Il libro di Chiara Meta è un libro di grande interesse, direi anche un
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Il libro di Chiara Meta è un libro di grande interesse, direi anche un
Gramsci e il pragmatismo Recensione di Guido Liguori Vi è stato un tempo in cui gli interpreti di Gramsci si dividevano fra coloro i quali privilegiavano la formazione del giovane (o giovanissimo) Gramsci, e quelli che, all’opposto, puntavano i riflettori sul “leninismo” dell’autore dei Quaderni, cioè sul suo incontro prima con la Rivoluzione d’Ottobre e poi con il pensiero di Lenin, soprattutto negli anni 1922-1923, quando il comunista sardo soggiornò in Unione Sovietica, frequentò i vertici del comunismo internazionale e vide da vicino lo sforzo di riflessione anche autocritica in cui erano impegnati i bolscevichi con la Nep. Da tempo è invece maturata la convinzione che il pensiero di Gramsci, la sua originalità e peculiarità, il suo marxismo, la sua filosofia della praxis, vengono proprio dal fecondo incontro con il leninismo da parte di una formazione culturale pregressa, in gran parte non marxista. Una formazione giovanile che non era solo – come a lungo si è ripetuto – nel rapporto con Croce e/o con Gentile, ma con una molteplicità di sollecitazioni culturali per lo più riassumibili nella cultura antipositivistica che si affermò in Italia nei primi tre lustri del Novecento: oltre al neoidealismo, gli studi di glottologia e le riviste fiorentine, Bergson-Sorel e Gaetano Salvemini, Antonio Labriola, Einaudi persino. E il pragmatismo. Il ruolo del pragmatismo nella cultura del giovane Gramsci è di grande importanza, come testimonia ora anche la ricerca di Chiara Meta, autrice del primo studio specifico sul tema: Antonio Gramsci e il pragmatismo. Confronti e intersezioni (Firenze, Le Càriti Editore, 2010, pp. 260). Il lavoro documenta molto bene le varie strade tramite cui il pragmatismo incise sia nella cultura italiana del tempo, sia nella formazione del giovane Gramsci, e poi nel suo sistema di pensiero maturo, quello dei Quaderni, dove si dispiega una elaborazione originale rispetto a cui il pragmatismo appare esterno e sottoposto a giudizio (teorico e storico), ma dove maturità e originalità sono pure figlie di quelle lontane ma profonde influenze culturali, che non del tutto erano andate perdute e con le quali il confronto restava aperto. L’influenza del pragmatismo sul giovane Gramsci è molteplice: essa va dall’affermarsi in Italia e in Europa del pragmatismo made in Usa (soprattutto quello di James), al pragmatismo italiano, che giustamente l’autrice distingue tra quello più serio e meditato di Vailati e Calderoni, e quello “magico”, agitatorio, irrazionale, confuso anche, di Papini e Prezzolini. Indagando quegli anni e quella cultura, il libro ha il merito di ricostruire alcuni momenti importanti dell’Italia intellettuale del tempo, non mancando anche di attirare l’attenzione su personaggi misconosciuti, come Giulio Cesare Ferrari (traduttore di James e figura-chiave per l’introduzione del pragmatismo in Italia), o su momenti poco studiati della formazione gramsciana, quali i corsi di Annibale Pastore su Labriola, che Gramsci segue nel 1914-1915. Ma è soprattutto l’epistemologia di Vailati, secondo l’autrice, che entra profondamente in ballo nella formazione di Gramsci: Vailati appare rilevante per categorie che saranno centrali ancora nel Gramsci maturo – quali quelle di previsione, ideologia, senso comune, conformismo, traducibilità. Nei Quaderni, nella ridefinizione del marxismo, nella elaborazione nuova della filosofia e della politica che vi troviamo, questi e altri temi restano segnati dal confronto con il pragmatismo, in primo luogo con James e con Vailati. Tutto il versante “pedagogico”, della teoria della personalità e della “concezione dell’uomo”, ad esempio, su cui l’autrice si sofferma e che riveste un ruolo centrale nell’elaborazione 2 politico-filosofica di Gramsci, sarebbe di difficile comprensione senza il rapporto con il pragmatismo. Ma anche il tema centrale dell’“americanismo” trae dalla riflessione sulla “filosofia americana” per eccellenza stimoli fondamentali per la messa a punto della galassia teorica costituita dalla teoria dell’ideologia, del senso comune e del conformismo. C’è da chiedersi se la stessa fortuna che il pensiero gramsciano incontra oggi nel mondo anglofono non sia in qualche misura dovuto alla consonanza che quest’ultimo avverte con alcuni elementi di pragmatismo rimasti, sia pure rielaborati, nell’autore dei Quaderni. Leggendo nel libro di Meta la polemica di Vailati contro il “monocausalismo” del marxismo, ad esempio, viene facile ricordare che uno dei principali studiosi ed esponenti del pragmatismo statunitense contemporaneo, Cornel West, che si è definito tra l’altro «un pragmatista neogramsciano», ha scritto – in una sua fortunata storia del pragmatismo, The American Evasion of Philosophy. A Genealogy of Pragmatism – che Dewey era antimarxista perché condannava il marxismo in quanto monocausale, ma se avesse conosciuto Gramsci, antieconomicista e antideterminista, avrebbe forse giudicato positivamente il suo peculiare marxismo. West si riferisce alla questione dei “fattori” (per dirla con Labriola) che determinano l’ordinamento sociale e il processo storico. Secondo il marxismo “ortodosso”, dal fattore economico discende tutto il resto della realtà storico-sociale. Secondo il pragmatismo invece – per dirla con il Dewey di Libertà e cultura – «l’economia, la morale, l’arte, la scienza, e così via, sono soltanto altrettanti aspetti dell’azione reciproca di un certo numero di fattori, ognuno dei quali agisce sugli altri e riceve l’influenza degli altri». Gramsci sicuramente è e resta marxista, e mai rinnega la centralità dell’economico. Tuttavia la sua dialettica, il concetto stesso di “blocco storico”, la concezione del rapporto struttura-sovrastruttura, lo allontanano da una spiegazione “monocausale” della realtà. Come il Dewey che, rifiutando tale spiegazione, afferma «il pluralismo» dei fattori, di contro alla «necessità e [al]la ricerca di un’unica legge che comprend[a] tutto». Su un altro piano, anche l’“antiessenzialismo” della filosofia pragmatista – e di tanta parte della filosofia contemporanea in lingua inglese – rende a essa vicino l’autore dei Quaderni. Vi è un rifiuto della metafisica: sia il marxista Gramsci che i pragmatisti non si dicono né idealisti né materialisti proprio perché rifiutano completamente la metafisica e l’essenzialismo. Si può ipotizzare che proprio la consonanza di Gramsci con alcune posizioni teoriche del pragmatismo, in parte anche dovuta al suo giovanile nutrirsi delle tematiche e delle filosofie pragmatiste, abbiano facilitato nell’ultimo ventennio la penetrazione di Gramsci nel mondo culturale anglofono. È una questione non secondaria. Anche per questa via le tematiche che il libro affronta e delucida non sono solo storia filosofica, ma anche strumento per comprendere il panorama culturale e teorico contemporaneo.