Jude Law e Norah Jones travolti dal Bacio romantico di Wong Kar-wai
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Jude Law e Norah Jones travolti dal Bacio romantico di Wong Kar-wai
R I V I STA D E L C I N E M ATO G R A FO WWW.CINEMATOGRAFO.IT MENSILE MARZO 2008 N. 3 € 3,50 SPECIALE MADE IN ASIA Vietnam, Cina e Cambogia all’insegna dell’Occidente CARLO VERDONE La mia satira sulla società contemporanea TENDENZE Ossessione d’autore Jude Law e Norah Jones travolti dal Bacio romantico di Wong Kar-wai Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano Con Jumper il supereroe è cambiato rC PUNTI DI VISTA CINEMA TELEVISIONE RADIO TEATRO INFORMAZIONE Nuova Serie - Anno 78 Numero 3 Marzo 2008 In copertina Jude Law e Norah Jones in Un bacio romantico Paul Haggis anfitrione da Oscar al festival piemontese: cinema da bere Per Paul Haggis Alba nel mirino Dario Edoardo Viganò CAPOREDATTORE d Rivista del Cinematografo DIRETTORE RESPONSABILE Marina Sanna REDAZIONE STATUETTE ALL’ALBA Orizzonti di statuette. Gli 80esimi Academy Awards consegnano un’Europa in gran spolvero, che porta Oltreoceano tutti i premi per le interpretazioni, con Il petroliere inglese Daniel Day-Lewis a tirare la cordata per la francese Marion Cotillard, lo spagnolo Javier Bardem e la connazionale Tilda Swinton. Orgoglio tricolore per il bis degli scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo chez Sweeney Todd e le note ammalianti di Dario Marianelli per Espiazione, a farla da padrone sono i “quadruplici” Coen di Non è un paese per vecchi, che mettono al tappeto (rosso) il grande rivale della vigilia, Paul Thomas Anderson: al suo Petroliere solo la fotografia e il protagonista. Vittoria “strana” quella dei fratelli Coen, perché sintomatica dell’indifferenza dell’Academy 2008 per i verdetti festivalieri: in anteprima a Cannes, erano tornati a casa a mani vuote, come pure Berlino 2007 aveva snobbato il miglior film straniero Il falsario (prima volta dell’Austria) e mancato il debito riconoscimento alla prova di Day-Lewis nell’ultima edizione. Un po’ di schizofrenia, forse: si accolgono a braccia aperte le prove d’attori del Vecchio Continente, ma si snobbano in toto i grandi festival europei. Questa è l’America, e magari c’è di mezzo il beniamino Obama, con la sua ondivaga esterofilia… Sempre in ambito festivaliero, da segnalare la politicizzazione, ovvero la preferenza accordata a contenuti scottanti a scapito della forma cinematografica, della Berlinale, che sotto la guida del presidente di giuria Costa-Gavras chiude un occhio - se non due sui meriti artistici, assegnando l’Orso d’Oro al brasiliano Tropa de elite. Che dire? Se Berlino piange, rideranno di più Venezia e Roma, entrambe chiamate a consolidare e potenziare il proprio appeal internazionale. In attesa delle grandi kermesse nostrane, a parlare Oscar è anche Alba International Film Festival, che sceglie per la settima edizione un anfitrione da statuetta: Paul Haggis, premiato per Crash - Contatto fisico e lo script di Million Dollar Baby. A lui il compito di portare un pezzo di Hollywood tra le colline albesi: nel segno di un cinema sempre più universale. Anzi, glocal. Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco CONTATTI [email protected] [email protected] [email protected] ART DIRECTOR Alessandro Palmieri HANNO COLLABORATO Andrea Agostini, Gabriele Barcaro, Luciano Barisone, Paolo Bertolin, Pietro Coccia, Ermanno Comuzio, Silvio Danese, Bruno Fornara, Antonio Fucito, Marcello Giannotti, Diego Giuliani, Pier Paolo Mocci, Massimo Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Roberto Nepoti, Anna Maria Pasetti, Luca Pallanch, Sergio Perugini, Giorgia Priolo, Angela Prudenzi, Alessandro Scotti, Mario Sesti, Boris Sollazzo, Marco Spagnoli, Davide Turrini REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007 STAMPA Società Tipografica Romana S.r.l. Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) Finita di stampare il 26 febbraio 2008 MARKETING E ADVERTISING Eureka! S.r.l. Via L. Soderini, 47 - 20146 Milano Tel./Fax: 02-45497366 - Cell. 335-5428.710 e-mail: [email protected] DISTRIBUTORE ESCLUSIVO Pieroni Distribuzioni S.r.l. - Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano ABBONAMENTI ABBONAMENTO PER L’ITALIA (10 numeri) 30,00 euro ABBONAMENTO PER L’ESTERO (10 numeri) euro 110,00 SERVIZIO CORTESIA Direct Channel S.r.l. – Milano Tel. 02-252007.200 Fax 02-252007.333 [email protected] PROPRIETA’ ED EDITORE PRESIDENTE Dario Edoardo Viganò DIRETTORE Antonio Urrata COMUNICAZIONE E SVILUPPO Franco Conta COORDINAMENTO SEGRETERIA Livia Fiorentino DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma Tel. 06-663.74.55 - Fax 06-663.73.21 [email protected] Associato all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema – Ministero per i Beni e le Attività Culturali SFOGLIA LA STORIA DEL CINEMA IN DVD 30 FILM IN UN ESCLUSIVO DVD BOOK IN EDIZIONE LIMITATA United Artists celebra il novantesimo anniversario con un cofanetto imperdibile che include i migliori film da collezione, quelli che hanno scritto la storia del cinema americano: “ A qualcuno piace caldo” ,“I magnifici sette” , “ West Side Story” ,“ La grande fuga” , “ Rocky” , “New York, New York” , “ Hair” , “Manhattan” , “ Toro scatenato” , “ Goldeneye” , “ La maschera di ferro” e molti altri ancora. DISPONIBILE DA MARZO NEI MIGLIORI NEGOZI DI HOME VIDEO. UNITED ARTISTS. NON ABBIAMO INVENTATO IL CINEMA, LO ABBIAMO RESO PIÙ GRANDE. 5. 5. 995XFOUJFUI$FOUVSZ'PY'JMN$PSQPSBUJPO"MM3JHIUT3FTFSWFE99995XFOUJFUI$FOUVSZ'PY)PNF&OUFSUBJONFOU--$"MM3JHIUT3FTFSWFE58&/5*&5)$&/563:'09'09BOEBTTPDJBUFEMPHPTBSFUSBEFNBSLTPG5XFOUJFUI$FOUVSZ'PY'JMN $PSQPSBUJPOBOEJUTSFMBUFEFOUJUJFT9999.(.)PNF&OUFSUBJONFOU*OD"MM3JHIUT3FTFSWFE%JTUSJCVUFECZ.(.)PNF&OUFSUBJONFOU"WBJMBCMFFYDMVTJWFMZUISPVHI5XFOUJFUI$FOUVSZ'PY)PNF&OUFSUBJONFOU*OD 5. sommario Numero 3 > Marzo 2008 In copertina 20 America ai mirtilli Jude Law e Norah Jones per il primo film in lingua inglese di Wong Kar-wai: Un bacio romantico girato 150 volte (Marina Sanna, Leonardo Jattarelli) Servizi 14 Oscar all'Europa Coen e attori stranieri per gli 80 anni delle statuette (Federico Pontiggia, Mario Sesti) 26 Verdone in maschera Il ritorno al grottesco e ai personaggi che l’hanno reso celebre in Grande, Grosso e… (Pier Paolo Mocci) 30 Addio calzamaglia Con Jumper di Doug Liman (e non solo) il supereroe cambia look e personalità (Gianluca Arnone) 53 Patierno azzarda L’altra faccia del dj Baldini ne Il mattino ha l’oro in bocca (Diego Giuliani, Federico Pontiggia) FOTO: PIETRO COCCIA Speciale 35 Import export d'Oriente L’Asia punta ad Occidente e viceversa: Cannes aspetta Tran Anh Hung, il Louvre ospita Tsai Mingliang e Bruce Lee rivive nel ricordo di Malisa Longo (Gabriele Barcaro, Paolo Bertolin, Luca Pallanch, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Valerio Sammarco, Boris Sollazzo, Davide Turrini. A cura di Marina Sanna) Daniel Day-Lewis cerca l’oro nero e trova l’Oscar 14 Dicembre 2007 RdC 7 sommario Numero 3 > Marzo 2008 Per Norah Jones una torta e un bacio indimenticabile I film 56 60 60 61 62 64 64 65 68 68 69 69 69 Non è un paese per vecchi La rabbia Rec Onora il padre e la madre Il petroliere Il cacciatore di aquiloni Nelle tue mani Nessuna qualità agli eroi Il futuro non è scritto – Joe Strummer Forse Dio è malato Prospettive di un delitto Le cronache di Spiderwick Tutta la mia vita in prigione (Silvio Danese, Roberto Nepoti, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco, Boris Sollazzo, Marco Spagnoli) Le rubriche 10 Tutto di tutto News, festival e protagonisti (Andrea Agostini, 8 RdC Dicembre 2007 20 Marcello Giannotti, Massimo Monteleone, Morando Morandini) 72 Dvd & Satellite Fate, regine e un Bellocchio da collezione (Federico Pontiggia, Alessandro Scotti) 78 Inside Cinema Nuovi orari per le sale: ascoltando s’impara (Franco Montini, Marco Spagnoli) 80 Libri Lynch, Godard e le teorie di Rancière (Giorgia Priolo, Sergio Perugini) 82 Colonne sonore Rabbia, Petroliere e gangster all'americana (Ermanno Comuzio, Federico Pontiggia) Settembre 2006 RdC 8 TuttoDiTutto CHI FA COSA DI ANDREA AGOSTINI Amour fou per Kirsten Non solo bambole per Ryan Gosling. Il giovane attore farà perdere la testa a Kirsten Dunst nel romantico All Good Things. Nel film, che “Variety” descrive come una storia d’amore venata di mistero, Gosling interpreterà il giovane erede di una ricchissima dinastia che si innamora di una povera ragazza (la Dunst). La loro storia d’amore è però destinata a finire tragicamente quando lei scompare in circostanze misteriose. Al povero innamorato non rimane che mettersi sulle sue tracce e scoprire la verità. 10 RdC Marzo 2008 Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: news e tendenze A cura di Valerio Sammarco Jessica on the road Nessuno fermi Jessica Biel. Nonostante Megan Gale le abbia soffiato il ruolo di Wonder Woman, la giovane attrice non si è data per vinta: tra breve interpreterà la commedia romantica Easy Virtue nei panni di una ragazza americana divorziata che durante un viaggio in Francia sposa, sull’onda dell’entusiasmo, un giovane inglese conosciuto da poco. E insieme a lui partirà verso l’Inghilterra per conoscere i suoceri (interpretati da Colin Firth e Kristin Scott Thomas). Alla regia Stephan Elliott (Priscilla – La regina del deserto). Neeson tra le belle Liam Neeson tra due donne. L’attore sarà affiancato da Laura Linney (candidata all’Oscar 2008 per l’interpretazione ne La famiglia Savage) e Romola Garai in The Other Man, diretto da Richard Eyre. La storia è quella di un marito che inizia a sospettare di non essere l’unico uomo nella vita della moglie. Tormentato da questo sospetto, inizia la ricerca dei presunti amanti della donna. Le riprese verranno effettuate in Inghilterra e in Italia. Zac all’esame Orson Welles Zac Efron alla corte di Orson Welles. Il giovane interprete di Hairspray ha scelto il modo migliore per abbandonare i panni del ragazzino perbene di High School Musical: affidarsi alle cure di un maestro del cinema. Nel film Me and Orson Welles Efron sarà uno studente che viene ingaggiato dal grande regista per una piccola parte nella versione teatrale del “Giulio Cesare”. Alla regia del film il poliedrico Richard Linklater. TuttoDiTutto Morandini in pillole Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC di Morando Morandini 1 Febbraio Il memorabile, taciturno protagonista di Cous Cous di Kechiche si chiama Slimane. Dopo averlo visto per la seconda volta, sono uscito dalla sala tormentato da un ricordo: in quale altro film francese avevo sentito quel nome arabo? L’ho trovato, finalmente: Il bandito della Casbah (Pepe le Moko, 1936), uno dei titoli più amati nella mia adolescenza comasca. C’è un personaggio importante, almeno per lo sviluppo della vicenda, l’ispettore algerino Sliman di Lucas Gridoux. Venti o trent’anni dopo rividi quel film in cineteca e lo ridimensionai, così come presi le giuste misure su Duvivier, ma allora ero un ignorante di quattordici anni. Oggi ricordo ancora, fra i tanti momenti magici, il dialogo in cui nella casbah Jean Gabin e Mirelle Balin cullano la loro nostalgia di Parigi, evocando il metrò e le sue stazioni – lui venendo dalla periferia, lei sugli Champs-Élysées finché s’incontrano al Place Blanche. (Ora so che i dialoghi erano di Henri Jeanson). Detesto l’inflazione della parola “mito”, ma per me – che non avevo mai visto Parigi né un metrò – Pepe le Moko rimane un titolo mitico. Fu uno di quei film che allora, quand’ancora portavo i calzoni corti, mi spinsero a fare questo mestiere. “Sulla tomba di Mizoguchi, il suo produttore fece scrivere: il più grande regista del mondo” “I pescatori di ostriche sono quei critici che ogni tanto scoprono capolavori sfuggiti ai colleghi” 2 Febbraio Si narra che, dopo la morte di Mizoguchi Kenji (24 agosto 1956), il suo produttore preferito fece scrivere sulla sua tomba: “Il più grande regista del mondo”. Nella discussa e discutibile graduatoria per stellette di critica che ogni tanto si pubblica sul “Dizionario dei film” Zanichelli, Mizoguchi figura al 1° posto. In gennaio ho seguito una retrospettiva di otto suoi film, dal 1934 al 1956, allo Spazio Oberdan della Cineteca di Milano. La strada della vergogna, in cartellone a Venezia 1956, fu distribuito in Italia soltanto all’inizio del 1960. Per la seconda volta lo recensii il 29 gennaio sul quotidiano “La Notte”. Dopo averlo rivisto, sono andato a rileggermi. (E ho riscritto la schede sul dizionario). Vi avevo citato due momenti. Dopo una violenta scena madre tra Kyo Machiko, una delle cinque prostitute, e suo padre, Mizoguchi ne corregge l’enfasi con una battuta della ragazza: “Che melodramma disgustoso! Adesso faccio un bagno e vado a vedermi un film con Marilyn Monroe”. Nel finale si vede, in un piano ravvicinato (Mizoguchi detestava i primi piani), una ragazzetta ignara che, abbigliata e truccata come per un rito, è avviata al mestiere. Chiusi la mia recensione così: “... è uno dei momenti più alti del cinema contemporaneo”. Continua a esserlo nel 2008. 6 Febbraio Nello sfogliare “D-Repubblica delle donne” (non lo leggo quasi mai, lo scartabello) scopro che c’è in giro un divo del cinema di cui ignoravo l’esistenza: Hayden Christensen, canadese, classe 1981, proprio un bel ragazzo. Gli dedicano sette fotografie a piena pagina e una intervista di Silvia Bizio a pag. 118. Era stato, ventenne, Anakin Skywalker in Star Wars 2 e il cupo Darth Vader in Star Wars 3. L’avevo dimenticato, scusatemi. Affari tuoi, si dirà. Tra i suoi altri film si citano Life as a House, Shattered Glass e Factory Girl. Si dà il caso che siano stati distribuiti in Italia, il primo come L’ultimo sogno (2001) e il secondo come L’inventore di favole (2003), Factory Girl è del 2007. Tutti e tre stanno tra il medio e il mediocre per la critica, e non è che, almeno in Europa, abbiano attirato pubblico. Perchè non citarne i titoli italiani? Perchè ormai, soprattutto nel giornalismo italiano, è diventato difficile distinguere l’informazione della promozione, dalla pubblicità indiretta? 10 Febbraio Li chiamavano pescatori di ostriche, ma la definizione non attecchì. Erano e sono quei critici che – per snobismo o vanità professionale – a ogni festival fanno la scoperta di qualche capolavoro sfuggito ai colleghi. Preferibilmente è un film di basso costo, meglio se del Terzo Mondo, africano o asiatico. Se occidentale, dev’essere di produzione indipendente; se italiano, recuperato in retrospettiva, un film comico degli anni ’60 o ’70. Berlino in chiaroscuro Edizione 2008 tra luci e ombre: ai nomi altisonanti non risponde un programma organico Il Festival di Berlino 2008 assomiglia a una lussuosa confezione regalo, in cui l’involucro vale più del contenuto. Presentatosi in grande pompa con il film concerto dei Rolling Stones, Shine a Light di Martin Scorsese, e con la folgorante parabola di un petroliere, raccontata da Paul Thomas Anderson in There Will Be Blood, col passare dei giorni ha rivelato lo scarso interesse di un programma denso di titoli ma privo di sorprese. La collocazione in Potsdammer Platz, unità di luogo e di azione, rende la manifestazione un’efficiente macchina di spettacolo, sia per la comodità, la qualità tecnica dei luoghi di proiezione, sia per la location del Mercato, sia per l’efficace opera dell’ufficio stampa o del personale delle varie sezioni. Ma questo confort finisce per ingigantire la mancanza di linea del programma, teso a contenere di tutto e di più e interessato più ai soggetti (politici, clamorosi, scandalistici) che ai loro modi di rappresentazione. Fatichiamo così a individuare titoli che si presentino come un complesso organico di pensiero e che permettano l’articolarsi di un discorso di cinema. È più facile invece enunciare alcuni film che, per singolarità narrativa o eccellente livello di messa in scena, meritano di essere segnalati. In tal senso sono più i veterani che gli esordienti a mettersi in luce: ricordiamo Yoji Yamada, che con Kabei realizza un film alla Ozu sui sacrifici di una donna per mantenere unita la sua famiglia; Mike Leigh, che con Happy-Go-Lucky riscopre la sua vena di commedia raccontando le disavventure di un’insegnante, e Hong Sangsoo, che, seguendo l’esilio forzato di un artista a Parigi, realizza con Night and Day un film sulla ricoperta dei sentimenti. Fra i più giovani hanno impressionato Lance Hammer e Fernando Eimbecke, autori di Ballast, ritratto semidocumentaristico di una comunità afroamericana, e Lake Tahoe, racconto stralunato di un momento di lutto familiare. LUCIANO BARISONE 12 RdC Marzo 2008 adattamamento grafico: Rita Giacalone - Cantoberon Multimedia, Roma Domenico Procacci presenta tutto ciò che dici può essere (e verrà) usato contro di te SUNDANCE FILM FESTIVAL 2007 BERLIN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2007 LOS ANGELES FILM FESTIVAL 2007 LONDON FILM FESTIVAL 2007 COLUMN e IRONWORKS presentano in collaborazione con KISS THE CACTUS un film di STEVE BUSCEMI SIENNA MILLER STEVE BUSCEMI “INTERVIEW” Direttore della Fotografia THOMAS KITS Montaggio KATE WILLIAMS Scenografie LOREN WEEKS Costumi VICKI FARREL Musica originale EVAN LURIE Line Producer MARK KAMINE Produttore SCOTT HORNBACHER Executive Producer NICK STILIADIS Prodotto da BRUCE WEISS e GIJS VAN DE WESTELAKEN Tratto dal film di THEO VAN GOGH e dalla sceneggiatura originale di THEODOR HOLMAN Scritto da DAVID SCHECHTER e STEVE BUSCEMI Regia STEVE BUSCEMI www.fandango.it TuttoDiTutto SPECIALE OSCAR DI FEDERICO PONTIGGIA Vince la nuova L’America si scopre diversa: i fratelli Coen trionfano con quattro statuette, Day-Lewis esordio d’oro. Per l’Academy è New Deal, con il motto di Obama: Yes We Can! DAY LEWIS, ORO VERO Fedele suddito di Sua Maestà britannica: Daniel Day-Lewis si inchina a Helen Mirren. Duplice passaggio di consegne: statuetta e classe. “Siamo tutti sulle sue spalle”, confessa l’oscarizzato direttore della fotografia Robert Elswit: per il gigantesco petroliere è oro vero! I premiati EUROPA ALLA PROVA Petrolieri (Daniel Day-Lewis), killer (Javier Bardem), donne in carriera (Tilda Swinton) e ugole da Usignolo (Marion Cotillard) per un en plein inedito. E una previsione: Stati Uniti d’Europa? 14 RdC Marzo 2008 Hollywood SUPPLENTE PROMOSSO Il cortista Andrea Jublin passa l’esame. Grazie a Fellini… guida gli attori di Oltreoceano, la sceneggiatrice Diablo Cody firma un UN’ALTRA GIOVINEZZA ITALIANS DO IT BETTER DIABLO DI UNA CODY In comune tre delle quattro statuette (film, regia e script): i Coen come Scorsese, un anno dopo. Non è un paese per vecchi e The Departed: Hollywood si stira le rughe – e fa gli scongiuri. Fratelli tricolori: gli scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo bissano la statuetta di The Aviator, la partitura di Dario Marianelli trova meritata Espiazione. Se si parla d’arte, non ce n’è per nessuno... Dallo strip allo script: ex spogliarellista, la debuttante Diablo Cody mette a nudo gli Academy Awards. Mise e tattoo coatt, e miglior sceneggiatura originale per Juno: Diablo di ragazza! Sarebbe potuto succedere a tutti: l’arrivo, ai tempi del liceo, di un supplente così spietato e repressivo da mettere in luce i conflitti e le frustrazioni della vita di una classe. In Il supplente di Andrea Jublin è lo stesso regista a impersonare il vendicatore che irrompe nel caos di una classe delle superiori: si appropria di una palletta con la firma di Del Piero, smaschera i secchioni, umilia i somari. Il finale del corto rivela che non si tratta di un vero supplente, ma di un avvocato deluso che ricorre a queste performance situazioniste per evadere da una vita adulta odiosa e vile. Scritto con brio quasi crudele, girato a Roma con pulizia grazie ai produttori per SKY Lorenzo Foschi e Davide Luchetti, il cortometraggio non ha vinto l’Oscar, ma la nomination gli è servita per mettersi in luce. Viene curiosità di vedere Jublin in un lungo: la citazione felliniana nascosta sulla lavagna (“ASANISIMASA”, formula di un celebre sogno infantile di 8 1/2) non nasconde notevoli ambizioni. MARIO SESTI Marzo 2008 RdC 15 TuttoDiTutto FESTIVAL DEL MESE DI MASSIMO MONTELEONE ALBA, MEETING E FRANCIA IN ROSA Paul Haggis in Piemonte, gli indipendenti a Bergamo e le donne a Créteil INTERNATIONAL 1 ALBA FILM FESTIVAL VII edizione del festival piemontese nel segno di Paul Haggis: il regista e sceneggiatore premio Oscar il giorno 7 marzo tiene una lezione di cinema per studenti e spettatori, presentando una selezione di film da lui scelti, tra cui L’amerikano di Costa-Gavras. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Alba (CN), Italia 7-12 marzo (011) 4361912 www.albafilmfestival.it [email protected] Bruno Fornara FESTIVAL 2 INTERNATIONAL DE FILMS DE FRIBOURG DU CINEMA 3 FESTIVAL NORDIQUE XXI edizione della manifestazione competitiva che presenta produzioni cinematografiche provenienti dalla Scandinavia e dai paesi baltici. In programma un omaggio a Ingmar Bergman. XXII edizione del festival internazionale, con sezioni competitive, specializzato nelle cinematografie d’Asia, America Latina e Africa. In programma lungometraggi di fiction, documentari e opere indipendenti. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Località Rouen, Francia Periodo 5-16 marzo tel. (0033-2) 32767322 Sito web www.festival-cinemanordique.asso.fr E-mail [email protected] Resp. Jean-Michel Mongrédien INFO UTILI Friburgo, Svizzera 1-8 marzo (0041-26) 3474200 www.fiff.ch [email protected] Edouard Waintrop FESTIVAL 4 INTERNATIONAL DE FILMS DE FEMMES XXX edizione del noto festival europeo dedicato alle donne registe. Le novità sono nella sezione competitiva (film a soggetto, documentari e “corti”). INFO UTILI Località Créteil, Francia Periodo 14-23 marzo tel. (0033-1) 49803898 Sito web www.filmsdefemmes.com E-mail [email protected] Resp. Jackie Buet 6 N.I.C.E. 2008 XI edizione per la manifestazione organizzata dal “New Italian Cinema Events” di Firenze. In programma 7 lungometraggi (tra cui Italian Dream di Sandro Baldoni), selezionati fra le migliori opere di autori emergenti, eventi ed incontri con i registi. Prevista una retrospettiva su Antonioni. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Amsterdam, Olanda 29 febbraio - 12 marzo (055) 290393 (rif. a Firenze) www.nicefestival.org [email protected] Viviana del Bianco KOREA 5 SAMSUNG FILM FEST VI edizione del festival internazionale di cinema e cultura della Corea del Sud, che offre circa 40 film fra anteprime e classici. Previsti anche cortometraggi, due retrospettive e dibattiti sul folklore coreano. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Firenze, Italia 7-15 marzo (055) 5535858 www.koreafilmfest.com [email protected] Riccardo Gelli AMPERE INTERNATIONAL INTERNATIONAL FILM 7 TSHORT 8 ANKARA 9 BERGAMO FILM FESTIVAL FILM FESTIVAL MEETING XXXVIII edizione della maggiore e longeva rassegna nordeuropea dedicata ai cortometraggi. Il concorso riguarda opere di fiction, d’animazione e documentaristiche, anche realizzate da studenti. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Tampere, Finlandia 5-9 marzo (00358-3) 2235681 www.tamperefilmfestival.fi [email protected] Jukka-Pekka Laakso XIX edizione per la manifestazione competitiva a cui partecipano produzioni turche (lungometraggi, “corti”, documentari e film d’animazione). Proiezioni di opere internazionali non in concorso. INFO UTILI Località Ankara, Turchia Periodo 13-23 marzo tel. (0090-312) 4687745 Sito web www.filmfestankara.org.tr E-mail [email protected] Resp. Oguz Onaran XXVI edizione dell’autorevole vetrina del cinema indipendente internazionale, con anteprime. I film della mostra-concorso partecipano per l’assegnazione delle Rose Camune. In programma una retrospettiva su René Clair e una personale sullo spagnolo Julio Medem (ospite). FIFA – FESTIVAL 1FILM 0SUR INTERNATIONAL DU L’ART XXVI appuntamento con la manifestazione interdisciplinare dedicata a film e video riguardanti qualsiasi forma d’arte. Prevede un concorso. Località Periodo tel. Sito web E-mail Resp. INFO UTILI Montréal (Quebec), Canada 6-16 marzo (001-514) 8741637 www.artfifa.com [email protected] René Rozon 16 RdC Marzo 2008 INFO UTILI Località Bergamo, Italia Periodo 8-16 marzo tel. (035) 363087 Sito web www.bergamofilmmeeting.it E-mail [email protected] Resp. Angelo Signorelli I PROTAGONISTI TuttoDiTutto [ Il grande schermo a tu per tu. Ovvero finta intervista a personaggi realmente esistiti. Al cinema DI MARCELLO GIANNOTTI ] Il personaggio Dr. Jekyll (o Mr. Hyde?) Il film Il dottorJekill e Mr. Hyde Il regista Victor Fleming L’attore Spencer Tracy ESSERE O MALESSERE? Mr. Hyde operaio per combattere il padrone: Dr. Jekyll Il dottore Henry Jekyll (Spencer Tracy) mette a punto una formula che lo trasfoma nel mostruoso e malvagio Hyde. La contesa tra il bene e il male esplode nei confronti delle due donne verso cui è attratto, la fidanzata Beatrix (Lana Turner) e la prostituta Ivy (Ingrid Bergman). Remake del film del 1932 diretto da Rouben Mamoulian e tratto dal racconto di Robert Stevenson, la pellicola, diretta da Victor Fleming, ebbe tre nomination agli Oscar. Mister Hyde è in una fabbrica metallurgica. Operaio di terzo livello. Lavora a una macchina incomprensibile. Appena lo guardo mi si accappona la pelle. E’ orribile, le sopracciglia folte, l’occhio malvagio. E poi, ogni tanto, quella risata improvvisa che non riesco più a togliermi di dosso. CURIOSITA’ PERSONALITA’ VARIABILI Spencer Tracy sdoppiato per Lana Turner e Ingrid Bergman Il dottore inglese Henry Jekyll (Spencer Tracy) conduce esperimenti sulle variazioni della personalità. Sarà proprio il risultato di una sua formula a trasformarlo nel malefico mr. Hyde. Ma lo sdoppiamento della personalità coinvolge curiosamente anche le due attrici 18 RdC Marzo 2008 coprotagoniste nel film di Victor Fleming: ad Ingrid Bergman era stata assegnata la parte di Lana Turner, cioè quella della futura moglie (Beatrix) di Tracy, ma la Bergman volle a tutti i costi quella di Ivy, la prostituta che fa innamorare il protagonista. Mr. Hyde? Lei, un operaio? Sorpreso? Non ti aspettavi forse di vedermi qui? Dovresti saperlo, sciocco, che il male per me è una cosa bella. Questo è il posto che fa per me, mi ci trovo a meraviglia. Hyde, non dica sciocchezze, un operaio non è il male… Mi piace come porgi le domande con quella bella vocina. Te lo spiegherò con calma. Gli operai non sono il male. Il male sono le cose che ci costringono a vivere in queste condizioni. Come può la personificazione del male essere una vittima? Molto graziosa questa domanda. Ho cercato sempre il peggio della vita. Qui dentro l’ho trovato a causa di quelli che ci stanno sopra. Sa quanto prende oggi Mr. Hyde? A fatica arrivo a 1.300 euro al mese. Ma lei è ancora cattivo? Certo! Cattivissimo! Venga a trovarmi di notte, quando esco di qui, dopo 10 ore di lavoro. Venga a trovarmi, che le faccio vedere quanto sono cattivo. Questo posto è anche molto pericoloso… Intendevo dire: per voi, naturalmente. Vuoi un racconto dei tanti amici che ho visto morire da quando sono qua dentro? Oh, potrei farti soffrire davvero. Non è che ti stai sentendo male? Hai forse bisogno di un dottore? Il dottor Jekyll? Jekyll… È un ipocrita, un lurido vigliacco. E’ lui che mi costringe a stare qua dentro. Se vai su, nelle stanze dei bottoni, lo troverai, il dottor Jekyll. Vedrai che, pur di avere un po’ di spazio sui giornali, sarà persino disposto a smettere per un attimo di contare i suoi soldi. COVER STORY IN THE MOOD FOR 20 RdC Marzo 2008 WONG Il regista di Hong Kong torna a raccontare una storia d’amore. Con happy end e Un bacio romantico tra Jude Law e Norah Jones di Marina Sanna Marzo 2008 RdC 21 COVER STORY R Romantico. Struggente fino allo spasimo. Grondante di malinconia esistenziale. Ancora una volta, Wong Kar-wai intesse abilmente le sorti dei suoi personaggi e si conferma grande cantore di sentimenti universali. In uno dei suoi film più belli, Hong Kong Express, Tony Leung fissa uno straccio bagnato. E gli chiede: “Hai pianto anche tu tutte le lacrime che avevi?”. Le opere di Wong fanno parte di un unico La sequenza dura meno di un minuto ma è stata girata a velocità diverse 22 RdC Marzo 2008 disegno teso ad afferrare il tempo, alla consacrazione dell’attimo fuggente, qui dilatato nel lunghissimo bacio che dà il titolo al film in italiano. La sequenza dura meno di un minuto ma è stata girata a diverse velocità e con inquadrature differenti (grandangolo, soggettiva di lei, di lui, attraverso i vetri della finestra): in tre giorni Jude Law (strepitoso) e Norah Jones (la cantante) si sono baciati oltre 150 volte. Per suggellare e trasfigurare nella memoria un breve istante che sarà il leitmotiv della storia. Uomo colto e affascinante, il regista di Hong Kong ha mutuato dal padre marinaio la passione per la letteratura europea, sceneggiatore occulto per molti anni, conosce la fatica della scrittura e lavora improvvisando. Il copione è una bozza in continuo sviluppo (quando portò 2046 a Cannes era una versione magmatica e onirica molto più suggestiva di quella finale), ed è anche un perfezionista ossessivo. I dettagli, ripetuti all’infinito, sono la cifra stilistica del suo cinema, dalle scarpe ai vestiti e alle acconciature, è tutto un vero splendore. Per ottenere l’alchimia perfetta monta, smonta, ci ripensa, taglia. Un bacio romantico, il primo in lingua inglese (a proposito di “globalizzazione cinematografica” vedi inserto a pag. 35), l’ha girato in sette settimane, un record rispetto ai precedenti In the Mood for Love, a oggi il suo capolavoro, e 2046. Anche qui ci sono relazioni finite o che stanno finendo, desideri nascenti, emozioni negate. Diversamente dagli ultimi lavori però si concentra sull’elaborazione del lutto amoroso, sulla separazione, e c’è un barlume di speranza alla fine del film contrapposto all’ineluttabilità del fato, filo rosso della sua filmografia. Un bacio e una torta incominciano e concludono il viaggio di Elizabeth, arrivata a New York per raggiungere il fidanzato che non la vuole più. In un luogo di incontri e depositario VISIONI PRIVATE di chiavi dimenticate, conosce Jeremy, orfano delle ambizioni di un tempo e gestore del bar in cui Elizabeth torna ogni sera. Insieme mangiano i dolci rimasti, in particolare quello ai mirtilli (da qui il titolo originale My Blueberry Nights) non va per la maggiore ed Elizabeth ne fa il piatto favorito. Sul viso abbandonato alla stanchezza, rimangono tracce minuscole di panna che, con delicatezza, Jeremy bacia via. Arriva il momento di andarsene (i sentimenti come gli oggetti hanno sempre una scadenza), New York, Memphis, Las Vegas, Nevada e ritorno, 300 giorni per perdersi e ritrovarsi. Un percorso on the road alla scoperta di se stessi e dell’America (è anche il viaggio di Wong). Altri incontri diventano vita quotidiana: un poliziotto dagli occhi malinconici (David Strathairn, protagonista dell’ottimo Goodnight and Goodluck) beve per dimenticare la moglie che l’ha lasciato (Rachel Weisz). Sera dopo sera si trascina al bancone del caffé in cui lavora Elizabeth, per sprofondare nella disperazione assoluta. Persone vanno e vengono, un pezzo di strada lo farà in compagnia di una giovane giocatrice d’azzardo (Natalie Portman). Col passare dei chilometri, tra una cartolina e l’altra, Elizabeth sente il richiamo del primo incontro. I riflessi, le luci che avvolgono le immagini dei protagonisti, i vetri sfumati danno la sensazione (voluta) di essere spettatori di una storia intima, di una relazione privata. Gli interpreti sono diretti alla perfezione, sorprendente Norah Jones alla sua prima apparizione, e la colonna sonora doverosamente malinconica (alla stregua di Tarantino, mentre scrive il soggetto si lascia ispirare dalle musiche che ascolta). Otis Redding su tutti con “Try a Little Tenderness”, equivalente del “California Dreaming” di Hong Kong Express. Non so ancora dove, ha detto Wong, ma ci sarà un secondo bacio. Natalie Portman e Norah Jones. In alto a sinistra Wong Kar-wai sul set. Sopra ancora le due attrici Il bacio perduto By Leojatt Mi ha restituito quella stampa, “Les amourex” di Man Ray. Gliela regalai appena sei mesi fa, perché, le dissi, quella bocca rossa come un desiderio tra nuvole bianche, era la sua bocca. Due giorni dopo, nel parco, lei camminava a fatica portando tra le mani una gigantesca tela avvolta in carta da pacchi. Strappammo la carta e apparve il mio preferito, Il bacio di Klimt. Tre giorni fa ci siamo lasciati. Senza neanche un bacio. Mi rifugio in un cinema per scappare dai pensieri. Entro, leggo il titolo, My Blueberry Nights. Voglio il buio per diventare anonimo. I miei passi lenti cercano una poltrona libera, la trovano. Le immagini si rincorrono, i due si abbracciano e si baciano, incorniciati dalle loro braccia, come nel quadro di Klimt, il mio quadro. Lo sguardo ora percepisce i dettagli. Abbasso gli occhi, cerco il block notes e la penna che si illumina come una lucciola, scrivo “Amore mio, che pena lasciarci così, sto piangendo e tu non lo saprai mai”. Fischi in sala, sta succedendo qualcosa ma non me ne curo, poi alzo gli occhi...O mio Dio, le mie parole sul grande schermo tagliano i volti dei protagonisti, leggo “Amore mio, che pena…”. Immediatamente spengo la lucciola. Com’è stato possibile raggiungere il telone? Mi irrigidisco. E’ tutto passato mi dico, tranquillo. Improvvisamente altre parole tagliano l’immagine come un bisturi affilato “Ti ho trovato nel buio, forse sei tu, è meraviglioso...”. Gli spettatori si guardano attorno, qualcuno strilla “Avvertite il proiezionista, ma che succede?!?”. Io riprendo la mia lucciola, il block notes aperto, scrivo “Chi sei? Dove sei?”. Mi volto tirandomi su dalla poltrona, scorgo in fondo alla sala, penultima fila, una lucciola. Una frazione di secondo, si è spenta. Il cuore in gola, esco dalla fila, cerco di raggiungere quella poltrona, eccola. Vuota. Esco dalla sala, la troverò. Spingo la porta, sono fuori alla luce del giorno. Il sole mi acceca. Marzo 2008 RdC 23 Un Verdone Grande grosso e… Carlo riprende la vecchia formula e tenta il sorpasso al box office, con tre vicende sulla “solitudine, profonda e lancinante”. E “la mia interpretazione migliore” di Pier Paolo Mocci 26 RdC Marzo 2008 Il personaggio Il bamboccione Leo e il diabolico Callisto Cagnato: ingenuità e repellenza nelle maschere di Verdone per il cinema C ‘‘ redo sia la mia interpretazione migliore. Nell’episodio con il professor Callisto Cagnato, ho pensato addirittura non fossi io quello sullo schermo. È stato molto faticoso, ma anche divertente e stimolante: ho tirato fuori dal cilindro tre caratteri già noti che avrei dovuto rinnovare, spingendomi in profondità nei loro stati d’animo, tic e nevrosi”. Parola di Carlo Verdone alla vigilia dell’uscita in sala di Grande, grosso e... Verdone, il suo ritorno al film a personaggi, sulla scia dei mitici Bianco rosso e Verdone e Viaggi di nozze. “Ma questo – spiega Verdone, al suo ventunesimo film – va considerato diversamente: non un film a episodi, ma tre minifilm che vivono di vita propria, legati soltanto da una tematica di fondo: una grande solitudine”. Leo, il “puro” “Il comune denominatore è la solitudine, profonda e lancinante, in cui sono ingabbiati i protagonisti. Leo è il puro, il candido, il bamboccione votato alla causa boy scout. È un eterno bambino ingenuo, stralunato. E in questo mondo posto per persone così buone purtroppo non c’è”. Satira politica “Si esce dal semplice divertimento per toccare le corde della satira sociale, di Marzo 2008 RdC 27 Il personaggio Ancora “coatta” dopo Viaggi di nozze, Claudia Gerini è Enza, moglie del supercafone Moreno costume e politica. Tutto questo, in particolare, con il personaggio di Callisto Cagnato, il professore, repellente e diabolico: ha seppellito tre mogli e ora cerca di rovinare la vita al figlio (Andrea Miglio Risi, ndr). Ho ricreato un’atmosfera cupa, alla Dickens, con una fotografia tardo ottocentesca, opprimente. Lui è un falso moralista, ipocrita, un po’ come i nostri politici che, anziché rispettare la propria carica istituzionale, si lanciano in risse, sputi e grida in parlamento”. Moreno ed Enza “L’episodio con i coatti è naturale conseguenza di Ivano e Jessica di Viaggi di nozze: la volgarità degli arrivisti, che ostentano i propri averi, ma in realtà sono dei poveri cafoni. E non perché parlano romano, ben inteso: il dialetto mi è solo più congeniale per raccontarli. È gente che vorrebbe raggiungere eleganza, qualità e classe, ma è roba che non si compra”. Strepitosa Gerini “Claudia è straordinaria, ha raggiunto una maturità interpretativa che mi ha felicemente sorpreso. Recito con lei per la terza volta in un mio film, non era mai capitato prima. Ha dei tempi comici pazzeschi, anche rimanendo zitta riesce a essere espressiva”. De Laurentiis “Aurelio De Laurentiis (produttore e 28 RdC Marzo 2008 distributore con Filmauro, ndr) è unico: non ha mai intralciato il mio lavoro, non ha mai messo un veto o detto una parola. Per un regista è la libertà più grande, ti toglie quella pressione che può farti sbagliare”. Una vita per il cinema “A questo film ci ho lavorato per mesi interi, dalla mattina alla sera. Sto dando tutta la mia vita al cinema.”. Ecce Leo, l’amico di Carlo “La gente mi ferma e crede imiti Verdone”: parola dell’alter ego Stefano Natale Un uomo, un personaggio. La storia è quella di Stefano Natale, pittore della scuola romana e attore filodrammatico. Ma soprattutto compagno di merende, negli anni ’60 e ‘70, di Carlo Verdone, entrambi nati e cresciuti nello stesso palazzo ai portici di Lungotevere, all’angolo tra via Giulia e ponte Sisto. “Abbiamo cominciato a frequentarci dalle elementari, dopo la scuola – racconta Natale - Carlo, Luca e io giocavamo a pallone a casa mia: una dopo l’altra abbiamo fatto fuori tutte le finestre”. Lì nascevano i personaggi culto dell’epopea verdoniana, da Furio a Enzo, dal fricchettone Ruggero a don Alfio, il prete di Un sacco bello. Tutti finti, ma tratti dalla realtà e rielaborati a pennello. Eccetto uno, Leo, il candido, ovvero Stefano Natale: la voce è la stessa, lo sguardo trasognato all’insù. “Sono io Leo, ma Carlo non mi ha rubato niente. Sono trent’anni che la gente mi ferma, e chiede di Leo. Prima pensano che imiti Verdone, in realtà io sono così: sono Leo”. Ora per Natale è arrivato il momento di “riprendersi” la maschera, in Grande, grosso e... Verdone, proprio nell’episodio con Leo: “Nel film sono suo fratello Guerino, tornato dall’Australia per la morte della madre. Duettare con Carlo è sempre stato un sogno: lo aspettavo da trent’anni”. (P.P.M.) DA L 29 F E B B R A I O A L C I N E MA Tendenze Via calzamaglia e ansia di giustizia: dai comuni mortali di Heroes ai narcisisti di Jumper, i supereroi si adeguano ai tempi. E scoprono che il potere non è (solo) al servizio degli altri di Gianluca Arnone N on ci sono più i supereroi di una volta. Gentleman in ritardo agli appuntamenti con le donne, ma puntuali come svizzeri quando devono salvarle. Filantropi accaniti alla Superman, archetipo di un supereroismo tutto risolto nella funzione che svolge, nel simbolo che incarna, nella divisa che indossa. Tra la calzamaglia e il man che la porta, mai un dubbio: il supereroe è la calzamaglia. Poi le cose cambiano. Con il Peter Parker di Raimi a imporsi è il profilo psicologico dietro la maschera, il dubbio esistenziale. L’ “io devo” del personaggio balbetta incalzato dalle richieste dell’ “io sono”. Ad emergere è la natura alienante del potere, la scoperta di un’aberrazione (letteralmente corporea in Hulk di Ang Lee). La crisi identitaria lo investe fino al rifiuto del proprio ruolo (Spider-Man Il protagonista Hayden Christensen. A destra l’eroe in calzamaglia Spider-Man e il “paladino” Samuel L. Jackson 2): il supereroe chiede il pensionamento (Gli incredibili). “Ci struggiamo per cercare un senso, e alla fine lo troviamo in noi stessi. Il fondamentale bisogno umano di trovare propri simili con cui entrare in connessione, per sapere nel profondo dei nostri cuori che non siamo soli”. È l’ epitaffio che chiude la prima stagione di Heroes, dove gli eroi si moltiplicano, si confondono con le persone comuni, maledicono la loro diversità. La solitudine definisce anche il protagonista di Jumper. David Rice – viso e muscoli sono di Hayden Christensen - dopo l’abbandono della madre, è malmenato dal padre e deriso dai compagni. Però nato con un dono, quello del teletrasporto. In un batter di ciglia è capace di catapultarsi dove vuole, tra una colazione sulla Sfinge egiziana e una passeggiata nelle segrete del Colosseo. David non è l’unico ad avere questa libertà. Allegri giramondo, i jumpers sono l’incubo di ogni compagnia aerea e l’ossessione di una setta di fanatici, i Paladini, capitanati da Samuel L. Jackson, killer spirituale alla Pulp Fiction. Tra conflitti familiari e integralismo religioso, il film non rinuncia a declinare – nei limiti di una confezione sci-fi – alcuni temi ricorrenti del cinema americano di questi anni. Ma è nel trattamento del supereroe che Jumper fa “il salto”: “Questa persona che ottiene dei superpoteri, e la prima cosa che fa è rapinare una banca, è quello che ho amato di più della sceneggiatura” confessa Christensen. Non è la sola violazione alla regola. In una sequenza di estremo cinismo, David vede in Tv New Orleans devastata dall’uragano Katrina. Fosse stato Clark Kent si sarebbe precipitato. Lo stacco di montaggio ci mostra invece un interno pub londinese, dove il protagonista beve tranquillo flirtando con una bionda. “Avevo girato un finale alternativo in cui David rinuncia a salvare la sua ragazza perché lo ritiene troppo pericoloso”, svela il regista, Doug Liman. Finale bocciato dalla produzione, che la dice lunga però sulla metamorfosi in corso. L’etica all’ uomo ragno, “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, si affloscia. L’hero scopre che il potere può essere piacevole. Narciso e individualista, l’odierno Nembo Kid è riluttante all’azione e indifferente verso un dovere che non lo riguarda. Sarebbe troppo facile leggervi le pulsioni isolazioniste di un’America che vorrebbe tirarsi fuori dal pantano iracheno. Ma non sarebbe del tutto sbagliato. Nell’attesa di sapere quale eroe uscirà vittorioso dalla presidenziali, Hollywood ne anticipa la filosofia. Il motto è: si salvi chi può. Marzo 2008 RdC 31 FOTO DI MARIA MARIN Derive Orientali ll Vietnam guarda a Hollywood, Cina e Corea trovano la Francia. Il cinema asiatico ha un debole per l'Occidente, ma anche l'America non scherza Hanno collaborato: Gabriele Barcaro, Paolo Bertolin, Luca Pallanch, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Valerio Sammarco, Boris Sollazzo, Davide Turrini A cura di: Marina Sanna Marzo 2008 RdC 33 contaminazioni asiatiche Saigon? Cercatela sotto la Tour Eiffel, almeno al cinema. Il più noto regista vietnamita vive a Parigi dall’età di tredici anni, quando la famiglia (con l’aria che tirava) decise di trasferirsi: qui, Tran Anh Hung si è diplomato alla scuola di cinema, e ha esordito con un film, Il profumo della papaya verde, ambientato in Vietnam ma tutto ricostruito in studio (in Francia, ça va sans dire). E se l’opera prima raccontava un Paese ricamato sui propri ricordi di bambino, la seconda (Cyclo, uno dei Leoni d’oro più contestati degli anni Novanta) metteva a frutto la cinefilia, con un remake apocrifo e iper-violento di Ladri di biciclette. A otto anni dal suo film più sinceramente vietnamita, Solstizio d’estate, tradisce Ho Chi Min City con Hong Kong. L’ex colonia britannica, d’altronde, gli è sempre piaciuta. A cominciare dal suo cinema, in primis l’actionmovie alla John Woo: ci sarà pure un motivo, se il protagonista di Cyclo aveva il volto e la fisicità di Tony Leung, l’icona dei film di Tsui Hark e Ringo Lam. A quel personaggio di antieroe sprofondato in una città ostile e violenta, rimanda il plot del nuovo I Come with the Rain, che sin dal titolo promette la disillusione di un hard boiled d’altri tempi: un ex poliziotto losangelino deve ritrovare il figlio S d’un magnate cinese, inghiottito dalla giungla d’asfalto di Hong Kong. E come se non bastasse, deve vedersela coi fantasmi del passato, che hanno le sembianze d’uno spietato serial killer. Le prime indiscrezioni assicuravano la presenza di Harvey Keitel (che in Vietnam è di casa, dai tempi di Tre stagioni di Tony Bui): ma sembrano smentite dai credits, dove gli unici occidentali (in un cast che più pan-asiatico non si può, dal coreano Byung-hun Lee di A Bittersweet Life al giapponese Takuya Kimura di Hero, passando per la vietnamita Tran Nu Yên-Khê, moglie e musa del regista) sono Elias Koteas, e il protagonista Josh Hartnett, che qualche anno fa perse l’occasione di diventare una star ma, dopo qualche buco nell’acqua, si è cucito addosso un’interessante carriera noir, da Sin City a The Black Dahlia. Per un nativo di Saigon che va a girare “loin du Vietnam”, ecco il maestro del cinema cambogiano, Rithy Panh, che incontra un simbolo dell’Indocina coloniale e della letteratura francese, Marguerite Duras: nata e cresciuta tra Giadinh e Phnom Penh, l’autrice di Hiroshima, mon amour pubblicò Un barrage contre le Pacifique nel 1950, ispirandosi in parte alla vita di sua madre, che GoodMorning, Indocina! Asia chiama Usa: Josh Hartnett hard-boiled per Tran Anh Hung, Isabelle Huppert (e Marguerite Duras) per il cambogiano Rithy Panh di Gabriele Barcaro 34 RdC Marzo 2008 La giungla d'asfalto di Hong Kong e la tenacia di una vedova sulla strada per Cannes come la protagonista del romanzo lottò senza sosta per strappare all’oceano il pezzo di terra incautamente acquistato alla morte del marito. A mezzo secolo da una prima trasposizione (La diga sul Pacifico, di René Clément), e dopo un decennio di documentari sulle pagine buie della storia del suo Paese (vissute in prima persona, come prigioniero di un campo di lavoro dei khmer rossi, prima di riparare a Parigi), Panh torna al cinema di fiction con questa storia che ricorda, per ambientazione e dinamiche familiari, il suo capolavoro Gente della risaia. La vedova del libro, stavolta, è Isabelle Huppert, che negli ultimi tempi si è calata con dolorosa convinzione in altri ruoli di genitrice problematica (Nuda proprietà, Médée Miracle, L’amour caché); il figlio, un concentrato di violenza che cinquant’anni fa aveva il fascino disturbato di Anthony Perkins (doveva essere James Dean, ma sappiamo tutti come andò a finire), è Gaspard Ulliel, il giovane Hannibal Lecter ingrassato di otto chili per l’occasione; mentre l’emergente Astrid Berges-Frisbey si confronta con il ricordo di Silvana Mangano. Il vecchio film, scegliendo la strada del kolossal, sottovalutava il sostrato politico della Duras, che al cinema non fu mai troppo fortunata (forse neppure con i film scritti e diretti in proprio): persino L’amante, il suo capolavoro, diventò sullo schermo un esausto fumettone di languori erotici. A Rithy Panh, il compito di invertire la tendenza: con un film che promette non poche asprezze, e che voci insistenti danno in concorso al prossimo Festival di Cannes. Sotto le insegne della Francia, naturalmente: e chissà che la Palma d’oro che oltralpe inseguono da vent’anni, non giunga proprio da un regista cambogiano. Josh Hartnett. Accanto Trân Nu Yên-Khê in Solstizio d’estate Marzo 2008 RdC 35 contaminazioni asiatiche OrientExpress destinazione Hollywood, andata e ritorno Dai “furti” di Tarantino e Scorsese fino al grande salto di Wong Kar-wai di Boris Sollazzo N Nord America- Estremo Oriente: in un senso o nell’altro il viaggio, soprattutto se di sola andata, è sempre redditizio. Artisticamente e non solo. Lo sa il maestro Martin Scorsese: critica, pubblico e finalmente persino l’Academy, hanno adorato The Departed. Giustissimo, è un capolavoro. Ma zio Marty, che ultimamente non aveva ingranato le marce giuste, deve ringraziare Hong Kong. Andrew (o WaiKeung) Law e Alan (o Siu Fai) Mak sono gli autori di una trilogia geniale e selvaggia – in Italia la trovate in dvd: uno distribuito da Buena Vista, due da Lucky Red –, Infernal Affairs. Ha ispirato e guidato la mano del cineasta italo-americano, che ne 36 RdC Marzo 2008 Il fascino di Tony Leung. Al centro Infernal Affairs, in basso Brokeback Mountain, a destra Gong Li ha fatto un sontuoso (e ben pagato) remake. Prima di lui, Quentin Tarantino, per conquistare Cannes e il mondo, aveva scelto una delle sue tecniche di regia preferite: la rapina con destrezza. Se ogni singola sequenza dell’autore di Pulp Fiction è tributo, omaggio e citazione di altri (preferibilmente asiatici o italiani), il suo capolavoro Le iene (1992) è addirittura un abile plagio del misconosciuto City on Fire (1987) di Ringo Lam. Ancora un regista di Hong Kong. Mai ammesso da Tarantino il furto, sebbene il furbastro usi come motto cinematografico “i grandi artisti non copiano, rubano”. Molto meno felice è il rimestamento nel torbido dell’horror. Si va ancora più ad est, preferibilmente in Corea, e si esportano script e registi apprezzati. Videocassette e telefoni assassini, elettrodomestici impazziti, televisorioracoli o vecchie leggende rimesse a nuovo, fanno bene (e neanche sempre) solo al primo tentativo. Passato l’oceano, crollano miseramente. Non così è però successo a John Woo come regista e Jackie Chan come attore: tra alti e bassi, non pochi, hanno saputo portare il proprio linguaggio cinematografico e “fisico” anche oltre i propri confini, finendo per creare nuovi sottogeneri amati e imitati. La novità degli ultimi anni, però, è la temibile trasferta tentata dai grandi autori. Se la quinta generazione cinese (escluso l’uomo blockbuster Zhang Yimou) come Kim Ki-duk (almeno fino agli exploit di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera a Locarno e di Ferro 3 a Venezia) era il classico modello da “festival export”, ignorati in patria, adorati nelle rassegne internazionali e poco seguiti dal pubblico, Ang Lee e Wong Kar Wai sanno rimbalzare tra le due culture con bravura e talento. Il primo ha vinto un Oscar dirigendo Jake Gyllenhaal e il compianto Heath Ledger in un dramma western gay come Brokeback Mountain per poi tornare in patria con il conturbante Lussuria. Il secondo, poeta raffinato e cineasta straordinario, con Un bacio romantico ha tentato il grande salto, mostrando un agio insospettabile nel dirigere un cast americano all star. Ed ecco la nuova frontiera, probabilmente: non accontentarsi più delle splendide Gong Li e Maggie Cheung, icone dello star system e della sensualità asiatica, ma saper “globalizzare” anche altri talenti cristallini ora ghettizzati. Un esempio? Quel Tony Leung, incrocio asiatico tra Marcello Mastroianni e Humphrey Bogart, interprete straordinario e star di prima grandezza in patria, ma non considerato da Hollywood e dintorni. Marzo 2008 RdC 37 nel segno della Francia Il tempo secondoHou La storia e il suo dispiegarsi attraverso lo sguardo del maestro (dell’inquadratura) taiwanese di Davide Turrini F Fu il giovane critico dei Cahiers du cinéma, Olivier Assayas, a scoprire nell’oramai lontano 1984 il cinema di Hou Hsiaohsien. Nel reportage “Du nouveau dans le cinéma de Taiwan” (Cahiers, dicembre ’84, numero 366), Assayas portava entusiasticamente a conoscenza del pubblico francese (e, purtroppo, non tanto di riflesso il rimanente pubblico del resto d’Europa) il regista trentasettenne di Quelli di Fengkuei, all’epoca quinto lungometraggio di una carriera di cineasta che oggi ne annovera ben diciannove. Hou nasce a Canton nel Sud della Cina l’8 aprile del 1947 mentre è ancora in atto la 38 RdC Marzo 2008 guerra tra i comunisti di Mao Tse-tung e i nazionalisti di Chiang Kai-shek. Appena un mese dopo, il padre di Hou, provveditore agli studi, si trasferisce nel nord dell’isola di Taiwan, ex dominio giapponese, che di lì a poco diventerà rifugio dei nazionalisti in rotta dal continente dopo la guerra perduta. Avvenimenti storico/politici che segneranno indelebilmente la memoria di Hou e che diventeranno elementi preponderanti dell’impianto narrativo di almeno due dei più recenti film: Città dolente (1989) e Il maestro burattinaio (1993). Hou segue il classico percorso di apprendimento della tecnica cinematografica: i primi rudimenti sul finire dei ’60 all’Accademia Nazionale d’Arte; segretario di edizione nei film di Li Hsing nei primi anni ’70; qualche documentario su commissione per l’esercito taiwanese; infine l’esordio nel 1980 con E’ proprio carina, commedia musicale che a Taiwan registra più di un milione di spettatori. Nel 1982 con il cambiamento ai vertici del CMPC, la cinematografia di Stato, viene prodotto un film collettivo a episodi che ha tra i sei giovani registi Hou ma anche l’altrettanto importante regista (sdoganato anch’esso Hsiao-hsien dalla critica francese) Edward Yang. Nasce quella che viene definita la Nouvelle Vague Taiwanese: bassi budget e un impianto drammaturgico letterario che vira sul privato. Per Hou significa anche l’incontro fecondo con la scrittrice taiwanese Chu Tien-wen che diventerà sua collaboratrice fino ai giorni nostri. Il cinema di Hou si presenta dopo ventisette anni fondandosi su alcune ben definite coordinate formali (profondamente debitrici della pittura paesaggistica cinese) e stilistiche (l’uso del piano sequenza), piuttosto che un peculiare andamento fluttuante dello sguardo autoriale sullo scorrere della storia taiwanese e del tempo interno ad ogni singola sequenza. Come un lento dischiudersi di macroepoche nel microcontesto della memoria del singolo individuo. Paradigmatici in ciò, i titoli che hanno dato ad Hou riconoscimenti internazionali prestigiosi: il Leone d’oro a Venezia con Città dolente, il Gran premio della giuria a Cannes con Il maestro burattinaio. In questi due film la fissità dell’inquadratura, spesso increspata da azioni dinamiche al suo interno, dilata l’idea filosofica di tempo, quasi a rilevarne l’estrema ieratica fuggevolezza. Probabile che in questa singolare versione estetica dello scorrere del tempo, si possano gettare le fondamenta per imporre un senso del racconto che non segua i classici binari da melodramma hollywoodiano a sfondo storico. Ogni lavoro di Hou scompagina temi e iconografie (si passa dal burattinaio del primo novecento – Il maestro burattinaio - ai delinquentelli degli anni ’90 – Goodbye South Goodbye – ; dai sacrifici della prole per la resistenza antigiapponese – Good Men, Good Women – alla musica techno e alle droghe del 2000 – Millennium Mambo) ma mantiene intatta questa granitica fruizione dell’elemento tempo quasi fosse una prerogativa, una forza creativa centripeta che si appropria della dimensione melanconica e dolorosa della memoria del singolo per tramutarli in affreschi sulla contemporaneità della visione. Poi, a ben vedere, la fissità del piano sequenza sta in qualche modo mutando. In Millennium Mambo come in Three Times (assoluto capolavoro di Hou per chi scrive) la macchina da presa si sposta in profondità (poco), in orizzontale (molto) per recuperare brandelli di racconto sparsi oltre il confine del fuori campo. Per poi magicamente tornare, con l’ultimo Le voyage du ballon rouge ad una fissità primigenia in un’unica stanzetta parigina per almeno un’ora e mezza di film. Peccato che per vedere questi film in sala si deve essere francesi (e parigini soprattutto): le sale italiane non sanno quasi per nulla cosa sia stato il fenomeno Hou Hsiao-hsien. Una scena di Three Times. Sotto Juliette Binoche in Le voyage du ballon rouge Nouvelle vague e premi internazionali. Ma in Italia è semi sconosciuto Marzo 2008 RdC 39 nel segno della Francia Tsai vainMostra Il Louvre avrà presto il suo Visage: il regista è in trasferta per riscoprire Salomé. Nel nome del corpo di Federico Pontiggia Nell’era del consumismo, esiste qualcosa che non possa essere venduta? Nulla, tranne l’amore. Ci credi ancora all’amore? TSAI MING-LIANG I Don’t Want to Sleep Alone. In alto il regista e una scena de Il gusto dell’anguria 40 RdC Marzo 2008 T Truffaut, Fassbinder, Bresson e Antonioni. Tutti e quattro insieme, si trovano solo in una storia del cinema. O nel cinema di Tsai Ming-liang. “Penso che i film europei mi siano più vicini perché inquadrano vita e uomini moderni. Sono più realistici, più sinceri nei confronti della vita”. Umanesimo (Truffaut); questioni sessuali e di genere (Fassbinder); l’attenzione per i corpi di attori non-professionisti (Bresson); i paesaggi urbani alienanti (Antonioni), tutto questo è Tsai, con Edward Yang e Hou Hsiao-hsien tra i registi del nuovo cinema taiwanese giunti alla fama internazionale negli anni ‘90. Nato e cresciuto in Malesia, a Kuching, introdotto al cinema dai nonni, figlio di un contadino, ha un’infanzia tranquilla, dove può “sviluppare i propri interessi e godersi la vita”. E’ la pace che ritroveremo nei suoi film, quella calma che lo differenzia sensibilmente dai colleghi: long take, piani sequenza, lunghe inquadrature, che richiedono allo spettatore disarmo e pazienza per accostarsi a un’altra esistenza, e il rifiuto della frammentazione del montaggio, che porterebbe – nelle parole di Tarkovsky – a “una facile interpretazione della complessità della vita”. Comportamentista per immagini, Tsai con una manciata di lungometraggi – Rebels of the Neon God (1992), Vive l’amour (1994), Il fiume (1996), The Hole (1998), Che ora è laggiù? (2001), Goodbye, Dragon Inn (2003), Il gusto dell’anguria (2005) e I Don’t Want to Sleep Alone (2006) – si è ritagliato un posto idiosincratico nel panorama cinematografico mondiale, professando sullo schermo il naturalismo di Flaubert e Zola, con un surplus di cinismo, da anatomopatologo di corpi sani. Navigando fiumi trasgressivi, infilando la macchina da presa in buchi virali, le dita in angurie lussuriose, da uomo di teatro senza teatralità, Tsai continua a scolpire il tempo, a immagine e somiglianza dei corpi che insegue, seziona, prega. In silenzio e in solitudine, perché “il corpo appartiene a una persona solo quando è da sola”. Feticcio l’attore Lee Kang-sheng (di cui ha prodotto la regia Help Me Eros nel 2007), la sua ricerca è un’antropologia senza note a margine, romanzo anziché saggio, indifferente all’indifferenza per l’umano del cinema pastorizzato. Quello di tanta Europa, che non ha potuto non accogliere a braccia aperte l’umano, troppo umano Tsai: prima fenomeno da cinephiles, e ora adottato, con domicilio temporaneo al Louvre. Invitato dal celebre museo parigino - secondo a “profanarlo” dopo il Ron Howard del Codice Da Vinci - per girarvi, Visage, con il sodale Lee Kang-sheng, l’icona Nouvelle Vague Jean-Pierre Lèaud e Maggie Cheung, nel ruolo della biblica Salomé. Probabile destinazione Cannes, Visage ha nei cromosomi la definitiva consacrazione di Tsai, malese-taiwanese da esportazione. Senza isterizzare la “calma piatta” di Kuching, senza amputare la carnalità di Taipei, aspettando che altri due corpi si incontrino, “come due nuvole che si toccano e si trasformano in pioggia, ammorbidendo la terra”. Lapoetica di Kim Sempre in equilibrio tra eros e thanatos, il coreano da esportazione ha scoperto il cinema a Parigi di Angela Prudenzi Marzo 2008 RdC 41 nel segno della Francia Ispirazioni europee per estetismi destabilizzanti ed estremi ’ E E’ entrato per la prima volta in un cinema a Parigi, dove ha vissuto vendendo per strada i suoi dipinti. Cita spesso Leo Carax, reo di averlo folgorato con Les Amants du Pont-Neuf. Tracce importanti per decifrare la poetica di Kim Ki-duk e capirne i legami con la cultura europea. Affinità neanche troppo nascoste che il regista coreano lascia filtrare attraverso rimandi e citazioni di artisti del vecchio continente. Le luci bluastre e le atmosfere soffuse di Crocodile, ad esempio, riconducono a Carax ma anche a Beinex, mentre il Buñuel di Le chien andalou ha avuto una indubbia influenza sulla surreale crudeltà de L’isola. Accanto ad essi, e più propriamente prima secondo una gerarchia che vede le arti visive componente privilegiato della sua poetica, Klimt e soprattutto Schiele, i cui dipinti giocano un ruolo importante in Bad Guy. Insomma, basta aprire bene gli occhi per scoprire che il più filosofico degli autori asiatici guarda all’Europa come fonte di ispirazione per costruire un universo dall’estetismo estremo e destabilizzante popolato di figure appassionate e dolenti. Uomini e donne preda di passioni totalizzanti che si muovono su fondali dalla composizione perfetta dove, come spesso in pittura, all’assoluta semplicità corrisponde la massima produzione di senso. Kim Ki-duk si serve di loro alla ricerca di un impossibile equilibrio tra eros e thanatos, perdizione e redenzione, gioia e dolore. Temi forti che il regista veste di spiritualità costruendo un percorso simbolico omogeneo che attraversa tutta la sua produzione. Così se L’isola incarna l’elaborazione più alta dell’amore come sacrificio e La samaritana è una digressione sulla colpa, Bad Guy si pone come confine tra l’essere vittima e/o carnefice. E che dire di Ferro3 - La casa vuota, in cui tutto sfugge alle leggi della fisica sottomettendosi però a quelle dell’amore? Che siamo, ancora una volta, assai lontani eppure misteriosamente vicini all’estetica post-romantica e decadente tanto cara a un certo cinema francese. A sinistra La samaritana. In alto una scena di Soffio e nell’altra pagina Time 42 RdC Marzo 2008 nel segno della Francia Spirito e Kawase La giapponese Naomi alla ricerca dell'invisibile. In prima persona, con il plauso (soprattutto) d'Oltralpe di Paolo Bertolin I Il cinema della giapponese Naomi Kawase si può etichettare come un cinema di ricerca. Ricerca attraverso immagini e suoni di una presenza impalpabile e ineffabile, che pare sfuggire alla presa immediata e diretta dei sensi. Un cinema della spiritualità, quindi, che trova lo spirito nell’immanente, nel mondo e nella natura che circondano l’uomo, e la cineasta stessa in primis. Un cinema spesso in prima persona – si veda la copiosa produzione documentaria, da Ni tsutsumarete (1992) a Tarachime (2006) – che produce sovente esiti venati di una sorta di primordiale animismo, fatto di una spiritualità diffusa e pervasiva. La Kawase, del resto, è nata (nel 1969) a Nara, antica capitale del Giappone (710-784), città che porta ancora la memoria di un’epoca in cui shintoismo e buddismo dominavano la vita spirituale dei giapponesi. Sarà anche azzardato dirlo, ma la Kawase sembra proprio aver intimamente assorbito e trasferito inconsciamente nel suo cinema questa cifra spirituale. Eppure il suo è un cinema che valica i confini delle specificità culturali e che ha conosciuto in Occidente - in particolare in Francia - riconoscimenti critici e sostegno economico superiori a 44 RdC Marzo 2008 Sintomatico ritorno al pre-moderno, con la natura che sembra osservare le vicende degli uomini quelli riscontrati in patria. La sua ultima fatica, Mogari no Mori (letteralmente, la foresta di mogari; una nota a fine film rivela come il termine ‘mogari’ indichi sia il periodo sia il luogo del lutto), le è infatti valsa il Grand Prix del Festival di Cannes 2007. Come già nei suoi precedenti lungometraggi di fiction, Moe no Suzaku (1997), - esordio che le era valso la Caméra d’Or a Cannes – Hotaru (2000) e Sharasojyu (2003), Mogari no Mori prende le mosse da un’assenza, da una scomparsa, da una perdita. In questo caso, si tratta del lutto insormontabile per la dipartita di una persona cara: l’amatissima moglie del vecchio Shigeki, che per trentatré anni ne ha tenuto vivo il ricordo, e il figlioletto di Machiko, che per dimenticare la propria tragedia presta assistenza volontaria nell’ospizio dove Shigeki è ospitato. L’incontro tra il dolore di Shigeki e quello di Machiko è ripetutamente punteggiato da inquadrature “non economiche” della natura loro circostante. Laddove nell’opera di Ozu Yasujiro, che fece di quest’incongrua punteggiatura visiva una delle marche del suo stile, le immagini di raccordo presentavano il paesaggio di un Giappone in trasformazione, paesaggi ed elementi urbani segno di modernizzazione e industrializzazione ferventi, nei film della Kawase si verifica in esse un sintomatico ritorno al pre-moderno, a quella natura che pare in costante osservazione (impassibile? Partecipe?) delle vicende degli uomini (si noti che il titolo del primo lungometraggio della Kawase, Moe no Suzaku, fa riferimento ad uno spirito della montagna, vero e proprio genius loci che scruta gli abitanti del luogo). Sarebbe però scorretto dare per scontato che questa natura osservante offra deterministicamente spalla o conforto alle pene degli uomini. “L’acqua del fiume che scorre senza posa non torna mai alla sorgente”, dice Shigeki in Mogari no Mori; in quest’impossibilità del ritorno al passato, all’origine è da riconoscersi la vera comunanza tra uomo e natura. Lungo tutta la sua carriera, da Ni tsutsumarete (il cui titolo inglese era Embracing) a Moe no Suzaku, da Hotaru a Tarachime (documentario sulla propria maternità), la Kawase sembra invece ricordarci che quel conforto è da cercarsi nell’abbraccio di un’altra persona, nel calore che ci rammenta d’esser vivi. Una scena di Mogari no Mori. Sopra padre e figlio della regista Marzo 2008 RdC 45 passioni giapponesi Ibri d o Tsukamoto Onirico e voyeuristico, ecco l’artigiano totale del cinema nipponico di Valerio Sammarco Asuka Kurosawa in A Snake of June. Sopra Tsukamoto, a destra Vital 46 RdC Marzo 2008 Soggettista, sceneggiatore, scenografo, operatore, regista, montatore, produttore e attore. Nasce e si sviluppa sotto il segno dell’autarchia, deformandosi in mille altre cose, il cinema di Shinya Tsukamoto, vertice e punto di (non) ritorno del “nuovo-nuovo cinema giapponese”, indipendente con la i maiuscola, ipotizzato agli esordi degli anni ‘80, esploso da quelle stesse ceneri e sedimentatosi nel decennio successivo. In super-8 (qualche corto e Le avventure del ragazzo del palo elettrico) i prodromi di un discorso apparentemente folle, in realtà disegno lucidissimo per quella rappresentazione rabbiosa e scarnificante, ancora di là da venire, dell’individuo/massa nella società capitalistica e senz’anima di un Giappone sempre più proiettato verso il progresso. Nelle mani di Tsukamoto, artigiano totale e “protesi” cyber-punk dei magnifici deliri provenienti da Occidente (nel 1983 Cronenberg firmava quel capolavoro dell’ibridazione che era Videodrome, tre anni più tardi si confrontava con La mosca di Kurt Neumann), i segnali di una mutazione irreversibile si fanno carnalmente metallo in Tetsuo – The Iron Man, metamorfosi fino ad allora mai così esplicitamente “raccontata” e film manifesto per cinefili di mezzo mondo: la fusione tra organico (sesso) e inorganico (macchina) è violenta, fulminea, dirompente come le sonorità elettro-techno di Chu Ishikawa, da qui in avanti fedele collaboratore del cineasta. Quattro anni dopo, nel 1992, Tetsuo II: Body Hammer segna quel passaggio dal cyber-horror alla “fantascienza d’azione” che, lasciando in sordina il sottotesto erotico, fa emergere con forza un intreccio più radicato, in qualche S modo antesignano di quello che sarebbe stato di lì a poco: Tokyo Fist (il pugno di Tokyo, sferrato ancora una volta allo spettatore sgomento: non più la mutazione in acciaio, ma la potenza e la caducità della carne come avamposto dove ritrovare l’essere umano), Bullet Ballet e Gemini, sinfonia asincrona d’amore e morte e ritorno all’horror nel passato di un Giappone perduto. Tutto questo condurrà ad A Snake of June (unico titolo finora distribuito in Italia), voyeuristico e sensazionale triangolo (occhio-corpo-malattia) immortalato dal ferreo e notturno bianco/blu di una Tokyo sommersa dalla pioggia: seguiranno Vital (estenuante ricerca di una corporeità dell’anima), l’episodio Tamamushi nel collettivo Fîmeiru, il claustrofobico ultrasperimentale Haze e Nightmare Detective (del quale dovrebbe già essere pronto il sequel), disarmante viaggio nei meandri di menti suicide. Kitano al tramonto Kantoku banzai!, ovvero cronaca di una rovina annunciata. “Ho distrutto la mia carriera”, confessa Takeshi di Federico Pontiggia Canto di un cigno orientale: Takeshi Kitano, che all’ultima Mostra di Venezia portava Kantoku banzai!, ovvero Glory to the Filmaker!. Un filmaker, che non c’è più, o almeno non è più il Kitano dal Giappone con furore, instant-cult europeo da Hana-bi in poi: “Questo film ha rappresentato un punto di svolta nella mia carriera, i seguenti sono stati sopravvalutati. Poi con Zatoichi è arrivato il successo di pubblico, ma con Dolls il gap tra il mio cinema e gli spettatori si è acuito. Con Takeshis’ ho iniziato il processo di distruzione della mia filmografia: voglio ricominciare da zero”. Accolto al Lido da sorrisi a mezz’asta e dinieghi imbarazzati sull’amore che fu, Kantoku banzai! è per il Beat della nippo-generation il passo successivo di una trilogia iconoclasta: “Proseguirò in questo cinecubismo: progettazione di tempi e immagine, loro distruzione e riassemblaggio”. E sì che le premesse di Kantoku banzai! parevano buone: “Da che cosa dipende il successo o l’insuccesso di un film? Sono contrario ai blockbuster, miei o altrui, ma non posso sempre lamentarmi”. Accostando generi diversi, già esplorati: yakuza, commedia, o meno: fantascienza, love story, dramma storico, Kitano è ora giunto a riflettere (auto)criticamente sul proprio cinema, senza mezzi termini: “Mi sono trovato senza sapere che cosa fare”. Per scongiurare questo horror vacui, Kantoku banzai! introietta tutto, anche una consapevolezza: “Potevo fare di meglio, ma stavo impazzendo: nell’episodio horror ho tenuto anche le scene sbagliate, come se fossi un regista dilettante”. Che pur in “rovina”, non dimentica l’autoironia: “Dalle mie esperienze comiche in tv ho imparato a ridere di me stesso “ e il tema a lui tanto caro del doppio: “In Takeshis’ Beat e Kitano si criticavano reciprocamente, qui il gioco tra il mio personaggio e il suo alter ego manichino punta all’autodistruzione”. Che tale si è rivelata anche al box office nipponico, dove il film non ha sfondato: “Solo le giovani donne l’hanno capito, e accettato”. Rosea consolazione… Marzo 2008 RdC 47 un pò d’Italia Quando l’Asia Suggestioni e parodie di “genere”: i samurai di Kurosawa per i west A Anni ‘60: la Cina era vicina e l’Oriente si tingeva di rosso, Sergio Leone adattava La sfida del samurai di Kurosawa, gettando le basi del western all’italiana, e per ripicca il maestro giapponese otteneva i diritti di distribuzione di Per un pugno di dollari in molti paesi asiatici, Umberto Lenzi girava a Ceylon e in Malesia un ciclo di film salgariani, mentre Gianfranco Parolini, in arte Frank Kramer, esportava i film spionistici con Tony Kendall e Brad Harris in località non meno esotiche (Agente Jo Walker operazione estremo Oriente) e Bitto Albertini con i suoi supermen si spingeva fino a Tokyo e a Bangkok (3 supermen a Tokyo e Crash! Che botte… (Strippo, strappo, stroppio)). Cortocircuito fra l’Italia e l’Oriente, quando il cinema italiano era internazionale e le coproduzioni consentivano voli di fantasia. Nascevano pellicole postmoderne: le contaminazioni fra stili diversi echeggiavano i continui rimandi dell’arte contemporanea a orizzonti sempre più lontani, un’esplosione di vitalità che di lì a breve porterà a ogni sorta di ibridazione. Mario Bava rigirava Rashomon in Quante volte… quella notte, il western all’italiana e i film di kung fu partorivano capolavori involontari come Il mio nome è Shangai Joe di Mario Caiano, un 48 RdC Marzo 2008 Coproduzioni e fantasia: Bava rifaceva Rashomon, Lenzi girava a Ceylon e in Malesia era vicina tern di Leone e le arti marziali per il ku-fu di Franco Franchi di Luca Pallanch 5 dita di violenza casareccio: Chen Lee, scovato in una lavanderia di Roma e scelto per le sue doti atletiche e una certa somiglianza con Dustin Hoffman, vagava per il West, ovvero l’Almería, in difesa dei peones messicani. Come scrisse Jean-François Giré, citato da Marco Giusti nel suo “Dizionario del western all’italiana”, “Rispetto alla volgarità, al razzismo e alla violenza incontrollabile dei cowboy, Caiano mette in scena la saggezza del cinese e gioca la carta della demistificazione e dell’ironia”. Uno dei vertici del western kung fu, esploso nei primi anni ’70 sulla scia del successo planetario dei film di Hong Kong, che invasero le sale cinematografiche e poi il piccolo schermo. Nando Cicero porta a compimento l’operazione di destrutturazione dell’intero filone dei film di kung fu con la parodia di Dalla Cina con furore: Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore, interpretato da Franco Franchi, il quale, per essere assunto come vigile urbano, si scontra con due improbabili maestri di arte marziali, Gianni Agus (Kon Chi Lay) e Enzo Andronico (Ce Lo Kon Te). È in questo contesto che Bruce Marzo 2008 RdC 49 un pò d’Italia Per un pugno di dollari e Sergio Leone. Sotto Mario Merola e I sette samurai Lee e Chuck Norris vennero in Italia a girare L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, dove Malisa Longo tenta di conquistare il mitico Bruce, film di culto soprattutto per la scena del combattimento nel Colosseo, definita da Giovanni Buttafava: “il vertice del cinema di arti marziali, e uno dei più straordinari pezzi di cinema d’azione in assoluto”. Roma in quegli anni era veramente la periferia dell’impero (non solo americano) e i produttori si associavano ai mitici Shaw Brothers, come per il cult mancato Superuomini, superdonne, superbotte di Alfonso Brescia, in arte Al Bradley, anch’esso interpretato da Malisa Longo accanto a stuntmen nostrani e stelle del kung fu. A Brescia va il merito di aver anticipato le tanto decantate scene dei film di John Woo in cui poliziotti e malviventi sparano a due mani, come Mario Merola in Napoli… serenata calibro 9, che demitizza buona parte del cinema hongkonghese a venire. Ma i 50 RdC Marzo 2008 contatti con il cinema asiatico sono più ampi e coinvolgono film d’autore, come il viaggio di Antonioni in Cina (Chung Kuo, Cina) e, successivamente, il Marco Polo di Montaldo, investono la popolarità in Asia di attori come Bud Spencer e Terence Hill, Giuliano Gemma e Lando Buzzanca, ma anche l’invasione di film italiani in posti impensabili, magari doppiati in modo del tutto improvvisato. Così avveniva in Iran, dove Enzo Dell’Aquila, fresco di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia e prima di intraprendere una fortunata carriera di sceneggiatore, girò Yasmine, oggi introvabile. Per dire quanto, negli anni ‘60 e nel decennio successivo, l’Oriente fosse vicino, a un passo dai nostri gusti cinefili. E come invece diventerà sempre più distante negli anni Ottanta e Novanta, quando le Filippine saranno elevate a set ideale dei film d’imitazione in stile Rambo o per film dell’orrore targati Lucio Fulci o Bruno Mattei. Dall’Asia, da Hong Kong, da Taiwan, dalla Cina, dalla Corea giungeranno capolavori sempre più rarefatti e inavvicinabili e i generi, caduti in disgrazia in Italia, riceveranno nuova linfa. Ma questa è un’altra storia, tuttora in corso. PerchéBruce mi scelse Correva l’anno 1972 e Lee al Colosseo terrorizzava l'Occidente con L’urlo di Chen. Nel cast la nostra Malisa Longo, adottata in Oriente grazie a quel piccolo ruolo di Luca Pallanch Ci sono film che acquistano rilievo a distanza di tempo, spesso per circostanze particolari. L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente è diventato un film di culto per la morte, a distanza di un anno, di Bruce Lee, per la presenza nel cast di Chuck Norris e per il celebre combattimento al Colosseo. Vi ha lavorato anche un’attrice italiana, Malisa Longo, che ha girato alcune scene con Bruce Lee, e a questo film deve una grande notorietà, soprattutto nei paesi asiatici, perché la presenza di un’attrice europea in un film di kung fu era assolutamente anomala. Grazie a questo piccolo ruolo, oggi Malisa Longo è tempestata da messaggi di fan e da richieste di interviste da tutto il mondo. Il suo nome, per molti, è legato a quello del grande Bruce Lee, icona del cinema, non solo orientale. Parlando con lei, sono emersi molti retroscena intorno alla lavorazione del film, avvenuta a Roma nel maggio 1972. Come sei stata contattata per fare L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente? Bruce Lee vide una mia foto su un giornale. Il caso volle che il direttore di produzione del film, che era italiano, avesse chiamato mio marito Riccardo Billi per occuparsi delle questioni produttive e organizzative. Quindi i produttori di Hong Kong mi contattarono attraverso l’agente e mi scelsero subito, senza nemmeno farmi un provino, anche perché il ruolo era piuttosto breve, erano appena due scene. La prima la girammo a Piazza Navona. La scena comincia con la protagonista del film Nora Miao che parla con Bruce Lee e gli dice che in Italia sono molto bravi a sedurre e a convincere le persone; mentre la ragazza parla, io flirto con gli occhi con Bruce Lee, mi alzo e gli faccio capire che sono disponibile. La seconda scena l’abbiamo girata all’Hotel Flora, dove la troupe alloggiava. Andiamo in camera, io mi spoglio… e lui scappa! La scena poi è stata tagliata perché i cinesi sono molto puritani e volevano che fosse un film per tutti e non ci dovevano essere scene di nudo. Queste poche scene ti hanno dato una grande notorietà. Ad Hong Kong e in Oriente sì. Prima che il film uscisse cominciò a circolare il mio nome, si vedevano le mie foto, quindi si era creata un’attesa attorno a me. Lo stesso era accaduto, poco tempo prima, quando avevo girato Io Cristiana, studentessa degli scandali di Sergio Bergonzelli, e Antonioni mi volle vedere per Zabriskie Point. Lo incontrai quattro volte, ma poi scelse o gli imposero un’attrice americana. Avrei dovuto fare l’hippy, ma non parlavo benissimo l’inglese, anche se il mio secondo film, Nude… si muore di Antonio Margheriti, lo avevo girato in presa diretta in inglese. Comunque, dopo un paio di mesi dalla fine delle riprese, L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente uscì ad Hong Kong ed ebbe un grande successo, tanto che i più grandi produttori locali, gli Show Brothers, mi offrirono di fare tre film, un paio dei quali con Bruce Lee. Ma a febbraio ebbi un incidente stradale e così non potei partire. Gli Shaw Brothers non si fidarono e mandarono una persona a Roma a controllare se realmente avessi avuto un incidente! In quanto tempo fu girato il film? Due settimane. Una scena e via! Giravano senza permessi: quando mai si riesce a girare dentro il Colosseo? Nessuno dava una lira a questo cinesino. Nemmeno io! Per me era un signor nessuno, anche se a Hong Kong era famosissimo. Che tipo era Bruce Lee? Fisicamente era piccolo di statura, ma sembrava di marmo. Aveva un fisico bellissimo. Caratterialmente era un po’ ombroso, stava molto sulle sue. Poi era un grande lavoratore. Mi ricordo che la mattina all’Hotel Flora faceva gli esercizi sulla spalliera del letto. Per il film fece tutto lui, la troupe infatti era composta da poche persone, tutte di Hong Kong: scriveva le scena, dirigeva, faceva vedere agli attori quello che dovevano fare. Che rapporti hai avuto con lui? Io l’ho incontrato solamente il giorno delle riprese. Dopo siamo diventati amici, andavamo spesso a cena fuori, insieme alla troupe, ovviamente in ristoranti cinesi. L’ultimo ricordo che ho di Bruce Lee è il giorno in cui finirono le riprese. La sera andammo a cena con la troupe per festeggiare, poi invitai tutti quanti a casa mia a bere un whisky e mi fermai in un bar di Piazza Navona a comprare una bottiglia perché non avevo da bere. In quel periodo andavano di moda i pantaloncini, gli hot pants, e io ne portavo un paio. Un gruppo di ragazzi fuori dal bar cominciarono a fare commenti sui miei pantaloncini, il direttore di produzione italiano, che era un po’ ubriaco, prese di petto i ragazzi e scoppiò il patatrac. Quando uscii dal bar, trovai la troupe che faceva a botte con questi ragazzi! E Bruce Lee? Era scappato con il suo amico ranger, che lo seguiva ovunque. Lo abbiamo recuperato in albergo: non poteva fare a botte, perché era troppo forte, e non voleva avere rogne perché aveva girato senza permessi. Il giorno dopo sono partiti e qualche mese dopo è morto. La troupe italiana del film. A sinistra Malisa Longo. Nella locandina in alto l’Anfiteatro Flavio per il combattimento con Chuck Norris Marzo 2008 RdC 51 MEDUSA FILM E MOTORINO AMARANTO PRESENTANO UN FILM DI PAOLO VIRZÌ ISABELLA RAGONESE MASSIMO GHINI VALERIO MASTANDREA MICAELA RAMAZZOTTI ELIO GERMANO SABRINA FERILLI www.tuttalavitadavanti.it DAL 28 MARZO AL CINEMA Il caso LA VERITA’ SU MARCO BALDINI L’altra faccia del popolare dj ne Il mattino ha l’oro in bocca. Con il volto di Germano e la regia di Francesco Patierno di Diego Giuliani U n ragazzo come tanti. Un campo desolato. Alla tempia una pistola e in mano una vanga, con cui due ceffi lo costringono a scavarsi la fossa. Da qui è cominciata la nuova vita del “giocatore” Marco Baldini, altra faccia del popolare dj e spalla di Fiorello, che per le scommesse ai cavalli ha rischiato la pelle e ipotecato lo stipendio. E da qui è cominciata anche la seconda vita di Francesco Patierno, nel 2002 rivelazione con Pater Familias, a cui due film morti sul nascere, la fossa rischiavano di scavarla davvero. Un’immagine, per dirla con lui, che “già da sola consentiva di raccontare tutto”. Di indagare l’odissea di un beniamino dell’etere, sull’orlo del baratro, proprio mentre stava conoscendo la celebrità. Ma anche di emanciparsi dal personalissimo Pater Familias, misurarsi con attori come Elio Germano e Laura Chiatti e, non ultimo, sfidare il mercato con numeri da blockbuster: circa 200 le copie con cui Medusa ha portato in sala Il mattino ha l’oro in bocca. Più che Il giocatore, Marzo 2008 RdC 53 Il caso il bel romanzo autobiografico a cui Baldini ha affidato le sue memorie, a ispirarlo è stata una chiacchierata con lui di una ventina d’ore. “A differenza del libro, non volevo fare un film sul gioco. Mi interessava di più l’avventura umana del personaggio, ma mancavano degli elementi. Per questo mi sono fatto raccontare da Marco tanti dettagli sulla sua vita privata, il suo passato, l’avventura di Firenze prima e quella di Milano poi”. Che cosa resta quindi rispetto al romanzo? Resta anzitutto l’ironia. Un filo rosso che accompagna il film anche nei momenti più drammatici. Anche i tanto vituperati ’80 ne escono alla fine vincitori. Mi ha divertito raccontare il mondo dello spettacolo e l’approccio di Fiorello e Baldini: due persone, che oggi sono numeri uno, con tutte le insicurezze e la selvaggia spontaneità che ne contraddistingueva i primi passi. Altri amarcord dallo spettacolo di quegli anni? Non aveva senso parlare di personaggi noti, mascherandone l’identità. Ci sarà quindi Claudio Cecchetto e ci sarà anche Radio Dee Jay. Non ho però mai cercato dei sosia: quelli che vedete sono i Fiorello, i Baldini e i Cecchetto “a mia immagine e somiglianza”. Il cast è di grande richiamo. Esigenze di copione o anche volontà di andare incontro al pubblico? Il cinema ha delle regole. Ovunque, per farlo, servono anche delle star. Di vere e proprie noi forse non ne abbiamo. Ci sono però attori che si stanno imponendo al grande pubblico e hanno un certo potere d’attrazione. Non è stato il mio unico criterio, ma ho cercato di sposarlo alla qualità. Laura Chiatti, che conoscevo poco, si è rivelata strepitosa e di grande talento. Martina Stella si è prestata con grande umiltà a un piccolissimo ruolo… Ed Elio Germano? Semplicemente straordinario. Pur essendoci più di 50 ruoli parlanti, poggia tutto sulle sue spalle. Soltanto lui poteva interpretare una parte così impegnativa, che passa continuamente dal dramma al registro brillante. Il prossimo film dovrebbe chiamarsi Napoli… No, no. Ho solo detto che sto prendendo appunti per quello che scherzosamente chiamo “il film della mia vita”. Un progetto ancora vago, che non sarà però il mio prossimo film. Sul blocchetto d’appunti che cosa ci è finito per ora? Ho sempre pensato a una specie di Cielo sopra a Berlino ambientato nella mia città: note di una vita intera, ma che per ora sono ancora al semplice stadio di appunti. FRATELLI D’ITALIA[NS] Germano e Scamarcio: da Luchetti al nuovo Placido, la meglio gioventù europea di Federico Pontiggia Colpo d’occhio per Scamarcio, diretto da Sergio Rubini. A destra Germano ne Il mattino ha l’oro in bocca Elio Germano e Riccardo Scamarcio, fratelli e figli unici. Un titolo rivelatore, quello del loro incontro/scontro per Luchetti: agli antipodi per recitazione e appartenenza allo star-system, insieme sono i portabandiera del cinema tricolore. Per Germano una veste letterale: lui la nostra Shooting Star all’ultimo festival di Berlino, inserito di diritto tra i nove attori emergenti dell’UE. Lanciato proprio da Mio fratello è figlio unico, che gli è valso il David di Donatello, Germano ha nel 2008 le cifre della consacrazione. Quattro Formaggi in Come Dio comanda, l’adattamento del romanzo di Niccolò Ammaniti che Gabriele Salvatores ha iniziato a girare il 4 febbraio, ha precedentemente concluso le riprese di un’altra attesissima trasposizione: Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari, dal Elio Germano e Martina Stella nel film di Francesco Patierno. Nella foto accanto il regista, in apertura Germano e Marco Baldini bestseller di Gianrico Carofiglio. Nel frattempo, in sala il suo Mattino ha l’oro in bocca, ennesimo adattamento per la regia di Francesco Patierno (vedi intervista accanto). Non è tutto: dal 14 marzo sarà in missione antagonista nella precarietà dei call center con Tutta la vita davanti, seconda collaborazione di Elio con Paolo Virzì dopo N - Io e Napoleone, mentre non manca molto neanche per (ri)vederlo “desnudo ed eroico” in Nessuna qualità agli eroi, il dramma di Paolo Franchi che lo ha portato in concorso alla Mostra di Venezia, suscitando polemiche, ma anche plausi per la sua interpretazione. Sempre nel nome della ribellione al sistema, ritornerà con Scamarcio da Michele Placido per l’annunciato Grande sogno, quello che animò le lotte studentesche del ’68, cercando di bissare con Favino e la Trinca la fortuna di Romanzo criminale. Dall’altra parte, Scamarcio non sta a guardare (immigrato ideale per The Eden is West di Costa Gavras): dal 21 marzo in sala, sarà uno scultore talentuoso e arrivista, diviso tra l’amore per Vittoria Puccini e la carriera favorita dal critico d’arte Sergio Rubini, che firma anche la regia di Colpo d’occhio. In attesa di vederlo, dal romanzo omonimo di Giuseppe Ferrandino, (ma)Scalzone in Pericle il Nero di Abel Ferrara, che lo ha già diretto in Go Go Tales, Scamarcio è con Verdone e Castellitto tra gli Italians di Giovanni Veronesi, su un set itinerante tra Roma, Marocco, Emirati Arabi e San Pietroburgo. Lo dicevamo, sia per lui che per Germano l’internazionalità è d’obbligo: Italians… Punto critico: manuale per DA NON in PERDERE ☺☺☺☺☺ CAPOLAVORO ☺☺☺☺ sopravvivere alle uscite sala ☺☺☺ BUONO ☺☺ DISCRETO ☺ DELUDENTE NON E’ UN PAESE PER VECCHI La fine è vicina: dal romanzo di McCarthy, il monito dei Coen. Strepitoso REGIA Con Genere Distr. Durata JOEL ED ETHAN COEN Javier Bardem, Tommy Lee Jones Drammatico, colore Universal 122’ Ci sono gli aiuti umanitari, ormai un’industria multinazionale, perché nel mondo la gente muore di fame ma, se gli aiuti arrivano, passano la dogana delle mazzette, a partire dall’Onu. Non vorrai mica aiutare la gente gratis. Pompieri, poliziotti, i cittadini sopravvissuti all’11 settembre o che hanno rischiato la vita per aiutare, sono ammalati, per aver resistito all’onda delle polveri, ma la legale mafia medici/assicurazioni copre tutto per evitare i rimborsi clinici e aumentare i conti milionari in banca. Con la crisi dell’industria delle armi, la pressione dei petrolieri e del terziario di ricostruzione, è meglio dichiarare che Saddam Hussein ha armi micidiali nascoste, anche se non è vero, e incominciare una guerra in Iraq versando sangue per centomila, Vincitore di 4 premi Oscar IN LA SA le famiglie, i bambini spaccati in due e i soldati che vanno con i fucili a diecimila chilometri da casa per garantire che la moglie possa comprare il nuovo Suv. Se faccio il brooker, potrei dimostrare di essere migliore di tutti e farmi dare un aumento di stipendio (per una casa con piscina e il suv più grande) cambiando gioco, rubo i soldi ai file dei colleghi, punto a modo mio e rischio, e se va male, pazienza se brucio 4,5 miliardi di euro e provoco un terremoto in borsa che fa perdere a tutti i piccoli risparmiatori pezzi di vita. “E questo schifo non smetterà. Poco ma sicuro. Non smetterà. E come farebbe a smettere?”. Già, come. La domanda dello sceriffo Bell, nel romanzo di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi si riferisce al poliziotto corrotto che “non è altro che un obbrobrio schifoso. Non c’è altro da dire. E’ dieci volte peggio del criminale”. Ma è rivolta a tutto il resto, tutto il resto che non smetterà, la corruzione per il profitto per la merce idolatrata, il sangue per la valigetta contesa a pallettoni e morti dove ci sono i dollari del traffico di droga in quell’America-mondo che, dalla pagina urtante e prosciugata, passa all’immagine estatica dei cieli limpidi e indifferenti, gli stessi cieli del “sogno” western, delle primavere di pace dei marines, della Nuova Frontiera. Quanto si sente, nel filmico dei Coen (ma, attenzione, anche in quelli di Van Sant, Sean Penn, Haggis, Scott) la disperazione della “country” lacerata nei valori perduti sotto lo stesso cielo delle promesse, dove sono saltate anche le “regole” criminali? Riuscita, la trasposizione dei Coen, proprio in questo, la messa in visione, a partire dal corsivo monologante dello sceriffo Bell del romanzo, del disfacimento, di una sua eternità, ma con le caratteristiche di un’attualità sezionata nella peripezia, iFilmDelMese JAVIER BARDEM È IL SERIAL KILLER CHIGURH Marzo 2008 RdC 57 iFilmDelMese se vogliamo anche nel “genere”, e con una data precisa di particolari disfatte, di moltiplicatori di rapacità, estorsione, tradimento. “Quando non si sente più dire ‘Grazie’ e ‘Per favore’, vuol dire che la fine è vicina, è una cosa che va a toccare ogni strato sociale, si arriva a quella sorta di crollo dell’etica mercantile che lascia la gente morta ammazzata in mezzo al deserto, e SUPERLATIVO TOMMY LEE JONES, L’ICONA FORDIANA DEL CINEMA STELLE E STRISCE allora è troppo tardi” dice Bell (Tommy Lee Jones, ormai reinventata icona fordiana del cinema americano) nelle ultime pagine di McCarthy da cui i Coen saccheggiano anche le ottime battute, trasferite spesso identiche in sceneggiatura. Nel Texas meridionale anni ‘80 (una data, un passaggio ad altro livello), tra 58 RdC Marzo 2008 praterie sterminate attraversate da giganteschi fuoristrada e duelli efferati in motel loschi, un killer psicopatico insegue un reduce del Vietnam, il cacciatore Moss, entrato in possesso di una valigetta piena di milioni. Bardem, in tuta, capelli lunghi e bombola d’ossigeno, la sua micidiale arma insospettata, è Chigurh, feticcio dei killer d’America, che cresce nel film come metafora della morte in agguato, punizione di ogni avidità e mangiatrice di se stessa. Quando spiega alla fidanzata di Moss perché la deve uccidere anche se non serve a niente, in una fosca camera da letto, si sente l’alito del Signore calvo del Settimo sigillo. L’inevitabilità, fondata anche dal controllato iperrealismo del libro, è la mano sovrana che muove la regia, l’inevitabilità di una catena inarrestabile che, per il profitto, entra in una sorta di zona metafisica del SE TI E’ PIACIUTO QUESTO FILM VEDI ANCHE: Male. E quando si avverte una certa macchinosità delle azioni, è anche il momento in cui si rivela l’irreversibilità del meccanismo di azione/reazione criminale, perché, saltate le regole, “vuol dire che la fine è vicina”. SILVIO DANESE ☺☺☺☺ Il petroliere (2007) Inside Man (2006) La promessa dell'assassino (2007) Le tre sepolture (2006) iFilmDelMese LA RABBIA I dolori di un giovane filmaker. Louis Nero denuncia, ma non convince IN LOUIS NERO Nino Rogner, Franco Nero, Faye Dunaway Drammatico, colore L’Altrofilm 104’ Realizzare un film? Un’impresa disperata. Difficoltà a reperire fondi, produttori insensibili, distributori che si danno a gambe levate, contrasti con gli sceneggiatori: è vita grama quella di un aspirante regista. Vita a pane e rabbia. Tanta rabbia, che se non canalizzata, ti porta all’autodistruzione, all’implosione artistica ed esistenziale. Ed è un Louis Nero di Rabbia quello che porta sullo schermo i dolori del giovane filmaker: non autobiografici, comunque molto privati. Effetto notte per fare metacinematografia di denuncia, ovvero portare alla luce le miserie, variamente declinate, del sistema cinema. Dalla parte di Nero, torinese, classe 1976, all’attivo tre lungometraggi (Golem, Pianosequenza, Hans), un cast all star: accanto al protagonista Nino Rogner, un popolo di cineasti con i volti di Franco Nero, Tinto Brass, Faye Dunaway, Philippe Leroy, Giorgio Albertazzi, Corso Salani, Gregorio LA SA REGIA Con Genere Distr. Durata PUNTI DI FORZA, LE MUSICHE DI BACALOV E TEARDO E CAST ALL STAR, CON FRANCO NERO E FAYE DUNAWAY Napoli, avviluppati dalla canzone originale di Luis Bacalov e dallo score ipnotico di Teho Teardo. Opera totale (Nero è regista, produttore, direttore della fotografia e montatore), La rabbia è ben girato, e non banalmente ispirato. Ma finisce qui: solipsismi d’autore, sviluppo didascalico, verbosità letteraria, ironia – e autoironia – al lumicino, il film si accartoccia su se stesso. E a far capolino è un terribile interrogativo: cui prodest? Suona l’allarme, ma è solo ordinaria amministrazione, niente scoop. Pensa lei con rammarico, sbagliando due volte. Vediamo l’ozioso prima e il terribile dopo con lunghi piani sequenza ansiogeni e sbilenchi, dalla videocamera dell’operatore, eroico nel suo stakanovismo. Di lui conosceremo solo voce e caviglie. Da Blair Witch Project e Cloverfield a Danny Boyle, la premiata ditta Balagueró-Plaza non inventa nulla, ma sa essere veloce, cattiva, adrenalinica. Condominio in quarantena e claustrofobico, uomini che lottano all’ultimo morso. Semplice ed efficace come il finale politicamente scorretto. Polizia cinica, lotta di classe, di razza, di religione. C’è tutto. Meglio di così… si muore. FEDERICO PONTIGGIA ☺☺ IN REC Macchina a mano e claustrofobia all’ultimo morso LA SA per Balagueró e Plaza, profeti dell’horror spagnolo REGIA Con Genere Distr. Durata JAUME BALAGUERÓ, PACO PLAZA Manuela Velasso, Pablo Rosso Horror, colore Mediafilm 131’ Jaume Balagueró è il nuovo profeta dell’horror spagnolo. Il ciclo Peliculas para non dormir, gli acclamati Nameless e Darkness sono dei gioielli. Unico flop Fragile, la trasferta USA con Calista Flockhart. Uccidere Ally McBeal è il sogno di molti, lui non riuscì a farlo diventare un incubo. Regista di talento, confeziona blockbuster indipendenti e con la Filmax usa questo successo per far crescere i giovani connazionali e arginare l’invasione USA. L’aria di casa gli fa bene e si vede, con quel genialoide pazzo di Paco Plaza (Second Name) sforna Rec, l’horror della porta accanto. Una giovane reporter tv, spregiudicata e coraggiosa (Manuela Velasco) è in una caserma dei pompieri, per documentarne le gesta. 60 RdC Marzo 2008 DOPO IL FLOP DI FRAGILE, RITORNO IN GRANDE PER L’ARTEFICE DEGLI AVVINCENTI NAMELESS E DARKNESS BORIS SOLLAZZO ☺☺☺ AN TE PR IM A ONORA IL PADRE E LA MADRE Tragedia formato famiglia per l’84enne Sidney Lumet. Diabolica la resa Cominciò con una rapina... Mancano pochi minuti alle otto del mattino, quando l’anziana Nanette apre la piccola gioielleria di famiglia, alla periferia di New York. Qualcuno cerca di rapinare il negozio: uno dei malfattori cade, l’altro si dà alla fuga, la donna è gravemente ferita. Dopo l’esordio “in medias res”, il film ci racconta gli antefatti dell’episodio, poi le sue conseguenze. A preparare il colpo sono stati i due figli di Nanette, Andy e Hank. Andy, il maggiore (Philip Seymour Hoffman) sembra un tranquillo uomo d’affari, sposato a una bella donna, che ama. Hank (Ethan Hawke) è separato e ha una figlia, che vorrebbe iscrivere a una prestigiosa UN ALTRO GIORNO DA CANI, CON LO STRAORDINARIO ALBERT FINNEY scuola privata. Entrambi, in realtà, sono afflitti da problemi economici, cui il “colpo” era destinato a porre riparo con la riscossione dell’assicurazione e la vendita dei gioielli rubati. Mentre la polizia indaga, l’anziano pater familias Charles (un formidabile Albert Finney) comincia a intuire cose diverse dalla verità ufficiale. Dopo mezzo secolo di carriera nel cinema, Sidney Lumet ritrova buona parte della forma di un tempo. Il suo nuovo film evoca alla memoria Quel pomeriggio di un giorno da cani, ma senza la nota grottesca: somiglia in tutto e per tutto, invece, a una tragedia familiare. E’ con i toni propri della tragedia che il destino incombe sui personaggi: un destino con la “d” minuscola, però, poiché non sono divinità malvage e oscure a condurli verso la rovina, bensì precise responsabilità individuali. Il titolo REGIA Con Genere Distr. Durata SIDNEY LUMET Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke Drammatico, colore Medusa 105’ originale, Before the Devil Knows You’re Dead, si riferisce a un detto irlandese che suona: “Cerca di andare in paradiso mezz’ora prima che il diavolo sappia della tua morte”: titolo “demoniaco”, incombente e terribile, assai più efficace del pur accettabile Onora il padre e la madre. Per trasmetterci il senso di questa ineludibile fatalità, Lumet adotta una struttura a-cronologica, mostrando punti di vista diversi per illuminarci sulle ragioni del crimine. L’effetto è raggiunto, in simultanea con quello di stringere sempre più il cerchio intorno ai due fratelli. L’articolazione dei tempi narrativi è sapiente; forse perfino troppo, col rischio, a momenti, di far sentire un eccesso di “scrittura”. ROBERTO NEPOTI ☺☺☺☺ Novembre 2007 RdC 61 iFilmDelMese IL PETROLIERE Day-Lewis e il capolavoro di Anderson: epica scolpita nel tempo e negli spazi REGIA Con Genere Distr. Durata PAUL THOMAS ANDERSON Daniel Day-Lewis, Paul Dano Drammatico, colore Buena Vista 158’ Avidità, misantropia e duello di fede sulle tracce del mercante d’oro nero di Upton Sinclair IN SA LA Buio e polvere. Rocce e petrolio. Scorrerà sangue, annuncia il titolo originale del film (There Will Be Blood) e la promessa è mantenuta: Daniel Plainview – un Daniel Day-Lewis monumentale (vincitore di Oscar, Golden Globe e Bafta) – cerca minerali pregiati e trova l’oro nero. Ai primi del ‘900 mette su una società, insieme al figlio (non suo) di nemmeno dieci anni (l’esordiente Dillon Freasier), e quando un giovane sconosciuto, Paul Sunday (Paul Dano), gli rivela che a Little Boston, cittadina sperduta nell’arida California, dove il ragazzo vive insieme alla famiglia, c’è un oceano di petrolio che aspetta solamente di essere trivellato, l’uomo non esita a raggiungere il luogo indicato: acquista tutto (o quasi) il terreno circostante, promettendo prosperità, istruzione e pane quotidiano alla piccola comunità, devota ai dogmi del giovane pastore Eli Sunday (ancora Paul Dano, qui alla sua prova più convincente) – almeno sulla carta fratello di Paul (che non comparirà mai più) – ma al tempo stesso solleticata all’idea di nuove, materiali prospettive. Mese dopo mese, senza cedere alle lusinghe della Standard Oil, il petroliere costruisce il suo denso e viscoso impero: il figlio ci rimetterà l’udito, un presunto fratellastro (Kevin O’Connor) venuto da chissà dove la vita e il predicatore invasato – il cui tornaconto personale sarà molto più chiaro con gli anni a venire – la dignità della propria, declamata fede. È nella gestione di un’epica, magniloquente e meschina vicenda SE TI E’ PIACIUTO QUESTO FILM VEDI ANCHE: 62 RdC Marzo 2008 I giorni del cielo (1978) Rapacità (1924) Il gigante (1956) Non è un paese per vecchi (2007) Vincitore di 2 premi Oscar individuale, nella capacità di contenere in quasi tre ore un racconto che poteva durarne nove e, soprattutto, nel labilissimo equilibrio in cui riesce a far muovere contemporaneamente corpi e spazi infiniti (molte scene girate a Marfa, stessa cittadina texana utilizzata dai Coen in Non è un paese per vecchi e, cinquantuno anni prima da George Stevens per Il gigante), resi immortali dalle luci di Robert Elswit (Oscar alla fotografia) che Paul Thomas Anderson porta a compimento il suo vero, indiscusso capolavoro: ex enfant prodige (realizzò Boogie Nights a 27 anni, Magnolia a 29) già acclamato a livello internazionale, il regista californiano si ispira al romanzo di Upton Sinclair (Oil!, del 1927) e riesce laddove – nei film precedenti – intrecci, coralità, salti temporali e ritorni non erano arrivati. Progressione lineare, scandita dallo scorrere degli anni (1898, 1902, 1911, 1927), centralità del personaggio – Daniel Plainview, uomo d’incredibile avidità e fermezza, capace di mettere il figlio su un treno perché la sordità intralcia la propria ascesa, ma anche di farsi “battezzare” nel “sangue dell’agnello” purificatore pur di ottenere il beneplacito per costruire un condotto in un’area che ancora non gli appartiene (sono gli anni che cambieranno per sempre gli Stati Uniti rurali nella società capitalista, e oligarchica, che conosciamo) – e il sibilo di una sirena in lontananza, acuto di una colonna sonora magmatica e miracolosa (firmata dal Jonny Greenwood chitarrista dei Radiohead), per introdurre e contrappuntare uno dei film più importanti degli ultimi tempi, sorretto da un Daniel Day-Lewis imprescindibile, probabilmente l’unico attore in grado di non rendere ridicola la scena madre (“Sono un falso profeta e Dio è solo una superstizione”, farà urlare al reverendo arrivista) che conclude, ovviamente nel sangue, la parabola della sua vicenda. “Dedicato alla memoria di Robert Altman”. Candidato a 8 premi Oscar – tra cui miglior film e miglior regia – è stato il grande sconfitto dell’80a edizione degli Academy Awards. VALERIO SAMMARCO ☺☺☺☺☺ Marzo 2008 RdC 63 iFilmDelMese IL CACCIATORE DI AQUILONI Occasione persa per immergersi nel romanzo di Hosseini. Sterile la trasposizione di Forster A IM PR TE AN REGIA Con Genere Distr. Durata MARC FORSTER Khalid Abdalla, Homayon Ershadi Drammatico, colore Filmauro 131’ “Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente”. Una delle prime frasi di Khaled Hosseini ne Il cacciatore di aquiloni. Straziante, essenziale e cruda come solo la vita sa essere. Best seller a scoppio ritardato e capolavoro, racconta l’amore, l’amicizia, persino la politica e la storia, attraverso la parabola di un Afghanistan violentato da sempre. Russi, americani, talebani, imperialismi malati che hanno tentato di schiacciare un popolo fiero, aggettivo inteso nell’accezione dell’orgoglio come in quello della ferocia. Ma se Hosseini, americano di origini afgane, caccia aquiloni, il regista Marc Forster va per farfalle. Del libro capisce poco, rendendolo un melodramma da feuilleton, proprio lui, il raffinato regista di un gioco di vita e finzione come Stranger than fiction. E’ tanto felice nella scelta degli attori, dei visi (Khalid Abdalla, Atossa Leoni, i vecchi FELICE SCELTA DEGLI ATTORI, MA REGIA E NARRAZIONE SONO BANALI E SBRIGATIVE amici Shaun Toub e Homayoun Ershadi) quanto sbrigativo nella narrazione e nella regia, senza guizzi. Lì dove Hosseini smorzava il dolore con poesia, approfondimento, descrizione, Forster prende furbe e superficiali scorciatoie, nella parte centrale come nel finale banalizzato. Un’occasione persa per immergersi in un romanzo che è autobiografia personale, generazionale, culturale ma anche affresco emotivo e storico. Noi occidentali presuntuosi e/o paternalisti, continuiamo a non capire gli altri. Li giudichiamo e basta. Smutniak, a cui Del Monte chiede tantissimo: immediatezza, naturalezza e semplicità, per portare sullo schermo una liaison pericolosa, perché prosaicamente normale. Tira e molla, strappi e affondi, dipartite e rentrée, un’unica certezza: l’amore disperato che unisce Mavi e Teo, così disperato da non curarsi nemmeno di buchi di sceneggiatura, incongruenze drammaturgiche e salti spazio- temporali da sci-fi sentimentale. Poco male, rispetto ai canoni del nostrano giovanilismo cinematografico, Nelle tue mani è una piacevole e – purtroppo innocua estroversione: un film che un po’ se ne frega (anche della coerenza…), sociopatico, non allineato ai tanti furbetti del cinemino tricolore. BORIS SOLLAZZO ☺ A IM PR TE AN NELLE TUE MANI Low-budget, HD e tormenti: gli effetti sentimentali di Peter Del Monte REGIA Con Genere Distr. Durata PETER DEL MONTE Kasia Smutniak, Marco Foschi Drammatico, colore Teodora Film 100’ “Tormentatissima storia d’amore tra due non ventenni, cosa rara nel panorama cinematografico italiano, Nelle tue mani nasce dalla mia predilezione per personaggi femminili instabili: rifletto sul rapporto tra l’ordine e il caos, con un astrofisico abituato a esplorare l’ignoto cosmico e una donna, Mavi, che irrompe nella sua vita con la violenza di un meteorite”. Parola di Peter Del Monte, che torna a girare in alta definizione vent’anni dopo il pioneristico Giulia e Giulia. Distribuito da Teodora, prodotto da Roberto e Mattia Levi, budget inferiore ai 700mila euro, regista e attori senza cachet, Nelle tue mani è interpretato da Marco Foschi (astro teatrale, Fame chimica al cinema) e la quasi-deb Kasia 64 RdC Marzo 2008 MARCO FOSCHI E KASIA SMUTNIAK CONTRO I “FURBETTI DEL CINEMINO” ITALIANO FEDERICO PONTIGGIA ☺☺☺ AN TE PR IM A NESSUNA QUALITA’ AGLI EROI Trama e stile su binari paralleli: delude il “borghese” Paolo Franchi Dopo la convincente Spettatrice, Nessuna qualità agli eroi non sfugge alla “maledizione” – molto italiana… dell’opera seconda: Paolo Franchi confeziona un film non riuscito, imbrigliato da un’attitudine estetizzante che quasi mai trova conforto nella sceneggiatura. Storia di estrazione e ambientazione borghese, due sono i protagonisti: Bruno Ledeaux (Bruno Todeschini), in cattive acque finanziare e affettive (il nonrapporto con la moglie Anne/Irène Jacob), e Luca (Elio Germano), figlio “problematico” del banchiere-usuraio nelle cui mani è finito Bruno. Coproduzione italo-svizzera (per il nostro Paese l’ITC Movie di Beppe PUGNI IN TASCA E PSICOSI, ELIO GERMANO FUORI PARTE Caschetto), Nessuna qualità agli eroi lavora sui personaggi con una costruzione a incastro e a specchi (Luca, Bruno e i rispettivi assenti genitori), assemblando un microcosmo poco verosimile. Stante l’annosa - e molto italiana… incongruenza borghese di fatti e situazioni, a lasciare sconcertati è l’atonia che lega le reazioni “emotive” dei personaggi, che nella pioggia e nell’algidità torinese trovano uno sfondo dal quale non si staccano se non per “strappi” sessuali o repentine crisi. Viceversa, musica e rumori - da dimenticare il design sonoro, quasi mai così enfatico e nonsense nel nostro recente cinema “d’autore” lasciano presagire cambi e colpi di scena che puntualmente deludono le aspettative. Ma ancora il film sarebbe REGIA Con Genere Distr. Durata PAOLO FRANCHI Elio Germano, Bruno Todeschini Drammatico, colore BIM 102’ recuperabile, se l’ostinata singolarità e difformità di inquadrature, tagli e prospettive non si risolvesse costantemente in sterile esercizio di stile, assolutamente indifferente al “momento storico”. Sul fronte delle interpretazioni, se Todeschini e la Jacob paiono uniformarsi - ed è un male - al canovaccio di Franchi (sceneggiatore con Daniela Ceselli e Michele Pellegrini), l’”eroico” Elio Germano è fuori parte, condannato in una camicia di forza anespressiva da cui non fa abbastanza per liberarsi, tenendo la patta aperta, ma i pugni in tasca. Qualcuno all’estero ha evocato Antonioni, ma fortunato quel cinema che non ha bisogno di eroi... FEDERICO PONTIGGIA ☺☺ Marzo 2008 RdC 65 iFilmDelMese IN SA LA IL FUTURO NON E’ SCRITTO JOE STRUMMER IN SA LA Punk is not dead: il leader dei Clash vive. Nell’ottimo documentario di Temple FORSE DIO E’ MALATO Africa vera tra musica e miseria REGIA Genere Distr. Durata REGIA Genere Distr. Durata JULIEN TEMPLE Documentario, Colore Ripley’s Film 119’ Joe Strummer vive. Il frontman del gruppo punk rock The Clash, scomparso 50enne il 22 dicembre 2002, è protagonista di Il futuro non è scritto - Joe Strummer diretto dall’inglese Julien Temple. Nato per far conoscere le sue idee ai 17enni che oggi non sanno chi sia, The Future Is Unwritten è “una veglia per accompagnarlo al suo eterno riposo”, confessa Temple. Già assiduo collaboratore dei Sex Pistols, portati sullo schermo con Oscenità e furore, e più in generale legato a doppio filo al mondo musicale (Glastonbury), il filmaker si è ispirato al programma radiofonico di Strummer London Calling, che dal ‘98 al 2002 tenne sintonizzati 40 milioni di ascoltatori su BBC World Service, e sui suoi leggendari falò a Strummerville. Risultato? Un rock-doc raccontato attorno al fuoco dagli amici di Joe, tra cui lo stesso regista, che per primo ha avuto accesso agli archivi personali del musicista. Basso continuo rock, folk, reggae, cumbia, bhangra, dub, rap e gli altri generi esplorati dal poliedrico Strummer, il film è scandito dalle “hit” dei Clash, come Rock the Casbah – che finì scritta su una bomba Usa in Iraq, 68 RdC Marzo 2008 con sommo dispiacere di Strummer - e Should I Stay or Should I Go?, e poi dei Mescaleros. In primo piano, non solo il musicista, ma anche l’attore, il regista e il pensatore, grazie ad animazioni, vignette, disegni, quadri, appunti di suo pugno, nonché scene dalla Fattoria degli animali e 1984, cari allo Strummer che odiava il Grande Fratello e quel Tony Blair che ha riempito l’Inghilterra di telecamere a circuito chiuso. Tra chi lo ricorda non mancano le celebrità: Jim Jarmusch e John Cusack, che con Strummer divisero il set, Martin Scorsese (Toro scatenato deve tanto ai Clash, ipse dixit), Johnny Depp e Bono, confessi debitori della creatività di Joe. Indubbio punto di forza, Il futuro non è scritto evita l’agiografia per fornire di Strummer un ritratto sincero, senza occultarne depressione, fuga e miserie, che stride “con il maledettismo romantico dei recenti Kurt Cobain e Joy Division cinematografici”. L’uomo dietro l’artista, sintetizzeremmo con una frase fatta, ma davvero – ricorda Temple – quello di Strummer e Johnny Rotten (Sex Pistols) fu “il punk che esaltò l’uomo, che rivoluzionò il panorama musicale per distogliere i giovani dalla fredda ammirazione delle star”. Punk is (not) dead. LO RICORDA ANCHE MARTIN SCORSESE: ”TORO SCATENATO DEVE TANTO A JOE” FRANCO BROGI TAVIANI Docufiction, colore Istituto Luce 90’ “In Africa l’obiettivo non è essere felici, ma sopravvivere. Ma è una guerra. E l’Africa può perderla, per sempre”. Così scriveva Walter Veltroni nel suo diario di viaggio (ed. BUR – Biblioteca Universal Rizzoli) che ora dà il titolo al nuovo docu-film di Franco Brogi Taviani, deciso ad intraprendere lo stesso cammino fatto dall’autore del libro, contrappuntando nel percorso le musiche (curate da Giuliano Taviani e Carmelo Travia), arricchite di vocalità e sonorità nere dal senegalese Badaraseck e cantate dalla giovanissima sudafricana Siya Makuzeni, giovane cantante sudafricana. È questo, come dice il regista, il “contrappeso creativo e fantastico” di un realismo tragico e senza speranza: Mozambico, Angola, Uganda, Senegal, Camerun e Sud Africa si offrono allo sguardo comunque mai pietistico del documentarista, testimone di un dolore che non può, non deve essere ignorato. Quasi 26 milioni le persone malate di Aids, 15 milioni i bambini per questo rimasti orfani, senza contare quelli “accusati di stregoneria” o che – costretti dall’indigenza – “lavorano” immergendosi nelle montagne di rifiuti in discariche a cielo aperto per recuperare e rivendere residui di ferro: è negli occhi di uno di loro, trampoliere per gioco su due barattoli di lamiera, che Franco Brogi Taviani vorrebbe ci specchiassimo, ricordandoci una volta di più che, proprio come disse un prete di fronte a tanta miseria, tanto orrore, forse in Africa Dio è davvero malato. FEDERICO PONTIGGIA VALERIO SAMMARCO ☺☺☺☺ ☺☺☺ AN TE PR IM A SA LA IN LE CRONACHE DI SPIDERWICK Fantasy dark divertente e brillante Ispirato alla serie di libri di Tony DiTerlizzi e Holly Black, Le cronache di Spiderwick racconta di una madre che, dopo la separazione dal marito, torna con i suoi tre figli a vivere nella profonda provincia americana nella semi-abbandonata dimora di famiglia. La foresta e la casa iniziano ad essere popolate di strane e buffe presenze: quando un incantesimo sarà sciolto, la lotta per un libro di memorie del Dottor Spiderwick dà il via ad una vera e propria guerra. Divertente e brillante storia fantasy dalle venature dark, il film è impreziosito dalla convincente interpretazione di Freddie Highmore, sdoppiato per interpretare due gemelli. MARCO SPAGNOLI IN SA LA ☺☺☺ PROSPETTIVE DI UN DELITTO Ottimi interpreti per un esperimento non del tutto riuscito REGIA Con Genere Distr. Durata PETE TRAVIS Dennis Quaid, Forest Whitaker Thriller, colore Sony Pictures 90’ Sensibilmente influenzato dallo stile narrativo di 24 e vagamente ispirato alle suggestioni di Rashomon, Prospettive di un delitto racconta alcune ore di una giornata diversa da tutte le altre. Quella in cui, durante un vertice mondiale a Salamanca, in Spagna, il Presidente degli Stati Uniti subisce un attentato apparentemente fatale in grado di fermare il processo di pace e la lotta internazionale al terrorismo. Una manciata di minuti raccontati e rivissuti seguendo punti di vista differenti: quello degli agenti del servizio di sicurezza, quello di un turista americano capitato lì per caso, quello di un poliziotto spagnolo e quello di un gruppo di spietati attentatori. Variazione sul tema del cinema di genere legato agli attentati al Presidente degli Stati Uniti, il film è complessivamente interessante, con dei momenti di ottimo cinema d’azione che risultano, però, compromessi da una trama troppo sbrigativa e semplicistica. Ingegnoso, ma talora farraginoso nello sviluppo, Prospettive di un delitto è esperimento interessante che fonda la sua forza su un ottimo cast, ma che avrebbe dovuto dare maggiore spazio all’approfondimento psicologico dei personaggi per dirsi pienamente riuscito. MARCO SPAGNOLI ☺☺ TUTTA LA MIA VITA IN PRIGIONE Una (stra)ordinaria ingiustizia Mumia Abu Jamal è nel braccio della morte da quando è nato William Francome, 25 anni, protagonista e cosceneggiatore di Tutta la mia vita in prigione. Mumia, black panther, giornalista (troppo) indipendente e sostenitore della comune Love (sterminata “legalmente” con una bomba gettata da un elicottero!), ha nel ragionevole dubbio l’unica certezza del suo processo. Una storia di (stra)ordinaria ingiustizia. Viaggio nell’America profonda, nella Philadelphia di Rocky, che con il primato di violenza repressiva istituzionale ne è lo specchio fedele e preoccupante. Regia ridondante, ma il film è un urlo contro ogni forma di discriminazione. MESSA IN SCENA STILE 24. MANCANO PSICOLOGIA E BORIS SOLLAZZO SPESSORE DEI PERSONAGGI ☺☺☺ Marzo 2008 RdC 69 OK Telecomando Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore Via col vento Naturalmente belli: dal Popolo migratore alla Marcia dei pinguini, il battito animale in cofanetto Marzo 2008 RdC 71 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Alessandro Scotti 90 anni da cam Compleanno deluxe per la United Artists. Battezzata da Chaplin, la sua storia in una collezione da K.O. 72 RdC Marzo 2008 pioni Molti talenti passati da quelle parti: Leone, Allen, Altman, Coppola e De Palma 30 TITOLI IN MONSTER BOX Novant’anni di vita, costellata di grandi successi, innovazioni, titoli memorabili, parabole ascendenti, crisi profonde e gloriose rinascite. Le radici e la storia della casa che ricomincia a respirare con Leoni per agnelli di Redford celebrati in un monster box che finisce per essere una breve storia del cinema americano di studios. Da La battaglia di Alamo a Toro scatenato i titoli sono trenta: Marty vita di un timido, La parola ai giurati, A qualcuno piace caldo, L’appartamento, I magnifici sette, West Side Story, 007 Licenza di uccidere, La grande fuga, La pantera rosa, La più grande storia mai raccontata, Hair, Chitty Chitty Bang Bang, Il caso Thomas Crown, I lunghi giorni delle aquile, Un uomo da marciapiede, Il violinista sul tetto, Rocky, Io & Annie, Orizzonti di gloria, 007 La spia che mi amava, Rain Man, 007 Goldeneye, Piume di struzzo, Wargames-Giochi di guerra, Alba Rossa, New York New York, Manhattan e La maschera di ferro. > DISTR. 20TH CENTURY FOX A rianimarla è stata la Metro-Goldwyn-Mayer, nel 2006. Precisamente il 2 novembre. Con una partnership che vorrebbe essere la versione attuale dell’assai più blasonata di novant’anni fa. La United Artists è il “talent-friendly studio run by filmmakers for filmmakers”: è nel 1918 – con l’avvento del sonoro ancora da venire – che quattro personaggi di spicco del panorama cinematografico americano cominciano a formulare l’idea di fondare una compagnia di distribuzione e, perché no, di produzione: si tratta di Charlie Chaplin, dell’attrice Mary Pickford, di Douglas Fairbanks e del giovane D.W. Griffith. Lo studio destinato a diventare una colonna portante del tempio hollywoodiano vede la luce il 5 febbraio dell’anno successivo. Lo spirito di grande famiglia che animava gli artisti della United si rivelò vincente, attirando professionisti di primo livello. Eastwood, Leone, Allen, Altman, Bertolucci, Fellini, Coppola, De Palma... ci sono passati tutti. Una crisi profonda la condusse poi sull’orlo della bancarotta (Heaven’s Gate di Michael Cimino fu un disastroso flop), e la United Artists si limitò all’attività di sola distribuzione. Fino a due anni fa, quando il testimone dei fondatori è stato raccolto da Tom Cruise e Paula Wagner. Come dire che in novant’anni, all’indipendenza degli artisti si è sostituita la libertà dei potenti... telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore La classe dei classici A CURA DI BRUNO FORNARA GLI IMPLACABILI DI RAOUL WALSH CON CLARK GABLE, JANE RUSSELL (1955) DISTR. 01 DISTRIBUTION ITALIANI A CONFRONTO Mazzacurati e Soldini: impegno e integrazione La giusta distanza è quella raccomandata a un giovane cronista rispetto ai fatti e ai personaggi in cui s’imbatte. E’ quella prudente lontananza che tempera l’indifferenza mirando all’oggettività. Eppure la misura di questa distanza, tanto in Mazzacurati quanto in Soldini (Giorni e nuvole) – impegnati a mettere in scena il nuovo tessuto sociale italiano, entrambi alla Festa di Roma – fa rima con l’empatia che traspare da un tratteggio che scava in profondità. Così è per il diciottenne aspirante giornalista che osserva nascere la storia d’amore fra la maestra elementare arrivata nel Polesine e tale Hassan, meccanico tunisino ben integrato. Ma una tragedia solleva dubbi sulla condizione dell’immigrato, sollecitando una riflessione sulla nuova Italia multietnica. Così è per Elsa e Michele, le cui agiate esistenze sono scosse dall’improvvisa perdita del lavoro. Emerge allora il dramma della labilità di ogni sicurezza, di una sospensione che costringe drammaticamente a guardarsi dentro. Gli implacabili (The Tall Men) comincia con una scena e una battuta famose. Le montagne innevate del Montana. 1866, la guerra civile è appena finita. Due uomini a cavallo, i fratelli Ben e Clint Allison. Solitari e disperati, dice la didascalia. Hanno combattuto, e perso, tra le file sudiste nella terribile e cruenta battaglia di Gettysburg. Cercano una nuova vita. Questa è «a story of tall men and long shadows», una storia di grandi uomini e lunghe ombre (le ombre lunghe della guerra?). I due avanzano a fatica nella neve alta. Quando alzano la testa, vedono davanti a loro un albero ischeletrito con un impiccato che pende da un ramo. Clark Gable fa segno al cadavere e dice: «Pare che ci stiamo avvicinando alla civiltà». Raoul Walsh, magnifico raccontatore di storie, ha diretto qualcosa come 130, 140 film. Di ogni genere. Molti sono western. Gli implacabili è uno dei suoi western più gustosi, che sa anche di commedia. Con mandria e indiani. Con Jane Russell che sogna di incontrare «un uomo che gira il mondo e ha di che comprarselo». Con Clark Gable che, al contrario, fa «solo sogni piccoli». Grandi uomini, grande schermo del Cinemascope, grandi paesaggi, grande e “naturale” regia di Walsh. Spettacolarità non solo come pretesto: i risultati contano più dell’innovazione DISTR. FLAMINGO VIDEO Film in orbita SUGGERIMENTI TV DAL MONDO SATELLITARE DI FEDERICO PONTIGGIA INTRIGO A BERLINO (Joi) Dalla premiata ditta Steven Soderbergh e George Clooney, una spy-story in bianco e nero postmoderno. Calda cinefilia e guerra fredda, per ricordarci com’eravamo. Surplus l’intrigante Cate Blanchett. MIAMI VICE (Steel) DISTR. WARNER HOME VIDEO Michael Mann non perdona: alta definizione d’autore per resuscitare sul grande schermo il suo Miami Vice. Con i detective Jamie Foxx e Colin Farrell, la cubana d’eccezione Gong Li e le musiche dei Mogwai. Per spettatori “viziati”. ANNA MAGNANI (Sky Cinema Classics) A 100 anni dalla nascita di Nannarella, il 7 marzo un omaggio con il collettivo Siamo donne (1953), Carosello del varietà con Totò e Fabrizi (1955) e il documentario Anna Magnani – Ritratto d’attrice. Nostalgia canaglia. 74 RdC Marzo 2008 EFFETTO SPECIALE Zemeckis mitologico Aronofsky metafisico e Kyashan in HD Che gli effetti speciali facciano la parte del leone, non è raro. Che però non siano solo un pretesto lo è molto meno. Per Zemeckis e la sua Leggenda di Beowulf diventano l’occasione per affrontare, come fosse un giro di montagne russe, la mitologia nordica. Per Darren Aronofsky, interessato al senso ultimo della vita, sono lo strumento per mettere in scena la metafisica. In Giappone sono il mezzo per dare movimento ai manga, e con Kyashan la Dolmen sbarca nel mercato dell’HD. Mentre per Spielberg (in cofanetto) sono un modo di narrare. In tutti i casi più che l’innovazione contano i risultati. NATURAL BORN CINEMA “Animalie” doc: una fauna da compilation Nuovo vigore produttivo del genere documentario dalla metà degli anni ‘90. Una vitalità che nel documentario di realtà sociale ha portato a una rivoluzione radicale delle tecniche narrative e del rapporto fra realtà e finzione. La stessa vitalità ha investito il documentario di argomento naturalistico con produzioni rivoluzionarie. Jacques Perrin, con un ultraleggero e la tecnica dell’imprinting, si mischia ai suoi soggetti e ne ripercorre i percorsi migratori per anni (Il popolo migratore); così come nel precedente Microcosmos i registi/biologi Claude Nuridsany e Marie Pérennou si erano immersi nell’universo dei microrganismi. In un cofanetto, assieme a Profondo Blu, ambientato negli abissi; La marcia dei pinguini, e Genesis, una compilation della varietà del mondo animale. DISTR. LUCKY RED Meteore in sala Casa dolce casa per flop al botteghino IL PASSATO KYASHAN LA RINASCITA DISTR. DOLMEN L’ALBERO DELLA VITA DISTR. 20CENTURY FOX JURASSIC PARK – LA TRILOGIA DISTR. UNIVERSAL LA LEGGENDA DI BEOWULF DISTR. WARNER HOME VIDEO La separazione per Babenco: nostalgia di un amore che agisce per detrazione attraverso un passato sempre presente. DISTR. DOLMEN THE MATADOR Sicario prezzolato e businessman disperato si scontrano a Città del Messico. Complicità maschile per Pierce Brosnan e Greg Kinnear. DISTR. MEDIAFILM IL RISVEGLIO DELLE TENEBRE Fantasy bretone con l’ennesimo teenager, impegnato contro le forze del male. Alla Harry Potter, senza essere Harry Potter. DISTR. 20TH CENTURY FOX FACE ADDICT Edo Bertoglio e la riscoperta della “Downtown Scene” di New York ‘70/’80: per raccontare Basquiat, Keith Haring e Jim Jarmusch. DISTR. SHAKE EDIZIONI Marzo 2008 RdC 75 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore PRIME VISIONI Doppia Elizabeth, fatine e LUCE SU BELLOCCHIO cioccolato, Yuma e Akin Il regista piacentino in cofanetto: film, documentari ed extra ELIZABETH – THE GOLDEN AGE Cofanetto per la saga di Elizabeth targata Shekhar Kapur. I due film sono: quello che fece conoscere il regista 10 anni fa e The Golden Age (in HD). Gli extra non si contano. Riedizione voluta dall’Istituto Luce, e ricca di extra, per quattro dei film (più due documentari, uno diretto da Stefano Incerti) di uno fra i più impegnati registi italiani tutt’ora in produzione. Attento osservatore delle dinamiche socio-politiche nostrane, critico, ostinatamente anticonformista e a tratti sarcastico; lo sguardo di Bellocchio è quello asciutto e puntuale di chi ha manifestato con costanza l’urgenza di un confronto serrato con la realtà che lo circonda. Da Nel nome del padre (girato nei primi anni ’70) al più recente documentario Addio del passato, passando per progetti scomodi come quello de La condanna. Il regista mette in scena con alto carico simbolico, mai convenzionale. Gli interventi degli extra, le interviste e gli approfondimenti con lo stesso regista, lo psicanalista Fagioli, attori e critici completano un quadro articolato della produzione di un artista coerente. DISTR. UNIVERSAL WINX – IL SEGRETO DEL REGNO PERDUTO 2 dischi: backstage come lo vorrebbero le fan, videoclip con karaoke e gioco a quiz per la fata della fiamma del drago e le compagne del Winx Club. Il tutto a colpi di glitter. DISTR. 01 DISTRBUTION QUEL TRENO PER YUMA L’originale è di cinquant’anni fa e gli stilemi sono rimasti gli stessi: con l’ambiente che vale quanto i personaggi, l’epica e la morale. Un film d’altri tempi. DISTR. ISTITUTO LUCE DISTR. MEDUSA LEZIONI DI CIOCCOLATO Parabola di redenzione per un “lavoro, guadagno, pago, pretendo” del settore edile, ricattato da un operaio extracomunitario vittima di un incidente sul lavoro. Social leggero. Talento in gioco LA SAI L’ULTIMA? Sequenze da indovinare: con Scenelt un cinequiz da Xbox I punti di contatto tra cinema e videogames sono sempre più preponderanti e SceneIt ne è chiara dimostrazione. Disponibile su Xbox 360, il titolo propone al giocatore oltre 1800 domande, grazie alle quali fino a quattro persone possono confrontarsi in 21 tipi differenti di quiz, alcuni dei quali molto originali come quello di indovinare il nome del film dai titoli di coda. Non manca la possibilità di scaricare, direttamente dall’interno del gioco, nuove domande per espandere l’esperienza di gioco. In un periodo nel quale lo sciopero degli sceneggiatori USA ha messo a serio rischio alcune produzioni (chi ha detto DISTR. UNIVERSAL AI CONFINI DEL PARADISO Lost?), con SceneIt possiamo dimostrare che la nostra cultura cinematografica, presente e passata, è più che valida. Per saperne di più visitate http://www.multiplayer.it ANTONIO FUCITO Gioco d’incastri, onesto ancorché ingarbugliato, per l’autore de La sposa turca. Al suo quarto film Fatih Akin prosegue nel percorso di analisi dei rapporti fra la Turchia e Germania. DISTR. 01 DISTRBUTION 76 RdC Marzo 2008 WARNER BROS. PICTURES e CATTLEYA presentano mo R e A u Gie& BCalcEtto l’Abc della vita moderna CLAUDIO BISIO FILIPPO NIGRO CLAUDIA PANDOLFI ANDREA DE ROSA CHIARA MASTALLI e con ANGELA FINOCCHIARO un film di LUCA LUCINI dal 28 marzo al cinema www.amorebugieecalcetto.it WARNER BROS. PICTURES e CATTLEYA presentano una produzione CATTLEYA un film di LUCA LUCINI "AMORE, BUGIE E CALCETTO" con CLAUDIO BISIO FILIPPO NIGRO CLAUDIA PANDOLFI ANDREA DE ROSA CHIARA MASTALLI MAX MAZZOTTA ANDREA BOSCA MARINA ROCCO PIETRO SERMONTI e con GIUSEPPE BATTISTON e con ANGELA FINOCCHIARO soggetto di FABIO BONIFACCI e LUCA LUCINI sceneggiatura di FABIO BONIFACCI casting FRANCESCO VEDOVATI aiuto regia ALESSIO MARIA FEDERICI costumi SABINA MAGLIA scenografia MARCO BELLUZZI suono TIZIANO CROTTI montaggio FABRIZIO ROSSETTI musiche GIULIANO TAVIANI fotografia MANFREDO ARCHINTO produttore esecutivo LUIGI PATRIZI produttore esecutivo Cattleya MATTEO DE LAURENTIIS produttore delegato FRANCESCA LONGARDI prodotto da RICCARDO TOZZI GIOVANNI STABILINI MARCO CHIMENZ regia di LUCA LUCINI telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI Questione di tempi Le abitudini del pubblico cambiano: per garantire maggior afflusso in sala, doveroso rivedere gli orari degli spettacoli Secondo Aurelio De Laurentiis si guadagnerebbero immediatamente almeno 10 milioni di spettatori; in che modo? Semplicemente modificando gli orari degli spettacoli cinematografici. Nelle grandi città dove normalmente sono in programma quattro spettacoli giornalieri, le proiezioni si svolgono di solito attorno alle 16, alle 18, alle 20 e alle 22,30. Si tratta di orari stabiliti all’epoca dell’austerity, codificati da contratti di categoria, per cui gli straordinari per i dipendenti delle sale cinematografiche partono successivamente alle ore 24. Ma nel frattempo le abitudini del pubblico si sono molto modificate. Fino ad una ventina d’anni, almeno nei giorni feriali, 78 RdC Marzo 2008 l’ultimo spettacolo garantiva oltre la metà dell’incasso giornaliero. La proiezione delle 22,30 era insomma di gran lunga la più frequentata. Oggi non è più così; come rilevato anche da una recente indagine promossa dal dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, quasi la metà del pubblico dichiara di preferire il penultimo spettacolo. In effetti, come tutti gli esercenti hanno avuto modo di verificare, oggi è lo spettacolo delle 20 quello che fa registrare il maggior numero di presenze. Ma per molte categorie di spettatori la proiezione delle 20 è difficilmente raggiungibile, comincia insomma troppo presto. D’altra parte la proiezione successiva termina troppo tardi per chi, la mattina dopo, per motivi di lavoro e di studio, è obbligato a svegliarsi presto. Risultato molti potenziali spettatori rinunciano a frequentare la sala. L’orario ideale indicato dalla maggior parte del pubblico sarebbe attorno alle 21/21,30, non a caso coincidente con l’inizio degli spettacoli dal vivo, (prosa, danza, concerti), che, svolgendo una sola rappresentazione al giorno, hanno ovviamente scelto l’orario più comodo per i propri appassionati. Non è difficile capire le motivazioni delle preferenza di uno spettacolo attorno alle nove di sera. Questo orario, infatti, consentirebbe a molte categorie di poter tornare a casa al termine della giornata lavorativa, mangiare un boccone e poi uscire. Inoltre chi usa i mezzi pubblici per recarsi al cinema avrebbe in questo modo la possibilità di servirsene anche al termine della proiezione, mentre chi utilizza un proprio mezzo di trasporto potrebbe mettersi in viaggio per raggiungere il cinema, quando il traffico metropolitano si è ormai diradato. Che si continuino ad utilizzare orari che non soddisfano più le richieste della maggioranza dei consumatori è semplicemente assurdo ed antieconomico. In poche parole, sono gli orari che devono adeguarsi alle esigenze del pubblico e non viceversa. Perché il cinema, anziché fissare gli orari degli spettacoli partendo a AUMENTARE LE OPPORTUNITA’ PER GLI SPETTATORI: AUSPICABILI PROIEZIONI SERALI ALLE 21.00-21.30 ritroso dalla conclusione dell’ultima proiezione attorno alle 24, non cadenza i propri tempi su uno spettacolo forte da svolgersi a partire dalle 21/21,30? Finalmente anche i diretti interessati hanno iniziato a porsi questa domanda e il dibattito che ha coinvolto esercenti, distributori e produttori, ha già prodotto alcuni esperimenti che hanno subito dato risultati positivi. A Roma, la principale piazza cinematografica italiana, fra gennaio e febbraio, approfittando dell’uscita di un gruppetto di film di durata superiore alla media, come Lussuria, American gangster, Cous Cous, Into the wild, tutti film di lunghezza superiore alle due ore e mezza, che non consentono lo svolgimento dei tradizionali quattro spettacoli giornalieri, molte sale hanno deciso di proporre uno spettacolo, compreso fra le 21 e le 22, che è stato assai gradito dagli spettatori. Insomma l’impressione è che non si possa continuare a vendere il cinema esattamente come trenta anni fa e per ciò che riguarda gli orari oggi sia necessario una maggiore flessibilità e diversificazione. Premesso che le esigenze del pubblico sono molto diverse fra Nord e Sud, fra metropoli e provincia, fra feriali e festivi, e che è necessario tenere conto anche dei cambiamenti climatici delle stagioni, in estate la notte è molto più viva e frequentata, appurato che esistono film diversi per pubblici diversi e quindi non si possa immaginare una formula valida per tutte le circostanze, è comunque auspicabile soddisfare maggiormente le richieste, abituando il pubblico a consultare i tamburini prima di recarsi al cinema. Ad esempio, non corrisponde ad alcuna logica il fatto che film che oggi nelle metropoli arrivano ad occupare contemporaneamente decine di schermi vengano programmati in tutte le sale, spesso vicinissime fra loro, in orari se non proprio identici, molto simili. Non c’è dubbio che più aumentano le opportunità, più aumentano gli spettatori; vogliamo provare a servirli meglio? CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI Le ragioni degli altri Davide Rossi Dare ascolto a tutti: parola del presidente Univideo L’avvocato Davide Rossi festeggia il 1 aprile i suoi dieci anni di lavoro con Univideo, Associazione di categoria che rappresenta gli editori audiovisivi italiani. Da Segretario Generale a Direttore e, da quattro anni, Presidente. Impegno importante, per un lavoro fatto di diplomazia, lobbismo, ma anche di attenzione alle esigenze degli associati. Lavorare per un’associazione di categoria: cosa significa? Le associazioni come Univideo seguono a 360° un settore industriale come quello legato al Dvd e, in passato, al VHS. Da un lato si forniscono servizi agli associati, dall’altro si tutela la loro rappresentanza. Analisi di mercato e assistenza legale su tematiche comuni: una circolare di un ministero, ad esempio, viene interpretata in maniera unitaria per tutti i soci. E la rappresentanza? Il presidente di un’associazione è incaricato di raccogliere la comune volontà dei soci e di portare queste istanze a tutti i livelli: agli enti pubblici, nelle trattative con altre realtà e nei ISTRUZIONI PER L’USO confronti degli spettatori/consumatori. Se viene messa in cantiere una nuova legge sulla censura, noi cerchiamo di contribuire portando la nostra esperienza e le nostre aspettative nei confronti della normativa. Quali le difficoltà principali? Prima di ogni cosa, è opportuno ascoltare tutti e non soltanto le ragioni degli associati più importanti. Bisogna dare attenzione sempre alla ragioni di tutti, tentando di conciliarle tra loro. “Evitare i litigi: dialogo e diplomazia pilastri del nostro lavoro” Un consiglio a chi vuole tentare questa strada? Armarsi di grande pazienza ed evitare discussioni e litigi. Cercare gli accordi è sempre molto più difficile. Dialogo e diplomazia sono i pilastri del nostro lavoro. Negoziare è durissimo, raramente si fanno contenti tutti, ma resta di sicuro l’elemento più affascinante di una trattativa. Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine SAPER DIRE DI NO “Bisogna sapere dire di ‘no’ anche agli associati. Altrimenti si corre il rischio di rimanere sommersi da troppe aspettative e molte critiche”. ULTIMUS INTER MAIORES Davide Rossi si definisce non “primus inter pares”, bensì “ultimus inter maiores” (l’ultimo tra persone di maggior riguardo). SU INTERNET www.univideo.org www.aepoc.org www.confindustria.it http://it.wikipedia.org/wiki/ Lobbismo Marzo 2008 RdC 79 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore Nell’impero di Lynch Doppio sguardo per raggiungere le strade perdute del cineasta americano, con evoluzioni di genere e maestri della macchina da presa DI GIORGIA PRIOLO MONOGRAFIE SUL VELLUTO Inesauribile Lynch. A un anno dall’uscita di INLAND EMPIRE, arrivano in libreria due nuove monografie brevi sul più discusso regista americano vivente. Prima lezione del corso di cinema di Paolo Berretto: “Quanti hanno visto almeno un film di David Lynch?”, poche mani alzate nella strapiena aula della Sapienza. “Ma se non vedete Lynch, mi domando cosa vedete”. Speriamo che gli studenti e molti altri recuperino il tempo perso, magari guidati dalla raccolta di saggi David Lynch, a cura di Paolo Berretto (Marsilio, pagg. 174, € 12,00). Un saggio per ogni film, seguendo la linea del Lynch più sperimentale e antinarrativo: Eraserhead, Velluto blu, Fuoco cammina con me, Strade perdute, Mulholland Drive, INLAND EMPIRE. Per i molti che già amano Lynch, il bel saggio di Luca Malavasi, David Lynch – “Mulholland Drive” (Lindau, pagg. 240, € 18,50) propone una lettura originale, interpretando la complessa opera come la storia di una caduta e una sconfitta, “un requiem laico per la realtà e le illusioni del mondo contemporaneo”. 80 RdC Marzo 2008 TRA HORROR E FANTASCIENZA I generi cinematografici, più che contenitori rigidi, sono territori in costante evoluzione. Ne è consapevole Daniela Catelli che, nel riproporre Ciak si trema – guida al cinema horror (Costa&Nolan, pagg. 225, € 16,40), non solo aggiorna la filmografia fino a Grindhouse di Tarantino e Rodriguez, ma ripensa il genere a partire dalla prefazione alla nuova edizione. Neofiti o nati dopo il 1980 non lasciatevi sfuggire questa guida per temi, scritta con humour e entusiasmo da una vera appassionata. Per chi ama la fantascienza, esce Nell’occhio, nel cielo – Teoria e storia della fantascienza (Lindau, pagg. 450, € 26,00) di Brandirali e Terrone. Un saggio completo, che analizza 800 titoli da Méliès alla serie TV Taken. Forte di uno sguardo trasversale tra cinema, TV e Second Life, l’approccio degli autori è più filosofico che storico, con buone analisi del linguaggio filmico. Un volume imperdibile sul genere che più di tutti ha influenzato l’immaginario contemporaneo. HITCHCOCK O GODARD? Dopo i volumi dedicati a Welles, Allen e Kubrick, l’editore minimum fax continua a svelarci i segreti dell’opera e della poetica dei grandi registi attraverso le loro parole. Escono, infatti, altre due interessanti raccolte di scritti per lo più inediti. La prima seleziona una ventina di interviste ad Alfred Hitchcock, Io confesso – Conversazioni sul cinema allo stato puro (pagg. 320, € 15,00). Anche se, avendo letto la leggendaria intervista di Truffaut, pensate di sapere già tutto sul maestro del brivido, troverete personali riflessioni sul cinema e nuovi aneddoti sui suoi film. Dedicata all’autore degli autori, Jean-Luc Godard, è invece la raccolta Due o tre cose che so di me – Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande (pagg 320, € 14,50). Regista-saggista e instancabile teorico, Godard rivela in queste conversazioni, discorsi, improvvisazioni da conferenza stampa aspetti inediti del suo pensiero. SEGNI DI HERZOG In occasione della mostra e retrospettiva sull’opera di Werner Herzog, in corso al Museo Nazionale del Cinema di Torino, Il Castoro pubblica un bellissimo volume monografico sul grande regista tedesco: Segni di vita – Werner Herzog e il cinema (pagg. 312, € 30,00). È più di un catalogo, riccamente illustrato con le straordinarie foto della mostra e corredato di una completissima filmografia. L’elemento prezioso del volume è l’intervista fiume, a cura di Grazia Paganelli, con un uomo che affascina non solo per la sua opera, ma anche per la vita avventurosa ed estrema, che ha prodotto capolavori come Fitzcarraldo e Aguirre Furore di Dio, e allo stesso tempo per la lucidità visionaria, che ha saputo creare in sala di montaggio, con materiali di recupero, film imprescindibili come L’ignoto spazio profondo e Grizzly Man. Ma la conversazione va oltre l’aneddotico ed entra nel cuore della visione di Herzog, ricordandoci che il modo in cui viene realizzato un film non è mai casuale ma è una scelta etica prima ancora che estetica. Filosofia sulle immagini Pensieri e saggi di Jacques Rancière LOACH E HAYNES La collana Le Nuvole di Feltrinelli continua a portare in libreria il cinema di qualità. È la volta di Io non sono qui di Todd Haynes (€ 16,90) e In questo mondo libero… di Ken Loach (€ 17,90) entrambi reduci dei premi veneziani. Due film di ottimo livello, accompagnati da due libri che forse da soli non potrebbero trovare spazio in libreria, ma risultano comunque un corredo interessante di approfondimento ai film. Il cofanetto “Haynes”, infatti, oltre ad un secondo dvd di extra ricco di interviste al cast (ma manca la coppa Volpi Cate Blanchett!), contiene il libro D’amore e misantropia, a cura di Alessandro Carrera, una piccola antologia di scritti su e di Bob Dylan con una bella discografia aggiornata. Il cofanetto “Loach” invece include un libro legato al tema del film, Libertà precarie, antologia di testi a cura di Benedetta Tobagi con firme di ottimo livello, da Maurizio Maggiani ad Aldo Nove e una bella intervista al regista di Paola Piacenza. IL DESTINO DELLE IMMAGINI Jacques Rancière ed. Luigi Pellegrini, € 15,00 DI SERGIO PERUGINI Nel 2003 viene pubblicato in Francia Le destin des images del filosofo Jacques Rancière, professore emerito di Filosofia all’Université Paris VIII e autore di numerosi saggi di filosofia politica, di estetica e cinema (tra gli studi sul cinema va ricordato La favola cinematografica, ma anche i molti interventi pubblicati sui «Cahiers du cinéma» e su «Trafic»). In Italia Le destin des images è stato da poco tradotto (Il destino delle immagini) per Luigi Pellegrini Editore nella collana Frontiere. Oltre il cinema, diretta da Roberto De Gaetano, autore tra l’altro del denso testo introduttivo Il “regime estetico” delle immagini. Il libro è una raccolta di saggi, rivisti e aggiornati, che il filosofo francese ha proposto in alcune conferenze o pubblicazioni tra il 1999 e il 2002. Rancière espone una serie di suggestioni filosofiche sull’immagine, sull’immagine cinematografica e sul cinema stesso, estendendo tuttavia il suo orizzonte d’analisi anche alla pittura, al design e alle forme attuali dell’audiovisivo. Un susseguirsi di riflessioni teoriche – con costanti riferimenti ad autori come Godard (nella foto, molto citato, soprattutto per le sue Histoire(s) du cinéma), Deleuze, Flaubert, Mallarmé, solo per menzionarne alcuni – che prolungano e rinnovano il dialogo, da tempo fitto e articolato, tra il cinema e la filosofia. Marzo 2008 RdC 81 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Ermanno Comuzio Visti da vicino PALLOTTOLE SPUNTATE Accozzaglia black per American Gangster Al gangster americano degli anni ‘70 corrisponde una colonna sonora America anni ’70. Facile. Circola così in American Gangster di Ridley Scott un sapore costante di musica metropolitana “di colore” molto seventies, con richiami potenti a Isaac Hayes e a un jazz-rock che comprende blues, R & B, soul, fino al rap. American Gangster è pieno di musiche di riporto, alcune scelte per l’evidente richiamo all’epoca, altre per i riferimenti ai contenuti (Only The Strong Survive per il mondo spietato e violento, Back To Bangkok Blues per i perversi traffici di Frank Lucas nel Vietnam). Con il ricorso a Louis Armstrong e ai Beatles. Musica onnipresente, interni ed esterni, azione o dialogo; sempre l’horror vacui domina sovrano. Responsabile è il giovane musicista Marc Streitenfeld, non certo fra i colossi del settore. Aveva firmato la musica del precedente film di Ridley Scott, Un’ottima annata, ma pare abbia svolto un ruolo subordinato, più di Per tutti i gusti IL PETROLIERE Una costola dei Radiohead, il chitarrista Jonny Greenwood, per Il petroliere di P.T. Anderson. Musiche a tutto pathos, che contrappuntano questo “quarto potere” degli idrocarburi. Con (troppa) enfasi. 82 RdC Marzo 2008 music supervisor che di autore di musiche originali. Streitenfeld esce dalla factory di Hans Zimmer, vera e propria fabbrica di musica e di musicisti per il cinema e la televisione: si realizza così l’esigenza propria della contemporaneità di produrre suoni applicati ai media, non più soltanto confinati nei teatri e nelle sale da concerto, ma talvolta si esagera con l’industrializzazione. Risulta così che in American Gangster si sia lontanissimi da quello che dovrebbe essere l’assunto di una vera musica per il cinema: produrre unità ontologica fra suono e immagine. C’è un solo momento in cui ciò che si sente diventa protagonista assieme a ciò che si vede: Lucas esce di chiesa e trova il poliziotto pronto ad arrestarlo. La sequenza è retta da un canto religioso, contrappunto lancinante e definitore della doppiezza di questo gangster elegante, impeccabile, affettuoso con i suoi, e tanto efferato, finto osservante dei comandamenti e finto gentiluomo. di Federico Pontiggia IL TRENO PER IL DARJEELING E’ Satyajit Ray il locomotore del treno sonoro di Wes Anderson. Il regista newyorkese omaggia e saccheggia il celebre collega indiano, con pregevoli estroversioni: The Kinks e i Rolling Stones di Play With Fire. World music? LA RABBIA Teardo – e una canzone originale di Bacalov – per l’opera terza di Louis Nero. Che punta in alto, a partire dallo score, onirico e straniante. Premiato agli ultimi RDC Awards, Teardo conferma il suo valore. Con rabbia…