Trama e stile su binari paralleli: delude il “borghese” Paolo Franchi
Dopo la convincente Spettatrice,
Nessuna qualità agli eroi non sfugge
alla “maledizione” – molto italiana… dell’opera seconda: Paolo Franchi
confeziona un film non riuscito,
imbrigliato da un’attitudine
estetizzante che quasi mai trova
conforto nella sceneggiatura. Storia di
estrazione e ambientazione borghese,
due sono i protagonisti: Bruno
Ledeaux (Bruno Todeschini), in cattive
acque finanziare e affettive (il nonrapporto con la moglie Anne/Irène
Jacob), e Luca (Elio Germano), figlio
“problematico” del banchiere-usuraio
nelle cui mani è finito Bruno.
Coproduzione italo-svizzera (per il
nostro Paese l’ITC Movie di Beppe
PUGNI IN TASCA E PSICOSI, ELIO
GERMANO FUORI PARTE
Caschetto), Nessuna qualità agli eroi
lavora sui personaggi con una
costruzione a incastro e a specchi
(Luca, Bruno e i rispettivi assenti
genitori), assemblando un
microcosmo poco verosimile. Stante
l’annosa - e molto italiana… incongruenza borghese di fatti e
situazioni, a lasciare sconcertati è
l’atonia che lega le reazioni “emotive”
dei personaggi, che nella pioggia e
nell’algidità torinese trovano uno
sfondo dal quale non si staccano se
non per “strappi” sessuali o repentine
crisi.
Viceversa, musica e rumori - da
dimenticare il design sonoro, quasi
mai così enfatico e nonsense nel
nostro recente cinema “d’autore” lasciano presagire cambi e colpi di
scena che puntualmente deludono le
aspettative. Ma ancora il film sarebbe
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PAOLO FRANCHI
Elio Germano, Bruno Todeschini
Drammatico, colore
BIM
102’
recuperabile, se l’ostinata singolarità
e difformità di inquadrature, tagli e
prospettive non si risolvesse
costantemente in sterile esercizio di
stile, assolutamente indifferente al
“momento storico”.
Sul fronte delle interpretazioni, se
Todeschini e la Jacob paiono
uniformarsi - ed è un male - al
canovaccio di Franchi (sceneggiatore
con Daniela Ceselli e Michele
Pellegrini), l’”eroico” Elio Germano è
fuori parte, condannato in una
camicia di forza anespressiva da cui
non fa abbastanza per liberarsi,
tenendo la patta aperta, ma i pugni in
tasca. Qualcuno all’estero ha evocato
Antonioni, ma fortunato quel cinema
che non ha bisogno di eroi...
FEDERICO PONTIGGIA
☺☺
Marzo 2008 RdC 65
iFilmDelMese
IN
SA
LA
IL FUTURO NON E’ SCRITTO
JOE STRUMMER
IN
SA
LA
Punk is not dead: il leader dei Clash vive. Nell’ottimo documentario di Temple
FORSE DIO E’ MALATO
Africa vera tra musica e miseria
REGIA
Genere
Distr.
Durata
REGIA
Genere
Distr.
Durata
JULIEN TEMPLE
Documentario, Colore
Ripley’s Film
119’
Joe Strummer vive. Il frontman del
gruppo punk rock The Clash,
scomparso 50enne il 22 dicembre
2002, è protagonista di Il futuro non è
scritto - Joe Strummer diretto
dall’inglese Julien Temple. Nato per far
conoscere le sue idee ai 17enni che
oggi non sanno chi sia, The Future Is
Unwritten è “una veglia per
accompagnarlo al suo eterno riposo”,
confessa Temple. Già assiduo
collaboratore dei Sex Pistols, portati
sullo schermo con Oscenità e furore, e
più in generale legato a doppio filo al
mondo musicale (Glastonbury), il
filmaker si è ispirato al programma
radiofonico di Strummer London
Calling, che dal ‘98 al 2002 tenne
sintonizzati 40 milioni di ascoltatori su
BBC World Service, e sui suoi
leggendari falò a Strummerville.
Risultato? Un rock-doc raccontato
attorno al fuoco dagli amici di Joe, tra
cui lo stesso regista, che per primo ha
avuto accesso agli archivi personali del
musicista. Basso continuo rock, folk,
reggae, cumbia, bhangra, dub, rap e gli
altri generi esplorati dal poliedrico
Strummer, il film è scandito dalle “hit”
dei Clash, come Rock the Casbah – che
finì scritta su una bomba Usa in Iraq,
68 RdC Marzo 2008
con sommo dispiacere di Strummer - e
Should I Stay or Should I Go?, e poi dei
Mescaleros. In primo piano, non solo il
musicista, ma anche l’attore, il regista e
il pensatore, grazie ad animazioni,
vignette, disegni, quadri, appunti di suo
pugno, nonché scene dalla Fattoria
degli animali e 1984, cari allo
Strummer che odiava il Grande Fratello
e quel Tony Blair che ha riempito
l’Inghilterra di telecamere a circuito
chiuso. Tra chi lo ricorda non mancano
le celebrità: Jim Jarmusch e John
Cusack, che con Strummer divisero il
set, Martin Scorsese (Toro scatenato
deve tanto ai Clash, ipse dixit), Johnny
Depp e Bono, confessi debitori della
creatività di Joe. Indubbio punto di
forza, Il futuro non è scritto evita
l’agiografia per fornire di Strummer un
ritratto sincero, senza occultarne
depressione, fuga e miserie, che stride
“con il maledettismo romantico dei
recenti Kurt Cobain e Joy Division
cinematografici”. L’uomo dietro
l’artista, sintetizzeremmo con una frase
fatta, ma davvero – ricorda Temple –
quello di Strummer e Johnny Rotten
(Sex Pistols) fu “il punk che esaltò
l’uomo, che rivoluzionò il panorama
musicale per distogliere i giovani dalla
fredda ammirazione delle star”. Punk is
(not) dead.
LO RICORDA
ANCHE
MARTIN
SCORSESE:
”TORO
SCATENATO
DEVE TANTO
A JOE”
FRANCO BROGI TAVIANI
Docufiction, colore
Istituto Luce
90’
“In Africa l’obiettivo non è essere
felici, ma sopravvivere. Ma è una
guerra. E l’Africa può perderla, per
sempre”. Così scriveva Walter
Veltroni nel suo diario di viaggio (ed.
BUR – Biblioteca Universal Rizzoli)
che ora dà il titolo al nuovo docu-film
di Franco Brogi Taviani, deciso ad
intraprendere lo stesso cammino
fatto dall’autore del libro,
contrappuntando nel percorso le
musiche (curate da Giuliano Taviani e
Carmelo Travia), arricchite di vocalità
e sonorità nere dal senegalese
Badaraseck e cantate dalla
giovanissima sudafricana Siya
Makuzeni, giovane cantante
sudafricana. È questo, come dice il
regista, il “contrappeso creativo e
fantastico” di un realismo tragico e
senza speranza: Mozambico, Angola,
Uganda, Senegal, Camerun e Sud
Africa si offrono allo sguardo
comunque mai pietistico del
documentarista, testimone di un
dolore che non può, non deve essere
ignorato. Quasi 26 milioni le persone
malate di Aids, 15 milioni i bambini
per questo rimasti orfani, senza
contare quelli “accusati di
stregoneria” o che – costretti
dall’indigenza – “lavorano”
immergendosi nelle montagne di
rifiuti in discariche a cielo aperto per
recuperare e rivendere residui di
ferro: è negli occhi di uno di loro,
trampoliere per gioco su due
barattoli di lamiera, che Franco Brogi
Taviani vorrebbe ci specchiassimo,
ricordandoci una volta di più che,
proprio come disse un prete di fronte
a tanta miseria, tanto orrore, forse in
Africa Dio è davvero malato.
FEDERICO PONTIGGIA
VALERIO SAMMARCO
☺☺☺☺
☺☺☺
AN
TE
PR
IM
A
SA
LA
IN
LE CRONACHE DI
SPIDERWICK
Fantasy dark divertente e brillante
Ispirato alla serie di libri di Tony
DiTerlizzi e Holly Black, Le cronache
di Spiderwick racconta di una madre
che, dopo la separazione dal marito,
torna con i suoi tre figli a vivere nella
profonda provincia americana nella
semi-abbandonata dimora di famiglia.
La foresta e la casa iniziano ad essere
popolate di strane e buffe presenze:
quando un incantesimo sarà sciolto,
la lotta per un libro di memorie del
Dottor Spiderwick dà il via ad una
vera e propria guerra. Divertente e
brillante storia fantasy dalle venature
dark, il film è impreziosito dalla
convincente interpretazione di
Freddie Highmore, sdoppiato per
interpretare due gemelli.
MARCO SPAGNOLI
IN
SA
LA
☺☺☺
PROSPETTIVE
DI UN DELITTO
Ottimi interpreti per un esperimento non del tutto riuscito
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PETE TRAVIS
Dennis Quaid, Forest Whitaker
Thriller, colore
Sony Pictures
90’
Sensibilmente influenzato dallo
stile narrativo di 24 e vagamente
ispirato alle suggestioni di
Rashomon, Prospettive di un delitto
racconta alcune ore di una giornata
diversa da tutte le altre. Quella in cui,
durante un vertice mondiale a
Salamanca, in Spagna, il Presidente
degli Stati Uniti subisce un attentato
apparentemente fatale in grado di
fermare il processo di pace e la lotta
internazionale al terrorismo. Una
manciata di minuti raccontati e
rivissuti seguendo punti di vista
differenti: quello degli agenti del
servizio di sicurezza, quello di un
turista americano capitato lì per caso,
quello di un poliziotto spagnolo e
quello di un gruppo di spietati
attentatori. Variazione sul tema del
cinema di genere legato agli attentati
al Presidente degli Stati Uniti, il film è
complessivamente interessante, con
dei momenti di ottimo cinema
d’azione che risultano, però,
compromessi da una trama troppo
sbrigativa e semplicistica. Ingegnoso,
ma talora farraginoso nello sviluppo,
Prospettive di un delitto è
esperimento interessante che fonda
la sua forza su un ottimo cast, ma
che avrebbe dovuto dare maggiore
spazio all’approfondimento
psicologico dei personaggi per dirsi
pienamente riuscito.
MARCO SPAGNOLI
☺☺
TUTTA LA MIA VITA
IN PRIGIONE
Una (stra)ordinaria ingiustizia
Mumia Abu Jamal è nel braccio
della morte da quando è nato William
Francome, 25 anni, protagonista e
cosceneggiatore di Tutta la mia vita in
prigione. Mumia, black panther,
giornalista (troppo) indipendente e
sostenitore della comune Love
(sterminata “legalmente” con una
bomba gettata da un elicottero!), ha
nel ragionevole dubbio l’unica
certezza del suo processo. Una storia
di (stra)ordinaria ingiustizia. Viaggio
nell’America profonda, nella
Philadelphia di Rocky, che con il
primato di violenza repressiva
istituzionale ne è lo specchio fedele e
preoccupante. Regia ridondante, ma il
film è un urlo contro ogni forma di
discriminazione.
MESSA IN
SCENA STILE
24. MANCANO
PSICOLOGIA E BORIS SOLLAZZO
SPESSORE DEI
PERSONAGGI ☺☺☺
Marzo 2008 RdC 69
OK
Telecomando
Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
Via col vento
Naturalmente belli: dal Popolo migratore
alla Marcia dei pinguini, il battito animale
in cofanetto
Marzo 2008 RdC 71
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Alessandro Scotti
90 anni da cam
Compleanno deluxe per la United Artists. Battezzata da Chaplin, la
sua storia in una collezione da K.O.
72 RdC Marzo 2008
pioni
Molti talenti
passati da quelle
parti: Leone, Allen,
Altman, Coppola
e De Palma
30 TITOLI IN MONSTER BOX
Novant’anni di vita, costellata di grandi successi,
innovazioni, titoli memorabili, parabole ascendenti, crisi
profonde e gloriose rinascite. Le radici e la storia della
casa che ricomincia a respirare con Leoni per agnelli di
Redford celebrati in un monster box che finisce per
essere una breve storia del cinema americano di studios.
Da La battaglia di Alamo a Toro scatenato i titoli sono
trenta: Marty vita di un timido, La parola ai giurati, A
qualcuno piace caldo, L’appartamento, I magnifici sette,
West Side Story, 007 Licenza di uccidere, La grande fuga,
La pantera rosa, La più grande storia mai raccontata,
Hair, Chitty Chitty Bang Bang, Il caso Thomas Crown,
I lunghi giorni delle aquile, Un uomo da marciapiede, Il
violinista sul tetto, Rocky, Io & Annie, Orizzonti di gloria,
007 La spia che mi amava, Rain Man, 007 Goldeneye,
Piume di struzzo, Wargames-Giochi di guerra, Alba Rossa,
New York New York, Manhattan e La maschera di ferro.
> DISTR. 20TH CENTURY FOX
A rianimarla è stata la
Metro-Goldwyn-Mayer,
nel 2006. Precisamente il 2
novembre. Con una
partnership che vorrebbe
essere la versione attuale
dell’assai più blasonata di
novant’anni fa. La United
Artists è il “talent-friendly
studio run by filmmakers for
filmmakers”: è nel 1918 –
con l’avvento del sonoro
ancora da venire – che
quattro personaggi di spicco
del panorama
cinematografico americano
cominciano a formulare
l’idea di fondare una
compagnia di distribuzione
e, perché no, di produzione:
si tratta di Charlie Chaplin,
dell’attrice Mary Pickford, di
Douglas Fairbanks e del
giovane D.W. Griffith. Lo
studio destinato a diventare
una colonna portante del
tempio hollywoodiano vede
la luce il 5 febbraio dell’anno
successivo. Lo spirito di
grande famiglia che animava
gli artisti della United si
rivelò vincente, attirando
professionisti di primo
livello. Eastwood, Leone,
Allen, Altman, Bertolucci,
Fellini, Coppola, De Palma...
ci sono passati tutti. Una
crisi profonda la condusse
poi sull’orlo della bancarotta
(Heaven’s Gate di Michael
Cimino fu un disastroso
flop), e la United Artists si
limitò all’attività di sola
distribuzione. Fino a due
anni fa, quando il testimone
dei fondatori è stato
raccolto da Tom Cruise e
Paula Wagner. Come dire
che in novant’anni,
all’indipendenza degli artisti
si è sostituita la libertà dei
potenti...
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
La classe dei classici A CURA DI BRUNO FORNARA
GLI IMPLACABILI
DI RAOUL WALSH CON CLARK GABLE, JANE RUSSELL (1955)
DISTR. 01
DISTRIBUTION
ITALIANI
A
CONFRONTO
Mazzacurati e Soldini: impegno e integrazione
La giusta distanza è quella raccomandata a un
giovane cronista rispetto ai fatti e ai personaggi
in cui s’imbatte. E’ quella prudente lontananza che
tempera l’indifferenza mirando all’oggettività. Eppure
la misura di questa distanza, tanto in Mazzacurati
quanto in Soldini (Giorni e nuvole) – impegnati a
mettere in scena il nuovo tessuto sociale italiano,
entrambi alla Festa di Roma – fa rima con l’empatia
che traspare da un tratteggio che scava in profondità.
Così è per il diciottenne aspirante giornalista che
osserva nascere la storia d’amore fra la maestra
elementare arrivata nel Polesine e tale Hassan,
meccanico tunisino ben integrato. Ma una tragedia
solleva dubbi sulla condizione dell’immigrato,
sollecitando una riflessione sulla nuova Italia
multietnica. Così è per Elsa e Michele, le cui agiate
esistenze sono scosse dall’improvvisa perdita del
lavoro. Emerge allora il dramma della labilità di ogni
sicurezza, di una sospensione che costringe
drammaticamente a guardarsi dentro.
Gli implacabili (The Tall Men) comincia con una
scena e una battuta famose. Le montagne
innevate del Montana. 1866, la guerra civile è
appena finita. Due uomini a cavallo, i fratelli
Ben e Clint Allison. Solitari e disperati, dice la
didascalia. Hanno combattuto, e perso, tra le
file sudiste nella terribile e cruenta battaglia di
Gettysburg. Cercano una nuova vita. Questa è
«a story of tall men and long shadows», una
storia di grandi uomini e lunghe ombre (le
ombre lunghe della guerra?). I due avanzano a
fatica nella neve alta. Quando alzano la testa,
vedono davanti a loro un albero ischeletrito
con un impiccato che pende da un ramo. Clark
Gable fa segno al cadavere e dice: «Pare che ci
stiamo avvicinando alla civiltà». Raoul Walsh,
magnifico raccontatore di storie, ha diretto
qualcosa come 130, 140 film. Di ogni genere.
Molti sono western. Gli implacabili è uno dei
suoi western più gustosi, che sa anche di
commedia. Con mandria e indiani. Con Jane
Russell che sogna di incontrare «un uomo che
gira il mondo e ha di che comprarselo». Con
Clark Gable che, al contrario, fa «solo sogni
piccoli». Grandi uomini, grande schermo del
Cinemascope, grandi paesaggi, grande e
“naturale” regia di Walsh.
Spettacolarità
non solo come
pretesto: i risultati
contano più
dell’innovazione
DISTR. FLAMINGO VIDEO
Film in orbita SUGGERIMENTI TV DAL MONDO SATELLITARE
DI FEDERICO PONTIGGIA
INTRIGO A BERLINO
(Joi)
Dalla premiata ditta Steven Soderbergh e George
Clooney, una spy-story in bianco e nero
postmoderno. Calda cinefilia e guerra fredda, per
ricordarci com’eravamo. Surplus l’intrigante Cate
Blanchett.
MIAMI VICE
(Steel)
DISTR. WARNER
HOME VIDEO
Michael Mann non perdona: alta definizione
d’autore per resuscitare sul grande schermo il
suo Miami Vice. Con i detective Jamie Foxx e
Colin Farrell, la cubana d’eccezione Gong Li e le
musiche dei Mogwai. Per spettatori “viziati”.
ANNA MAGNANI
(Sky Cinema Classics)
A 100 anni dalla nascita di Nannarella, il 7 marzo
un omaggio con il collettivo Siamo donne (1953),
Carosello del varietà con Totò e Fabrizi (1955) e
il documentario Anna Magnani – Ritratto
d’attrice. Nostalgia canaglia.
74 RdC Marzo 2008
EFFETTO
SPECIALE
Zemeckis mitologico
Aronofsky metafisico e
Kyashan in HD
Che gli effetti speciali
facciano la parte del leone,
non è raro. Che però non
siano solo un pretesto lo è
molto meno. Per Zemeckis e
la sua Leggenda di Beowulf
diventano l’occasione per
affrontare, come fosse un
giro di montagne russe, la
mitologia nordica. Per Darren
Aronofsky, interessato al
senso ultimo della vita, sono
lo strumento per mettere in
scena la metafisica. In
Giappone sono il mezzo per
dare movimento ai manga, e
con Kyashan la Dolmen
sbarca nel mercato dell’HD.
Mentre per Spielberg (in
cofanetto) sono un modo di
narrare. In tutti i casi più che
l’innovazione contano i
risultati.
NATURAL BORN CINEMA
“Animalie” doc: una fauna da compilation
Nuovo vigore
produttivo del
genere documentario
dalla metà degli anni
‘90. Una vitalità che nel
documentario di realtà
sociale ha portato a
una rivoluzione
radicale delle tecniche
narrative e del
rapporto fra realtà e
finzione. La stessa
vitalità ha investito il
documentario di
argomento
naturalistico con
produzioni
rivoluzionarie. Jacques
Perrin, con un
ultraleggero e la
tecnica dell’imprinting,
si mischia ai suoi
soggetti e ne ripercorre
i percorsi migratori per
anni (Il popolo
migratore); così come
nel precedente
Microcosmos i
registi/biologi Claude
Nuridsany e Marie
Pérennou si erano
immersi nell’universo
dei microrganismi. In
un cofanetto, assieme a
Profondo Blu,
ambientato negli abissi;
La marcia dei pinguini,
e Genesis, una
compilation della
varietà del mondo
animale.
DISTR. LUCKY RED
Meteore in sala
Casa dolce casa per flop al botteghino
IL PASSATO
KYASHAN LA RINASCITA
DISTR. DOLMEN
L’ALBERO DELLA VITA
DISTR. 20CENTURY FOX
JURASSIC PARK – LA TRILOGIA
DISTR. UNIVERSAL
LA LEGGENDA DI BEOWULF
DISTR. WARNER HOME VIDEO
La separazione per Babenco:
nostalgia di un amore che agisce
per detrazione attraverso un
passato sempre presente.
DISTR. DOLMEN
THE MATADOR
Sicario prezzolato e businessman
disperato si scontrano a Città del
Messico. Complicità maschile per
Pierce Brosnan e Greg Kinnear.
DISTR. MEDIAFILM
IL RISVEGLIO DELLE TENEBRE
Fantasy bretone con l’ennesimo
teenager, impegnato contro le
forze del male. Alla Harry Potter,
senza essere Harry Potter.
DISTR. 20TH CENTURY FOX
FACE ADDICT
Edo Bertoglio e la riscoperta della
“Downtown Scene” di New York
‘70/’80: per raccontare Basquiat,
Keith Haring e Jim Jarmusch.
DISTR. SHAKE EDIZIONI
Marzo 2008 RdC 75
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
PRIME
VISIONI
Doppia Elizabeth, fatine e
LUCE SU
BELLOCCHIO
cioccolato, Yuma e Akin
Il regista piacentino in cofanetto:
film, documentari ed extra
ELIZABETH – THE
GOLDEN AGE
Cofanetto per la saga di
Elizabeth targata
Shekhar Kapur. I due
film sono: quello che
fece conoscere il
regista 10 anni fa e The
Golden Age (in HD). Gli
extra non si contano.
Riedizione voluta dall’Istituto
Luce, e ricca di extra, per
quattro dei film (più due
documentari, uno diretto da Stefano
Incerti) di uno fra i più impegnati
registi italiani tutt’ora in produzione.
Attento osservatore delle dinamiche
socio-politiche nostrane, critico,
ostinatamente anticonformista e a
tratti sarcastico; lo sguardo di
Bellocchio è quello asciutto e
puntuale di chi ha manifestato con
costanza l’urgenza di un confronto
serrato con la realtà che lo circonda.
Da Nel nome del padre (girato nei
primi anni ’70) al più recente
documentario Addio del passato,
passando per progetti scomodi come
quello de La condanna. Il regista
mette in scena con alto carico
simbolico, mai convenzionale. Gli
interventi degli extra, le interviste
e gli approfondimenti con lo
stesso regista, lo psicanalista
Fagioli, attori e critici
completano un quadro
articolato della produzione di
un artista coerente.
DISTR. UNIVERSAL
WINX – IL SEGRETO DEL
REGNO PERDUTO
2 dischi: backstage come lo
vorrebbero le fan,
videoclip con karaoke
e gioco a quiz per la
fata della fiamma del
drago e le compagne
del Winx Club. Il tutto
a colpi di glitter.
DISTR. 01 DISTRBUTION
QUEL TRENO PER YUMA
L’originale è di
cinquant’anni fa e gli
stilemi sono rimasti
gli stessi: con
l’ambiente che vale
quanto i personaggi,
l’epica e la morale.
Un film d’altri
tempi.
DISTR. ISTITUTO LUCE
DISTR. MEDUSA
LEZIONI DI CIOCCOLATO
Parabola di redenzione per
un “lavoro, guadagno, pago,
pretendo” del settore
edile, ricattato da un
operaio
extracomunitario
vittima di un incidente
sul lavoro. Social
leggero.
Talento in gioco
LA
SAI L’ULTIMA?
Sequenze da indovinare: con Scenelt un
cinequiz da Xbox
I punti di contatto tra cinema e
videogames sono sempre più preponderanti
e SceneIt ne è chiara dimostrazione.
Disponibile su Xbox 360, il titolo propone al
giocatore oltre 1800 domande, grazie alle
quali fino a quattro persone possono
confrontarsi in 21 tipi differenti di quiz,
alcuni dei quali molto originali come quello
di indovinare il nome del film dai titoli di
coda. Non manca la possibilità di scaricare,
direttamente dall’interno del gioco, nuove
domande per espandere l’esperienza di
gioco. In un periodo nel quale lo sciopero
degli sceneggiatori USA ha messo a serio
rischio alcune produzioni (chi ha detto
DISTR. UNIVERSAL
AI CONFINI DEL
PARADISO
Lost?), con SceneIt possiamo dimostrare
che la nostra cultura cinematografica,
presente e passata, è più che valida.
Per saperne di più visitate
http://www.multiplayer.it
ANTONIO FUCITO
Gioco d’incastri, onesto
ancorché
ingarbugliato, per
l’autore de La sposa
turca. Al suo quarto
film Fatih Akin
prosegue nel
percorso di analisi
dei rapporti fra la Turchia e
Germania.
DISTR. 01 DISTRBUTION
76 RdC Marzo 2008
WARNER BROS. PICTURES e CATTLEYA
presentano
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BCalcEtto
l’Abc della vita
moderna
CLAUDIO BISIO FILIPPO NIGRO CLAUDIA PANDOLFI ANDREA DE ROSA
CHIARA MASTALLI e con ANGELA FINOCCHIARO
un film di LUCA LUCINI
dal 28 marzo al cinema
www.amorebugieecalcetto.it
WARNER BROS. PICTURES e CATTLEYA presentano una produzione CATTLEYA un film di LUCA LUCINI "AMORE, BUGIE E CALCETTO" con CLAUDIO BISIO FILIPPO NIGRO CLAUDIA PANDOLFI ANDREA DE ROSA CHIARA MASTALLI MAX MAZZOTTA ANDREA BOSCA MARINA ROCCO PIETRO SERMONTI
e con GIUSEPPE BATTISTON e con ANGELA FINOCCHIARO soggetto di FABIO BONIFACCI e LUCA LUCINI sceneggiatura di FABIO BONIFACCI casting FRANCESCO VEDOVATI aiuto regia ALESSIO MARIA FEDERICI costumi SABINA MAGLIA scenografia MARCO BELLUZZI suono TIZIANO CROTTI montaggio FABRIZIO ROSSETTI
musiche GIULIANO TAVIANI fotografia MANFREDO ARCHINTO produttore esecutivo LUIGI PATRIZI produttore esecutivo Cattleya MATTEO DE LAURENTIIS produttore delegato FRANCESCA LONGARDI prodotto da RICCARDO TOZZI GIOVANNI STABILINI MARCO CHIMENZ regia di LUCA LUCINI
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI
Questione di tempi
Le abitudini del pubblico cambiano: per garantire maggior
afflusso in sala, doveroso rivedere gli orari degli spettacoli
Secondo Aurelio De
Laurentiis si
guadagnerebbero
immediatamente almeno 10
milioni di spettatori; in che
modo? Semplicemente
modificando gli orari degli
spettacoli cinematografici. Nelle
grandi città dove normalmente
sono in programma quattro
spettacoli giornalieri, le
proiezioni si svolgono di solito
attorno alle 16, alle 18, alle 20 e
alle 22,30. Si tratta di orari
stabiliti all’epoca dell’austerity,
codificati da contratti di
categoria, per cui gli straordinari
per i dipendenti delle sale
cinematografiche partono
successivamente alle ore 24. Ma
nel frattempo le abitudini del
pubblico si sono molto
modificate. Fino ad una ventina
d’anni, almeno nei giorni feriali,
78 RdC Marzo 2008
l’ultimo spettacolo garantiva
oltre la metà dell’incasso
giornaliero. La proiezione delle
22,30 era insomma di gran
lunga la più frequentata. Oggi
non è più così; come rilevato
anche da una recente indagine
promossa dal dipartimento di
Sociologia e Comunicazione
dell’Università “La Sapienza” di
Roma, quasi la metà del pubblico
dichiara di preferire il penultimo
spettacolo. In effetti, come tutti
gli esercenti hanno avuto modo
di verificare, oggi è lo spettacolo
delle 20 quello che fa registrare
il maggior numero di presenze.
Ma per molte categorie di
spettatori la proiezione delle 20
è difficilmente raggiungibile,
comincia insomma troppo
presto. D’altra parte la
proiezione successiva termina
troppo tardi per chi, la mattina
dopo, per motivi di lavoro e di
studio, è obbligato a svegliarsi
presto. Risultato molti potenziali
spettatori rinunciano a
frequentare la sala.
L’orario ideale indicato dalla
maggior parte del pubblico
sarebbe attorno alle 21/21,30,
non a caso coincidente con
l’inizio degli spettacoli dal vivo,
(prosa, danza, concerti), che,
svolgendo una sola
rappresentazione al giorno,
hanno ovviamente scelto l’orario
più comodo per i propri
appassionati. Non è difficile
capire le motivazioni delle
preferenza di uno spettacolo
attorno alle nove di sera. Questo
orario, infatti, consentirebbe a
molte categorie di poter tornare
a casa al termine della giornata
lavorativa, mangiare un boccone
e poi uscire. Inoltre chi usa i
mezzi pubblici per recarsi al
cinema avrebbe in questo modo
la possibilità di servirsene anche
al termine della proiezione,
mentre chi utilizza un proprio
mezzo di trasporto potrebbe
mettersi in viaggio per
raggiungere il cinema, quando il
traffico metropolitano si è ormai
diradato. Che si continuino ad
utilizzare orari che non
soddisfano più le richieste della
maggioranza dei consumatori è
semplicemente assurdo ed
antieconomico. In poche parole,
sono gli orari che devono
adeguarsi alle esigenze del
pubblico e non viceversa. Perché
il cinema, anziché fissare gli
orari degli spettacoli partendo a
AUMENTARE LE OPPORTUNITA’ PER
GLI SPETTATORI: AUSPICABILI
PROIEZIONI SERALI ALLE 21.00-21.30
ritroso dalla conclusione
dell’ultima proiezione attorno
alle 24, non cadenza i propri
tempi su uno spettacolo forte
da svolgersi a partire dalle
21/21,30? Finalmente anche i
diretti interessati hanno iniziato
a porsi questa domanda e il
dibattito che ha coinvolto
esercenti, distributori e
produttori, ha già prodotto
alcuni esperimenti che hanno
subito dato risultati positivi. A
Roma, la principale piazza
cinematografica italiana, fra
gennaio e febbraio,
approfittando dell’uscita di un
gruppetto di film di durata
superiore alla media, come
Lussuria, American gangster,
Cous Cous, Into the wild, tutti
film di lunghezza superiore alle
due ore e mezza, che non
consentono lo svolgimento dei
tradizionali quattro spettacoli
giornalieri, molte sale hanno
deciso di proporre uno
spettacolo, compreso fra le 21 e
le 22, che è stato assai gradito
dagli spettatori. Insomma
l’impressione è che non si possa
continuare a vendere il cinema
esattamente come trenta anni
fa e per ciò che riguarda gli
orari oggi sia necessario una
maggiore flessibilità e
diversificazione. Premesso che
le esigenze del pubblico sono
molto diverse fra Nord e Sud,
fra metropoli e provincia, fra
feriali e festivi, e che è
necessario tenere conto anche
dei cambiamenti climatici delle
stagioni, in estate la notte è
molto più viva e frequentata,
appurato che esistono film
diversi per pubblici diversi e
quindi non si possa immaginare
una formula valida per tutte le
circostanze, è comunque
auspicabile soddisfare
maggiormente le richieste,
abituando il pubblico a
consultare i tamburini prima di
recarsi al cinema. Ad esempio,
non corrisponde ad alcuna
logica il fatto che film che oggi
nelle metropoli arrivano ad
occupare contemporaneamente
decine di schermi vengano
programmati in tutte le sale,
spesso vicinissime fra loro, in
orari se non proprio identici,
molto simili. Non c’è dubbio che
più aumentano le opportunità,
più aumentano gli spettatori;
vogliamo provare a servirli
meglio?
CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI
Le ragioni degli altri
Davide
Rossi
Dare ascolto a tutti: parola del presidente Univideo
L’avvocato Davide Rossi festeggia
il 1 aprile i suoi dieci anni di lavoro
con Univideo, Associazione di categoria
che rappresenta gli editori audiovisivi
italiani. Da Segretario Generale a
Direttore e, da quattro anni, Presidente.
Impegno importante, per un lavoro fatto
di diplomazia, lobbismo, ma anche di
attenzione alle esigenze degli associati.
Lavorare per un’associazione di
categoria: cosa significa?
Le associazioni come Univideo seguono
a 360° un settore industriale come
quello legato al Dvd e, in passato, al VHS.
Da un lato si forniscono servizi agli
associati, dall’altro si tutela la loro
rappresentanza. Analisi di mercato e
assistenza legale su tematiche comuni:
una circolare di un ministero, ad
esempio, viene interpretata in maniera
unitaria per tutti i soci.
E la rappresentanza?
Il presidente di un’associazione è
incaricato di raccogliere la comune
volontà dei soci e di portare queste
istanze a tutti i livelli: agli enti pubblici,
nelle trattative con altre realtà e nei
ISTRUZIONI PER L’USO
confronti degli spettatori/consumatori.
Se viene messa in cantiere una nuova
legge sulla censura, noi cerchiamo di
contribuire portando la nostra
esperienza e le nostre aspettative nei
confronti della normativa.
Quali le difficoltà principali?
Prima di ogni cosa, è opportuno
ascoltare tutti e non soltanto le ragioni
degli associati più importanti. Bisogna
dare attenzione sempre alla ragioni di
tutti, tentando di conciliarle tra loro.
“Evitare i litigi: dialogo e diplomazia
pilastri del nostro lavoro”
Un consiglio a chi vuole tentare questa
strada?
Armarsi di grande pazienza ed evitare
discussioni e litigi. Cercare gli accordi è
sempre molto più difficile. Dialogo e
diplomazia sono i pilastri del nostro
lavoro. Negoziare è durissimo,
raramente si fanno contenti tutti, ma
resta di sicuro l’elemento più
affascinante di una trattativa.
Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine
SAPER DIRE DI NO
“Bisogna sapere dire di ‘no’
anche agli associati.
Altrimenti si corre il rischio di
rimanere sommersi da troppe
aspettative e molte critiche”.
ULTIMUS INTER MAIORES
Davide Rossi si definisce non
“primus inter pares”, bensì
“ultimus inter maiores”
(l’ultimo tra persone di
maggior riguardo).
SU INTERNET
www.univideo.org
www.aepoc.org
www.confindustria.it
http://it.wikipedia.org/wiki/
Lobbismo
Marzo 2008 RdC 79
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
Nell’impero di Lynch
Doppio sguardo per raggiungere le strade perdute del cineasta americano, con evoluzioni di genere
e maestri della macchina da presa DI GIORGIA PRIOLO
MONOGRAFIE SUL VELLUTO
Inesauribile Lynch. A un anno dall’uscita di INLAND
EMPIRE, arrivano in libreria due nuove monografie brevi sul
più discusso regista americano vivente. Prima lezione del
corso di cinema di Paolo Berretto: “Quanti hanno visto
almeno un film di David Lynch?”, poche mani alzate nella
strapiena aula della Sapienza. “Ma se non vedete Lynch,
mi domando cosa vedete”. Speriamo che gli studenti e
molti altri recuperino il tempo perso, magari guidati
dalla raccolta di saggi David Lynch, a cura di Paolo
Berretto (Marsilio, pagg. 174, € 12,00). Un saggio per
ogni film, seguendo la linea del Lynch più sperimentale
e antinarrativo: Eraserhead, Velluto blu, Fuoco
cammina con me, Strade perdute, Mulholland
Drive, INLAND EMPIRE. Per i molti che già amano
Lynch, il bel saggio di Luca Malavasi, David Lynch
– “Mulholland Drive” (Lindau, pagg. 240, € 18,50)
propone una lettura originale, interpretando la
complessa opera come la storia di una caduta e
una sconfitta, “un requiem laico per la realtà e le
illusioni del mondo contemporaneo”.
80 RdC Marzo 2008
TRA HORROR E FANTASCIENZA
I generi cinematografici, più che contenitori
rigidi, sono territori in costante evoluzione. Ne è
consapevole Daniela Catelli che, nel riproporre Ciak
si trema – guida al cinema horror (Costa&Nolan,
pagg. 225, € 16,40), non solo aggiorna la
filmografia fino a Grindhouse di Tarantino e
Rodriguez, ma ripensa il genere a partire dalla
prefazione alla nuova edizione. Neofiti o nati dopo il 1980 non
lasciatevi sfuggire questa guida per temi, scritta con humour
e entusiasmo da una vera appassionata. Per chi
ama la fantascienza, esce Nell’occhio, nel cielo –
Teoria e storia della fantascienza (Lindau, pagg.
450, € 26,00) di Brandirali e Terrone. Un saggio
completo, che analizza 800 titoli da Méliès alla
serie TV Taken. Forte di uno sguardo trasversale
tra cinema, TV e Second Life, l’approccio degli
autori è più filosofico che storico, con buone
analisi del linguaggio filmico. Un volume
imperdibile sul genere che più di tutti ha
influenzato l’immaginario contemporaneo.
HITCHCOCK O GODARD?
Dopo i volumi dedicati a Welles, Allen e
Kubrick, l’editore minimum fax continua a
svelarci i segreti dell’opera e della poetica
dei grandi registi attraverso le loro parole.
Escono, infatti, altre due interessanti
raccolte di scritti per lo più inediti. La
prima seleziona una ventina di interviste
ad Alfred Hitchcock, Io confesso –
Conversazioni sul cinema allo stato puro (pagg. 320, €
15,00). Anche se, avendo letto la leggendaria
intervista di Truffaut, pensate di sapere già tutto sul
maestro del brivido, troverete personali riflessioni
sul cinema e nuovi aneddoti sui suoi film. Dedicata
all’autore degli autori, Jean-Luc Godard, è invece la
raccolta Due o tre cose che so di me – Scritti e
conversazioni sul cinema, a cura di Orazio
Leogrande (pagg 320, € 14,50). Regista-saggista e
instancabile teorico, Godard rivela in queste
conversazioni, discorsi, improvvisazioni da
conferenza stampa aspetti inediti del suo pensiero.
SEGNI DI HERZOG
In occasione della mostra e retrospettiva sull’opera di
Werner Herzog, in corso al Museo Nazionale del Cinema di
Torino, Il Castoro pubblica un bellissimo volume monografico
sul grande regista tedesco: Segni di vita – Werner Herzog e il
cinema (pagg. 312, € 30,00). È più di un catalogo, riccamente
illustrato con le straordinarie foto della mostra e corredato di
una completissima filmografia. L’elemento prezioso del
volume è l’intervista fiume, a cura di Grazia Paganelli, con un
uomo che affascina non solo per la sua opera, ma anche per
la vita avventurosa ed estrema, che ha prodotto capolavori
come Fitzcarraldo e Aguirre Furore di Dio, e allo stesso
tempo per la lucidità visionaria, che ha saputo creare in sala
di montaggio, con materiali di recupero,
film imprescindibili come L’ignoto spazio
profondo e Grizzly Man. Ma la
conversazione va oltre l’aneddotico ed
entra nel cuore della visione di Herzog,
ricordandoci che il modo in cui viene
realizzato un film non è mai casuale ma è
una scelta etica prima ancora che estetica.
Filosofia sulle immagini
Pensieri e saggi di Jacques Rancière
LOACH E HAYNES
La collana Le Nuvole di Feltrinelli continua a portare in
libreria il cinema di qualità. È la volta di Io non sono qui di
Todd Haynes (€ 16,90) e In questo mondo libero… di Ken
Loach (€ 17,90) entrambi reduci dei premi veneziani. Due film
di ottimo livello, accompagnati da due libri che
forse da soli non potrebbero trovare spazio in
libreria, ma risultano comunque un corredo
interessante di approfondimento ai film. Il
cofanetto “Haynes”, infatti, oltre ad un
secondo dvd di extra ricco di interviste al cast
(ma manca la coppa Volpi Cate Blanchett!),
contiene il libro D’amore e misantropia, a cura
di Alessandro Carrera, una piccola antologia di
scritti su e di Bob Dylan con una bella
discografia aggiornata. Il cofanetto “Loach”
invece include un libro legato al tema del film,
Libertà precarie, antologia di testi a cura di
Benedetta Tobagi con firme di ottimo livello, da
Maurizio Maggiani ad Aldo Nove e una bella
intervista al regista di Paola Piacenza.
IL DESTINO DELLE
IMMAGINI
Jacques Rancière
ed. Luigi Pellegrini,
€ 15,00
DI SERGIO PERUGINI
Nel 2003 viene pubblicato in Francia Le destin
des images del filosofo Jacques Rancière,
professore emerito di Filosofia all’Université Paris
VIII e autore di numerosi saggi di filosofia politica,
di estetica e cinema (tra gli studi sul cinema va
ricordato La favola cinematografica, ma anche i
molti interventi pubblicati sui «Cahiers du cinéma»
e su «Trafic»). In Italia Le destin des images è stato
da poco tradotto (Il destino delle immagini) per
Luigi Pellegrini Editore nella collana Frontiere.
Oltre il cinema, diretta da Roberto De Gaetano,
autore tra l’altro del denso testo introduttivo Il
“regime estetico” delle immagini. Il libro è una
raccolta di saggi, rivisti e aggiornati, che il filosofo
francese ha proposto in alcune conferenze o
pubblicazioni tra il 1999 e il 2002. Rancière espone
una serie di suggestioni filosofiche sull’immagine,
sull’immagine cinematografica e sul cinema stesso,
estendendo tuttavia il suo orizzonte d’analisi anche
alla pittura, al design e alle forme attuali
dell’audiovisivo. Un susseguirsi di riflessioni
teoriche – con costanti riferimenti ad autori come
Godard (nella foto, molto citato, soprattutto per le
sue Histoire(s) du cinéma), Deleuze, Flaubert,
Mallarmé, solo per menzionarne alcuni – che
prolungano e rinnovano il dialogo, da tempo fitto e
articolato, tra il cinema e la filosofia.
Marzo 2008 RdC 81
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Ermanno Comuzio
Visti da vicino
PALLOTTOLE
SPUNTATE
Accozzaglia black per American Gangster
Al gangster americano
degli anni ‘70
corrisponde una colonna
sonora America anni ’70.
Facile. Circola così in
American Gangster di Ridley
Scott un sapore costante di
musica metropolitana “di
colore” molto seventies, con
richiami potenti a Isaac
Hayes e a un jazz-rock che
comprende blues, R & B,
soul, fino al rap. American
Gangster è pieno di musiche
di riporto, alcune scelte per
l’evidente richiamo all’epoca,
altre per i riferimenti ai
contenuti (Only The Strong
Survive per il mondo
spietato e violento, Back To
Bangkok Blues per i perversi
traffici di Frank Lucas nel
Vietnam). Con il ricorso a
Louis Armstrong e ai
Beatles. Musica
onnipresente, interni ed
esterni, azione o dialogo;
sempre l’horror vacui
domina sovrano.
Responsabile è il giovane
musicista Marc Streitenfeld,
non certo fra i colossi del
settore. Aveva firmato la
musica del precedente film
di Ridley Scott, Un’ottima
annata, ma pare abbia svolto
un ruolo subordinato, più di
Per tutti i gusti
IL PETROLIERE
Una costola dei Radiohead, il
chitarrista Jonny Greenwood, per Il
petroliere di P.T. Anderson. Musiche a
tutto pathos, che contrappuntano
questo “quarto potere” degli
idrocarburi. Con (troppa) enfasi.
82 RdC Marzo 2008
music supervisor che di
autore di musiche originali.
Streitenfeld esce dalla
factory di Hans Zimmer, vera
e propria fabbrica di musica
e di musicisti per il cinema e
la televisione: si realizza così
l’esigenza propria della
contemporaneità di produrre
suoni applicati ai media, non
più soltanto confinati nei
teatri e nelle sale da
concerto, ma talvolta si
esagera con
l’industrializzazione. Risulta
così che in American
Gangster si sia lontanissimi
da quello che dovrebbe
essere l’assunto di una vera
musica per il cinema:
produrre unità ontologica fra
suono e immagine. C’è un
solo momento in cui ciò che
si sente diventa protagonista
assieme a ciò che si vede:
Lucas esce di chiesa e trova
il poliziotto pronto ad
arrestarlo. La sequenza è
retta da un canto religioso,
contrappunto lancinante e
definitore della doppiezza di
questo gangster elegante,
impeccabile, affettuoso con i
suoi, e tanto efferato, finto
osservante dei
comandamenti e finto
gentiluomo.
di Federico Pontiggia
IL TRENO PER IL DARJEELING
E’ Satyajit Ray il locomotore del treno
sonoro di Wes Anderson. Il regista
newyorkese omaggia e saccheggia il
celebre collega indiano, con pregevoli
estroversioni: The Kinks e i Rolling
Stones di Play With Fire. World music?
LA RABBIA
Teardo – e una canzone originale di
Bacalov – per l’opera terza di Louis
Nero. Che punta in alto, a partire dallo
score, onirico e straniante. Premiato agli
ultimi RDC Awards, Teardo conferma il
suo valore. Con rabbia…
Fly UP