Giulio Cesare Shakespeare - Accademia Teatrale Veneta
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Giulio Cesare Shakespeare - Accademia Teatrale Veneta
WILLIAM SHAKESPEARE GI ULI O CESARE Trag ed i a i n 5 at t i Trad u zi o n e e n o t e d i Go ffred o Rap o n i Ti t o l o o r i g i n a l e: “JULIUS CAES AR”. NOTE PRELIMINARI 1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello del prof. Pet er Al ex an d er (Wi l l i am Sh ak es p eare, “Th e co mp l et e Wo r ks ”, Co l l i n s , Lo n d o n & Gl as g o w, 1 9 6 0 ), co n q u al ch e v ari an t e s u g g eri t a d a al t ri t es t i , s p eci al men t e q u el l o p ro d o t t o d al Fu rn i v al l p er l a “Ea r l y En g l i s h Text S o ci et y”, l ’ed i zi o n e d el l ’“Ar d en S h a kes p ea r e” e l a p i ù recen t e v ers i o n e d el l ’“Oxf o r d S h a kes p ea r e”, cu rat a d a G. Tay l o r e G. Wel l s p er l a “Cl aren d o n Pres s ” d i Ox fo rd (USA), 1 9 9 4 . 2 ) Al cu n e d i d as cal iniziativa, laddove esse comprensione dell’azion essenzialmente ordinata ie gl e s ed sono state aggiunte dal traduttore di sua i sono sembrate necessarie, per la migliore cenica alla lettura, cui questa traduzione è intesa. 3 ) Al l ’i n i zi o d i ci as cu n a s cen a, i p ers o n ag g i s o n o i n t ro d o t t i co n i l ri t u al e “En t er ” d el t es t o (“En t ra” o “En t ran o ”), co n l ’av v ert en za che tale didascalia non implica che i personaggi debbano intendersi s emp re n el l ’at t o d i en t rare fi s i camen t e i n s cen a al l ’i n i zi o d el l a stessa; è possibile che l’azione richieda che essi vi si trovino già, in u n q u al u n q u e at t eg g i amen t o . La reci p ro ca v al e p er l ’i n d i cazi o n e “Exi t ”/ “Exeu n t ” (“Es ce” / “Es co n o ”) al l a fi n e d el l a s cen a: co me n el l a terza scena del II atto. 4) Il metro è l’endecasillabo sciolto, intercalato d come l’abbia richiesto al traduttore lo scorrere della ve Per citazioni, canzoni, cabalette, proverbi ed altro s’è metro secondo che, in accordo col testo, l’abbia suggerito di uno stacco nello stile. a settenari, rseggiatura. usato altro la necessità 5 ) Trat t an d o s i d el l a Ro ma d i Ces are, i n i t al i an o l a fo rma d el “tu” (i Romani non ne conoscevano altra) è sembrata imperativa, ad onta del dialogante alternarsi dello “you” e del “thou” dell’inglese. 6) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di altre traduzioni precedenti dalle quali ha preso in prestito parole, frasi e interi costrutti, dandone opportuno credito in nota. PERSONAGGI GIULIO CESARE OTTAVIO CESARE MARCO ANTONIO M. EMILIANO LEPIDO Tri u mv i ri d o p o l a mo rt e di Cesare CICERONE PUBLIO POPILIO LENA Senatori MARCO BRUTO CASSIO CASCA TREBONIO LIGARIO DECIO BRUTO CINNA METELLO CIMBRO Co n g i u rat i co n t ro Gi u l i o Cesare FLAVIO MARULLO Tri b u n i d el l a p l eb e ARTEMIDORO Un INDOVINO CINNA Un al t ro p o et a sofista di Cnido LUCILIO TITINIO MESSALA CATONE i l Gi o v an e VOLUMNIO Ami ci d i Bru t o e Cas s i o VARRONE CLITO CLAUDIO STRATONE LUCIO DARDANIO Servi di Bruto PINDARO CALPURNIA PORZIA servo di Cassio moglie di Cesare moglie di Bruto poeta Sen at o ri , Ci t t ad i n i , Gu ard i e, Sch i av i , ecc… S CENA: A Ro ma , p er mo l t a p a r t e d el d r a mma ; i n d i p r es s o S a r d i e p r es s o Fi l i p p i . ATTO PRIMO S C EN A I Un a v i a d i Ro ma En t r a n o FLAVIO e MARULLO, i n co n t r a n d o a l cu n i p o p o l a n i FLAVIO - Vi a d i q u a, s faccen d at i , a cas a, a casa! Si fa vacanza? È forse dì di festa? No n s ap et e ch e i n g i o rn o d i l av o ro è vietato alla gente di mestiere d’andare in giro senza il distintivo d el l a s u a p ro fes s i o n e? Qu al è i l tuo? 1 ° CITTADINO - Io faccio il falegname. FLAVIO - E dove l’hai il tuo pelle? Ed i l t u o reg o l o ?… facendo così agghindato pe come andassi a una grembiul di E che vai r le vie di Roma festa? (Al 2 ° Ci t t a d i n o ) E tu, compare, che mestiere fai? 2 ° CITTADINO - Beh, io, a dirla franca, a confronto ad un artigiano fino, sarei quel che si dice un capponaio. MARULLO - Rispondi a tono: che mestiere fai? 2 ° CITTADINO - Un mes t i ere, s i g n o re, che spero di poter esercitare con tranquilla coscienza, questo è certo; rammendator di suole sfasciate(1). MARULLO - E che mestiere è questo, vil mariuolo, che razza di mestiere? 2 ° CITTADINO - Oh , Di o , s i g n o re, per carità, non ti scomporre tanto! Per quanto, poi, se proprio ti scomponi, io posso sempre darti un’aggiustata(2). MARULLO - Che intendi dire, pezzo d’insolente? Tu rag g i u s t are me? 2 ° CITTADINO - Certo, signore. Di co meg l i o : p o t rei racci ab at t art i . MARULLO - Al l o ra s ei u n ci ab at t i n o . O n o ? 2 ° CITTADINO - A dirla franca, sì, non vivo d’altro, che del lavoro fatto con la lesina. No n m’i mp i cci o d ’affari d i mercanti o femmine; ma solo della lésina (3). Potrei chiamarmi, insomma, come dire… un chirurgo di scarpe malandate: le risano, se sono in gran pericolo (4). Col lavoro che m’esce dalle mani han camminato le più illustri teste ch’abbian calzato suole di corame. FLAVIO - E per quale ragione hai disertato oggi la bottega, e te ne vai per le strade di Roma alla testa di tutta questa gente? 2 ° CITTADINO - Eh , s i a d et t o fra n o i , l a mi a ragione è far ch’essi consumino i calzari, così procaccio più lavoro a me… No , n o … p arl an d o p ro p ri o seriamente, il motivo per cui facciamo festa è p er an d are a v ed er Gi u l i o Ces are e gioire anche noi del suo trionfo. MARULLO - Gi o i re, v o i … d i Ces are?… Perch é? Che conquiste riporta a Roma Cesare? Qu al i n emi ci , v i n t i ed i n cat en e, s’è trascinato, a piedi, fino a Roma, ad ornare le ruote del suo carro (5)? Ma Pompeo, sciocchi cuori di pietra, macigni più della materia inerte, figli degeneri di questa Roma, Pompeo, l’avete già dimenticato? Qu an t e v o l t e v i s i et e arramp i cat i sulle mura, sul sommo degli spalti, sulle torri, sui vani di finestre e perfino sull’alto di comignoli, coi vostri figli in braccio, e lì seduti in attesa paziente siete rimasti pure un giorno intero pur di veder passare il gran Pompeo per le strade di Roma? E quante volte, visto spuntar da lontano il suo carro, avete alzato tutti insieme un urlo, e co s ì fo rt e ch e l o s t es s o Tev ere s’è visto fremer tutto nel suo letto al sentir risuonar tra le sue sponde concave l’eco dei vostri clamori? Ed o ra v i ag g h i n d at e t u t t i a fes t a, e vi prendete un giorno di vacanza, e cospargete di fiori il cammino di chi vuol celebrare il suo trionfo s u l s an g u e d i Po mp eo ?… To rn at e a casa! E pregate in ginocchio i sommi dèi che vogliano stornar dal vostro capo la peste che dovrebbe ricadervi per tanta vostra bieca ingratitudine. FLAVIO - Sì, andate, miei bravi cittadini, andate a rimediare a questa colpa; radunatevi in quanti più potete del vostro ceto, e andate in riva al Tev ere, e versatevi dentro tante lacrime da far che il più sommerso dei suoi flutti salga a lambire il sommo della sponda. (I popolani escono tutti, sparpagliandosi) Ecco , h ai v i s t o ? Li h a v i n t i l’emozione, tempre di stagno! Si son dileguati in silenzio, la coda fra le gambe, la lingua incatenata dal rimorso. Ora t u v o l g erai d a q u el l a p art e, per la strada che mena al Campidoglio; io dirigo i miei passi da quest’altra. Se vedi statue drappeggiate a festa, spogliale tutte. MARULLO - Ma possiamo farlo? Og g i , l o s ai , s i cel eb ran o a Ro ma i ri t i Lu p ercal i (6 ). FLAVIO - No n i mp o rt a. Le s t at u e d i Ces are, t ro fei non ne devono avere. Io vado attorno a scioglier quanta gente vedo in crocchio; tu fa’ lo stesso: tutte queste penne che strapperemo dall’ali di Cesare lo forzeranno a volare più basso; altrimenti si libra troppo in alto, fino a sparire alla vista degli uomini, e a mantenerci tutti sotto a lui in un servile stato di paura. (Es co n o ) S CENA II Ro ma , u n a p i a z z a Fa n f a r a . En t r a n o i n co r t eo , CES ARE, ANTONIO, q u es t i i n a r n es e p r o n t o per la corsa, CALPURNIA, PORZIA, DECIO, CICERONE, BRUTO, CAS S IO e CAS CA; d i et r o u n a g r a n f o l l a , i n mez z o a l l a q u a l e u n INDOVINO CESARE - Calpurnia! CASCA - Ol à, s i l en zi o ! Parl a Cesare! (Ces s a l a mu s i ca ) CESARE CALPURNIA CESARE - ANTONIO - Calpurnia!… Ecco mi , s o n q u i , s i g n o re. Ap p en a An t o n i o i n i zi erà l a co rs a, cerca di metterti sul suo percorso… An t o n i o ! Cesare, signore mio… CESARE - No n t i s co rd are, d u ran t e l a co rs a, di toccare Calpurnia con la mano; ché secondo che dicono gli anziani, le donne sterili che son toccate in questa corsa sacra, si scrollano di dosso il maleficio dell’infecondità(7). ANTONIO - Lo t errò a men t e. Cesare deve solo dir: “Fa’ questo”, ed è fatto. CESARE - Va b en e, p ro s eg u i amo . No n s i t ras cu ri al cu n a ceri mo n i a. (Ri co mi n ci a l a mu s i ca ) INDOVINO - Cesare! CESARE - Chi mi chiama tra la folla? CASCA - Silenzio, olà! Si spenga ogni rumore! CESARE - Chi m’ha mezzo? Ho s en t i t più squil suoni, che m’ha Che parli ascolta. chiamato per nome, là in o una voce, lante di tutti questi gridato: “Cesare!”. ! Cesare è qui che INDOVINO - Temi g l ’i d i d i marzo ! CESARE - Chi è quell’uomo? BRUTO - Un i n d o v i n o , Ces are; ti dice di temer gl’idi di marzo. CESARE - Che venga qui, voglio vederlo in faccia. CASSIO - Ami co , v i en i fu o ri d al l a fo l l a, e presèntati a Cesare. (L’Indovino viene portato innanzi a Cesare) CESARE - Ch e mi s t av i d i cen d o ? Vu o i ripeterlo? INDOVINO - Temi g l ’i d i d i marzo . CESARE - È un visionario! Si lasci andare e si prosegua. Av an t i ! (Fa n f a r a . Es co n o t u t t i , t r a n n e BRUTO e CAS S IO) CASSIO - Tu n o n v ai ad as s i s t ere al l a co rs a? BRUTO - Io, no. CASSIO BRUTO - Vacci , t i p reg o . No n mi p i ac No n h o g u s t o p er i d i v ert i me No n s o n o co me An t o n i o : mi manca il modo suo di star allegro. Ma non intendo ostacolarti, Cassio, nei desideri tuoi. Perciò ti l e. nti. e ascio. CASSIO - Bruto, è da un po’ che ti vado osservando: mi par di non trovar più nel tuo sguardo quella mostra d’umana gentilezza e d’affetto che t’era abituale. Ti en i u n a man o t ro p p o d i s t accat a e fredda sull’amico tuo, che t’ama. BRUTO - No n l as ci art i i n g an n ar dall’apparenza, Cassio; se noti un velo nel mio sguardo, il turbamento che mi vedi in volto è rivolto soltanto su me stesso. Da q u al ch e t emp o s o n o t o rmen t at o da passioni in conflitto, da pensieri che son rivolti soltanto a me stesso, e che offuscano, forse, in qualche modo, il mio comportamento verso gli altri. Ma di ciò non si debbono dar pena i miei migliori amici, nel novero dei quali sei tu, Cassio; né diano a certa mia trascuratezza altro senso se non che questo Bruto, in guerra con se stesso, poveretto, dimentica le usuali sue maniere d ’affet t o v ers o g l i al t ri . Tu t t o qui. CASSIO - Al l o ra h o mo l t o mal e i n t erp ret at o finora, Bruto, i moti del tuo animo; sì da tener sepolti nel mio petto, senza osare di fartene partecipe, gravi pensieri, degne riflessioni. Ma dimmi, Bruto: sai guardarti in faccia? BRUTO - No , Cas s i o . L’o cch i o n o n v ed e s e stesso che per riflesso, attraverso altre cose. CASSIO - È vero; ed è un peccato, Bruto, che tu non abbia un tale specchio che rifletta dinnanzi all’occhio tuo il tuo valore interno, sì che tu possa mirare in esso la tua immagine. Ho u d i t o mo l t a g en t e d i ri g u ard o a Roma - tranne l’immortale Cesare che parlando di Bruto e lamentandosi del giogo impostoci da questi tempi, hanno auspicato che il nobile Bruto si potesse vedere coi suoi occhi. BRUTO - In quali rischi vorresti cacciarmi, Cassio, con questo stare a domandarmi di cercare in me stesso qualche cosa che non c’è? CASSIO - Bene, allora, Bruto, ascolta: siccome sai che non ti puoi vedere perfettamente, se non per riflesso, io mi faccio tuo specchio, ed umilmente mi sforzerò di rivelarti in breve quel che di te tu non conosci ancora. E non aver su me nessun sospetto, nobile Bruto; ché se tu sapessi ch’io fossi un beffatore da strapazzo, o uno uso a invilir l’amicizia col profferirla al primo che mi càpita coi soliti melensi giuramenti; o uno uso ad adulare il prossimo con grandi abbracci, per poi dirne male, o a profondersi in voti d’amicizia all’intera congrega, nei banchetti, allora sì che avresti ben ragione di ritenermi per uomo malfido. (Fa n f a r e e g r i d a d a l l ’i n t er n o ) BRUTO - Che voglion dire tutte queste grida? Temo ch e accl ami n o Ces are re. CASSIO - Ah , t u l o t emi ? Deb b o al l o ra credere che non vorresti che fosse così? BRUTO - Certo, che non vorrei che fosse, Cassio, anche se l’amo come padre figlio. Ma perché mi trattieni così a lungo? Di ch e co s a v o rres t i farmi p art e? Se è cosa che riguarda il bene pubblico, innanzi a un occhio mettimi l’onore, innanzi all’altro mettimi la morte; li guardo con la stessa indifferenza; perché così m’aiutino gli dèi, com’è vero ch’io amo più l’onore del nome mio, io non temo la morte. CASSIO - Che tu possieda in te tale virtù, Bruto, io lo so almeno così bene, come conosco i tratti del tuo volto. Ed è p ro p ri o l ’o n o re l’argomento di cui voglio parlarti. No n s o q u el ch e p en s i at e, t u ed altri, di questa vita, ma, per conto mio, meglio vorrei non essere mai nato che viver nel terrore d’un mio simile, d’un uomo in carne ed ossa come me. Io sono nato libero, come Cesare, e tu lo sei del pari. En t ramb i , t u ed i o , s i am co me l u i , ben nutriti, capaci come lui di sopportare il più rigido inverno; tant’è che un certo giorno di tempesta, co l Tev ere ch e, t o rb i d o e i rri t at o , smaniava tutto contro le sue sponde, Cesare viene accanto a me e mi dice: “Cassio, ti senti di saltar con me dentro questa corrente furibonda, e nuotare laggiù, fino a quel punto?”. No n fece i n t emp o a d i rl o , ch’io, così armato come mi trovavo, mi tuffai, e gli feci dentro l’acqua il cenno di seguirmi. E così fece. La co rren t e ru g g i v a, ed a bracciate, con la forza dei muscoli ed il cuore da lottatori noi la fendevamo in lotta contro il flutto travolgente. Ma prima di toccar la meta a terra, udii gridarmi Cesare: “Soccorso! Ai u t o , Cas s i o ! Ai u t o , s t o affogando!”. Al ch e i o , co me En ea, n o s t ro grande avo, si trasse sulle spalle il vecchio An ch i s e d a Tro i a i n fi amme, s al v ai d al l e onde, stremato, questo Cesare. Qu es t ’u o mo è ora divenuto un dio, e Cassio è solo una vil cosa, un cencio d’uomo, tenuto ad inchinarsi fino a terra se appena Cesare, distrattamente, gli fa col capo un segno di saluto. Qu an d ’era i n Sp ag n a fu co l t o d a febbre, e nelle fitte della malattia notavo come fosse tutto un tremito… Eh , s ì , q u el d i o t remav a, o h !, s e tremava. E gli spariva il rosa dalle labbra sbiancate di paura, e quel suo occhio (Gr i d a d i a ccl a ma z i o n e e f a n f a r a dall’interno) BRUTO - Un ’al t ra g en eral e accl amazi o n e! Qu es t i ap p l au s i s aran n o , d eb b o credere, per nuovi onori tributati a Cesare. CASSIO - Gi à, l u i cav al ca q u es t o s t ret t o mondo ormai come un colosso; e noi, gli omuncoli, passiamo sotto le sue gambe enormi, e ci scrutiamo intorno per ritrovarci tutti quanti siamo come tanti sepolcri senza onore. A un’ora della storia, spetta agli uomini farsi padroni dei loro destini: non è colpa degli astri, caro Bruto, ma di noi stessi, se restiamo schiavi. Cesare e Bruto: che ci sarà mai in questo nome: “Cesare”? Perché dovrebbe esso risuonare più del tuo sulla bocca della gente? Prova a scriverli l’uno accanto all’altro: Cesare e Bruto: il tuo non è men bello; e prova a pronunciarli: quello tuo ben s’adatta alla bocca, come il suo; pésali: sono d’egual peso entrambi; usali a fare un qualche sortilegio: “Bruto”, al pari di “Cesare”, saprà di colpo evocare uno spirito. Al l o ra, i n n o me d i t u t t i g l i d èi , di che cibo si nutre questo Cesare per crescer così grande?… O vergogna del nostro tempo!… O Roma, hai perso il seme di tua stirpe nobile! Ma ci fu mai, dal gran diluvio in poi(8), un’èra che sia stata resa celebre nella storia dal nome d’un sol uomo? Eb b en e, è q u es t a n o s t ra, ad es s o : è Roma! E c’è spazio abbastanza, perché in essa non c’è che un uomo solo(9). Ep p u r l i ab b i amo u d i t i i n o s t ri vecchi raccontarci che un tempo vi fu un Bruto che avrebbe sopportato a Roma un re con lo stesso piacere che se il diavolo vi avesse stabilito la sua corte (10). BRUTO - Del l ’ami ci zi a t u a, Cas s i o , n o n dubito; di ciò di cui vorresti persuadermi, ho già in me maturato qualche idea. Come abbia a tutto questo e a questi tempi io riflettuto, ti dirò più tardi; per il momento, però, non vorrei, se ti posso pregare in amicizia, gravarmi di ulteriore turbamento. Rifletterò su quello che m’hai detto; ascolterò con animo sereno quant’altro possa tu volermi dire. Poi troveremo il tempo d’incontrarci per ascoltarci e ragionare insieme di argomenti di sì grave momento. Fino ad allora, mio nobile amico, rimugina su questo che ti dico: Bruto preferirebbe essere un villico anziché credersi figlio di Roma, sotto le miserande condizioni che la temperie minaccia d’imporci. CASSIO - Sono contento che le mie parole, pur così fiacche, abbiano acceso in Bruto almeno questa piccola fiammella. BRUTO - La ceri mo n i a d ev ’es s er fi n i t a: Cesare torna a casa. CASSIO - E tu, come ti passan qui da presso, Bruto, fa’ sì di trattenere Casca tirandolo pel pizzo della manica, e lui con la consueta acidità ti dirà quanto sia degno di nota quel che è successo. BRUTO - Ben e. Lo farò . Ri en t r a CES ARE co n t u t t o i l seguito Os s erv a, Cas s i o , d i ch e v amp a d’ira sembra infiammata la fronte di Cesare, e tutti gli altri sembrano un corteggio di segugi frustati: e com’è pallida la guancia di Calpurnia, e Cicerone che volge intorno gli occhi di furetto, così rossi e infuocati, come l’abbiamo visto tante volte in Campidoglio, quando, mentre parla, un qualche senatore lo contrasta. CASSIO - Ci dirà Casca quello ch’è successo. CESARE - An t o n i o ! ANTONIO - Di mmi , Ces are… CESARE - Intorno a me voglio solo vedere gente bene paffuta e ben lisciata, e ch e d o rma l a n o t t e. Tro p p o mag ro e segaligno è Cassio e legge troppo: tipi così sono pericolosi. ANTONIO - No n t emerl o , n o n è p eri co l o s o . È un nobile romano, e ben disposto. CESARE - Vo rrei fo s s e p i ù i n carn e! No n ch ’i o l o t ema; ma s e d i qualcuno dovesse aver paura il nome mio, non so qual uomo scanserei più in fretta di quel Cassio sparuto e allampanato. Leg g e mo l t o , è u n acu t o osservatore, e al contrario di te, scruta nel fondo le azioni degli uomini; non ama nessun genere di ludi; non gli piace la musica(11); sorride raramente, e se sorride, lo fa come ad irridere se stesso, a farsi beffa del suo proprio spirito per essersi concesso di sorridere davanti a questa od a quest’altra cosa. Individui così non hanno pace finché si trovin davanti qualcuno che s’elevi più in alto; e quindi sono assai pericolosi. Parlo naturalmente in generale, voglio dire di quel ch’è da temere, non perch’io tema, ch’io son sempre Cesare. Passami a destra, ché da quest’orecchio ci sento poco, e dimmi che ne pensi. Es co n o Ces a r e e t u t t o i l s eg u i t o . CAS CA s i t i en e i n d i et r o e s i f er ma co n Br u t o CASCA - M’hai tirato pel lembo della tunica: hai da dirmi qualcosa? BRUTO - Sì, buon Casca; raccontaci che cosa è mai successo, che Cesare è così abbuiato in viso. CASCA - Perché, voi due non eravate là? BRUTO - Al l o ra n o n d o man d erei a Cas ca di ragguagliarmi su quel ch’è successo. CASCA - Eb b en e, g l i fu o ffert a u n a co ro n a, ed egli, mentre gli veniva porta, la respinse col dorso della mano, così… E la gente, giù, tutti ad urlare. BRUTO - E il secondo schiamazzo, per che è stato? CASCA - Eh , s emp re e an co ra p er l a s t es s a cosa. CASSIO - Ma s’è sentito gridare tre volte. Che cosa è stato a suscitare l’ultima? CASCA - Sempre la stessa cosa: la corona. BRUTO - La co ro n a g l i è s t at a d u n q u e offerta per tre volte di seguito: è così? CASCA - Sì, ed egli per tre volte l’ha respinta… ogni volta, però, più blandamente; ed a ogni suo rifiuto, apriti cielo! (12), dalla folla una grande acclamazione. CASSIO - E chi era ad offrirgli la corona? CASCA - Di ami n e, Marcan t o n i o ! BRUTO - Co me, b u o n Cas ca? Narracel o b en e. CASCA - Beh, quanto al come, a cercare di dirvelo, più facile è per me farmi impiccare: è stata solo una gran buffonata, e, in verità, non ci ho fatto gran caso. Ho v i s t o , co me h o d et t o , Marcantonio offrirgli per tre volte la corona: un cerchietto, un diadema di metallo; e lui, la prima volta, l’ha respinta, come ho detto, sebbene ho l’impressione che l’avrebbe accettata di buon grado. Al l o ra An t o n i o g l i el ’h a o ffert a ancora, ed egli nuovamente l’ha respinta (ho idea, però, che gli dolesse assai); poi gliel’ha offerta per la terza volta, e per la terza volta l’ha scansata; ed ogni volta, tutta la plebaglia nel gesto che faceva allontanandola, forza ad urlare e a spellarsi le mani e a lanciare per aria i lor berretti unti e bisunti, e ad esalare in aria zaffate intorno tanto puzzolenti per osannare al trionfo di Cesare, che questi ne restò quasi asfissiato, e, barcollando, svenne e cadde a terra(13). Io stesso, lì, non m’arrischiavo a ridere, per la paura d’aprire le labbra e respirar quell’aria nauseabonda. CASSIO - Ma, un momento, ti prego. Come hai detto? Che Cesare è svenuto? CASCA - In pieno Foro! S’è accasciato a terra, e sbavava, e non parlava più. BRUTO - È possibile: soffre il mal caduco. CASSIO - No n è Ces are a s o ffri r d i t al mal e: siam tutti noi, tu, io, e il bravo Casca, che abbiam dentro di noi il mal caduco! CASCA - No n s o co s a v u o i i n t en d ere co n questo, ma son certo che Cesare è caduto; e se quella gentaglia pidocchiosa non reagiva a battimani e fischi secondo che gradisse o no il suo gesto, io, che lo dico, sono un gran bugiardo. BRUTO - E che disse quando è tornato in sé? CASCA - Eh , p o co p ri ma d i cad ere a t erra, quando s’accorse che il volgare gregge era tutto felice nel vedere ch’egli aveva rifiutato la corona, s’aprì la veste(14) ed offrì loro il collo, q u as i a d i re al l a fo l l a: “Ecco , tagliatelo!”. Fossi stato pur io un artigiano (15), e non l’avessi preso lì in parola, potessi andarmene dritto all’inferno in mezzo alla più lurida canaglia! E co s ì s ’accas ci ò . Qu an d o ri n v en n e la prima cosa che disse fu questa: che se mai egli avesse fatto o detto qualche cosa di male, lorsignori avessero, pregava, la bontà d’attribuirlo a quella infermità. Al ch e t re-q u at t ro mi s ere baldracche ch’erano proprio lì, vicino a me, t u t t e ad u rl are: “Ah i , p o v era anima!” e a proclamar d’averlo perdonato di tutto, dal profondo del lor cuore. Ma da gente così che vuoi cavarci? Se pur Cesare avesse ucciso loro la madre a pugnalate, non avrebbero fatto men di tanto. BRUTO CASCA - Ed è p er q u es t o ch ’era co s ì t ri s t e quando è venuto via? Es at t amen t e. CASSIO - E Cicerone non ha detto niente? CASCA - Sì, ma ha parlato greco(16). CASSIO - E per dir che cosa? CASCA - Ah , q u es t o p o i , se vi dovessi dire quel che ha detto, non sarei buono più a guardarvi in faccia(17); ma quelli che potevano capirlo, s’ammiccavan tra loro sorridendo e scuotevano il capo; per mio conto, posso dir solo che parlava in greco. E potrei dirvi altro, come notizia: che Flavio e Marullo, i tribuni, per aver fatto togliere tutti i nastri dalle statue di Cesare, son ridotti al silenzio… Ci sono state altre cose ridicole, ma n o n l ’h o p i ù a men t e. Vi saluto. CASSIO - Vi en i a cen a d a me, s t as era, Cas ca? CASCA - Mi dispiace, non posso: ho un altro impegno. CASSIO - Do man i a p ran zo , al l o ra? CASCA - Vo l en t i eri , se sono vivo e se tu non cambi idea, e se il tuo desinare val la pena d’essere trangugiato dal mio stomaco. CASSIO - Bene, t’aspetto. CASCA - As p et t ami , v errò . Per il momento vi saluto entrambi. (Es ce) BRUTO - Che uomo spigoloso è diventato! E dire che negli anni della scuola era d’un indole così vivace! CASSIO - E l’è tuttora, se deve eseguire qualunque impresa coraggiosa e nobile, malgrado l’apparente sua rudezza. La q u al ru d ezza è s o l o i l condimento del suo vivace ingegno, e serve a offrire al prossimo uno stomaco per fargli digerir più facilmente quel ch’egli dice. BRUTO Ora d ev o se avrai vengo io vieni tu CASSIO - Gi à. Sarà co s ì . lasciarti. Ma domani, piacere di parlar con me, da te; o, se lo vuoi, a casa mia, ti aspetterò. Verrò i o . Tu , i n t an t o , p en s a al mondo(18). (Es ce Br u t o ) Tu s ei n o b i l e, Bru t o ; eppure quel tuo nobile metallo, io lo vedo, può esser lavorato diversamente da come è forgiato; è bene, quindi, che le menti nobili si tengan sempre con i loro simili; giacché chi mai può dirsi tanto saldo da non lasciare che altri lo seduca? Cesare mal sopporta questo Cassio, ma Cesare ha molto caro Bruto; e foss’io Bruto, e Bruto fosse Cassio, Cesare, Bruto, non lo sedurrebbe (19). Qu es t a n o t t e, at t rav ers o l e finestre, gli getto dentro casa alcuni scritti stilati con calligrafie diverse, come se fossero diretti a lui da vari cittadini, tutti esaltanti l’altissimo onore nel quale Roma tiene il nome suo. In essi si faran velati accenni alla necessità di tener d’occhio l’ambizione di Cesare; dopo di che, si tenga saldo Cesare sul suo seggio, ché noi lo scrolleremo, o patiremo giorni ancor peggiori. (Es ce) S CENA III Ro ma , u n a v i a Tu o n i e l a mp i . En t r a n o , d a p a r t i o p p o s t e, CAS CA, co n l a s p a d a s g u a i n a t a , e CICERONE CICERONE - Salve, Cas Cesare? Ma perché E perché q stralunato ca. Scortasti a casa sì affannato? uello sguardo ? CASCA - E tu non provi nessun turbamento, quando l’intero equilibrio del mondo vacilla come una cosa malferma? Cicerone, ne ho viste di tempeste, coi venti scatenati, furibondi, da sradicar le più nodose querce; e l’oceano gonfiarsi incollerito, e schiumare di rabbia verso il cielo fino a lambir le minacciose nubi; ma mai, fino a stanotte, fino ad ora, mi son trovato in mezzo a una bufera grondante fuoco e fiamme come questa. O gli dèi sono in lotta tra di loro, oppure il mondo, troppo presuntuoso verso gli dèi, li esaspera a tal punto da scatenar quaggiù la distruzione. CICERONE - Perché, vedesti ancora altri prodigi? CASCA - Ho v i s t o ap p u n t o u n u o mo , u n certo schiavo (che tu devi conoscere di vista) levare in alto la mano sinistra, e questa a un tratto divampare ed ardere, che parevano venti torce insieme; e quella mano, insensibile al fuoco, restar del tutto illesa dalla fiamma. Inoltre, di passaggio in Campidoglio, - e non ho più rimesso nel suo fodero da quel momento questo mio pugnale ho incontrato un leone; che m’ha fissato, torvo, e se n’è andato, senza darmi molestia. E lì presso, stravolte dal terrore, un centinaio di povere donne che giuravano d’aver visto correre uomini in fiamme per le vie di Roma. Ieri, poi, la civetta s’è posata, col suo sinistro, stridulo singulto, in mezzo al Foro, in pieno mezzogiorno. Qu an d o accad o n o s i mi l i p ro d i g i , e tutti in una volta, come adesso, facciamo presto a dire: “È la natura, tutto si spiega con così e cosà…”. Son fenomeni, questi, io son convinto, premonitori di serie sciagure per i paesi dove si producono. CICERONE - Certo, viviamo in tempi assai bizzarri; ma ciascuno di noi può interpretare le cose a modo suo, e in senso opposto talvolta al vero lor significato. Di mmi p i u t t o s t o , Cas ca: “Vi en e d o man i i n Camp i d o g l i o Cesare”? CASCA - Certamente. E lo so perché l’ho udito ch e d i cev a ad An t o n i o d i avvertirti ch’egli domani ci sarà. CICERONE - Va b en e. Al l o ra b u o n a n o t t e, caro Cas ca. Qu es t o o rri b i l e ci el o n o n è ad at t o a starsene di fuori a passeggiare. CASCA - Va b en e. Arri v ed erci , Ci cero n e. (Es ce Ci cer o n e) En t r a CAS S IO CASSIO - Chi è là? CASCA - Un Ro man o . CASSIO - Casca, dalla voce? CASCA - Hai b u o n o recch i o , Cas s i o … Ma ch e notte! CASSIO - Un a n o t t e, d i rei , o n es t o Cas ca, piacevolissima per gente onesta. CASCA - Eh , que chi con CASSIO - Tu t t i co l o ro ch e h an n o co n o s ci u t o di quali vizi è piena questa terra. Per conto mio, mi son dato il piacere di girellare a lungo per le strade, esponendo la mia persona ai rischi d’una nottata tanto minacciosa, e discinto così, come mi vedi, ho esposto il petto nudo al tuono ed allo schianto della folgore; e come il serpeggiante acuto guizzo sembrò spezzar le mammelle del cielo, mi ci sono piazzato lì, di faccia, proprio al centro della sua stessa vampa. un cielo minaccioso come sto mai l’aveva visto e osciuto? CASCA - Ma a che scopo così sfidare il cielo? Dei mo rt al i è s o l t an t o p av en t are, e tremare, se i numi onnipotenti mandano a loro, con siffatti araldi, terribili messaggi ammonitori. CASSIO - Sei t ard o , Cas ca. Ti fan n o d i fet t o - o non li impieghi, se pur li possiedi, quegli sprazzi di gran vitalità che dovrebbero stare in un Romano. Sei smorto in viso ed hai gli occhi sbarrati, come se avessi addosso la paura, e ti chiudi in un cerchio di stupore per questa strana collera dei cieli. Ma se pensassi alla vera cagione di tanti fulmini e striscianti larve, o del perché gli uccelli ed altre bestie si dipartono dalla lor natura e dalla loro specie, o perché i vecchi diventano insani e i bimbi fanno calcoli(20); insomma, perché tutte queste cose si trasformano nella lor natura, nelle lor qualità preordinate per assumer deformi e strani aspetti, allora scopriresti che fu il Cielo a infonder loro queste metamorfosi per farne un suo strumento di terrore e ammonire i mortali dell’incombere di un qualche strano mostro su di loro. Ed i o p o t rei i n d i cart i , Cas ca, u n uomo simile in tutto a questa orrenda notte, uno che, appunto, sulle nostre teste, tuona e saetta; e spalanca i sepolcri, e va ruggendo come quel leone che dici d’aver visto in Campidoglio; un uomo non più forte e vigoroso di me, di te nella struttura fisica, eppure diventato portentoso e causa di terrore, come appunto questi strani prodigi di natura. CASCA - È Cesare che intendi, non è vero? CASSIO - Sia chi sia; dal momento che i Romani conservano, bensì, dei padri antichi muscoli e nervi; ma s’è spento in loro lo spirito dei padri. E a governarci è ora quello delle nostre madri; ché femmine ci mostra questo giogo e la nostra pazienza a sopportarlo. CASCA - Si dice che domani i senatori son d’accordo di conferire a Cesare il titolo e la dignità di re; ed egli porterà la sua corona in terra e in mare, fuori che in Italia. CASSIO - E allora saprò anch’io dove portare questo pugnale, e Cassio affrancherà dal suo servaggio Cassio; p erch é è co s ì ch e v o i , Nu mi celesti, rendete forti i deboli, co s ì t ri o n fat e, o Nu mi , s u i t i ran n i . No n c’è t o rre d i p i et ra, o bastione di bronzo martellato; non c’è cupa prigione priva d’aria, non catene del più robusto ferro che possano riuscire a trattenere la forza che sprigiona dallo spirito; perché la vita, quando fosse stanca di sopportar questi terreni ceppi, saprà trovare in sé forza bastante a finirla per sempre e a liberarsene. Se è vero ch’io di tanto son convinto, sappia il mondo ch’io scrollerò da me, quando voglio, la parte di tirannide che finora ho dovuto sopportare. (Continua a tuonare) CASCA - E così io, e come me ogni schiavo, reco in mano la forza di annullare d’un colpo solo la mia schiavitù. CASSIO - E se è così, perché dovrebbe Cesare farsi tiranno?… Perché lui, lo so, non si farebbe lupo, pover’uomo, se appena s’accorgesse che i Romani non sono degli agnelli; né leone, se i Romani non fosser dei cerbiatti(21). Qu an d o s i v u o l e accen d ere u n fal ò si comincia con fragili pagliuzze; e che bel fascio di pagliuzze, Roma! Che ammasso di rifiuti, che putrido carnaio, questa Roma, che si fa usar come materia vile ad accendere il fuoco onde s’illumina una meschina cosa come Cesare!… Ma, oh!, dolore, dove m’hai condotto! Io forse sto parlando, inavvertito, a un volontario della schiavitù; col pericolo di dover rispondere di quel che ho detto, con la stessa vita. Ma per fortuna porto addosso un’arma, e ogni rischio mi lascia indifferente. CASCA - Cassio, però tu stai parlando a Casca, e non è ad uomini della sua tempra che attacca il morbo della delazione. To h , l a mi a man o : fo rma u n a fazione per raddrizzare tutti questi torti, e vedrai Casca sempre un passo innanzi a colui che va in testa. CASSIO - Qu an d ’è co s ì , co n t e, l ’affare è fatto. Sappi, allora, buon Casca, che ho già convinto dei cuori di Roma, tra i più nobili, ad imbarcarsi meco in un’impresa piena di pericoli, ma anche d’onorevole ardimento. So che essi m’aspettano a quest’ora al portico di Pompeo; la notte è così piena di spavento, che la gente non esce per le strade, e la furia degli elementi è tale da somigliare in modo impressionante all’impresa tremenda e rossosangue che abbiamo per le mani. CASCA - Un mo men t o , facci amo ci d a p art e. Sta arrivando qualcuno in tutta fretta. CASSIO - Ma q u es t o è Ci n n a. Lo co n o s co al passo. È un amico. En t r a CINNA Do v ’è ch e co rri , Ci n n a? CINNA - A cercarti. (Indicando Casca) Chi è, Metello Cimbro? CASSIO - No , q u es t i è Cas ca, un altro nostro socio nell’impresa. Sono già lì ad attendermi? CINNA - (S t r i n g en d o l a ma n o a Molto piacere!… Ma ch orrenda! Ci sono due o tre fra i amici che han visto delle str apparizioni. Casca) e notte nostri ane CASSIO - Ma dimmi: sono atteso? CINNA - Sì, t’aspettano. Oh , s e p o t es s i t u far t an t o , Cas s i o , da guadagnare Bruto al nostro scopo! CASSIO - A questo non pensare, caro Cinna. To h , p ren d i q u es t o fo g l i o , vedi se ti riesce di posarlo sulla sedia pretoria, dove Bruto lo possa poi trovare (22); quest’altro glielo getti dentro casa dalla finestra; questo, con la cera, vedi di affiggerlo sopra la statua di Bruto antico(23). Poi, quando avrai fatto, rag g i u n g i ci al Teat ro d i Po mp eo , dove ci troverai tutti riuniti. Deci o Bru t o e Treb o n i o s o n g i à l à? CINNA - CASSIO - Ci son tutti, fuorché Cimbro, che è venuto a cercar Bene, corro a posare Cassio, secondo quel detto. Metello ti a casa tua. questi fogli, lo che m’hai E p o i t o rn a al Teat ro d i Po mp eo . (Es ce Ci n n a ) Vi en i , Cas ca, t u ed i o , p ri ma d i giorno, ce ne andiamo da Bruto, a casa sua. Di l u i t re q u art i s o n o g i à co n n o i ; e son certo che dopo questo incontro noi lo terremo in pugno tutto intero. CASCA - Oh , eg l i s i ed e al t o i n cuori, se l’avremo associato quest’impresa, quello che in noi potr colpa, quasi per un’alchìmia (24) tutti i in à apparire sopraffina si muterà in virtù pregiata e degna. CASSIO - Hai g i u d i cat o b en e i l s u o v al o re e il gran bisogno che abbiamo di lui. An d i amo , è g i à p as s at a mezzan o t t e. Prima di giorno dobbiamo svegliarlo, e assicurarlo dalla nostra parte. ATTO SECONDO S C EN A I I l g i a r d i n o d e l l a c a s a d i Br u t o Br u t o s t a p a s s eg g i a n d o s o l o n el l a n o t t e BRUTO - (Ch i a ma n d o ) Eh i , Lu ci o , o h !… (Tra sé) No n mi ri es ce an co ra d’indovinar, dal moto delle stelle, quanto è vicino il giorno… (Ch i a ma a n co r a ) Eh i , Lu ci o , o h ! Potessi avere anch’io questo suo vizio di dormire così profondamente! Al l o ra, Lu ci o , s v eg l i a! Sv eg l i a, dico! En t r a LUCIO LUCIO - M’hai chiamato, padrone? BRUTO - Prendi un cero, portalo nel mio studio, e quando è acceso vieni a chiamarmi. LUCIO - Va b en e, p ad ro n e. (Es ce) BRUTO - Dev ’es s er co n l a mo rt e (2 5 )!… Per mia parte, non ho nessun motivo per doverlo coprire di disprezzo; ma si tratta del bene generale. Vo rreb b e fars i i n co ro n are re. Qu an t o ci ò p u ò camb i ar l a s u a natura? Ecco i l mi o d u b b i o … È l a b el l a giornata che fa uscire la vipera all’aperto. E allora occorre agire con cautela. Incoronarlo re!… Gi à, ma co s ì g l i d i amo i n man o u n pungolo con cui potrà far danno quando vuole… Del p o t ere s i ab u s a faci l men t e, quando non sia congiunto alla pietà; anche se in Cesare non seppi mai che le passioni avessero prevalso sulla fredda ragione… Ma è provato che l’umiltà servì sempre da scala all’ambizione, quando questa è giovane, e chi sale le volge sempre il volto; ma poi, raggiunto l’ultimo gradino, volta il dorso alla scala, e guarda in alto sdegnoso ormai degli umili gradini grazie ai quali è salito fin lassù. Così potrebbe Cesare… ed allora, per impedirlo, occorre prevenirlo. Poiché, peraltro, una denuncia simile potrà apparire senza fondamento, per quello ch’egli è stato fino ad oggi, mettiamola così: quello ch’è oggi, se acquistasse maggiori proporzioni, potrebbe volgere ad estremi eccessi; e si deve pensare allora a Cesare come a un uovo di serpe che, covato, diverrebbe fatale per natura; ed allora uccidiamolo nel guscio! Ri en t r a LUCIO LUCIO - Padrone, il lume è acceso nel tuo studio. Mentre cercavo presso la finestra un acciarino per accender l’esca, ho visto sul piancito questo foglio, suggellato così; ma son sicuro che non c’era, quando mi coricai. (Gl i co n s eg n a u n f o g l i o ) BRUTO - LUCIO BRUTO - Ri t o rn a a l et t o . No n è an co ra giorno. Di ’ u n p o ’, rag azzo , n o n s o n o domani gl’idi di marzo? No n s ap rei , p ad ro n e. Gu ard a s u l cal en d ari o , e v i en i a dirmelo. (Es ce Lu ci o ) Qu es t e s ch eg g e d i s t el l e che solcano fischiando l’atmosfera (26) gettano sulla terra tanta luce che posso leggere al loro chiarore. (Ap r e l a l et t er a e l eg g e) “Bruto, tu dormi. Risvègliati e guàrdati. “Do v rà Ro ma s u b i re… Parl a, Bru t o , “parla, colpisci, rettifica i torti! “Bruto, tu dormi, dèstati!…”. Stimolazioni dello stesso genere mi son cadute spesso sotto gli occhi in luoghi dove dovevo raccoglierle. “Do v rà Ro ma…” fi n i s co i o l a fras e: “Do v rà Ro ma co n t i n u are a v i v ere “nel terrore di un uomo?…”. Come! Roma!… Ma dalle vie di Roma gli avi miei cacci aro n o Tarq u i n i o , quando si fece proclamare re(27)! “Parla, colpisci, rettifica i torti…”. Mi si scongiura dunque di parlare, e d i co l p i re?… Ah , t i p ro met t o , Roma, che se il risanamento seguirà, tu avrai da Bruto tutto quanto chiedi! Ri en t r a LUCIO LUCIO - Padrone, Marzo s’è già consumato di quattordici giorni. BRUTO - A meraviglia. (Si odono colpi alla porta) Va’ al l a p o rt a. Qu al cu n o s t a bussando. (Es ce Lu ci o ) Da q u an d o Cas s i o h a p res o a pungolarmi contro Cesare, non ho più dormito. Tra i l co n cep i re u n ’i mp res a terribile e il tradurla in azione c’è uno spazio ch’è un sogno orribile, come un fantasma. L’an i ma razi o n al e e l e p as s i o n i in quel momento siedono a consulto e tutto l’essere umano è in subbuglio come un piccolo regno ch’è in rivolta. (En t r a Lu ci o ) LUCIO - Al l a p o rt a c’è t u o co g n at o Cas s i o (28), che vuol vederti. BRUTO - È solo? LUCIO - No , co n al t ri . BRUTO - Li co n o s ci ? LUCIO - Macché: hanno sul capo fino a coprire orecchi, ed i volti sepolti nei m e non posso scoprire da segno le lor fisionomie. BRUTO - i cappucci gli antelli, alcun Las ci al i en t rare. (Es ce Lu ci o ) So n l o ro , i co n g i u rat i !… Ah , t u , congiura! Se ti vergogni di mostrar di notte, quando le malefatte han minor freno, il minaccioso ghigno del tuo volto, dove andrai, quand’è giorno, a ricercarti un antro tutto buio da nasconder la tua mostruosa faccia? No n cercarn e, co n g i u ra! Ma cerca di nascondere il tuo volto fra sorrisi ed amabili maniere; perché se vai girando sulla terra nel tuo vero sembiante, l ’Ereb o n o n s arà s cu ro ab b as t an za da occultarti e impedire di scoprirti a chi può sospettar del tuo disegno. En t r a n o CAS S IO, CAS CA, DECIO, CINNA, METELLO, CIMBRO e TREBONIO CASSIO - Temo ch e s i amo s t at i t ro p p o ard i t i a venire a turbare il tuo riposo. Bu o n g i o rn o , Bru t o . Ti rech i amo incomodo? BRUTO - Sono alzato da un’ora, e sono stato sveglio tutta notte. Qu es t i u o mi n i ch e s o n o q u i co n t e li conosco? CASSIO - Sì, li conosci tutti. E tra loro non v’è chi non t’onori; e che non brami di vedere Bruto avere quel concetto di se stesso che di lui hanno a Roma tutti i nobili. Qu es t i è Treb o n i o . BRUTO - Ed è q u i b en v en u t o . CASSIO - E q u es t i è Deci o Bru t o . BRUTO - Benvenuto anche lui. CASSIO - E questi è Casca. Qu es t i è Ci n n a. Qu es t i è Met el l o Cimbro. BRUTO - Son tutti benvenuti in casa mia. Ma quali inquiete cure s’interpongono fra i vostri occhi e la notte(29)? CASSIO - Ti p o s s o d i r d a s o l o u n a p aro l a? (Br u t o e Ca s s i o s i a p p a r t a n o a parlare) DECIO - L’o ri en t e è l à. No n è d a q u el l a parte che spunta il giorno? CASCA - No . CINNA da quella part dispiace! E quelle strie che si vedono son foriere de E invece sì, e, se non ti grigiastre contornar le nubi ll’alba. CASCA - Ed i o v i d i co ch e s b ag l i at e entrambi! Il sole sorge là, dritto nel punto dov’io punto la daga; un po’ più a sud, con l’anno giovinetto. Fra due mesi presenterà il suo fuoco più in alto verso nord; il pieno oriente si trova dritto là, sul Campidoglio. BRUTO - (Avvi ci n a n d o s i ) Vo ’ s t ri n g erv i l a man o , ad u n o ad uno. CASSIO - E facciamo qui tutti giuramento di stare al nostro patto. BRUTO - No , Cas s i o , q u i n o n s erv o n giuramenti. Se non basta che ci guardiamo in faccia, se non bastan le nostre sofferenze, l’impostura del tempo che viviamo, se queste son ragioni troppo futili, tronchiamo tutto, fin che siamo in tempo, e torni ognuno all’ozio del suo letto; e così l’altezzosa tirannia s’estenda in lungo e in largo, e cada ognuno come vuol la sorte. Ma se questi motivi, com’io credo, hanno in se stessi sufficiente fuoco da infiammare anche gli animi più vili e da temprare di virile audacia perfino i cuori delle femminucce, allora ditemi, concittadini, quale bisogno abbiamo d’altro stimolo che ci sproni ad agire tutti insieme, oltre la nostra causa? Qu al e al t ro v i n co l o ci p u ò s erv i re in più della parola di Romani, segreta e senza riserve mentali? Qu al e al t ro g i u ramen t o , o l t re l’impegno d’uomini onesti con uomini onesti a far che questo avvenga, o altrimenti a soccombere per esso? Gi u ri n o i p ret i , i v i l i , i mal fi d at i , vecchie carogne d’uomini infrolliti, e gli animi che, a loro simiglianza, son usi a sopportar qualsiasi torto; giurino pur sulle cattive cause tutti quelli che son di dubbia fede; ma non macchiamo la chiara virtù di questa nostra impresa, e l’indomabile tempra dei nostri spiriti col credere che questo nostro impegno e la sua materiale messa in atto richieda un giuramento collettivo, quando ogni goccia del nobile sangue che scorre nelle vene d’un Romano si renderebbe rea di bastardaggine s’egli infrangesse la minima parte d’ogni promessa uscitagli di bocca. CASSIO - Con Cicerone come ci mettiamo? È i l cas o d i s en t i rl o ? Ho l’impressione che s’unirà con noi, decisamente. CASCA - No n s ’h a d a l as ci ar fu o ri . CINNA METELLO - No , d i cert o . Oh , facci amo d ’av erl o i n s i eme a noi! L’arg en t o d el l a s u a cap i g l i at u ra ci acquisterà buona reputazione e voci in lode della nostra azione (30): si dirà che a guidar le nostre mani fu il suo senno; le nostre giovinezze e la nostra selvaggia inesperienza saran coperte dalla sua saggezza. BRUTO - No n No n uom che che parliamo di lui! ci apriamo con lui; perché è o non s’accoderà mai a qualcosa sia stata intrapresa da altri uomini(31). CASSIO - Qu an d ’è co s ì , co n v i en t en erl o fuori. CASCA - In effetti, non è per questa impresa. DECIO - E a cadere dev’esser solo Cesare? E nessun altro? CASSIO - Un ’o t t i ma d o man d a; io penso infatti che anche Marc’An t o n i o , legato a Cesare da tanto affetto, non debba sopravvivergli; lui vivo, ci troveremmo ancora di tra i piedi un insidioso orditore d’intrighi; ed i suoi mezzi, come voi sapete, s’ei dovesse affinarli contro noi, son ben capaci di darci fastidio. A prevenire ciò, Ces are e An t o n i o h an d a cad ere insieme! BRUTO - Cas s i o , n o ! Tro p p o cru d a e sanguinaria apparirebbe questa nostra azione: come di chi tagliasse ad uno il capo e poi si desse a squartargli le membra; come chi agisse d’ira nell’uccidere, e d’odio cieco dopo aver ucciso. An t o n i o è p art e d el co rp o d i Cesare. No , co mp o rt i amo ci d a g i u s t i zi eri , e non da macellai: noi insorgiamo, Cassio, contro lo spirito di Cesare, e lo spirito non ha sangue umano. Vo l es s e i l ci el o ch e fo s s e possibile colpir solo lo spirito di Cesare senza doverne massacrare il corpo! Purtroppo è necessario ch’egli sanguini. Ucci d i amo l o , s ì , co n d eci s i o n e, ma senza un’ombra d’ira, amici miei. Scalchiamone le membra, come vivanda degna degli dèi; non lo squartiamo come una carcassa da dare in pasto ai cani; e i nostri cuori siano avveduti come quei padroni che prima istìgano i loro famigli a compiere un certo atto di ferocia, e fanno sol mostra di punirli. Qu es t o farà ap p ari r l a n o s t ra azione come ispirata da necessità e non certo da odio, e ci farà sembrare epuratori, invece che assassini. Qu an t o ad An t o n i o , n o n c’è d a pensarci! Di Ces are eg l i è i l b racci o , non potrà far più di quel che faccia il braccio quando il capo sia caduto. CASSIO - E tuttavia lo temo… Perché quel grande attaccamento a Cesare ch’egli sembra portar come innestato… BRUTO - Oh i mè, b u o n Cas s i o , n o n p en s arci più. Ché se è vero ch’egli ama tanto Cesare, tutto quello che potrà far di male lo potrà fare soltanto a se stesso: darsene duolo e morire per Cesare. E già questo per lui sarebbe molto, dedito com’è al gioco, alle baldorie, alle leggere e allegre compagnie. TREBONIO - No , n o , d a l u i n o n c’è d i ch e temere. Che viva pure, perché se vivrà saprà anche ridere di tutto questo. (Si ode battere un orologio) BRUTO - Zi t t i , co n t at e i b at t i t i . CASSIO - Son tre(32). TREBONIO - Al l o ra è t emp o ch e ci s ep ari amo . CASSIO - Un mo men t o : p erò ri man e i l d u b b i o se Cesare uscirà di casa o no, di questo giorno, ché da qualche tempo è diventato un po’ superstizioso, al contrario delle sue vecchie idee sulle visioni, i sogni ed i prodigi. Può darsi che le odierne apparizioni, l’inconsueta nottata di terrore e i presagi degli àuguri lo trattengano dal recarsi stamane in Campidoglio. DECIO - Ni en t e p au ra: s e so io come riusc perch’egli ama s che cogli alberi ingannarsi gli unicorni(33) ha così deciso, ire a persuaderlo; entirsi raccontare possono , cogli specchietti gli orsi(34), con le buche per terra gli elefanti, con le reti i leoni, mentre gli uomini basta, a ingannarli, un po’ d’adulazione. Se poi gli dico che gli adulatori Cesare li detesta, mi sorride, con gran compiacimento, senza accorgersi che quel che ho detto era il massimo della smanceria. Las ci at e fare a me; s o co me prenderlo, e lo faccio venire in Campidoglio. CASSIO BRUTO - E noi ci troveremo tutti là per scortarlo. Al l e o t t o . Vi s t a b en e? CINNA - Sia per le otto. E che nessuno manchi. METELLO - Cai o Li g ari o mal s o p p che l’ha rimproverato per aver detto bene di Mi meraviglio che nes abbia pensato a lui. orta Cesare acerbamente Pompeo. sun di voi BRUTO - Pensaci allora tu, mio buon Metello, vedi tu di passare a casa sua. Cai o Li g ari o mi v u o l mo l t o b en e, e gliene ho dato più d’una ragione. Mandalo qui, me lo lavoro io. CASSIO - S’ap p res t a l ’al b a. Ti l as ci amo , Bruto. E voi, amici, andate, separatevi; ma rammentate quel che avete detto, e dimostratevi veri Romani. BRUTO - Miei buoni amici, cercate di darvi un contegno gioviale e disinvolto; non accolliamo le nostre intenzioni addosso al nostro portamento esterno, ma comportiamoci da buoni attori: spirito saldo e solenne fermezza. E così, a tutti, una buona giornata! (Es co n o t u t t i . Br u t o r es t a s o l o ) Rag azzo ! Lu ci o !… Qu es t o an co ra dorme! Ma non importa: goditi, ragazzo, la dolce-greve rugiada del sonno. Tu n o n h ai l e v i s i o n i ed i fan t as mi che le affannose cure della vita versano nei cervelli degli adulti. Perciò dormi del tuo sonno tenace… En t r a PORZIA PORZIA - Bruto, signore mio… BRUTO - Che fai qui, Porzia? Perché ti levi dal letto a quest’ora? No n t i fa cert o b en e al l a s al u t e esporre così il fragile tuo corpo all’asprezza del freddo del mattino. PORZIA - Nemmen o a t e, fa b en e. Sei s p ari t o poco cortesemente dal mio letto; e ieri sera, a cena, all’improvviso ti sei alzato, le braccia conserte, a passeggiare su e giù per la stanza con aria pensierosa e sospirando; e quando t’ho sommessamente chiesto che cosa fosse ad angustiarti tanto, m’hai gettato uno sguardo smanierato. T’h o ri p et u t o l a d o man d a, e t u , a grattarti la testa, spazientito, ed a battere i piedi sul piantito. Ho i n s i s t i t o , ma t u n o n m’h ai risposto, anzi, con mossa irata della mano m’hai fatto il gesto di lasciarti in pace. Ed i o t ’h o s eco n d at o , t i mo ro s a d’esasperar vieppiù la tua impazienza, che mi sembrava già fin troppo accesa; sperando, tuttavia, che si trattasse solo d’un malumore passeggero di quelli cui ciascuno va soggetto. Ma codesto tuo stato di malessere non ti fa più mangiare, né parlare, né dormire; e se tu ne risentissi nei tratti del tuo viso com’esso agisce sul tuo stato d’animo, davvero non ti riconoscerei più come Bruto. Rendimi partecipe, sposo mio dolce, di questa tua pena e della sua ragione. BRUTO - No n s t o b en e. È questa la ragione. PORZIA - Bruto è saggio, e se fosse soltanto la salute, saprebbe ben curarsi. BRUTO - È quel che faccio… Ma tu, mia cara, va’, ritorna a letto. PORZIA - Bruto dice di stare poco bene, e pensa che gli giovi alla salute starsene a passeggiare seminudo, esposto all’umidore del mattino? Bruto è malato, e si toglie, furtivo, dal salutare tepore del letto per andare ad esporre le sue membra al corrotto contagio della notte, sfidando l’aria fetida ed insana, per aggravare la sua malattia?… No , Bru t o mi o , i l mal e tu lo porti nell’anima, ed io, per il diritto che mi conferisce l’essere la legittima tua sposa, dovrei esserne messa a conoscenza. (S’inginocchia) Io ti prego, in ginocchio, ti scongiuro, per questa mia bellezza da te un tempo lodata ed ammirata, per i tuoi voti d’amore, per quella grande divina promessa che fece un solo corpo di noi due, di confidare a Porzia, che è te stesso, la tua stessa metà, la pena che t’ambascia, e chi eran quelli che si trovavan qui con te stanotte; perché sono stati qui in sei o sette, col capo incappucciato, quasi a voler celare i loro volti perfino all’occhio dell’oscurità. BRUTO - (Ri a l z a n d o l a ) No , n o i n g i n o cch i o , Po rzi a mi a dolcissima! PORZIA - No n ce n e av rei b i s o g n o , s e t u , Bruto, fossi ancora quel Bruto che mi amava. Forse che nel contratto che ci ha uniti è scritto ch’io non debba saper nulla dei tuoi segreti?… E ch’io sarei te stesso ma solamente dentro certi limiti, per farti compagnia durante i pasti, per allietarti il letto, e per scambiar con te qualche parola? Ab i t o d u n q u e s o l o n ei s o b b o rg h i (35) del tuo piacere? Se son solo questo, Porzia la moglie non è più di Bruto, ma la sua concubina. BRUTO - Tu s ei l a s p o s a mi a, fi d a, o n o rat a, che m’è più cara delle rosse stille che dan vita al mio cuore esulcerato. PORZIA - Se ciò fosse, saprei il tuo segreto. Sono donna, lo so, ma son la donna che Bruto volle eleggere a sua sposa; sono solo una donna, ma una donna di degno nome, figlia di Catone (36)!… Con tanto padre ed un tale consorte, non credi tu ch’io possa avere in me una donna più forte del mio sesso? … Bruto, voglio sapere il tuo segreto. No n l o ri v el erò . La mi a fermezza l’ho già messa alla prova da me stessa, facendomi da me, colle mie mani, questa ferita, vedi, sulla coscia (37). Sarei capace di sopportar tanto, dentro di me, in silenzio, e non l’interna ambascia del mio sposo? BRUTO - Fatemi degno, o dèi, d’una tal sposa! (Si bussa alla porta) Od i , q u al cu n o b u s s a. Porzia, ritìrati per un momento. Il tuo seno, fra poco, spartirà con me tutti i segreti del mio cuore; ti svelerò tutte le mie faccende, tutto quello che porto scritto in volto. Las ci ami , s v el t a! En t r a LUCIO co n LIGARIO, ch e h a una benda in faccia Lu ci o , ch i b u s s av a? LUCIO - Ecco : u n mal at o ch e v u o l e p arl art i . BRUTO - Ah , s ì , Cai o Li g ari o : l’uomo di cui mi parlava Metello. (A Lucio) Ragazzo, adesso, mettiti in disparte. (Es ce Lu ci o ) Cai o Li g ari o !… Co me!… In q u es t o stato(38)! LIGARIO - Accet t a, Bru t o , d a u n a t en u e lingua, un cordiale buon giorno! BRUTO - Ah , p ro d e Cai o , qual momento sei tu andato a scegliere per portare una benda intorno al capo! Come vorrei non vederti malato! LIGARIO - E non lo sono, Bruto, se Bruto ha in mano una qualsiasi impresa nel nome dell’onore. BRUTO - E l ’h o , Li g ari o , appunto per le mani questa impresa; così potessi tu con sano orecchio ascoltarla, s’io te ne faccio parte. LIGARIO - Per tutti i numi che i Romani adorano, io, questo male mio, lo caccio via! (Si strappa la benda dalla fronte) O anima di Roma! Illustre figlio di onorati lombi! Ecco ch e, s i mi l e ad u n es o rci s t a, tu mi richiami in vita, questo spirito che sembrava morto. Ora n o n h ai ch e a ch i ed ermi d i correre, ed io son pronto a fare l’impossibile, sì, l’impossibile, e sbrigarlo al meglio! Di mmi , ch e c’è d a fare? BRUTO - Un ’o p era d a ri s an ar g l i i n fermi . LIGARIO - Ma non è che ci sono anche dei sani che ci toccherà rendere malati? BRUTO - An ch e q u es t o accad rà. Co mu n q u e sia, per via ti spiegherò di che si tratta, mentre andiamo alla casa di colui al quale appunto ciò deve toccare. LIGARIO - Av v ì at i p u re, ed i o t i s eg u i rò col cuore acceso da novella fiamma. Per far che cosa ancora non lo so, a me basta che sia Bruto a guidarmi. BRUTO - Seguimi allora, andiamo. (Es co n o ) S CENA II Ro ma . Un a s a l a d e l p a l a z z o d i C e s a r e Tu o n i e l a mp i En t r a CES ARE co n l a t u n i ca n o t t u r n a CESARE - Cielo e terra stanotte non hanno avuto un attimo di tregua. Tre v o l t e h o u d i t o Cal p u rn i a, n el sonno, g ri d are: “Ai u t o ! As s as s i n an o Cesare!” (Ch i a ma n d o ) Eh i , d i l à, c’è n es s u n o ? En t r a u n S ERVO SERVO - Sì, padrone. CESARE - Di co rs a, v a’ a p reg are i s acerd o t i , a mio nome, d’offrire un sacrificio, e portami il responso degli aruspici. SERVO - Bene, corro, padrone. (Es ce) En t r a CALPURNIA CALPURNIA - Che intendi fare, Cesare? Pensi forse di uscire? No n d ev i mu o v ert i d a cas a, o g g i . CESARE - Sì, Cesare uscirà: tu che m’hanno fino ad minacciato l’hanno fatto guarda dietro: quando han guardato faccia, si sono dileguate. CALPURNIA - tte le cose ora ndomi da Cesare di Cesare, non ho mai fatto gran conto dei presagi, ma ora mi spaventano. C’è uno qui, di casa, che racconta, oltre a quello che abbiamo visto e udito noi stessi, di visioni spaventose che sono apparse agli uomini di guardia:(39) d’una leonessa vista partorire per la strada; di tombe spalancate ch’hanno sputato fuori i loro morti; di fiammeggianti larve di guerrieri combattenti furiosi tra le nuvole a schiere ed a squadroni, come in guerra, ed il sangue sprizzar sul Campidoglio, e l’aria rimbombar d’un cozzar d’armi e del nitrire di cavalli in corsa, e gemiti di moribondi, e spettri aggirantisi urlanti per le strade… (40) Ah , q u es t e sono al di esperienza e mi fanno cose, Cesare, là d’ogni umana , paura. CESARE - Qu al e co s a la cui fine sia stata decretata in cielo dagli dèi onnipotenti può essere dagli uomini evitata? E dunque Cesare oggi uscirà, ché valgono per lui questi prodigi come per tutto il mondo in generale. CALPURNIA - No n s i v ed o n o co met e quando muoiono poveri mendichi; i cieli stessi annunciano col fuoco la morte dei potenti.(41) CESARE - Soltanto i vili muoion molte volte prima della lor morte; il valoroso solo una volta assapora la morte. La p i ù s t ran a d i t u t t e l e s t ran ezze finora da me udite, m’è sembrata quella che l’uomo debba aver paura della morte, sapendo che la morte, un fine necessario e inderogabile, verrà quando verrà. Ri en t r a i l S ERVO Che dicon gli àuguri? SERVO - Ti co n s i g l i an o a n o n u s ci r d i cas a. Nel cav ar l e i n t eri o ra d el l a vittima, non han trovato il cuore della bestia. CESARE - Gl i d èi fan n o co s ì proprio per svergognare la viltà: Cesare, al pari di quell’animale, sarebbe senza cuore, se rimanesse a casa per paura, o g g i . No , Ces are n o n l o farà: il pericolo sa bene che Cesare è più pericoloso del pericolo: noi siamo due leoni, lui ed io, venuti al mondo con lo stesso parto: ma io per primo, e sono il più terribile. E Cesare uscirà. CALPURNIA - Ah i mè, mari t o mi o , l a t u a s ag g ezza s’annulla nella tua troppa fiducia! No n u s ci r, o g g i : d à l a co l p a a me, di’ ch’è stata soltanto mia paura a trattenerti a casa. Man d eremo al Sen at o Marc’An t o n i o per dir che oggi non stai troppo bene. Te l o ch i ed o i n g i n o cch i o : n o n andare.(42) CESARE - Va b en e, t ’acco n t en t o . Marc’An t o n i o d i rà ch e n o n s t o bene, e che, per tuo capriccio, resto a casa. En t r a DECIO BRUTO Ma ecco Deci o , s arà l u i a dirglielo. DECIO - Cesare, salve! Cesare magnanimo, buongiorno, vengo a scortarti al Senato. CESARE - E arrivi proprio nel momento giusto per recare al Senato il mio saluto e dir loro che oggi non andrò; non perché non lo possa, perché è falso, o che non l’osi, ch’è più falso ancora; non ho voglia di uscire, oggi, ecco tutto. Di ’ l o ro q u es t o , Deci o . CALPURNIA - No , Deci o , d i ’ ch e n o n s i s en t e bene. CESARE - Che! Cesare inviare una menzogna? Av rei d u n q u e d i s t es o q u es t o braccio tanto lontano, a conquistare terre, per ridurmi a temer di dire il vero a d ei v ecch i b arb o g i ?… Va’, v a’, Deci o , e di’ che Cesare non vuole uscire. DECIO - Potentissimo Cesare, ch’io ne possa conoscer la ragione, ad evitar che mi si rida in faccia quando l’abbia annunciato in questi termini. CESARE - La rag i o n e è s o l t an t o i l mi o volere… No n h o v o g l i a d i an d are; e t an t o basti al Senato per esser soddisfatto. Per tua soddisfazione personale, Deci o , ed an ch e p erch é t i v o g l i o bene, te lo dico: è mia moglie, qui, Calpurnia, che vuol per forza trattenermi a casa. Stanotte ha visto, in sogno, la mia statua che, come una fontana a cento getti, sprizzava sangue vivo, e tutt’intorno s’accalcavano, a intingervi le mani, tanti baldi Romani sorridenti. El l a i n t erp ret a q u es t e ap p ari zi o n i come arcani messaggi premonitori di mali imminenti; e m’ha perciò scongiurato in ginocchio di restarmene dentro queste mura. DECIO - A me pare, però, che questo sogno sia stato interpretato alla rovescia. Per me, si tratta d’una apparizione assai benigna, e d’assai buon auspicio: la statua tua, col sangue che ne usciva da molti getti a cui tanti Romani venivano a bagnarsi sorridenti, vuole significare che da te la grande Roma suggerà la linfa d’una novella vita; e a te d’intorno accorreranno in folla grandi uomini per ricever, bagnati del tuo sangue, un’infusione, un segno, una reliquia.(43) Qu es t o è i l s en s o d el s o g n o d i Calpurnia. CESARE - E tu l’hai giustamente interpretato. DECIO - Infatti, e da quanto sappi dun Senato ha deciso ti sarà ciò confermato sto per dirti: que che proprio oggi il di dare una corona a Cesare possente.(44) Se tu fai lor sapere che non vai, potrebbero decidere altrimenti. Sarebbe inoltre facile, per qualcuno di loro, motteggiare sulla faccenda in chiave d’ironia: “Ag g i o rn i amo i l Sen at o ad al t ra data, fino a che altri sogni non verranno alla moglie di Cesare”. Se poi è Cesare che si nasconde, mi par già di sentirli bisbigliare: “Vu o i v ed ere ch e Ces are h a p au ra?” Perdona, Cesare, se dico questo, ma l’affettuosa mia sollecitudine pel tuo bene mi fa parlar così; e la ragione in me la cede al cuore. CESARE - Qu an t o v an e e ri d i ora m’appaiono le Mi vergogno d’ave Dammi l a t o g a; i o cole, Calpurnia, tue paure! r ceduto ad esse. vado. En t r a n o PUBLIO, BRUTO, LIGARIO, METELLO CIMBRO, CAS CA, TREBONIO e CINNA, n el l ’o r d i n e: Ces a r e ved e p er p r i mo Pu b l i o e d i ce a Deci o e Ca l p u r n i a : Ecco Pu b l i o , ch e v i en e a prelevarmi. PUBLIO - Salve, Cesare. CESARE - Benvenuto, Publio. (Ved e Br u t o ) An ch e t u , Bru t o , co s ì d i b u o n ’o ra? (Ved e t u t t i g l i a l t r i ) Buongiorno, Casca. E anche te, Li g ari o . No n t i fu mai t an t o n emi co Ces are come quell’accidente di quartana che t’ha così smagrito… Che ore sono? BRUTO - Son suonate le otto.(45) CESARE - Vi ri n g razi o per il disturbo che vi siete preso e per la cortesia che mi mostrate. En t r a MARCANTONIO Ecco , An t o n i o ch e s p en d e l e s u e notti a sgavazzare, è anche lui alzato! Bu o n g i o rn o a t e, An t o n i o . ANTONIO - Al t ret t an t o al n o b i l i s s i mo Ces are. CESARE - Ord i n a ch e p rep ari n o d i l à…(4 6 ) Biasimatemi, amici, è colpa mia se mi son fatto attendere così… Salve Cinna… Metello… Oh , Treb o n i o , an ch e t u ! Ho p er t e in serbo un’ora buona di conversazione: ricorda di passar da me in giornata; anzi, mantieniti vicino a me, ch’io possa ricordarmelo a mia volta. TREBONIO - Va b en e… (Tra sé) Ti s arò co s ì v i ci n o che i tuoi migliori amici si dorranno che non ti sia rimasto più lontano! CESARE - Av an t i , ami ci cari , en t rat e, entrate! Beviamo prima un bicchiere di vino, poi ce n’andremo insieme, in amicizia. BRUTO - (A parte) Oh , Ces are, q u al e p en o s a an g o s ci a per l’animo di Bruto, esser cosciente che tutto quel che appare esternamente non risponda alla vera realtà!(47) (Es co n o ) SCENA III Ro ma , u n a v i a n e i p r e s s i d e l C a mp i d o g l i o . En t r a ARTEMIDORO, l eg g en d o u n f o g l i o ARTEMIDORO - “Ces a r e, g u à r d a t i d a Ma r co Br u t o ; “attento a Cassio; tien lontano Casca; “occhio a Cinna; diffida di Trebonio; “Deci o Br u t o n o n t ’a ma , ed a Ligorio “hai fatto un grosso torto. “Tutti quanti hanno un unico proposito, “ed esso è contro Cesare. “S e n o n s ei i mmo r t a l e, s t a ’ guardingo: “la tua troppo ostentata sicurezza “non fa che agevolar la lor congiura. “Il tuo affezionato ARTEMIDORO”(4 8 ) Starò qui ad aspettar che passi Cesare, e, come un postulante, gli darò questo. Mi fa male al cuore che la virtù non possa viver libera dal morso dell’invidia. Se leggi questo, Cesare, puoi vivere; se no, contro di te tramano i Fati insieme ai traditori. (Es ce)(4 9 ) S CENA IV Ro ma , u n ’ a l t r a p a r t e d e l l a s t e s s a v i a , d a v a n t i a l l a c a s a d i Br u t o . En t r a n o PORZIA e LUCIO PORZIA - Ti p reg o , Lu ci o , v a’, co rri al Senato. No n s t armi a d o man d are, v a’, fa’ presto: perché stai lì impalato?… LUCIO - Se non mi dici quel che devo fare… PORZIA - Farai in tempo ad andare e ritornare, prima ch’io possa avertelo spiegato. (Tra sé) O fermezza, restami salda al fianco, innalza tra il mio cuore e la mia lingua una barriera come una montagna. Ho l a men t e d ’u n u o mo , ma d’una donna la fralezza… Ah i mè, com’è difficile per una donna mantenere un segreto! (Fo r t e a Lu ci o ) An co ra q u i ? LUCIO - Padrona, ma che cosa devo fare? Correre al Campidoglio, e poi tornare a casa, e niente più? PORZIA - Sì, solo andare e subito tornare devi, ragazzo, per venirmi a dire se il tuo padrone là ha buona cera: perché non stava bene quand’è uscito. E osserva bene quello che fa Cesare, che postulanti gli fan ressa intorno… Od i , rag azzo ! Ch e ru mo re è q u es t o ? …(50) LUCIO - No n n e s en t o , p ad ro n a. PORZIA - As co l t a b en e: mi par d’udire un confuso tumulto, come una rissa, vien dal Campidoglio, lo porta il vento. LUCIO - Io non sento niente. En t r a u n INDOVINO PORZIA - (Al l ’In d o vi n o ) Ami co , s en t i : d a ch e p art e v i en i ? INDOVINO - Da cas a mi a, p erch é, b u o n a matrona? PORZIA - Sai dirmi che ore sono? INDOVINO - Saranno intorno alle nove, signora. PORZIA - Sarà già andato in Campidoglio Cesare? INDOVINO - No n an co ra; s t o an d an d o a p ren d er posto appunto anch’io, per vederlo passare. PORZIA - Hai fo rs e q u al ch e s u p p l i ca p er l u i ? INDOVINO - Ce l’ho, Cesare d’essere da darmi d’essere signora; e se piacerà a così buono verso Cesare ascolto, lo supplicherò amico a Cesare. PORZIA - Perché? Sai forse tu di qualche male che lo stia minacciando? INDOVINO - Di n es s u n o , d i co n o s cen za cert a, ma di molti di cui ho gran paura ei p o s s a an d are i n co n t ro … Ti saluto. La s t rad a q u i è s t ret t a, e la gran folla al seguito di Cesare, senatori, pretori e un pigia-pigia di supplicanti di tutte le specie potrebbero schiacciare quasi a morte un tipo deboluccio come me; vado a cercarmi un posto un po’ più al largo, e là mi farò avanti al grande Cesare per potergli parlare, quando passa. (51) (Es ce) PORZIA - (Tra sé) Dev o ri en t rare… Ah i mè, ch e frag i l cosa i l cu o re d ’u n a d o n n a!… Oh , Bru t o , Bruto, ti disbrighino i cieli in questa impresa!… Il ragazzo ha sentito, certamente… (52) (A Lu ci o , co n i mb a r a z z o ) Bruto, sì, Bruto ha una certa supplica che Cesare rifiuta di esaudire… Oh , i o s v en g o !… Va’, Lu ci o , v a’, di corsa, e saluta per me il tuo padrone… Fagli sapere che sono serena… Poi torna a dirmi quello che t’ha detto. (Es co n o d a p a r t i d i ver s e) ATTO TERZO S CENA I Ro ma , i l C a mp i d o g l i o . Gr a n d e f o l l a s u l l a s t r a d a ch e men a a l Ca mp i d o g l i o . Tr a l a f o l l a , Ar t emi d o r o e l ’INDOVINO. Un a f a n f a r a a n n u n ci a l ’i n g r es s o d i CES ARE ch e en t r a s eg u i t o d a BRUTO, CAS S IO, CAS CA, DECIO, METELLO CIMBRO, TREBONIO, CINNA, MARCANTONIO, LEPIDO, POPILIO LENA, PUBLIO e mo l t i a l t r i . CESARE - (Scorgendo tra la folla l’Indovino) Eh i , t u , g l ’i d i d i marzo s o n o giunti! INDOVINO - Gi u n t i , ma n o n t ras co rs i an co ra, Cesare. ARTEMIDORO - (Fa cen d o s i a va n t i e p o r g en d o g l i la supplica) Sal v e, Ces are. Leg g i q u es t o fo g l i o . DECIO - (In t r o met t en d o s Cesare un altro Treb o n i o ch i ed e comodo tu legga questa supplica. i e porgendo a foglio) che a tuo miglior sua umile ARTEMIDORO - Cesare, leggi prima quella mia, che tocca Cesare più da vicino! Leg g i l a, g ran d e Ces are. CESARE - Qu el l o ch e t o cca l a n o s t ra p ers o n a sarà letto per ultimo. ARTEMIDORO - No , Ces are, leggila, non tardare un solo istante. CESARE - Chi è costui, un pazzo? PUBLIO - (S o s p i n g en d o Ar t emi d o r o ) Larg o , l arg o ! CASSIO - E ch e! Da q u an d o i n q u a si presentano suppliche per strada? Ven i t e i n Camp i d o g l i o ! (Ces a r e en t r a i n Ca mp i d o g l i o , g l i altri lo seguono. Tutti i senatori sono in piedi)(53) POPILIO - (A parte, a Cassio) M’auguro, Cassio, che la vostra impresa, vada a buon fine. CASSIO - (Sorpreso) Che impresa, Popilio? POPILIO - Ti s al u t o . (Se ne va verso Cesare) BRUTO - (A parte, a Cassio) Che ti diceva quello? CASSIO - Che s’augura che la nostra iniziativa o g g i v ad a a b u o n fi n e. Ho g ran paura che il nostro piano sia stato scoperto. BRUTO - (In d i ca n d o Po p i l i o ) Gu ard al o l à, co me s ’acco s t a a Cesare, osserva bene. CASSIO - Casca, tienti pronto, perché temiamo d’esser prevenuti. Bru t o , ch e s ’h a d a fare? Di l l o t u . Se fossimo scoperti,(54) o Cassio o Cesare oggi non uscirà vivo da qui, perch’io m’uccido. BRUTO - Cassio, sta’ tranquillo; Po p i l i o Len a di quel che s fare; perché, lo ve e l’umore di CASSIO - non gli sta parlando a che noi vogliamo di, è tutto sorridente, Cesare non cambia. Treb o n i o s a a p u n t i n o l a s u a p art e. Gu ard a, co me s i t rae d a p art e An t o n i o . (Si vede Trebonio uscire con Ma r ca n t o n i o ) DECIO - Do v ’è Met el l o Ci mb ro ? Vad a s u b i t o a presentar la sua supplica a Cesare. BRUTO - Ecco , s ’ap p res t a a farl o : accalchiamoci tutti intorno a lui, diamogli mano. CINNA - Cassio, tu per primo devi alzare la mano.(55) CESARE - (Ai s en a t o r i ) Siam pronti?… Che c’è di fatto male cui ora Cesare ed il suo Senato devon porre riparo? METELLO - (An d a n d o ver s o Ces a r e co n l a s u p p l i ca i n ma n o ) Al t i s s i mo , fo rt i s s i mo , potentissimo Cesare, ai tuoi piedi Metello Cimbro getta un umil cuore. (S’inginocchia) CESARE - Cimbro, t’avverto: queste prostrazioni e queste basse cortigianerie posson servire ad infiammare il sangue degli uomini qualunque, non già a mutare una disposizione già adottata e sancita per decreto, in una legge-gioco per bambini. (56) No n es s er t an t o s ci o cco d a p en s are che Cesare abbia un sangue così indocile(57) da lasciarsi traviare facilmente dalla sua genuina qualità con mezzi buoni a blandire gli stolti; e cioè con le dolci paroline, le sgangherate cortigianerie, le basse piaggerie da cuccioletti. Tu o frat el l o è b an d i t o p er d ecret o . S’è per lui che tu vieni ad inchinarti, ed a pregare ed a blandire Cesare, io ti caccio a pedate come un cane dalla mia strada. Sappilo, Metello: a nessuno ha mai fatto torto Cesare, né mai vorrà aver soddisfazione, se non su base d’una giusta causa. METELLO - (Ri vo l t o a g l i a l t r i co n g i u r a t i ) No n c’è t ra v o i p i ù meri t o ri a v o ce, che suoni più gradita della mia all’orecchio di Cesare magnifico, per revocare il bando a mio fratello? BRUTO - (Ven en d o s u b i t o a va n t i e p r en d en d o l a ma n o d i Ces a r e) Io ti bacio la mano, Cesare, non per bassa adulazione, ma per pregarti ed impetrar da te che Publio Cimbro possa avere subito la libertà di rientrare a Roma. CESARE - Come! Bruto! CASSIO - Il tuo perd ecco, ai tuoi piedi si Cassio ad implorar da te la revoca del bando a Cimbro. (S’inginocchia ai pie ono, Cesare: prosterna Publio di di Cesare) CESARE - Vo i p o t res t e p en s are d i commuovermi s’io fossi come voi. Se pregare sapessi anch’io per commuovere altrui, questo vostro pregare il mio perdono sarebbe riuscito già a commuovermi. Ma io sono costante ed immutabile co me l a St el l a d el l ’Ors a Mi n o re alla cui fissità nessuna stella è pari, nell’intero firmamento. I cieli son dipinti d’infinite scintille tutto fuoco, e ciascuna rifulge come l’altre, ma ve n’è una ch’è fissa ed immobile sempre allo stesso punto. Così nel mondo: è brulicante d’uomini, fatti di carne e sangue tutti quanti, e dotati di seme d’intelletto; e tuttavia in questa moltitudine io non ne so che uno che stia saldo, ed immoto, e inespugnabile: e quell’uno son io. E in questo caso, anche, lasciate ch’io tale mi mostri: sono stato costante nel volere che Cimbro fosse stato messo al bando, e costante rimango nel volere che così resti. CASSIO - (Ri a l z a n d o s i ). Oh , Ces are… CESARE - Sta’ indietro! E ch e! Vo rres t i s cu o t ere l ’Ol i mp o ? DECIO - (Inginocchiandosi) Gran d e Ces are… CESARE - T’i n g i n o cch i i n v an o . (58) Perfino Bruto s’inginocchia invano. CASCA - Parlate allora voi, mani, per me! (Casca sta Cesare al c altri gli si colpendolo Br u t o l o co CESARE - dietro, e colpisce ollo col pugnale; gli avventano subito, dappertutto il corpo. l p i s ce p er u l t i mo ) Et t u , Br u t e? (5 9 )… E al l o ra cad i , Cesare! (S t r a ma z z a , mo r t o . Il p o p o l o e t u t t i i s en a t o r i , men o Pu b l i o , fuggono in disordine) CINNA - Ro man i , l i b ert à! Li b erazi o n e! La t i ran n i d e è s p en t a! Correte a proclamarlo per le strade! CASSIO - Al l e t ri b u n e!(6 0 ) Ci s al g a qualcuno e g ri d i “Li b ert à!” a t u t t a Ro ma! “Li b ert à, red en zi o n e, affrancamento!” BRUTO - Popolo e senatori, non fuggite; restate, non dovete aver paura! Il debito dell’ambizione è assolto. CASCA - Bruto, va’ tu ai rostri. DECIO - E Cassio, anche. BRUTO - Do v ’è Pu b l i o ? CINNA - Qu i , Bru t o , q u i co n n o i , tutto atterrito da questa rivolta. METELLO - Stiamo ben saldi insieme, ché per caso qualche amico di Cesare potrebbe… BRUTO - No n p arl i amo d i s t are… (A Pu b l i o ) Sta’ tranquillo, Publio, per te non c’è nessun pericolo, come per nessun altro dei Romani. Rassicurali, Publio. CASSIO - Sarà meglio, Publio, però che tu non stia con noi; che il popolo infuriato con noi tutti non abbia a maltrattar la tua canizie. BRUTO - Sì, allontànati, Publio, che nessuno risponda di questo atto eccetto noi, che ne siamo gli autori. Ri en t r a TREBONIO CASSIO - Do v ’è An t o n i o ? TREBONIO - Se n’è fuggito a casa, era tutto stordito. Per le strade, uomini, donne, bimbi, spaventati, gli occhi sbarrati, van correndo e urlando come se fosse il giorno del Gi u d i zi o . BRUTO - O Fati, ora sapremo il voler vostro; che dobbiamo morire, lo sappiamo; non è che l’ora ed i residui giorni che gli uomini si curan di sapere. CASSIO - Mah, chi toglie vent’anni alla sua vita, altrettanti ne toglie alla paura sua della morte. BRUTO - Da’ q u es t o p er v ero , ed allora la morte è un beneficio; ed è questo che abbiamo fatto a Cesare, accorciandogli il tempo da viver nel timore della morte. Chinatevi, Romani, prosternatevi! E nel sangue di Cesare bagniamoci le mani, fino ai gomiti, ed intingiamoci le nostre spade, e, andando tutti avanti, fino al Foro, ed agitando sulle nostre teste l’armi vermiglie, alziamo un solo grido: “Pace, liberazione, libertà!” CASSIO - Inchiniamoci, allora, sì, e bagniamoci! Per quante età future sarà questa esaltante nostra scena (61) rivissuta: in nazioni ancor da nascere ed in accenti ancora sconosciuti! BRUTO - E quante volte, a pubblico divago, dovrà ancor sanguinare questo Cesare, che giace ora disteso, men che polvere, ai piedi della statua di Pompeo! (62) CASSIO - Ed o g n i v o l questo nost sarà esaltat che diedero DECIO - Al l o ra, ch e facci amo , ci mu o v i amo ? CASSIO - Vi a, s ì , v i a t u t t in testa e noi onoreremo con il corteo de gagliardi e dei più eletti ta ro o, la che ciò si farà, manipolo di uomini come di coloro libertà alla patria! i insieme, e Bruto i suoi calcagni i cuori più spiriti di Roma. En t r a u n S ERVO BRUTO - Fermi ! Ch i v i en e?… Un fami g l i o d i An t o n i o . SERVO - (In g i n o cch i a n d o s i a va n t i a Br u t o ) Bruto, così m’impose il mio padrone d’inginocchiarmi; così Marcantonio mi comandò di cadere ai tuoi piedi, e, prosternato a te, così parlarti: nobile, saggio, valoroso e onesto è Bruto; Cesare era possente, coraggioso, magnanimo, affettuoso: di’ a Bruto che io l’amo, e che l’onoro; digli che amavo ed onoravo Cesare, ed anche lo temevo; se Bruto vorrà far che Marcantonio, senza pericolo per la sua vita, possa vederlo e sapere da lui come Cesare avesse meritato d’essere messo a morte, Marcantonio non avrà tanto caro Cesare morto, quanto Bruto vivo, e del nobile Bruto seguirà, con salda fede, le fortune e i rischi attraverso le incognite vicende di questa situazione.(63) BRUTO - Il tuo è un Romano di senno mai lo tenni da meno. Di g l i ch e s e g l i p i ace in questo luogo, sarà e, sul mio onore, ne p incolume. SERVO - padrone e di valore: di venire soddisfatto, artirà Vad o , e t e l o co n d u co immantinente. (Es ce) BRUTO - (A Cassio) Sono sicuro che lo avremo amico. CASSIO - Vo rrei b en au g u rarmel o , ma l’animo mi dice di temere molto di lui; e i miei presentimenti è raro che non colgano nel segno. Ri en t r a MARCANTONIO(6 4 ) Ma ecco An t o n i o … Ben v en u t o , An t o n i o ! ANTONIO - (Senza rispondergli, volto al cadavere di Cesare) Potentissimo Cesare! Sì basso giaci? A sì picciola cosa sono dunque ridotte le tue glorie, le tue grandi conquiste, i tuoi trionfi, l e s p o g l i e d a t e v i n t e? Va l e, Cesare! (A Br u t o e Ca s s i o ) Io non conosco le vostre intenzioni: a chi altri si debba cavar sangue; chi altro voi pensiate ne abbia troppo; se si trattasse della mia persona, non saprei scegliere miglior momento di questo che ha veduto cader Cesare, né più gloriosi strumenti di morte di queste vostre spade, impreziosite dal più nobile sangue della terra. Se mal mi sopportate, mentre le vostre mani ancor fumano e vaporan purpuree, vi scongiuro, completate su me l’opera vostra! Vi v es s i an co r mi l l ’an n i , mai sarò meglio disposto a morire, né mi sarà più gradito altro luogo né altro mezzo con cui ricever morte, che qui, accanto a Cesare, e per mano di voi che siete il fiore dei grandi spiriti dell’età nostra. BRUTO - An t o n i o , n o n ci ch i ed er l a t u a morte. Se pur dobbiamo apparire ai tuoi occhi nient’altro che efferati sanguinarii a giudicarci dalle nostre mani e dall’atto da noi testé compiuto, tu di noi vedi solo ora le mani e l’azione cruenta che le mani han compiuto; non vedi i nostri cuori; essi traboccan di pietà per Cesare ma anche di pietà per tutti i torti per Cesare da Roma sopportati; e la pietà ha scacciato la pietà in noi, in questa azione contro Cesare, come è scacciato il fuoco da altro fuoco. Vers o d i t e, p erò , l e n o s t re s p ad e hanno punte di piombo, Marcantonio; le nostre braccia, forti contro il male, e i nostri cuori solo temperati di volontà fraterna, t’accolgono fra noi con simpatia, con ogni buon proposito e rispetto. CASSIO - La t u a v o ce s arà t an t o au t o rev o l e quanto quella d’ogni altro, nella distribuzione delle cariche nel nuovo ordinamento dello Stato. BRUTO - Dev i s o l p azi en t are, Marcan t o n i o , che ci riesca di calmare la gente, ancora fuor di sé dallo spavento, e ti riveleremo allor la causa perch’io, che pur volevo bene a Cesare(65) pur mentre lo colpivo, ho così agito. ANTONIO - Del l a s ag g ezza v o s t ra i o n o n dubito. Che ciascuno di voi mi tenda la sua mano insanguinata; e tu per primo, Bruto; e la tua, Cassio; e l a t u a, Deci o ; e p o i l a t u a, Metello; e la tua, Cinna; e tu, mio prode Casca; e, s e p u re p er u l t i mo , Treb o n i o , la tua, non certo per minore affetto. No b i l i ami ci … ah i mè ch e co s a dirvi? Il mio credito presso tutti voi riposa su così malferma base che una di due cose, entrambe odiose, voi dovete pensar di me ch’io sia: o un codardo o un basso adulatore. Che io t’amassi, Cesare, oh, questo è vero! E se il tuo grande spirito aleggia su di noi, ti dorrà forse più crudamente ancor della tua morte(66) v ed ere i l t u o An t o n i o far la pace con questi tuoi nemici e stringere le mani di ciascuno intrise del tuo sangue, nobilissimo, avanti alla tua spoglia. Meglio si converrebbe certo a me, potessi aver tanti occhi per quante hai tu ferite, e tante lacrime per quanto è il sangue che da esse sgorga, che non legarmi ora in amicizia coi tuoi nemici… Perdonami, Gi u l i o ! Tu , v al o ro s o cerv o , qui sei stato braccato, qui cadesti, e qui i tuoi cacciatori hanno segnato in cremisi i lor nomi sul tuo corpo. E tu di questo cervo la foresta eri, o mondo, ed in lui era il tuo cuore! Qu an t o s i mi l e a u n cerv o , da molti principi trafitto, Cesare, ti vedo or qui giacere!… CASSIO - Marcantonio! ANTONIO - Scusami Cassio, sto parlando a Cesare come potranno i nemici di Cesare; in bocca ad un amico come me, è fredda discrezione.(67) CASSIO - No n t i ri mp ro v ero l e l o d i a Ces are, ma con noi come intendi comportarti? Vu o i ch e t i an n o v eri amo t ra g l i amici, o dobbiamo procedere da soli, senza poter contare su di te? ANTONIO - Ero p er d i rv i q u es t o p o co fa, mentre stringevo a ciascuno la mano, ma mi son divagato, in verità, nell’abbassare gli occhi sopra Cesare. Sono con voi, amici, e vi amo tutti, sempre con la speranza di conoscere le ragioni da voi, come e perché sarebbe stato Cesare un pericolo. BRUTO - Senza come e perché, sarebbe stato il nostro, certamente, un ben truce spettacolo. Ma le nostre ragioni, Marcantonio, sono talmente degne e rispettabili, che s’anche tu fossi figlio di Cesare non potresti non esserne convinto. ANTONIO - È tutto quel che chiedo di sapere. In più vi chiedo che mi sia concesso di portare nel Foro il suo cadavere, e lì, dal rostro, poter pronunciare come un amico il suo elogio funebre. BRUTO - Co n ces s o , An t o n i o . CASSIO - Bruto, una parola… (Si appartano) No n h ai co s ci en za d i q u el l o ch e fai. No n s i d ev e p ermet t ere ad An t o n i o di parlare per il suo funerale. Tu n o n s ai co me p u ò fars i commuovere il popolo da ciò ch’egli dirà! BRUTO - Tu l as ci a fare a me… Salirò io per primo alla tribuna e chiarirò al popolo i motivi che ci hanno spinti ad uccidere Cesare. Qu an t o a q u el l o ch e p o t rà d i re An t o n i o , spiegherò ch’è col nostro beneplacito ch’egli parla, per tributare a Cesare le onoranze previste dalla legge. Ciò tornerà piuttosto a nostro bene, e non a nostro danno. CASSIO - Qu el ch e p o t rà s eg u i rn e, n o n l o so; ma la faccenda non mi piace affatto. BRUTO - An t o n i o , l à, p ren d i i l co rp o d i Cesare. Bada, però, nel tuo discorso funebre, nessun biasimo a noi. Di Ces are d i ’ p u re t u t t o i l b en e che puoi dire, ma spiega che lo fai con il nostro consenso; o altrimenti tu non potrai aver nessuna parte in queste esequie; e inoltre parlerai dalla stessa tribuna dov’io vado, e dopo ch’abbia già parlato io. ANTONIO - D’acco rd o . No n d es i d ero d i p i ù . BRUTO - Prepara dunque il corpo, là, e seguici. (Es co n o t u t t i men o An t o n i o ) ANTONIO - Oh , p erd o n ami , zo l l a s an g u i n an t e, se mi mostro così mansueto ed umile co n q u es t i macel l ai . Nel l a t u a spoglia è la rovina dell’uomo più nobile che visse mai nel fluire del tempo. E maledette siano quelle mani ch’hanno versato il tuo prezioso sangue! Su queste tue ferite che dischiudono come mute bocche le lor labbra vermiglie ad implorare voce ed accento da questa mia lingua, io profetizzo qui che la tua morte farà cadere una maledizione sulla schiena degli uomini: furore d’interne lotte e di fazioni l’un l’altra avverse strazierà d’Italia ogni contrada; il sangue e la rovina saranno sì consueti, e diverranno così famigliari scene d’orrore agli occhi della gente, che le madri dovranno sol sorridere nel mirare i lor bimbi appena nati squartati dagli artigli della guerra, ché l’abitudine alle truci gesta avrà spento ogni senso di pietà; e su tutti lo spirito di Cesare avido di vendetta, con al fianco At e, v en u t a fu o ri d al l ’i n fern o ,(6 8 ) a c c “ s ndrà gridando, entro questi onfini, on voce di monarca: Di s t ru zi o n e!”, guinzagliandovi i cani della guerra,(69) così c dovrà con il gemen he que ammor puzzo ti dai sta sciagurata impresa bar la terra delle carogne umane viventi sepoltura. En t r a u n S ERVO Tu s erv i Ot t av i o Ces are, o mi sbaglio? SERVO - Ap p u n t o , Marcan t o n i o . ANTONIO - So che Cesare gli aveva scritto di venire a Roma. (70) SERVO - Ha ri cev u t o , i n fat t i , l a s u a l et t era, e viene; e m’ordinò di dirti a voce… (Ved e i l ca d a ver e d i Ces a r e) Oh , Ces are!… ANTONIO - (Ved en d o i l s er vo a mmu t o l i t o ) Ti s i è g o n fi at o i l cuore, lo so. Mettiti un po’ da parte, e piangi. La co mmo zi o n e è co n t ag i o s a, v ed o ; ché a vedere imperlarsi di dolore i tuoi occhi, mi pare che anche i miei cominciano a bagnarsi… Il tuo padrone allora sta venendo? SERVO - Qu es t a s era pernotterà a sette miglia da Roma. ANTONIO - To rn a d a l u i d i co rs a, e informalo di quanto hai visto qui: qui c’è una Roma in lutto, una Roma in pericolo, una Roma n o n an co ra s i cu ra p er Ot t av i o . Va’ d i g l i q u es t o … No , u n mo men t o , aspetta: non andare senza aver visto me trasportare nel Foro questo corpo. Là i o , co l mi o d i s co rs o , saggerò come reagisce il popolo al delitto di questi sanguinari; e t u d a ci ò p o t rai d i re ad Ot t av i o co me s t an n o l e co s e. Vi en i , aiutami. (Es co n o t r a s p o r t a n d o i l co r p o d i Cesare, dopo averlo avvolto in un lenzuolo) S CENA II Ro ma , i l Fo r o . En t r a n o BRUTO e CAS S IO s eg u i t i d a u n a f o l l a d i ci t t a d i n i CITTADINI - Soddisfazione! Vo g l i amo s ap ere! Vo g l i amo ch e ci d i at e s p i eg azi o n e! BRUTO - (Acci n g en d o s i a s a l i r e s u l r o s t r o ) Bene, amici, seguitemi e ascoltate. Cassio, tu pòrtati nell’altra strada, spartiamoci la folla tra noi due. Chi vuol sentire me, si fermi qui, chi vuol sentire Cassio, segua lui. Vi d aremo q u i p u b b l i ca rag i o n e della morte di Cesare. 1 ° CITTADINO - Io res t o . Vo g l i o u d i r p arl are Bruto. 2 ° CITTADINO - Io voglio udire Cassio; raffronteremo poi le lor ragioni, che avremo udito separatamente. (Es ce Ca s s i o , s eg u i t o d a a l cu n i cittadini) 3 ° CITTADINO - Silenzio! Il nobile Bruto è salito. BRUTO - Romani, miei compatrioti, amici, io vi chiedo pazienza; ascoltatemi bene fino in fondo, e restate in silenzio, e vi esporrò la causa(71) del mio agire. Sul mio onore, credetemi, ed abbiate rispetto del mio onore; giudicatemi nella saggezza vostra, e a meglio farlo aguzzate l’ingegno. Se c’è alcuno fra voi ch’abbia voluto molto bene a Cesare, io dico a lui che l’amore di Bruto per Cesare non fu meno del suo. Se poi egli chiedesse perché Bruto s’è levato con l’armi contro Cesare, la mia risposta è questa: non è che Bruto amasse meno Cesare, ma più di Cesare amava Roma. Preferireste voi Cesare vivo e noi tutti morire come schiavi, oppur Cesare morto, e tutti liberi? Cesare m’ebbe caro, ed io lo piango; la fortuna gli arrise, ed io ne godo; fu uomo valoroso, ed io l’onoro. Ma fu troppo ambizioso, ed io l’ho ucciso. Lacri me p el s u o amo re, compiacimento per la sua fortuna, onore al suo valore, ma morte alla sua sete di potere! C’è alcuno tra voi che sia sì abietto da bramare di viver come servo? Se c’è, che parli, perché è lui che ho offeso! Se alcuno c’è tra voi che sia sì barbaro da rinnegare d’essere un Romano, che parli, perché è a lui che ho fatto torto! E chi c’è qui tra voi di tanto ignobile da non amar la patria? Se c’è, parli: perché è a lui ch’io ho recato offesa. CITTADINI - Nes s u n o , Bru t o ! Nes s u n o ! Nes s u n o ! BRUTO - Vu o l d i re al l o ra ch e n es s u n o h o offeso. Ho fat t o a Ces are n o n p i ù d i quello che ciascuno di voi farebbe a Bruto. Le rag i o n i p er cu i Ces are è mo rt o son tutte registrate in Campidoglio; la sua gloria, dov’egli ne fu degno, non è stata offuscata, né i suoi torti per i quali ebbe morte, esagerati. En t r a n o ANTONIO ed a l t portando il corpo di Ce avvolto in un lenzuolo, depongono ai piedi del ri sare e lo rostro. Ecco , v i en e i l s u o co rp o , pianto da Marcantonio, che con tutto che non ha avuto parte alla sua morte, ne trarrà per sé il beneficio d’un cospicuo ufficio in seno alla repubblica. Ma chi di voi non ne trarrà altrettanto? E con ciò ho finito, cittadini, non senza avervi ancora detto questo: che come ho ucciso il mio migliore amico per il bene di Roma, quello stesso pugnale io terrò pronto per me stesso, se piaccia alla mia patria d’aver necessità della mia morte. CITTADINI - Ev v i v a Bru t o ! Ev v i v a! Ev v i v a! Ev v i v a! 1 ° CITTADINO - Portiamolo in trionfo a casa sua! 2 ° CITTADINO - Facciamogli una statua con i suoi antenati. 3 ° CITTADINO - Sia lui Cesare! 4 ° CITTADINO - Sian coronate in Bruto le qualità più nobili di Cesare! 1 ° CITTADINO - Vo g l i amo acco mp ag n arl o a cas a s u a con grida e acclamazioni… BRUTO 2 ° CITTADINO - Cittadini!… Silenzio, olà, silenzio! Parla Bruto! BRUTO - Miei bravi cittadini, lasciate ch’io me ne vada da solo; ri man et e q u i t u t t i co n An t o n i o . Rendete onore alla salma di Cesare ed a q u el l o ch e An t o n i o v i d i rà, con il nostro consenso e beneplacito, ad esaltare i meriti di Cesare. Vi s u p p l i co , n es s u n o s ’al l o n t an i prima che Marcantonio abbia parlato. (Es ce) 1 ° CITTADINO - Zi t t i e fermi ! Sen t i amo Marcantonio. 3 ° CITTADINO - As p et t i amo ch e s al g a al l a t ri b u n a. No b i l e An t o n i o , s al i , t i ascoltiamo. ANTONIO - (È salito sul rostro) Per amore di Bruto, mi sento in obbligo con tutti voi. 4 ° CITTADINO - (Al t er z o ci t t a d i n o ) Eh ? Ch e d i ce d i Bru t o ? 3 ° CITTADINO - Che per amor di Bruto si sente in obbligo con tutti noi, dice… 4 ° CITTADINO - Meglio per lui che non si metta a dir male di Bruto! 1 ° CITTADINO - Qu es t o Ces are, è v ero , era u n tiranno. 3 ° CITTADINO - Ah , q u es t o è cert o ; e s i amo fortunati che Roma abbia saputo liberarsene! 2 ° CITTADINO - Silenzio, udiamo che sa dirci An t o n i o . ANTONIO - Vo i , n o b i l i Ro man i … CITTADINI - Ol à, s i l en zi o !… ANTONIO - Romani, amici, miei compatrioti, vogliate darmi orecchio. Io sono qui per dare sepoltura a Cesare, non già a farne le lodi. Il male fatto sopravvive agli uomini, il bene è spesso con le loro ossa sepolto; e così sia anche di Cesare. V’h a d et t o i l n o b i l e Bru t o ch e Cesare era uomo ambizioso di potere: se tale era, fu certo grave colpa, ed egli gravemente l’ha scontata. Qu i , co l co n s en s o d i Bru t o e d eg l i altri - ché Bruto è uom d’onore, come lo sono con lui gli altri io vengo innanzi a voi a celebrare d i Ces are l e es eq u i e. Ei mi fu amico, sempre stato con me giusto e leale; ma Bruto dice ch’egli era ambizioso, e Bruto è certamente uom d’onore. Ha ad d o t t o a Ro ma mo l t i prigionieri, Cesare, e il lor riscatto ha rimpinzato le casse dell’erario: sembrò questo in Cesare ambizione di potere? Qu an d o i p o v eri h an p i an t o , Cesare ha lacrimato: l’ambizione è fatta, credo, di più dura stoffa; ma Bruto dice ch’egli fu ambizioso, e Bruto è uom d’onore. Al Lu p ercal e(7 2 ) - t u t t i av et e visto per tre volte gli offersi la corona e per tre volte lui la rifiutò. Era amb i zi o n e d i p o t ere, q u es t a? Ma Bruto dice ch’egli fu ambizioso, e, certamente, Bruto è uom d’onore. No n s t o p arl an d o , n o , per contraddire a ciò che ha detto Bruto: son qui per dire quel che so di Cesare. Tu t t i l o amas t e, e n o n s en za cagione, u n t emp o … Qu al cag i o n e v i trattiene allora dal compiangerlo? O senno, ti sei andato dunque a rifugiare nel cervello degli animali bruti, e gli uomini han perduto la ragione? Scusatemi… il mio cuore giace là nella bara(73) con Cesare, e mi debbo interromper di parlare fin quando non mi sia tornato in petto.(74) 1 ° CITTADINO - Mi sembra che ci sia molta ragione in quel che ha detto. 2 ° CITTADINO - Certo, a ripensarci. Cesare ha ricevuto grandi torti. 3 ° CITTADINO - Ah , pau che peg 4 ° CITTADINO - Av et e b en n o t at o q u el ch e h a detto? No n h a v o l u t o accet t ar l a co ro n a: allora è certo, non era ambizioso. 1 ° CITTADINO - Se davvero è così, qualcuno la dovrà pagar ben cara. 2 ° CITTADINO - Pover’anima, ha gli occhi tutti rossi come il fuoco, dal piangere. 3 ° CITTADINO - No n c’è u o mo p i ù n o b i l e d i An t o n i o a Roma. 4 ° CITTADINO - s ì , cert o co mp ag n i .(7 5 ) Ed h o ra al suo posto ne venga uno giore. Ecco , ri p ren d e a p arl are. ANTONIO - An co ra i eri , l a v o ce d i Ces are avrebbe fatto sbigottire il mondo: ed ei giace ora là, e nessuno si stima tanto basso da render riverenza alla sua spoglia. Oh , ami ci , fo s s e s t at a mi a intenzione eccitare le menti e i cuori vostri alla sollevazione ed alla rabbia, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali sono uomini d’onore, come tutti sapete. No n farò cert o l o ro q u es t o t o rt o ; preferisco recarlo a questo ucciso, a me stesso ed a voi, piuttosto che a quegli uomini onorevoli. Ma ho qui con me una pergamena scritta, col sigillo di Cesare; l’ho rinvenuta nel suo gabinetto: è il suo testamento. Se solo udisse la gente del popolo quello ch’è scritto in questo documento - che, perdonate, non intendo leggere andrebbe a gara a baciar le ferite di questo corpo, e a immergere ciascuno i propri lini nel suo sacro sangue; e a chiedere ciascuno, per reliquia, un suo capello, di cui far menzione in morte, per lasciarlo in testamento, prezioso lascito, ai suoi nipoti. 1 ° CITTADINO - Il testamento lo vogliamo udire. Leg g i l o , Marcan t o n i o ! TUTTI - Il testamento! Il t es t amen t o ! Vo g l i amo s en t i re quali sono le volontà di Cesare. ANTONIO - Gen t i l i ami ci , n o , siate pazienti, non lo debbo leggere. No n è o p p o rt u n o ch e v o i conosciate fino a che punto Cesare vi amasse. No n s i et e n é d i l eg n o , n é d i pietra, ma siete uomini, e, come uomini, sentendo quel che Cesare ha testato, v’infiammereste, fino alla pazzia. È bene non sappiate che suoi eredi siete tutti voi, perché, se lo sapeste, oh, chi sa mai che cosa ne verrebbe! 4 ° CITTADINO - Leg g Vo g l An t o Dev i ANTONIO - Dav v ero n o n v o l et e p azi en t are? No n v o l et e as p et t are an co ra u n po’? Ho t ras g red i t o a me s t es s o a parlarvene. Fo torto, temo, agli uomini d’onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare. 4 ° CITTADINO - Che “uomini d’onore”: traditori! ALTRI CITTADINI - Vo g l i amo i l t es t amen t o ! 2 ° CITTADINO - Scel l erat i ! As s as s i n i !… Il testamento! Leg g i ci i l t es t amen t o ! ANTONIO - Mi costringete, dunque, a forza a leggerlo?… Al l o ra fat e cerch i o tutt’intorno al cadavere di Cesare e lasciate ch’io scopra agli occhi vostri colui che ha fatto questo testamento. Dev o s cen d ere? Me l o p ermet t et e? TUTTI - Vi en i g i ù . Scendi. È questo che vogliamo. i quel testamento! iamo udire quel che dice, nio! leggere la sua volontà! (An t o n i o s cen d e d a l r o s t r o e s i p o r t a vi ci n o a l l a s a l ma d i Ces a r e) UN CITTADINO UN ALTRO UN ALTRO - Stiamo in cerchio. Di s co s t i d al l a b ara. No n ci accal ch i amo t u t t i s u l cadavere. UN ALTRO - Fat e l arg o ad An t o n i o … al n o b i l i s s i mo An t o n i o . ANTONIO - (Che è sceso dal rostro) No , n o , non dovete accalcarvi intorno a me, state discosti. ALCUNI - Indietro, gente, indietro! ANTONIO - Ora, s e av et e l acri me, Ro man i , preparatevi a spargerle. Il mantello lo conoscete tutti: io ho, nel mio ricordo, la prima volta ch’egli l’ha indossato: nella sua tenda, una sera d’estate, il giorno stesso che sconfisse i Nerv i i .(7 6 ) Gu ard at e: i n q u es t o p u n t o è penetrato il pugnale di Cassio; qui, vedete, che squarcio ha fatto nella sua ferocia Casca, e per là è poi passato il pugnale del suo diletto Bruto; e quando questi ha estratto da quel varco il maledetto acciaio, ecco, osservate come il sangue di Cesare n’è uscito quasi a precipitarsi fuor di casa per sincerarsi s’era stato Bruto, o no, che avesse così rudemente bussato alla sua porta: perché Bruto era l’angelo di Cesare, lo sapete. E voi siete testimoni, o dèi, di quanto caramente egli l’amasse! Qu es t o d i t u t t i i co l p i è stato certamente il più crudele: perché il nobile Cesare quando vide colui che lo vibrò, l’ingratitudine, più che la forza delle braccia degli altri traditori, lo soverchiò del tutto, e il suo gran cuore gli si spezzò di schianto; e, coprendosi il volto col mantello, ai piedi della statua di Pompeo, che intanto s’era inondata di sangue, il grande Cesare crollò e cadde. Oh , q u al cad u t a, mi ei co mp at ri o t i , è s t at a q u el l a! Tu t t i , i n quell’istante, siamo caduti, mentre su di noi trionfava nel sangue il tradimento. Oh , o ra v o i p i an g et e; e l a p i et à, m’accorgo, fa sentire in voi il suo morso: son generose lacrime, le vostre; e voi piangete, anime gentili, e avete visto solo sulla veste del nostro Cesare le sue ferite. Gu ard at e q u a: (Solleva il lenzuolo e scopre il corpo di Cesare) il suo corpo straziato dai pugnali traditori. CITTADINI - Uh , q u al e s cemp i o ! Oh , mag n an i mo Cesare! O infausto giorno! Infami traditori! Oh , ch e o rri b i l e v i s t a! Qu an t o sangue! Ven d i carl o d o b b i amo . Sì, vendetta! Ven d et t a! At t o rn o , fru g at e, bruciate, incendiate, uccidete, trucidate, non resti vivo un solo traditore! 1 ° CITTADINO - Si l en zi o , o l à! As co l t i amo an co ra An t o n i o . 2 ° CITTADINO - As co l t eremo , s eg u i remo An t o n i o , moriremo con lui… ANTONIO - Miei buoni amici, miei cari amici, non fatemi carico d’istigarvi ad un simile improvviso flutto di ribellione. I responsabili di quest’azione sono gente d’onore… Qu al i p ri v at e cau s e d i ran co re possano averli indotti, ahimè, a compierla, non so: essi son saggi ed onorevoli e vi sapranno dire le ragioni. No n s o n v en u t o , ami ci , a rapire per me il vostro cuore; non sono un oratore come Bruto, sono - mi conoscete - un uomo semplice che amava Cesare con cuor sincero; e questo sanno bene anche coloro che m’han concesso il loro beneplacito a parlare di lui così, in pubblico; perché io non posseggo né l’ingegno, né la facondia, né l’abilità, né il gesto, né l’accento, né la forza della parola adatta a riscaldare il sangue della gente: parlo come mi viene sulla bocca, vi dico ciò che voi stessi sapete, vi mostro le ferite del buon Cesare, povere bocche mute, e chiedo a loro di parlar per me. S’io fossi Bruto e Bruto fosse An t o n i o , allora sì, che qui a parlare a voi v i s areb b e u n An t o n i o ben capace di riscaldare gli animi e di dar voce ad ogni sua ferita per trascinare a Roma anche le pietre alla rivolta ed all’insurrezione! CITTADINI - E così noi faremo! Insorgeremo! Daremo fu o co al l a cas a d i Bru t o ! 1 ° CITTADINO - Vi a, d u n q u e, a cacci a d ei cospiratori! ANTONIO - No , ci t t ad i n i , as co l t at emi an co ra. Ho an co ra d a p arl arv i . 1 ° CITTADINO - Ol à, s i l en zi o ! Sentiamo ancora quel che vuole dirci i l n o b i l i s s i mo An t o n i o . ANTONIO - Ma, amici, andate a far non sapete che cosa. Sapete perché Cesare ha tanto meritato il vostro affetto?… Ah i mè, m’acco rg o ch e n o n l o sapete. Du n q u e b i s o g n erà ch e v e l o d i ca. Il testamento di cui v’ho parlato l’avete già dimenticato… CITTADINI - È vero! Sentiamo quel che dice il testamento. ANTONIO - Ecco l o q u a: co l s i g i l l o d i Ces are: lascia pro capite a ciascun Romano, settantacinque dramme.(77) 2 ° CITTADINO - Ces are n o b i l i s s i mo ! Ven d et t a! Del l a s u a mo rt e faremo v en d et t a! 3 ° CITTADINO - Oh , Ces are reg al e! ANTONIO - As co l t at emi an co ra co n p azi en za. CITTADINI - Silenzio, olà! Silenzio! ANTONIO - Inoltre vi ha lasciati tutti quanti eredi dei giardini, delle vigne e degli orti da lui fatti piantare d i l à d al Tev ere recen t emen t e: li lascia tutti a voi e ai vostri eredi, in perpetuo possesso, perché siano pubblici luoghi di divertimento per passeggiate e per ricreazione. Qu es t o era, ci t t ad i n i , i l v ero Cesare. Qu an d o n e v errà u n o co me l u i ? 1 ° CITTADINO - Mai , mai ! Ven i t e, cremi amo i l s u o corpo nel luogo consacrato,(78) e coi tizzoni accesi diamo fuoco alle case di questi traditori! Prendete su il cadavere! 2 ° CITTADINO - Av an t i , an d i amo , p rep ari amo i l rogo! 3 ° CITTADINO - Fracassiamo le panche… 4 ° CITTADINO - … le finestre, i sedili di legno ed ogni cosa! (Es co n o t u t t i , t r a s p o r t a n d o a s p a l l a i l co r p o d i Ces a r e men o An t o n i o ) ANTONIO - Ora ch e t u t t o fu n zi o n i d a s é. Ormai s ei s cat en at o , mal efi ci o : prendi il corso che vuoi… En t r a u n S ERVO Che c’è, ragazzo? SERVO - Pad ro n e, Ot t av i o è g i à arri v at o a Roma. ANTONIO - Do v ’è? SERVO - Co n Lep i d o i n cas a d i Cesare. ANTONIO - E là mi reco ad incontrarlo, subito. Eg l i arri v a a b u o n p u n t o : l a Fortuna ci arride, e in questo suo ridente umore saprà concederci qualunque cosa. SERVO - Ho s en t i t o d a l u i ch e Bru t o e Cassio son fuggiti a cavallo, come pazzi, attraverso le porte di città. ANTONIO - Dev o n o av er av u t o co n o s cen za degli umori del popolo com’io l’ho trascinato a commozione. Co n d u ci mi d a Ot t av i o . (Es co n o ) S CENA III Ro ma , u n a v i a . En t r a CINNA, i l p o et a (7 9 ) CINNA - Stanotte ho fatto un sogno: mi pareva di stare a banchettare con Cesare, e mi gravano la mente i mmag i n i s i n i s t re.(8 0 ) No n h o voglia d’andar girovagando fuor di casa, ma c’è qualcosa che mi ci trascina. En t r a n o d ei CITTADINI 1 ° CITTADINO - Qu al è i l t u o n o me? 2 ° CITTADINO 3 ° CITTADINO 4 ° CITTADINO - Do v e s t ai an d an d o ? Do v e ab i t i ? Scap o l o ? Ammo g l i at o ? 2 ° CITTADINO - Rispondi a tono alle nostre domande. 1 ° CITTADINO - E breve. 4 ° CITTADINO - E con giudizio. 3 ° CITTADINO - E lealmente. CINNA - Il mi o n o me? Do v e ab i t o ?… Do v e v ad o ? Se h o mo g l i e o s o n o scapolo? Eb b en e, p er ri s p o n d ere a ci as cu n o direttamente, breve, saggiamente e lealmente: dico saggiamente che sono scapolo. 2 ° CITTADINO - Che è come dire, secondo te, che sono tutti allocchi quelli che prendon moglie. Ho p au ra ch e q u es t e t u e p aro l e ti costeranno un paio di ceffoni. Ma tira avanti, via: direttamente. CINNA - Di ret t amen t e an d av o , d ev o d i rl o , al funerale di Cesare. 1 ° CITTADINO - Come? Da ami co o d a n emi co ? CINNA 2 ° CITTADINO - Come amico. Ora h ai ri s p o s t o a t o n o . 4 ° CITTADINO - E dove abiti? Breve. CINNA - Breve: vicino al Campidoglio. 3 ° CITTADINO - Come ti chiami, amico, lealmente. CINNA - Leal men t e i l mi o n o me è Ci n n a. 1 ° CITTADINO - A pezzi! Fatelo a pezzi! È un cospiratore! CINNA - Sono Cinna il poeta, io, il poeta! 4 ° CITTADINO - F v F v CINNA - No n s o n o i l Ci n n a d ei co s p i rat o ri ! 4 ° CITTADINO - È lo stesso. Si chiama Cinna e basta! Strappategli dal cuore solo il nome e lasciatelo andare. a e a e t r t r e s e s l i l i o a pezzi pei suoi brutti ! o a pezzi pei suoi brutti ! 3 ° CITTADINO Vo i al t ri Ti zzo n i Cassio, bruciate quali da A pezzi, a pezzi! là, venite coi tizzoni! acces i ! Da Bru t o e d a t u t t o : ch i a cas a d i Deci o , Cas ca, q u al i d a Li g ari o ! (Es co n o t u t t i ) ATTO QUARTO S CENA I Ro ma , i n c a s a d i Ma r c a n t o n i o . ( 8 1 ) OTTAVIO, ANTONIO e LEPIDO s o n s ed u t i a d u n t a vo l o ANTONIO - Al l o ra, t u t t i i n o mi q u i s ch ed at i son da mettere a morte, tutti quanti. OTTAVIO - (A Lepido) Tu o frat el l o d ev e an ch e l u i mo ri re. No n s ei d ’acco rd o , Lep i d o ? LEPIDO - D’acco rd o . OTTAVIO - (Ad An t o n i o ) Al l o ra, An t o n i o , ag g i u n g i l o al l a lista. LEPIDO - A p at t o , An t o n i o , ch e n o n res t i vivo, però, nemmeno tuo nipote Publio. (82) ANTONIO - Nemmen o l u i v i v rà. To h , ecco , guarda: con questo segno condanno anche lui. Ma va’ a casa di Cesare, Lep i d o , p o rt a q u a i l s u o testamento, e vedremo di togliere qualche onere dai suoi legati. LEPIDO OTTAVIO - Vi ri t ro v o q u i ? O qui, o in Campidoglio. (Es ce Lep i d o ) ANTONIO - È proprio un omiciattolo da niente, buono a fare il garzone di bottega. Ti s emb ra g i u s t o ch e, d i v i s o i l mondo in tre parti, egli debba figurare come uno che dovrà tenerne un terzo? OTTAVIO - Tu s t es s o l ’h ai co s ì co n s i d erat o ; ed hai chiesto perfino il suo parere su chi segnare nella lista nera dei condannati a morte e dei proscritti. ANTONIO - Ot t av i o , h o v i s t o p i ù g i o rn i d i t e: abbiamo un bel caricare quest’uomo di onori, per alleggerir noi stessi di numerosi e fastidiosi pesi; saprà portarli come porta un asino un carico prezioso sulla groppa, sudando e mugugnando sotto il peso, guidato o spinto a forza verso il luogo che gli indichiamo noi; e portato che avrà per noi il tesoro, gli togliamo di dosso quella soma e da asino scarico lo scapezziamo, a scrollarsi gli orecchi e a pascolare nei pubblici prati. OTTAVIO - Fa’ come credi; ma tieni presente ch’è soldato provetto e coraggioso. ANTONIO - Così è anche il mio cavallo, Ot t av i o ; e per ciò lo rimpinzo di foraggio: è creatura che posso ammaestrare alla battaglia, al volteggio, all’arresto, allo sfaglio, restando ogni sua mossa d a me g u i d at a. Lo s t es s o è d i Lep i d o : egli abbisogna d’essere addestrato ed istruito, e costretto ad andare: un individuo di spirito sterile, uno che si alimenta di rifiuti, di robacce, di false imitazioni che, scartate dagli altri, fuori uso, diventano per lui ultima moda. No n p arl i amo d i l u i , s e n o n p er dire tra di noi ch’è soltanto uno strumento. Ed o ra, Ot t av i o , as co l t a g ran d i cose: Bruto e Cassio vanno assoldando truppe. È necessario che noi, senza indugio, ci apprestiamo a far loro resistenza. Perciò che il nostro patto sia concluso, consolidate le nostre alleanze e posti in opera i mezzi migliori. Sediamoci a consiglio immantinente per decidere come meglio fare per scoprire le lor segrete trame e fronteggiare gli aperti pericoli. OTTAVIO - Facciamolo. Siamo legati al palo (83) e circondati da molti nemici, e anche temo che molti di quelli che ci fanno buon viso e ci sorridono hanno nell’animo, contro di noi, milioni di propositi insidiosi. (Es co n o ) S CENA II Da v a n t i a l l a t e n d a d i Br u t o , n e l l ’ a c c a mp a me n t o p r e s s o S a r d i . ( 8 4 ) Ta mb u r i . En t r a n o BRUTO, LUCILIO, LUCIO co n s o l d a t i d a u n a p a r t e; d a u n ’a l t r a TITINIO e PINDARO. BRUTO - Al t o l à, fermi ! LUCILIO - La p aro l a d ’o rd i n e! Fermi là! BRUTO - Oh , Ti t i n i o !(8 5 ) Cas s i o è qui? TITINIO - A portata di mano, ed è qui Pindaro a recarti il saluto del padrone. BRUTO - Molto onore. (A Pi n d a r o ) Però il tuo padrone, a causa forse d’un suo mutamento o per colpa di indegni suoi gregari, m’ha dato modo di desiderare come non fatte cose da lui fatte. Ma s’è accampato non lungi da qui, ne avrò la spiegazione da lui stesso. PINDARO - No n d u b i t o ch e i l n o b i l mi o padrone apparirà qual è: uomo d’onore degno d’ogni rispetto. BRUTO - No n n e d u b i t o … (A parte, a Titinio) Come t’ha accolto? Ragguagliami bene. TITINIO - Ab ma né am di bastanza non con con quel ichevole conversa cortese e rispettoso, quella affabile premura tono aperto ed re che usava una volta. BRUTO - Me l’hai descritto come un caldo amico che si va intiepidendo; avrai notato, Ti t i n i o , co me s emp re l ’ami ci zi a quando inizia a guastarsi ed a marcire s’ammanti di sforzata cortesia. La l eal t à, q u an d o è s i n cera e semplice, non ha trucchi; ma gli uomini insinceri sono come i cavalli sfocazzanti guidati a mano, che fan grande sfoggio d’ardore e ti prometton chi sa che; ma quando son montati e sentono sui fianchi il duro sprone, abbassano la cresta e come pigri e rozzi ronzinanti deludono e falliscono la prova. La s u a t ru p p a, m’h ai d et t o , s t a venendo? TITINIO - P p p d re er ar el vedono d’acquartierarsi a Sardi questa notte: ma la maggior te la cavalleria è qui con Cassio. (Fa n f a r a a l l ’i n t er n o ) BRUTO - Ecco l i , u d i t e, arri v an o ! Incamminiamoci a piedi a incontrarli. En t r a CAS S IO co n s o l d a t i CASSIO BRUTO DI DENTRO - Al t ! Al t ! Pas s at e l ’o rd i n e! Al t ! Al t ! CASSIO - Fratello nobilissimo, m’hai fatto torto. BRUTO - O numi, giudicatemi! Ho fat t o mai i o t o rt o ad u n nemico? E se non è così, sapete voi,(86) come potrei far torto ad un fratello? CASSIO - Qu es t i t u o i mo d i remi s s i v i , Bru t o , ti servon bene a nasconder l’offese; e quando tu le fai… BRUTO - Cassio, sta’ calmo. S’hai da lagnarti, fallo a bassa voce… ch ’i o t i co n o s co . No n s t i amo a discutere qui, sotto gli occhi dei nostri due eserciti, che non dovrebbero vedere altro che amore ed amicizia tra noi due. Ord i n a l o ro d i s p o s t ars i al t ro v e, e poi, nella mia tenda, da’ pieno sfogo alle tue lamentele, ed io son qui per darti udienza. CASSIO - Pindaro! Passa l’ordine ai nostri comandanti che distanzino alquanto i loro uomini da questo posto. BRUTO - Lu ci o , fa’ l o s t es s o ; e nessuno s’accosti alla mia tenda fino al termine della conferenza. Vo i , Lu ci l i o e Ti t i n i o , restate qui, a guardia dell’ingresso. (Br u t o e Ca s s i o en t r a n o n el l a t en d a d i Br u t o ) S CENA III L ’ i n t e r n o d e l l a t e n d a d i Br u t o En t r a n o BRUTO e CAS S IO CASSIO - Che m’hai offeso, questi sono i fatti: hai castigato e marchiato d’infamia Lu ci o Pel l a, p er cert e reg al i e ch’egli avrebbe accettate dai Sardiani; e di quanto t’ho scritto in suo favore, poiché conosco l’uomo, nessun conto hai creduto di fare, con disprezzo. BRUTO - Hai o ffes o t e s t es s o , i n q u es t o caso, scrivendomi. CASSIO - In tempi come questi, trovo assurdo che ogni lieve fallo debba incontrare biasimo. BRUTO - E allora lascia ch’io ti dica, Cassio, che tu stesso sei molto chiacchierato e accusato d’aver la mano sciolta… sì, di mercanteggiare per denaro e di vendere le pubbliche cariche a immeritevoli. CASSIO - La man o s ci o l t a! Io Cassio? Bruto, tu parli così perché sai d’esser Bruto; o, per g l i Dèi , avresti detto l’ultima parola! BRUTO - E questa corruttela ha nel nome di Cassio copertura, onde la punizione ch’essa merita si nasconde comodamente il capo dietro il volto onorato di quel nome.(87) CASSIO - Punizione! BRUTO - Ricòrdati di marzo, gl’idi di marzo, non dimenticarli! No n h a fo rs e i l g ran Gi u l i o sanguinato per amor di giustizia? e chi di noi sarebbe stato tanto scellerato da toccare il suo corpo e pugnalarlo se non per la giustizia? Dan n azi o n e! Dev e o ra u n o d i n o i ch e ab b i amo ucciso il più importante uomo della terra solo perch’egli proteggeva i ladri, dobbiamo noi insozzarci le dita con basse regalie, ridurci a barattare il grande spazio del nostro onore per una manciata d i v i l met al l o ? Un can e v o rrei essere, e come un cane abbaiare alla luna, piuttosto che un romano di tal pasta! CASSIO - Bruto, non a tollero: dimentichi t a insultarmi soldato, più vecchio capace di te stesso gente. BRUTO - izzarmi, non lo e stesso, così. Sono un d’esperienza e più a trattare con la Va’, v a’, ch e n o n l o s ei , Cas s i o . CASSIO - Lo s o n o . BRUTO - Tu n o n l o s ei , t i d i co . CASSIO - Bada, Bruto, non provocarmi, ch’io perdo la testa! Pensa a te, non mi provocar più oltre. BRUTO - Vi a, u o mo d a n i en t e! CASSIO - A me? Possibile?… BRUTO - Sentimi bene, parliamoci chiaro: credi ch’io debba cedere alle tue scriteriate escandescenze? Credi ch’io mi spaventi quando un pazzo mi sbarra gli occhi in faccia? CASSIO - O dèi, o dèi! Dev o i o s o p p o rt are t u t t o q u es t o ? BRUTO - Tu t t o q u es t o , e p i ù an co ra! Fremi , fremi, fi n o a s p ezzart i i l cu o re! La t u a collera valla a sfogare coi tuoi schiavetti e a far tremare con essa i tuoi servi. Io , ced ere ad es s a? As s eco n d art i ? Gen u fl et t ermi al t u o rab b i o s o umore? Consuma dentro te e la tua collera fino a scoppiare, per tutti gli dèì! Perch’io, da oggi in poi, quando sei più stizzoso d’una vespa, ti userò come mio divertimento, sì, per riderci sopra, e niente più! CASSIO - A questo siamo giunti? BRUTO - Ti v an t i d ’es s ere mi g l i o r s o l d at o : fa’ che si veda; la tua vanteria mettila in atto, e ne avrò gran piacere: per parte mia, sarò sempre contento d’imparare da uomini onorati. CASSIO - Vu o i p ro p ri o o ffen d ermi ; m’offendi, Bruto. Un s o l d at o p i ù v ecch i o d’esperienza, t’ho detto prima io, rispetto a te, n o n g i à mi g l i o re. T’h o d et t o “migliore”? BRUTO - L’h ai d et t o o n o n l ’h ai d et t o , n o n m’importa. CASSIO - Nemmen o Ces are av reb b e o s at o di provocarmi fino a questo punto. BRUTO - Sen t i l o ! No n av res t i o s at o t u , di provocarlo, Cesare, così! CASSIO - No ? BRUTO CASSIO - No , p er l a t u a v i t a! Bada, Bruto, non confidare troppo sul mio affetto: potrei far cosa di cui dispiacermi. BRUTO - Qu al co s a d a d o v ert i d i s p i acere l ’h ai g i à fat t a. Qu es t e t u e minacce, Cassio, non mi spaventan più di tanto: io sono così robustamente armato d’onestà, ch’esse possono lambirmi com’alito leggero, cui non bado. Ho man d at o d a t e p er cert e s o mme, perché non so procurarmi denaro per vie basse ed illecite, e tu me l’hai negate. Per il cielo, io conierei moneta col mio cuore, e farei colar dramme dal mio sangue prima d’estorcere con mezzi illeciti dalle callose mani di bifolchi quella loro robaccia… T’h o p o i man d at o a ch i ed ere dell’oro per il soldo di questi miei soldati: e me l’hai ugualmente rifiutato. Un t al e ag i re fu d eg n o d i Cas s i o ? Av rei co s ì ri s p o s t o i o a Cas s i o ? Se Bruto diventasse un tal taccagno da negare agli amici questi miseri pezzi di metallo, apprestatevi, o dèi, a farlo a pezzi con tutti i vostri fulmini. CASSIO - No n è v ero ch e i o t e l i h o n eg at i . BRUTO - Me li hai negati. CASSIO - No n t e l i h o n eg at i . Fu tutta colpa di quell’imbecille che ti portò la mia risposta… Bruto, tu m’hai spezzato il cuore: un vero amico dovrebbe sopportare dell’amico le debolezze; ma Bruto le mie le fa più grandi di quello che sono. BRUTO - No , fi n ch é n o n l e p rat i ch i a mi o danno. CASSIO - Tu n o n m’ami . BRUTO - No n amo i t u o i d i fet t i . CASSIO - Un o cch i o ami co mai l i n o t ereb b e. BRUTO - Ti s b ag l i : l ’o cch i o d ’u n ad u l at o re non saprebbe notarli, fo s s ero p i ù v i s t o s i d el l ’Ol i mp o . CASSIO - An t o n i o , g i o v an e Ot t av i o , v en i t e, venite a fare la vostra vendetta solo su Cassio, perché Cassio è stanco di questo mondo; ormai venuto in odio all’unica persona cui vuol bene; sfidato dal fratello; rimproverato come un vile schiavo, tutti i difetti suoi passati al vaglio, notati in un taccuino, bene studiati e mandati a memoria, per essergli gettati sotto i denti! Ah , v o rrei p i an g ermi d ag l i o cch i l’anima! Ecco t i i l mi o p u g n al e, ecco il mio nudo petto; dentro un cuore più ricco delle miniere di Pluto, (88) più prezioso dell’oro: avanti, su, strappalo via, se sei un Romano! Io, che tu dici t’ho negato l’oro, voglio darti il mio petto: avanti, Bruto, colpiscilo come colpisti Cesare! Perché io so che, quanto più l’odiavi, l’amavi assai di più che tu non abbia mai amato Cassio. BRUTO - Ringuaina quel pugnale: mettiti in collera quanto ti pare, se questo può servirti per sfogarti; fa’ quel che vuoi: finiremo per dire ch e i l d i s o n o re è carat t ere… Ah , Cassio! Tu s ei l eg at o ad u n o s t es s o g i o g o con un agnello che si porta dentro la rabbia come la pietra focaia si porta il fuoco, che se vien fregata, emette una fuggevole scintilla e subito ritorna fredda pietra. CASSIO - Sarà dunque vissuto questo Cassio per essere nient’altro che trastullo e cagione di riso a questo Bruto, ogni volta che malfrenata rabbia e sangue lo tormentino? BRUTO - An ch ’i o , Cas s i o , t ’h o d et t o q u el che ho detto in un momento d’ira. CASSIO - Ah , t u l o ammet t i ? Al l o ra, Bru t o , q u a l a man o ! BRUTO - E il cuore. (S i s t r i n g o n o l a ma n o , p o i s’abbracciano) CASSIO - Eh , Bru t o … BRUTO - Che vuoi dire? Parla, parla… CASSIO - Mi domando se tu m’ami abbastanza per sopportarmi quando quell’umore impetuoso che m’ha dato mia madre mi fa dimentico di me e di tutto. BRUTO - Sì, Cassio, puoi star certo; e d’ora in poi, quando ti prenderà d’essere troppo greve col tuo Bruto, penserò che ad urlare non sei tu, ma tua madre, e ti lascerò sbraitare. (Tr a mb u s t o d a d en t r o , e l a vo ce d el POETA) POETA - (Da d en t r o ) Vo g l i o en t rare e p arl are ai generali. V’è ran co re t ra l o ro , e non è bene ch’essi stiano soli. LUCILIO - (Da d en t r o ) Ma tu non puoi entrare. POETA - (c.s.) Ni en t e mi fermerà, fu o rch é l a morte! En t r a n o i l POETA, LUCILIO, TITINIO e LUCIO CASSIO - Che succede? POETA - Verg o g n a, g en eral i ! Che diavolo vi passa per la mente? Restare amici ed amarvi dovete, come devono due come voi siete, ché più anni di voi ne ho, certamente! CASSIO - (Ri d en d o ) Ah , ah ! Sen t i t e u n p o ’ ch e s t ramb a rima ch e fa q u es t o Di o g en e i n v acan za! (89) BRUTO - Vi a d i q u a, ro mp i s cat o l e, v a’ v i a! CASSIO - Sopportalo, è il modo suo di fare. BRUTO - Sopporterò le sue strampalerie quand’egli saprà sceglierne il momento. La g u erra n o n h a n u l l a d a v ed ere con simili imbecilli versaioli. Fuor dai piedi, compare! CASSIO - Va’, v a’, ami co . (Es ce i l p o et a ) BRUTO - Vo i , Li ci n i o e Ti t i n i o , andate ad ordinare ai comandanti di prepararsi ad accampar la truppa per questa notte. CASSIO - Poi tornate subito, e conducete qui anche Messala. (Es co n o Lu ci l i o e Ti t i n i o ) BRUTO - Lu ci o , p o rt aci u n ’an fo ra d i v i n o . (Es ce Lu ci o ) CASSIO - No n av rei mai cred u t o che tu potessi arrabbiarti così. BRUTO - Per molti affanni io sono stanco, Cassio. CASSIO - No n p rat i ch i l a t u a fi l o s o fi a, se t’arrendi agli affanni occasionali.(90) BRUTO - Cassio, nessuno sa meglio di me sopportare il dolore… Porzia è morta. CASSIO - Che dici!… Porzia? BRUTO - Morta! CASSIO - Oh , co me h o fat t o al l o ra a scampare alla morte di tua mano, contrastandoti in un momento simile! O insopportabile, straziante perdita! E come è morta, di che malattia? BRUTO - Insofferente alla mia lontananza e al d o l o re ch e Ot t av i o e Marcantonio sian diventati a Roma così forti - ché anche questa notizia m’è giunta con quella di sua morte - tutto questo l’ha fatta uscir di senno e, nell’assenza d’ogni suo riflesso, ha ingerito del fuoco. CASSIO BRUTO CASSIO - Così è morta? Così… O dèi immortali! Ri en t r a LUCIO r eca n d o u n ’a n f o r a di vino e una candela accesa BRUTO - No n p arl i amo n e p i ù … Dammi u n a p àt era d i q u es t o v i n o . Ci seppellisco ogni rancore, Cassio. CASSIO - Ed i l mi o cu o re h a s et e d i s ì n o b i l e i n v i t o . Av an t i , Lu ci o , riempimi la coppa fino all’orlo, finché trabocchi: all’amore di Bruto non avrò mai bevuto a sufficienza. (Beve) Ri en t r a TITINIO co n MES S ALA BRUTO - Vi en i , v i en i , Benvenuto fr Sediamoci or tavolo e discutiamo Ti t i n i o . a noi, caro Messala. a intorno a questo le nostre bisogne. CASSIO - Porzia, davvero te ne sei andata? BRUTO - Basta, Cassio, ti prego… Messala, ho ricevuto dei ch e d i co n o ch e Ot t av i o e Marcantonio sarebbero calati su di no alla testa d’un poderoso e si dirigono verso Filip messaggi i esercito pi. MESSALA - Ho an ch ’i o l e s t es s e n o t i zi e, Bruto. BRUTO - Con quali altri dettagli? MESSALA - Che tra liste di proscrizioni e bandi, Ot t av i o , An t o n i o e Lep i d o han messo a morte cento senatori. BRUTO - Su questo punto i informatori non concordano; i sapere che son settanta i perché proscritti, Cicerone. nostri miei fanno senatori uccisi e uno è CASSIO - Cicerone? MESSALA - Sì, Cicerone è morto per lo stesso ordine di proscrizione. (A Br u t o ) E da tua moglie hai ricevuto lettere? BRUTO - No , Mes s al a. MESSALA - E nemmeno una notizia di lei nell’altra tua corrispondenza? BRUTO - Nu l l a, Mes s al a. MESSALA - Mi pare assai strano. BRUTO - Ma perché me lo chiedi? Hai s ap u t o d i l ei n el l e t u e l et t ere? MESSALA - No , Bru t o . BRUTO - Eb b en e, al l o ra, d a Romano, dimmi la verità. MESSALA - E da Romano la verità ch’ annunciarti: tua moglie P È s i cu ro . Ed tu sopporta allora io sto per orzia è morta. in modo molto strano. BRUTO - Eb b en e, Po rzi a, ad d i o !… Ah i mè, Messala, morir si deve; ed è solo il pensiero che un giorno ella sarebbe pur passata che ora mi dà forza a sopportarlo. MESSALA - Ed è an ch e co s ì ch e i g ran d i spiriti devono sopportar le grandi perdite. CASSIO - Do v reb b ’es s er co s ì , i n t eo ri a, ma non sarebbe nella mia natura sopportare così una tal disgrazia. BRUTO - Bene, ora al nostro lavoro da vivi! Marciare subito sopra Filippi: che ne pensate? CASSIO - No n p en s o s i a b en e. BRUTO - E la ragione? CASSIO - Te l a d i co s u b i t o : è meglio che il nemico venga esso a cercarci dove siamo; logorerà così le sue risorse, e stancherà le truppe a suo svantaggio; noi, al contrario, rimanendo fermi, ci riposiamo e conserviamo intera la carica offensiva e difensiva, e la celerità dei movimenti. BRUTO - Buone ragioni devono, però, cedere alle migliori. Le g en t i t ra Fi l i p p i e q u es t a t erra ci sono amiche assai di malavoglia: s’è visto come ci hanno lesinato il loro contributo; ora, il nemico, marciando per il loro territorio, rafforzerà con loro le sue file, e giungerà più fresco e rafforzato di nuove leve come di coraggio; gli toglieremo invece un tal vantaggio se andiamo a dargli battaglia a Filippi, lasciandoci alle spalle questa gente. CASSIO - Mio buon fratello, ascolta… BRUTO - Ab b i p azi en za. Inoltre è da tenere ben presente che abbiamo sottoposto a dura prova la resistenza dei nostri alleati; che abbiamo le legioni a ranghi pieni, e che la nostra causa è ben matura: il nemico s’accresce giornalmente, e noi, che siamo ormai al nostro culmine, ci troviamo sul punto di declino. C’è una marea nelle cose degli uomini che, colta al flusso, mena alla fortuna; negletta, tutto il viaggio della vita s’incaglia su fondali di miserie. No i ci t ro v i amo ap p u n t o a bordeggiare in questo mare aperto; sta a noi saper seguire la corrente in un momento che ci è favorevole, o rassegnarci a perder la partita. CASSIO - Bene, come vuoi tu. An d remo n o i a i n co n t rarl i a Filippi. BRUTO - La n o t t e, s en za ch e ce n’accorgessimo, è scesa, con la sua profondità, sul nostro colloquiare, e la natura deve obbedire alla necessità, cui noi soddisferemo parcamente con un breve riposo. C’è dell’altro da dire? CASSIO - No , n i en t ’al t ro . Bu o n a n o t t e. Do man i , d i b u o n ’o ra, ci leveremo, e ci mettiamo in marcia. BRUTO - (Ch i a ma n d o ) Ol à, Lu ci o ! Ri en t r a Lu ci o La mi a v es t e d a n o t t e.(9 1 ) (Es ce Lu ci o ) Bu o n Mes s al a, Ti t i n i o , b u o n a notte. No b i l i s s i mo Cas s i o , b u o n a n o t t e e buon riposo! CASSIO - BRUTO CASSIO - Caro mio fratello! È stato un brutto inizio di nottata; ma che mai più un simile contrasto venga a dividere le nostre anime! Mai più, Bruto! S’è tutto accomodato. Buona notte, fratello. BRUTO - Buona notte. (Es co n o Ca s s i o , Ti t i n i o e Mes s a l a ) Ri en t r a LUCIO co n l a ves t e d a notte BRUTO - Dammi l a v es t e… (Pr en d e l a ves t e d a l l e ma n i d i Lucio, vi si avvolge tutto e si va a s ed er e co me s t r a va cca t o , s u u n giaciglio) Do v ’è i l t u o strumento?(92) LUCIO - Qu i , n el l a t en d a… BRUTO - Povero ragazzo, parli assonnato… Ma non ti do torto: hai dovuto vegliare troppo a lungo. Chiama Claudio e qualcun altro dei miei: voglio che dormano nella mia tenda, col capo sopra un comodo guanciale. LUCIO - (Ch i a ma n d o ) Cl au d i o ! Varro n e! En t r a n o VARRONE e CLAUDIO VARRONE - Hai ch i amat o , padrone? BRUTO - Vi p reg o , ami ci , s d rai at ev i q u i nella mia tenda, e fatevi un buon sonno; forse dovrò svegliarvi a una cert’ora per mandarvi da mio fratello Cassio per servizio. VARRONE - Restiamo allora in piedi ai tuoi comandi, se non ti dispiace. BRUTO - No , co ri cat ev i , mi ei b u o n i ami ci ; può darsi ch’io decida in altro modo… (Es t r a e d a l l a t a s ca d el l a ves t e u n libro) Gu ard a, Lu ci o , ecco i l l i b ro che mi son tanto addannato a cercare: l’avevo messo in tasca a questa veste. (Va r r o n e e Cl a u d i o s i s d r a i a n o ) LUCIO - Ero s i cu ro , i n fat t i , che non l’avevi dato a me, padrone. BRUTO - Scusa, ragazzo, sono assai distratto. Puoi tu tenere ancora un poco aperti gli assonnati tuoi occhi, e suonarmi qualcosa sulla cetra? (93) LUCIO - Certo, padrone, se ti fa piacere. BRUTO - Mi fa piacere, sì, ragazzo mio. Ti d i s t u rb erò t ro p p o , ma so che sei assai volenteroso. LUCIO - Do v ere mi o , p ad ro n e. BRUTO - Il tuo dovere non dovrei pretendere di spingerlo al di là del giusto limite delle tue forze. I giovani, lo so, han bisogno di un tempo di riposo. LUCIO - Ho g i à d o rmi t o , p ad ro n e. BRUTO - Hai fat t o b en e, e dorma ancora; non ti tr ancora sveglio… sarò buono con t voglio che tu atterrò per molto Se resterò vivo, e, ragazzo mio. (Lucio intona una canzone sulla cet r a , ma p i a n o p i a n o s ’a d d o r men t a ) Qu es t a è u n a s o n n acch i o s a melodia… Sonno assassino, che sul mio ragazzo, che proprio a te intonava una musica, fai cadere la tua mazza di piombo! … Do rmi , g en t i l fan ci u l l o , b u o n a notte! No n t i farò i l d i s p et t o d i svegliarti; se chini il capo, rompi lo strumento… te lo tolgo… ragazzo, buona notte. (Ri p r en d e i n ma n o i l l i b r o e s i siede sfogliandolo) Ved i amo u n p o ’… Av ev o mes s o i l segno con una piega al bordo della pagina, quando avevo interrotto la lettura…(94) Ecco , era q u i , mi p are… En t r a LO S PETTRO DI CES ARE(9 5 ) Come arde malamente quest … Oh , ch i v i en e l ag g i ù ?… Sarà la debolezza dei miei a crearsi questa mostruosa Vi en e v ers o d i me… Sei t u qualcosa? Chi sei, un dio, un angelo, demonio,(96) o cero! occhi vista… un chi sei, che mi fai raggelare il sangue e rizzare i capelli?… Di mmi , ch i s ei ? SPETTRO - Il tuo cattivo genio. BRUTO - Perché vieni da me? SPETTRO - Per annunciarti che mi vedrai nuovamente a Filippi. BRUTO - Ti ri v ed rò , al l o ra? SPETTRO BRUTO - Sì, a Filippi. Bene, ti rivedrò dunque a Filippi… (Lo spettro svanisce) Ah , t i d ora che a parlar Claudio ilegui, spirito maligno, cominciavo a prender cuore e co n t e… Lu ci o , rag azzo ! ! Varro n e! Sv eg l i a! LUCIO - (Pa r l a n d o co me n el s o n n o ) Le co rd e s o n s co rd at e, mi o signore… BRUTO - S’immagina d’avere ancora in mano il suo strumento… Sveglia, s v eg l i a, Lu ci o ! LUCIO - (Svegliandosi) Padrone?… BRUTO - Ma che diavolo sognavi per gridare così? LUCIO - Padrone, io non so d’aver gridato. BRUTO - Sì, l’hai fatto. Ma non hai visto nulla? LUCIO - No , n u l l a, mi o s i g n o re. BRUTO - Do rmi an co ra. Varro n e, Cl au d i o , sveglia! VARRONE / CLAUDIO - (Svegliandosi) Mio signore… Padrone… BRUTO - Che avevate, a gridar così nel sonno? VARRONE / CALUDIO - Ab b i am g ri d at o ? BRUTO - Sì . Ved es t e n u l l a? VARRONE - Nu l l a, p ad ro n e, n o n h o v i s t o nulla. BRUTO - Ora an d at e d a mi o frat el l o Cas s i o , dategli il mio saluto, e ditegli che metta le sue truppe s u b i t o i n marci a. No i l o seguiremo. VARRONE/ CLAUDIO - Sarà fatto, padrone. (Es co n o ) ATTO QUINTO S CENA I L a p i a n a d i Fi l i p p i En t r a n o OTTAVIO, ANTONIO co n s o l d a t i OTTAVIO - Eb b en e, An t o n i o , l e mi e p rev i s i o n i si dimostrano giuste; tu eri del parere che il nemico, piuttosto che discendere sul piano, avrebbe scelto di attestarsi a monte, sulle colline, alle quote più alte. Sta accadendo il contrario: il loro esercito è qua sottomano; il che sta ad indicare chiaramente che intendono affrontarci in campo aperto già qui a Filippi: darci la risposta prima che noi facciamo la domanda. ANTONIO - Bah, li conosco bene, (97) e so perché lo fanno: in verità, preferirebbero trovarsi altrove, e vengon giù con pauroso ardire, con l’illusione che una tal bravata c’induca a credere che hanno coraggio. Ma t’assicuro che non è così. En t r a u n MES S O MESSO - Al l ’ert a, g en eral i ! L’av v ers ari o av an za b u rb an zo s o : han dispiegato al vento la lor sanguigna insegna di battaglia(98) e bisogna far subito qualcosa. ANTONIO - Ot t av i o , fa’ av an zare s en za fret t a i tuoi dalla sinistra della piana. OTTAVIO - Io dirigo alla destra. La s i n i s t ra l a t i en i t u , An t o n i o . ANTONIO - Perch é v u o i co n t ras t armi , Ot t av i o Cesare, proprio in questo frangente? OTTAVIO - No n t i co n t ras t o : facci o q u el ch e dico.(99) Ta mb u r i . S f i l a n o , ma r ci a n d o , l e t r u p p e d i Ot t a vi o e An t o n i o s u l fondo; entrano, alla testa delle l o r o , BRUTO, CAS S IO, LUCILIO, TITINIO, MES S ALA e a l t r i . OTTAVIO - (Ad An t o n i o ) Si s o n fermat i . Vo rran n o t rat t are. (100) CASSIO - Al t ! Ti t i n i o , d o b b i amo farci av an t i e parlare con loro. OTTAVIO - Marcantonio, diamo il segnale di battaglia? ANTONIO - No , risponderemo al loro attacco, Cesare. Av v i ci n i amo ci ; i l o ro cap i sembra che vogliano parlamentare. OTTAVIO - (Ai s u o i ) No n v i mu o v et e p ri ma d el s eg n al e! BRUTO - (A Ot t a vi o ) Parole prima di colpi: è così, compatrioti? OTTAVIO - No n ch e p referi amo anche noi le parole… BRUTO - Bu o n e p aro l e, Ot t av i o , son sempre meglio di cattivi colpi. ANTONIO - Vo i d at e, parole, cattivi co il buco fa gridando: Cesare!” insieme alle buone lpi, Bruto: testimonio tto nel cuore di Cesare “Lu n g a v i t a! Vi v a CASSIO - An t o n i o , i l l u o g o o v e v o rrai menare tu i tuoi colpi è ancora sconosciuto; quanto alle tue parole, rubano il miele alle api di Ibla. (101) ANTONIO - Ma non il pungiglione. BRUTO - Oh , s ì , e l a v o ce, perché hai rubato loro anche il ronzio, e, più saggio di loro, sai anche minacciar, prima di pungere. ANTONIO - Al co n t rari o d i v o i , g ran farab u t t i , che poco prima che i vostri pugnali andassero a cozzare e ad intaccarsi l’un contro l’altro nei fianchi di Cesare, sogghignavate come tante scimmie scodinzolando come dei segugi, proni a baciargli i piedi come schiavi, mentre il dannato Casca, da tergo, come un botolo, colpiva Cesare al sommo del collo. Oh , ad u l at o ri ! CASSIO - “Ad u l at o ri …” Bru t o , (102) ringrazia ora te stesso: un tal linguaggio non sarebbe venuto oggi ad offenderci, se qui si fosse dato retta a Cassio. OTTAVIO - Vi a, v i a, ai fat t i : se il disputare fa grondar sudore, la prova cangerà questo sudore i n p i ù p u rp u ree g o cce…(1 0 3 ) Ecco , guardate… io sfodero contro i cospiratori una spada: quando pensate voi ch’essa sarà da me ringuainata? Mai, fino a che non siano vendicate di Cesare le trentatré ferite, o che la morte d’un secondo Cesare si sarà aggiunta all’opera nefanda dei traditori e delle loro spade. (104) BRUTO - Cesare, qui non puoi tu trovar morte per man di traditori, salvo che non ne porti tu al tuo seguito. OTTAVIO - E così spero, Bruto; io non son nato per morir di tua spada. BRUTO - Oh , mo rt e p i ù o n o rat a, Ot t av i o , n o n p o t res t i t ro v are, fossi tu il più nobile rampollo della tua gente! CASSIO - Un ci arl i ero scolaretto, di tanto onore indegno, che fa il paio perfettamente con il suo alleato, un istrione, un uomo di bagordi. ANTONIO - Sempre pari a se stesso, il vecchio Cassio! OTTAVIO - An d i amo , An t o n i o , an d i amo !… Trad i t o ri , vi gettiamo la nostra sfida in faccia: se vi volete battere oggi stesso, scendete pure in campo; se no, sarà quando ne avrete fegato. (Es co n o Ot t a vi o , An t o n i o e i l o r o ) CASSIO - Soffia ora, vento; gonfiatevi, onde; sta bene a galla, barca: scatenata è ormai la gran tempesta, e tutto adesso è rischio! BRUTO - Lu ci l i o , u n a p aro l a… LUCILIO - Sì, signore. (Br u t o e Lu ci l i o s i a p p a r t a n o ) CASSIO - Messala… MESSALA CASSIO - Gen eral e? As co l t a: o g g i è i l mi o co mp l ean n o . In questo giorno è nato Caio Cassio. Dammi l a man o e s i i mi t es t i mo n e ch’io son costretto, contro il mio volere, così com’è accaduto già a Pompeo, ad affidare all’esito rischioso di un’unica battaglia tutte le nostre libertà di uomini. Tu s ai , Mes s al a, ch ’i o s o n o s emp re stato u n co n v i n t o s eg u ace d ’Ep i cu ro e della sua dottrina; (105) ora mi tocca di mutare avviso e di credere in parte a certi segni che fanno presagire l’avvenire. Nel l ’u s ci re d a Sard i , s u l l ’i n s eg n a che marciava alla testa della truppa, si son posate due possenti aquile e son rimaste là appollaiate ingozzate e nutrite a sazietà dalle mani dei nostri legionari, accompagnandoci fino a Filippi. Stamane entrambe son volate via, dileguandosi; ed ora, al posto loro, per il cielo, sopra le nostre teste, svolazzano cornacchie, corvi e falchi gli occhi rivolti in giù sopra di noi, quasi fossimo moribonde prede; e l’ombre ch’esse fanno su di noi sembrano un ben funesto baldacchino sotto cui giace tutto il nostro esercito come in procinto di rendere l’anima. MESSALA - No n v o rrai cred er o ra a cert e co s e. CASSIO - In p spir e be con peri arte, sì; ma son fresco di ito ne risoluto ad affrontare gran fermezza qualsiasi colo. Ri en t r a n o BRUTO e LUCILIO BRUTO - (Co me co n cl u d en d o u n d i s co r s o ) Pro p ri o co s ì , Lu ci l i o .(1 0 6 ) CASSIO - Ora, Bru t o , frat el l o n o b i l i s s i mo , ci sian gli dèi propizi in questo giorno, sì che possiamo entrambi, amici e in pace, condurre i nostri giorni alla vecchiaia! Ma poiché incerta è delle umane sorti la vicenda, convien pensare al peggio. Se dovessimo perdere la battaglia, questa è l’ultima volta che noi due ci troviamo a parlare. Che cosa dunque sei deciso a fare? BRUTO - Ad ag i re s eg u en d o q u el p ri n ci p i o in base al quale condannai Catone per la morte che lui stesso si diede… No n s o co me, ma t ro v o b as s o e v i l e anticipare il fine della vita, per paura di ciò che può accadere; mi armerò dunque di rassegnazione, per sottopormi al provvido volere dei superni poteri che governan le cose di quaggiù. (107) CASSIO - Al l o ra, s e p erd i amo l a b at t ag l i a, non ti dispiace di vederti addotto dietro il trionfo(108) per le vie di Roma… BRUTO - No , Cas s i o , n o ; t u , n o b i l e Ro man o , non pensare che Bruto possa giammai andare a Roma in ceppi. Tro p p o g ran d e è i l s u o an i mo . Ma questo giorno deve completare l’opra iniziata con gl’idi di marzo; e se ci rivedremo, non lo so. Perciò diciamoci per sempre addio: e tu sempre, e per sempre, Cassio, vale! Se ci rincontreremo, ah, sarà allora con un bel sorriso! Se no, questo congedo fu ben preso. CASSIO - E tu sempre e per sempre vale, Bruto! Se ci rincontreremo, sarà sicuramente per sorriderci; se no, hai detto bene, questo nostro commiato fu ben preso. (Si abbracciano) BRUTO - Eb b en e, al l o ra av an t i . Oh , s e u n o p o t es s e g i à co n o s cere l’esito degli avvenimenti d’oggi! Ma basterà che si concluda il giorno, e t u t t o s i s ap rà. Av an t i , av an t i ! (Es co n o t u t t i ) S CENA II L a p i a n a d i Fi l i p p i Al l a r mi . En t r a n o BRUTO e MES S ALA BRUTO - Corri, Messala, galoppa, galoppa, e impartisci quest’ordine alle legioni di quell’altra parte: che avanzino, perché l’ala d ’Ot t av i o , come m’accorgo, sta perdendo slancio, e un improvviso assalto li sbaraglia. Corri, Messala, corri, e di’ loro che scendano giù tutti. (Es co n o ) S CENA III Un ’ a l t r a p a r t e d e l c a mp o Al l a r mi . En t r a n o CAS S IO e TITINIO, Ca s s i o h a i n ma n o u n ’i n s eg n a CASSIO - Gu ard a, Ti t i n i o , g u ard a, come scappano questi gran vigliacchi! Mi son dovuto far nemico ai miei: l’alfiere che recava quest’insegna s t av a s cap p an d o . L’h o u cci s o , i l vigliacco, e glielo ho tolto io stesso dalle mani. TITINIO - Ah , Cas s i o , Bru t o h a d at o t ro p p o presto l’ordine di attaccare; e, come ha visto d’aver soverchiato d i p o co Ot t av i o , h a s fru t t at o i l vantaggio troppo avventatamente: i suoi si sono gettati al saccheggio, e noi siam circondati qui da An t o n i o . En t r a PINDARO PINDARO - (A Cassio) Fuggi, padrone, fuggi più lontano! An t o n i o è al l e t u e t en d e, mi o signore! No b i l e Cas s i o , fu g g i p i ù l o n t an o ! CASSIO - Qu es t ’al t u ra è l o n t an a basta. Gu ard a, Ti t i n i o , g u ard son le mie quelle tend divampar quell’incend quanto a: e dove vedo io? TITINIO - Sì, sono esse. CASSIO - Se m’ami, prenditi il mio cavallo, e affonda gli speroni nei suoi fianchi finché t’abbia portato a quelle truppe, e poi torna da me; ch’io sia sicuro che si tratti di amici o di nemici. TITINIO - Ratto come il pensiero, vado e torno. CASSIO - Pindaro, va’ più su, su quell’altura; da lontano non ci ho mai visto bene: o s s erv a t u Ti t i n i o d a l o n t an o , e dimmi quel che noti là sul campo. (Es ce Pi n d a r o ) Un g i o rn o , co me o g g i , ho respirato per la prima volta… Il ciclo ora si chiude: lo finirò dove l’ho cominciato… La mi a v i t a h a co mp i u t o i l s u o cammino… (In a l t o , ver s o Pi n d a r o ) Beh, ragazzo, che vedi? PINDARO - Oh , mi o p ad ro n e! CASSIO - Che c’è? PINDARO - C’è ch e Ti t i n i o è circondato da cavalleggeri che gli corrono dietro a briglia sciolta. Ved o ch e d à d i s p ro n e, ma l’han quasi raggiunto… Su, Ti t i n i o !… Or v ed o al cu n i s mo n t ar d a cavallo… anch’egli smonta: l’hanno catturato! (Gr i d a ) Ecco , s en t i t e: g ri d an o d i g i o i a. CASSIO - Scendi, scendi, non star più lì a guardare. Oh , v i g l i acco ch e s o n o , a viver tanto fino a veder ora sotto i miei occhi fatto prigioniero il mio migliore amico! En t r a PINDARO Ami co , s en t i : quando t’ho fatto prigioniero in Partia, io t’ho fatto impegnare, a giuramento, nel serbarti la vita, che ogni cosa io t’avessi chiesto di fare, tu per me l’avresti fatta. Eb b en e, v i en i ad es s o , e tieni fede a quel tuo giuramento. Sii libero; e con questa buona spada che trapassò le viscere di Cesare, fru g ami i l p et t o … No n ch i ed ermi nulla. Qu a, p ren d i i n man o l ’el s a: e quando avrò coperto la mia faccia, (S i g et t a i l ma n t o s u l ca p o , coprendosi il volto) ecco, così… immergila con forza. (Pi n d a r o l o t r a f i g g e i n p et t o co n la spada) CASSIO - (C Se co uc rollando a terra) i vendicato, Cesare, n quella stessa lama che t’ha ciso! PINDARO - Così ora son libero; ma non così per me sarebbe stato se avessi osato far di testa mia… (109) Oh , Cas s i o !… Pi n d aro , d a q u es t a terra, fuggirà in luogo dove alcun Romano mai potrà vedere la sua faccia. (Es ce) Ri en t r a n o TITINIO e MES S ALA. Ti t i n i o h a i n ma n o u n a co r o n a d i foglie di quercia MESSALA - Le s o rt i d el l o s co n t ro s i bilanciano, Ti t i n i o , p erch é Ot t av i o , d a u n a parte, è sopraffatto dal nobile Bruto, dall’altra parte le forze di Cassio son soverchiate da quelle di An t o n i o . TITINIO - Faran piacere a Cassio queste notizie. MESSALA - Do v e l ’h ai l as ci at o ? TITINIO - Su quell’altura, sconsolato al massimo, in compagnia di Pindaro, il suo schiavo. MESSALA - No n è q u el l o ch e s t a d i s t es o a terra? TITINIO - È lui, ma non da vivo… O mio cuore! MESSALA - (Avvi ci n a n d o s i a l co r p o d i Ca s s i o ) È lui? TITINIO - No n p i ù , Mes s al a, fu lui, questo, Cassio, or non è più… O sole che tramonti, come tu immerso nella tua rossa raggiera sprofondi nella notte, così nel rosso alone del suo sangue di Caio Cassio è tramontato il giorno, e tramonta con lui di Roma il sole. E tramontato è anche il nostro giorno: or sono nuvole, piogge e pericoli, e tutto quel che abbiamo fatto è nulla! L’h a s p i n t o a q u es t o g es t o l a sfiducia ch’io potessi riuscire a liberarmi. (110) MESSALA - L’h a s p i n t o a q u es t o g es t o l a sfiducia nel buon successo. O errore, odioso figlio dell’umore nero, che fai sembrare vere agli intelletti troppo impressionabili le cose che non sono!(111) O errore, troppo in fretta concepito, tu che mai giungi a nascita felice, ed uccidi la madre che t’ha fatto! TITINIO - (Ch i a ma n d o ) Pindaro, dove sei? Pindaro! Pindaro! MESSALA - Cercal o t u , Ti t i n i o , io vado intanto dal nobile Bruto a trapassargli con questa notizia l’orecchio; sì, a trafiggerlo, ho ben detto, perché né punta d’affilato acciaio, né freccia avvelenata sarebbero altrettanto benvenuti all’orecchio di Bruto della notizia di questo spettacolo. TITINIO - Sì, va’, Messala, affrettati, io resto nel frattempo a cercar Pindaro. (Es ce Mes s a l a ) O valoroso Cassio, perché m’hai fatto cavalcare via d a t e? Eran o ami ci ch e h o incontrato, ed essi m’hanno posto sulla fronte questa corona, segno di vittoria, incaricandomi di darla a te.(112) No n u d i s t i l e l o r g ri d a g i o i o s e? E tu, ahimè, hai tutto male inteso! Ma ecco, tieniti ora lo stesso questa corona sulla fronte: Bruto, il tuo Bruto mi comandò di dartela, ed io eseguirò il suo comando. (Dep o n e l a co r o n a s u l ca p o d i Cassio) Vi en i , o ra, Bru t o , v i en i ad ammirare come io onoravo Caio Crasso… O dèi, voi consenzienti, questo è quel che s’addice ad un Romano… Vi en i , s p ad a d i Cas s i o , v i en i a t ro v are i l cu o re d i Ti t i n i o . (S i t r a f i g g e, e ca d e mo r t o s u l corpo di Cassio) Al l a r mi . Ri en t r a MES S ALA co n BRUTO, i l g i o va n e CATONE, S TRATONE, VOLUMNIO e LUCILIO. BRUTO - Do v ’è, Mes s al a, d o v e s t a i l s u o corpo? MESSALA - Ecco l o , g u ard a, è l à… E Ti t i n i o g l i è s o p ra ch e l o piange. BRUTO - La facci a d i Ti t i n i o è v o l t a i n s u … CATONE - Mo rt o an ch e l u i … t rafi t t o . An ch e Ti t i n i o . BRUTO - O Cesare, ancora sei potente! Il tuo spirito aleggia intorno a noi e volge il ferro delle nostre spade a colpire le nostre stesse viscere! (Al l a r mi a d i s t a n z a ) CATONE - Val o ro s o Ti t i n i o ! Ecco , g u ard at e se non ha incoronato Cassio morto! BRUTO - Sono ancor vivi a Roma due pari a questi?… Caio Cassio, addio, ultimo dei Romani! Mai Roma saprà generarne un altro. Ami ci , a q u es t o mo rt o io sono debitore di più lacrime che possiate veder ch’io versi adesso. Ma ne troverò il tempo, caro Cassio, ne troverò sicuramente il tempo! Per ora, dunque, che sia provveduto a t ras p o rt are l a s u a s al ma a Tas o . (113) Le s u e es eq u i e n o n av ran n o l u o g o sul nostro campo, al fine di evitare che ci siano cagione di sconforto. Lu ci l i o , ed an ch e t u , g i o v i n Catone, venite, andiamo al campo. Vo i , Lab eo n e e Fl av i o , disponete le truppe per l’assalto. Sono le tre; Romani, noi tenteremo la sorte dell’armi, prima di notte, in un secondo attacco.(114) (Es co n o ) S CENA IV Fi l i p p i , a l t r a p a r t e d e l c a mp o Al l a r mi . S co r r er i e d i s o l d a t i d ei d u e es er ci t i ; q u i n d i b r u t o , i l g i o va n e CATONE, LUCILIO e a l t r i BRUTO - An co ra, mi ei co mp at ri o t i , an co ra, tenete testa! CATONE - E che non la me? Gri d erò i l campo: “Oh , s o n o Catone, ai tiranni Io sono il Catone!” qual è quel bastardo tiene? Chi viene con mio nome in mezzo al il figlio di Marco nemico, amico a Roma! figlio di Marco (S i g et t a n el l a mi s ch i a ) BRUTO - Ed i o s o n Bru t o , s o n o Marco Bruto: Bruto, l’amico della nostra patria! Mi riconosca ognuno come Bruto! (S i g et t a a n ch e l u i n el l a mi s ch i a . Catone è sopraffatto e cade ucciso) LUCILIO - O giovane e nobile Catone, s ei u cci s o ? Tu mu o ri v al o ro s o co me Ti t i n i o , e s arai o n o rat o , perché sei degno figlio di Catone. (115) (Lucilio è circondato da legionari d i An t o n i o ) PRIMO LEGION. - Arren d i t i o s ei mo rt o ! LUCILIO - M’arrendo, sì, ma solo per (Gl i o f f r e u n a b o r s a d i d e Ecco ab b as t an za p erch é t u uccida, ma fallo subito: tu uccidi e t’acquisti l’onor della s morte.(116) morire. naro) mi Bruto, ua PRIMO LEGION. - No n p o s s o . Tro p p o n o b i l prigioniero. SECONDO LEGION. - Larg o ! Fat e s ap ere a Marcan t o n i o che Bruto è preso. PRIMO LEGION. - Riferirò. Ma ecco il generale. En t r a MARCANTONIO Bruto è preso, signore. ANTONIO - Do v e s t a? LUCILIO - In salvo, Marcantonio, Bruto è in salvo! E puoi star certo che nessun nemico catturerà mai vivo il grande Bruto: da una sì grande infamia lo preservino sempre i sommi dèi. Qu an d o l o t ro v eret e, o v i v o o morto, lo troverete sempre come Bruto, pari a se stesso. ANTONIO - (Al Pr i mo l eg i o n a r i o , i n d i ca n d o Lucilio) Qu es t o n o n è Bru t o , amico, ma non è minore preda, g aran t i t o . Ten et el o al s i cu ro , e sia trattato con ogni riguardo: uomini come lui è sempre meglio averli come amici ch e n emi ci . Av an t i , i n t an t o v o i , cercate per il campo, se mai trovaste Bruto, vivo o morto, e p o i v en i t e al l a t en d a d ’Ot t av i o a riferirci su quel che succede. (Es ce) S CENA V Fi l i p p i , a l t r a p a r t e d e l c a mp o En t r a n o BRUTO, DARDANIO, CLITO, S TRATONE e VOLUMNIO BRUTO - Ven i t e, p o v eri res t i d i ami ci , riposatevi sopra questa roccia. CLITO - Statilio ha fatto segno con la torcia,(117) ma non è più tornato: è stato preso o è rimasto ucciso. BRUTO - Cl i t o , s i ed i . Qu i l a p aro l a d’ordine è “uccidere”. È un’azione di moda. As co l t a b en e, Cl i t o . (Gl i b i s b i g l i a q u a l co s a all’orecchio) CLITO - Ch i , i o , p ad ro n e?… No , p er n u l l a al mondo! BRUTO - Silenzio, allora, non una parola. CLITO - Piuttosto ucciderei me stesso… No ! BRUTO - Al l o ra t u , Dard an i o , v i en i , ascolta. (Gl i b i s b i g l i a q u a l co s a all’orecchio) DARDANIO - Io, compiere un tal gesto? (Br u t o s i a p p a r t a , s o l o ) CLITO DARDANIO - Dard an i o … Clito… CLITO - Che richiesta atroce t’ha fatto Bruto? DARDANIO - Di u cci d erl o , Cl i t o . Ved i co me s t a t u t t o p en s i ero s o . CLITO - È tanto colmo quel nobile vaso d’ambascia, che gli trabocca dagli occhi. BRUTO - Vi en i q u a, b u o n Vo l u mn i o , u n a parola… VOLUMNIO - Che dice il mio signore? BRUTO - Vo l u mn i o , p er d u e v o l t e, a n o t t e alta, m’è comparso lo spirito di Cesare, la prima a Sardi, la seconda qui, questa notte, nel campo di Filippi. Ormai l o s o : l a mi a o ra è s u o n at a. VOLUMNIO - Che dici, Bruto! BRUTO - Sì, ne sono certo. Tu v ed i co me v a, Vo l u mn i o , i l mondo: il nemico ci ha ricacciati ormai sull’orlo dell’abisso… (Al l a r mi i n l o n t a n a n z a ) È ben più nobile saltarvi dentro noi stessi, che aspettar ch’altri ci spinga. Vo l u mn i o , s i amo an d at i a s cu o l a insieme; in nome e nel ricordo di quel tempo, e dell’antica amicizia, ti supplico, reggimi forte l’elsa della spada, ch’io mi ci scagli contro. VOLUMNIO - Qu es t o , Bru t o , non è certo l’ufficio d’un amico! (Al t r o a l l a r me l o n t a n o ) CLITO - Vi a, v i a, fu g g i amo , fu g g i amo , padrone! No n è p i ù i l cas o d ’at t ard arci q u i . BRUTO - Io dico addio a tutti… a te… a te… e a t e, caro Vo l u mn i o . Tu , Stratone, hai dormicchiato tutto questo tempo; anche a te dico addio… Compatrioti, mi rallegra il cuore il pensare che in tutta la mia vita io non abbia trovato nessun uomo che non mi sia rimasto affezionato. Da q u es t a mi a s co n fi t t a av rò p i ù gloria di quanta ne potranno derivare s i cu ramen t e Ot t av i o e Marcan t o n i o da questa loro meschina vittoria. Ad d i o a t u t t i . La v o ce d i Bru t o sta per chiuder la storia di sua vita. La n o t t e p en d e g i à s o p ra i mi ei occhi, le mie ossa vorrebbero riposo, molto han penato per toccar quest’ora (Al l a r mi . Gr i d a d a d en t r o : “Fu g g i ! Fu g g i !”) CLITO - Fuggiamo, mio signore, andiamo via! BRUTO - An d at e av an t i v o i . Vi s eg u i rò . (Es co n o Cl i t o , Da r d a n i o e Vo l u mn i o ) Tu , St rat o n e, t i p reg o , res t a q u i , vicino al tuo padrone. Tu s ei p ers o n a d i t u t t o ri s p et t o , e la tua vita s’è sempre distinta per qualche tratto d’onore virile. Ti en i mi d u n q u e fo rt e q u es t a s p ad a, e volgi il volto altrove, nel momento ch’io mi ci butto contro. Te l a s en t i d i farmel o , St rat o n e? STRATONE - Dammi p ri ma l a man o . Ad d i o , padrone. BRUTO - Ad d i o , caro St rat o n e! Ab b i o ra p ace Ces are: t ’h o u cci s o nemmeno per metà sì volentieri! (118) (Si getta contro la spada, e mu o r e) Al l a r mi . Le t r u p p e d i Br u t o s o n o in ritirata, inseguite dalle truppe d i Ot t a vi o e An t o n i o . En t r a n o OTTAVIO e ANTONIO co n MES S ALA e LUCILIO OTTAVIO - (A Mes s a l a , i n d i ca n d o S t r a t o n e) Qu el l o ch i è? MESSALA - Il servo del mio duce. Stratone, di’, dov’è il tuo padrone? STRATONE - In libertà, Messala, dal servaggio nel quale tu ti trovi. Di l u i i v i n ci t o ri possono fare nient’altro che un rogo. Perché Bruto è lui solo il vincitore di se stesso, e nessuno di sua morte potrà portar la gloria. LUCILIO - Bruto non altrimenti che così d o v ev a es s er t ro v at o . Ti ri n g razi o , Bruto, d’aver così provato vere le mie parole.(119) OTTAVIO - Qu an t i l ’h an s erv i t o , io prenderò con me, al mio servizio. (A Stratone) An ch e t u , ami co , vorresti dedicare a me il tuo tempo?(120) STRATONE - Sì, s’è Messala che mi raccomanda. OTTAVIO - Fallo, allora, Messala. MESSALA - Com’è morto, Stratone, il mio signore? STRATONE - Io gli ho retto la spada, e lui vi si gettò sopra col corpo. MESSALA - Ot t av i o , p u o i b en p ren d ere al t u o seguito colui che ha reso l’ultimo servizio al mio maestro. ANTONIO - Che di tutti loro fu il Romano di gran lunga il più nobile: tutti i cospiratori, eccetto lui, hanno agito così come hanno agito perché invidiosi contro il grande Cesare: soltanto lui, per onesto sentire e premuroso del pubblico bene s’è accompagnato a loro nell’impresa. No b i l e è s t at a t u t t a l a s u a v i t a, e i n l u i Nat u ra s ì armo n i o s amen t e aveva mescolato i suoi elementi, (121) da ergersi e proclamare al mondo: “Qu es t o fu u n u o mo !” OTTAVIO - E così tutti noi, in omaggio alle degne sue virtù, vogliamo usargli il dovuto rispetto con tutti i riti della sepoltura. Stanotte le sue ossa riposeranno sotto la mia tenda, trattate con gli onori, che s’addicono a quelle d’un soldato. Fate suonare sul campo il riposo. FINE