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SLoT (Sistema locale territoriale)

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SLoT (Sistema locale territoriale)
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SLoT (Sistema locale territoriale)
Uno strumento per rappresentare,
leggere e trasformare il territorio
di Giuseppe Dematteis
Documento del Convegno: PER UN PATTO DI SOSTENIBILITÁ
Sviluppo locale e sostenibilità tra teoria e pratica
Pinerolo, 29 ottobre 2003
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PRACATINAT 1983-2003
Convegno: PER UN PATTO DI SOSTENIBILITA’.
Sviluppo locale e sostenibilita’ tra teoria e pratica
Pinerolo, 29 ottobre 2003
SLoT (Sistema locale territoriale): uno strumento per rappresentare,
leggere e trasformare il territorio.
Giuseppe Dematteis
Premessa.
Troppo spesso si fa un uso eccessivamente retorico della parola “territorio”, tale cioè da suggerire
visioni della realtà parziali o distorte. Parziali quando il territorio è pensato come un insieme
materiale di cose senza attori, oppure quando si crede, al contrario, che l’agire politico, sociale,
culturale ed economico possa essere slegato dalla materialità del territorio. Distorte quando il
territorio è pensato come semplice destinatario passivo di “effetti” o “impatti” derivanti da un agire
sociale, economico e politico che opererebbe in una sfera autonoma e distinta dalla realtà materiale
dei luoghi.
Se così fosse, cioè se il territorio fosse solo la superficie su cui si proietta qualcosa già disegnato
altrove, non servirebbe intervenire sul territorio: le politiche territoriali non avrebbero motivo
d’essere, in quanto basterebbero politiche economiche e sociali che, regolando relazioni
intersoggettive generali ed astratte, ne regolerebbero gli effetti e gli impatti sul territorio stesso,
dandogli la forma e l’organizzazione voluta. Sarebbe certamente una grossa facilitazione, ma
purtroppo questa visione smaterializzata dell’agire umano contrasta col fatto che qualunque cosa
facciamo, come individui o come società, dobbiamo fare i conti con i beni e le risorse naturali
primarie, con gli equilibri idrogeologici ed ecosistemici, con i suoli edificabili, con il patrimonio
storico-artistico, con il capitale fisso esistente (infrastrutture, edifici, impianti ecc.). Sono tutte
queste cose, saldamente legate al suolo e variamente distribuite nello spazio geografico,che,
combinandosi con le nostre esigenze di vivere, abitare, produrre, significare e sognare, modellano
nel tempo la società e l’economia, anche se questo processo coevolutivo di lunga durata in gran
parte ci sfugge e la nostra percezione immediata è che sia la società a modellare il territorio e non
anche il contrario.
Per questo motivo qualunque politica economica, sociale e culturale, se vuol essere efficace,
deve
occuparsi del territorio, visto non solo come prodotto dell’agire umano, ma anche e
soprattutto come mezzo e come matrice di un divenire che riguarda l’insieme delle condizioni di
vita. Ciò equivale a dire che per migliorare l’ambiente e la società, per produrre cultura e sviluppo
economico occorre agire sulla territorialità, intesa come rapporto dinamico tra componenti sociali
(economia, cultura, istituzioni, poteri) e ciò che di materiale e immateriale, di vivo e di inerte, è
proprio dei territori dove si abita, si vive, si produce.
Territorialità passiva e attiva
Per cogliere il ruolo della territorialità all’interno dei processi di sviluppo è necessario chiarire i
significati principali assunti da questo termine e le loro differenze essenziali.
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Secondo alcuni autori, come R. D. Sack, la territorialità «può essere definita come il tentativo di
un individuo o di un gruppo di influenzare o controllare le persone, i fenomeni e le relazioni
delimitando e esercitando un controllo sopra un’area geografica. Quest’area sarà chiamata
territorio».
Del tutto differente è la posizione di altri, che con C. Raffestin, definiscono la territorialità come
un «insieme di relazioni che nascono in un sistema tridimensionale società-spazio-tempo in vista di
raggiungere la più grande autonomia possibile compatibile con le risorse del sistema». E ancora:
«insieme delle relazioni che una società, e perciò gli individui che ne fanno parte, intrattengono con
l’esterio rità e l’alterità per soddisfare i propri bisogni con l'aiuto di mediatori, nella prospettiva di
ottenere la maggior autonomia possibile, tenendo conto delle risorse del sistema». In questo caso, la
territorialità non è quindi il risultato del comportamento umano sul territorio, ma il processo di
“costruzione” di tale comportamento, l’insieme delle pratiche e delle conoscenze degli uomini in
rapporto alla realtà materiale, la somma delle relazioni mantenute da un soggetto con il territorio
(l’esteriorità) e con gli altri soggetti (l’alterità).
I due diversi approcci al tema della territorialità indicano due diversi modi di considerare il locale
e i rapporti con il territorio dei soggetti. Si può così distinguere una territorialità passiva e “in
negativo”, che con strategie di controllo e col sistema normativo ad esse associato, mira a escludere
soggetti e risorse, e una territorialità attiva e “in positivo”, che invece discende dall’azione
collettiva territorializzata e territorializzante dei soggetti locali e mira alla costruzione di strategie
inclusive. In questo caso, i territori sono visti come territori “attivi”, in cui la territorialità svolge un
ruolo di mediazione simbolica, cognitiva e pratica fra la materialità dei luoghi e l’agire sociale nei
processi di trasformazione territoriale e di sviluppo locale. Nonostante le apparenze, tuttavia, non
sempre la territorialità passiva si realizza tramite pratiche coercitive e si pone obiettivi negativi.
Anzi, spesso il controllo si esercita “a fin di bene ” Questo “bene” è però definito dai controllori,
mentre i controllati non hanno autonoma possibilità di giudizio e di azione per far valere i propri
interessi. E’ questa una modalità di trattamento dei bisogni e dei modi per soddisfarli tipica della
tradizione amministrativa e della pianificazione territoriale intesa come regolazione autoritativa
delle scelte e come strutturazione gerarchica dei possibili conflitti. Nella costruzione delle forme
passive della territorialità, infatti, ai soggetti (locali) vengono assegnati dei comportamenti
predefiniti, indotti dalle strutture di controllo, conformi rispetto alle aspettative esterne, mentre
nonb è previsto che
agiscano in maniera propria, con azioni autonome. Viceversa, nella
territorialità attiva i soggetti locali rivestono ruoli e svolgono azioni configurando, in questo modo,
strategie di risposta/resistenza rispetto a quelle impositive del controllo, contribuendo così a
realizzare cambiamenti e innovazioni.
Il modello dei Sistemi Locali Territoriali (SLoT)
Perché la concezione attiva e positiva della territorialità possa diventare operativa nei processi di
sviluppo occorre tradurla in un modello concettuale, che serva anzitutto ad analizzare e descrivere delle
realtà e delle potenzialità socio-territoriali già almeno in parte esistenti e a costruire, a partire da esse,
dei sistemi al tempo stesso territoriali e sociali, destinati a diventare attori di sviluppo locale
nell’ambito di politiche provinciali, regionali, nazionali ed europee. Ricerche empiriche applicate a
problemi di sviluppo locale e di progettazione integrata per conto di enti pubblici (comuni, province,
regioni, ministeri), assieme a studi di casi e a riflessioni teorico-concettuali recentemente sviluppati in
una ricerca nazionale PRIN-MIUR hanno permesso di mettere a punto un modello semplificato di
sistema locale territoriale (SLoT) al tempo stesso progettuale e analitico, in quanto il sistema locale
territoriale si costruisce a partire da qualcosa che esiste realmente e tale fondamento nell'esistente
garantisce l'efficacia progettuale della sua costruzione
.
In quanto strumento analitico il modello concettuale SLoT si compone di questi elementi:
4
1) La rete locale dei soggetti: è formata dall’insieme delle relazioni e interazioni t ra soggetti
(individuali e collettivi, pubblici e privati, locali e sovralocali), presenti o attivabili in un territorio
locale. Qui per locale s'intende la scala geografica che permette le interazioni tipiche della prossimità
fisica: relazioni basate sulla conoscenza e la comunicazione diretta (face-to-face), sulla fiducia, sulla
reciprocità, sulla comune esperienza e pratica di un certo contesto o milieu territoriale ecc. Quindi si va
dalla dimensione del villaggio o del piccolo quartiere urbano a quella di una provincia italiana non
troppo grande, che è anche la dimensione normale di un sistema territoriale urbano di medie
dimensioni. Si può cominciare a parlare di SLoT quando questo aggregato di soggetti agisce in qualche
modo e in qualche occasione come un attore collettivo, cioè s'impegna nell'elaborazione e nella
realizzazione di progetti condivisi di trasformazione, sviluppo e riqualificazione del proprio territorio.
2) Il milieu locale : indica l’insieme delle condizioni favorevoli allo sviluppo sp ecifiche del contesto
territoriale in cui opera una certa rete locale dei soggetti, così come da questi percepite. Ha un
riferimento oggettivo nelle "risorse potenziali immobili" (o “capitale territoriale”) proprie di quel
territorio locale, cioè a quell'i
nsieme di risorse materiali e immateriali, che si sono sedimentate
localmente come risultato di un lungo processo coevolutivo tra la società locale e il territorio stesso.
Esso non consiste però semplicemente in questo insieme oggettivo di risorse (così come le potrebbe
descrivere e valutare un esperto esterno). Ha un lato soggettivo che comprende le rappresentazioni e le
attribuzioni di valore operate dai soggetti locali. Riguarda cioè quell'insieme di proprietà che la rete
locale dei soggetti considera come prese (l’espressione è del geografo francese A. Berque) per
trasformare e migliorare il loro ambiente di vita.
3) Il rapporto di interazione della rete locale col milieu e con gli ecosistemi locali: consiste nel
tradurre le potenzialità del milieu in valori - di tipo ambientale, culturale, estetico, sociale ed
economico - attraverso processi di trasformazione simbolica e materiale dell'ambiente.
4) Il rapporto interattivo della rete locale con reti sovralocali ("reti lunghe"; tendenzialmente globali):
si esplica in azioni che modificano sia la composizione della rete locale, sia il milieu e quindi il
rapporto cognitivo, simbolico e tecnologico con l'ambiente locale in quanto sono rivolte a “importare”
e valori esogeni (cognitivi, culturali, sociali, economici) e ad importare analoghi valori prodotti
nell'interazione rete locale
-milieu. Questi valori a loro volta modificano le reti e gli ambienti
sovralocali in cui circolano.
Questo modo di definire i sistemi locali ha alcune implicazioni rilevanti. Anzitutto l'
identità dello
SLoT viene definita non solo in termini di senso di appartenenza, cioè di qualcosa che si basa sulla
memoria del passato, ma anche e soprattutto in termini di organizzazione del sistema, cioè di senso di
coesione e di continuità proiettata nel futuro. Inoltre ogni SLoT, per il fatto di avere una sua specifica
organizzazione e un proprio dominio cognitivo, va riconosciuto come sede di elaborazione (anche
conflittuale) di razionalità locali che si esplicano poi in principi e regole specifiche di uso e di
organizzazione del territorio. Di conseguenza ad ogni SLoT va riconosciuta una capacità (più o meno
esplicita e consapevole) di autorappresentarsi e di autoprogettarsi, capacità che interagisce con quelle
analoghe dei livelli sovralocali nelle forme della cooperazione, del conflitto e della negoziazione.Infine
l'autorganizzazione del sistema locale in tutte le predette manifestazioni va considerata come una
risorsa endogena che le politiche sovralocali di sviluppo devono conoscere, orientare, governare
(governance). Tale risorsa è il vero oggetto dell'analisi per sistemi territoriali locali, mentre
l'individuazione dei sistemi locali stessi, delle reti e dei milieu in quanto entità territoriali è solo lo
strumento che ci serve a scoprire e descrivere le forme locali della territorialità attiva, cioè le modalità
di funzionamento dell'organizzazione locale e in definitiva quindi le identità locali come risorse per
attivare e orientare processi di sviluppo.
Va precisato inoltre che, pur riferendosi a entità territoriali individuabili geograficamente
(almeno in modo “sfumato”, con contorni a geometria variabile), il nostro sistema locale territoriale
differisce concettualmente da analoghe categorie descrittive precedentemente utilizzate da geografi,
pianificatori e altri studiosi, come i pays della geografia vidaliana, le regioni omogenee e funzionali,
i sistemi urbani, i comprensori, i distretti industriali ecc. Infatti ciò che il modello si propone di
trovare (il suo possibile referente empirico) non è un sistema territoriale già esistente e funzionante
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come attore collettivo territoriale, ma una serie di indizi (attitudini, esperienze pregresse ecc) e di
precondizioni soggettive e oggettive, che, con l’intervento di op portuni stimoli e azioni di
governance, rendano possibile e altamente probabile la costruzione, in una certa area geografica, di
un sistema territoriale capace di contribuire autonomamente ad obiettivi di sviluppo. Insomma il
sistema territoriale che si cerca nella realtà è un territorio dove sia possibile fare buone politiche e
azioni efficaci per lo sviluppo.
Con SLoT si indica quindi un potenziale che si realizza nel rapporto tra certe componenti
soggettive ed oggettive, le quali vanno entrambe analizzate caso per caso, con esiti solo in parte
prevedibili. Per quanto possa essere rigorosamente definita e applicata, l’analisi SLoT non ci darà
mai certezze assolute sull’esistente, né sulla sua evoluzione futura. Essa ci indica però una possibile
articolazione del territorio, seguendo la quale si ritiene, dagli indizi raccolti, che una governance
rivolta allo sviluppo territoriale risulterà più efficace, rispetto ad altre articolazioni che non tengano
presente la distribuzione territoriale delle capacità autoorganizzative dei soggetti e le loro
interazioni con il “capitale territoriale” locale.
In conclusione esso è uno strumento di che permette:
- di delineare la geografia della progettualità e dell’agire collettivo di un territorio
(regionale, nazionale, transnazionale) in base ai legami sociali e territoriali esistenti;
- di individuare lo stato attuale di questi legami, che di regola sono incompleti;
- di valutare ex ante la possibilità di attivare i legami mancanti e attraverso ad essi dei
processi di sviluppo autocentrato;
- di valutare in itinere ed ex post il “valore aggiunto territoriale” da essi prodotto;
- di suggerire l’architettura più adatta per costruire, caso per caso, un sistema di governance
efficace per l’implementazione di politiche e per la realizzazione di programmi e progetti;
- di valutare la sostenibilità territoriale dello sviluppo, intesa come capacità di riprodurre e di
arricchire il “capitale territoriale” locale senza impoverire quello di altri territori;
- di offrire un sostegno conoscitivo a piani e politiche di area vasta basati sulla messa in rete
di sistemi locali territoriali.
Alcuni problemi
L’applicazione del modello SloT all’analisi di un territorio pone alcuni problemi metodologici
che merita brevemente illustrare tenendo presenti le esperienze di ricerca sul campo svolta nel corso
delle nostre ricerche.
L’individuazione dei possibili SloT
Anzitutto occorre tener presente che il nostro modello non serve a studiare la razionale
suddivisione di un territorio in unità geografiche di livello locale, ma a esplorare e descrivere la
geografia di quella particolare risorsa che è la capacità di autoorganizzazione locale e di
aggregazione territoriale volontaria, vista come interfaccia necessaria per attivare, e in una certa
misura anche produrre, risorse specifiche nei processi di sviluppo. Tenendo presenti le spinte alla
frammentazione derivanti dalla globalizzazione economica, non c’è motivo di pensare che questa
risorsa sia uniformemente distribuita, né che sia presente dappertutto. Se vogliamo far leva su di
essa per avviare o coordinare processi di sviluppo che abbiano buone probabilità di successo,
dobbiamo aspettarci di trovare tali situazioni favorevoli più dense in certe aree, in altre sparse a
macchia di leopardo e in certe zone del tutto assenti. Ma come individuarle?
Trattandosi di una risorsa propria delle società locali, il modo migliore per scoprirla sembra
essere quello di partire da un’analisi delle aggregazioni territoriali di soggetti privati e pubblici ch e
hanno prodotto progetti e azioni riconducibili alla categoria generale dello sviluppo locale (non solo
in senso economico, ma anche sociale, culturale ecc). Ad esempio nelle nostre ricerche empiriche
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sono stati utilizzate reti come i GAL o come quelle dei patti territoriali, Prusst, Pit, Urban,
contratti di quartiere ecc. Ognuna di queste aggregazioni più o meno volontarie e durature
corrisponde a una rete di soggetti locali (e sovralocali con ancoraggi locali) che può essere
cartografata. Sovrapponendo queste varie configurazioni spaziali di reti, emergono degli
addensamenti significativi in certe aree, che ci danno una prima geografia delle tendenze
autoorganizzative locali (v. l’esempio in figura). Tali addensamenti di progettualità e di azione
collettiva sono già di per sé indizi di possibili SloT. In un secondo tempo la loro corrispondenza al
modello e i loro confini approssimativi potranno essere meglio definiti esaminando la composizione
delle reti, il ruolo effettivo dei soggetti partecipanti, gli obiettivi e i risultati attesi, la stabilità e la
ricorrenza delle aggregazioni, gli ambiti territoriali dei progetti e delle azioni, la distribuzione
spaziale del “capitale territoriale” attivato.
7
massimo valore di ricorrenze
per Comune
8
(3)
7
(10)
6
(30)
5
(62)
4
(90)
< 4 (120)
centro comunale
0
5
10
20 km
Torino
Fig. 1 - Aree di maggiore interazione progettuale
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In questa fase dell’analisi un tema particolarmente importante è quello della congruità
dell’aggregazione territoriale definita dai progetti. Tale questione rimanda, da un lato, alla
definizione dei parametri che fanno sì che un aggregato di soggetti si comporti come un sistema
locale; dall’altro lato alla individuazione -delimitazione dell’ambito territoriale in cui agiscono i
soggetti locali. Questi due aspetti sono strettamente collegati: in effetti, solo se e quando
l’aggregato di soggetti si comp orterà e agirà come un soggetto collettivo, il sistema locale
territoriale potrà essere geograficamente delimitato. Infatti non esiste il territorio “perfetto” e la
dimensione “ottima” per lo sviluppo locale di cui qualche esperto avrebbe la chiave, ma esi stono
piuttosto più “territori pertinenti” possibili, da costruire in relazione a specifiche interpretazioni
delle componenti del milieu locale. E queste non sono rigidamente predeterminate, ma si vanno
definendo nel processo di costruzione dell’attore co llettivo locale, a partire da un’ipotesi iniziale di
aggregazione territoriale dei soggetti partecipanti. Ad esempio nel caso riportato nella tab. 1 si
vede come, analizzando le principali aggregazioni progettuali sovracomunali presenti nel 2002 nelle
valli Chisone e Germanasca, l’ambito territoriale pertinente risulta essere soprattutto quello della
omonima Comunità montana, seguito da quello che comprende in più le due aree montane limitrofe
della val Pellice e dell’Alta val di Susa e poi ancora da quel lo dell’intero Pinerolese.
Queste precondizioni soggettive vanno poi confrontate con altre di tipo oggettivo miranti a
verificare la stabilità nel tempo e la funzionalità delle precedenti aggregazioni progettuali. In questa
verifica vengono considerate:
-le divisioni amministrative attuali,
- quelle che nel corso della storia possono aver contribuito a creare aree di particolare coesione
socio-culturale;
-le aree di autocontenimento dei flussi locali (pendolarità per servizi e per lavoro, input-output
tra unità dei sistemi produttivi locali),
- i corrispondenti flussi di traffico stradale e ferroviario (o, in assenza di questi dati, il grafo
della rete locale dei trasporti).
Le analisi oggettive permettono di tracciare i confini (talvolta a geometria variabile)
dell’ipotetico SLoT. Ad esempio con riferimento al caso illustrato nella tab. 1 si hanno forti
riscontri oggettivi sia con l’ambito territoriale Comunità montana, sia con quello dell’intero
Pinerolese .
In questa fase si pone il problema della dimensione geografica del sistema locale. Essa può
variare tra un massimo e un minimo, da determinare caso per caso a partire dalla nostra definizione
del modello. Come già sopra accennato,la dimensione massima compatibile con tale definizione
richiede che vengano rispettate le condizioni di prossimità geografica necessarie perché le reti locali
dei soggetti capaci di azione collettiva si formino sulla base di relazioni che implicano conoscenza
diretta, fiducia, condivisione di interessi e progetti legati a un “capitale territoriale” comune e che
garantisca una larga partecipazione. Si tratta dunque di ambiti territoriali corrispondenti al raggio
delle relazioni e della mobilità quotidiana, con una dimensione massima che quindi è certamente
subregionale e sovente anche subprovinciale. La dimensione minima, da noi verificata in ambito
urbano, è quella di un quartiere anche non grande, ma capace di elaborare ed esprimere progetti
autonomi. La forte differenza tra questi due estremi fa sì che il livello locale possa articolarsi in una
gerarchia di SLoT inscatolati gli uni negli altri. Nella delimitazione del livello superiore si
rispettano normalmente i confini comunali, mentre quelli provinciali, regionali e statali possono
essere scavalcati.
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Tab. 1 - Val Chisone - Val Germanasca: gli ambiti delle aggregazioni
Ambiti territoriali
C. M. Chisone-Germanasca
Aggregazioni
territoriali di sviluppo
Patto Territoriale del
Pinerolese
Escartons e Valli
Valdesi - PSL Leader
Plus
Distretto Industriale
Pianezza - Pinerolo
Piano Integrato d’Area.
Torino 2006 – Docup
Conferenza delle Alte
Valli - Interreg III
Alta Val Media e
Val
Chisone bassa Valle Germanas
ca
Val
Pinerole Pianura Bassa
Pellice se pede- Pinerol Val
mont.
o
Susa
Alta
Val
Susa
Note
+ 2 Comuni del
cuneese
+ Comuni sparsi
cuneese
Atl 2 Montagnedoc
Protocollo d’intesa
“G9” (Alta Val
Chisone)
Ecomuseo delle
Miniere e della Val
Germanasca
Pianur
a
Torine
se
Sestrier
e
+ 2 Comuni
delcuneese
Patti Territoriali
Pinerolese, V. Susa
+ Communautés
des Communnes
francesi
+ C. M. Val
Sangone
+ 3 Parchi
La valorizzazione del capitale territoriale e il valore aggiunto territoriale come criterio di
valutazione.
Il rapporto che la territorialità attiva istituisce con le risorse specifiche incorporate stabilmente
nello spazio locale dell’azione collettiva è la condizione necessaria perché si possa parlare di
sviluppo locale territoriale in senso proprio ed è anche il motivo per cui il livello locale risulta
rafforzato dalla globalizzazione. Schematizzando si può dire che si ha sviluppo locale quando
l’ipermobilità a livello globale interagisce e si combina con la fissità a livello locale. Infatti il locale,
come livello di organizzazione autonoma, interessa al globale nella misura in cui sa produrre valore
da ciò che è proprio del suo territorio. Oggi che la globalizzazione è guidata principalmente da forze
e da obiettivi economico-finanziari tendiamo a pensare questi valori in termini di mercato, ma
questa è una distorsione storica contingente di un processo che può e deve riguardare anche altri
generi di valori (culturali, sociali, simbolici, estetici) capaci anch’essi di derivare da specificità
locali e di assumere significati e fruizioni universali.
Il valore che si ottiene combinando azione collettiva autonoma, “risorse immobili” locali e
interazioni sovralocali, costituisce il valore aggiunto territoriale dello sviluppo. E’ il di più che si
può ottenere rispetto a processi di valorizzazione semplice che non mobilitino né attori locali, né
risorse specifiche locali, ma si limitino a sfruttare esternalità e risorse territoriali date, con interventi
esogeni diretti.
Ne consegue che l’insieme delle risorse immobili locali pu ò essere considerato come un capitale
territoriale che si rende produttivo di valori d’uso e di mercato nei rapporti di territorialità attiva.
Quello di “capitale territoriale” è un concetto al tempo stesso relazionale e funzionale, che comprende
cose molto diverse tra loro, le quali hanno però in comune queste caratteristiche per noi sostanziali:
essere stabilmente incorporate ai luoghi (essere “immobili”); essere difficilmente reperibili altrove con
le stesse qualità (essere specifiche); non essere producibili a piacere in tempi brevi (essere
“patrimonio”). Le possiamo raggruppare come segue:
•
condizioni e risorse dell’ambiente naturale (rinnovabili e non);
•
“patrimonio” storico materiale e immateriale (non riproducibile in quanto tale, ma incrementabile
nel tempo);
11
capitale fisso accumulato in infrastrutture e impianti (incrementabile, adattabile, ma nel suo
insieme non producibile nel breve-medio periodo);
•
beni relazionali, in parte incorporati nel capitale umano locale: capitale cognitivo locale, capitale
sociale, eterogeneità culturale, capacità istituzionale (risorse rinnovabili e incrementabili, ma
producibili solo nel medio-lungo periodo)
Come si vede dall’elenco si tratta di caratteristiche con diverso grado di stabilità, tempi di
formazione molto diversi e diverse modalità di accesso. Mentre ad esempio le risorse delle prime tre
classi sono, almeno in parte, conoscibili e accessibili anche da parte di un attore esterno, i beni
relazionali implicano necessariamente la mediazione dell’azione co llettiva locale e in buona parte si
formano e si incrementano con essa.
Il concetto di valore aggiunto territoriale, sia riferito a un singolo progetto o azione collettiva
sia alle modalità complessive di progettazione e di azione di un sistema locale, ha una portata
pratica rilevante, in quanto può essere assunto come criterio cruciale per capire se siamo o no in
presenza di sviluppo locale e, se sì, in che misura.
Si tratta di valutare il grado di attivazione di risorse potenziali specifiche del territorio locale,
ovvero l’entità del valore aggiunto territoriale in relazione sia al valore complessivo prodotto nel
processo, sia al capitale territoriale locale disponibile. Ad esempio nel caso in cui a partire dagli
impianti e dal saper fare di un’industria locale tradizionale si avvia un processo di riconversione
produttiva competitiva, il grado è più elevato rispetto al caso della trasformazione dell’attività
tradizionale in museo o altra attrattiva turistica. Altro esempio: se viene mobilitata una sola delle
potenzialità specifiche del territorio (p. es. il patrimonio archeologico) trascurandone altre, il grado
è inferiore rispetto a una soluzione alternativa in cui lo sviluppo attinge anche ad altre risorse
potenziali (p. es. al patrimonio paesaggistico o alle tradizioni produttive locali e al capitale sociale
connesso).
Queste valutazioni richiedono una ricognizione analitica del capitale territoriale locale e delle
sue modalità d’impiego. Per alcune delle componenti di esso sopra ricordate ciò è fattibil e in modo
oggettivo da un osservatore esterno, ma per molte altre e in particolare per i “beni relazionali” il
punto di vista deve essere interno o, meglio ancora, dialogico interno-esterno. Tutto ciò comporta
comunque, anche nel caso più semplice della valutazione di un singolo progetto, il riferimento a un
territorio pertinente, individuabile con il modello SLoT. La tab. 2 è un esempio, sempre riferito al
caso di studio valli Chisone e Germanasca, di analisi del capitale territoriale di un milieu locale.
•
Tab. 2 Val Chisone-Val Germanasca: i progetti significativi e le componenti di milieu coinvolte
Protocollo Filiera
d’intesa
Bosco“G9”
Territorio
Componenti di
milieu attivate
Occupazionale
Sociale
Industriale
Agricolt., allev.,
foreste
Turismo
Patrimoni culturale
Ambiente
Infrastrutture
+
++
Ecomuseo Forte di
Regionale Fenestrell
delle
e
Miniere e
della V.
Germanas
ca
++
++
Progetti
Consorzio
Interaz.Fo
rmazione
Profession
ale
+++
Museo
della
Meccanica
e del
Cuscinett
o
+
Valleinsie
me - Rete
delle
risorse
locali
Progetti
sperimentazione
agricola
Progetti
di
sfruttame
nto
idroelettri
co
+
+
Legenda Impatto sulla
Forte presa sul milieu + = livelli di impatto
componente di milieu
occupazionale
12
Valore aggiunto territoriale e sostenibilità
Poiché lo sviluppo locale attinge a tutte le risorse potenziali specifiche di un territorio, la
sostenibilità del processo non può essere soltanto quella ambientale. Oltre alla conservazione del
capitale naturale, occorre considerare la riproduzione e l’incremento dell’intero capitale
territoriale, in quanto anche le altre sue componenti presentano i caratteri della non sostituibilità e
della non riproducibilità nel breve periodo.
Riteniamo perciò che si debba considerare la sostenibilità territoriale dello sviluppo, all’interno
della quale si possono distinguere poi i vari tipi di sostenibilità. Tra questi, oltre alla sostenibilità
ambientale, assume per noi particolare importanza la sostenibilità politica, quella che A. Magnaghi
chiama autosostenibilità, perché comporta processi autoorganizzativi nei sistemi locali. Da essa può
derivare non solo la già ricordata capacità di riprodurre il proprio capitale territoriale, ma anche e
anzitutto l’ autoriproduzione del sistema territoriale stesso, ovvero la capacità di conservare la
propria identità (nel senso di organizzazione interna) nel tempo attraverso un continuo cambiamento
derivante da innovazioni locali.
La sostenibilità territoriale dello sviluppo può quindi essere definita come la capacità autonoma
di creare valore aggiunto territoriale (vat) in un duplice senso: quello di trasformare in valore
(d’uso o di scambio) le risorse potenziali (immobili e specifiche) di un territorio e quel lo di
incorporare al territorio nuovo valore sotto forma di incremento del capitale territoriale. Si avrebbe
così autoriproduzione sostenibile di un sistema territoriale (autosostenibilità) quando il processo di
sviluppo è autogovernato e ha come risultato finale di medio-lungo periodo un vat del primo tipo
positivo e un vat del secondo tipo non negativo. Ovvero quando l’attore collettivo territoriale,
interagendo con i livelli sovralocali, crea valore mobilitando il potenziale di risorse specifiche del
proprio territorio, senza ridurre il capitale territoriale: né quello locale, né quello di altri territori
esterni coinvolti nel processo.
Il calcolo della sostenibilità territoriale è assai più complesso e difficile di quello della
sostenibilità ambientale. E’ possibile estendere ad esso lo schema concettuale dell’impronta
ecologica. Non si tratta cioè soltanto di valutare se il progetto, o il sistema, o il processo
riproducono il capitale territoriale locale, ma anche se non distruggono capitale territoriale di altri
sistemi locali legati da interazioni materiali e immateriali a quello esaminato. Il problema si
complica se, come sopra indicato, consideriamo l’autosostenibilità e quindi la capacità
autoriproduttiva del sistema locale. In questo caso le misure, sempre riferite a un determinato
sistema, o processo, o progetto di sviluppo, dovrebbero riguardare: (1) il grado di autonomia del
sistema territoriale e quindi il peso cognitivo, progettuale, decisionale, finanziario e operativo dei
soggetti locali all’interno del processo o del progetto; (2) la capacità inclusiva dell’attore collettivo
locale ( è solo una ristretta coalizione di attori “forti” o dà voce a una molteplicità di interessi, reti
di soggetti, anche deboli, marginali e conflittuali?). Quest’ultima è anche una misura indiretta della
capacità innovativa del sistema locale, in quanto per essere innovativi occorre, all’interno di uno
SLoT, un certo grado di diversificazione e di confronto, anche conflittuale.
La diversificazione territoriale come risorsa
Da un punto di vista non soltanto locale, ma anche universale, la diversificazione del territorio
per sistemi locali (culturale, sociale, istituzionale, insediativa e produttiva), in quanto risultato di
processi coevolutivi di lunga durata delle società locali con il loro territorio-ambiente, va
considerata come una ricchezza collettiva per diversi motivi. Tra questi il più generale è che queste
diversità, nel loro insieme, svolgono il ruolo di pool genetico-culturale, la cui trasmissione verticale
e laterale accresce la capacità innovativa e quindi l’autonomia dei sistemi socio -territoriali alle
diverse scale. Sotto questo aspetto il nostro problema presenta delle analogie con quello della
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biodiversità, infatti a proposito dell’estinzione di lingue, dialetti e patrimonio culturale in genere, si
parla anche di conservazione e riproduzione della biodiversità culturale.
Altri motivi per salvaguardare e riprodurre, innovando, la diversità territoriale sono: che essa
alimenta il sistema economico globale il quale seleziona e accumula valori attingendo alle
potenzialità specifiche locali; che a scala locale essa riproduce saperi contestuali ambientali che
continuano ad essere utili per quanto riguarda le modalità insediative e produttive locali; che la
diversificazione dei territori tende a massimizzare l’impiego delle risorse naturali e umane e quindi
le capacità produttive globali, riducendo al tempo stesso le diseguaglianze; che essa accresce il
grado di chiusura dei circuiti , riducendo così l’impronta ecologica; che risponde infine a una
domanda di usi e consumi diversificati, come dimostra il successo delle produzioni tipiche locali.
Oggi la riproducibilità delle risorse culturali locali e quindi degli stessi sistemi locali come
sistemi territorialmente diversificati risulta problematica. In particolare si pone la questione se
siano ancora possibili rapporti coevolutivi a scala locale . Infatti con l’affermarsi progressivo di
conoscenze tecnico-scientifiche generali, incorporate in un processo di accumulazione capitalistica
tendenzialmente globale, l’interazione coevolutiva tra società umane e ambiente si è gradualmente
spostata dal livello locale a quello globale. Di conseguenza è venuto meno il principale meccanismo
che nel passato ha prodotto la diversificazione territoriale delle società, delle culture e del capitale
territoriale che esse hanno sedimentato. Ne rimangono i simulacri sotto forma di folklore fossile e
di patrimonio museificato, conservati in funzione di un uso turistico spettacolare simile a quello dei
parchi a tema, oppure di un utilizzo simbolico-identitario, o in funzione del marketing territoriale.
Dove l’evoluzione produttiva non ha subito fratture permane un utilizzo riproduttivo di beni
relazionali accumulati nel passato, con tendenza però alla graduale perdita delle specificità
originarie, come si vede in molti distretti industriali e sistemi locali agricoli che si mantengono
competitivi.
Un segnale in controtendenza è dato dall’affermarsi di produzioni tipiche che richiedono la
riproduzione innovativa di tecnologie appropriate a certe condizioni e conoscenze locali. Ma fin a
che punto quest’ultimo modello è generalizzabile nella prospettiva di conservare, e riprodurre,
innovando, la diversità territoriale per i motivi e con gli obiettivi sopra indicati?
Da un lato tale prospettiva non è in contrasto con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche
generali, che anzi, sarebbero chiamate a combinarsi con le conoscenze contestuali in modo da
permettere l’evoluzione di tecnologie e modalità gestionali appropriate ai diversi ambienti locali.
Ciò comporterebbe anche effetti di ritorno positivi sulle conoscenze generali, infatti la storia delle
innovazioni tecnologiche ci insegna che esse nascono sovente come innovazioni locali per poi
diffondersi e generalizzarsi fin a scala mondiale. Dall’altro lato sta l’ostacolo costituito dalla
selezione operata sugli ambienti naturali e socio-culturali da una competizione economica globale
non regolata, che, invece di adattare ad essi le conoscenze e le tecniche disponibili, tende ad
adattarli, livellandoli, alle tecnologie che nell’attuale sistema di mercato capitalistico risultano più
“produttive”. In realtà sappiamo che si tratta di una concezione molto pa rziale della produttività,
intesa come capacità degli investimenti di aumentare profitti e rendite finanziarie nel breve periodo,
anche se in tal modo la produttività dell’energia, del capitale naturale e di quello territoriale invece
diminuiscono.
E’ noto infatti che gli investimenti nella ricerca si concentrano sempre più su tecnologie che
assicurano brevetti e applicazioni universali, trascurando le conoscenze e le tecnologie per la
gestione diversificata degli ambienti e delle risorse territoriali, le quali darebbero un minor ritorno
finanziario e soprattutto darebbero origine a una struttura produttiva più distribuita e democratica,
capace di sottrarsi al controllo e ai prelievi dei grandi gruppi di potere politico-finanziario.
Sotto questo aspetto il modello SLoT può anche diventare un modello di resistenza democratica
a forme distorte di globalizzazione, dominate dal nuovo totalitarismo economico-finanziario.
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