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Giulio Cesare Shakespeare - Accademia Teatrale Veneta

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Giulio Cesare Shakespeare - Accademia Teatrale Veneta
WILLIAM SHAKESPEARE
GI ULI O CESARE
Trag ed i a i n 5 at t i
Trad u zi o n e e n o t e d i Go ffred o Rap o n i
Ti t o l o o r i g i n a l e: “JULIUS CAES AR”.
NOTE PRELIMINARI
1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello del prof.
Pet er Al ex an d er (Wi l l i am Sh ak es p eare, “Th e co mp l et e Wo r ks ”, Co l l i n s ,
Lo n d o n & Gl as g o w, 1 9 6 0 ), co n q u al ch e v ari an t e s u g g eri t a d a al t ri
t es t i , s p eci al men t e q u el l o p ro d o t t o d al Fu rn i v al l p er l a “Ea r l y
En g l i s h Text S o ci et y”, l ’ed i zi o n e d el l ’“Ar d en S h a kes p ea r e” e l a p i ù
recen t e v ers i o n e d el l ’“Oxf o r d S h a kes p ea r e”, cu rat a d a G. Tay l o r e G.
Wel l s p er l a “Cl aren d o n Pres s ” d i Ox fo rd (USA), 1 9 9 4 .
2 ) Al cu n e d i d as cal
iniziativa, laddove esse
comprensione dell’azion
essenzialmente ordinata
ie
gl
e s
ed
sono state aggiunte dal traduttore di sua
i sono sembrate necessarie, per la migliore
cenica alla lettura, cui questa traduzione è
intesa.
3 ) Al l ’i n i zi o d i ci as cu n a s cen a, i p ers o n ag g i s o n o i n t ro d o t t i co n
i l ri t u al e “En t er ” d el t es t o (“En t ra” o “En t ran o ”), co n l ’av v ert en za
che tale didascalia non implica che i personaggi debbano intendersi
s emp re n el l ’at t o d i en t rare fi s i camen t e i n s cen a al l ’i n i zi o d el l a
stessa; è possibile che l’azione richieda che essi vi si trovino già, in
u n q u al u n q u e at t eg g i amen t o . La reci p ro ca v al e p er l ’i n d i cazi o n e
“Exi t ”/ “Exeu n t ” (“Es ce” / “Es co n o ”) al l a fi n e d el l a s cen a: co me n el l a
terza scena del II atto.
4) Il metro è l’endecasillabo sciolto, intercalato d
come l’abbia richiesto al traduttore lo scorrere della ve
Per citazioni, canzoni, cabalette, proverbi ed altro s’è
metro secondo che, in accordo col testo, l’abbia suggerito
di uno stacco nello stile.
a settenari,
rseggiatura.
usato altro
la necessità
5 ) Trat t an d o s i d el l a Ro ma d i Ces are, i n i t al i an o l a fo rma d el
“tu” (i Romani non ne conoscevano altra) è sembrata imperativa, ad
onta del dialogante alternarsi dello “you” e del “thou” dell’inglese.
6) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di altre traduzioni
precedenti dalle quali ha preso in prestito parole, frasi e interi
costrutti, dandone opportuno credito in nota.
PERSONAGGI
GIULIO CESARE
OTTAVIO CESARE
MARCO ANTONIO
M. EMILIANO
LEPIDO
Tri u mv i ri d o p o l a mo rt e
di Cesare
CICERONE
PUBLIO
POPILIO LENA
Senatori
MARCO BRUTO
CASSIO
CASCA
TREBONIO
LIGARIO
DECIO BRUTO
CINNA
METELLO CIMBRO
Co n g i u rat i co n t ro Gi u l i o
Cesare
FLAVIO
MARULLO
Tri b u n i d el l a p l eb e
ARTEMIDORO
Un INDOVINO
CINNA
Un al t ro p o et a
sofista di Cnido
LUCILIO
TITINIO
MESSALA
CATONE i l Gi o v an e
VOLUMNIO
Ami ci d i Bru t o e Cas s i o
VARRONE
CLITO
CLAUDIO
STRATONE
LUCIO
DARDANIO
Servi di Bruto
PINDARO
CALPURNIA
PORZIA
servo di Cassio
moglie di Cesare
moglie di Bruto
poeta
Sen at o ri , Ci t t ad i n i , Gu ard i e, Sch i av i , ecc…
S CENA: A Ro ma , p er mo l t a p a r t e d el d r a mma ;
i n d i p r es s o S a r d i e p r es s o Fi l i p p i .
ATTO PRIMO
S C EN A I
Un a v i a d i Ro ma
En t r a n o FLAVIO e MARULLO, i n co n t r a n d o a l cu n i p o p o l a n i
FLAVIO -
Vi a d i q u a, s faccen d at i , a cas a, a
casa!
Si fa vacanza? È forse dì di festa?
No n s ap et e ch e i n g i o rn o d i l av o ro
è vietato alla gente di mestiere
d’andare in giro senza il
distintivo
d el l a s u a p ro fes s i o n e? Qu al è i l
tuo?
1 ° CITTADINO -
Io faccio il falegname.
FLAVIO -
E dove l’hai il tuo
pelle?
Ed i l t u o reg o l o ?…
facendo
così agghindato pe
come andassi a una
grembiul di
E che vai
r le vie di Roma
festa?
(Al 2 ° Ci t t a d i n o )
E tu, compare, che mestiere fai?
2 ° CITTADINO -
Beh, io, a dirla franca,
a confronto ad un artigiano fino,
sarei quel che si dice un
capponaio.
MARULLO -
Rispondi a tono: che mestiere fai?
2 ° CITTADINO -
Un mes t i ere, s i g n o re,
che spero di poter esercitare
con tranquilla coscienza, questo è
certo;
rammendator di suole sfasciate(1).
MARULLO -
E che mestiere è questo, vil
mariuolo,
che razza di mestiere?
2 ° CITTADINO -
Oh , Di o , s i g n o re,
per carità, non ti scomporre tanto!
Per quanto, poi, se proprio ti
scomponi,
io posso sempre darti
un’aggiustata(2).
MARULLO -
Che intendi dire, pezzo
d’insolente?
Tu rag g i u s t are me?
2 ° CITTADINO -
Certo, signore.
Di co meg l i o : p o t rei racci ab at t art i .
MARULLO -
Al l o ra s ei u n ci ab at t i n o . O n o ?
2 ° CITTADINO -
A dirla franca, sì, non vivo
d’altro,
che del lavoro fatto con la lesina.
No n m’i mp i cci o d ’affari d i
mercanti
o femmine; ma solo della lésina
(3).
Potrei chiamarmi, insomma, come
dire…
un chirurgo di scarpe malandate:
le risano, se sono in gran pericolo
(4).
Col lavoro che m’esce dalle mani
han camminato le più illustri teste
ch’abbian calzato suole di corame.
FLAVIO -
E per quale ragione
hai disertato oggi la bottega,
e te ne vai per le strade di Roma
alla testa di tutta questa gente?
2 ° CITTADINO -
Eh , s i a d et t o fra n o i , l a mi a
ragione
è far ch’essi consumino i calzari,
così procaccio più lavoro a me…
No , n o … p arl an d o p ro p ri o
seriamente,
il motivo per cui facciamo festa
è p er an d are a v ed er Gi u l i o Ces are
e gioire anche noi del suo trionfo.
MARULLO -
Gi o i re, v o i … d i Ces are?… Perch é?
Che conquiste riporta a Roma
Cesare?
Qu al i n emi ci , v i n t i ed i n cat en e,
s’è trascinato, a piedi, fino a
Roma,
ad ornare le ruote del suo carro
(5)?
Ma Pompeo, sciocchi cuori di
pietra,
macigni più della materia inerte,
figli degeneri di questa Roma,
Pompeo, l’avete già dimenticato?
Qu an t e v o l t e v i s i et e arramp i cat i
sulle mura, sul sommo degli
spalti,
sulle torri, sui vani di finestre
e perfino sull’alto di comignoli,
coi vostri figli in braccio,
e lì seduti in attesa paziente
siete rimasti pure un giorno intero
pur di veder passare il gran
Pompeo
per le strade di Roma? E quante
volte,
visto spuntar da lontano il suo
carro,
avete alzato tutti insieme un urlo,
e co s ì fo rt e ch e l o s t es s o Tev ere
s’è visto fremer tutto nel suo
letto
al sentir risuonar tra le sue
sponde
concave l’eco dei vostri clamori?
Ed o ra v i ag g h i n d at e t u t t i a fes t a,
e vi prendete un giorno di
vacanza,
e cospargete di fiori il cammino
di chi vuol celebrare il suo
trionfo
s u l s an g u e d i Po mp eo ?… To rn at e a
casa!
E pregate in ginocchio i sommi dèi
che vogliano stornar dal vostro
capo
la peste che dovrebbe ricadervi
per tanta vostra bieca
ingratitudine.
FLAVIO -
Sì, andate, miei bravi cittadini,
andate a rimediare a questa colpa;
radunatevi in quanti più potete
del vostro ceto, e andate in riva al
Tev ere,
e versatevi dentro tante lacrime
da far che il più sommerso dei
suoi flutti
salga a lambire il sommo della
sponda.
(I popolani escono tutti,
sparpagliandosi)
Ecco , h ai v i s t o ? Li h a v i n t i
l’emozione,
tempre di stagno! Si son dileguati
in silenzio, la coda fra le gambe,
la lingua incatenata dal rimorso.
Ora t u v o l g erai d a q u el l a p art e,
per la strada che mena al
Campidoglio;
io dirigo i miei passi da
quest’altra.
Se vedi statue drappeggiate a
festa,
spogliale tutte.
MARULLO -
Ma possiamo farlo?
Og g i , l o s ai , s i cel eb ran o a Ro ma
i ri t i Lu p ercal i (6 ).
FLAVIO -
No n i mp o rt a.
Le s t at u e d i Ces are, t ro fei
non ne devono avere. Io vado
attorno
a scioglier quanta gente vedo in
crocchio;
tu fa’ lo stesso: tutte queste
penne
che strapperemo dall’ali di Cesare
lo forzeranno a volare più basso;
altrimenti si libra troppo in alto,
fino a sparire alla vista degli
uomini,
e a mantenerci tutti sotto a lui
in un servile stato di paura.
(Es co n o )
S CENA II
Ro ma , u n a p i a z z a
Fa n f a r a . En t r a n o i n co r t eo , CES ARE, ANTONIO, q u es t i i n a r n es e p r o n t o
per la corsa,
CALPURNIA, PORZIA, DECIO, CICERONE, BRUTO, CAS S IO e CAS CA;
d i et r o u n a g r a n f o l l a , i n mez z o a l l a q u a l e u n INDOVINO
CESARE -
Calpurnia!
CASCA -
Ol à, s i l en zi o ! Parl a
Cesare!
(Ces s a l a mu s i ca )
CESARE CALPURNIA CESARE -
ANTONIO -
Calpurnia!…
Ecco mi , s o n q u i , s i g n o re.
Ap p en a An t o n i o i n i zi erà l a co rs a,
cerca di metterti sul suo
percorso…
An t o n i o !
Cesare, signore mio…
CESARE -
No n t i s co rd are, d u ran t e l a co rs a,
di toccare Calpurnia con la mano;
ché secondo che dicono gli
anziani,
le donne sterili che son toccate
in questa corsa sacra,
si scrollano di dosso il maleficio
dell’infecondità(7).
ANTONIO -
Lo t errò a men t e.
Cesare deve solo dir: “Fa’ questo”,
ed è fatto.
CESARE -
Va b en e, p ro s eg u i amo .
No n s i t ras cu ri al cu n a ceri mo n i a.
(Ri co mi n ci a l a mu s i ca )
INDOVINO -
Cesare!
CESARE -
Chi mi chiama tra la folla?
CASCA -
Silenzio, olà! Si spenga ogni
rumore!
CESARE -
Chi m’ha
mezzo?
Ho s en t i t
più squil
suoni,
che m’ha
Che parli
ascolta.
chiamato per nome, là in
o una voce,
lante di tutti questi
gridato: “Cesare!”.
! Cesare è qui che
INDOVINO -
Temi g l ’i d i d i marzo !
CESARE -
Chi è quell’uomo?
BRUTO -
Un i n d o v i n o , Ces are;
ti dice di temer gl’idi di marzo.
CESARE -
Che venga qui, voglio vederlo in
faccia.
CASSIO -
Ami co , v i en i fu o ri d al l a fo l l a,
e presèntati a Cesare.
(L’Indovino viene portato innanzi
a Cesare)
CESARE -
Ch e mi s t av i d i cen d o ? Vu o i
ripeterlo?
INDOVINO -
Temi g l ’i d i d i marzo .
CESARE -
È un visionario!
Si lasci andare e si prosegua.
Av an t i !
(Fa n f a r a .
Es co n o t u t t i , t r a n n e BRUTO e
CAS S IO)
CASSIO -
Tu n o n v ai ad as s i s t ere al l a co rs a?
BRUTO -
Io, no.
CASSIO BRUTO -
Vacci , t i p reg o .
No n mi p i ac
No n h o g u s t o p er i d i v ert i me
No n s o n o co me An t o n i o :
mi manca il modo suo di star
allegro.
Ma non intendo ostacolarti,
Cassio,
nei desideri tuoi. Perciò ti l
e.
nti.
e
ascio.
CASSIO -
Bruto, è da un po’ che ti vado
osservando:
mi par di non trovar più nel tuo
sguardo
quella mostra d’umana gentilezza
e d’affetto che t’era abituale.
Ti en i u n a man o t ro p p o d i s t accat a
e fredda sull’amico tuo, che t’ama.
BRUTO -
No n l as ci art i i n g an n ar
dall’apparenza,
Cassio; se noti un velo nel mio
sguardo,
il turbamento che mi vedi in volto
è rivolto soltanto su me stesso.
Da q u al ch e t emp o s o n o t o rmen t at o
da passioni in conflitto, da
pensieri
che son rivolti soltanto a me
stesso,
e che offuscano, forse, in qualche
modo,
il mio comportamento verso gli
altri.
Ma di ciò non si debbono dar pena
i miei migliori amici,
nel novero dei quali sei tu,
Cassio;
né diano a certa mia trascuratezza
altro senso se non che questo
Bruto,
in guerra con se stesso, poveretto,
dimentica le usuali sue maniere
d ’affet t o v ers o g l i al t ri . Tu t t o
qui.
CASSIO -
Al l o ra h o mo l t o mal e i n t erp ret at o
finora, Bruto, i moti del tuo
animo;
sì da tener sepolti nel mio petto,
senza osare di fartene partecipe,
gravi pensieri, degne riflessioni.
Ma dimmi, Bruto: sai guardarti in
faccia?
BRUTO -
No , Cas s i o . L’o cch i o n o n v ed e s e
stesso
che per riflesso, attraverso altre
cose.
CASSIO -
È vero; ed è un peccato,
Bruto, che tu non abbia un tale
specchio
che rifletta dinnanzi all’occhio
tuo
il tuo valore interno, sì che tu
possa mirare in esso la tua
immagine.
Ho u d i t o mo l t a g en t e d i ri g u ard o
a Roma - tranne l’immortale Cesare
che parlando di Bruto e
lamentandosi
del giogo impostoci da questi
tempi,
hanno auspicato che il nobile
Bruto
si potesse vedere coi suoi occhi.
BRUTO -
In quali rischi vorresti cacciarmi,
Cassio, con questo stare a
domandarmi
di cercare in me stesso qualche
cosa
che non c’è?
CASSIO -
Bene, allora, Bruto,
ascolta:
siccome sai che non ti puoi vedere
perfettamente, se non per riflesso,
io mi faccio tuo specchio, ed
umilmente
mi sforzerò di rivelarti in breve
quel che di te tu non conosci
ancora.
E non aver su me nessun sospetto,
nobile Bruto; ché se tu sapessi
ch’io fossi un beffatore da
strapazzo,
o uno uso a invilir l’amicizia
col profferirla al primo che mi
càpita
coi soliti melensi giuramenti;
o uno uso ad adulare il prossimo
con grandi abbracci, per poi dirne
male,
o a profondersi in voti d’amicizia
all’intera congrega, nei banchetti,
allora sì che avresti ben ragione
di ritenermi per uomo malfido.
(Fa n f a r e e g r i d a d a l l ’i n t er n o )
BRUTO -
Che voglion dire tutte queste
grida?
Temo ch e accl ami n o Ces are re.
CASSIO -
Ah , t u l o t emi ? Deb b o al l o ra
credere
che non vorresti che fosse così?
BRUTO -
Certo, che non vorrei che fosse,
Cassio,
anche se l’amo come padre figlio.
Ma perché mi trattieni così a
lungo?
Di ch e co s a v o rres t i farmi p art e?
Se è cosa che riguarda il bene
pubblico,
innanzi a un occhio mettimi
l’onore,
innanzi all’altro mettimi la morte;
li guardo con la stessa
indifferenza;
perché così m’aiutino gli dèi,
com’è vero ch’io amo più l’onore
del nome mio, io non temo la
morte.
CASSIO -
Che tu possieda in te tale virtù,
Bruto, io lo so almeno così bene,
come conosco i tratti del tuo
volto.
Ed è p ro p ri o l ’o n o re
l’argomento di cui voglio parlarti.
No n s o q u el ch e p en s i at e, t u ed
altri,
di questa vita, ma, per conto mio,
meglio vorrei non essere mai nato
che viver nel terrore d’un mio
simile,
d’un uomo in carne ed ossa come
me.
Io sono nato libero,
come Cesare, e tu lo sei del pari.
En t ramb i , t u ed i o , s i am co me l u i ,
ben nutriti, capaci come lui
di sopportare il più rigido
inverno;
tant’è che un certo giorno di
tempesta,
co l Tev ere ch e, t o rb i d o e i rri t at o ,
smaniava tutto contro le sue
sponde,
Cesare viene accanto a me e mi
dice:
“Cassio, ti senti di saltar con me
dentro questa corrente furibonda,
e nuotare laggiù, fino a quel
punto?”.
No n fece i n t emp o a d i rl o ,
ch’io, così armato come mi
trovavo,
mi tuffai, e gli feci dentro l’acqua
il cenno di seguirmi. E così fece.
La co rren t e ru g g i v a, ed a
bracciate,
con la forza dei muscoli ed il
cuore
da lottatori noi la fendevamo
in lotta contro il flutto
travolgente.
Ma prima di toccar la meta a terra,
udii gridarmi Cesare: “Soccorso!
Ai u t o , Cas s i o ! Ai u t o , s t o
affogando!”.
Al ch e i o , co me En ea, n o s t ro
grande avo,
si trasse sulle spalle il vecchio
An ch i s e
d a Tro i a i n fi amme, s al v ai d al l e
onde,
stremato, questo Cesare.
Qu es t ’u o mo
è ora divenuto un dio, e Cassio
è solo una vil cosa, un cencio
d’uomo,
tenuto ad inchinarsi fino a terra
se appena Cesare, distrattamente,
gli fa col capo un segno di saluto.
Qu an d ’era i n Sp ag n a fu co l t o d a
febbre,
e nelle fitte della malattia
notavo come fosse tutto un
tremito…
Eh , s ì , q u el d i o t remav a, o h !, s e
tremava.
E gli spariva il rosa dalle labbra
sbiancate di paura, e quel suo
occhio
(Gr i d a d i a ccl a ma z i o n e e f a n f a r a
dall’interno)
BRUTO -
Un ’al t ra g en eral e accl amazi o n e!
Qu es t i ap p l au s i s aran n o , d eb b o
credere,
per nuovi onori tributati a Cesare.
CASSIO -
Gi à, l u i cav al ca q u es t o s t ret t o
mondo
ormai come un colosso; e noi, gli
omuncoli,
passiamo sotto le sue gambe
enormi,
e ci scrutiamo intorno
per ritrovarci tutti quanti siamo
come tanti sepolcri senza onore.
A un’ora della storia, spetta agli
uomini
farsi padroni dei loro destini:
non è colpa degli astri, caro
Bruto,
ma di noi stessi, se restiamo
schiavi.
Cesare e Bruto: che ci sarà mai
in questo nome: “Cesare”?
Perché dovrebbe esso risuonare
più del tuo sulla bocca della
gente?
Prova a scriverli l’uno accanto
all’altro:
Cesare e Bruto: il tuo non è men
bello;
e prova a pronunciarli: quello tuo
ben s’adatta alla bocca, come il
suo;
pésali: sono d’egual peso
entrambi;
usali a fare un qualche sortilegio:
“Bruto”, al pari di “Cesare”,
saprà di colpo evocare uno spirito.
Al l o ra, i n n o me d i t u t t i g l i d èi ,
di che cibo si nutre questo Cesare
per crescer così grande?…
O vergogna del nostro tempo!… O
Roma,
hai perso il seme di tua stirpe
nobile!
Ma ci fu mai, dal gran diluvio in
poi(8),
un’èra che sia stata resa celebre
nella storia dal nome d’un sol
uomo?
Eb b en e, è q u es t a n o s t ra, ad es s o : è
Roma!
E c’è spazio abbastanza,
perché in essa non c’è che un uomo
solo(9).
Ep p u r l i ab b i amo u d i t i i n o s t ri
vecchi
raccontarci che un tempo vi fu un
Bruto
che avrebbe sopportato a Roma un
re
con lo stesso piacere che se il
diavolo
vi avesse stabilito la sua corte
(10).
BRUTO -
Del l ’ami ci zi a t u a, Cas s i o , n o n
dubito;
di ciò di cui vorresti persuadermi,
ho già in me maturato qualche
idea.
Come abbia a tutto questo e a
questi tempi
io riflettuto, ti dirò più tardi;
per il momento, però, non vorrei,
se ti posso pregare in amicizia,
gravarmi di ulteriore turbamento.
Rifletterò su quello che m’hai
detto;
ascolterò con animo sereno
quant’altro possa tu volermi dire.
Poi troveremo il tempo
d’incontrarci
per ascoltarci e ragionare insieme
di argomenti di sì grave momento.
Fino ad allora, mio nobile amico,
rimugina su questo che ti dico:
Bruto preferirebbe essere un
villico
anziché credersi figlio di Roma,
sotto le miserande condizioni
che la temperie minaccia
d’imporci.
CASSIO -
Sono contento che le mie parole,
pur così fiacche, abbiano acceso in
Bruto
almeno questa piccola fiammella.
BRUTO -
La ceri mo n i a d ev ’es s er fi n i t a:
Cesare torna a casa.
CASSIO -
E tu, come ti passan qui da presso,
Bruto, fa’ sì di trattenere Casca
tirandolo pel pizzo della manica,
e lui con la consueta acidità
ti dirà quanto sia degno di nota
quel che è successo.
BRUTO -
Ben e. Lo farò .
Ri en t r a CES ARE co n t u t t o i l
seguito
Os s erv a, Cas s i o , d i ch e v amp a
d’ira
sembra infiammata la fronte di
Cesare,
e tutti gli altri sembrano un
corteggio
di segugi frustati: e com’è pallida
la guancia di Calpurnia, e
Cicerone
che volge intorno gli occhi di
furetto,
così rossi e infuocati,
come l’abbiamo visto tante volte
in Campidoglio, quando, mentre
parla,
un qualche senatore lo contrasta.
CASSIO -
Ci dirà Casca quello ch’è
successo.
CESARE -
An t o n i o !
ANTONIO -
Di mmi , Ces are…
CESARE -
Intorno a me voglio solo vedere
gente bene paffuta e ben lisciata,
e ch e d o rma l a n o t t e. Tro p p o mag ro
e segaligno è Cassio e legge
troppo:
tipi così sono pericolosi.
ANTONIO -
No n t emerl o , n o n è p eri co l o s o .
È un nobile romano, e ben
disposto.
CESARE -
Vo rrei fo s s e p i ù i n carn e!
No n ch ’i o l o t ema; ma s e d i
qualcuno
dovesse aver paura il nome mio,
non so qual uomo scanserei più in
fretta
di quel Cassio sparuto e
allampanato.
Leg g e mo l t o , è u n acu t o
osservatore,
e al contrario di te,
scruta nel fondo le azioni degli
uomini;
non ama nessun genere di ludi;
non gli piace la musica(11);
sorride raramente, e se sorride,
lo fa come ad irridere se stesso,
a farsi beffa del suo proprio
spirito
per essersi concesso di sorridere
davanti a questa od a quest’altra
cosa.
Individui così non hanno pace
finché si trovin davanti qualcuno
che s’elevi più in alto;
e quindi sono assai pericolosi.
Parlo naturalmente in generale,
voglio dire di quel ch’è da temere,
non perch’io tema, ch’io son
sempre Cesare.
Passami a destra, ché da
quest’orecchio
ci sento poco, e dimmi che ne
pensi.
Es co n o Ces a r e e t u t t o i l s eg u i t o .
CAS CA s i t i en e i n d i et r o e s i f er ma
co n Br u t o
CASCA -
M’hai tirato pel lembo della
tunica:
hai da dirmi qualcosa?
BRUTO -
Sì, buon Casca;
raccontaci che cosa è mai
successo,
che Cesare è così abbuiato in viso.
CASCA -
Perché, voi due non eravate là?
BRUTO -
Al l o ra n o n d o man d erei a Cas ca
di ragguagliarmi su quel ch’è
successo.
CASCA -
Eb b en e, g l i fu o ffert a u n a co ro n a,
ed egli, mentre gli veniva porta,
la respinse col dorso della mano,
così… E la gente, giù, tutti ad
urlare.
BRUTO -
E il secondo schiamazzo, per che è
stato?
CASCA -
Eh , s emp re e an co ra p er l a s t es s a
cosa.
CASSIO -
Ma s’è sentito gridare tre volte.
Che cosa è stato a suscitare
l’ultima?
CASCA -
Sempre la stessa cosa: la corona.
BRUTO -
La co ro n a g l i è s t at a d u n q u e
offerta
per tre volte di seguito: è così?
CASCA -
Sì, ed egli per tre volte l’ha
respinta…
ogni volta, però, più blandamente;
ed a ogni suo rifiuto, apriti cielo!
(12),
dalla folla una grande
acclamazione.
CASSIO -
E chi era ad offrirgli la corona?
CASCA -
Di ami n e, Marcan t o n i o !
BRUTO -
Co me, b u o n Cas ca? Narracel o b en e.
CASCA -
Beh, quanto al come, a cercare di
dirvelo,
più facile è per me farmi
impiccare:
è stata solo una gran buffonata,
e, in verità, non ci ho fatto gran
caso.
Ho v i s t o , co me h o d et t o ,
Marcantonio
offrirgli per tre volte la corona:
un cerchietto, un diadema di
metallo;
e lui, la prima volta, l’ha
respinta,
come ho detto, sebbene ho
l’impressione
che l’avrebbe accettata di buon
grado.
Al l o ra An t o n i o g l i el ’h a o ffert a
ancora,
ed egli nuovamente l’ha respinta
(ho idea, però, che gli dolesse
assai);
poi gliel’ha offerta per la terza
volta,
e per la terza volta l’ha scansata;
ed ogni volta, tutta la plebaglia
nel gesto che faceva
allontanandola,
forza ad urlare e a spellarsi le
mani
e a lanciare per aria i lor berretti
unti e bisunti, e ad esalare in aria
zaffate intorno tanto puzzolenti
per osannare al trionfo di Cesare,
che questi ne restò quasi
asfissiato,
e, barcollando, svenne e cadde a
terra(13).
Io stesso, lì, non m’arrischiavo a
ridere,
per la paura d’aprire le labbra
e respirar quell’aria nauseabonda.
CASSIO -
Ma, un momento, ti prego.
Come hai detto? Che Cesare è
svenuto?
CASCA -
In pieno Foro! S’è accasciato a
terra,
e sbavava, e non parlava più.
BRUTO -
È possibile: soffre il mal caduco.
CASSIO -
No n è Ces are a s o ffri r d i t al mal e:
siam tutti noi, tu, io, e il bravo
Casca,
che abbiam dentro di noi il mal
caduco!
CASCA -
No n s o co s a v u o i i n t en d ere co n
questo,
ma son certo che Cesare è caduto;
e se quella gentaglia pidocchiosa
non reagiva a battimani e fischi
secondo che gradisse o no il suo
gesto,
io, che lo dico, sono un gran
bugiardo.
BRUTO -
E che disse quando è tornato in
sé?
CASCA -
Eh , p o co p ri ma d i cad ere a t erra,
quando s’accorse che il volgare
gregge
era tutto felice nel vedere
ch’egli aveva rifiutato la corona,
s’aprì la veste(14) ed offrì loro il
collo,
q u as i a d i re al l a fo l l a: “Ecco ,
tagliatelo!”.
Fossi stato pur io un artigiano
(15),
e non l’avessi preso lì in parola,
potessi andarmene dritto
all’inferno
in mezzo alla più lurida canaglia!
E co s ì s ’accas ci ò . Qu an d o ri n v en n e
la prima cosa che disse fu questa:
che se mai egli avesse fatto o
detto
qualche cosa di male, lorsignori
avessero, pregava, la bontà
d’attribuirlo a quella infermità.
Al ch e t re-q u at t ro mi s ere
baldracche
ch’erano proprio lì, vicino a me,
t u t t e ad u rl are: “Ah i , p o v era
anima!”
e a proclamar d’averlo perdonato
di tutto, dal profondo del lor
cuore.
Ma da gente così che vuoi cavarci?
Se pur Cesare avesse ucciso loro
la madre a pugnalate,
non avrebbero fatto men di tanto.
BRUTO CASCA -
Ed è p er q u es t o ch ’era co s ì t ri s t e
quando è venuto via?
Es at t amen t e.
CASSIO -
E Cicerone non ha detto niente?
CASCA -
Sì, ma ha parlato greco(16).
CASSIO -
E per dir che cosa?
CASCA -
Ah , q u es t o p o i ,
se vi dovessi dire quel che ha
detto,
non sarei buono più a guardarvi in
faccia(17);
ma quelli che potevano capirlo,
s’ammiccavan tra loro sorridendo
e scuotevano il capo; per mio
conto,
posso dir solo che parlava in
greco.
E potrei dirvi altro,
come notizia: che Flavio e
Marullo,
i tribuni, per aver fatto togliere
tutti i nastri dalle statue di
Cesare,
son ridotti al silenzio…
Ci sono state altre cose ridicole,
ma n o n l ’h o p i ù a men t e. Vi
saluto.
CASSIO -
Vi en i a cen a d a me, s t as era, Cas ca?
CASCA -
Mi dispiace, non posso: ho un
altro impegno.
CASSIO -
Do man i a p ran zo , al l o ra?
CASCA -
Vo l en t i eri ,
se sono vivo e se tu non cambi
idea,
e se il tuo desinare val la pena
d’essere trangugiato dal mio
stomaco.
CASSIO -
Bene, t’aspetto.
CASCA -
As p et t ami , v errò .
Per il momento vi saluto entrambi.
(Es ce)
BRUTO -
Che uomo spigoloso è diventato!
E dire che negli anni della scuola
era d’un indole così vivace!
CASSIO -
E l’è tuttora, se deve eseguire
qualunque impresa coraggiosa e
nobile,
malgrado l’apparente sua rudezza.
La q u al ru d ezza è s o l o i l
condimento
del suo vivace ingegno,
e serve a offrire al prossimo uno
stomaco
per fargli digerir più facilmente
quel ch’egli dice.
BRUTO Ora d ev o
se avrai
vengo io
vieni tu
CASSIO -
Gi à. Sarà co s ì .
lasciarti. Ma domani,
piacere di parlar con me,
da te; o, se lo vuoi,
a casa mia, ti aspetterò.
Verrò i o . Tu , i n t an t o , p en s a al
mondo(18).
(Es ce Br u t o )
Tu s ei n o b i l e, Bru t o ;
eppure quel tuo nobile metallo,
io lo vedo, può esser lavorato
diversamente da come è forgiato;
è bene, quindi, che le menti nobili
si tengan sempre con i loro simili;
giacché chi mai può dirsi tanto
saldo
da non lasciare che altri lo
seduca?
Cesare mal sopporta questo Cassio,
ma Cesare ha molto caro Bruto;
e foss’io Bruto, e Bruto fosse
Cassio,
Cesare, Bruto, non lo sedurrebbe
(19).
Qu es t a n o t t e, at t rav ers o l e
finestre,
gli getto dentro casa alcuni scritti
stilati con calligrafie diverse,
come se fossero diretti a lui
da vari cittadini,
tutti esaltanti l’altissimo onore
nel quale Roma tiene il nome suo.
In essi si faran velati accenni
alla necessità di tener d’occhio
l’ambizione di Cesare;
dopo di che, si tenga saldo Cesare
sul suo seggio, ché noi lo
scrolleremo,
o patiremo giorni ancor peggiori.
(Es ce)
S CENA III
Ro ma , u n a v i a
Tu o n i e l a mp i .
En t r a n o , d a p a r t i o p p o s t e, CAS CA, co n l a s p a d a s g u a i n a t a , e
CICERONE
CICERONE -
Salve, Cas
Cesare?
Ma perché
E perché q
stralunato
ca. Scortasti a casa
sì affannato?
uello sguardo
?
CASCA -
E tu non provi nessun turbamento,
quando l’intero equilibrio del
mondo
vacilla come una cosa malferma?
Cicerone, ne ho viste di tempeste,
coi venti scatenati, furibondi,
da sradicar le più nodose querce;
e l’oceano gonfiarsi incollerito,
e schiumare di rabbia verso il
cielo
fino a lambir le minacciose nubi;
ma mai, fino a stanotte, fino ad
ora,
mi son trovato in mezzo a una
bufera
grondante fuoco e fiamme come
questa.
O gli dèi sono in lotta tra di loro,
oppure il mondo, troppo
presuntuoso
verso gli dèi, li esaspera a tal
punto
da scatenar quaggiù la
distruzione.
CICERONE -
Perché, vedesti ancora altri
prodigi?
CASCA -
Ho v i s t o ap p u n t o u n u o mo , u n
certo schiavo
(che tu devi conoscere di vista)
levare in alto la mano sinistra,
e questa a un tratto divampare ed
ardere,
che parevano venti torce insieme;
e quella mano, insensibile al
fuoco,
restar del tutto illesa dalla
fiamma.
Inoltre, di passaggio in
Campidoglio,
- e non ho più rimesso nel suo
fodero
da quel momento questo mio
pugnale ho incontrato un leone;
che m’ha fissato, torvo, e se n’è
andato,
senza darmi molestia.
E lì presso, stravolte dal terrore,
un centinaio di povere donne
che giuravano d’aver visto correre
uomini in fiamme per le vie di
Roma.
Ieri, poi, la civetta s’è posata,
col suo sinistro, stridulo
singulto,
in mezzo al Foro, in pieno
mezzogiorno.
Qu an d o accad o n o s i mi l i p ro d i g i ,
e tutti in una volta, come adesso,
facciamo presto a dire: “È la
natura,
tutto si spiega con così e cosà…”.
Son fenomeni, questi, io son
convinto,
premonitori di serie sciagure
per i paesi dove si producono.
CICERONE -
Certo, viviamo in tempi assai
bizzarri;
ma ciascuno di noi può
interpretare
le cose a modo suo, e in senso
opposto
talvolta al vero lor significato.
Di mmi p i u t t o s t o , Cas ca:
“Vi en e d o man i i n Camp i d o g l i o
Cesare”?
CASCA -
Certamente. E lo so perché l’ho
udito
ch e d i cev a ad An t o n i o d i
avvertirti
ch’egli domani ci sarà.
CICERONE -
Va b en e.
Al l o ra b u o n a n o t t e, caro Cas ca.
Qu es t o o rri b i l e ci el o n o n è ad at t o
a starsene di fuori a passeggiare.
CASCA -
Va b en e. Arri v ed erci , Ci cero n e.
(Es ce Ci cer o n e)
En t r a CAS S IO
CASSIO -
Chi è là?
CASCA -
Un Ro man o .
CASSIO -
Casca, dalla voce?
CASCA -
Hai b u o n o recch i o , Cas s i o … Ma ch e
notte!
CASSIO -
Un a n o t t e, d i rei , o n es t o Cas ca,
piacevolissima per gente onesta.
CASCA -
Eh ,
que
chi
con
CASSIO -
Tu t t i co l o ro ch e h an n o co n o s ci u t o
di quali vizi è piena questa terra.
Per conto mio, mi son dato il
piacere
di girellare a lungo per le strade,
esponendo la mia persona ai rischi
d’una nottata tanto minacciosa,
e discinto così, come mi vedi,
ho esposto il petto nudo
al tuono ed allo schianto della
folgore;
e come il serpeggiante acuto
guizzo
sembrò spezzar le mammelle del
cielo,
mi ci sono piazzato lì, di faccia,
proprio al centro della sua stessa
vampa.
un cielo minaccioso come
sto
mai l’aveva visto e
osciuto?
CASCA -
Ma a che scopo così sfidare il
cielo?
Dei mo rt al i è s o l t an t o p av en t are,
e tremare, se i numi onnipotenti
mandano a loro, con siffatti
araldi,
terribili messaggi ammonitori.
CASSIO -
Sei t ard o , Cas ca. Ti fan n o d i fet t o
- o non li impieghi, se pur li
possiedi, quegli sprazzi di gran vitalità
che dovrebbero stare in un
Romano.
Sei smorto in viso ed hai gli occhi
sbarrati,
come se avessi addosso la paura,
e ti chiudi in un cerchio di
stupore
per questa strana collera dei cieli.
Ma se pensassi alla vera cagione
di tanti fulmini e striscianti
larve,
o del perché gli uccelli ed altre
bestie
si dipartono dalla lor natura
e dalla loro specie,
o perché i vecchi diventano insani
e i bimbi fanno calcoli(20);
insomma, perché tutte queste cose
si trasformano nella lor natura,
nelle lor qualità preordinate
per assumer deformi e strani
aspetti,
allora scopriresti che fu il Cielo
a infonder loro queste metamorfosi
per farne un suo strumento di
terrore
e ammonire i mortali
dell’incombere
di un qualche strano mostro su di
loro.
Ed i o p o t rei i n d i cart i , Cas ca, u n
uomo
simile in tutto a questa orrenda
notte,
uno che, appunto, sulle nostre
teste,
tuona e saetta; e spalanca i
sepolcri,
e va ruggendo come quel leone
che dici d’aver visto in
Campidoglio;
un uomo non più forte e vigoroso
di me, di te nella struttura fisica,
eppure diventato portentoso
e causa di terrore, come appunto
questi strani prodigi di natura.
CASCA -
È Cesare che intendi, non è vero?
CASSIO -
Sia chi sia; dal momento che i
Romani
conservano, bensì, dei padri
antichi
muscoli e nervi; ma s’è spento in
loro
lo spirito dei padri. E a
governarci
è ora quello delle nostre madri;
ché femmine ci mostra questo
giogo
e la nostra pazienza a sopportarlo.
CASCA -
Si dice che domani i senatori
son d’accordo di conferire a
Cesare
il titolo e la dignità di re;
ed egli porterà la sua corona
in terra e in mare, fuori che in
Italia.
CASSIO -
E allora saprò anch’io dove
portare
questo pugnale, e Cassio
affrancherà dal suo servaggio
Cassio;
p erch é è co s ì ch e v o i , Nu mi
celesti,
rendete forti i deboli,
co s ì t ri o n fat e, o Nu mi , s u i t i ran n i .
No n c’è t o rre d i p i et ra,
o bastione di bronzo martellato;
non c’è cupa prigione priva d’aria,
non catene del più robusto ferro
che possano riuscire a trattenere
la forza che sprigiona dallo
spirito;
perché la vita, quando fosse stanca
di sopportar questi terreni ceppi,
saprà trovare in sé forza bastante
a finirla per sempre e a
liberarsene.
Se è vero ch’io di tanto son
convinto,
sappia il mondo ch’io scrollerò da
me,
quando voglio, la parte di
tirannide
che finora ho dovuto sopportare.
(Continua a tuonare)
CASCA -
E così io, e come me ogni schiavo,
reco in mano la forza di annullare
d’un colpo solo la mia schiavitù.
CASSIO -
E se è così, perché dovrebbe
Cesare
farsi tiranno?… Perché lui, lo so,
non si farebbe lupo, pover’uomo,
se appena s’accorgesse che i
Romani
non sono degli agnelli; né leone,
se i Romani non fosser dei
cerbiatti(21).
Qu an d o s i v u o l e accen d ere u n fal ò
si comincia con fragili pagliuzze;
e che bel fascio di pagliuzze,
Roma!
Che ammasso di rifiuti,
che putrido carnaio, questa Roma,
che si fa usar come materia vile
ad accendere il fuoco onde
s’illumina
una meschina cosa come Cesare!…
Ma, oh!, dolore, dove m’hai
condotto!
Io forse sto parlando, inavvertito,
a un volontario della schiavitù;
col pericolo di dover rispondere
di quel che ho detto, con la stessa
vita.
Ma per fortuna porto addosso
un’arma,
e ogni rischio mi lascia
indifferente.
CASCA -
Cassio, però tu stai parlando a
Casca,
e non è ad uomini della sua tempra
che attacca il morbo della
delazione.
To h , l a mi a man o : fo rma u n a
fazione
per raddrizzare tutti questi torti,
e vedrai Casca sempre un passo
innanzi
a colui che va in testa.
CASSIO -
Qu an d ’è co s ì , co n t e, l ’affare è
fatto.
Sappi, allora, buon Casca,
che ho già convinto dei cuori di
Roma,
tra i più nobili, ad imbarcarsi
meco
in un’impresa piena di pericoli,
ma anche d’onorevole ardimento.
So che essi m’aspettano
a quest’ora al portico di Pompeo;
la notte è così piena di spavento,
che la gente non esce per le
strade,
e la furia degli elementi è tale
da somigliare in modo
impressionante
all’impresa tremenda e rossosangue
che abbiamo per le mani.
CASCA -
Un mo men t o , facci amo ci d a p art e.
Sta arrivando qualcuno in tutta
fretta.
CASSIO -
Ma q u es t o è Ci n n a. Lo co n o s co al
passo.
È un amico.
En t r a CINNA
Do v ’è ch e co rri , Ci n n a?
CINNA -
A cercarti.
(Indicando Casca)
Chi è, Metello Cimbro?
CASSIO -
No , q u es t i è Cas ca,
un altro nostro socio nell’impresa.
Sono già lì ad attendermi?
CINNA -
(S t r i n g en d o l a ma n o a
Molto piacere!… Ma ch
orrenda!
Ci sono due o tre fra i
amici
che han visto delle str
apparizioni.
Casca)
e notte
nostri
ane
CASSIO -
Ma dimmi: sono atteso?
CINNA -
Sì, t’aspettano.
Oh , s e p o t es s i t u far t an t o , Cas s i o ,
da guadagnare Bruto al nostro
scopo!
CASSIO -
A questo non pensare, caro Cinna.
To h , p ren d i q u es t o fo g l i o ,
vedi se ti riesce di posarlo
sulla sedia pretoria,
dove Bruto lo possa poi trovare
(22);
quest’altro glielo getti dentro
casa
dalla finestra; questo, con la cera,
vedi di affiggerlo sopra la statua
di Bruto antico(23). Poi, quando
avrai fatto,
rag g i u n g i ci al Teat ro d i Po mp eo ,
dove ci troverai tutti riuniti.
Deci o Bru t o e Treb o n i o s o n g i à l à?
CINNA -
CASSIO -
Ci son tutti, fuorché
Cimbro,
che è venuto a cercar
Bene, corro a posare
Cassio, secondo quel
detto.
Metello
ti a casa tua.
questi fogli,
lo che m’hai
E p o i t o rn a al Teat ro d i Po mp eo .
(Es ce Ci n n a )
Vi en i , Cas ca, t u ed i o , p ri ma d i
giorno,
ce ne andiamo da Bruto, a casa sua.
Di l u i t re q u art i s o n o g i à co n n o i ;
e son certo che dopo questo
incontro
noi lo terremo in pugno tutto
intero.
CASCA -
Oh , eg l i s i ed e al t o i n
cuori,
se l’avremo associato
quest’impresa,
quello che in noi potr
colpa,
quasi per un’alchìmia
(24)
tutti i
in
à apparire
sopraffina
si muterà in virtù pregiata e
degna.
CASSIO -
Hai g i u d i cat o b en e i l s u o v al o re
e il gran bisogno che abbiamo di
lui.
An d i amo , è g i à p as s at a mezzan o t t e.
Prima di giorno dobbiamo
svegliarlo,
e assicurarlo dalla nostra parte.
ATTO SECONDO
S C EN A I
I l g i a r d i n o d e l l a c a s a d i Br u t o
Br u t o s t a p a s s eg g i a n d o s o l o n el l a n o t t e
BRUTO -
(Ch i a ma n d o )
Eh i , Lu ci o , o h !…
(Tra sé)
No n mi ri es ce an co ra
d’indovinar, dal moto delle stelle,
quanto è vicino il giorno…
(Ch i a ma a n co r a )
Eh i , Lu ci o , o h !
Potessi avere anch’io questo suo
vizio
di dormire così profondamente!
Al l o ra, Lu ci o , s v eg l i a! Sv eg l i a,
dico!
En t r a LUCIO
LUCIO -
M’hai chiamato, padrone?
BRUTO -
Prendi un cero,
portalo nel mio studio, e quando è
acceso
vieni a chiamarmi.
LUCIO -
Va b en e, p ad ro n e.
(Es ce)
BRUTO -
Dev ’es s er co n l a mo rt e (2 5 )!…
Per mia parte, non ho nessun
motivo
per doverlo coprire di disprezzo;
ma si tratta del bene generale.
Vo rreb b e fars i i n co ro n are re.
Qu an t o ci ò p u ò camb i ar l a s u a
natura?
Ecco i l mi o d u b b i o … È l a b el l a
giornata
che fa uscire la vipera all’aperto.
E allora occorre agire con cautela.
Incoronarlo re!…
Gi à, ma co s ì g l i d i amo i n man o u n
pungolo
con cui potrà far danno quando
vuole…
Del p o t ere s i ab u s a faci l men t e,
quando non sia congiunto alla
pietà;
anche se in Cesare non seppi mai
che le passioni avessero prevalso
sulla fredda ragione… Ma è
provato
che l’umiltà servì sempre da scala
all’ambizione, quando questa è
giovane,
e chi sale le volge sempre il
volto;
ma poi, raggiunto l’ultimo
gradino,
volta il dorso alla scala, e guarda
in alto
sdegnoso ormai degli umili
gradini
grazie ai quali è salito fin lassù.
Così potrebbe Cesare… ed allora,
per impedirlo, occorre prevenirlo.
Poiché, peraltro, una denuncia
simile
potrà apparire senza fondamento,
per quello ch’egli è stato fino ad
oggi,
mettiamola così: quello ch’è oggi,
se acquistasse maggiori
proporzioni,
potrebbe volgere ad estremi
eccessi;
e si deve pensare allora a Cesare
come a un uovo di serpe che,
covato,
diverrebbe fatale per natura;
ed allora uccidiamolo nel guscio!
Ri en t r a LUCIO
LUCIO -
Padrone, il lume è acceso nel tuo
studio.
Mentre cercavo presso la finestra
un acciarino per accender l’esca,
ho visto sul piancito questo
foglio,
suggellato così; ma son sicuro
che non c’era, quando mi coricai.
(Gl i co n s eg n a u n f o g l i o )
BRUTO -
LUCIO BRUTO -
Ri t o rn a a l et t o . No n è an co ra
giorno.
Di ’ u n p o ’, rag azzo , n o n s o n o
domani
gl’idi di marzo?
No n s ap rei , p ad ro n e.
Gu ard a s u l cal en d ari o , e v i en i a
dirmelo.
(Es ce Lu ci o )
Qu es t e s ch eg g e d i s t el l e
che solcano fischiando l’atmosfera
(26)
gettano sulla terra tanta luce
che posso leggere al loro chiarore.
(Ap r e l a l et t er a e l eg g e)
“Bruto, tu dormi. Risvègliati e
guàrdati.
“Do v rà Ro ma s u b i re… Parl a, Bru t o ,
“parla, colpisci, rettifica i torti!
“Bruto, tu dormi, dèstati!…”.
Stimolazioni dello stesso genere
mi son cadute spesso sotto gli
occhi
in luoghi dove dovevo
raccoglierle.
“Do v rà Ro ma…” fi n i s co i o l a fras e:
“Do v rà Ro ma co n t i n u are a v i v ere
“nel terrore di un uomo?…”. Come!
Roma!…
Ma dalle vie di Roma gli avi miei
cacci aro n o Tarq u i n i o ,
quando si fece proclamare re(27)!
“Parla, colpisci, rettifica i
torti…”.
Mi si scongiura dunque di parlare,
e d i co l p i re?… Ah , t i p ro met t o ,
Roma,
che se il risanamento seguirà,
tu avrai da Bruto tutto quanto
chiedi!
Ri en t r a LUCIO
LUCIO -
Padrone, Marzo s’è già consumato
di quattordici giorni.
BRUTO -
A meraviglia.
(Si odono colpi alla porta)
Va’ al l a p o rt a. Qu al cu n o s t a
bussando.
(Es ce Lu ci o )
Da q u an d o Cas s i o h a p res o a
pungolarmi
contro Cesare, non ho più dormito.
Tra i l co n cep i re u n ’i mp res a
terribile
e il tradurla in azione c’è uno
spazio
ch’è un sogno orribile, come un
fantasma.
L’an i ma razi o n al e e l e p as s i o n i
in quel momento siedono a
consulto
e tutto l’essere umano è in
subbuglio
come un piccolo regno ch’è in
rivolta.
(En t r a Lu ci o )
LUCIO -
Al l a p o rt a c’è t u o co g n at o Cas s i o
(28),
che vuol vederti.
BRUTO -
È solo?
LUCIO -
No , co n al t ri .
BRUTO -
Li co n o s ci ?
LUCIO -
Macché: hanno
sul capo fino a coprire
orecchi,
ed i volti sepolti nei m
e non posso scoprire da
segno
le lor fisionomie.
BRUTO -
i cappucci
gli
antelli,
alcun
Las ci al i en t rare.
(Es ce Lu ci o )
So n l o ro , i co n g i u rat i !… Ah , t u ,
congiura!
Se ti vergogni di mostrar di notte,
quando le malefatte han minor
freno,
il minaccioso ghigno del tuo
volto,
dove andrai, quand’è giorno,
a ricercarti un antro tutto buio
da nasconder la tua mostruosa
faccia?
No n cercarn e, co n g i u ra!
Ma cerca di nascondere il tuo
volto
fra sorrisi ed amabili maniere;
perché se vai girando sulla terra
nel tuo vero sembiante,
l ’Ereb o n o n s arà s cu ro ab b as t an za
da occultarti e impedire di
scoprirti
a chi può sospettar del tuo
disegno.
En t r a n o CAS S IO, CAS CA, DECIO,
CINNA, METELLO, CIMBRO e
TREBONIO
CASSIO -
Temo ch e s i amo s t at i t ro p p o ard i t i
a venire a turbare il tuo riposo.
Bu o n g i o rn o , Bru t o . Ti rech i amo
incomodo?
BRUTO -
Sono alzato da un’ora,
e sono stato sveglio tutta notte.
Qu es t i u o mi n i ch e s o n o q u i co n t e
li conosco?
CASSIO -
Sì, li conosci tutti.
E tra loro non v’è chi non t’onori;
e che non brami di vedere Bruto
avere quel concetto di se stesso
che di lui hanno a Roma tutti i
nobili.
Qu es t i è Treb o n i o .
BRUTO -
Ed è q u i b en v en u t o .
CASSIO -
E q u es t i è Deci o Bru t o .
BRUTO -
Benvenuto anche lui.
CASSIO -
E questi è Casca.
Qu es t i è Ci n n a. Qu es t i è Met el l o
Cimbro.
BRUTO -
Son tutti benvenuti in casa mia.
Ma quali inquiete cure
s’interpongono
fra i vostri occhi e la notte(29)?
CASSIO -
Ti p o s s o d i r d a s o l o u n a p aro l a?
(Br u t o e Ca s s i o s i a p p a r t a n o a
parlare)
DECIO -
L’o ri en t e è l à. No n è d a q u el l a
parte
che spunta il giorno?
CASCA -
No .
CINNA da quella part
dispiace!
E quelle strie
che si vedono
son foriere de
E invece sì,
e, se non ti
grigiastre
contornar le nubi
ll’alba.
CASCA -
Ed i o v i d i co ch e s b ag l i at e
entrambi!
Il sole sorge là,
dritto nel punto dov’io punto la
daga;
un po’ più a sud, con l’anno
giovinetto.
Fra due mesi presenterà il suo
fuoco
più in alto verso nord; il pieno
oriente
si trova dritto là, sul
Campidoglio.
BRUTO -
(Avvi ci n a n d o s i )
Vo ’ s t ri n g erv i l a man o , ad u n o ad
uno.
CASSIO -
E facciamo qui tutti giuramento
di stare al nostro patto.
BRUTO -
No , Cas s i o , q u i n o n s erv o n
giuramenti.
Se non basta che ci guardiamo in
faccia,
se non bastan le nostre sofferenze,
l’impostura del tempo che
viviamo,
se queste son ragioni troppo
futili,
tronchiamo tutto, fin che siamo in
tempo,
e torni ognuno all’ozio del suo
letto;
e così l’altezzosa tirannia
s’estenda in lungo e in largo,
e cada ognuno come vuol la sorte.
Ma se questi motivi, com’io credo,
hanno in se stessi sufficiente
fuoco
da infiammare anche gli animi più
vili
e da temprare di virile audacia
perfino i cuori delle femminucce,
allora ditemi, concittadini,
quale bisogno abbiamo d’altro
stimolo
che ci sproni ad agire tutti
insieme,
oltre la nostra causa?
Qu al e al t ro v i n co l o ci p u ò s erv i re
in più della parola di Romani,
segreta e senza riserve mentali?
Qu al e al t ro g i u ramen t o , o l t re
l’impegno
d’uomini onesti con uomini onesti
a far che questo avvenga,
o altrimenti a soccombere per
esso?
Gi u ri n o i p ret i , i v i l i , i mal fi d at i ,
vecchie carogne d’uomini
infrolliti,
e gli animi che, a loro
simiglianza,
son usi a sopportar qualsiasi
torto;
giurino pur sulle cattive cause
tutti quelli che son di dubbia
fede;
ma non macchiamo la chiara virtù
di questa nostra impresa, e
l’indomabile
tempra dei nostri spiriti
col credere che questo nostro
impegno
e la sua materiale messa in atto
richieda un giuramento collettivo,
quando ogni goccia del nobile
sangue
che scorre nelle vene d’un Romano
si renderebbe rea di bastardaggine
s’egli infrangesse la minima parte
d’ogni promessa uscitagli di
bocca.
CASSIO -
Con Cicerone come ci mettiamo?
È i l cas o d i s en t i rl o ? Ho
l’impressione
che s’unirà con noi, decisamente.
CASCA -
No n s ’h a d a l as ci ar fu o ri .
CINNA METELLO -
No , d i cert o .
Oh , facci amo d ’av erl o i n s i eme a
noi!
L’arg en t o d el l a s u a cap i g l i at u ra
ci acquisterà buona reputazione
e voci in lode della nostra azione
(30):
si dirà che a guidar le nostre mani
fu il suo senno; le nostre
giovinezze
e la nostra selvaggia inesperienza
saran coperte dalla sua saggezza.
BRUTO -
No n
No n
uom
che
che
parliamo di lui!
ci apriamo con lui; perché è
o
non s’accoderà mai a qualcosa
sia stata intrapresa da altri
uomini(31).
CASSIO -
Qu an d ’è co s ì , co n v i en t en erl o
fuori.
CASCA -
In effetti, non è per questa
impresa.
DECIO -
E a cadere dev’esser solo Cesare?
E nessun altro?
CASSIO -
Un ’o t t i ma d o man d a;
io penso infatti che anche
Marc’An t o n i o ,
legato a Cesare da tanto affetto,
non debba sopravvivergli; lui
vivo,
ci troveremmo ancora di tra i piedi
un insidioso orditore d’intrighi;
ed i suoi mezzi, come voi sapete,
s’ei dovesse affinarli contro noi,
son ben capaci di darci fastidio.
A prevenire ciò,
Ces are e An t o n i o h an d a cad ere
insieme!
BRUTO -
Cas s i o , n o ! Tro p p o cru d a e
sanguinaria
apparirebbe questa nostra azione:
come di chi tagliasse ad uno il
capo
e poi si desse a squartargli le
membra;
come chi agisse d’ira
nell’uccidere,
e d’odio cieco dopo aver ucciso.
An t o n i o è p art e d el co rp o d i
Cesare.
No , co mp o rt i amo ci d a g i u s t i zi eri ,
e non da macellai: noi insorgiamo,
Cassio, contro lo spirito di
Cesare,
e lo spirito non ha sangue umano.
Vo l es s e i l ci el o ch e fo s s e
possibile
colpir solo lo spirito di Cesare
senza doverne massacrare il corpo!
Purtroppo è necessario ch’egli
sanguini.
Ucci d i amo l o , s ì , co n d eci s i o n e,
ma senza un’ombra d’ira, amici
miei.
Scalchiamone le membra,
come vivanda degna degli dèi;
non lo squartiamo come una
carcassa
da dare in pasto ai cani; e i nostri
cuori
siano avveduti come quei padroni
che prima istìgano i loro famigli
a compiere un certo atto di
ferocia,
e fanno sol mostra di punirli.
Qu es t o farà ap p ari r l a n o s t ra
azione
come ispirata da necessità
e non certo da odio,
e ci farà sembrare epuratori,
invece che assassini.
Qu an t o ad An t o n i o , n o n c’è d a
pensarci!
Di Ces are eg l i è i l b racci o ,
non potrà far più di quel che
faccia
il braccio quando il capo sia
caduto.
CASSIO -
E tuttavia lo temo…
Perché quel grande attaccamento a
Cesare
ch’egli sembra portar come
innestato…
BRUTO -
Oh i mè, b u o n Cas s i o , n o n p en s arci
più.
Ché se è vero ch’egli ama tanto
Cesare,
tutto quello che potrà far di male
lo potrà fare soltanto a se stesso:
darsene duolo e morire per Cesare.
E già questo per lui sarebbe molto,
dedito com’è al gioco, alle
baldorie,
alle leggere e allegre compagnie.
TREBONIO -
No , n o , d a l u i n o n c’è d i ch e
temere.
Che viva pure, perché se vivrà
saprà anche ridere di tutto questo.
(Si ode battere un orologio)
BRUTO -
Zi t t i , co n t at e i b at t i t i .
CASSIO -
Son tre(32).
TREBONIO -
Al l o ra è t emp o ch e ci s ep ari amo .
CASSIO -
Un mo men t o : p erò ri man e i l d u b b i o
se Cesare uscirà di casa o no,
di questo giorno, ché da qualche
tempo
è diventato un po’ superstizioso,
al contrario delle sue vecchie idee
sulle visioni, i sogni ed i prodigi.
Può darsi che le odierne
apparizioni,
l’inconsueta nottata di terrore
e i presagi degli àuguri lo
trattengano
dal recarsi stamane in
Campidoglio.
DECIO -
Ni en t e p au ra: s e
so io come riusc
perch’egli ama s
che cogli alberi
ingannarsi
gli unicorni(33)
ha così deciso,
ire a persuaderlo;
entirsi raccontare
possono
, cogli specchietti
gli orsi(34),
con le buche per terra gli elefanti,
con le reti i leoni, mentre gli
uomini
basta, a ingannarli, un po’
d’adulazione.
Se poi gli dico che gli adulatori
Cesare li detesta,
mi sorride, con gran
compiacimento,
senza accorgersi che quel che ho
detto
era il massimo della smanceria.
Las ci at e fare a me; s o co me
prenderlo,
e lo faccio venire in Campidoglio.
CASSIO BRUTO -
E noi ci troveremo tutti là
per scortarlo.
Al l e o t t o . Vi s t a b en e?
CINNA -
Sia per le otto. E che nessuno
manchi.
METELLO -
Cai o Li g ari o mal s o p p
che l’ha rimproverato
per aver detto bene di
Mi meraviglio che nes
abbia pensato a lui.
orta Cesare
acerbamente
Pompeo.
sun di voi
BRUTO -
Pensaci allora tu, mio buon
Metello,
vedi tu di passare a casa sua.
Cai o Li g ari o mi v u o l mo l t o b en e,
e gliene ho dato più d’una
ragione.
Mandalo qui, me lo lavoro io.
CASSIO -
S’ap p res t a l ’al b a. Ti l as ci amo ,
Bruto.
E voi, amici, andate, separatevi;
ma rammentate quel che avete
detto,
e dimostratevi veri Romani.
BRUTO -
Miei buoni amici, cercate di darvi
un contegno gioviale e disinvolto;
non accolliamo le nostre
intenzioni
addosso al nostro portamento
esterno,
ma comportiamoci da buoni attori:
spirito saldo e solenne fermezza.
E così, a tutti, una buona
giornata!
(Es co n o t u t t i . Br u t o r es t a s o l o )
Rag azzo ! Lu ci o !… Qu es t o an co ra
dorme!
Ma non importa: goditi, ragazzo,
la dolce-greve rugiada del sonno.
Tu n o n h ai l e v i s i o n i ed i fan t as mi
che le affannose cure della vita
versano nei cervelli degli adulti.
Perciò dormi del tuo sonno
tenace…
En t r a PORZIA
PORZIA -
Bruto, signore mio…
BRUTO -
Che fai qui,
Porzia?
Perché ti levi dal letto a
quest’ora?
No n t i fa cert o b en e al l a s al u t e
esporre così il fragile tuo corpo
all’asprezza del freddo del
mattino.
PORZIA -
Nemmen o a t e, fa b en e. Sei s p ari t o
poco cortesemente dal mio letto;
e ieri sera, a cena, all’improvviso
ti sei alzato, le braccia conserte,
a passeggiare su e giù per la
stanza
con aria pensierosa e sospirando;
e quando t’ho sommessamente
chiesto
che cosa fosse ad angustiarti
tanto,
m’hai gettato uno sguardo
smanierato.
T’h o ri p et u t o l a d o man d a, e t u ,
a grattarti la testa, spazientito,
ed a battere i piedi sul piantito.
Ho i n s i s t i t o , ma t u n o n m’h ai
risposto,
anzi, con mossa irata della mano
m’hai fatto il gesto di lasciarti in
pace.
Ed i o t ’h o s eco n d at o , t i mo ro s a
d’esasperar vieppiù la tua
impazienza,
che mi sembrava già fin troppo
accesa;
sperando, tuttavia, che si trattasse
solo d’un malumore passeggero
di quelli cui ciascuno va soggetto.
Ma codesto tuo stato di malessere
non ti fa più mangiare, né parlare,
né dormire; e se tu ne risentissi
nei tratti del tuo viso
com’esso agisce sul tuo stato
d’animo,
davvero non ti riconoscerei
più come Bruto. Rendimi partecipe,
sposo mio dolce, di questa tua
pena
e della sua ragione.
BRUTO -
No n s t o b en e.
È questa la ragione.
PORZIA -
Bruto è saggio,
e se fosse soltanto la salute,
saprebbe ben curarsi.
BRUTO -
È quel che faccio…
Ma tu, mia cara, va’, ritorna a
letto.
PORZIA -
Bruto dice di stare poco bene,
e pensa che gli giovi alla salute
starsene a passeggiare seminudo,
esposto all’umidore del mattino?
Bruto è malato, e si toglie,
furtivo,
dal salutare tepore del letto
per andare ad esporre le sue
membra
al corrotto contagio della notte,
sfidando l’aria fetida ed insana,
per aggravare la sua malattia?…
No , Bru t o mi o , i l mal e
tu lo porti nell’anima, ed io,
per il diritto che mi conferisce
l’essere la legittima tua sposa,
dovrei esserne messa a conoscenza.
(S’inginocchia)
Io ti prego, in ginocchio, ti
scongiuro,
per questa mia bellezza
da te un tempo lodata ed ammirata,
per i tuoi voti d’amore,
per quella grande divina promessa
che fece un solo corpo di noi due,
di confidare a Porzia,
che è te stesso, la tua stessa metà,
la pena che t’ambascia, e chi eran
quelli
che si trovavan qui con te
stanotte;
perché sono stati qui in sei o
sette,
col capo incappucciato,
quasi a voler celare i loro volti
perfino all’occhio dell’oscurità.
BRUTO -
(Ri a l z a n d o l a )
No , n o i n g i n o cch i o , Po rzi a mi a
dolcissima!
PORZIA -
No n ce n e av rei b i s o g n o , s e t u ,
Bruto,
fossi ancora quel Bruto che mi
amava.
Forse che nel contratto che ci ha
uniti
è scritto ch’io non debba saper
nulla
dei tuoi segreti?… E ch’io sarei te
stesso
ma solamente dentro certi limiti,
per farti compagnia durante i
pasti,
per allietarti il letto,
e per scambiar con te qualche
parola?
Ab i t o d u n q u e s o l o n ei s o b b o rg h i
(35)
del tuo piacere? Se son solo
questo,
Porzia la moglie non è più di
Bruto,
ma la sua concubina.
BRUTO -
Tu s ei l a s p o s a mi a, fi d a, o n o rat a,
che m’è più cara delle rosse stille
che dan vita al mio cuore
esulcerato.
PORZIA -
Se ciò fosse, saprei il tuo segreto.
Sono donna, lo so, ma son la donna
che Bruto volle eleggere a sua
sposa;
sono solo una donna, ma una donna
di degno nome, figlia di Catone
(36)!…
Con tanto padre ed un tale
consorte,
non credi tu ch’io possa avere in
me
una donna più forte del mio sesso?
…
Bruto, voglio sapere il tuo
segreto.
No n l o ri v el erò . La mi a fermezza
l’ho già messa alla prova da me
stessa,
facendomi da me, colle mie mani,
questa ferita, vedi, sulla coscia
(37).
Sarei capace di sopportar tanto,
dentro di me, in silenzio,
e non l’interna ambascia del mio
sposo?
BRUTO -
Fatemi degno, o dèi, d’una tal
sposa!
(Si bussa alla porta)
Od i , q u al cu n o b u s s a.
Porzia, ritìrati per un momento.
Il tuo seno, fra poco, spartirà
con me tutti i segreti del mio
cuore;
ti svelerò tutte le mie faccende,
tutto quello che porto scritto in
volto.
Las ci ami , s v el t a!
En t r a LUCIO co n LIGARIO, ch e h a
una benda in faccia
Lu ci o , ch i b u s s av a?
LUCIO -
Ecco : u n mal at o ch e v u o l e p arl art i .
BRUTO -
Ah , s ì , Cai o Li g ari o :
l’uomo di cui mi parlava Metello.
(A Lucio)
Ragazzo, adesso, mettiti in
disparte.
(Es ce Lu ci o )
Cai o Li g ari o !… Co me!… In q u es t o
stato(38)!
LIGARIO -
Accet t a, Bru t o , d a u n a t en u e
lingua,
un cordiale buon giorno!
BRUTO -
Ah , p ro d e Cai o ,
qual momento sei tu andato a
scegliere
per portare una benda intorno al
capo!
Come vorrei non vederti malato!
LIGARIO -
E non lo sono, Bruto,
se Bruto ha in mano una qualsiasi
impresa
nel nome dell’onore.
BRUTO -
E l ’h o , Li g ari o ,
appunto per le mani questa
impresa;
così potessi tu con sano orecchio
ascoltarla, s’io te ne faccio parte.
LIGARIO -
Per tutti i numi che i Romani
adorano,
io, questo male mio, lo caccio via!
(Si strappa la benda dalla fronte)
O anima di Roma!
Illustre figlio di onorati lombi!
Ecco ch e, s i mi l e ad u n es o rci s t a,
tu mi richiami in vita,
questo spirito che sembrava morto.
Ora n o n h ai ch e a ch i ed ermi d i
correre,
ed io son pronto a fare
l’impossibile,
sì, l’impossibile, e sbrigarlo al
meglio!
Di mmi , ch e c’è d a fare?
BRUTO -
Un ’o p era d a ri s an ar g l i i n fermi .
LIGARIO -
Ma non è che ci sono anche dei
sani
che ci toccherà rendere malati?
BRUTO -
An ch e q u es t o accad rà. Co mu n q u e
sia,
per via ti spiegherò di che si
tratta,
mentre andiamo alla casa di colui
al quale appunto ciò deve toccare.
LIGARIO -
Av v ì at i p u re, ed i o t i s eg u i rò
col cuore acceso da novella
fiamma.
Per far che cosa ancora non lo so,
a me basta che sia Bruto a
guidarmi.
BRUTO -
Seguimi allora, andiamo.
(Es co n o )
S CENA II
Ro ma . Un a s a l a d e l p a l a z z o d i C e s a r e
Tu o n i e l a mp i
En t r a CES ARE co n l a t u n i ca n o t t u r n a
CESARE -
Cielo e terra stanotte
non hanno avuto un attimo di
tregua.
Tre v o l t e h o u d i t o Cal p u rn i a, n el
sonno,
g ri d are: “Ai u t o ! As s as s i n an o
Cesare!”
(Ch i a ma n d o )
Eh i , d i l à, c’è n es s u n o ?
En t r a u n S ERVO
SERVO -
Sì, padrone.
CESARE -
Di co rs a, v a’ a p reg are i s acerd o t i ,
a mio nome, d’offrire un
sacrificio,
e portami il responso degli
aruspici.
SERVO -
Bene, corro, padrone.
(Es ce)
En t r a CALPURNIA
CALPURNIA -
Che intendi fare, Cesare?
Pensi forse di uscire?
No n d ev i mu o v ert i d a cas a, o g g i .
CESARE -
Sì, Cesare uscirà: tu
che m’hanno fino ad
minacciato
l’hanno fatto guarda
dietro:
quando han guardato
faccia,
si sono dileguate.
CALPURNIA -
tte le cose
ora
ndomi da
Cesare di
Cesare, non ho mai fatto gran
conto
dei presagi, ma ora mi spaventano.
C’è uno qui, di casa, che racconta,
oltre a quello che abbiamo visto e
udito
noi stessi, di visioni spaventose
che sono apparse agli uomini di
guardia:(39)
d’una leonessa vista partorire
per la strada; di tombe spalancate
ch’hanno sputato fuori i loro
morti;
di fiammeggianti larve di guerrieri
combattenti furiosi tra le nuvole
a schiere ed a squadroni, come in
guerra,
ed il sangue sprizzar sul
Campidoglio,
e l’aria rimbombar d’un cozzar
d’armi
e del nitrire di cavalli in corsa,
e gemiti di moribondi, e spettri
aggirantisi urlanti per le strade…
(40)
Ah , q u es t e
sono al di
esperienza
e mi fanno
cose, Cesare,
là d’ogni umana
,
paura.
CESARE -
Qu al e co s a
la cui fine sia stata decretata
in cielo dagli dèi onnipotenti
può essere dagli uomini evitata?
E dunque Cesare oggi uscirà,
ché valgono per lui questi prodigi
come per tutto il mondo in
generale.
CALPURNIA -
No n s i v ed o n o co met e
quando muoiono poveri mendichi;
i cieli stessi annunciano col fuoco
la morte dei potenti.(41)
CESARE -
Soltanto i vili muoion molte volte
prima della lor morte; il valoroso
solo una volta assapora la morte.
La p i ù s t ran a d i t u t t e l e s t ran ezze
finora da me udite, m’è sembrata
quella che l’uomo debba aver paura
della morte, sapendo che la morte,
un fine necessario e inderogabile,
verrà quando verrà.
Ri en t r a i l S ERVO
Che dicon gli
àuguri?
SERVO -
Ti co n s i g l i an o a n o n u s ci r d i cas a.
Nel cav ar l e i n t eri o ra d el l a
vittima,
non han trovato il cuore della
bestia.
CESARE -
Gl i d èi fan n o co s ì
proprio per svergognare la viltà:
Cesare, al pari di quell’animale,
sarebbe senza cuore,
se rimanesse a casa per paura,
o g g i . No , Ces are n o n l o farà:
il pericolo sa bene che Cesare
è più pericoloso del pericolo:
noi siamo due leoni, lui ed io,
venuti al mondo con lo stesso
parto:
ma io per primo, e sono il più
terribile.
E Cesare uscirà.
CALPURNIA -
Ah i mè, mari t o mi o , l a t u a s ag g ezza
s’annulla nella tua troppa fiducia!
No n u s ci r, o g g i : d à l a co l p a a me,
di’ ch’è stata soltanto mia paura
a trattenerti a casa.
Man d eremo al Sen at o Marc’An t o n i o
per dir che oggi non stai troppo
bene.
Te l o ch i ed o i n g i n o cch i o : n o n
andare.(42)
CESARE -
Va b en e, t ’acco n t en t o .
Marc’An t o n i o d i rà ch e n o n s t o
bene,
e che, per tuo capriccio, resto a
casa.
En t r a DECIO BRUTO
Ma ecco Deci o , s arà l u i a
dirglielo.
DECIO -
Cesare, salve! Cesare magnanimo,
buongiorno, vengo a scortarti al
Senato.
CESARE -
E arrivi proprio nel momento
giusto
per recare al Senato il mio saluto
e dir loro che oggi non andrò;
non perché non lo possa, perché è
falso,
o che non l’osi, ch’è più falso
ancora;
non ho voglia di uscire, oggi, ecco
tutto.
Di ’ l o ro q u es t o , Deci o .
CALPURNIA -
No , Deci o , d i ’ ch e n o n s i s en t e
bene.
CESARE -
Che! Cesare inviare una menzogna?
Av rei d u n q u e d i s t es o q u es t o
braccio
tanto lontano, a conquistare terre,
per ridurmi a temer di dire il vero
a d ei v ecch i b arb o g i ?… Va’, v a’,
Deci o ,
e di’ che Cesare non vuole uscire.
DECIO -
Potentissimo Cesare,
ch’io ne possa conoscer la
ragione,
ad evitar che mi si rida in faccia
quando l’abbia annunciato in
questi termini.
CESARE -
La rag i o n e è s o l t an t o i l mi o
volere…
No n h o v o g l i a d i an d are; e t an t o
basti
al Senato per esser soddisfatto.
Per tua soddisfazione personale,
Deci o , ed an ch e p erch é t i v o g l i o
bene,
te lo dico: è mia moglie, qui,
Calpurnia,
che vuol per forza trattenermi a
casa.
Stanotte ha visto, in sogno, la mia
statua
che, come una fontana a cento
getti,
sprizzava sangue vivo, e
tutt’intorno
s’accalcavano, a intingervi le
mani,
tanti baldi Romani sorridenti.
El l a i n t erp ret a q u es t e ap p ari zi o n i
come arcani messaggi
premonitori di mali imminenti;
e m’ha perciò scongiurato in
ginocchio
di restarmene dentro queste mura.
DECIO -
A me pare, però, che questo sogno
sia stato interpretato alla
rovescia.
Per me, si tratta d’una apparizione
assai benigna, e d’assai buon
auspicio:
la statua tua, col sangue che ne
usciva
da molti getti a cui tanti Romani
venivano a bagnarsi sorridenti,
vuole significare che da te
la grande Roma suggerà la linfa
d’una novella vita; e a te
d’intorno
accorreranno in folla grandi
uomini
per ricever, bagnati del tuo
sangue,
un’infusione, un segno, una
reliquia.(43)
Qu es t o è i l s en s o d el s o g n o d i
Calpurnia.
CESARE -
E tu l’hai giustamente
interpretato.
DECIO -
Infatti, e
da quanto
sappi dun
Senato
ha deciso
ti sarà ciò confermato
sto per dirti:
que che proprio oggi il
di dare una corona
a Cesare possente.(44)
Se tu fai lor sapere che non vai,
potrebbero decidere altrimenti.
Sarebbe inoltre facile,
per qualcuno di loro, motteggiare
sulla faccenda in chiave d’ironia:
“Ag g i o rn i amo i l Sen at o ad al t ra
data,
fino a che altri sogni non verranno
alla moglie di Cesare”.
Se poi è Cesare che si nasconde,
mi par già di sentirli bisbigliare:
“Vu o i v ed ere ch e Ces are h a p au ra?”
Perdona, Cesare, se dico questo,
ma l’affettuosa mia sollecitudine
pel tuo bene mi fa parlar così;
e la ragione in me la cede al cuore.
CESARE -
Qu an t o v an e e ri d i
ora m’appaiono le
Mi vergogno d’ave
Dammi l a t o g a; i o
cole, Calpurnia,
tue paure!
r ceduto ad esse.
vado.
En t r a n o PUBLIO, BRUTO, LIGARIO,
METELLO CIMBRO, CAS CA,
TREBONIO e CINNA, n el l ’o r d i n e:
Ces a r e ved e p er p r i mo Pu b l i o e
d i ce a Deci o e Ca l p u r n i a :
Ecco Pu b l i o , ch e v i en e a
prelevarmi.
PUBLIO -
Salve, Cesare.
CESARE -
Benvenuto, Publio.
(Ved e Br u t o )
An ch e t u , Bru t o , co s ì d i b u o n ’o ra?
(Ved e t u t t i g l i a l t r i )
Buongiorno, Casca. E anche te,
Li g ari o .
No n t i fu mai t an t o n emi co Ces are
come quell’accidente di quartana
che t’ha così smagrito… Che ore
sono?
BRUTO -
Son suonate le otto.(45)
CESARE -
Vi ri n g razi o
per il disturbo che vi siete preso
e per la cortesia che mi mostrate.
En t r a MARCANTONIO
Ecco , An t o n i o ch e s p en d e l e s u e
notti
a sgavazzare, è anche lui alzato!
Bu o n g i o rn o a t e, An t o n i o .
ANTONIO -
Al t ret t an t o al n o b i l i s s i mo Ces are.
CESARE -
Ord i n a ch e p rep ari n o d i l à…(4 6 )
Biasimatemi, amici, è colpa mia
se mi son fatto attendere così…
Salve Cinna… Metello…
Oh , Treb o n i o , an ch e t u ! Ho p er t e
in serbo
un’ora buona di conversazione:
ricorda di passar da me in
giornata;
anzi, mantieniti vicino a me,
ch’io possa ricordarmelo a mia
volta.
TREBONIO -
Va b en e…
(Tra sé)
Ti s arò co s ì v i ci n o
che i tuoi migliori amici si
dorranno
che non ti sia rimasto più lontano!
CESARE -
Av an t i , ami ci cari , en t rat e,
entrate!
Beviamo prima un bicchiere di
vino,
poi ce n’andremo insieme, in
amicizia.
BRUTO -
(A parte)
Oh , Ces are, q u al e p en o s a an g o s ci a
per l’animo di Bruto, esser
cosciente
che tutto quel che appare
esternamente
non risponda alla vera realtà!(47)
(Es co n o )
SCENA III
Ro ma , u n a v i a n e i p r e s s i d e l C a mp i d o g l i o .
En t r a ARTEMIDORO, l eg g en d o u n f o g l i o
ARTEMIDORO -
“Ces a r e, g u à r d a t i d a Ma r co
Br u t o ;
“attento a Cassio; tien
lontano Casca;
“occhio a Cinna; diffida di
Trebonio;
“Deci o Br u t o n o n t ’a ma , ed a
Ligorio
“hai fatto un grosso torto.
“Tutti quanti hanno un unico
proposito,
“ed esso è contro Cesare.
“S e n o n s ei i mmo r t a l e, s t a ’
guardingo:
“la tua troppo ostentata
sicurezza
“non fa che agevolar la lor
congiura.
“Il tuo affezionato
ARTEMIDORO”(4 8 )
Starò qui ad aspettar che passi
Cesare,
e, come un postulante,
gli darò questo. Mi fa male al
cuore
che la virtù non possa viver libera
dal morso dell’invidia.
Se leggi questo, Cesare, puoi
vivere;
se no, contro di te tramano i Fati
insieme ai traditori.
(Es ce)(4 9 )
S CENA IV
Ro ma , u n ’ a l t r a p a r t e d e l l a s t e s s a v i a , d a v a n t i a l l a c a s a d i Br u t o .
En t r a n o PORZIA e LUCIO
PORZIA -
Ti p reg o , Lu ci o , v a’, co rri al
Senato.
No n s t armi a d o man d are, v a’, fa’
presto:
perché stai lì impalato?…
LUCIO -
Se non mi dici quel che devo fare…
PORZIA -
Farai in tempo ad andare e
ritornare,
prima ch’io possa avertelo
spiegato.
(Tra sé)
O fermezza, restami salda al
fianco,
innalza tra il mio cuore e la mia
lingua
una barriera come una montagna.
Ho l a men t e d ’u n u o mo ,
ma d’una donna la fralezza…
Ah i mè,
com’è difficile per una donna
mantenere un segreto!
(Fo r t e a Lu ci o )
An co ra q u i ?
LUCIO -
Padrona, ma che cosa devo fare?
Correre al Campidoglio,
e poi tornare a casa, e niente più?
PORZIA -
Sì, solo andare e subito tornare
devi, ragazzo, per venirmi a dire
se il tuo padrone là ha buona cera:
perché non stava bene quand’è
uscito.
E osserva bene quello che fa
Cesare,
che postulanti gli fan ressa
intorno…
Od i , rag azzo ! Ch e ru mo re è q u es t o ?
…(50)
LUCIO -
No n n e s en t o , p ad ro n a.
PORZIA -
As co l t a b en e:
mi par d’udire un confuso tumulto,
come una rissa, vien dal
Campidoglio,
lo porta il vento.
LUCIO -
Io non sento niente.
En t r a u n INDOVINO
PORZIA -
(Al l ’In d o vi n o )
Ami co , s en t i : d a ch e p art e v i en i ?
INDOVINO -
Da cas a mi a, p erch é, b u o n a
matrona?
PORZIA -
Sai dirmi che ore sono?
INDOVINO -
Saranno intorno alle nove,
signora.
PORZIA -
Sarà già andato in Campidoglio
Cesare?
INDOVINO -
No n an co ra; s t o an d an d o a p ren d er
posto
appunto anch’io, per vederlo
passare.
PORZIA -
Hai fo rs e q u al ch e s u p p l i ca p er l u i ?
INDOVINO -
Ce l’ho,
Cesare
d’essere
da darmi
d’essere
signora; e se piacerà a
così buono verso Cesare
ascolto, lo supplicherò
amico a Cesare.
PORZIA -
Perché? Sai forse tu di qualche
male
che lo stia minacciando?
INDOVINO -
Di n es s u n o , d i co n o s cen za cert a,
ma di molti di cui ho gran paura
ei p o s s a an d are i n co n t ro … Ti
saluto.
La s t rad a q u i è s t ret t a,
e la gran folla al seguito di
Cesare,
senatori, pretori e un pigia-pigia
di supplicanti di tutte le specie
potrebbero schiacciare quasi a
morte
un tipo deboluccio come me;
vado a cercarmi un posto un po’
più al largo,
e là mi farò avanti al grande
Cesare
per potergli parlare, quando passa.
(51)
(Es ce)
PORZIA -
(Tra sé)
Dev o ri en t rare… Ah i mè, ch e frag i l
cosa
i l cu o re d ’u n a d o n n a!… Oh , Bru t o ,
Bruto,
ti disbrighino i cieli in questa
impresa!…
Il ragazzo ha sentito, certamente…
(52)
(A Lu ci o , co n i mb a r a z z o )
Bruto, sì, Bruto ha una certa
supplica
che Cesare rifiuta di esaudire…
Oh , i o s v en g o !… Va’, Lu ci o , v a’,
di corsa,
e saluta per me il tuo padrone…
Fagli sapere che sono serena…
Poi torna a dirmi quello che t’ha
detto.
(Es co n o d a p a r t i d i ver s e)
ATTO TERZO
S CENA I
Ro ma , i l C a mp i d o g l i o .
Gr a n d e f o l l a s u l l a s t r a d a ch e men a a l Ca mp i d o g l i o .
Tr a l a f o l l a , Ar t emi d o r o e l ’INDOVINO. Un a f a n f a r a a n n u n ci a
l ’i n g r es s o d i CES ARE ch e en t r a s eg u i t o d a BRUTO, CAS S IO, CAS CA,
DECIO, METELLO CIMBRO, TREBONIO, CINNA, MARCANTONIO, LEPIDO,
POPILIO LENA, PUBLIO e mo l t i a l t r i .
CESARE -
(Scorgendo tra la folla
l’Indovino)
Eh i , t u , g l ’i d i d i marzo s o n o
giunti!
INDOVINO -
Gi u n t i , ma n o n t ras co rs i an co ra,
Cesare.
ARTEMIDORO -
(Fa cen d o s i a va n t i e p o r g en d o g l i
la supplica)
Sal v e, Ces are. Leg g i q u es t o fo g l i o .
DECIO -
(In t r o met t en d o s
Cesare un altro
Treb o n i o ch i ed e
comodo
tu legga questa
supplica.
i e porgendo a
foglio)
che a tuo miglior
sua umile
ARTEMIDORO -
Cesare, leggi prima quella mia,
che tocca Cesare più da vicino!
Leg g i l a, g ran d e Ces are.
CESARE -
Qu el l o ch e t o cca l a n o s t ra p ers o n a
sarà letto per ultimo.
ARTEMIDORO -
No , Ces are,
leggila, non tardare un solo
istante.
CESARE -
Chi è costui, un pazzo?
PUBLIO -
(S o s p i n g en d o Ar t emi d o r o )
Larg o , l arg o !
CASSIO -
E ch e! Da q u an d o i n q u a
si presentano suppliche per
strada?
Ven i t e i n Camp i d o g l i o !
(Ces a r e en t r a i n Ca mp i d o g l i o , g l i
altri lo seguono. Tutti i senatori
sono in piedi)(53)
POPILIO -
(A parte, a Cassio)
M’auguro, Cassio, che la vostra
impresa,
vada a buon fine.
CASSIO -
(Sorpreso)
Che impresa, Popilio?
POPILIO -
Ti s al u t o .
(Se ne va verso Cesare)
BRUTO -
(A parte, a Cassio)
Che ti diceva quello?
CASSIO -
Che s’augura che la nostra
iniziativa
o g g i v ad a a b u o n fi n e. Ho g ran
paura
che il nostro piano sia stato
scoperto.
BRUTO -
(In d i ca n d o Po p i l i o )
Gu ard al o l à, co me s ’acco s t a a
Cesare,
osserva bene.
CASSIO -
Casca, tienti pronto,
perché temiamo d’esser prevenuti.
Bru t o , ch e s ’h a d a fare? Di l l o t u .
Se fossimo scoperti,(54) o Cassio
o Cesare
oggi non uscirà vivo da qui,
perch’io m’uccido.
BRUTO -
Cassio, sta’
tranquillo;
Po p i l i o Len a
di quel che s
fare;
perché, lo ve
e l’umore di
CASSIO -
non gli sta parlando
a che noi vogliamo
di, è tutto sorridente,
Cesare non cambia.
Treb o n i o s a a p u n t i n o l a s u a p art e.
Gu ard a, co me s i t rae d a p art e
An t o n i o .
(Si vede Trebonio uscire con
Ma r ca n t o n i o )
DECIO -
Do v ’è Met el l o Ci mb ro ? Vad a s u b i t o
a presentar la sua supplica a
Cesare.
BRUTO -
Ecco , s ’ap p res t a a farl o :
accalchiamoci tutti intorno a lui,
diamogli mano.
CINNA -
Cassio, tu per primo
devi alzare la mano.(55)
CESARE -
(Ai s en a t o r i )
Siam pronti?… Che c’è di fatto
male
cui ora Cesare ed il suo Senato
devon porre riparo?
METELLO -
(An d a n d o ver s o Ces a r e co n l a
s u p p l i ca i n ma n o )
Al t i s s i mo , fo rt i s s i mo ,
potentissimo Cesare, ai tuoi piedi
Metello Cimbro getta un umil
cuore.
(S’inginocchia)
CESARE -
Cimbro, t’avverto: queste
prostrazioni
e queste basse cortigianerie
posson servire ad infiammare il
sangue
degli uomini qualunque,
non già a mutare una disposizione
già adottata e sancita per decreto,
in una legge-gioco per bambini.
(56)
No n es s er t an t o s ci o cco d a p en s are
che Cesare abbia un sangue così
indocile(57)
da lasciarsi traviare facilmente
dalla sua genuina qualità
con mezzi buoni a blandire gli
stolti;
e cioè con le dolci paroline,
le sgangherate cortigianerie,
le basse piaggerie da cuccioletti.
Tu o frat el l o è b an d i t o p er d ecret o .
S’è per lui che tu vieni ad
inchinarti,
ed a pregare ed a blandire Cesare,
io ti caccio a pedate come un cane
dalla mia strada. Sappilo, Metello:
a nessuno ha mai fatto torto
Cesare,
né mai vorrà aver soddisfazione,
se non su base d’una giusta causa.
METELLO -
(Ri vo l t o a g l i a l t r i co n g i u r a t i )
No n c’è t ra v o i p i ù meri t o ri a v o ce,
che suoni più gradita della mia
all’orecchio di Cesare magnifico,
per revocare il bando a mio
fratello?
BRUTO -
(Ven en d o s u b i t o a va n t i e
p r en d en d o l a ma n o d i Ces a r e)
Io ti bacio la mano,
Cesare, non per bassa adulazione,
ma per pregarti ed impetrar da te
che Publio Cimbro possa avere
subito
la libertà di rientrare a Roma.
CESARE -
Come! Bruto!
CASSIO -
Il tuo perd
ecco, ai tuoi piedi si
Cassio
ad implorar da te
la revoca del bando a
Cimbro.
(S’inginocchia ai pie
ono, Cesare:
prosterna
Publio
di di Cesare)
CESARE -
Vo i p o t res t e p en s are d i
commuovermi
s’io fossi come voi. Se pregare
sapessi anch’io per commuovere
altrui,
questo vostro pregare il mio
perdono
sarebbe riuscito già a
commuovermi.
Ma io sono costante ed immutabile
co me l a St el l a d el l ’Ors a Mi n o re
alla cui fissità nessuna stella
è pari, nell’intero firmamento.
I cieli son dipinti
d’infinite scintille tutto fuoco,
e ciascuna rifulge come l’altre,
ma ve n’è una ch’è fissa ed
immobile
sempre allo stesso punto.
Così nel mondo: è brulicante
d’uomini,
fatti di carne e sangue tutti
quanti,
e dotati di seme d’intelletto;
e tuttavia in questa moltitudine
io non ne so che uno
che stia saldo, ed immoto, e
inespugnabile:
e quell’uno son io. E in questo
caso,
anche, lasciate ch’io tale mi
mostri:
sono stato costante nel volere
che Cimbro fosse stato messo al
bando,
e costante rimango nel volere
che così resti.
CASSIO -
(Ri a l z a n d o s i ).
Oh , Ces are…
CESARE -
Sta’ indietro!
E ch e! Vo rres t i s cu o t ere l ’Ol i mp o ?
DECIO -
(Inginocchiandosi)
Gran d e Ces are…
CESARE -
T’i n g i n o cch i i n v an o .
(58)
Perfino Bruto s’inginocchia
invano.
CASCA -
Parlate allora voi, mani, per me!
(Casca sta
Cesare al c
altri gli si
colpendolo
Br u t o l o co
CESARE -
dietro, e colpisce
ollo col pugnale; gli
avventano subito,
dappertutto il corpo.
l p i s ce p er u l t i mo )
Et t u , Br u t e? (5 9 )… E al l o ra cad i ,
Cesare!
(S t r a ma z z a , mo r t o . Il p o p o l o e
t u t t i i s en a t o r i , men o Pu b l i o ,
fuggono in disordine)
CINNA -
Ro man i , l i b ert à! Li b erazi o n e!
La t i ran n i d e è s p en t a!
Correte a proclamarlo per le
strade!
CASSIO -
Al l e t ri b u n e!(6 0 ) Ci s al g a
qualcuno
e g ri d i “Li b ert à!” a t u t t a Ro ma!
“Li b ert à, red en zi o n e,
affrancamento!”
BRUTO -
Popolo e senatori, non fuggite;
restate, non dovete aver paura!
Il debito dell’ambizione è assolto.
CASCA -
Bruto, va’ tu ai rostri.
DECIO -
E Cassio, anche.
BRUTO -
Do v ’è Pu b l i o ?
CINNA -
Qu i , Bru t o , q u i co n n o i ,
tutto atterrito da questa rivolta.
METELLO -
Stiamo ben saldi insieme, ché per
caso
qualche amico di Cesare potrebbe…
BRUTO -
No n p arl i amo d i s t are…
(A Pu b l i o )
Sta’ tranquillo,
Publio, per te non c’è nessun
pericolo,
come per nessun altro dei Romani.
Rassicurali, Publio.
CASSIO -
Sarà meglio,
Publio, però che tu non stia con
noi;
che il popolo infuriato con noi
tutti
non abbia a maltrattar la tua
canizie.
BRUTO -
Sì, allontànati, Publio,
che nessuno risponda di questo
atto
eccetto noi, che ne siamo gli
autori.
Ri en t r a TREBONIO
CASSIO -
Do v ’è An t o n i o ?
TREBONIO -
Se n’è fuggito a casa,
era tutto stordito. Per le strade,
uomini, donne, bimbi, spaventati,
gli occhi sbarrati, van correndo e
urlando
come se fosse il giorno del
Gi u d i zi o .
BRUTO -
O Fati, ora sapremo il voler
vostro;
che dobbiamo morire, lo sappiamo;
non è che l’ora ed i residui giorni
che gli uomini si curan di sapere.
CASSIO -
Mah, chi toglie vent’anni alla sua
vita,
altrettanti ne toglie alla paura
sua della morte.
BRUTO -
Da’ q u es t o p er v ero ,
ed allora la morte è un beneficio;
ed è questo che abbiamo fatto a
Cesare,
accorciandogli il tempo
da viver nel timore della morte.
Chinatevi, Romani, prosternatevi!
E nel sangue di Cesare
bagniamoci le mani, fino ai
gomiti,
ed intingiamoci le nostre spade,
e, andando tutti avanti, fino al
Foro,
ed agitando sulle nostre teste
l’armi vermiglie, alziamo un solo
grido:
“Pace, liberazione, libertà!”
CASSIO -
Inchiniamoci, allora, sì, e
bagniamoci!
Per quante età future
sarà questa esaltante nostra scena
(61)
rivissuta: in nazioni ancor da
nascere
ed in accenti ancora sconosciuti!
BRUTO -
E quante volte, a pubblico divago,
dovrà ancor sanguinare questo
Cesare,
che giace ora disteso, men che
polvere,
ai piedi della statua di Pompeo!
(62)
CASSIO -
Ed o g n i v o l
questo nost
sarà esaltat
che diedero
DECIO -
Al l o ra, ch e facci amo , ci mu o v i amo ?
CASSIO -
Vi a, s ì , v i a t u t t
in testa
e noi onoreremo
con il corteo de
gagliardi
e dei più eletti
ta
ro
o,
la
che ciò si farà,
manipolo di uomini
come di coloro
libertà alla patria!
i insieme, e Bruto
i suoi calcagni
i cuori più
spiriti di Roma.
En t r a u n S ERVO
BRUTO -
Fermi ! Ch i v i en e?… Un fami g l i o d i
An t o n i o .
SERVO -
(In g i n o cch i a n d o s i a va n t i a Br u t o )
Bruto, così m’impose il mio
padrone
d’inginocchiarmi; così
Marcantonio
mi comandò di cadere ai tuoi
piedi,
e, prosternato a te, così parlarti:
nobile, saggio, valoroso e onesto
è Bruto; Cesare era possente,
coraggioso, magnanimo,
affettuoso:
di’ a Bruto che io l’amo, e che
l’onoro;
digli che amavo ed onoravo Cesare,
ed anche lo temevo;
se Bruto vorrà far che
Marcantonio,
senza pericolo per la sua vita,
possa vederlo e sapere da lui
come Cesare avesse meritato
d’essere messo a morte,
Marcantonio non avrà tanto caro
Cesare morto, quanto Bruto vivo,
e del nobile Bruto seguirà,
con salda fede, le fortune e i
rischi
attraverso le incognite vicende
di questa situazione.(63)
BRUTO -
Il tuo
è un Romano di senno
mai lo tenni da meno.
Di g l i ch e s e g l i p i ace
in questo luogo, sarà
e, sul mio onore, ne p
incolume.
SERVO -
padrone
e di valore:
di venire
soddisfatto,
artirà
Vad o , e t e l o co n d u co
immantinente.
(Es ce)
BRUTO -
(A Cassio)
Sono sicuro che lo avremo amico.
CASSIO -
Vo rrei b en au g u rarmel o ,
ma l’animo mi dice di temere
molto di lui; e i miei
presentimenti
è raro che non colgano nel segno.
Ri en t r a MARCANTONIO(6 4 )
Ma ecco An t o n i o … Ben v en u t o ,
An t o n i o !
ANTONIO -
(Senza rispondergli, volto al
cadavere di Cesare)
Potentissimo Cesare!
Sì basso giaci? A sì picciola cosa
sono dunque ridotte le tue glorie,
le tue grandi conquiste, i tuoi
trionfi,
l e s p o g l i e d a t e v i n t e? Va l e,
Cesare!
(A Br u t o e Ca s s i o )
Io non conosco le vostre
intenzioni:
a chi altri si debba cavar sangue;
chi altro voi pensiate ne abbia
troppo;
se si trattasse della mia persona,
non saprei scegliere miglior
momento
di questo che ha veduto cader
Cesare,
né più gloriosi strumenti di morte
di queste vostre spade,
impreziosite
dal più nobile sangue della terra.
Se mal mi sopportate,
mentre le vostre mani ancor
fumano
e vaporan purpuree, vi scongiuro,
completate su me l’opera vostra!
Vi v es s i an co r mi l l ’an n i ,
mai sarò meglio disposto a morire,
né mi sarà più gradito altro luogo
né altro mezzo con cui ricever
morte,
che qui, accanto a Cesare,
e per mano di voi che siete il fiore
dei grandi spiriti dell’età nostra.
BRUTO -
An t o n i o , n o n ci ch i ed er l a t u a
morte.
Se pur dobbiamo apparire ai tuoi
occhi
nient’altro che efferati
sanguinarii
a giudicarci dalle nostre mani
e dall’atto da noi testé compiuto,
tu di noi vedi solo ora le mani
e l’azione cruenta che le mani
han compiuto; non vedi i nostri
cuori;
essi traboccan di pietà per Cesare
ma anche di pietà per tutti i torti
per Cesare da Roma sopportati;
e la pietà ha scacciato la pietà
in noi, in questa azione contro
Cesare,
come è scacciato il fuoco da altro
fuoco.
Vers o d i t e, p erò , l e n o s t re s p ad e
hanno punte di piombo,
Marcantonio;
le nostre braccia, forti contro il
male,
e i nostri cuori solo temperati
di volontà fraterna,
t’accolgono fra noi con simpatia,
con ogni buon proposito e
rispetto.
CASSIO -
La t u a v o ce s arà t an t o au t o rev o l e
quanto quella d’ogni altro,
nella distribuzione delle cariche
nel nuovo ordinamento dello
Stato.
BRUTO -
Dev i s o l p azi en t are, Marcan t o n i o ,
che ci riesca di calmare la gente,
ancora fuor di sé dallo spavento,
e ti riveleremo allor la causa
perch’io, che pur volevo bene a
Cesare(65)
pur mentre lo colpivo, ho così
agito.
ANTONIO -
Del l a s ag g ezza v o s t ra i o n o n
dubito.
Che ciascuno di voi
mi tenda la sua mano insanguinata;
e tu per primo, Bruto; e la tua,
Cassio;
e l a t u a, Deci o ; e p o i l a t u a,
Metello;
e la tua, Cinna; e tu, mio prode
Casca;
e, s e p u re p er u l t i mo , Treb o n i o ,
la tua, non certo per minore
affetto.
No b i l i ami ci … ah i mè ch e co s a
dirvi?
Il mio credito presso tutti voi
riposa su così malferma base
che una di due cose, entrambe
odiose,
voi dovete pensar di me ch’io sia:
o un codardo o un basso adulatore.
Che io t’amassi, Cesare,
oh, questo è vero! E se il tuo
grande spirito
aleggia su di noi, ti dorrà forse
più crudamente ancor della tua
morte(66)
v ed ere i l t u o An t o n i o
far la pace con questi tuoi nemici
e stringere le mani di ciascuno
intrise del tuo sangue,
nobilissimo,
avanti alla tua spoglia.
Meglio si converrebbe certo a me,
potessi aver tanti occhi
per quante hai tu ferite, e tante
lacrime
per quanto è il sangue che da esse
sgorga,
che non legarmi ora in amicizia
coi tuoi nemici… Perdonami,
Gi u l i o !
Tu , v al o ro s o cerv o ,
qui sei stato braccato, qui cadesti,
e qui i tuoi cacciatori hanno
segnato
in cremisi i lor nomi sul tuo
corpo.
E tu di questo cervo la foresta
eri, o mondo, ed in lui era il tuo
cuore!
Qu an t o s i mi l e a u n cerv o ,
da molti principi trafitto, Cesare,
ti vedo or qui giacere!…
CASSIO -
Marcantonio!
ANTONIO -
Scusami Cassio, sto parlando a
Cesare
come potranno i nemici di Cesare;
in bocca ad un amico come me,
è fredda discrezione.(67)
CASSIO -
No n t i ri mp ro v ero l e l o d i a Ces are,
ma con noi come intendi
comportarti?
Vu o i ch e t i an n o v eri amo t ra g l i
amici,
o dobbiamo procedere da soli,
senza poter contare su di te?
ANTONIO -
Ero p er d i rv i q u es t o p o co fa,
mentre stringevo a ciascuno la
mano,
ma mi son divagato, in verità,
nell’abbassare gli occhi sopra
Cesare.
Sono con voi, amici, e vi amo
tutti,
sempre con la speranza di
conoscere
le ragioni da voi, come e perché
sarebbe stato Cesare un pericolo.
BRUTO -
Senza come e perché,
sarebbe stato il nostro,
certamente,
un ben truce spettacolo.
Ma le nostre ragioni, Marcantonio,
sono talmente degne e rispettabili,
che s’anche tu fossi figlio di
Cesare
non potresti non esserne convinto.
ANTONIO -
È tutto quel che chiedo di sapere.
In più vi chiedo che mi sia
concesso
di portare nel Foro il suo
cadavere,
e lì, dal rostro, poter pronunciare
come un amico il suo elogio
funebre.
BRUTO -
Co n ces s o , An t o n i o .
CASSIO -
Bruto, una parola…
(Si appartano)
No n h ai co s ci en za d i q u el l o ch e
fai.
No n s i d ev e p ermet t ere ad An t o n i o
di parlare per il suo funerale.
Tu n o n s ai co me p u ò fars i
commuovere
il popolo da ciò ch’egli dirà!
BRUTO -
Tu l as ci a fare a me…
Salirò io per primo alla tribuna
e chiarirò al popolo i motivi
che ci hanno spinti ad uccidere
Cesare.
Qu an t o a q u el l o ch e p o t rà d i re
An t o n i o ,
spiegherò ch’è col nostro
beneplacito
ch’egli parla, per tributare a
Cesare
le onoranze previste dalla legge.
Ciò tornerà piuttosto a nostro
bene,
e non a nostro danno.
CASSIO -
Qu el ch e p o t rà s eg u i rn e, n o n l o
so;
ma la faccenda non mi piace
affatto.
BRUTO -
An t o n i o , l à, p ren d i i l co rp o d i
Cesare.
Bada, però, nel tuo discorso
funebre,
nessun biasimo a noi.
Di Ces are d i ’ p u re t u t t o i l b en e
che puoi dire, ma spiega che lo fai
con il nostro consenso; o
altrimenti
tu non potrai aver nessuna parte
in queste esequie; e inoltre
parlerai
dalla stessa tribuna dov’io vado,
e dopo ch’abbia già parlato io.
ANTONIO -
D’acco rd o . No n d es i d ero d i p i ù .
BRUTO -
Prepara dunque il corpo, là, e
seguici.
(Es co n o t u t t i men o An t o n i o )
ANTONIO -
Oh , p erd o n ami , zo l l a s an g u i n an t e,
se mi mostro così mansueto ed
umile
co n q u es t i macel l ai . Nel l a t u a
spoglia
è la rovina dell’uomo più nobile
che visse mai nel fluire del tempo.
E maledette siano quelle mani
ch’hanno versato il tuo prezioso
sangue!
Su queste tue ferite
che dischiudono come mute bocche
le lor labbra vermiglie ad
implorare
voce ed accento da questa mia
lingua,
io profetizzo qui che la tua morte
farà cadere una maledizione
sulla schiena degli uomini:
furore d’interne lotte e di fazioni
l’un l’altra avverse strazierà
d’Italia
ogni contrada; il sangue e la
rovina
saranno sì consueti,
e diverranno così famigliari
scene d’orrore agli occhi della
gente,
che le madri dovranno sol
sorridere
nel mirare i lor bimbi appena nati
squartati dagli artigli della
guerra,
ché l’abitudine alle truci gesta
avrà spento ogni senso di pietà;
e su tutti lo spirito di Cesare
avido di vendetta, con al fianco
At e, v en u t a fu o ri d al l ’i n fern o ,(6 8 )
a
c
c
“
s
ndrà gridando, entro questi
onfini,
on voce di monarca:
Di s t ru zi o n e!”,
guinzagliandovi i cani della
guerra,(69)
così c
dovrà
con il
gemen
he que
ammor
puzzo
ti dai
sta sciagurata impresa
bar la terra
delle carogne umane
viventi sepoltura.
En t r a u n S ERVO
Tu s erv i Ot t av i o Ces are, o mi
sbaglio?
SERVO -
Ap p u n t o , Marcan t o n i o .
ANTONIO -
So che Cesare
gli aveva scritto di venire a Roma.
(70)
SERVO -
Ha ri cev u t o , i n fat t i , l a s u a l et t era,
e viene; e m’ordinò di dirti a
voce…
(Ved e i l ca d a ver e d i Ces a r e)
Oh , Ces are!…
ANTONIO -
(Ved en d o i l s er vo a mmu t o l i t o )
Ti s i è g o n fi at o i l
cuore,
lo so. Mettiti un po’ da parte, e
piangi.
La co mmo zi o n e è co n t ag i o s a, v ed o ;
ché a vedere imperlarsi di dolore
i tuoi occhi, mi pare che anche i
miei
cominciano a bagnarsi… Il tuo
padrone
allora sta venendo?
SERVO -
Qu es t a s era
pernotterà a sette miglia da Roma.
ANTONIO -
To rn a d a l u i d i co rs a,
e informalo di quanto hai visto
qui:
qui c’è una Roma in lutto,
una Roma in pericolo, una Roma
n o n an co ra s i cu ra p er Ot t av i o .
Va’ d i g l i q u es t o … No , u n mo men t o ,
aspetta:
non andare senza aver visto me
trasportare nel Foro questo corpo.
Là i o , co l mi o d i s co rs o ,
saggerò come reagisce il popolo
al delitto di questi sanguinari;
e t u d a ci ò p o t rai d i re ad Ot t av i o
co me s t an n o l e co s e. Vi en i ,
aiutami.
(Es co n o t r a s p o r t a n d o i l co r p o d i
Cesare,
dopo averlo avvolto in un
lenzuolo)
S CENA II
Ro ma , i l Fo r o .
En t r a n o BRUTO e CAS S IO s eg u i t i d a u n a f o l l a d i ci t t a d i n i
CITTADINI -
Soddisfazione!
Vo g l i amo s ap ere!
Vo g l i amo ch e ci d i at e s p i eg azi o n e!
BRUTO -
(Acci n g en d o s i a s a l i r e s u l r o s t r o )
Bene, amici, seguitemi e ascoltate.
Cassio, tu pòrtati nell’altra
strada,
spartiamoci la folla tra noi due.
Chi vuol sentire me, si fermi qui,
chi vuol sentire Cassio, segua lui.
Vi d aremo q u i p u b b l i ca rag i o n e
della morte di Cesare.
1 ° CITTADINO -
Io res t o . Vo g l i o u d i r p arl are
Bruto.
2 ° CITTADINO -
Io voglio udire Cassio;
raffronteremo poi le lor ragioni,
che avremo udito separatamente.
(Es ce Ca s s i o , s eg u i t o d a a l cu n i
cittadini)
3 ° CITTADINO -
Silenzio! Il nobile Bruto è salito.
BRUTO -
Romani, miei compatrioti, amici,
io vi chiedo pazienza;
ascoltatemi bene fino in fondo,
e restate in silenzio,
e vi esporrò la causa(71) del mio
agire.
Sul mio onore, credetemi,
ed abbiate rispetto del mio onore;
giudicatemi nella saggezza vostra,
e a meglio farlo aguzzate
l’ingegno.
Se c’è alcuno fra voi
ch’abbia voluto molto bene a
Cesare,
io dico a lui che l’amore di Bruto
per Cesare non fu meno del suo.
Se poi egli chiedesse perché Bruto
s’è levato con l’armi contro
Cesare,
la mia risposta è questa:
non è che Bruto amasse meno
Cesare,
ma più di Cesare amava Roma.
Preferireste voi Cesare vivo
e noi tutti morire come schiavi,
oppur Cesare morto, e tutti liberi?
Cesare m’ebbe caro, ed io lo
piango;
la fortuna gli arrise, ed io ne
godo;
fu uomo valoroso, ed io l’onoro.
Ma fu troppo ambizioso, ed io l’ho
ucciso.
Lacri me p el s u o amo re,
compiacimento per la sua fortuna,
onore al suo valore,
ma morte alla sua sete di potere!
C’è alcuno tra voi che sia sì
abietto
da bramare di viver come servo?
Se c’è, che parli, perché è lui che
ho offeso!
Se alcuno c’è tra voi che sia sì
barbaro
da rinnegare d’essere un Romano,
che parli, perché è a lui che ho
fatto torto!
E chi c’è qui tra voi di tanto
ignobile
da non amar la patria? Se c’è,
parli:
perché è a lui ch’io ho recato
offesa.
CITTADINI -
Nes s u n o , Bru t o !
Nes s u n o !
Nes s u n o !
BRUTO -
Vu o l d i re al l o ra ch e n es s u n o h o
offeso.
Ho fat t o a Ces are n o n p i ù d i
quello
che ciascuno di voi farebbe a
Bruto.
Le rag i o n i p er cu i Ces are è mo rt o
son tutte registrate in
Campidoglio;
la sua gloria, dov’egli ne fu
degno,
non è stata offuscata, né i suoi
torti
per i quali ebbe morte, esagerati.
En t r a n o ANTONIO ed a l t
portando il corpo di Ce
avvolto in un lenzuolo,
depongono ai piedi del
ri
sare
e lo
rostro.
Ecco , v i en e i l s u o co rp o ,
pianto da Marcantonio,
che con tutto che non ha avuto
parte
alla sua morte, ne trarrà per sé
il beneficio d’un cospicuo ufficio
in seno alla repubblica.
Ma chi di voi non ne trarrà
altrettanto?
E con ciò ho finito, cittadini,
non senza avervi ancora detto
questo:
che come ho ucciso il mio migliore
amico
per il bene di Roma,
quello stesso pugnale io terrò
pronto
per me stesso, se piaccia alla mia
patria
d’aver necessità della mia morte.
CITTADINI -
Ev v i v a Bru t o !
Ev v i v a!
Ev v i v a!
Ev v i v a!
1 ° CITTADINO -
Portiamolo in trionfo a casa sua!
2 ° CITTADINO -
Facciamogli una statua
con i suoi antenati.
3 ° CITTADINO -
Sia lui Cesare!
4 ° CITTADINO -
Sian coronate in Bruto
le qualità più nobili di Cesare!
1 ° CITTADINO -
Vo g l i amo acco mp ag n arl o a cas a s u a
con grida e acclamazioni…
BRUTO 2 ° CITTADINO -
Cittadini!…
Silenzio, olà, silenzio! Parla
Bruto!
BRUTO -
Miei bravi cittadini,
lasciate ch’io me ne vada da solo;
ri man et e q u i t u t t i co n An t o n i o .
Rendete onore alla salma di Cesare
ed a q u el l o ch e An t o n i o v i d i rà,
con il nostro consenso e
beneplacito,
ad esaltare i meriti di Cesare.
Vi s u p p l i co , n es s u n o s ’al l o n t an i
prima che Marcantonio abbia
parlato.
(Es ce)
1 ° CITTADINO -
Zi t t i e fermi ! Sen t i amo
Marcantonio.
3 ° CITTADINO -
As p et t i amo ch e s al g a al l a t ri b u n a.
No b i l e An t o n i o , s al i , t i
ascoltiamo.
ANTONIO -
(È salito sul rostro)
Per amore di Bruto,
mi sento in obbligo con tutti voi.
4 ° CITTADINO -
(Al t er z o ci t t a d i n o )
Eh ? Ch e d i ce d i Bru t o ?
3 ° CITTADINO -
Che per amor di Bruto
si sente in obbligo con tutti noi,
dice…
4 ° CITTADINO -
Meglio per lui
che non si metta a dir male di
Bruto!
1 ° CITTADINO -
Qu es t o Ces are, è v ero , era u n
tiranno.
3 ° CITTADINO -
Ah , q u es t o è cert o ; e s i amo
fortunati
che Roma abbia saputo liberarsene!
2 ° CITTADINO -
Silenzio, udiamo che sa dirci
An t o n i o .
ANTONIO -
Vo i , n o b i l i Ro man i …
CITTADINI -
Ol à, s i l en zi o !…
ANTONIO -
Romani, amici, miei compatrioti,
vogliate darmi orecchio.
Io sono qui per dare sepoltura
a Cesare, non già a farne le lodi.
Il male fatto sopravvive agli
uomini,
il bene è spesso con le loro ossa
sepolto; e così sia anche di
Cesare.
V’h a d et t o i l n o b i l e Bru t o ch e
Cesare
era uomo ambizioso di potere:
se tale era, fu certo grave colpa,
ed egli gravemente l’ha scontata.
Qu i , co l co n s en s o d i Bru t o e d eg l i
altri
- ché Bruto è uom d’onore,
come lo sono con lui gli altri io vengo innanzi a voi a celebrare
d i Ces are l e es eq u i e. Ei mi fu
amico,
sempre stato con me giusto e
leale;
ma Bruto dice ch’egli era
ambizioso,
e Bruto è certamente uom d’onore.
Ha ad d o t t o a Ro ma mo l t i
prigionieri,
Cesare, e il lor riscatto ha
rimpinzato
le casse dell’erario: sembrò questo
in Cesare ambizione di potere?
Qu an d o i p o v eri h an p i an t o ,
Cesare ha lacrimato: l’ambizione
è fatta, credo, di più dura stoffa;
ma Bruto dice ch’egli fu
ambizioso,
e Bruto è uom d’onore.
Al Lu p ercal e(7 2 ) - t u t t i av et e
visto per tre volte gli offersi la corona
e per tre volte lui la rifiutò.
Era amb i zi o n e d i p o t ere, q u es t a?
Ma Bruto dice ch’egli fu
ambizioso,
e, certamente, Bruto è uom
d’onore.
No n s t o p arl an d o , n o ,
per contraddire a ciò che ha detto
Bruto:
son qui per dire quel che so di
Cesare.
Tu t t i l o amas t e, e n o n s en za
cagione,
u n t emp o … Qu al cag i o n e v i
trattiene
allora dal compiangerlo? O senno,
ti sei andato dunque a rifugiare
nel cervello degli animali bruti,
e gli uomini han perduto la
ragione?
Scusatemi… il mio cuore giace là
nella bara(73) con Cesare,
e mi debbo interromper di parlare
fin quando non mi sia tornato in
petto.(74)
1 ° CITTADINO -
Mi sembra che ci sia molta ragione
in quel che ha detto.
2 ° CITTADINO -
Certo, a ripensarci.
Cesare ha ricevuto grandi torti.
3 ° CITTADINO -
Ah ,
pau
che
peg
4 ° CITTADINO -
Av et e b en n o t at o q u el ch e h a
detto?
No n h a v o l u t o accet t ar l a co ro n a:
allora è certo, non era ambizioso.
1 ° CITTADINO -
Se davvero è così,
qualcuno la dovrà pagar ben cara.
2 ° CITTADINO -
Pover’anima, ha gli occhi tutti
rossi
come il fuoco, dal piangere.
3 ° CITTADINO -
No n c’è u o mo p i ù n o b i l e d i
An t o n i o
a Roma.
4 ° CITTADINO -
s ì , cert o co mp ag n i .(7 5 ) Ed h o
ra
al suo posto ne venga uno
giore.
Ecco , ri p ren d e a p arl are.
ANTONIO -
An co ra i eri , l a v o ce d i Ces are
avrebbe fatto sbigottire il mondo:
ed ei giace ora là,
e nessuno si stima tanto basso
da render riverenza alla sua
spoglia.
Oh , ami ci , fo s s e s t at a mi a
intenzione
eccitare le menti e i cuori vostri
alla sollevazione ed alla rabbia,
farei un torto a Bruto e un torto a
Cassio,
i quali sono uomini d’onore,
come tutti sapete.
No n farò cert o l o ro q u es t o t o rt o ;
preferisco recarlo a questo ucciso,
a me stesso ed a voi,
piuttosto che a quegli uomini
onorevoli.
Ma ho qui con me una pergamena
scritta,
col sigillo di Cesare;
l’ho rinvenuta nel suo gabinetto:
è il suo testamento.
Se solo udisse la gente del popolo
quello ch’è scritto in questo
documento
- che, perdonate, non intendo
leggere andrebbe a gara a baciar le ferite
di questo corpo, e a immergere
ciascuno
i propri lini nel suo sacro sangue;
e a chiedere ciascuno, per
reliquia,
un suo capello, di cui far
menzione
in morte, per lasciarlo in
testamento,
prezioso lascito, ai suoi nipoti.
1 ° CITTADINO -
Il testamento lo vogliamo udire.
Leg g i l o , Marcan t o n i o !
TUTTI -
Il testamento!
Il t es t amen t o ! Vo g l i amo s en t i re
quali sono le volontà di Cesare.
ANTONIO -
Gen t i l i ami ci , n o ,
siate pazienti, non lo debbo
leggere.
No n è o p p o rt u n o ch e v o i
conosciate
fino a che punto Cesare vi amasse.
No n s i et e n é d i l eg n o , n é d i
pietra,
ma siete uomini, e, come uomini,
sentendo quel che Cesare ha
testato,
v’infiammereste, fino alla pazzia.
È bene non sappiate
che suoi eredi siete tutti voi,
perché, se lo sapeste,
oh, chi sa mai che cosa ne
verrebbe!
4 ° CITTADINO -
Leg g
Vo g l
An t o
Dev i
ANTONIO -
Dav v ero n o n v o l et e p azi en t are?
No n v o l et e as p et t are an co ra u n
po’?
Ho t ras g red i t o a me s t es s o a
parlarvene.
Fo torto, temo, agli uomini
d’onore
i cui pugnali hanno trafitto
Cesare.
4 ° CITTADINO -
Che “uomini d’onore”: traditori!
ALTRI CITTADINI -
Vo g l i amo i l t es t amen t o !
2 ° CITTADINO -
Scel l erat i ! As s as s i n i !… Il
testamento!
Leg g i ci i l t es t amen t o !
ANTONIO -
Mi costringete, dunque, a forza a
leggerlo?…
Al l o ra fat e cerch i o
tutt’intorno al cadavere di Cesare
e lasciate ch’io scopra agli occhi
vostri
colui che ha fatto questo
testamento.
Dev o s cen d ere? Me l o p ermet t et e?
TUTTI -
Vi en i g i ù .
Scendi.
È questo che
vogliamo.
i quel testamento!
iamo udire quel che dice,
nio!
leggere la sua volontà!
(An t o n i o s cen d e d a l r o s t r o e s i
p o r t a vi ci n o a l l a s a l ma d i Ces a r e)
UN CITTADINO UN ALTRO UN ALTRO -
Stiamo in cerchio.
Di s co s t i d al l a b ara.
No n ci accal ch i amo t u t t i s u l
cadavere.
UN ALTRO -
Fat e l arg o ad An t o n i o …
al n o b i l i s s i mo An t o n i o .
ANTONIO -
(Che è sceso dal rostro)
No , n o ,
non dovete accalcarvi intorno a
me,
state discosti.
ALCUNI -
Indietro, gente,
indietro!
ANTONIO -
Ora, s e av et e l acri me, Ro man i ,
preparatevi a spargerle.
Il mantello lo conoscete tutti:
io ho, nel mio ricordo,
la prima volta ch’egli l’ha
indossato:
nella sua tenda, una sera d’estate,
il giorno stesso che sconfisse i
Nerv i i .(7 6 )
Gu ard at e: i n q u es t o p u n t o è
penetrato
il pugnale di Cassio; qui, vedete,
che squarcio ha fatto nella sua
ferocia
Casca, e per là è poi passato
il pugnale del suo diletto Bruto;
e quando questi ha estratto da
quel varco
il maledetto acciaio, ecco,
osservate
come il sangue di Cesare n’è
uscito
quasi a precipitarsi fuor di casa
per sincerarsi s’era stato Bruto,
o no, che avesse così rudemente
bussato alla sua porta:
perché Bruto era l’angelo di
Cesare,
lo sapete. E voi siete testimoni, o
dèi,
di quanto caramente egli l’amasse!
Qu es t o d i t u t t i i co l p i
è stato certamente il più crudele:
perché il nobile Cesare
quando vide colui che lo vibrò,
l’ingratitudine, più che la forza
delle braccia degli altri traditori,
lo soverchiò del tutto, e il suo
gran cuore
gli si spezzò di schianto;
e, coprendosi il volto col
mantello,
ai piedi della statua di Pompeo,
che intanto s’era inondata di
sangue,
il grande Cesare crollò e cadde.
Oh , q u al cad u t a, mi ei co mp at ri o t i ,
è s t at a q u el l a! Tu t t i , i n
quell’istante,
siamo caduti, mentre su di noi
trionfava nel sangue il tradimento.
Oh , o ra v o i p i an g et e; e l a p i et à,
m’accorgo, fa sentire in voi il suo
morso:
son generose lacrime, le vostre;
e voi piangete, anime gentili,
e avete visto solo sulla veste
del nostro Cesare le sue ferite.
Gu ard at e q u a:
(Solleva il lenzuolo e scopre il
corpo di Cesare)
il suo corpo
straziato dai pugnali traditori.
CITTADINI -
Uh , q u al e s cemp i o !
Oh , mag n an i mo
Cesare!
O infausto giorno!
Infami traditori!
Oh , ch e o rri b i l e v i s t a! Qu an t o
sangue!
Ven d i carl o d o b b i amo .
Sì, vendetta!
Ven d et t a! At t o rn o , fru g at e,
bruciate,
incendiate, uccidete, trucidate,
non resti vivo un solo traditore!
1 ° CITTADINO -
Si l en zi o , o l à! As co l t i amo an co ra
An t o n i o .
2 ° CITTADINO -
As co l t eremo , s eg u i remo An t o n i o ,
moriremo con lui…
ANTONIO -
Miei buoni amici,
miei cari amici, non fatemi carico
d’istigarvi ad un simile
improvviso
flutto di ribellione.
I responsabili di quest’azione
sono gente d’onore…
Qu al i p ri v at e cau s e d i ran co re
possano averli indotti, ahimè, a
compierla,
non so: essi son saggi ed
onorevoli
e vi sapranno dire le ragioni.
No n s o n v en u t o , ami ci ,
a rapire per me il vostro cuore;
non sono un oratore come Bruto,
sono - mi conoscete - un uomo
semplice
che amava Cesare con cuor sincero;
e questo sanno bene anche coloro
che m’han concesso il loro
beneplacito
a parlare di lui così, in pubblico;
perché io non posseggo né
l’ingegno,
né la facondia, né l’abilità,
né il gesto, né l’accento,
né la forza della parola adatta
a riscaldare il sangue della gente:
parlo come mi viene sulla bocca,
vi dico ciò che voi stessi sapete,
vi mostro le ferite del buon
Cesare,
povere bocche mute,
e chiedo a loro di parlar per me.
S’io fossi Bruto e Bruto fosse
An t o n i o ,
allora sì, che qui a parlare a voi
v i s areb b e u n An t o n i o
ben capace di riscaldare gli animi
e di dar voce ad ogni sua ferita
per trascinare a Roma anche le
pietre
alla rivolta ed all’insurrezione!
CITTADINI -
E così noi faremo!
Insorgeremo!
Daremo fu o co al l a cas a d i Bru t o !
1 ° CITTADINO -
Vi a, d u n q u e, a cacci a d ei
cospiratori!
ANTONIO -
No , ci t t ad i n i , as co l t at emi an co ra.
Ho an co ra d a p arl arv i .
1 ° CITTADINO -
Ol à, s i l en zi o !
Sentiamo ancora quel che vuole
dirci
i l n o b i l i s s i mo An t o n i o .
ANTONIO -
Ma, amici,
andate a far non sapete che cosa.
Sapete perché Cesare
ha tanto meritato il vostro
affetto?…
Ah i mè, m’acco rg o ch e n o n l o
sapete.
Du n q u e b i s o g n erà ch e v e l o d i ca.
Il testamento di cui v’ho parlato
l’avete già dimenticato…
CITTADINI -
È vero!
Sentiamo quel che dice il
testamento.
ANTONIO -
Ecco l o q u a: co l s i g i l l o d i Ces are:
lascia pro capite a ciascun
Romano,
settantacinque dramme.(77)
2 ° CITTADINO -
Ces are n o b i l i s s i mo ! Ven d et t a!
Del l a s u a mo rt e faremo v en d et t a!
3 ° CITTADINO -
Oh , Ces are reg al e!
ANTONIO -
As co l t at emi an co ra co n p azi en za.
CITTADINI -
Silenzio, olà!
Silenzio!
ANTONIO -
Inoltre vi ha lasciati tutti quanti
eredi dei giardini, delle vigne
e degli orti da lui fatti piantare
d i l à d al Tev ere recen t emen t e:
li lascia tutti a voi e ai vostri
eredi,
in perpetuo possesso, perché siano
pubblici luoghi di divertimento
per passeggiate e per ricreazione.
Qu es t o era, ci t t ad i n i , i l v ero
Cesare.
Qu an d o n e v errà u n o co me l u i ?
1 ° CITTADINO -
Mai , mai ! Ven i t e, cremi amo i l s u o
corpo
nel luogo consacrato,(78)
e coi tizzoni accesi diamo fuoco
alle case di questi traditori!
Prendete su il cadavere!
2 ° CITTADINO -
Av an t i , an d i amo , p rep ari amo i l
rogo!
3 ° CITTADINO -
Fracassiamo le panche…
4 ° CITTADINO -
… le finestre,
i sedili di legno ed ogni cosa!
(Es co n o t u t t i , t r a s p o r t a n d o a
s p a l l a i l co r p o d i Ces a r e men o
An t o n i o )
ANTONIO -
Ora ch e t u t t o fu n zi o n i d a s é.
Ormai s ei s cat en at o , mal efi ci o :
prendi il corso che vuoi…
En t r a u n S ERVO
Che c’è,
ragazzo?
SERVO -
Pad ro n e, Ot t av i o è g i à arri v at o a
Roma.
ANTONIO -
Do v ’è?
SERVO -
Co n Lep i d o i n cas a d i
Cesare.
ANTONIO -
E là mi reco ad incontrarlo,
subito.
Eg l i arri v a a b u o n p u n t o : l a
Fortuna
ci arride, e in questo suo ridente
umore
saprà concederci qualunque cosa.
SERVO -
Ho s en t i t o d a l u i ch e Bru t o e
Cassio
son fuggiti a cavallo, come pazzi,
attraverso le porte di città.
ANTONIO -
Dev o n o av er av u t o co n o s cen za
degli umori del popolo
com’io l’ho trascinato a
commozione.
Co n d u ci mi d a Ot t av i o .
(Es co n o )
S CENA III
Ro ma , u n a v i a .
En t r a CINNA, i l p o et a (7 9 )
CINNA -
Stanotte ho fatto un sogno:
mi pareva di stare a banchettare
con Cesare, e mi gravano la mente
i mmag i n i s i n i s t re.(8 0 ) No n h o
voglia
d’andar girovagando fuor di casa,
ma c’è qualcosa che mi ci trascina.
En t r a n o d ei CITTADINI
1 ° CITTADINO -
Qu al è i l t u o n o me?
2 ° CITTADINO 3 ° CITTADINO 4 ° CITTADINO -
Do v e s t ai an d an d o ?
Do v e ab i t i ?
Scap o l o ? Ammo g l i at o ?
2 ° CITTADINO -
Rispondi a tono alle nostre
domande.
1 ° CITTADINO -
E breve.
4 ° CITTADINO -
E con giudizio.
3 ° CITTADINO -
E lealmente.
CINNA -
Il mi o n o me? Do v e ab i t o ?…
Do v e v ad o ? Se h o mo g l i e o s o n o
scapolo?
Eb b en e, p er ri s p o n d ere a ci as cu n o
direttamente, breve, saggiamente
e lealmente: dico saggiamente
che sono scapolo.
2 ° CITTADINO -
Che è come dire,
secondo te, che sono tutti allocchi
quelli che prendon moglie.
Ho p au ra ch e q u es t e t u e p aro l e
ti costeranno un paio di ceffoni.
Ma tira avanti, via: direttamente.
CINNA -
Di ret t amen t e an d av o , d ev o d i rl o ,
al funerale di Cesare.
1 ° CITTADINO -
Come?
Da ami co o d a n emi co ?
CINNA 2 ° CITTADINO -
Come amico.
Ora h ai ri s p o s t o a t o n o .
4 ° CITTADINO -
E dove abiti?
Breve.
CINNA -
Breve: vicino al
Campidoglio.
3 ° CITTADINO -
Come ti chiami, amico, lealmente.
CINNA -
Leal men t e i l mi o n o me è Ci n n a.
1 ° CITTADINO -
A pezzi!
Fatelo a pezzi! È un cospiratore!
CINNA -
Sono Cinna il poeta, io, il poeta!
4 ° CITTADINO -
F
v
F
v
CINNA -
No n s o n o i l Ci n n a d ei co s p i rat o ri !
4 ° CITTADINO -
È lo stesso. Si chiama Cinna e
basta!
Strappategli dal cuore solo il
nome
e lasciatelo andare.
a
e
a
e
t
r
t
r
e
s
e
s
l
i
l
i
o a pezzi pei suoi brutti
!
o a pezzi pei suoi brutti
!
3 ° CITTADINO Vo i al t ri
Ti zzo n i
Cassio,
bruciate
quali da
A pezzi, a pezzi!
là, venite coi tizzoni!
acces i ! Da Bru t o e d a
t u t t o : ch i a cas a d i Deci o ,
Cas ca, q u al i d a Li g ari o !
(Es co n o t u t t i )
ATTO QUARTO
S CENA I
Ro ma , i n c a s a d i Ma r c a n t o n i o . ( 8 1 )
OTTAVIO, ANTONIO e LEPIDO s o n s ed u t i a d u n t a vo l o
ANTONIO -
Al l o ra, t u t t i i n o mi q u i s ch ed at i
son da mettere a morte, tutti
quanti.
OTTAVIO -
(A Lepido)
Tu o frat el l o d ev e an ch e l u i mo ri re.
No n s ei d ’acco rd o , Lep i d o ?
LEPIDO -
D’acco rd o .
OTTAVIO -
(Ad An t o n i o )
Al l o ra, An t o n i o , ag g i u n g i l o al l a
lista.
LEPIDO -
A p at t o , An t o n i o , ch e n o n res t i
vivo,
però, nemmeno tuo nipote Publio.
(82)
ANTONIO -
Nemmen o l u i v i v rà. To h , ecco ,
guarda:
con questo segno condanno anche
lui.
Ma va’ a casa di Cesare,
Lep i d o , p o rt a q u a i l s u o
testamento,
e vedremo di togliere qualche
onere
dai suoi legati.
LEPIDO OTTAVIO -
Vi ri t ro v o q u i ?
O qui, o in Campidoglio.
(Es ce Lep i d o )
ANTONIO -
È proprio un omiciattolo da
niente,
buono a fare il garzone di bottega.
Ti s emb ra g i u s t o ch e, d i v i s o i l
mondo
in tre parti, egli debba figurare
come uno che dovrà tenerne un
terzo?
OTTAVIO -
Tu s t es s o l ’h ai co s ì co n s i d erat o ;
ed hai chiesto perfino il suo
parere
su chi segnare nella lista nera
dei condannati a morte e dei
proscritti.
ANTONIO -
Ot t av i o , h o v i s t o p i ù g i o rn i d i t e:
abbiamo un bel caricare
quest’uomo
di onori, per alleggerir noi stessi
di numerosi e fastidiosi pesi;
saprà portarli come porta un asino
un carico prezioso sulla groppa,
sudando e mugugnando sotto il
peso,
guidato o spinto a forza verso il
luogo
che gli indichiamo noi;
e portato che avrà per noi il
tesoro,
gli togliamo di dosso quella soma
e da asino scarico
lo scapezziamo, a scrollarsi gli
orecchi
e a pascolare nei pubblici prati.
OTTAVIO -
Fa’ come credi; ma tieni presente
ch’è soldato provetto e
coraggioso.
ANTONIO -
Così è anche il mio cavallo,
Ot t av i o ;
e per ciò lo rimpinzo di foraggio:
è creatura che posso ammaestrare
alla battaglia, al volteggio,
all’arresto,
allo sfaglio, restando ogni sua
mossa
d a me g u i d at a. Lo s t es s o è d i
Lep i d o :
egli abbisogna d’essere addestrato
ed istruito, e costretto ad andare:
un individuo di spirito sterile,
uno che si alimenta di rifiuti,
di robacce, di false imitazioni
che, scartate dagli altri, fuori
uso,
diventano per lui ultima moda.
No n p arl i amo d i l u i , s e n o n p er
dire
tra di noi ch’è soltanto uno
strumento.
Ed o ra, Ot t av i o , as co l t a g ran d i
cose:
Bruto e Cassio vanno assoldando
truppe.
È necessario che noi, senza
indugio,
ci apprestiamo a far loro
resistenza.
Perciò che il nostro patto sia
concluso,
consolidate le nostre alleanze
e posti in opera i mezzi migliori.
Sediamoci a consiglio
immantinente
per decidere come meglio fare
per scoprire le lor segrete trame
e fronteggiare gli aperti pericoli.
OTTAVIO -
Facciamolo. Siamo legati al palo
(83)
e circondati da molti nemici,
e anche temo che molti di quelli
che ci fanno buon viso e ci
sorridono
hanno nell’animo, contro di noi,
milioni di propositi insidiosi.
(Es co n o )
S CENA II
Da v a n t i a l l a t e n d a d i Br u t o , n e l l ’ a c c a mp a me n t o p r e s s o S a r d i . ( 8 4 )
Ta mb u r i . En t r a n o BRUTO, LUCILIO, LUCIO co n s o l d a t i d a u n a p a r t e;
d a u n ’a l t r a TITINIO e PINDARO.
BRUTO -
Al t o l à, fermi !
LUCILIO -
La p aro l a d ’o rd i n e!
Fermi là!
BRUTO -
Oh , Ti t i n i o !(8 5 ) Cas s i o è
qui?
TITINIO -
A portata di mano, ed è qui
Pindaro
a recarti il saluto del padrone.
BRUTO -
Molto onore.
(A Pi n d a r o )
Però il tuo padrone,
a causa forse d’un suo mutamento
o per colpa di indegni suoi
gregari,
m’ha dato modo di desiderare
come non fatte cose da lui fatte.
Ma s’è accampato non lungi da qui,
ne avrò la spiegazione da lui
stesso.
PINDARO -
No n d u b i t o ch e i l n o b i l mi o
padrone
apparirà qual è: uomo d’onore
degno d’ogni rispetto.
BRUTO -
No n n e d u b i t o …
(A parte, a Titinio)
Come t’ha accolto? Ragguagliami
bene.
TITINIO -
Ab
ma
né
am
di
bastanza
non con
con quel
ichevole
conversa
cortese e rispettoso,
quella affabile premura
tono aperto ed
re che usava una volta.
BRUTO -
Me l’hai descritto come un caldo
amico
che si va intiepidendo; avrai
notato,
Ti t i n i o , co me s emp re l ’ami ci zi a
quando inizia a guastarsi ed a
marcire
s’ammanti di sforzata cortesia.
La l eal t à, q u an d o è s i n cera e
semplice,
non ha trucchi; ma gli uomini
insinceri
sono come i cavalli sfocazzanti
guidati a mano, che fan grande
sfoggio
d’ardore e ti prometton chi sa che;
ma quando son montati
e sentono sui fianchi il duro
sprone,
abbassano la cresta
e come pigri e rozzi ronzinanti
deludono e falliscono la prova.
La s u a t ru p p a, m’h ai d et t o , s t a
venendo?
TITINIO -
P
p
p
d
re
er
ar
el
vedono d’acquartierarsi a Sardi
questa notte: ma la maggior
te
la cavalleria è qui con Cassio.
(Fa n f a r a a l l ’i n t er n o )
BRUTO -
Ecco l i , u d i t e, arri v an o !
Incamminiamoci a piedi a
incontrarli.
En t r a CAS S IO co n s o l d a t i
CASSIO BRUTO DI DENTRO -
Al t !
Al t ! Pas s at e l ’o rd i n e!
Al t !
Al t !
CASSIO -
Fratello nobilissimo,
m’hai fatto torto.
BRUTO -
O numi, giudicatemi!
Ho fat t o mai i o t o rt o ad u n
nemico?
E se non è così, sapete voi,(86)
come potrei far torto ad un
fratello?
CASSIO -
Qu es t i t u o i mo d i remi s s i v i , Bru t o ,
ti servon bene a nasconder
l’offese;
e quando tu le fai…
BRUTO -
Cassio, sta’ calmo.
S’hai da lagnarti, fallo a bassa
voce…
ch ’i o t i co n o s co . No n s t i amo a
discutere
qui, sotto gli occhi dei nostri due
eserciti,
che non dovrebbero vedere altro
che amore ed amicizia tra noi due.
Ord i n a l o ro d i s p o s t ars i al t ro v e,
e poi, nella mia tenda,
da’ pieno sfogo alle tue lamentele,
ed io son qui per darti udienza.
CASSIO -
Pindaro!
Passa l’ordine ai nostri
comandanti
che distanzino alquanto i loro
uomini
da questo posto.
BRUTO -
Lu ci o , fa’ l o s t es s o ;
e nessuno s’accosti alla mia tenda
fino al termine della conferenza.
Vo i , Lu ci l i o e Ti t i n i o ,
restate qui, a guardia
dell’ingresso.
(Br u t o e Ca s s i o en t r a n o n el l a
t en d a d i Br u t o )
S CENA III
L ’ i n t e r n o d e l l a t e n d a d i Br u t o
En t r a n o BRUTO e CAS S IO
CASSIO -
Che m’hai offeso, questi sono i
fatti:
hai castigato e marchiato
d’infamia
Lu ci o Pel l a, p er cert e reg al i e
ch’egli avrebbe accettate dai
Sardiani;
e di quanto t’ho scritto in suo
favore,
poiché conosco l’uomo, nessun
conto
hai creduto di fare, con disprezzo.
BRUTO -
Hai o ffes o t e s t es s o , i n q u es t o
caso,
scrivendomi.
CASSIO -
In tempi come questi,
trovo assurdo che ogni lieve fallo
debba incontrare biasimo.
BRUTO -
E allora lascia ch’io ti dica,
Cassio,
che tu stesso sei molto
chiacchierato
e accusato d’aver la mano sciolta…
sì, di mercanteggiare per denaro
e di vendere le pubbliche cariche
a immeritevoli.
CASSIO -
La man o s ci o l t a!
Io Cassio? Bruto, tu parli così
perché sai d’esser Bruto; o, per
g l i Dèi ,
avresti detto l’ultima parola!
BRUTO -
E questa corruttela
ha nel nome di Cassio copertura,
onde la punizione ch’essa merita
si nasconde comodamente il capo
dietro il volto onorato di quel
nome.(87)
CASSIO -
Punizione!
BRUTO -
Ricòrdati di marzo,
gl’idi di marzo, non dimenticarli!
No n h a fo rs e i l g ran Gi u l i o
sanguinato
per amor di giustizia? e chi di noi
sarebbe stato tanto scellerato
da toccare il suo corpo e
pugnalarlo
se non per la giustizia?
Dan n azi o n e!
Dev e o ra u n o d i n o i ch e ab b i amo
ucciso
il più importante uomo della terra
solo perch’egli proteggeva i ladri,
dobbiamo noi insozzarci le dita
con basse regalie,
ridurci a barattare il grande
spazio
del nostro onore per una manciata
d i v i l met al l o ? Un can e v o rrei
essere,
e come un cane abbaiare alla luna,
piuttosto che un romano di tal
pasta!
CASSIO -
Bruto, non a
tollero:
dimentichi t
a insultarmi
soldato,
più vecchio
capace
di te stesso
gente.
BRUTO -
izzarmi, non lo
e stesso,
così. Sono un
d’esperienza e più
a trattare con la
Va’, v a’, ch e n o n l o s ei , Cas s i o .
CASSIO -
Lo s o n o .
BRUTO -
Tu n o n l o s ei , t i d i co .
CASSIO -
Bada, Bruto,
non provocarmi, ch’io perdo la
testa!
Pensa a te, non mi provocar più
oltre.
BRUTO -
Vi a, u o mo d a n i en t e!
CASSIO -
A me? Possibile?…
BRUTO -
Sentimi bene, parliamoci chiaro:
credi ch’io debba cedere
alle tue scriteriate escandescenze?
Credi ch’io mi spaventi quando un
pazzo
mi sbarra gli occhi in faccia?
CASSIO -
O dèi, o dèi!
Dev o i o s o p p o rt are t u t t o q u es t o ?
BRUTO -
Tu t t o q u es t o , e p i ù an co ra! Fremi ,
fremi,
fi n o a s p ezzart i i l cu o re! La t u a
collera
valla a sfogare coi tuoi schiavetti
e a far tremare con essa i tuoi
servi.
Io , ced ere ad es s a? As s eco n d art i ?
Gen u fl et t ermi al t u o rab b i o s o
umore?
Consuma dentro te e la tua collera
fino a scoppiare, per tutti gli dèì!
Perch’io, da oggi in poi,
quando sei più stizzoso d’una
vespa,
ti userò come mio divertimento,
sì, per riderci sopra, e niente più!
CASSIO -
A questo siamo giunti?
BRUTO -
Ti v an t i d ’es s ere mi g l i o r s o l d at o :
fa’ che si veda; la tua vanteria
mettila in atto, e ne avrò gran
piacere:
per parte mia, sarò sempre
contento
d’imparare da uomini onorati.
CASSIO -
Vu o i p ro p ri o o ffen d ermi ;
m’offendi, Bruto.
Un s o l d at o p i ù v ecch i o
d’esperienza,
t’ho detto prima io, rispetto a te,
n o n g i à mi g l i o re. T’h o d et t o
“migliore”?
BRUTO -
L’h ai d et t o o n o n l ’h ai d et t o , n o n
m’importa.
CASSIO -
Nemmen o Ces are av reb b e o s at o
di provocarmi fino a questo punto.
BRUTO -
Sen t i l o ! No n av res t i o s at o t u ,
di provocarlo, Cesare, così!
CASSIO -
No ?
BRUTO CASSIO -
No , p er l a t u a v i t a!
Bada, Bruto,
non confidare troppo sul mio
affetto:
potrei far cosa di cui dispiacermi.
BRUTO -
Qu al co s a d a d o v ert i d i s p i acere
l ’h ai g i à fat t a. Qu es t e t u e
minacce,
Cassio, non mi spaventan più di
tanto:
io sono così robustamente armato
d’onestà, ch’esse possono
lambirmi
com’alito leggero, cui non bado.
Ho man d at o d a t e p er cert e s o mme,
perché non so procurarmi denaro
per vie basse ed illecite,
e tu me l’hai negate. Per il cielo,
io conierei moneta col mio cuore,
e farei colar dramme dal mio
sangue
prima d’estorcere con mezzi
illeciti
dalle callose mani di bifolchi
quella loro robaccia…
T’h o p o i man d at o a ch i ed ere
dell’oro
per il soldo di questi miei
soldati:
e me l’hai ugualmente rifiutato.
Un t al e ag i re fu d eg n o d i Cas s i o ?
Av rei co s ì ri s p o s t o i o a Cas s i o ?
Se Bruto diventasse un tal
taccagno
da negare agli amici
questi miseri pezzi di metallo,
apprestatevi, o dèi, a farlo a pezzi
con tutti i vostri fulmini.
CASSIO -
No n è v ero ch e i o t e l i h o n eg at i .
BRUTO -
Me li hai negati.
CASSIO -
No n t e l i h o n eg at i .
Fu tutta colpa di quell’imbecille
che ti portò la mia risposta…
Bruto,
tu m’hai spezzato il cuore: un vero
amico
dovrebbe sopportare dell’amico
le debolezze; ma Bruto le mie
le fa più grandi di quello che
sono.
BRUTO -
No , fi n ch é n o n l e p rat i ch i a mi o
danno.
CASSIO -
Tu n o n m’ami .
BRUTO -
No n amo i t u o i d i fet t i .
CASSIO -
Un o cch i o ami co mai l i n o t ereb b e.
BRUTO -
Ti s b ag l i : l ’o cch i o d ’u n ad u l at o re
non saprebbe notarli,
fo s s ero p i ù v i s t o s i d el l ’Ol i mp o .
CASSIO -
An t o n i o , g i o v an e Ot t av i o , v en i t e,
venite a fare la vostra vendetta
solo su Cassio, perché Cassio è
stanco
di questo mondo; ormai venuto in
odio
all’unica persona cui vuol bene;
sfidato dal fratello;
rimproverato come un vile schiavo,
tutti i difetti suoi passati al
vaglio,
notati in un taccuino,
bene studiati e mandati a memoria,
per essergli gettati sotto i denti!
Ah , v o rrei p i an g ermi d ag l i o cch i
l’anima!
Ecco t i i l mi o p u g n al e,
ecco il mio nudo petto; dentro un
cuore
più ricco delle miniere di Pluto,
(88)
più prezioso dell’oro: avanti, su,
strappalo via, se sei un Romano!
Io, che tu dici t’ho negato l’oro,
voglio darti il mio petto: avanti,
Bruto,
colpiscilo come colpisti Cesare!
Perché io so che, quanto più
l’odiavi,
l’amavi assai di più
che tu non abbia mai amato Cassio.
BRUTO -
Ringuaina quel pugnale:
mettiti in collera quanto ti pare,
se questo può servirti per
sfogarti;
fa’ quel che vuoi: finiremo per
dire
ch e i l d i s o n o re è carat t ere… Ah ,
Cassio!
Tu s ei l eg at o ad u n o s t es s o g i o g o
con un agnello che si porta dentro
la rabbia come la pietra focaia
si porta il fuoco, che se vien
fregata,
emette una fuggevole scintilla
e subito ritorna fredda pietra.
CASSIO -
Sarà dunque vissuto questo Cassio
per essere nient’altro che
trastullo
e cagione di riso a questo Bruto,
ogni volta che malfrenata rabbia
e sangue lo tormentino?
BRUTO -
An ch ’i o , Cas s i o , t ’h o d et t o q u el
che ho detto
in un momento d’ira.
CASSIO -
Ah , t u l o ammet t i ?
Al l o ra, Bru t o , q u a l a man o !
BRUTO -
E il cuore.
(S i s t r i n g o n o l a ma n o , p o i
s’abbracciano)
CASSIO -
Eh , Bru t o …
BRUTO -
Che vuoi dire? Parla,
parla…
CASSIO -
Mi domando se tu m’ami
abbastanza
per sopportarmi quando
quell’umore
impetuoso che m’ha dato mia madre
mi fa dimentico di me e di tutto.
BRUTO -
Sì, Cassio, puoi star certo;
e d’ora in poi, quando ti prenderà
d’essere troppo greve col tuo
Bruto,
penserò che ad urlare non sei tu,
ma tua madre, e ti lascerò
sbraitare.
(Tr a mb u s t o d a d en t r o , e l a vo ce
d el POETA)
POETA -
(Da d en t r o )
Vo g l i o en t rare e p arl are ai
generali.
V’è ran co re t ra l o ro ,
e non è bene ch’essi stiano soli.
LUCILIO -
(Da d en t r o )
Ma tu non puoi entrare.
POETA -
(c.s.)
Ni en t e mi fermerà, fu o rch é l a
morte!
En t r a n o i l POETA, LUCILIO,
TITINIO e LUCIO
CASSIO -
Che succede?
POETA -
Verg o g n a, g en eral i !
Che diavolo vi passa per la mente?
Restare amici ed amarvi dovete,
come devono due come voi siete,
ché più anni di voi ne ho,
certamente!
CASSIO -
(Ri d en d o )
Ah , ah ! Sen t i t e u n p o ’ ch e s t ramb a
rima
ch e fa q u es t o Di o g en e i n v acan za!
(89)
BRUTO -
Vi a d i q u a, ro mp i s cat o l e, v a’ v i a!
CASSIO -
Sopportalo, è il modo suo di fare.
BRUTO -
Sopporterò le sue strampalerie
quand’egli saprà sceglierne il
momento.
La g u erra n o n h a n u l l a d a v ed ere
con simili imbecilli versaioli.
Fuor dai piedi, compare!
CASSIO -
Va’, v a’, ami co .
(Es ce i l p o et a )
BRUTO -
Vo i , Li ci n i o e Ti t i n i o ,
andate ad ordinare ai comandanti
di prepararsi ad accampar la truppa
per questa notte.
CASSIO -
Poi tornate subito,
e conducete qui anche Messala.
(Es co n o Lu ci l i o e Ti t i n i o )
BRUTO -
Lu ci o , p o rt aci u n ’an fo ra d i v i n o .
(Es ce Lu ci o )
CASSIO -
No n av rei mai cred u t o
che tu potessi arrabbiarti così.
BRUTO -
Per molti affanni io sono stanco,
Cassio.
CASSIO -
No n p rat i ch i l a t u a fi l o s o fi a,
se t’arrendi agli affanni
occasionali.(90)
BRUTO -
Cassio, nessuno sa meglio di me
sopportare il dolore… Porzia è
morta.
CASSIO -
Che dici!… Porzia?
BRUTO -
Morta!
CASSIO -
Oh , co me h o fat t o al l o ra
a scampare alla morte di tua mano,
contrastandoti in un momento
simile!
O insopportabile, straziante
perdita!
E come è morta, di che malattia?
BRUTO -
Insofferente alla mia lontananza
e al d o l o re ch e Ot t av i o e
Marcantonio
sian diventati a Roma così forti
- ché anche questa notizia m’è
giunta
con quella di sua morte - tutto
questo
l’ha fatta uscir di senno
e, nell’assenza d’ogni suo
riflesso,
ha ingerito del fuoco.
CASSIO BRUTO CASSIO -
Così è morta?
Così…
O dèi immortali!
Ri en t r a LUCIO r eca n d o u n ’a n f o r a
di vino e una candela accesa
BRUTO -
No n p arl i amo n e p i ù …
Dammi u n a p àt era d i q u es t o v i n o .
Ci seppellisco ogni rancore,
Cassio.
CASSIO -
Ed i l mi o cu o re h a s et e
d i s ì n o b i l e i n v i t o . Av an t i , Lu ci o ,
riempimi la coppa fino all’orlo,
finché trabocchi: all’amore di
Bruto
non avrò mai bevuto a sufficienza.
(Beve)
Ri en t r a TITINIO co n MES S ALA
BRUTO -
Vi en i , v i en i ,
Benvenuto fr
Sediamoci or
tavolo
e discutiamo
Ti t i n i o .
a noi, caro Messala.
a intorno a questo
le nostre bisogne.
CASSIO -
Porzia, davvero te ne sei andata?
BRUTO -
Basta, Cassio, ti prego…
Messala, ho ricevuto dei
ch e d i co n o ch e Ot t av i o e
Marcantonio
sarebbero calati su di no
alla testa d’un poderoso
e si dirigono verso Filip
messaggi
i
esercito
pi.
MESSALA -
Ho an ch ’i o l e s t es s e n o t i zi e,
Bruto.
BRUTO -
Con quali altri dettagli?
MESSALA -
Che tra liste di proscrizioni e
bandi,
Ot t av i o , An t o n i o e Lep i d o
han messo a morte cento senatori.
BRUTO -
Su questo punto i
informatori
non concordano; i
sapere
che son settanta i
perché proscritti,
Cicerone.
nostri
miei fanno
senatori uccisi
e uno è
CASSIO -
Cicerone?
MESSALA -
Sì, Cicerone è morto
per lo stesso ordine di
proscrizione.
(A Br u t o )
E da tua moglie hai ricevuto
lettere?
BRUTO -
No , Mes s al a.
MESSALA -
E nemmeno una notizia
di lei nell’altra tua
corrispondenza?
BRUTO -
Nu l l a, Mes s al a.
MESSALA -
Mi pare assai strano.
BRUTO -
Ma perché me lo chiedi?
Hai s ap u t o d i l ei n el l e t u e l et t ere?
MESSALA -
No , Bru t o .
BRUTO -
Eb b en e, al l o ra, d a
Romano,
dimmi la verità.
MESSALA -
E da Romano
la verità ch’
annunciarti:
tua moglie P
È s i cu ro . Ed
tu sopporta allora
io sto per
orzia è morta.
in modo molto strano.
BRUTO -
Eb b en e, Po rzi a, ad d i o !… Ah i mè,
Messala,
morir si deve; ed è solo il
pensiero
che un giorno ella sarebbe pur
passata
che ora mi dà forza a sopportarlo.
MESSALA -
Ed è an ch e co s ì ch e i g ran d i
spiriti
devono sopportar le grandi
perdite.
CASSIO -
Do v reb b ’es s er co s ì , i n t eo ri a,
ma non sarebbe nella mia natura
sopportare così una tal disgrazia.
BRUTO -
Bene, ora al nostro lavoro da vivi!
Marciare subito sopra Filippi:
che ne pensate?
CASSIO -
No n p en s o s i a b en e.
BRUTO -
E la ragione?
CASSIO -
Te l a d i co s u b i t o :
è meglio che il nemico
venga esso a cercarci dove siamo;
logorerà così le sue risorse,
e stancherà le truppe a suo
svantaggio;
noi, al contrario, rimanendo fermi,
ci riposiamo e conserviamo intera
la carica offensiva e difensiva,
e la celerità dei movimenti.
BRUTO -
Buone ragioni devono, però,
cedere alle migliori.
Le g en t i t ra Fi l i p p i e q u es t a t erra
ci sono amiche assai di
malavoglia:
s’è visto come ci hanno lesinato
il loro contributo; ora, il nemico,
marciando per il loro territorio,
rafforzerà con loro le sue file,
e giungerà più fresco e rafforzato
di nuove leve come di coraggio;
gli toglieremo invece un tal
vantaggio
se andiamo a dargli battaglia a
Filippi,
lasciandoci alle spalle questa
gente.
CASSIO -
Mio buon fratello, ascolta…
BRUTO -
Ab b i p azi en za.
Inoltre è da tenere ben presente
che abbiamo sottoposto a dura
prova
la resistenza dei nostri alleati;
che abbiamo le legioni a ranghi
pieni,
e che la nostra causa è ben matura:
il nemico s’accresce giornalmente,
e noi, che siamo ormai al nostro
culmine,
ci troviamo sul punto di declino.
C’è una marea nelle cose degli
uomini
che, colta al flusso, mena alla
fortuna;
negletta, tutto il viaggio della
vita
s’incaglia su fondali di miserie.
No i ci t ro v i amo ap p u n t o a
bordeggiare
in questo mare aperto;
sta a noi saper seguire la corrente
in un momento che ci è favorevole,
o rassegnarci a perder la partita.
CASSIO -
Bene, come vuoi tu.
An d remo n o i a i n co n t rarl i a
Filippi.
BRUTO -
La n o t t e, s en za ch e ce
n’accorgessimo,
è scesa, con la sua profondità,
sul nostro colloquiare, e la natura
deve obbedire alla necessità,
cui noi soddisferemo parcamente
con un breve riposo.
C’è dell’altro da dire?
CASSIO -
No , n i en t ’al t ro .
Bu o n a n o t t e. Do man i , d i b u o n ’o ra,
ci leveremo, e ci mettiamo in
marcia.
BRUTO -
(Ch i a ma n d o )
Ol à, Lu ci o !
Ri en t r a Lu ci o
La mi a v es t e d a n o t t e.(9 1 )
(Es ce Lu ci o )
Bu o n Mes s al a, Ti t i n i o , b u o n a
notte.
No b i l i s s i mo Cas s i o , b u o n a n o t t e
e buon riposo!
CASSIO -
BRUTO CASSIO -
Caro mio fratello!
È stato un brutto inizio di
nottata;
ma che mai più un simile contrasto
venga a dividere le nostre anime!
Mai più, Bruto!
S’è tutto accomodato.
Buona notte, fratello.
BRUTO -
Buona notte.
(Es co n o Ca s s i o , Ti t i n i o e Mes s a l a )
Ri en t r a LUCIO co n l a ves t e d a
notte
BRUTO -
Dammi l a v es t e…
(Pr en d e l a ves t e d a l l e ma n i d i
Lucio, vi si avvolge tutto e si va a
s ed er e co me s t r a va cca t o , s u u n
giaciglio)
Do v ’è i l t u o
strumento?(92)
LUCIO -
Qu i , n el l a t en d a…
BRUTO -
Povero ragazzo,
parli assonnato… Ma non ti do
torto:
hai dovuto vegliare troppo a
lungo.
Chiama Claudio e qualcun altro dei
miei:
voglio che dormano nella mia
tenda,
col capo sopra un comodo
guanciale.
LUCIO -
(Ch i a ma n d o )
Cl au d i o ! Varro n e!
En t r a n o VARRONE e CLAUDIO
VARRONE -
Hai ch i amat o ,
padrone?
BRUTO -
Vi p reg o , ami ci , s d rai at ev i q u i
nella mia tenda, e fatevi un buon
sonno;
forse dovrò svegliarvi a una
cert’ora
per mandarvi da mio fratello
Cassio
per servizio.
VARRONE -
Restiamo allora in piedi
ai tuoi comandi, se non ti
dispiace.
BRUTO -
No , co ri cat ev i , mi ei b u o n i ami ci ;
può darsi ch’io decida in altro
modo…
(Es t r a e d a l l a t a s ca d el l a ves t e u n
libro)
Gu ard a, Lu ci o , ecco i l l i b ro
che mi son tanto addannato a
cercare:
l’avevo messo in tasca a questa
veste.
(Va r r o n e e Cl a u d i o s i s d r a i a n o )
LUCIO -
Ero s i cu ro , i n fat t i ,
che non l’avevi dato a me,
padrone.
BRUTO -
Scusa, ragazzo, sono assai
distratto.
Puoi tu tenere ancora un poco
aperti
gli assonnati tuoi occhi,
e suonarmi qualcosa sulla cetra?
(93)
LUCIO -
Certo, padrone, se ti fa piacere.
BRUTO -
Mi fa piacere, sì, ragazzo mio.
Ti d i s t u rb erò t ro p p o ,
ma so che sei assai volenteroso.
LUCIO -
Do v ere mi o , p ad ro n e.
BRUTO -
Il tuo dovere non dovrei
pretendere
di spingerlo al di là del giusto
limite
delle tue forze. I giovani, lo so,
han bisogno di un tempo di riposo.
LUCIO -
Ho g i à d o rmi t o , p ad ro n e.
BRUTO -
Hai fat t o b en e, e
dorma
ancora; non ti tr
ancora sveglio…
sarò buono con t
voglio che tu
atterrò per molto
Se resterò vivo,
e, ragazzo mio.
(Lucio intona una canzone sulla
cet r a , ma p i a n o p i a n o
s ’a d d o r men t a )
Qu es t a è u n a s o n n acch i o s a
melodia…
Sonno assassino, che sul mio
ragazzo,
che proprio a te intonava una
musica,
fai cadere la tua mazza di piombo!
…
Do rmi , g en t i l fan ci u l l o , b u o n a
notte!
No n t i farò i l d i s p et t o d i
svegliarti;
se chini il capo, rompi lo
strumento…
te lo tolgo… ragazzo, buona notte.
(Ri p r en d e i n ma n o i l l i b r o e s i
siede sfogliandolo)
Ved i amo u n p o ’… Av ev o mes s o i l
segno
con una piega al bordo della
pagina,
quando avevo interrotto la
lettura…(94)
Ecco , era q u i , mi p are…
En t r a LO S PETTRO DI CES ARE(9 5 )
Come arde malamente quest
…
Oh , ch i v i en e l ag g i ù ?…
Sarà la debolezza dei miei
a crearsi questa mostruosa
Vi en e v ers o d i me… Sei t u
qualcosa?
Chi sei, un dio, un angelo,
demonio,(96)
o cero!
occhi
vista…
un
chi sei, che mi fai raggelare il
sangue
e rizzare i capelli?…
Di mmi , ch i s ei ?
SPETTRO -
Il tuo cattivo genio.
BRUTO -
Perché vieni da me?
SPETTRO -
Per annunciarti
che mi vedrai nuovamente a
Filippi.
BRUTO -
Ti ri v ed rò , al l o ra?
SPETTRO BRUTO -
Sì, a Filippi.
Bene, ti rivedrò dunque a Filippi…
(Lo spettro svanisce)
Ah , t i d
ora che
a parlar
Claudio
ilegui, spirito maligno,
cominciavo a prender cuore
e co n t e… Lu ci o , rag azzo !
! Varro n e! Sv eg l i a!
LUCIO -
(Pa r l a n d o co me n el s o n n o )
Le co rd e s o n s co rd at e, mi o
signore…
BRUTO -
S’immagina d’avere ancora in mano
il suo strumento… Sveglia,
s v eg l i a, Lu ci o !
LUCIO -
(Svegliandosi)
Padrone?…
BRUTO -
Ma che diavolo sognavi
per gridare così?
LUCIO -
Padrone, io non so d’aver gridato.
BRUTO -
Sì, l’hai fatto. Ma non hai visto
nulla?
LUCIO -
No , n u l l a, mi o s i g n o re.
BRUTO -
Do rmi an co ra. Varro n e, Cl au d i o ,
sveglia!
VARRONE / CLAUDIO
-
(Svegliandosi)
Mio signore…
Padrone…
BRUTO -
Che avevate, a gridar così nel
sonno?
VARRONE / CALUDIO
-
Ab b i am g ri d at o ?
BRUTO -
Sì . Ved es t e n u l l a?
VARRONE -
Nu l l a, p ad ro n e, n o n h o v i s t o
nulla.
BRUTO -
Ora an d at e d a mi o frat el l o Cas s i o ,
dategli il mio saluto,
e ditegli che metta le sue truppe
s u b i t o i n marci a. No i l o
seguiremo.
VARRONE/ CLAUDIO
-
Sarà fatto, padrone.
(Es co n o )
ATTO QUINTO
S CENA I
L a p i a n a d i Fi l i p p i
En t r a n o OTTAVIO, ANTONIO co n s o l d a t i
OTTAVIO -
Eb b en e, An t o n i o , l e mi e p rev i s i o n i
si dimostrano giuste;
tu eri del parere che il nemico,
piuttosto che discendere sul
piano,
avrebbe scelto di attestarsi a
monte,
sulle colline, alle quote più alte.
Sta accadendo il contrario:
il loro esercito è qua sottomano;
il che sta ad indicare chiaramente
che intendono affrontarci in campo
aperto
già qui a Filippi: darci la risposta
prima che noi facciamo la
domanda.
ANTONIO -
Bah, li conosco bene, (97)
e so perché lo fanno: in verità,
preferirebbero trovarsi altrove,
e vengon giù con pauroso ardire,
con l’illusione che una tal bravata
c’induca a credere che hanno
coraggio.
Ma t’assicuro che non è così.
En t r a u n MES S O
MESSO -
Al l ’ert a, g en eral i !
L’av v ers ari o av an za b u rb an zo s o :
han dispiegato al vento
la lor sanguigna insegna di
battaglia(98)
e bisogna far subito qualcosa.
ANTONIO -
Ot t av i o , fa’ av an zare s en za fret t a
i tuoi dalla sinistra della piana.
OTTAVIO -
Io dirigo alla destra.
La s i n i s t ra l a t i en i t u , An t o n i o .
ANTONIO -
Perch é v u o i co n t ras t armi , Ot t av i o
Cesare,
proprio in questo frangente?
OTTAVIO -
No n t i co n t ras t o : facci o q u el ch e
dico.(99)
Ta mb u r i . S f i l a n o , ma r ci a n d o , l e
t r u p p e d i Ot t a vi o e An t o n i o s u l
fondo; entrano, alla testa delle
l o r o , BRUTO, CAS S IO, LUCILIO,
TITINIO, MES S ALA e a l t r i .
OTTAVIO -
(Ad An t o n i o )
Si s o n fermat i . Vo rran n o t rat t are.
(100)
CASSIO -
Al t ! Ti t i n i o , d o b b i amo farci av an t i
e parlare con loro.
OTTAVIO -
Marcantonio,
diamo il segnale di battaglia?
ANTONIO -
No ,
risponderemo al loro attacco,
Cesare.
Av v i ci n i amo ci ; i l o ro cap i
sembra che vogliano parlamentare.
OTTAVIO -
(Ai s u o i )
No n v i mu o v et e p ri ma d el s eg n al e!
BRUTO -
(A Ot t a vi o )
Parole prima di colpi: è così,
compatrioti?
OTTAVIO -
No n ch e p referi amo
anche noi le parole…
BRUTO -
Bu o n e p aro l e, Ot t av i o ,
son sempre meglio di cattivi
colpi.
ANTONIO -
Vo i d at e,
parole,
cattivi co
il buco fa
gridando:
Cesare!”
insieme alle buone
lpi, Bruto: testimonio
tto nel cuore di Cesare
“Lu n g a v i t a! Vi v a
CASSIO -
An t o n i o , i l l u o g o o v e v o rrai
menare
tu i tuoi colpi è ancora
sconosciuto;
quanto alle tue parole,
rubano il miele alle api di Ibla.
(101)
ANTONIO -
Ma non il pungiglione.
BRUTO -
Oh , s ì , e l a v o ce,
perché hai rubato loro anche il
ronzio,
e, più saggio di loro,
sai anche minacciar, prima di
pungere.
ANTONIO -
Al co n t rari o d i v o i , g ran farab u t t i ,
che poco prima che i vostri
pugnali
andassero a cozzare e ad intaccarsi
l’un contro l’altro nei fianchi di
Cesare,
sogghignavate come tante scimmie
scodinzolando come dei segugi,
proni a baciargli i piedi come
schiavi,
mentre il dannato Casca,
da tergo, come un botolo,
colpiva Cesare al sommo del collo.
Oh , ad u l at o ri !
CASSIO -
“Ad u l at o ri …” Bru t o ,
(102)
ringrazia ora te stesso: un tal
linguaggio
non sarebbe venuto oggi ad
offenderci,
se qui si fosse dato retta a Cassio.
OTTAVIO -
Vi a, v i a, ai fat t i :
se il disputare fa grondar sudore,
la prova cangerà questo sudore
i n p i ù p u rp u ree g o cce…(1 0 3 ) Ecco ,
guardate…
io sfodero contro i cospiratori
una spada: quando pensate voi
ch’essa sarà da me ringuainata?
Mai, fino a che non siano
vendicate
di Cesare le trentatré ferite,
o che la morte d’un secondo Cesare
si sarà aggiunta all’opera nefanda
dei traditori e delle loro spade.
(104)
BRUTO -
Cesare, qui non puoi tu trovar
morte
per man di traditori,
salvo che non ne porti tu al tuo
seguito.
OTTAVIO -
E così spero, Bruto; io non son
nato
per morir di tua spada.
BRUTO -
Oh , mo rt e p i ù o n o rat a,
Ot t av i o , n o n p o t res t i t ro v are,
fossi tu il più nobile rampollo
della tua gente!
CASSIO -
Un ci arl i ero
scolaretto,
di tanto onore indegno, che fa il
paio
perfettamente con il suo alleato,
un istrione, un uomo di bagordi.
ANTONIO -
Sempre pari a se stesso, il vecchio
Cassio!
OTTAVIO -
An d i amo , An t o n i o , an d i amo !…
Trad i t o ri ,
vi gettiamo la nostra sfida in
faccia:
se vi volete battere oggi stesso,
scendete pure in campo;
se no, sarà quando ne avrete
fegato.
(Es co n o Ot t a vi o , An t o n i o e i l o r o )
CASSIO -
Soffia ora, vento; gonfiatevi,
onde;
sta bene a galla, barca:
scatenata è ormai la gran tempesta,
e tutto adesso è rischio!
BRUTO -
Lu ci l i o , u n a p aro l a…
LUCILIO -
Sì, signore.
(Br u t o e Lu ci l i o s i a p p a r t a n o )
CASSIO -
Messala…
MESSALA CASSIO -
Gen eral e?
As co l t a: o g g i è i l mi o co mp l ean n o .
In questo giorno è nato Caio
Cassio.
Dammi l a man o e s i i mi t es t i mo n e
ch’io son costretto, contro il mio
volere,
così com’è accaduto già a Pompeo,
ad affidare all’esito rischioso
di un’unica battaglia
tutte le nostre libertà di uomini.
Tu s ai , Mes s al a, ch ’i o s o n o s emp re
stato
u n co n v i n t o s eg u ace d ’Ep i cu ro
e della sua dottrina; (105)
ora mi tocca di mutare avviso
e di credere in parte a certi segni
che fanno presagire l’avvenire.
Nel l ’u s ci re d a Sard i , s u l l ’i n s eg n a
che marciava alla testa della
truppa,
si son posate due possenti aquile
e son rimaste là appollaiate
ingozzate e nutrite a sazietà
dalle mani dei nostri legionari,
accompagnandoci fino a Filippi.
Stamane entrambe son volate via,
dileguandosi; ed ora, al posto
loro,
per il cielo, sopra le nostre teste,
svolazzano cornacchie, corvi e
falchi
gli occhi rivolti in giù sopra di
noi,
quasi fossimo moribonde prede;
e l’ombre ch’esse fanno su di noi
sembrano un ben funesto
baldacchino
sotto cui giace tutto il nostro
esercito
come in procinto di rendere
l’anima.
MESSALA -
No n v o rrai cred er o ra a cert e co s e.
CASSIO -
In p
spir
e be
con
peri
arte, sì; ma son fresco di
ito
ne risoluto ad affrontare
gran fermezza qualsiasi
colo.
Ri en t r a n o BRUTO e LUCILIO
BRUTO -
(Co me co n cl u d en d o u n d i s co r s o )
Pro p ri o co s ì , Lu ci l i o .(1 0 6 )
CASSIO -
Ora, Bru t o , frat el l o n o b i l i s s i mo ,
ci sian gli dèi propizi in questo
giorno,
sì che possiamo entrambi, amici e
in pace,
condurre i nostri giorni alla
vecchiaia!
Ma poiché incerta è delle umane
sorti
la vicenda, convien pensare al
peggio.
Se dovessimo perdere la battaglia,
questa è l’ultima volta che noi due
ci troviamo a parlare.
Che cosa dunque sei deciso a fare?
BRUTO -
Ad ag i re s eg u en d o q u el p ri n ci p i o
in base al quale condannai Catone
per la morte che lui stesso si
diede…
No n s o co me, ma t ro v o b as s o e v i l e
anticipare il fine della vita,
per paura di ciò che può accadere;
mi armerò dunque di
rassegnazione,
per sottopormi al provvido volere
dei superni poteri
che governan le cose di quaggiù.
(107)
CASSIO -
Al l o ra, s e p erd i amo l a b at t ag l i a,
non ti dispiace di vederti addotto
dietro il trionfo(108) per le vie di
Roma…
BRUTO -
No , Cas s i o , n o ; t u , n o b i l e Ro man o ,
non pensare che Bruto
possa giammai andare a Roma in
ceppi.
Tro p p o g ran d e è i l s u o an i mo .
Ma questo giorno deve completare
l’opra iniziata con gl’idi di
marzo;
e se ci rivedremo, non lo so.
Perciò diciamoci per sempre addio:
e tu sempre, e per sempre, Cassio,
vale!
Se ci rincontreremo,
ah, sarà allora con un bel sorriso!
Se no, questo congedo fu ben
preso.
CASSIO -
E tu sempre e per sempre vale,
Bruto!
Se ci rincontreremo,
sarà sicuramente per sorriderci;
se no, hai detto bene,
questo nostro commiato fu ben
preso.
(Si abbracciano)
BRUTO -
Eb b en e, al l o ra av an t i .
Oh , s e u n o p o t es s e g i à co n o s cere
l’esito degli avvenimenti d’oggi!
Ma basterà che si concluda il
giorno,
e t u t t o s i s ap rà. Av an t i , av an t i !
(Es co n o t u t t i )
S CENA II
L a p i a n a d i Fi l i p p i
Al l a r mi . En t r a n o BRUTO e MES S ALA
BRUTO -
Corri, Messala, galoppa, galoppa,
e impartisci quest’ordine
alle legioni di quell’altra parte:
che avanzino, perché l’ala
d ’Ot t av i o ,
come m’accorgo, sta perdendo
slancio,
e un improvviso assalto li
sbaraglia.
Corri, Messala, corri,
e di’ loro che scendano giù tutti.
(Es co n o )
S CENA III
Un ’ a l t r a p a r t e d e l c a mp o
Al l a r mi . En t r a n o CAS S IO e TITINIO, Ca s s i o h a i n ma n o u n ’i n s eg n a
CASSIO -
Gu ard a, Ti t i n i o , g u ard a,
come scappano questi gran
vigliacchi!
Mi son dovuto far nemico ai miei:
l’alfiere che recava quest’insegna
s t av a s cap p an d o . L’h o u cci s o , i l
vigliacco,
e glielo ho tolto io stesso dalle
mani.
TITINIO -
Ah , Cas s i o , Bru t o h a d at o t ro p p o
presto
l’ordine di attaccare;
e, come ha visto d’aver
soverchiato
d i p o co Ot t av i o , h a s fru t t at o i l
vantaggio
troppo avventatamente:
i suoi si sono gettati al
saccheggio,
e noi siam circondati qui da
An t o n i o .
En t r a PINDARO
PINDARO -
(A Cassio)
Fuggi, padrone, fuggi più lontano!
An t o n i o è al l e t u e t en d e, mi o
signore!
No b i l e Cas s i o , fu g g i p i ù l o n t an o !
CASSIO -
Qu es t ’al t u ra è l o n t an a
basta.
Gu ard a, Ti t i n i o , g u ard
son le mie quelle tend
divampar quell’incend
quanto
a:
e dove vedo
io?
TITINIO -
Sì, sono esse.
CASSIO -
Se m’ami, prenditi il mio cavallo,
e affonda gli speroni nei suoi
fianchi
finché t’abbia portato a quelle
truppe,
e poi torna da me; ch’io sia sicuro
che si tratti di amici o di nemici.
TITINIO -
Ratto come il pensiero, vado e
torno.
CASSIO -
Pindaro, va’ più su, su
quell’altura;
da lontano non ci ho mai visto
bene:
o s s erv a t u Ti t i n i o d a l o n t an o ,
e dimmi quel che noti là sul
campo.
(Es ce Pi n d a r o )
Un g i o rn o , co me o g g i ,
ho respirato per la prima volta…
Il ciclo ora si chiude:
lo finirò dove l’ho cominciato…
La mi a v i t a h a co mp i u t o i l s u o
cammino…
(In a l t o , ver s o Pi n d a r o )
Beh, ragazzo, che vedi?
PINDARO -
Oh , mi o p ad ro n e!
CASSIO -
Che c’è?
PINDARO -
C’è ch e Ti t i n i o
è circondato da cavalleggeri
che gli corrono dietro a briglia
sciolta.
Ved o ch e d à d i s p ro n e,
ma l’han quasi raggiunto… Su,
Ti t i n i o !…
Or v ed o al cu n i s mo n t ar d a
cavallo…
anch’egli smonta: l’hanno
catturato!
(Gr i d a )
Ecco , s en t i t e: g ri d an o d i g i o i a.
CASSIO -
Scendi, scendi, non star più lì a
guardare.
Oh , v i g l i acco ch e s o n o ,
a viver tanto fino a veder ora
sotto i miei occhi fatto
prigioniero
il mio migliore amico!
En t r a PINDARO
Ami co , s en t i :
quando t’ho fatto prigioniero in
Partia,
io t’ho fatto impegnare, a
giuramento,
nel serbarti la vita,
che ogni cosa io t’avessi chiesto
di fare, tu per me l’avresti fatta.
Eb b en e, v i en i ad es s o ,
e tieni fede a quel tuo giuramento.
Sii libero; e con questa buona
spada
che trapassò le viscere di Cesare,
fru g ami i l p et t o … No n ch i ed ermi
nulla.
Qu a, p ren d i i n man o l ’el s a:
e quando avrò coperto la mia
faccia,
(S i g et t a i l ma n t o s u l ca p o ,
coprendosi il volto)
ecco, così… immergila con forza.
(Pi n d a r o l o t r a f i g g e i n p et t o co n
la spada)
CASSIO -
(C
Se
co
uc
rollando a terra)
i vendicato, Cesare,
n quella stessa lama che t’ha
ciso!
PINDARO -
Così ora son libero;
ma non così per me sarebbe stato
se avessi osato far di testa mia…
(109)
Oh , Cas s i o !… Pi n d aro , d a q u es t a
terra,
fuggirà in luogo dove alcun
Romano
mai potrà vedere la sua faccia.
(Es ce)
Ri en t r a n o TITINIO e MES S ALA.
Ti t i n i o h a i n ma n o u n a co r o n a d i
foglie di quercia
MESSALA -
Le s o rt i d el l o s co n t ro s i
bilanciano,
Ti t i n i o , p erch é Ot t av i o , d a u n a
parte,
è sopraffatto dal nobile Bruto,
dall’altra parte le forze di Cassio
son soverchiate da quelle di
An t o n i o .
TITINIO -
Faran piacere a Cassio
queste notizie.
MESSALA -
Do v e l ’h ai l as ci at o ?
TITINIO -
Su quell’altura, sconsolato al
massimo,
in compagnia di Pindaro, il suo
schiavo.
MESSALA -
No n è q u el l o ch e s t a d i s t es o a
terra?
TITINIO -
È lui, ma non da vivo… O mio
cuore!
MESSALA -
(Avvi ci n a n d o s i a l co r p o d i Ca s s i o )
È lui?
TITINIO -
No n p i ù , Mes s al a,
fu lui, questo, Cassio, or non è
più…
O sole che tramonti, come tu
immerso nella tua rossa raggiera
sprofondi nella notte,
così nel rosso alone del suo
sangue
di Caio Cassio è tramontato il
giorno,
e tramonta con lui di Roma il sole.
E tramontato è anche il nostro
giorno:
or sono nuvole, piogge e pericoli,
e tutto quel che abbiamo fatto è
nulla!
L’h a s p i n t o a q u es t o g es t o l a
sfiducia
ch’io potessi riuscire a liberarmi.
(110)
MESSALA -
L’h a s p i n t o a q u es t o g es t o l a
sfiducia
nel buon successo. O errore,
odioso figlio dell’umore nero,
che fai sembrare vere
agli intelletti troppo
impressionabili
le cose che non sono!(111)
O errore, troppo in fretta
concepito,
tu che mai giungi a nascita felice,
ed uccidi la madre che t’ha fatto!
TITINIO -
(Ch i a ma n d o )
Pindaro, dove sei? Pindaro!
Pindaro!
MESSALA -
Cercal o t u , Ti t i n i o ,
io vado intanto dal nobile Bruto
a trapassargli con questa notizia
l’orecchio; sì, a trafiggerlo, ho
ben detto,
perché né punta d’affilato acciaio,
né freccia avvelenata
sarebbero altrettanto benvenuti
all’orecchio di Bruto
della notizia di questo spettacolo.
TITINIO -
Sì, va’, Messala, affrettati,
io resto nel frattempo a cercar
Pindaro.
(Es ce Mes s a l a )
O valoroso Cassio,
perché m’hai fatto cavalcare via
d a t e? Eran o ami ci ch e h o
incontrato,
ed essi m’hanno posto sulla fronte
questa corona, segno di vittoria,
incaricandomi di darla a te.(112)
No n u d i s t i l e l o r g ri d a g i o i o s e?
E tu, ahimè, hai tutto male inteso!
Ma ecco, tieniti ora lo stesso
questa corona sulla fronte: Bruto,
il tuo Bruto mi comandò di
dartela,
ed io eseguirò il suo comando.
(Dep o n e l a co r o n a s u l ca p o d i
Cassio)
Vi en i , o ra, Bru t o , v i en i ad
ammirare
come io onoravo Caio Crasso…
O dèi, voi consenzienti,
questo è quel che s’addice ad un
Romano…
Vi en i , s p ad a d i Cas s i o ,
v i en i a t ro v are i l cu o re d i Ti t i n i o .
(S i t r a f i g g e, e ca d e mo r t o s u l
corpo di Cassio)
Al l a r mi . Ri en t r a MES S ALA co n
BRUTO, i l g i o va n e CATONE,
S TRATONE, VOLUMNIO e LUCILIO.
BRUTO -
Do v ’è, Mes s al a, d o v e s t a i l s u o
corpo?
MESSALA -
Ecco l o , g u ard a, è l à…
E Ti t i n i o g l i è s o p ra ch e l o
piange.
BRUTO -
La facci a d i Ti t i n i o è v o l t a i n s u …
CATONE -
Mo rt o an ch e l u i … t rafi t t o . An ch e
Ti t i n i o .
BRUTO -
O Cesare, ancora sei potente!
Il tuo spirito aleggia intorno a
noi
e volge il ferro delle nostre spade
a colpire le nostre stesse viscere!
(Al l a r mi a d i s t a n z a )
CATONE -
Val o ro s o Ti t i n i o ! Ecco , g u ard at e
se non ha incoronato Cassio
morto!
BRUTO -
Sono ancor vivi a Roma
due pari a questi?… Caio Cassio,
addio,
ultimo dei Romani!
Mai Roma saprà generarne un altro.
Ami ci , a q u es t o mo rt o
io sono debitore di più lacrime
che possiate veder ch’io versi
adesso.
Ma ne troverò il tempo, caro
Cassio,
ne troverò sicuramente il tempo!
Per ora, dunque, che sia
provveduto
a t ras p o rt are l a s u a s al ma a Tas o .
(113)
Le s u e es eq u i e n o n av ran n o l u o g o
sul nostro campo, al fine di
evitare
che ci siano cagione di sconforto.
Lu ci l i o , ed an ch e t u , g i o v i n
Catone,
venite, andiamo al campo.
Vo i , Lab eo n e e Fl av i o ,
disponete le truppe per l’assalto.
Sono le tre; Romani,
noi tenteremo la sorte dell’armi,
prima di notte, in un secondo
attacco.(114)
(Es co n o )
S CENA IV
Fi l i p p i , a l t r a p a r t e d e l c a mp o
Al l a r mi . S co r r er i e d i s o l d a t i d ei d u e es er ci t i ;
q u i n d i b r u t o , i l g i o va n e CATONE, LUCILIO e a l t r i
BRUTO -
An co ra, mi ei co mp at ri o t i , an co ra,
tenete testa!
CATONE -
E
che non la
me?
Gri d erò i l
campo:
“Oh , s o n o
Catone,
ai tiranni
Io sono il
Catone!”
qual è quel bastardo
tiene? Chi viene con
mio nome in mezzo al
il figlio di Marco
nemico, amico a Roma!
figlio di Marco
(S i g et t a n el l a mi s ch i a )
BRUTO -
Ed i o s o n Bru t o , s o n o Marco
Bruto:
Bruto, l’amico della nostra patria!
Mi riconosca ognuno come Bruto!
(S i g et t a a n ch e l u i n el l a mi s ch i a .
Catone è sopraffatto e cade
ucciso)
LUCILIO -
O giovane e nobile Catone,
s ei u cci s o ? Tu mu o ri v al o ro s o
co me Ti t i n i o , e s arai o n o rat o ,
perché sei degno figlio di Catone.
(115)
(Lucilio è circondato da legionari
d i An t o n i o )
PRIMO LEGION. -
Arren d i t i o s ei mo rt o !
LUCILIO -
M’arrendo, sì, ma solo per
(Gl i o f f r e u n a b o r s a d i d e
Ecco ab b as t an za p erch é t u
uccida,
ma fallo subito: tu uccidi
e t’acquisti l’onor della s
morte.(116)
morire.
naro)
mi
Bruto,
ua
PRIMO LEGION. -
No n p o s s o . Tro p p o n o b i l
prigioniero.
SECONDO LEGION. -
Larg o ! Fat e s ap ere a Marcan t o n i o
che Bruto è preso.
PRIMO LEGION. -
Riferirò. Ma ecco il generale.
En t r a MARCANTONIO
Bruto è preso, signore.
ANTONIO -
Do v e s t a?
LUCILIO -
In salvo, Marcantonio, Bruto è in
salvo!
E puoi star certo che nessun
nemico
catturerà mai vivo il grande Bruto:
da una sì grande infamia
lo preservino sempre i sommi dèi.
Qu an d o l o t ro v eret e, o v i v o o
morto,
lo troverete sempre come Bruto,
pari a se stesso.
ANTONIO -
(Al Pr i mo l eg i o n a r i o , i n d i ca n d o
Lucilio)
Qu es t o n o n è Bru t o ,
amico, ma non è minore preda,
g aran t i t o . Ten et el o al s i cu ro ,
e sia trattato con ogni riguardo:
uomini come lui
è sempre meglio averli come amici
ch e n emi ci . Av an t i , i n t an t o v o i ,
cercate per il campo,
se mai trovaste Bruto, vivo o
morto,
e p o i v en i t e al l a t en d a d ’Ot t av i o
a riferirci su quel che succede.
(Es ce)
S CENA V
Fi l i p p i , a l t r a p a r t e d e l c a mp o
En t r a n o BRUTO, DARDANIO, CLITO, S TRATONE e VOLUMNIO
BRUTO -
Ven i t e, p o v eri res t i d i ami ci ,
riposatevi sopra questa roccia.
CLITO -
Statilio ha fatto segno con la
torcia,(117)
ma non è più tornato:
è stato preso o è rimasto ucciso.
BRUTO -
Cl i t o , s i ed i . Qu i l a p aro l a
d’ordine
è “uccidere”. È un’azione di moda.
As co l t a b en e, Cl i t o .
(Gl i b i s b i g l i a q u a l co s a
all’orecchio)
CLITO -
Ch i , i o , p ad ro n e?… No , p er n u l l a
al mondo!
BRUTO -
Silenzio, allora, non una parola.
CLITO -
Piuttosto ucciderei me stesso…
No !
BRUTO -
Al l o ra t u , Dard an i o , v i en i ,
ascolta.
(Gl i b i s b i g l i a q u a l co s a
all’orecchio)
DARDANIO -
Io, compiere un tal gesto?
(Br u t o s i a p p a r t a , s o l o )
CLITO DARDANIO -
Dard an i o …
Clito…
CLITO -
Che richiesta
atroce
t’ha fatto Bruto?
DARDANIO -
Di u cci d erl o , Cl i t o .
Ved i co me s t a t u t t o p en s i ero s o .
CLITO -
È tanto colmo quel nobile vaso
d’ambascia, che gli trabocca dagli
occhi.
BRUTO -
Vi en i q u a, b u o n Vo l u mn i o , u n a
parola…
VOLUMNIO -
Che dice il mio signore?
BRUTO -
Vo l u mn i o , p er d u e v o l t e, a n o t t e
alta,
m’è comparso lo spirito di Cesare,
la prima a Sardi, la seconda qui,
questa notte, nel campo di Filippi.
Ormai l o s o : l a mi a o ra è s u o n at a.
VOLUMNIO -
Che dici, Bruto!
BRUTO -
Sì, ne sono certo.
Tu v ed i co me v a, Vo l u mn i o , i l
mondo:
il nemico ci ha ricacciati ormai
sull’orlo dell’abisso…
(Al l a r mi i n l o n t a n a n z a )
È ben più nobile saltarvi dentro
noi stessi, che aspettar ch’altri ci
spinga.
Vo l u mn i o , s i amo an d at i a s cu o l a
insieme;
in nome e nel ricordo di quel
tempo,
e dell’antica amicizia, ti supplico,
reggimi forte l’elsa della spada,
ch’io mi ci scagli contro.
VOLUMNIO -
Qu es t o , Bru t o ,
non è certo l’ufficio d’un amico!
(Al t r o a l l a r me l o n t a n o )
CLITO -
Vi a, v i a, fu g g i amo , fu g g i amo ,
padrone!
No n è p i ù i l cas o d ’at t ard arci q u i .
BRUTO -
Io dico addio a tutti… a te… a te…
e a t e, caro Vo l u mn i o . Tu ,
Stratone,
hai dormicchiato tutto questo
tempo;
anche a te dico addio…
Compatrioti, mi rallegra il cuore
il pensare che in tutta la mia vita
io non abbia trovato nessun uomo
che non mi sia rimasto
affezionato.
Da q u es t a mi a s co n fi t t a av rò p i ù
gloria
di quanta ne potranno derivare
s i cu ramen t e Ot t av i o e Marcan t o n i o
da questa loro meschina vittoria.
Ad d i o a t u t t i . La v o ce d i Bru t o
sta per chiuder la storia di sua
vita.
La n o t t e p en d e g i à s o p ra i mi ei
occhi,
le mie ossa vorrebbero riposo,
molto han penato per toccar
quest’ora
(Al l a r mi . Gr i d a d a d en t r o : “Fu g g i !
Fu g g i !”)
CLITO -
Fuggiamo, mio signore, andiamo
via!
BRUTO -
An d at e av an t i v o i . Vi s eg u i rò .
(Es co n o Cl i t o , Da r d a n i o e
Vo l u mn i o )
Tu , St rat o n e, t i p reg o , res t a q u i ,
vicino al tuo padrone.
Tu s ei p ers o n a d i t u t t o ri s p et t o ,
e la tua vita s’è sempre distinta
per qualche tratto d’onore virile.
Ti en i mi d u n q u e fo rt e q u es t a s p ad a,
e volgi il volto altrove,
nel momento ch’io mi ci butto
contro.
Te l a s en t i d i farmel o , St rat o n e?
STRATONE -
Dammi p ri ma l a man o . Ad d i o ,
padrone.
BRUTO -
Ad d i o , caro St rat o n e!
Ab b i o ra p ace Ces are: t ’h o u cci s o
nemmeno per metà sì volentieri!
(118)
(Si getta contro la spada, e
mu o r e)
Al l a r mi . Le t r u p p e d i Br u t o s o n o
in ritirata, inseguite dalle truppe
d i Ot t a vi o e An t o n i o .
En t r a n o OTTAVIO e ANTONIO co n
MES S ALA e LUCILIO
OTTAVIO -
(A Mes s a l a , i n d i ca n d o S t r a t o n e)
Qu el l o ch i è?
MESSALA -
Il servo del mio duce.
Stratone, di’, dov’è il tuo
padrone?
STRATONE -
In libertà, Messala,
dal servaggio nel quale tu ti
trovi.
Di l u i i v i n ci t o ri
possono fare nient’altro che un
rogo.
Perché Bruto è lui solo il
vincitore
di se stesso, e nessuno di sua
morte
potrà portar la gloria.
LUCILIO -
Bruto non altrimenti che così
d o v ev a es s er t ro v at o . Ti ri n g razi o ,
Bruto, d’aver così provato vere
le mie parole.(119)
OTTAVIO -
Qu an t i l ’h an s erv i t o ,
io prenderò con me, al mio
servizio.
(A Stratone)
An ch e t u , ami co ,
vorresti dedicare a me il tuo
tempo?(120)
STRATONE -
Sì, s’è Messala che mi raccomanda.
OTTAVIO -
Fallo, allora, Messala.
MESSALA -
Com’è morto, Stratone, il mio
signore?
STRATONE -
Io gli ho retto la spada,
e lui vi si gettò sopra col corpo.
MESSALA -
Ot t av i o , p u o i b en p ren d ere al t u o
seguito
colui che ha reso l’ultimo servizio
al mio maestro.
ANTONIO -
Che di tutti loro
fu il Romano di gran lunga il più
nobile:
tutti i cospiratori, eccetto lui,
hanno agito così come hanno agito
perché invidiosi contro il grande
Cesare:
soltanto lui, per onesto sentire
e premuroso del pubblico bene
s’è accompagnato a loro
nell’impresa.
No b i l e è s t at a t u t t a l a s u a v i t a,
e i n l u i Nat u ra s ì armo n i o s amen t e
aveva mescolato i suoi elementi,
(121)
da ergersi e proclamare al mondo:
“Qu es t o fu u n u o mo !”
OTTAVIO -
E così tutti noi,
in omaggio alle degne sue virtù,
vogliamo usargli il dovuto
rispetto
con tutti i riti della sepoltura.
Stanotte le sue ossa
riposeranno sotto la mia tenda,
trattate con gli onori,
che s’addicono a quelle d’un
soldato.
Fate suonare sul campo il riposo.
FINE
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