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Numero 33 Giugno 2010 In questo numero
“ARRIVANO I NOSTRI ” Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S . P i o X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 33 Giugno 2010 Anno V° In questo numero: LA NOSTALGIA DEGLI UOMINI don Paolo Tammi QUELLI DELLA BALDUINA Rasoio d’oro e bar Mambo NOSTALGIA O RICORDO? La spiaggia di Anzio IL DIARIO DI GIORGIA Quello che non si ha avuto LA PANTANOSTALGIA E il suo favoloso mondo MEGLIO LA NOSTALGIA Un 2 luglio di qualche anno fa LUOGHI DELLA MEMORIA Estati, yogurt e biciclette NOSTALGIA O EMPATIA? Quel libro su Garibaldi IL CIELO DI TRIPOLI Ricordi degli anni ‘30 NOSTALGIA CHE INGANNA Sentimento poco amato C’ERA UNA VOLTA Luoghi e persone NOI CHE ERAVAMO NOI della Balduina Un luogo c hiamato nostalgia... L’ULTIMA STRADA Via Baldi NOI CHE ERAVAMO NOI DELLA BALDUINA Alessandro Saraceni Noi che andavamo a vedere i film al cinema Balduina e al cinema Belsito. Noi che via della Balduina finiva alla scuola Cesare Nobili e poi c’era il vicolo Massimi. Noi che via Pereira non era asfaltata e quando pioveva era un fiume di fango. Noi che ci tagliavamo i capelli da Mario “Rasoio d’Oro” a piazza della Balduina. Noi che andavamo a mangiare la pizza da Omero ar 400 a viale Medaglie d’Oro. Noi che sviluppavamo le fotografie alla Kodak sotto i portici. Noi che Alberto Mandolesi non faceva ancora la radio, ma aveva un negozio di vernici a piazza della Balduina, con sopra la scritta gialla “Colori”. Noi che Mario Corsi non faceva ancora la radio ma faceva il benzinaio a via della Balduina angolo via Athos Ammannato. Noi che a San Pio Decimo c’era don Giacinto. Noi che il sabato sera andavamo a prenderci una birra al Pub 53 a Belsito Noi che a piazza della Balduina c’era il bar Mambo Noi che compravamo i dischi in vinile da D’Angelo a via della Balduina. Noi che andavamo in palestra da Mezzetti. Noi che andavamo a vedere la partita alla Madonnina del Don Orione, che prima della copertura dello stadio si vedeva tutto il campo. Noi che c’era il 99 che partiva da Belsito e arrivava fino alla stazione Termini. Noi che prendevamo anche il 47 e il 47 barrato. Noi che il trenino che costeggia via Pereira era a cielo aperto e c’era pure la locomotiva a carbone. Noi che l’estate andavamo a prendere la grattachecca dalla sora Maria al Trionfale (e ci andiamo ancora). Noi che se eravamo di destra avevamo paura a passare davanti alla sezione di Democrazia Proletaria di via Pomponazzi. Noi che se eravamo di sinistra avevamo paura a passare davanti alla sezione del MSI di viale Medaglie d’Oro. Noi che il Calasanzio era solo maschile. Noi che il Santa Maria degli Angeli era solo femminile. I LUOGHI DELLA NOSTALGIA Giancarlo Bianconi «La vita fugge e non s’arresta un’ora .... vacca boia!» «Eh no, hai proprio ragione! Comunque ... Petrarca l’aveva detto un po’ meglio, eh!» «Nel senso che?» «Eh, nel senso che, mi sembra di ricordare, il verso non terminasse con quel “vacca boia” per cui ...» «Ma che vai dicendo! Il “vacca boia” è semplicemente una mia personale e poetica interpolazione avente la sola funzione di dare forza all’assunto introduttivo» «Ah, beh, allora ... è tutta un’altra cosa, certo! Comunque, a dire la verità, non l’avevo proprio capito. E ... come mai questo poetico esordio?» «Ma come, non ti sei accorto dove ci troviamo in questo preciso momento?» «Sì, alla scuola dove abbiamo frequentato il liceo! E allora?» «Ma come? “Allora” è tutto quello che sai dire? Non provi un po’ di nostalgia, anche poca-poca dico, a rivedere il posto dove tante e tante volte abbiamo sostato, magari a fumare di nascosto le nostre prime sigarette, prima dell’inizio delle lezioni e anche dopo l’uscita da scuola? Ma che non la rivedi lì, al cancello, Teresa “la dotta” sempre intenta a spiegare qualcosa a qualcuno? O Giuseppe che si aggiusta continuamente la cravatta? O ... » « N-no» «E non provi alcuna nostalgia a rivedere, con gli occhi della memoria s’intende, Isabella, attraente e desiderabile ... per i compagni delle altre classi che non sapevano quanto fosse svampita? O Lamberto, con quella sua aria dinoccolata? Dài!... Non mi dire, perché tanto non ci credo, che veramente non provi nulla nel “rivedere”, lì all’angolo, Giggia, il tuo amore segreto (che poi, detto inter nos, tanto segreto non era dal momento che ce lo sapeva tutta la classe la “cotta” che avevi per lei tanto ce l’avevi scritto in fronte, negli occhi, nel tono della voce, nei gesti...), con quella sua ampia gonna a fiori stampati bianchi e rossi, a campana, lunga rigorosamente sino a sotto il ginocchio che, con finta indifferenza, si attarda a parlare con gli altri compagni con il solo scopo di aspettarti per fare insieme la strada verso casa? E ...» «No. Non provo alcuna nostalgia per quei tempi, che vuoi che ti dica? Vedi, mentre parli li ricordo benissimo quei tempi, anzi li rivedo e, ti dirò di più, li rivivo in questo preciso momento con grande, anzi grandissimo piacere anche, ma ... non provo alcuna nostalgia» «Ma come può essere una cosa del genere? Io non la capisco» «Perché non la capisci? Rifletti un attimo: cos’è la nostalgia? Secondo me non è altro che un pungente e triste desiderio di ritrovarsi a vivere quanto è trascorso e allo stesso modo e con lo stesso stato d’animo di quando lo si stava vivendo. Adesso non voglio sembrarti saccente per carità, ma anche l’etimologia stessa del termine chiarisce quanto ho appena affermato; il vocabolo nostalgia è composto, ti ricordi, no? lo abbiamo studiato insieme il greco, da Nostos e cioè ritorno, e Algos e cioè dolore, e quindi è uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone e/o da luoghi e/o da eventi collocati nel passato che si vorrebbe rivivere» «Sì, certo, quello che dici è giusto, o meglio, mi sembra giusto. In ogni caso mi domando come fai a non provare alcuna emozione. Ecco, questo mi riesce difficile comprenderlo» «Beh, certo, mi rendo conto che è un po’ - anzi un po’ tanto - difficile da spiegare, ma, senza alcuna pretesa di riuscire a farmi capire, mi ci proverò comunque. Intanto cominciamo col precisare che io non ho detto che non provo alcuna emozione, ma semplicemente che non provo alcuna nostalgia, il che è ben diverso, tanto vero che questa tua breve rievocazione mi ha procurato un senso di dolcezza infinita che mi ha riscaldato il cuore, questo sì. Ma nostalgia, no. Ora però non voglio annoiarti e pertanto sarò breve, ma vedi, secondo me, perno fondamentale della nostalgia non è tanto lo spazio quanto il tempo: il tempo che è irreversibile, vacca boia, come giustamente dicevi tu poco fa. Vedi, oggi noi siamo capitati per caso qui dove per un certo periodo abbiamo vissuto determinate esperienze: come vedi il luogo è lo stesso, l’edificio è lo stesso, la strada è la stessa, gli edifici vicini sono gli stessi di quando venivamo a scuola: e, quindi, teoricamente sarebbe possibile riproporre nello spazio le condizioni dell’epoca trascorsa e, al limite, anche i nostri compagni di allora. Solo che ora quei noi di allora non esistono più; quell’Io che viveva in ciascuno di noi, infatti, ora è non solo passato ma addirittura trapassato, non esiste più, non ci appartiene più e, pertanto, è irriproponibile. E allora? E allora forse è proprio questa trasmutazione dell’Io, questa condizione di non essere più oggi ciò che si era allora e cioè di non essere più in grado di provare le stesse emozioni e con la stessa intensità di allora che mi impedisce di provare nostalgia. Meglio, molto meglio provare oggi quella dolcezza di cui ti parlavo poco fa e di cui forse ai nostri tempi neanche avevamo coscienza. E allora perché tentare di suscitare, magari ostinatamente anche, un sentimento la cui sola finalità sarebbe quella di procurarmi solo tristezza? Si tratterebbe di puro masochismo, non trovi? E questa sorta di impermeabilizzazione a questo tipo di sensazione non è certo frutto di un mio esercizio psicologico, per carità, ma opera di Nostro Signore che ringrazio continuamente dal più profondo del cuore" "E chi ti dice, invece, che questa tua refrattarietà alla nostalgia non sia altro che una forma di autodifesa?" "Nessuno" -2- DI COSA GLI UOMINI HANNO NOSTALGIA ? don Paolo Tammi Di cosa gli uomini hanno nostalgia? Di ciò che hanno amato, ovviamente. Di ciò che sembra non tornare più perché é lontano. E’ la nostalgia, molto spesso, ad animare ogni nostro desiderio. Mi travolge sempre (letteralmente, quanto ad emozione) il racconto della nostalgia di un partner amato e che ora non c’è più. Insorge spesso in chi è stato lasciato, in chi ha ricevuto il benservito senza alcuna ragione, almeno in apparenza. Ho tenuto accanto a me cuori addolorati, che persino nel corpo mostravano la loro devastazione. Essere traditi, essere lasciati, essere ingannati è terribile. Tante volte consiglio di sostituire alla nostalgia la rabbia, perché la rabbia – contenuta da una sana padronanza di sè – esplode proprio a difesa del senso di giustizia e aiuta ad evitare guai peggiori (abbiamo tutti un cuore e delle vene da non far scoppiare). Esiste anche una nostalgia del Paradiso. Un’espressione così la usava il beato Giacomo Alberione, fondatore delle famiglie paoline. Il suo era desiderio del cielo. E quando uno è innamorato di Dio, non desidera che vederlo e stare con Lui. In fondo il paradiso è uno stato che appartiene alle cose perdute. Lo avevamo, e lo abbiamo sciupato per un atto di orgoglio. Tutte le tensioni dell’anima, tutte le sue passioni, tutti i desideri profondi dei grandi mistici ma non solo...di ciascuno di noi ogni volta che ascolta parole di Dio e ne valuta la bellezza e la lontananza NON DIMENTICARE DIO Eugenia Rugolo Sui due mesi estivi di luglio e agosto si concentrano una grande quantità di desideri; l’estate stagione mediterranea e che quest’anno tarda a venire, è da sempre sinonimo di ferie, vacanze gioiose e appaganti e anche spesso pagate profumatamente. Con la fine dell’anno scolastico, che libera la famiglia dai delicati impegni per i più piccoli, sembra che un invisibile “starter” con bandierina giunga a selezionare e smistare le persone in due gruppi: in uno i gitanti, i vacanzieri felici e un pò esuberanti e chiassosi; nell’altro gruppo in “disordine sparso” vi sono tutti coloro che per molti e svariati motivi e impedimenti (difficoltà economiche, disagi familiari, malattie o altro) non possono allontanarsi dalla città, né dalle sue monotone vite. Viaggi, divertimenti, riposo, vengono spesso rinviati al tempo delle ferie o delle vacanze. Questi mesi diventano quasi mitici per la possibilità di libertà che sembrano contenere, anche se sappiamo benissimo che non è così, che gli obblighi d’estate non sono inferiori a quelli degli altri mesi. Le vacanze brevi o lunghe che siano, possono essere un’occasione per ripensare, con serenità e profondità, quindi con verità, alle nostre vite, ai nostri impegni e anche ai nostri rapporti con gli altri. Ogni tempo è propizio per l’opera dello Spirito Santo. S.Paolo dice che: sia che dalla propria condizione, ebbene tutto ciò è nostalgia del cielo. Nostalgia significa “ dolore del ritorno”. Questa è la composizione greca del termine. Tornare dove? Dove eravamo, appunto. Claudia Alvarez, una cantante argentina, in una sua nota canzone ( più nota dall’altra parte del mondo che da noi) scrive: “ El corazon no se conforma con gritos muertos de infinito. El corazon quiere la eternidad!”. Ecco, un cuore che chiede e desidera l’eternità non è un cuore che si allontana dalla vita. Anzi, desidera la vita piena, completa. Desidero, dopo queste semplici considerazioni, dire grazie - per quest’anno pastorale che si conclude - a tutta la redazione del giornale. A Marco, che fa il lavoro più difficile, a Giulia, che ne è la responsabile, a tutti coloro che vi scrivono. La corsa all’articolo, in tempo perché sia riveduto e inserito nel copione del testo, è davvero diventata ogni mese, anche per me, un’attività insostituibile. Questo giornale è bello perché é normale. Non è molto devoto ma è un giornale che riporta essenzialmente considerazioni a partire dalla fede. Non è sregolato, senza una centralità, eppure ospita opinioni di tutti. E’ una bella palestra di dialogo tra il mondo laico e quello credente. E’ anche un orgoglio di questa comunità parrocchiale. Si conclude un altro anno di fatica e di frutti. Pochi sanno, perché in genere pochi ragionano, quanto sia faticoso guidare una parrocchia. Quanto sia bello, al tempo stesso, operare qui con il carisma della sintesi, ovvero con quella particolare capacità di far emergere tutte le sensibilità, di far parlare quelli che hanno qualcosa da dire, di mttere a lavorare insieme tutte le persone di buona volontà, e al tempo stesso di non creare confusione. Grazie al cielo ci siamo riusciti un’altra volta. Questa è anche la saggezza della Chiesa. Nelle sue realtà di base, come la parrocchia, non stanno insieme persone perché hanno un interesse di vertice, di potere, di apparire. Ma perché hanno una spinta interiore al servizio. E’ per questo costante servizio, per il quale vale il principio evangelico “ non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra” ( Mt 6,3) , che le cose vanno avanti. Grazie, perciò, grazie a tutti e grazie di tutto. viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore… “14, 7-8”. Il tempo libero dal lavoro quotidiano è prima di tutto utile per ritrovare se stessi, per riallacciare e rinsaldare quelle relazioni con le persone che sempre più sfuggono o diventano a volte impossibili. Troppi di noi vivono “fuori di sé” senza mai alcun tempo di ritiro, di introspezione, di riflessione serena. Perché non dedicare a questo scopo qualche giorno delle proprie ferie? E perché non cercare di recuperare almeno nel tempo del riposo, quel clima di cui sempre più sentiamo il bisogno, specialmente in città?: la nostalgia, il clima della cordialità, che non è soltanto la facile compagnia, il divertirsi e lo stare insieme, o meglio non è solo questo. Cordialità e capacità di aprire il cuore, di rivelarsi come persone. Questa vita ci porta a evadere, a non pensare, il riposo dovrebbe aiutarci a capire meglio noi stessi, a guardare con occhio diverso la natura scoprendo in essa la presenza e l’azione del Signore, a scoprire gli altri non come antagonisti o avversari, ma come compagni di strada o fratelli, a vedere Dio presente e operante in tutto questo. Abbiamo bisogno di serenità per vivere meglio, di una pace interna, solida e stabile che ci lasci gustare il presente, il “qui e ora”, ciò che siamo, ciò che possediamo, ciò che stiamo facendo, ciò e chi amiamo, coloro che incontriamo, in una parola, quanto la vita ci regala di bello e di buono, giorno dopo giorno con generosità… raggi -3- di sole tra le nuvole grigie della vita; così vorremmo che la nostra vita non fosse lacerata dai conflitti, dal dover correre a perdifiato, dal non sapere mai che cosa fare prima. Noi non siamo fatti per la guerra ma per la pace; e anche per l’ordine, che ci chiede di fare le cose una dopo l’altra, adagio, concedendo a ognuna il tempo che richiede. E mentre si parte… fermarsi per riprendersi in mano, per pensare con pacatezza: liberi dalle attività usuali, possiamo guardare dentro di noi e misurarci con noi stessi e con gli altri. Questo che è già importante sul piano umano, assume pienezza di senso se il rivedersi è fatto sotto lo sguardo di Dio, di fronte a cui trova giusta collocazione il nostro essere e agire. E’ un fermarsi per ripartire, per riprendere la strada con quel rinnovato vigore ed entusiasmo che nasce dall’aver riscoperto il senso profondo della nostra vita umana e cristiana. Diventa l’occasione per un’immersione di umanità, riscoprendo il piacere di rapporti umani, autentici e di nuove amicizie; ma soprattutto l’occasione di stare insieme con le persone care per riscaldare le relazioni familiari, per parlare tra i coniugi, per dialogare con calma e attenzione con i figli. Quello che mi aspetta è un grande incognita ma spero di non dimenticare mai che non sto viaggiando da sola. Buone vacanze a tutti! IL NOSTRO GRUPPO AMICO Vittorio Paletta Ciao a tutti “I Nostri” ! Sono Vittorio, il nuovo presidente del Gruppo Amico (d’ora in avanti G.A) e, volentieri, cogliendo l’opportunità di scrivere sul giornale, mi propongo proprio in questo numero che tratta dei “Luoghi della Nostalgia”. Io ho una “certa” e la mia sarebbe un’età in cui tutto è nostalgia. Ciascuna delle tracce del tema che ho trovato sul giornale scorso è nei miei ricordi e, se ci penso un attimo, mi sento un pizzico alla bocca dello stomaco, un brontolìo nella pancia e nel cuore un sentimento dolce come un cucchiaio di miele. Possiamo immaginare la nostalgia come un pozzo che contenga tutti i nostri sogni, i nostri ricordi, le nostre gioie e le nostre sofferenze; rovistando nel pozzo ripercorriamo la strada della nostra vita e….quanta nostalgia intorno a questi ricordi ! Però, come dice la canzone…è un sentimento canaglia: tutti ne abbiamo bisogno, come abbiamo necessità dei sogni e dei ricordi, ma a piccole dosi, perché dobbiamo invece sempre guardare avanti e la nostalgia si addice solo al passato. Noi, come G.A. abbiamo ormai un passato di 20 anni ! Alcuni di voi sanno dell’esistenza del G.A, altri lo scopo e l’attività che svolgiamo , ma pur operando da tanto tempo nello stesso luogo, non ci siamo mai incontrati/scontrati veramente e per questo, andiamo a presentarci, formalmente: “L’Associazione Gruppo Amico Onlus è una associazione di volontariato che opera a Roma dal 1990 nel campo del disagio fisico e psichico con la peculiarità di considerare ciascuno per la propria personale e unica diversa abilità, senza fare distinzione (nello statuto come nella pratica quotidiana) tra persone portatrici di handicap e persone cosiddette normodotate”. Il G.A. è nato 20 anni fa per iniziativa di don Alberto Pacini, viceparroco presso la chiesa di S.Pio X alla Balduina (molti di voi lo ricorderanno e sicuramente con nostalgia). Don Alberto, prete attivo, appassionato e sensibile alle realtà del disagio, iniziò l’impresa di riunire le energie umane disponibili, per canalizzarle verso un’attività di promozione dei diversamente abili, attraverso un cammino di fratellanza e di amicizia..….per questo Gruppo Amico. In vent’anni ne abbiamo fatto di tutti i colori e forme, inventato laboratori, cineforum, pizzate, vacanze estive, scampagnate, realizzato musical ed impegni importanti (e, se ci pensiamo appena un po’, alle vacanze e alla scoperta del mare e dei giochi semplici dei primi anni o ai balli e agli scherzi dei primi Capodanni insieme…..che nostalgia!) Abbiamo anche fatto teatro! Chi di voi non è venuto a vedere il nostro “Forza , Venite Gente”? Negli ultimi cinque anni abbiamo realizzato il Musical in due atti “Vi racconterò una vecchia favola”, scritto e diretto da uno dei soci fondatori del gruppo, Stefano Patassini, con coro dal vivo e la partecipazione di più di sessanta persone tra attori, ballerini e cantanti diversamente e normalmente abili. Lo spettacolo è stato messo in scena in diversi teatri; l’ultima replica si è svolta nella Sala 700 del nuovo Auditorium Parco della Musica a Roma. Un trionfo! E, se pensiamo alle centomila piccole/grandi difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e risolvere, pensiamo con nostalgia all’adrenalina pura e ai battiti del cuore che abbiamo provato ciascuna sera prima di andare in scena ! Oggi, accanto a iniziative ormai consolidate, come la riunione ogni mercoledì (per un incontro assolutamente ludico), la vacanza estiva (ogni anno un luogo nuovo da sperimentare), il Cineforum (con spiegazioni introduttive e dibattiti finali), il Capodanno (con balli, ricchi premi e cotillon), stiamo perfezionando una serie di attività nei cosiddetti “Laboratori”, come momenti di partecipazione di tutte le diverse realtà del Gruppo; la loro finalità è quella di favorire al massimo la socializzazione nonché di sollecitare le capacità creative e gestuali dei partecipanti; agli storici Laboratorio di cucina e di fotografia si sono aggiunti di recente i Laboratori di musica, di informatica, di disegno creativo, il salotto di Max e le gite con Letizia. E poiché siamo molto felici di stare e lavorare insieme stiamo pensando ad un futuro molto prossimo: in occasione del ventennale vorremmo organizzare una grande festa, aperta al quartiere, dal titolo: Il Gruppo Amico racconta “Vent’anni insieme” L’appuntamento è in piazza della Balduina, il 3 ottobre 2010, a partire dalle ore 16 alle ore 21. Il progetto è ambizioso e ci stiamo rompendo la testa per trovare idee e razionalizzare le nostre modeste forze..una cosa è sicura… ancora una volta... ce la metteremo tutta! Per troppo tempo siamo rimasti chiusi nel nostro guscio, ora è giunto il momento di aprirsi e quale migliore occasione di iniziare a scoprire tutte le realtà che vivono nella parrocchia? Insieme potremmo imparare a conoscere la disabilità: troppo spesso e per troppi di noi, essa viene vissuta come un tabù; noi, che un po’ l’abbiamo conosciuta, vogliamo abbattere questo tabù…come? Percorrendo insieme la strada della conoscenza delle potenzialità di amore e di gioia che provengono da persone che soffrono e vivono intensamente….con uno spirito di fratelli e di amici solidali, naturalmente. Vi aspettiamo tutti e pensate negli anni a venire quanta nostalgia proveremo per questo nostro entusiasmo di oggi ! Congratulazioni a tutti e auguri di Buon Lavoro! IL TRENINO L'HULA HOOP RIVAROSSI Per tutti i maschi over 3540 la parola Rivarossi è immediatamente associata ai trenini elettrici. Oltre la semplice nostalgia, evoca e incarna l’Italia della seconda metà del XX secolo, che dalla miseria del dopoguerra si avviava a diventare una potenza economica soprattutto col lavoro di aziende mediopiccole come appunto la Rivarossi. Oltre agli splendidi modelli prodotti, rappresenta qualcosa in più rispetto al puro valore materiale e nostalgico: non solo modelli o giocattoli ma simboli di un’epoca comunque straordinaria e irripetibile. E’ un giocattolo di plastica, di forma circolare. Ha avuto il suo boom negli anni '60. Lo svolgimento del gioco con l'attrezzo consiste nel calzarlo e farlo ruotare costantemente attorno al bacino e anche sugli arti inferiori o superiori e attorno al collo. Uno dei primi record di durata per l'hula hoop è stato stabilito nell'agosto del 1960 dagli undicenni Paulette Robinson, Charles Beard e Patsy Jo Grigby a Jackson, Mississippi, con 11 ore e 34 minuti. L'evento è stato sponsorizzato e trasmesso dalla stazione radio WOKJ. Mary Jane Freeze, di 8 anni, ha vinto una gara di durata il 19 agosto 1976 con 10 ore e 47 minuti, L'attuale record di durata è detenuto dalla statunitense Roxann Rose, con 90 ore, stabilito fra il 2 e il 6 aprile 1987. -4- “AFRICA EXPRESS” VOI CREDETE VERAMENTE CHE I MONDIALI DI CALCIO IN AFRICA…… (NO, IO NON CI CREDO) Al momento in cui questo articolo sarà letto dai nostri amici lettori di “Arrivano I Nostri” saranno in pieno svolgimento i Mondiali di Calcio in Sudafrica. Per la prima volta in assoluto questa competizione si svolge in terra d’Africa e sulla questione, sul suo significato, sull’impatto che avrà, e continuerà ad avere anche in prospettiva, sulla nazione organizzatrice e sull’intero continente sono state scritte migliaia di pagine, versati fiumi d’inchiostro. Nella quasi totalità dei casi tutti si sono trovati d’accordo nel dire che questo evento epocale contribuirà, e farà da volano, per un vero e proprio sviluppo di queste terre, che porterà migliori condizioni economiche e di vita alla gente comune. Io, nel mio piccolo, ho provato a capire cosa potrebbe succedere e se realmente queste aspettative diventeranno realtà. La mia risposta, al momento, però è stata: NO, IO NON CI CREDO. Vediamo alcuni aspetti. 1) L’enorme quantità di denaro che è stata spesa per trasformare il Sudafrica, ed in particolare le aree metropolitane fa sì che oggi questo paese appaia bello, moderno, efficiente. Tutto ciò contribuirà a migliorare anche la vita della intera popolazione o si limiterà a far stare ancora meglio quelli che già oggi stanno bene? Credete che le moderne infrastrutture costruite per l’evento, che la banda larga e wifi di cui il paese si è dotato, le strade ed aeroporti ristrutturati e i grandi parchi naturali con decine di nuovi alberghi di lusso per ricchi turisti occidentali contribuiranno a migliorare la vita dei milioni di disperati che continuano a vivere in enormi bidonville senza altra prospettiva se non quella di morire nelle stesse condizioni in cui sono nati? NO, IO NON CI CREDO. 2) Quando il 15 maggio 2005 la FIFA assegnò l’organizzazione del Mondiali di calcio al Sudafrica si disse che la cosa avrebbe portato ingenti benefici economici a tutta l’area. Ovviamente le opere che in questi 5 anni sono state realizzate hanno determinato una forte spinta all’economia e creato molti posti di lavoro (peraltro limitatamente alle sole nove città “mondiali”). Il problema, però, è che queste condizioni sono solo temporanee e spariranno una volta finito il torneo. Credete, quindi, che tutte le persone che hanno contribuito all’evento saranno reimpiegate in altri lavori stabili che garantiranno loro un reale futuro migliore? NO, IO NON CI CREDO. 3) Nel quinquennio premondiale, proprio per la parzialità dello sviluppo economico e del lavoro, è notevolmente aumentato il tasso di “ineguaglianza” tra ricchi e poveri tanto che oggi il Sudafrica è tra le nazioni con il più ampio divario tra chi ha e chi non ha! Credete che questa situazione, alla lunga, non porterà a manifestazioni di rabbia, violenze e distruzioni? Credete che di tale improvvisa “manna dal cielo” non ne approfitterà la criminalità (peraltro già notevole in un paese in cui avvengono circa 50 omicidi al giorno) per allargare la propria nefasta presenza? NO, IO NON CI CREDO. 4) Uno studio internazionale ha lanciato un allarme particolarmente grave: organizzazioni criminali a livello mondiale si sono già organizzate per soddisfare l’inevitabile richiesta di “carne umana” che avviene sempre in queste occasione! N O T I Z I E , C U R I O S I TA’ E R I C E T T E DAL CONTINENTE NERO a cura di Lucio Laurita Longo E’ previsto che il numero di bambine e bambini, ragazze e donne fatto entrare clandestinamente nel paese durante la manifestazione per prostituirsi con i facoltosi “tifosi” che vorranno divertirsi tra una partita e l’altra, subirà un aumento esponenziale. Le autorità hanno già annunziato che vigileranno in modo tale che ciò non accada. Credete, però, che i circa 500.000 addetti alla sicurezza che saranno mobilitati dall’11 giugno all’11 luglio, cercheranno realmente di stroncare anche questo turpe mercato e non si limiteranno alla sola protezione di stadi, albergi e turisti per evitare danni all’immagine del paese davanti al mondo? NO, IO NON CI CREDO. 5) Quasi tutti i media, tranne alcune autorevoli eccezioni, sono concordi nell’affermare che questa manifestazione farà sicuramente da traino anche per le altre nazioni africane che ne trarranno un sicuro giovamento. Siete sicuri, però, che ciò avverrà anche in quei paesi come il vicino Zimbabwe (solo per fare un esempio) portato, con una inflazione superiore al 250.000 % (esistono in questo paese banconote da un trilione di $), alla rovina economica e sociale dal dittatore Mugabe (al potere da 30 anni) la cui immensa ricchezza personale è frutto dei continui furti degli aiuti internazionali ed il cui motto è: “Solo Dio può destituirmi”? E credete che le centinaia di migliaia di profughi di questo paese, (si parla di circa 800.000 disperati) rifugiatisi in Sudafrica e negli altri paesi limitrofi, siano effettivamente accolti e che verrà data loro una opportunità di vita migliore? NO, IO NON CI CREDO. 6) Hanno detto che l’intera nazione seguirà le partite facendo il tifo per le squadre africane ed in particolare per i Bafana-Bafana (come viene chiamata la nazionale sudafricana). Credete che ciò sarà realmente possibile in un paese dove buona parte delle zone rurali sono prive di corrente, dove per andare a vedere una partita al bar più vicino occorrerebbe fare fino anche 30 km a piedi? Dove l’ente nazionale dell’energia è costretto a continui razionamenti, per consentire alle miniere e alle industrie di andare avanti e dove i black-out sono sempre di più ogni giorno? NO, IO NON CI CREDO. 7) Da ultimo l’ambiente. Questa parte dell’Africa è sicuramente la più bella e la più incontaminata dell’intero continente. Credete, però, che dopo questi 5 anni di “progresso economico ed industriale” (?), non ci saranno effetti negativi sulla qualità dell’ambiente e del territorio anche per la quantità di rifiuti che crescerà drammaticamente e per la quasi totale assenza di impianti di raccolta e smaltimento? Credete che le piccole infrastrutture nazionali di smaltimento e riciclaggio, che si vedranno improvvisamente sommerse da milioni di bottiglie, lattine e tonnellate di rifiuti di ogni genere, riusciranno a farcela senza andare ad incrementare le immense discariche a cielo aperto che ci sono ovunque ma che non ci hanno mai fatto vedere perché gli stadi sono più belli, e puzzano meno! NO, IO NON CI CREDO. Non voglio certo rovinarvi la visione dei mondiali di calcio, per carità! Come molti di voi sapranno anche io sono un grande tifoso di calcio e, quindi, guarderò le partite in televisione. Vorrei, però, che anche voi, come me, ogni tanto, magari nell’intervallo di un Germania/Brasile o Italia/Spagna, lanciaste una occhiata oltre gli spalti e il magnifico tifo che la gente del posto farà, oppure vi dedicaste a letture o programmi di approfondimento sul tema che sicuramente usciranno in questo periodo. Potrete così vedere che, al di là delle luci e dei colori, dell’allegria, dei suoni delle “vuvuzelas” (trombette di plastica che emettono un suono assordante) e delle facce sorridenti e felici che ci verranno proposte ogni istante, vi sono ancora milioni e milioni di persone disperate, che nulla hanno a che vedere con i mondiali, che ogni ora, ogni giorno, ogni mese e da troppi anni, muoiono di fame, malattie, violenza, dopo aver vissuto una vita con un reddito di un dollaro al giorno (se va bene) e senza mai aver mai visto uno stadio e una partita in vita loro! E, purtroppo, neanche una fetta di carne! Allora, forse, aver visto una partita di calcio avrà un senso diverso e se l’arbitro non ci avrà dato un evidente rigore…… chi se ne frega! -5- RICORDO DI MARINA Cesare Catarinozzi Quei primi giorni dell’asilo dalle suore polacche, quando comparve una bimba con il grembiulino bianco: tu, Marina, sei una delle prime immagini della mia infanzia. Le nostre famiglie fecero amicizia. Molti anni più tardi tu avesti bisogno di lezioni private di latino e tua mamma volle che te le impartissi io: abitavamo di nuovo vicino, alla Balduina. Rosa, la rosa… ed io stavo prendendo una bella cotta per te. Dipingevi, mi regalasti un tuo quadro. Andava allora anche in voga la canzone “Marina” di Rocco Granata. Quella festa da ballo tra ragazzi a Belsito, quei balli guancia a guancia… “Quando l’accompagno a casa la bacio” pensai. Ma venne a riprenderti tua madre e l’occasione sfumò. Poi lo scenario cambiò, non ci fu più un’altra occasione, finirono anche le lezioni di latino. Di nuovo ci rivedemmo molti anni più tardi, a Ostia. Tu, con altre due maestre, avevi fondato un asilo, “Primi passi”. Mi portasti a visitarlo e rileggemmo anche insieme le poesie che un tempo ti scrivevo. <<Adesso posso dirtelo>> affermasti <<Ma tu mi piacevi moltissimo. Poi ti vidi ballare sempre con la mia amica Loretta e ti segnai sul mio “libro nero”>>. Eravamo tutti e due ormai sposati. <<Ma nella prossima esistenza>> dicesti tu <<ci faremo i segnali per riconoscerci e ci sposeremo.>> Venisti a vedere “La locandiera” di Goldoni, da me ridotta e diretta con un gruppo di ragazzi e ragazze. Eri una mia immeritata ammiratrice. Passarono ancora molti anni prima che ci risentissimo per telefono. <<Ho delle cellule negative >> mi dicesti <<Sto facendo la chemio, ma presto tornerò al lavoro.>>. Ci risentimmo tutti i giorni e tu mi trasmettevi il tuo ottimismo. Ricordavamo i tempi passati, ridevamo insieme del malinteso dei miei balli con Loretta. Sembravi guarita, tornasti al lavoro e ti festeggiarono. Dopo un po’, però stavi nuovamente male e riprendemmo l’abitudine delle telefonate. Finché un giorno sembravi irreperibile, finalmente riuscii a trovare per telefono tuo fratello e gli chiesi: <<Come sta Marina ? >> <<Marina è morta>> mi rispose lui. Il cancro ti portò via, ma non potrà mai portar via il tuo ricordo dal mio cuore. Scivolano nella mia mente le immagini del nostro rapporto, vedo te e me come in un caleidoscopio rovesciato. Rivedo in particolare quella bambina dell’asilo, quei balli guancia a guancia nelle nostra festa di ragazzi… Marina, Marina, dolce ricordo della mia infanzia e della mia giovinezza, sei viva nel mio cuore. Se esiste veramente una seconda esistenza (per la verità io non credo alla reincarnazione, ma alla resurrezione), ma se esistesse, ecco, io quel bacio mancato te lo darei. C’ERA UNA VOLTA. NOSTALGIA DI PERSONE E DI LUOGHI Maria Rossi C’era una volta la Madonnina pellegrina… e il 31 maggio nel giardino della nostra casa si chiudeva il mese mariano. Era la prima metà degli anni Sessanta e a San Pio X c’era questa bella tradizione. In ogni palazzina, in ogni cooperativa, una famiglia ospitava la Madonnina per il Rosario serale; da noi era il 31, la chiusura. Forse perché eravamo tante noi, forse perché nella palazzina c’era una banda di ragazzi e bambini tra i 20 e gli zero anni (ben 4 famiglie su 9 avevano più di quattro figli: roba di altri tempi!), il nostro giardino si prestava bene e in quel mese era tutto un andare da una casa all’altra della Balduina; ci scambiavamo la visita e recitavamo insieme il rosario. Ho alcune vecchie foto. Tanti ragazzi, con i vestiti estivi appena cambiati. Sì, perché il 31 maggio era anche l’inizio della nostra estate e dei vestiti leggeri, e anche la prova di questi vestiti era una specie di rito: da un anno all’altro non stavano più; eravamo più alti, eravamo cresciuti. Pensavo a queste fotografie, a questi ragazzi, quando pochi giorni fa, il 31 sera, con una celebrazione molto bella abbiamo concluso in parrocchia il mese di maggio. Nostalgia? La fotografia presenta un mondo di tanti anni fa, e anche quei vestiti sono un po’ buffi. Ragazzi e ragazze hanno fatto la loro strada di uomini e di donne, i bambini sono cresciuti; qualcuno non c’è più, qualcuno non so dove sia finito. Molti di loro hanno figli e nipoti ed hanno avuto una vita diversa, probabilmente, da quella che sognavano. Ho nostalgia di loro, delle persone, perché la nostalgia è delle persone; la nostalgia dei posti, dei paesaggi, è tale, secondo me, solo perché è legata alle persone. Persone a cui abbiamo voluto bene, che abbiamo amato, a cui abbiamo dato fiducia; ed è anche un po’ nostalgia di come noi stessi eravamo tanti, o pochi, anni fa. Anche se la vita ci ha portato sofferenze e delusioni (come è inevitabile per tutti) , non vorrei tornare indietro. La vita è sempre davanti e quello che sono oggi, anche se è stato ed è a volte faticoso e sofferto, mi piace più di quello che ero ieri. Non tornerei assolutamente indietro, perchè la meta è davanti per tutti noi, anche a 90 anni, se abbiamo fatto del nostro meglio per crescere, maturare ed imparare. Ognuno di noi, però, ha nostalgia del bambino che era; perché un bambino è convinto che tutti lo amino, ha fiducia; come un ragazzo è sicuro di cambiare il mondo. Per questo trovo le vecchie fotografie bellissime. Nelle vecchie foto della grande casa in collina delle mie vacanze ci sono proprio tutti. Da lì sono passati zii, nonni, cugini, amici di tutte le fasi della vita. Lì abbiamo festeggiato (e ancora lo facciamo qualche volta) ricorrenze e anniversari. I racconti dell’ultima guerra, del quartier generale tedesco e delle camionette tra le mortelle del giardino, degli ebrei nascosti nelle grotte in campagna, delle provviste che si riportavano a Roma in autunno, si uniscono alle partite di pallavolo, alla musica dei “mangiadischi”, alle cene, alla prima cinepresa, alle risate, ai primi innamoramenti di tanti di noi. Provo tenerezza per quelli che eravamo, per i nostri genitori giovani e belli, molto più giovani di quanto siamo noi oggi. La villa è sempre là, con un aspetto materno, con le persiane verdi, con il grande giardino che allora ci sembrava immenso e anche il giardino della casa di Roma, quello della Madonnina del 31, è sempre lì…sono le persone che non ci sono più, o che sono tanto diverse. Scrivendo queste righe mi tornano in mente tanti altri luoghi e tante persone. I campi estivi dei ragazzi e delle ragazze della parrocchia in montagna, sulle Dolomiti, in Lombardia, in Veneto sempre in quegli anni; le messe al campo, sotto gli alberi e vicino ai ruscelli, i falò la sera, la chitarra, le canzoni; i giochi, le scenette, gli scherzi, i mal di pancia…le camere e le camerate dove dormivamo, o meglio parlavamo, fino a tarda sera. Serenità e spensieratezza. Pochi giorni fa siamo stati con circa settanta dei ragazzi che faranno la Cresima in settembre ad Arcinazzo per un ritiro di due giorni e mezzo; pochissimo se confrontato ai nostri campi di tanti anni fa, ma oggi i ragazzi e gli adulti hanno mille impegni e altre priorità. Sono stati giorni e momenti molto belli, intensi e ricchi dal punto di vista spirituale, festosi e allegri nello stesso tempo. Impegnativi per don Paolo e don Gianni, ma belli anche per noi catechisti che siamo stati bene tra noi con maggiore tranquillità e serenità di quanto ci capiti normalmente. Se queste giornate, come spero e mi auguro, resteranno nel cuore dei ragazzi perché hanno lasciato loro qualcosa d’importante, se tra tanti o pochi anni le ricorderanno con gioia, se guardando qualche foto proveranno dolcezza, allora: W la nostalgia! Perché queste sono le cose belle che restano nella vita. Romanzi e poesie sono pieni di nostalgia, la letteratura italiana ed europea di tutti i secoli. Cosa è, se non nostalgia, quello che riporta l’errabondo Ulisse ad Itaca, o tutti gli esuli e i viaggiatori in patria? Cosa è, se non nostalgia, quello che spinge chi crede a pensare e a sperare il Paradiso? Cosa è, se non nostalgia, quello che ci fa ascoltare vecchie musiche, cantare vecchie canzoni o sfogliare vecchie foto? Nostalgia di cose e di persone, soprattutto. Potrei fare tantissime citazioni ma mi viene da pensare a Montale che scriveva con affetto della moglie morta: “Ho sceso dandoti il braccio un milione di scale… con te le ho scese perché sapevo che di noi due/ le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/ erano le tue.” (Satura) Allora, guardiamo le vecchie foto e ricordiamo con tenerezza le persone cui abbiamo voluto bene; è bello dire “c’era una volta” per ricavarne e conservare qualche buon ricordo per il futuro, sperando di costruirne - e lasciarne - uno sempre migliore ai nostri ragazzi. -6- MEDJUGORJE Alessandra Angeli Sono stata a Medjugorje nel maggio del 2008 con tutta la famiglia. Appena arrivata, ricordo di aver riflettuto che il paesino era alquanto “bruttarello” ed in certe parti addirittura trasandato: non c’era quell’ impatto tipico con i luoghi religiosi, sempre ordinati e ben curati. Ma, a mano a mano che ci si avvicinava alla collina delle apparizioni, a ridosso delle ultime stradine, “l’aria” cambiava. Fatti pochi passi sul tratto roccioso, ecco il pensiero che ancora ricordo lucidamente: ”Oddio, ma io da qui, tra quattro giorni me ne devo andare!” La sensazione di Casa, di Verità, di Pace, di aver raggiunto e sfiorato l’inizio e la fine di tutto. Più avanti a me vedo un giovane in ginocchio in preghiera; allora scacciate vergogna e timidezza, mi genufletto. Ho cominciato a piangere così, senza un motivo preciso, di gioia, di liberazione. Non la smettevo più. Giri, giri tutta la vita cercando la ricetta della felicità ed ad un certo punto, all’improvviso, te la ritrovi fra le mani. Io sono andata a Medjugorje con la sicurezza che fosse tutto vero: avevo avuto una grazia che solo dopo ho meglio compreso ed onorato; volevo baciare la terra dove la Madonna appare da lunghi anni; ero preoccupata di non fare in tempo, di perdere un’occasione così unica: tutto questo non durerà per sempre! Ancora adesso, quando capita qualche trasmissione in tv o qualche rivista ne parla, mi salgono le lacrime agli occhi, mi si aggroviglia lo stomaco: è come se per un attimo vi fossi più vicina ed il contatto, se pur non diretto, mi scuote ancora. Ma quale suggestione collettiva! Sono passati due anni da quel pellegrinaggio. Ho lasciato decantare dentro di me quest’esperienza, vedere cosa succedeva; ne sto scrivendo solo ora, a freddo. Vedo le interviste a persone sconosciute che descrivono le stesse sensazioni che ho provato io, e non ci siamo certamente messe d’accordo! E’ vero, non tutti tornano “toccati” ma un motivo c’è: è questione di “antenne!” Se sono spezzate, arrugginite, o sono alte poco più di una spanna non “senti”: si percepisce in proporzione alla loro vitalità. Quella Luce penetra a seconda della durezza del nostro cuore. Non si deve andare per cercare con gli occhi qualche immagine luminosa o qualche evento straordinario. Ci si deve inginocchiare, chiudere gli occhi, chiedere perdono, chiamarLa col pensiero. Lei non aspetta altro che La cerchiamo, non con i nostri 5 sensi ma con l’anima. Milioni di persone da tutto il mondo, conversioni, file ai confessionali multilingue. La gente in chiesa non canta a mezza bocca, ma col cuore, perché finalmente intuisce cosa vuol dire partecipare alla Messa. E allora perché la Chiesa non ha ancora riconosciuto tutto ciò? Perché per intervenire aspetta che gli avvenimenti si esauriscano. I riconoscimenti di fatti soprannaturali richiedono tempo e prudenza. Ma la parrocchia è affidata ai francescani, non a qualche strana setta. I pellegrinaggi sono sempre accompagnati da un sacerdote. E chi non ha mai sentito la famosa frase di Giovanni Paolo II: “Se non fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare”. Cosa aspettiamo NOSTALGIA O RICORDO? Paola Baroni Mi domando se nell’accezione semantica della parola “nostalgia” ci sia qualcosa che non solo ci rimanda al passato ma anche a qualcosa di negativo o scaramantico. Questa parola, cioè, ci può rimandare a credere che abbiamo perduto qualcosa di definitivo? E come fare per” riacciuffare” il passato? La nostalgia è gioia nel ricordo o tormento del passato ? Quando penso ai periodi dell’infanzia, alla spensieratezza con cui si affrontavano tutti i tipi di problemi che allora non sembravano poi così’ importanti e, al contrario, si percepiva l’affanno e le preoccupazioni degli adulti, ci si sentiva un po’ disorientati. Io sono abbastanza “antica” da ricordare le corse sulla spiaggia levigatissima e bianca di Anzio, il mare trasparente che con piccole onde arrivava sull’arenile dove i pescatori riordinavano le loro reti lavorando con le mani e reggendo le reti ...con i piedi. Lontano, da Nettuno, si sentivano i colpi sparati dal “Poligono” e sembrava una festa, e invece ci si preparava alla guerra. Malgrado tutto questo io ho una profonda nostalgia di quel mare, di quei giorni trascorsi a giocare con i miei piccoli amici ! Certo che i ricordi dell’infanzia sono strani davvero. La guerra è stata terribile, le sirene degli allarmi incutevano terrore, tutti correvano nei rifugi, e noi? Corri, corri, si va a giocare tutti insieme per i corridoi stretti delle cantine armate di travi di legno che, secondo gli adulti, avrebbero dovuto resistere ai cinque piani che stavano sopra di noi!!! Avevamo meno di dieci anni e ci hanno perdonato sempre tutto il nostro chiasso. Però venne un giorno terribile mentre eravamo laggiù: si sentirono i rombi dei motori degli aerei sempre più vicini, andò via la luce e contemporaneamente si sentì uno spostamento d’aria, le porte delle cantine tremarono con violenza..., tutti indistintamente ci mettemmo a urlare o a piangere; era la fine! Il nostro parroco, con gli altri sacerdoti della Parrocchia che veniva sempre nei nostri rifugi perché loro ne erano privi, con grande commozione ( me lo ricordo benissimo) ci impartì la benedizione “in ancora? Da quel maggio 2008 per me è stato un crescendo. Qualche volta escono notizie che vi gettano fango? E che pensate che il demonio se ne stia con le mani in mano a guardare? O piuttosto non organizzi il contrattacco, cercando di allontanarcene in ogni maniera possibile. Sono quasi 30 anni che la Madonna appare e ci lascia i Suoi messaggi. Qualcuno potrebbe dire che sono difficili e ripetitivi: la verità e che siamo noi che non capiamo, vanno come decodificati. In tutto questo tempo quanti viaggi in giro per il mondo abbiamo fatto? Quanti week-end e quante settimane bianche? Possibile che ci sono persone che attraversano il globo e noi italiani, così vicini, non riusciamo ad organizzarci? Credete, ma ritenete di non averne bisogno? La vostra fede vi basta? Pensate ad un contemporaneo di Gesù che, adagiato nell’ osservanza della Legge, è rimasto a lavorare il campo invece di correre a vedere se quello che si diceva in giro era vero. Credete che sia tutta una balla? Ma il Vangelo non ci insegna ad essere prudenti e vigili? Degli avvenimenti che vanno avanti dal 1981 non meritano di essere quantomeno indagati? Andate di persona a controllare e poi giudicherete. Questo vale anche per chi i non credenti. Inoltre ci sono dei segreti che riguardano il futuro dell’intera umanità, che dovranno essere svelati a tempo debito; i veggenti sono nostri contemporanei, tutto questo potrebbe riguardarci o riguardare i nostri figli. Non sarebbe saggio cercare di capire se e che cosa sta succedendo? E’ vero, il male nel mondo c’è sempre stato, ma andiamo più in profondità: stiamo diventando dei “senza Dio”. Quest’ umanità inebriata di innovazioni tecnologiche, in un delirio di onnipotenza, sta perdendo la bussola; non ha più il senso delle proporzioni, sta regredendo anche nelle leggi di natura, sempre più moralmente abbrutita e vuota. Gli uomini non erano mai giunti a massacrare il pianeta che li ospita, ad alterare i propri corpi, quello di cui si nutrono e l’aria che respirano; a possedere armi sufficienti a saltare tutti in aria da un momento all’altro, e la lista sarebbe ancora lunga. C’è veramente da meravigliarsi che la Madonna appaia da così lungo tempo, spesso in lacrime, invocando la pace e la conversione dei cuori? Io non ne ho alcuna certezza, ma mi sento in dovere di condividere con voi una considerazione che faccio riflettendo sul tutto, pur se a malincuore: il fatto che forse, nei prossimi anni, si potrebbe “ballare”, come quando in aereo s’incontrano delle turbolenze. E se la Madonna stesse qui da circa 30 anni per rifornire le nostre anime e i nostri corpi di giubbottini salvagente e maschere per l’ossigeno? E se volesse che attivassimo una sorta di passa-passa ai nostri contemporanei o alle generazioni future? Allora forse è il caso di muoversi: c’è l’estate di mezzo, andate a dare un’occhiata; cercate su Internet, leggete libri, tenetevi informati. Non abbiate paura ma siate vigili. Sappiate che anni fa io ero una che faceva finire nel cestino i messaggi che mi portava mia madre. Poi ho smesso. Sapete come si concludono tutti i messaggi? Con questa dolcissima frase materna: “Grazie per aver risposto alla mia chiamata”. Forse, stavolta, sta chiamando anche voi. articulo mortis”. Abitavo nel quartiere Italia e per nostra fortuna riuscimmo a rivedere il sole, ma il quartiere San Lorenzo fu praticamente raso al suolo. Ho raccontato questo perché per me oggi non è solo un ricordo , ma stranamente è provare una immensa nostalgia di quei tempi, quando si stava tutti insieme, quando ci si voleva bene e ci si aiutava come si poteva, con il cuore, con l’azione, con l’entusiasmo. Un pensiero affettuoso vada a Padre Lorenzo che da lassù, sono sicura, cerca di aiutarci ancora. E di pensieri ce ne sarebbero all’infinito, ma non tutti “nostalgici”. Ci sono cose che vorrebbero essere dimenticate senza rimpianti, ma non sempre è facile riuscirci; allora si può fare della scaramanzia? So che molte persone applicano questa stupida regola. Non è molto meglio a questo punto affidarsi alla saggezza di Dio? Il passato non torna più, si dice, il futuro non ci appartiene, allora? Ritorniamo al vecchio “carpe diem” di scolastica memoria? Nella vita moderna , la vita di oggigiorno intendo, nel nostro sistema demo-capitalistico sembra proprio che valga questa regola. Non importa quello che sarà, basta vivere bene oggi, non curarsi del prossimo altro che a parole, ma senza essere coinvolti in prima persona. Questo è quello che appare ora nella nostra civiltà consumistica malgrado la crisi economica e del lavoro. Eravamo forse più buoni, più umani, più sinceri anche se più esposti a vari pericoli che la scienza ha ormai in gran parte debellato. Nostalgie d’un amore perduto, di un desiderio inappagato, di una vita che sarebbe stata totalmente differente se..... Tutto questo lascia il tempo che trova, forse la nostalgia è solo un non voler “agire” nel presente, non volersi mettersi in gioco aiutando chi ha bisogno e diritto ad una vita dignitosa per se stesso e per la propria famiglia. Una particolare nostalgia, che ho in questo momento rileggendo tutte queste mie chiacchiere, è il lavoro che ho svolto per qualche anno come assistente sociale nell’ “Onarmo” e che mi ha dato, malgrado fossi allora giovanissima, una carica eccezionale dal punto di vista umano! Ora scrivendo tutto questo mi torna la voglia di combattere, di agire, di “fare”. Lasciamo le nostre nostalgie e malgrado ....,ahi! ..l’età , mettiamoci al ...lavoro!!! -7- DON TONINO BELLO Un profeta dei nostri tempi Cesare Catarinozzi “Quando vi rivolgete a Maria nella vostra preghiera, chiedetele che vi dia anche tanta capacità di sogno, non chiedete solo cose terra terra. Chiediamo alla Vergine che ci dia le calde utopie che riscaldano il mondo.” (don Tonino Bello) Don Tonino (Alessano, 18 marzo 1935 – Molfetta, 20 aprile 1993), è stato un vescovo cattolico italiano. Trascorse l’infanzia in un paese ad economia agricola ed impoverito dall’emigrazione. Assistette alla morte dei fratellastri e del padre. Dopo gli studi presso i seminari di Ugento e di Molfetta, don Tonino venne ordinato sacerdote l’8 dicembre 1957. due anni dopo conseguì la licenza in Sacra Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e nel 1965 discusse presso la Pontificia Università Lateranense la tesi dottorale intitolata I congressi eucaristici e il loro significato teologico e pastorale. Nel frattempo, gli era stata affidata la formazione dei giovani presso il seminario diocesano diUgento, del quale fu per 22 anni vice-rettore. Dal 1969 fu anche assistente dell’Azione Cattolica e quindi vicario episcopale per la pastorale diocesana. Sin dagli esordi, il ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. Sua la definizione di “Chiesa del grembiule” per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione. Nel 1985 venne indicato alla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana a succedere a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nel ruolo di guida di Pax Christi , il movimento cattolico internazionale per la pace. In questa veste si ricordano diversi duri interventi: tra i più significativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Colle, e contro l’intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un’opposizione così radicale da attirarsi l’accusa di istigare alla diserzione. A seguito dell’unificazione delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo disposta dalla Congregazione per i Vescovi il 30 settembre 1986, viene nominato primo vescovo della nuova divisione ecclesiastica pugliese. Nel settembre del 1990 fondò, coadiuvato dal movimento Pax Christi, a Molfetta (Bari) la rivista mensile Mosaico di Pace.Benché già operato di tumore allo stomaco, il 7 dicembre 1992 partì insieme a circa cinquecento volontari da Ancona verso la costa dalmata dalla quale iniziò una marcia a piedi che lo avrebbe condotto dentro la città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile. L’arrivo nella città assediata, tenuta sotto tiro da cecchini serbi che potevano rappresentare un pericolo per i manifestanti, fu caratterizzato da maltempo e nebbia. Don Tonino parlò di “nebbia della Madonna” (celebrata, appunto, in data 8 dicembre). Morì per il cancro a Molfetta il 20 aprile 1993. Campione del dialogo, costruttore infaticabile di pace, pastore mite e protettore dei poveri, degli immigrati e degli ultimi. Profeta della speranza, infaticabile testimone dell’amore di Cristo nel tempo, cantore della bellezza nella molteplicità delle sue espressioni, nostro e indimenticabile poeta e profeta…dell’aurora… Scrittore ispirato, per la freschezza e l’originalità dello stile, per la profondità del messaggio, per la forza del suo linguaggio, capace di parlare ai giovani, agli adulti, lontano o impegnati nella Chiesa, agli ultimi, a ciascuno, personalmente. La sua scelta pastorale vissuta nell’opzione radicale per gli ultimi, il suo impegno per la promozione della pace, della non violenza, della giustizia e della solidarietà lo rendono ancora oggi, a distanza ormai di 16 anni dalla sua morte, uno dei più audaci profeti dei nostri giorni. MEGLIO LA NOSTALGIA ! Pietro Gregori Il grave fatto terroristico avvenuto lo scorso 17 maggio in Afghanistan, dove hanno trovato la morte due nostri alpini e ne sono rimasti feriti altri due, mi fa ritornare alla mente un episodio, per molti aspetti similare, in cui è rimasta coinvolta la mia famiglia nel lontano 1931. La mattina del 2 luglio di quell’anno, mio padre, nella sua qualità di ispettore doganale, si era dovuto recare presso lo scalo ferroviario della stazione Roma Tiburtina, per controllare un carro merci che era giunto a Roma senza la prescritta “punzonatura”.Sul luogo si trovavano già un impiegato delle Ferrovie dello Stato ed un manovale. Pochi minuti dopo da quando tutti e tre erano saliti sul vagone, si verificò una tremenda esplosione che scoperchiò addirittura il veicolo, uccidendo all’istante i due accompagnatori di mio padre. Lui si salvò per un vero miracolo trovandosi in quel momento al riparo dietro una colonna di cassette che contenevano, si disse, macchine da scrivere. Ciò malgrado, mio padre rimase ferito in vari punti sul lato destro del corpo, per cui fu ricoverato presso il Policlinico Umberto I. Io mi trovavo in casa con i fratellini, entrambi più piccoli di me, e la giovane domestica, quando verso le 12,30 suonò il campanello del portoncino: era un collega di papà che veniva ad avvisarci del fatto, attribuendone però la causa all’essergli “caduta una cassa su un piede”. Non aveva ancora finito di parlare quando giunse in casa il nonno Luigi, il quale, non appena ebbe appreso l’accaduto, si precipitò in istrada accompagnato da quel signore, con l’intento di recarsi subito all’ospedale. Quando, dopo un paio d’ore di ansiosa attesa, il nonno ritornò, si gettò immediatamente in ginocchio davanti ad alcune immagini sacre collocate su una sorta di altarino che tenevamo e, con profonda commozione, formulò una preghiera di ringraziamento per lo scampato pericolo del figlio. Certo per lui doveva essere stato tremendamente difficile evitare di pensare al peggio, visto che a noi piccoli, meno di un mese prima, era venuta a mancare la mamma! Nel pomeriggio del giorno successivo si presentarono a casa nostra due cronisti del quotidiano “Il Popolo di Roma” che, dopo aver chiesto notizie sulla famiglia, scattarono a noi bambini una fotografia poi pubblicata sul loro giornale. E questo il giorno dopo uscì con un articolo che occupò quasi l’intera pagina dedicata alla cronaca cittadina, dal titolo: “14 FIGLI DI LAVORATORI, E DI ESSI 11 ORFANI, SOFFRONO PER IL NEFANDO BRUTALE ATTENTATO”. Apprendemmo così, tra l’altro, che le due povere vittime avevano lasciato rispettivamente tre e otto figli e che il vagone della morte proveniva dalla città francese di Modane. Quanto ai responsabili del vile fatto di sangue, il regime allora vigente ebbe a dichiarare trattarsi di fuorusciti antifascisti. Come è avvenuto in questi giorni per gli alpini assassinati, gli strazianti funerali dei due sventurati furono tenuti, con grande partecipazione di popolo, proprio nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Anche mio nonno volle essere presente, conducendomi con lui, ma, essendo noi arrivati un po’ tardi, dovette farsi largo tra la numerosa folla contenuta dalla forza pubblica e chiedere a questa di poter passare pronunciando con gravità le parole: “Sono il padre del ferito”. Al termine del rito, le salme furono deposte su altrettanti carri funebri, quelli tirati da cavalli che si usavano all’epoca, e fu formato un mesto ma imponente corteo che, passando davanti alla stazione Termini, si sciolse in piazza Indipendenza. SORRISI Gregorio Paparatti Una signora ultracentenaria è diventata trisnonna. Davanti al neonato,dopo averlo ammirato a lungo mentre la mamma gli faceva il bagnetto mormora: ”Se mi ricordo bene questo deve essere un maschietto”. * Il maestro alla classe: “Chi mi sa indicare sulla cartina dove è l'America? -8- Chiara si alza e la indica. “Bene; adesso sapete dirmi chi ha scoperto l'America?” Tutta la classe in coro:”Chiara !” * “Perché piangi?”-domanda la mamma preoccupata al suo bambino. “Guardavo papà fare un lavoro e ad un certo punto si è dato una martellata su un dito” -”o mi sarei messa a ridere” - dice la mamma. “Anch'io.Ma papà mi ha dato un ceffone.” NEL FAVOLOSO MONDO DELLA PANTANOSTALGIA Marco Di Tillo I capoccioni degli Oroscopi sostengono che noi del Cancro siamo il segno più nostalgico di tutti, sempre ancorati al passato e assai poco proiettati verso il futuro. Forse è proprio vero. Ad esempio io, cancerino d.o.c., del passato salverei tutto. O quasi tutto. Ad esempio salverei quella nevicata eccezionale del febbraio 1956 durata per diciassette giorni consecutivi. Avevo 5 anni. Un po’ ero felice, un po’ arrabbiato perché la neve aveva ricoperto completamente il mio campo da calcio, ovvero la strada davanti casa. I miei figli sostengono che chi è nostalgico è pure un sacco triste. “I ricordi ti fanno du’ palle così, papà. So’ da vecchi rimbambiti. Pensiamo ad oggi, invece. C’andiamo al cinema? Si o no?” Sarà vero quello che dicono i miei figli? Che i ricordi sono tristi ? Secondo me, dipende da come giriamo la questione. L’uomo è il miglior computer esistente al mondo. La sua memoria può contenere un’infinità di file che sono suddivisi in categorie, sottocategorie, immagini, azioni, frasi, discorsi, sensazioni. Ricordi, appunto. Il computer-uomo è anche molto sofisticato. Ad esempio non bisogna usare il mouse, basta un piccolo flash del cervello azionato a dovere ed eccoti spuntare davanti tutto quello che fa parte di te, della tua storia, del tuo percorso umano. Puoi rivedere tutto, se vuoi, anche ad occhi chiusi anzi, soprattutto ad occhi chiusi. Puoi farlo di giorno, di notte, mentre guidi, mentre stai sul treno, mentre fai la doccia tutto insaponato. Quando ti pare. E’ una banale ripetizione, un meccanismo semplice, così come hai già fatto rivedendo decine di volte quel bellissimo film o riletto lo stesso libro. Quante volte sei tornato nello stesso museo a rivedere quel quadro fantastico o a soffermarti davanti a quella prodigiosa scultura? E tutto questo sarebbe triste? Allora dovrebbe essere molto triste anche mangiare il tiramisù oppure i bucatini alla amatriciana per la centomilionesima volta. Che gusto c’è a provare sempre lo stesso sapore? A parte il fatto che provare sempre lo stesso sapore, se è un sapore buono, potrebbe essere molto piacevole, mettiamola così, invece, diciamo che non è mai lo stesso sapore. A volte nel tiramisù c’è troppa crema, i bucatini sono un po’ più scotti, il sugo è venuto diverso perché i pomodori non erano quelli giusti. Così anche le nostalgie. Le immagini che rivediamo sono sempre le stesse ma è il momento in cui scegliamo di rivederle che magari è cambiata qualcosa dentro di noi. Abbiamo bisogno, ad esempio, di essere malinconici in quel momento oppure urge una forte scossa di adrenalina, oppure necessità di riflettere, di pensare, di rivedere qualche persona importante del passato che ci trasmetta nuove forze con le sue parole, con il suo sguardo. Insomma tante diverse implicazioni e possibilità di un solo ricordo che pro- voca risposte diverse. E allora eccole le mie “tristi” nostalgie. Quelle del signor Luigi, il mondezzaio che veniva direttamente a casa, del pecoraio che tosava le pecore sul nostro terrazzino e ci vendeva la lana per i cuscini ed i materassi e anche della cara tata Cesira, simpatica e strafottente, con i suoi ricordi dell’Umbria contadina. Ho nostaglia del muretto dell’angolo dove ci ritrovavamo dopo i compiti per giocare a figurine, a battimuro, a tre tre giù giù. Delle mie estati in montagna a Penia di Canazei e di quel luogo magico che io ed il mio amico Paolo, oggi architetto, avevamo “scoperto”. C’era un ruscello in una piccola vallata silenziosa. Nessun rumore. Solo quello dell’acqua che scorreva. Saremmo potuti restare lì per sempre tanta era la pace che ci circondava. Giurammo che se le cose della nostra vita fossero andate male, sapevamo dove tornare per poter ritrovare un po’ di pace. L’avevamo soprannominato “il posto azzurro”. Ci sono tornato, due anni fa. Ma il posto azzurro naturalmente non c’è più. Al suo posto sorge oggi un grande albergo, una SPA come si chiamano ora ‘sti posti con le piscine, i campi da tennis ed i massaggi a gogò. Ho nostalgia del primo film che sono andato a vedere con i miei amici e senza l’accompagno dei genitori. Era “Le vacanze di Monsieur Hulòt” di Jacques Tati. L’ho rivisto tempo fa. E’ mejo di prima. Almeno lui resiste ancora. Della spiaggia bianchissima di Stintino in Sardegna, dove nell’estate del 1970 facemmo campeggio libero e giocammo un’interminabile partita undici romani contro undici sardi. Il Cagliari di don Paolo aveva appena vinto lo scudetto ma il goleador di quella partita non fu Gigi Riva ma il sottoscritto. Oggi su quella spiaggia non si riesce più neanche a camminare per la folla che c’è e, naturalmente, sul prato dove noi campeggiammo c’è il solito albergone con campi da tennis e piscine. E come ti sbagli ? Ho nostalgia di Papa Giovanni XXIII, della sua simpatia, del suo sorriso e di quella volta che mia madre mi portò a vederlo parlare in piazza San Pietro. Ho nostalgia delle partite a scopetta del sabato pomeriggio con mia nonna quando lei mi raccontava della sua infanzia a Trastevere. Delle Olimpiadi di Roma del 1960 in cui vidi molte gare compresa la vittoria del nostro Livio Berruti sui duecento metri. Nostalgia dell’abbraccio di Madre Teresa quando l’andavo a prendere all’aereoporto. Della mia chitarra Eko elettrica e del gruppo rock. Della prima volta che ho visto Venezia, a otto anni e mi sembrava di passeggiare nel mondo delle fiabe. Nostalgia della notte dello sbarco sulla luna. Dei miei viaggi in cinquecento, quattro deficienti più i bagagli ed un’estate intera da vivere con pochi soldi in tasca e gli occhi pieni di curiosità. Nostalgia della cena con i miei compagni di liceo, dopo 30 anni dal diploma. Eravamo stati ragazzetti insieme e ci ritrovamo ora attempati signori di cinquant’anni. Abbiamo pianto, ci siamo abbracciati e dopo abbiamo riso e scherzato, come prima. Nostalgia del giorno del matrimonio con mia moglie davanti a Dio e di quando abbiamo festeggiato le nostre nozze d’argento 25 anni dopo. Nostalgia di tutti i momenti belli passati con i miei figli da quando sono venuti al mondo e anche di quando dicono: “Nostalgia? Che palle, papà.” GIANNI RIVERA IL FLIPPER Conosciuto in inglese come “Pinball”, è un gioco di origini americane, molto diffuso con tale nome in Italia, Francia ed altri paesi europei a partire dagli anni cinquanta, soprattutto in bar e locali pubblici. Il termine flipper deriva dalle piccole alette comandate da pulsanti esterni con le quali il giocatore può colpire una biglia d'acciaio mirando a bersagli posti su un piano inclinato coperto da un vetro trasparente. Ogni singolo bersaglio o combinazione di bersagli colpiti apporta un punteggio differente. Soprannominato Golden boy, "ragazzo d'oro" del calcio italiano, è stato il primo calciatore del nostro paese a vincere, nel 1969, il Pallone d'oro. Occupa la ventesima posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX° secolo. A parere di molti esperti è stato il miglior giocatore italiano di sempre. Indimenticabile il suo quarto goal alla Germania nella semifinale dei Mondiali ‘70 in Messico. -9- I MIEI LUOGHI DELLA MEMORIA Alfredo Palieri Ho preso in prestito il titolo di un bel libro di Mario Isnenghi, docente di Storia Contemporanea all’Università di Venezia, che descrive tutti i luoghi storici di cui noi italiani abbiamo nostalgia, per parlare invece, più modestamente, dei miei luoghi “storici”, così alla rinfusa. <<Mio fratello è nato l’otto aprile 1924 !>>. Siamo a Firenze, nei giardini di piazza Cavour, e mio fratello Bruno rivela a qualcuno, chissà a chi, la mia data di nascita. Sono le prime parole che io ricordo nitidamente nella mia vita. Avevo solo due anni. La casa di Firenze in via Lamarmora 18 è sempre rimasto un ricordo magico. Ci trasferimmo a Roma di lì a poco. Andai a rivederla con mio fratello nel 1937, provando sempre lo stesso tuffo al cuore. Nella Villa Turrisana, vicino a Trani, alla fine degli anni ’20, si riunivano d’estate varie famiglie: la nostra, quella di mio zio Battista, di zio Vincenzo e di zia Ilda. Insomma eravamo proprio un sacco di gente. Dopo la mattinata al mare, alla “contr’ora pomeridiana ” (termine pugliese) i grandi dormivano e io, a cinque anni, mi aggiravo tra il piazzale ghiaiato e le vigne, col frinire delle cicale che veniva superato dal fragoroso russare di zio Battista. Nella stalla scalpitavano i cavalli, compreso quello del calesse (sciarabà) con le ruote con pneumatici che zio Vincenzo guidava impettito e disinvolto. La via Adriatica per Bari non era ancora stata asfaltata. Passavano i carretti, col cane dietro, e, di notte, col lume sotto. Coi carretti, i contadini si recavano al lavoro nei campi all’alba. A mezzogiorno, pane e cipolla. Tornavano nei paesi a sera. Più tardi, col fresco, arrivava da Trani, percor- LE NOSTALGIE DI UN’ANZIANA SIGNORA Lydia Longobardi *Nella foto: Tripoli, Corso Vittorio Emanuele, 1930 rendo soltanto due chilometri, l’automobile di Mario, un cugino più grande, tra nugoli di polvere, la ruota di scorta sul lato e, nel bauletto, la pompa a mano per gonfiare le gomme. La Domenica, dal Collegio dei Barnabiti di Trani, veniva a celebrare la Messa nella cappellina della villa il padre Turchetti. Ricordo che diventava rosso in viso, bevendo il vino della Consacrazione. Lo zio Battista, padre di sette figlie, era famoso per il suo russare superbo, come latinista e anche come geniale matematico che realizzava perfette aiuole ellittiche con lo spago manovrato tra i due fuochi. Poi c’era zio Giovanni Beltrami, famoso storico, che dimostrò che gli Statuti Marittimi di Trani sono anteriori di 30 anni a quelli Amalfi. A Trani oggi c’è una via intitolata a suo nome. All’inizio degli anni ’40 ci spostammo a Torricella, tra Trani e Corato. Non c’era elettricità. Solo lumi a petrolio. Ci facevamo i muscoli manovrando la pompa che portava ai cassoni l’acqua della cisterna. Papà aveva realizzato personalmente un bagno completo con tutti i servizi. Le fascine di legna servivano per la cucina. Che maccheroni al forno e altre prelibatezze varie preparava la zia Ghita ! Noi, tornando dal mare, caricavamo sulle bici i blocchi di ghiaccio per la ghiacciaia. Ricordo i sapori antichi dei pasticcini e, soprattutto delle “cartellate al miele” che preparavano le zie e che, a Natale, ci arrivano in un magico pacco dalla Puglia. E poi c’era lo yogurth che si preparava artigianalmente nelle latterie, buono da morire, in barba a tutte quelle scatolette di plastica colorate reclamizzate oggi nei supermercati nostrani. E poi c’era la bicicletta. “Sembri la lupa del Campidoglio!” mi dicevano a casa perché io, a dieci anni, andavo sempre su e giù per il cortile con la mia prima biciclettina ereditata dai fratelli maggiori che poi, per 50 lire, fu data in sconto sull’affitto della casetta che prendemmo ad Ostia nell’estate del ’35. Tic-Tac faceva il contachilometri. Una novità assoluta della bici Bianchi che nel 1937 costò ai miei ben 600 lire. Ma l’avevo meritata per aver superato brillantemente gli esami di accesso al Ginnasio Superiore. L’avevo chiamata “Mariana” questa bici in onore del professor Mariano Nuti, al quale noi studenti eravamo molto affezionati. Mi fu rubata e nel 1941 fu sostituita da una Legnano alla quale, altra novità, fu istallato il cambio. Rubata pure quella nel ’48, forse in onore al film di De Sica, contemporaneo, “Ladri di biciclette”. In cantina, un po’ di tempo fa, ho trovato le cartine che noi ragazzi, girando in bicicletta, disegnavamo, come esploratori, ogni volta che scoprivamo nuove strade e viottoli di quella nostra città che era Roma che oggi sarà anche diventata una specie di girone infernale piena di auto e palazzi e gente arrabbiata e nervosa ma che, nella nostra memoria, resterà per sempre meravigliosa. Apro gli occhi. Anche oggi il cielo è inesorabilmente grigio e siamo a maggio inoltrato. Con tristezza chiudo gli occhi. E penso. Penso con nostalgia al cielo sempre azzurro di Tripoli, alla mia serena infanzia trascorsa lì dal 1929 al 1939, in pacifica convivenza tra arabi ed ebrei, alla mia bella scuola elementare Regina Elena e al ginnasio di Bengasi. Penso a mia madre tutta dedita alla famiglia che nel mese di maggio ci faceva fare i “fioretti” alla Madonna. Penso a quelle buone merendine che ormai non si usano più: pane, burro e zucchero, pane burro e alici. E poi i gelatini da sei soldi che venivano dati in premio a me e a mio fratello quando eravamo stati bravi e passava strombettando il carrettino siciliano dei gelati. Nostalgia acuta di un periodo felice della mia lunga vita, quando era breve il tempo vissuto e ci si aspettava tanto dal futuro. Nostalgia della mia prima Comunione nel 1933 nella Cattedrale di Tripoli, io con le braccine colme di gigli… Basta ! Riapro gli occhi pieni di lacrime. In seguito le cose sono andate in modo diverso. Al ritorno in Italia ho affrontato una realtà più dura, che però mi ha formato un forte carattere: guerra, tanti sacrifici, studio, laurea, matrimonio, figli, vedovanza. Tuttavia ora, ogni giorno, dal profondo del cuore ringrazio Dio perché la Fede mi ha sempre sorretto e donato serenità e amore per gli altri. Guardo ancora il cielo. Si vede un lembo d’azzurro. - 10 - CIRCOLO PICKWICK LA NOSTALGIA CHE INGANNA Nostalgia: dal greco Nóstos, ‘ritorno’, e Álgos, ‘sofferenza’ Nostalgia è la mia foto a cinque anni al mare, è mia nonna che mi coccola, è mia madre giovanissima e bella che mi rimbocca le coperte, è mio padre con i capelli neri che torna dal lavoro, è la foto del mio matrimonio, è il viso dei miei tre figli appena nati, è la fiducia che avevo di riuscire da sola nella vita, è il ricordo di un tramonto, è l’odore d’erba appena tagliata, è la colonna sonora di “Nuovo Cinema Paradiso”, è soprattutto non poter riparare ai tanti sbagli della vita. La nostalgia è un sentimento che non amo perché mi fa sentire triste e debole, perché nulla posso fare per far tornare il passato e magari, all’occorrenza, cambiarlo. Nostalgia mi fa pensare a qualcosa di inamovibile e struggente e io all’immobilità e lo struggimento contrappongo la forza del presente e quella di andare sempre avanti. Nostalgia per me quindi ha una connotazione negativa perché come dice la Bibbia: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e tempo per la pace.” E quindi se ogni cosa ha il suo giusto tempo, io credo che non sia buono lasciarsi troppo cullare dalla nostalgia che di solito ci riporta alla mente solo i ricordi positivi, omettendo regolarmente tutti gli sbagli e i dolori passati. Le prime cinque righe di questo articolo dunque, potrebbero essere riscritte così. Nostalgia è la mia foto a cinque anni quando al mare avevo la febbre , è mia nonna che mi faceva ripetizioni di latino, è mia madre giovanissima e bella che mi dedica poca attenzione, è mio padre con i capelli neri sempre al lavoro, è quel giorno al tramonto in cui il mio primo fidanzato mi ha lasciato, è la fatica sul mio viso il giorno del mio matrimonio, è il ricordo bello ma molto doloroso dei miei tre parti, è i vari liet motiv di “ Nuovo Cinema Paradiso” un po’ tutti uguali e melensi, è i tantissimi passi falsi nella mia vita. Quindi, cara nostalgia, quando mi assali io ti scaccio e cerco di godermi appieno ciò che la vita mi riserva di buono in quel momento. Ogni giorno provo ad affrontare la giornata con entusiasmo e soprattutto senza piangermi troppo addosso guardando con nostalgia al passato. Giulia Bondolfi Francesca Adrower Più la loro nostalgia è forte, più si svuota di ricordi. Più Ulisse si struggeva, più dimenticava. Perché la nostalgia non intensifica l’attività della memoria, non risveglia ricordi, basta a se stessa, alla propria emozione, assorbita com’è dalla sofferenza. Milan Kundera, L’ignoranza “... non male mi colse, che terribilmente con odioso languore del corpo distrugge la vita, ma il rimpianto di te, il tormento per te, splendido Odisseo, l’amore per te m’ha strappato la vita ...” Odissea, Libro XI, trad. R. C. Onesti (Ulisse incontra la madre nell’Ade) Felice l’uomo che ha raggiunto il porto, / Che lascia dietro di sé mari e tempeste, / I cui sogni sono morti o mai nati, / E siede e beve all’osteria di Brema, /Presso al camino, ed ha buona pace. Primo Levi, Approdo Moriranno di nostalgia, ma non torneranno. Scritta su un muro in Nicaragua poco tempo dopo la caduta del dittatore Somoza Straniero, al mio dolce volo per il piano, / non aver paura: io sono uno spirito d’amore, / che al suo paese torna di lontano. Pier Paolo Pasolini, Canto delle campane A rigore la filosofia è nostalgia, il desiderio di trovarsi dappertutto come a casa propria. Novalis, Frammenti E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l’etate del mio dolore. Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso, il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l’affanno duri! Giacomo Leopardi, Alla luna Ad ogni rintocco tuo, / vibrante nel cielo aperto, / è più remoto il passato, / più urgente la nostalgia. Fernando Pessoa, Campana del mio villaggio Ho nostalgia degli anni Cinquanta: allora avevo un aspetto umano. Paolo Villaggio (Ugo Fantozzi) Ora ho costruito un castello / su un’estrema e silenziosa altura; / la mia nostalgia sta là e guarda / fin alla noia, ed il giorno si fa grigio / - principessa, dove sei rimasta? Hermann Hesse, Il principe Poche gocce di nostalgia / non possono riempire mai / questo stagno mio di follia, malinconia / di te... Mina, Fermerò qualcuno Non c’è che una nota / Nella tastiera dell’anima mia: / “nostalgia”. Aldo Palazzeschi, Chi sono? Il pensiero di un uomo è innanzitutto la sua nostalgia. Albert Camus, Il mito di Sisifo Perché a ogni sussulto mitico, ti ritornano in mente i tronchi e il fiume e la collina con dietro la luna e la strada e l’odore di prato e di campo, del tuo paese? Cesare Pavese, Il Mestiere di vivere Tutti gli addii ho compiuto. Tante partenze mi hanno formato fino dall’infanzia. Ma torno ancora, ricomincio, nel mio ritorno si libera lo sguardo. Reiner Maria Rilke LA FORMIDABILE 500 Nell'Estate del 1957 la vettura era pronta. Innanzitutto il design: in 2 metri e 97, il disegnatore Giacosa riuscì a realizzare una carrozzeria proporzionata, originale e moderna che gli valse il premio "Compasso d'Oro 1959", onorificenza dedicata al design industriale. Grazie alla tecnica costruttiva del telaio, la vettura pesava circa 470 kg a vuoto. Il motore, con 479 cc, erogava 13 cv, lanciava la vetturetta a 85 km/h e consumava in media 4,5 litri di benzina "normale" ogni 100 km.. Per i bagagli c'era il vano sotto il cofano anteriore (in parte occupato dal serbatoio da 20 litri) o lo spazio alle spalle dei sedili anteriori. Il prezzo iniziale era di 465.000 Lire. Fu l'inizio di una lunga carriera fatta di pochi, indovinati aggiornamenti che faranno della 500 la "Regina" incontrastata delle utilitarie. - 11 - UN GIORNO LONTANISSIMO DELLA MIA INFANZIA: 5 MAGGIO 1936 Luciano Milani Forse saranno ormai molto pochi gli amici che questo mio amarcord indurrà a rivivere quel giorno e quegli eventi così esaltanti. I giovani poi, non so se gradiranno leggerlo come un frammento di storia patria così remota per loro. Comunque, per me è la descrizione del mio stato d’animo corrispondente al desiderio pungente e al rimpianto melanconico di quel “vissuto” sempre così lontano eppure così presente! La mia infanzia e la mia giovinezza sono trascorsi in una famiglia che non aveva aderito al Fascismo. Mio padre nel 1920, giovane reduce della grande guerra, era stato nominato “Corrispondente” (oggi si direbbe “Segretario” ) del Partito Popolare di Don Sturzo. E non perché fosse addentro nelle agitate diatribe politiche del momento, ma semplicemente perché era un buon cristiano, appena alfabetizzato dalla scuola dell’obbligo dell’epoca. È vero che nei 4 lunghi anni di guerra aveva saputo sfruttare il contatto con i superiori per evolversi un po’, e si era molto esercitato nella scrittura, inviando a mia madre oltre 900 tra lettere e cartoline, con la bella effigie dell’Italia vittoriosa , avvolta nel Tricolore fiammeggiante, ma punto e basta. A casa mia dunque, la guerra con l’Abissinia non era stata vissuta davvero con l’entusiasmo del grande tribuno Mario Appelius. Eppure quel giorno anche mio padre ebbe attimi di sincera commozione, non solo per la fine della guerra, un fatto sempre carico di gioia per un cristiano, ma anche per la vittoria in sé stessa. La mattina del 5 maggio, dunque, nel paese si era svolta l’annuale cerimonia della processione al Monte Calvario (un rilievo montuoso a ridosso dell’abitato). Al ritorno, verso le ore 13, ci si parò dinanzi uno spettacolo meraviglioso. In tutte le finestre e in tutti i balconi sventolavano bandiere di stoffa e di carta. Non ci volle molto a capire che la guerra era finita e la vittoria aveva arriso alle nostre sorti. L’imbandieramento era stato curato in poche ore dai giovani fascisti della vicina cittadina di Monterotondo, su ordine della Federazione Fascista dell’Urbe. Dopo qualche ora, un furgone attraversò le vie del paese, annunciando l’adunata nella piazza del Municipio per le ore 10, per sentire dalla viva voce del Duce l’annuncio solenne della Vittoria. Anche a casa mia ci si alzò da tavola e ci si abbracciò con gioia, dimentichi in quel momento perfino delle lacrime versate da mia madre quando aveva dovuto “donare con grande spirito patriottico” la fede nuziale per la guerra. In via del tutto eccezionale, papà autorizzò ad andare all’adunata me e mio fratello Giovanni, di due anni più grande. Lui preferì andare ad ascoltare l’annuncio nella canonica, insieme a Don Mario. Alle 10 precise, dopo che lo speaker ebbe comunicato che 200.000 persone, in Piazza Venezia, in quel momento, urlavano a voce unanime “Duce, Duce!”, finalmente dalla piccola radio rurale, fissata sul davanzale della finestra del Podestà, si udì la voce stentorea del Duce leggere il messaggio del Maresciallo Badoglio: “Oggi 5 maggio, alle ore 16 alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba”. Il paese contava allora poco più di 1700 abitanti. Credo che fossimo presenti sulla piazza in 1500. Il richiamo del Podestà e l’alt perentorio del segretario politico non valsero a far ascoltare il seguito del telegramma. Tutti, grandi e piccoli, ci abbandonammo al canto “Salve popolo di eroi, Salve popolo immortale…” L’entusiasmo, spinto al parossismo, sembrava aver travolto perfino le pudiche usanze della nostra piccola comunità rurale: ragazze e ragazzi si abbracciavano e i baciavano, quasi l’evento storico li avesse autorizzati ormai alla… inconcepibile trasgressione! Quella piccola folla osannante non era mai stata così festosa, orgogliosa e superba. Tornata la calma, sentimmo che il Duce proseguì il discorso martellando le sillabe: “Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita. Non è senza emozione e senza fierezza, che dopo sette mesi di aspre ostilità pronuncio questa grande parola.” Noi bambini, alla mezzanotte, ligi alla consegna paterna, tornammo a casa, ma in paese per tutta la notte risuonarono i canti fascisti e le grida di “Viva il Duce!”. Ormai sono passati 74 anni da quella fatidica notte. Io sono vecchio. Le mie sinapsi avrebbero bisogno, se fosse possibile, di essere un tantino oleate per ricordare i fatti e le letture di ieri e dell’altroieri. Ma l’apoteosi di quel lontanissimo 5 maggio è ancora vivissima nella mia mente nei minimi particolari e nel ricordo dei singoli volti, suscitando sempre in me quel sentimento che con parola di derivazione greca fortemente semantica si chiama Nostalgia. E ciò, anche se mio padre seguitò a chiamare ingiusta quella guerra ed io, avanti negli anni e negli studi, dovetti dargli ragione; ed anche se scoprii più tardi gli incendi delle misere capanne degli indigeni e i lanci inumani di gas tossici compiuti dai nostri generali su popolazioni inermi e innocenti. Ma forse la nostalgia di fatti ed emozioni vissuti da un bimbo di 10 anni è davvero un’altra cosa, anche a distanza di oltre settant’anni. - 12 - L’ULTIMA STRADA Pier Luigi Blasi La parola “nostalgia” è inevitabilmente legata alle parole “passato” e “ricordi”. L’altro giorno camminando nel quartiere circondato dalle macchine, assordato dai loro clacson e intossicato dai loro gas di scarico, per un attimo, ho avuto nostalgia della Balduina di tanti anni fa. Sono arrivato alla Balduina all’inizio del 1960, allorchè la mia famiglia si trasferì da un’altra zona di Roma in questo quartiere ancora in costruzione, andando ad abitare a via Pereira. La strada si presentava come il letto di un fiume che durante il periodo invernale veniva riempito dalle pioggie. Verso il 1962, terminata la costruzione delle ultime case, venne fatta la strada, ed io dal terrazzo di casa seguii con curiosità i lavori. Ricordo le macchine asfaltatrci, i rulli compressori, l’odore del catrame, e gli operai le cui voci palesavano la provenienza dal Sud Italia da dove veniva parte dell’emigrazione post bellica verso la Capitale bisognosa di manodopera nella sua espansione edilizia non ancora ultimata. In quel 1960 frequentai l’asilo a via Bitossi dove, dopo tanti anni, avrebbero studiato anche le mie figlie. Mi accompagnava a piedi mia madre e anche via della Balduina, in quel tratto, non era ancora asfaltata e stavano costruendo il fabbricato dove oggi si trova il “residence Balduina” e quelli successivi. Dopo la scuola la strada finiva e dove ora c’è via Massimi era tutto verde. Anche dopo il ponte sulla ferrovia di via Damiano Chiesa non c’erano le case che ci sono ora ma quello che noi bambini chiamavamo “il prato” che si estendeva a destra e sinistra della strada che portava al Policlinico Gemelli da poco inaugurato. Al “prato”, oltre a giocare, raccoglievamo foglie ed insetti per le ricerche di scienze. Ma anche nelle strade era possibile andare in bicicletta e, oggi sembra quasi incredibile, anche giocare a pallone. Noi ragazzi di allora, prima delle macchine, siamo stati i padroni delle strade del quartiere. In quella lunga strada dove ho abitato per tanti anni passava il gregge con il pastore e a Natale riecheggiava il suono delle zampogne. Ora le cose sono cambiate, ma una strada si conserva quasi come allora: via Baldi. Ogni tanto ci passo e ritrovo gli stessi negozi di quando ero bambino e, in alcuni casi, anche le stesse persone di allora. La tabaccheria, un tempo il bar Nilo, con i fratelli Scicolone. Poi il barbiere, la merceria ed il negozio di pasta all’uovo. Quindi salendo il negozio di ferramenta di Alberto, allora affiancato dalla mamma Anita che vendeva i fiori sempre sorridente. E poi il negozio della frutta fino a pochi anni fa gestito dai simpatici Ugo Cruciani e consorte, quindi il negozio di vini dove stanno sempre Orazio e Maria, il bar e, all’angolo, il negozio di alimentari che, sebbene ora porti l’insegna Giammona, per tutti è ancora Natalini, con Tonino e Salvatore che ricordo poco più che un ragazzo nel piccolo negozio di alimentari del signor Luigi nell’altro tratto di via Baldi. All’angolo opposto c’è ancora l’edicola dei giornali, immutata da quando venne aperta dal “sor Pietro” alla fine degli anni 50. Quindi ancora il negozio del barbiere dove tagliavamo i capelli mio padre ed io, il gioco del lotto ed il calzolaio, che è sempre quello dove mia madre portava le scarpe (allora c’erano anche il papà ed il fratello). Infine l’officina meccanica di Antonio Polidori che dalla metà degli anni 60 ha riparato la macchina a tutti, e ancora oggi ti accoglie con affabilità e simpatia. Quando ho nostalgia della Balduina di tanti anni fa passo da via Baldi per salutare i miei amici. I BENEFICI DEL VOLONTARIATO QUANDO LA NOSTALGIA DIVENTA EMPATIA Elena Scurpa Sandro Morici Da quando il tempo si è messo al bello mi capita sempre più spesso di affacciarmi e vedere vecchietti che, assistiti dal fido bastoncino, vanno in giro per il quartiere. Il loro procedere malsicuro mi fa ricordare la mia mamma, che da alcuni mesi ha raggiunto la casa del Signore. E ricordare la mamma significa ripercorrere una vita intera, sin da quando si era veramente piccini: squarci di memoria, occasioni particolari, flash di un rimprovero severo o di un sorriso rassicurante, il tono inconfondibile della sua voce che risuona nell’orecchio. In questo esercizio del ricordo, o meglio, del “ritorno”, c’è però un non so che di triste o quanto meno di malinconico: ecco, questa è nostalgia, che appunto, con la sua origine greca, contiene il termine “algia”, dolore. Dolore, tristezza…ma perché? Forse per reazione la mia mente cerca allora di rimuovere quanto più possibile quella componente sfavorevole e va automaticamente a ripescare aspetti gioiosi di un ricordo, quasi alla ricerca di una commemorazione affettiva, di un desiderio carico di tenerezza e di premure. E’ l’altra faccia della nostalgia, è l’empatia, che ci accomuna, ci dà calore, serenità, conforto e, in certi momenti, anche una buona dose di coraggio. D’altronde, quando ci si dedica a un ritorno al passato, e quindi a esperienze o a circostanze che hanno segnato le vicende umane, si fa storia. Ma attenzione: si fa storia di fatti veri, rigorosamente obiettivi, oppure si fa un misto di “interpretazioni” dei fatti, fino a sfociare talvolta nella leggenda? E già, nel mio libro della terza media, il capitolo dedicato a Garibaldi era intitolato: “Il leggendario eroe dei due mondi”…e questo me lo ricordo benissimo! Quando poi l’interpretazione viene esasperata, si passa facilmente nel campo del “mito”. Chissà quanti miti collettivi ha creato e va sfornando la nostra società, ben pilotata dai potenti mezzi di comunicazione di massa! Certo, così come nella costruzione della storia di una nazione si cerca l’obiettività ricorrendo all’Archivio di Stato, noi, nel piccolo mondo della famiglia, teniamo ben custoditi precisi elementi materiali che “documentano” con trasparenza cristallina la nostra storia e quella dei nostri cari: sono i libri, i quaderni di scuola, “le carte” e, soprattutto, gli album di fotografie, che aiutano a ravvivare la memoria. E allora per alimentare il mio desiderio empatico nei riguardi dei miei, sfogliamole pure le raccolte di foto, per esempio quelle dell’adolescenza, andando alla ricerca di momenti belli (…il giorno della mia prima comunione) e meno belli (…davanti la scuola, il giorno di inizio della prima elementare). E qui potrei rivivere tante esperienze da ragazzo, vissute vicino a mio padre, sempre ritratto con quel sorriso bonaccione. Vorrei ritornare ancora una volta alle immancabili pose immortalate con lui davanti agli stand della fiera di Milano, che di anno in anno si andava a visitare per scoprire le ultime novità della tecnologia nostrana – la Fiat-Avio, l’Olivetti, la Pirelli, la Magneti Marelli…- nel pieno boom economico tra gli anni ’50 e ’60 (del secolo scorso). Mia mamma invece mi portava in pellegrinaggio da Padre Pio, oggi San Pio da Pietrelcina: alzatacce all’alba per partecipare alla S. Messa e poi la fila per confessarti col frate burbero ma comprensivo e amorevole. E’ lì che ho incontrato tante persone in preghiera, in contemplazione sui misteri della religione cristiana, col cuore aperto alla speranza. Altre foto, altre evocazioni. Sempre mio padre era il fotografo “ufficiale” della nostra squadretta di calcio, che ogni estate in campagna si ricomponeva per affrontare sfide all’ultima goccia di sudore contro la squadra di amici di un’altra contrada. Ho citato la parola “amici” e qui si potrebbe aprire un capitolo vastissimo di frammenti incantevoli di esperienze, di emozioni, di suggestioni, di rapporti di affettuosità genuina. Potrei continuare per ore a rigirare le pagine dei tanti album che rievocano momenti spensierati con i miei amici, tra i quali non avrei remore nell’includere alcuni miei zii e sicuramente i miei genitori. E allora le tante ricorrenti stratificazioni di “nostalgia”, ricavate da quell’affascinante crogiuolo che si chiama “libro della memoria”, che ormai abbiamo inquadrato come testimonianze di “empatia” e che fanno pure rima (voluta) con “simpatia”, ritroverebbero la loro migliore estrinsecazione proprio nell’amicizia, in quell’insieme meraviglioso di rapporti virtuosi che danno valore etico alla nostra debole umanità. 45 GIRI In Italia il formato 45 giri si afferma nella seconda metà degli anni cinquanta e raggiunge il massimo della diffusione fra il 1964 e il 1970. Stampati generalmente da entrambi i lati, i 45 giri possono contenere due brani. In genere si incideva il brano destinato al lancio radiofonico o televisivo sulla facciata denominata lato "A", mentre il lato "B" era spesso un semplice riempitivo. Esistono comunque molte eccezioni e dei casi particolari in cui il lato B del 45 giri ha avuto maggior successo rispetto al lato A o dischi intenzionalmente incisi con due lati "A" ovvero con due singoli di uguale importanza. Un esempio fu nel 1965 Day Tripper/We Can Work It Out dei Beatles. Verso la fine degli anni settanta, quando i 45 giri perdono quote di mercato a favore del long playing e delle musicassette, e non sono più quindi il principale supporto per la musica registrata, la facciata B perde quasi completamente la sua importanza. Spesso presenta solo la base musicale o una versione strumentale del brano presente sulla facciata principale. - 13 - Non posso fare a meno di rivolgere l’invocazione a Dio che mi aiuti sempre a far tesoro degli insegnamenti ricevuti dalle persone a me care e che, con l’esempio della loro vita semplice e umile, mi hanno inculcato i principi della morale cristiana, soprattutto la disponibilità verso il prossimo. Per rendere omaggio alla loro memoria, mi adopererò per trasmettere agli altri la serenità che scaturisce dal conforto dell’abbandono alla volontà di Dio, per averne fatto esperienza nei momenti tristi della mia vita. L’esercizio della carità verso il prossimo è tanto necessario ai nostri giorni in cui, per la vita frenetica che si conduce, sembra che non si abbia più il tempo di comunicare i nostri pensieri, le nostre gioie, le nostre ansie e non facciamo altro che isolarci uno dall’altro. Quanta amarezza procura questa constatazione per cui è di una straordinaria validità l’affermazione di Madre Teresa di Calcutta che “Il mondo va in rovina per mancanza di dolcezza e di gentilezza e che la gente è affamata di amore perché si è tutti troppo indaffarati.” E’ necessario soprattutto comprendere i poveri, ricordando che non esiste solo la povertà materiale ma anche la povertà spirituale, più dura e profonda, che alberga nel cuore degli uomini colmi di ricchezze. Il Signore ci conceda di aiutare i fratelli ad accettare con il sorriso sulle labbra tutto quello che Egli ci dà e tutto quello che esige da noi. Dalla mia lunga esperienza nel volontariato scaturisce la riflessione sui benefici che questa attività procura non solo al prossimo ma anche a chi la pratica. Infatti questa opera di solidarietà che potrebbe sembrare triste e deprimente, in quanto relativa all’aspetto più doloroso della vita, al contrario, grazie all’aiuto di Dio, procura un copioso arricchimento interiore e una giusta valutazione e miglioramento della propria vita. IL BIGLIETTAIO SUL TRAM E’ notizia di qualche giorno fa e in fondo fa parte della nostalgia. Roma torna a 40 anni fa, quando sugli autobus si apriva la parta davanti e il bigliettaio di turno staccava il biglietto previo pagamento. Inizia dunque una sperimentazione della durata di un anno che istituirà la figura, già celebrata al cinema nel film con Aldo Fabrizi, in alcune linee centrali del servizio. Oltre a garantire introiti sicuri, è un servizio utile al cittadino, anche come deterrente a piccoli episodi di criminalità. IL DIARIO DI GIORGIA NOI CINQUANTENNI Giorgia Pergolini Caro diario, tutti noi proviamo, abbiamo provato, stiamo provando, proveremo nostalgia. Nostalgia di un qualcosa che abbiamo vissuto in passato e che vorremmo tanto rivivere nell’istante in cui ci pensiamo, ma è davvero così? Davvero vorremmo rivivere un qualcosa che ormai è passato? Tutti parlano di nostalgia ma secondo me nessuno vorrebbe mai tornare indietro sui propri passi. Spesso, guardando mia sorella andare alle elementari, provo nostalgia di quei bei tempi passati a giocare, a passeggiare con i propri genitori, a non fare niente, mi manca non avere nessuna pressione, sopratutto adesso che sto studiando per la maturità, ma se qualcuno mi chiedesse: “Vorresti tornare adesso, subito a quei tempi?” io risponderei assolutamente no! Inevitabilmente tutti noi abbiamo foga di andare avanti nella vita, sicuro preferiremmo limitarci a guardare qualche foto invece che tornare indietro nel tempo e dimenticarci di tutti gli sforzi che abbiamo fatto per crescere, o peggio rifare tutto da capo ! Penso proprio che il mio peggior incupo sarebbe svegliarmi e ritrovarmi all’età di 13 anni e ricominciare tutto il liceo da zero! Se ci pensiamo a fondo tutti vogliamo procedere il prima possibile; i bambini non vedono l’ora di diventare grandi per poter fare le “cose da grandi”, gli adolescenti non vedono l’ora di finire la scuola, chi ha un esame vuole che il tempo scorra il più in fretta possibile perchè l’ansia è qualcosa di insostenibile, chi va all’università non vede l’ora di finirla per trovarsi un lavoro ed essere più indipendente, chi lavora non vede l’ora di andare in vacanza o in pensione, chi è fidanzato non vede l’ora di sposarsi, chi è incinta non vede l’ora che nasca il suo bambino ecc...Sì certo è normale provare nostalgia per il passato ma davvero saremmo disposti a riviverlo? Sento molte persone che dicono frasi del tipo: “Quanto vorrei tornare piccola!” o “Quanto darei per tornare com’ero prima!”. Ma siamo sicuri di ciò? Se noi siamo quello che siamo ora è solo grazie a quello che siamo stati, tornare a quello che siamo stati vorrebbe dire negare chi siamo ora e chi nega la sua persona nega tutto il suo essere e quindi, a mio avviso, avrebbe bisogno di uno psicologo non di una macchina del tempo. Io posso provare nostalgia delle elementari ma mai e poi mai tornerei indietro per ricominciare tutto da capo! Certo è ovvio che se avessi la possibilità di vivere solo un giorno in quel tempo passato lo farei, ma tutti sappiamo che ciò non sarà mai possibile. La nostalgia (parola composta dal greco Nostos (ritorno) e Algos (dolore): “dolore del ritorno”) è uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in modo idealizzato. Ed è proprio questa la trappola in cui spesso tutti noi cadiamo: l’idealizzazione dei nostri ricordi! Ad esempio io dico di avere nostalgia per le elementari, ma se mi fermassi un secondo a pensare a quei tempi potrebbero venirmi in mente molti lati negativi che sicuramente mi porterebbero a dire: “Sono proprio sicura di voler tornare indietro nel tempo?”. Sì è vero che lì ero più spensierata ma anche più ingenua. Penso che il sapere e il saper vivere siano alcune delle caratteristiche più importanti dell’uomo e io sinceramente non ci rinuncerei mai. Ringrazio lo scorrere del tempo che mi ha portata fin qui, non tornerei mai e poi mai indietro! So già fin da adesso che, quando finirò il liceo, mi mancherà tantissimo! Ma, nonostante questo sono felice che finisca. Forse il fattore curiosità influisce molto in questi casi. Sono curiosa di vedere cosa succederà dopo, non vorrei mai fossilizzarmi su un solo percorso e penso che, come me, nessuno vorrebbe mai farlo. Una frase che mi ha fatto pensare molto è questa: “Non c’è peggior nostalgia che rimpiangere quello che non è mai successo”. Quant’è vera, caro diario. Per me quella è la vera nostalgia! Infatti nostalgia non vuol dire solo avere mancanza di un qualcosa che si ha vissuto in passato ma vuol dire anche sentire la mancanza di un qualcosa che non si ha mai avuto. A mio avviso rimpianto e nostalgia sono due cose analoghe. Invece di ripensare al passato, di avere nostalgia di cose che tanto non torneranno più penserei piuttosto al presente, farei in modo di compeltarmi per non provare appunto nostalgia di nulla! Se si fa in modo di ottenere la maggior parte delle cose desiderate, la nostalgia non sarà più un sentimento implacabile. "Non c'è passato che sia lecito richiamare con nostalgia, c'è solo un mondo eternamente nuovo, che si forma con l'ampiamento degli elementi del passato e la vera nostalgia deve essere sempre produttiva per creare un mondo migliore" J.W. Goethe. - 14 - Noi, (dai colleghi d’ufficio di Rosella Boldrini) che la scuola durava fino alla mezza e poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con papà), che eravamo tutti buoni compagni di classe, ma se c´era qualche bullo, ci pensava il maestro a sistemarlo sul serio, che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, mamma a casa te ne dava 2, che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa era il terrore, che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo da casa in tuta, tutti felici, che avevamo le tute lucide acetate dell´Adidas che facevano fico, ma erano pure le uniche, che la gita annuale era un evento speciale e nelle foto delle gite facevamo le corna ed eravamo sempre sorridenti, che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su internet, che la vita di quartiere era piacevole e serena, che andare al mare nei sedili posteriori della 850 di papà o nella 1100 di nonno era una passeggiata speciale, che alla Domenica i nonni ci portavano le “pastarelle”, che facevamo 4 mesi di vacanza da Giugno a Settembre, che non avevamo videogiochi, né registratori, né computer ma avevamo tanti amici lo stesso, che per cambiare canale alla TV dovevamo alzarci, e i canali erano solo 2, che andavamo a letto dopo Carosello, che sapevamo che era pronta la cena perché c’era Happy Days, che ci sentivamo ricchi se avevamo ‘Parco Della Vittoria e Viale Dei Giardini’, che i pattini avevano 4 ruote e si allungavano quando il piede cresceva, che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il più fico e che se anche andavi in strada non era pericoloso, che dopo la prima partita c’era la rivincita, e poi la bella, e poi la bella della bella, che avevamo il ‘nascondiglio segreto’ con il ‘passaggio segreto’, che giocavamo a nomi-coseanimali-città, che ci mancavano sempre 4 figurine per finire l’album Panini (celò, celò, mi manca!), che suonavamo al campanello per chiedere se c’era l’amico in casa, ma che a quelli degli altri suonavamo e poi scappavamo, che compravamo dal fornaio pizza e mortadella per 100 lire che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la Bic., che sentivamo la musica nei mangiadischi sui 45 giri vinile, che al cinema usciva un cartone animato ogni 10 anni e vedevi sempre gli stessi tre o quattro volte e solo di Disney, che non avevamo cellulari (c´erano le cabine SIP per telefonare) e nessuno poteva rintracciarci, ma tanto eravamo sicuri anche ai giardinetti, che giocavamo a pallone o a campana in mezzo alla strada con l’unico obbligo di rientrare prima del tramonto, che giocavamo con sassi e legni, palline e carte, che le barzellette erano Pierino, il fantasma formaggino o c´è un francese-un tedesco-un italiano, che c’era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto, che il 1° Novembre era ‘Ognissanti’, mica Halloween. TERZA VISIONE Fino alla fine degli anni '70, c'erano tre visioni cinematografiche. La prima per i film appena usciti. La seconda per gli stessi qualche mese dopo. La terza per le repliche a distanza di anni. In più c'erano le sale parrocchiali. I cinema di terza visione erano altrimenti detti "pidocchietti". Sedile di legno scricchiolanti, atmosfera malsana intrisa di fumo e odori vari, bagni fatiscenti. A metà del primo tempo passava l'omino con il suo vassoio di legno a vendere bruscolini, mostaccioli, caramelle sciolte e gassose. Erano frequentatissimi per il basso costo del biglietto. Nel 1965, ad esempio, se una prima visione poteva venire a costare 1.200 lire a persona, la terza non andava oltre le 200 lire. LETTERE ALLA REDAZIOE LETTERA A GIORGIA Caro direttore, desidero replicare –da lettore e da scrittore del nostro giornale – all’articolo di Giorgia Pergolini, comparso ne “ Il diario di Giorgia” del mese scorso. Spero tu non me ne voglia, Giorgia, se mi rivolgo direttamente a te, che hai scritto le tue opinioni – che rispetto – insieme, però, ad alcune inesattezze, che mi permetto di farti notare. Ti riferisci spesso al “non desiderare” con il quale sono espressi gli ultimi due comandamenti del decalogo ebraico-cristiano. Dici in abbondanza – provo a sintetizzare – che è assurdo vietare il desiderio, anzi sostieni che è naturale desiderare. Usi un duplice giudizio – che mi sorprende assai – sul desiderare le cose altrui rispetto al desiderio di una donna (o di un uomo) altrui. Mi dovresti spiegare, anzitutto, in base a quale discernimento la gelosia (delle cose) è “ la peggior qualità che esista “ (cito testualmente) mentre desiderare una donna (che non ti appartiene) è naturale, inevitabile e non si può tornare indietro (qui non cito alla lettera ma nella sostanza). La gelosia di possedere una cosa che non è tua è terribile e invece la brama di andare con una donna che non è tua fa parte della tua libertà? Permettimi di rimanere fortemente sorpreso della stranezza di queste valutazioni psicologiche e morali. L’inesattezza cui mi riferivo, peraltro, riguarda proprio la parola “desiderare”. La Bibbia ebraica è stata scritta in una lingua antica, ormai scomparsa che occorrerebbe conoscere prima di scrivere con tanta sicurezza. Il verbo ebraico “hamad” non significa volere o augurarsi (ovvero, il nostro desiderare) ma include tutte le macchinazioni che portano a impossessarsi di quanto è desiderato. Non è dunque vietata l’attrazione istintiva, ma il vero e proprio progetto tendente alla conquista di una meta prefissata. Sei proprio convinta che, se una ragazza o una donna insidiasse così il tuo fidanzato o tuo marito, tu tollereresti questo come in normale esercizio della libertà, una cosa “ da concedersi soddisfando un proprio inevitabile desiderio” ?( qui cito). Permettimi di dubitarne. Da altre considerazioni, che invece sono tue opinioni, mi permetto invece di dissentire. Anzitutto dall’incredibile (permettimi, non trovo un aggettivo più azzeccato) paragone tra il desiderio sessuale e quello della cioccolata. Spero che tu intenda un simile paragone non tanto quanto CENA DEI COLLABORATORI Sabato 14 maggio scorso si è tenuta presso il ristorante “Chiodo Fisso” di via della Balduina una cena a cui hanno partecipato numerosi redattori e sostenitori del nostro giornale. E’ stata un’occasione per confrontarsi, scambiarsi delle idee e anche per conoscersi di persona. Visto il successo ottenuto dall’iniziativa sono previsti altri incontri che si terranno regolarmente a partire dal prossimo autunno, con la ripresa delle pubblicazioni. ai contenuti quanto relativamente alle modalità, diciamo così, di insorgenza del piacere. Quanto a queste ultime, peraltro, esistono ormoni prodotti dalle cellule riproduttive del corpo, che generano un forte desiderio sessuale, e bisogni di mangiare, anche solo per compensare altre mancanze, che non sono certo della stessa provenienza nè possono essere messi sullo stesso piano (non morale, ma biologico). L’affermazione letterale che “a questo mondo nessuno è di nessuno” è davvero la perla del tuo articolo. Vorrei ricordarti che la fedeltà a un progetto, che passa attraverso la fedeltà a una persona, esiste proprio perché le persone si appartengono. Vorrei che riflettessi sul fatto che amarsi è proprio appartenersi. Vorrei insistere sul fatto che nemmeno chi non professa la fede potrebbe dire che “non divento proprietà di nessuno”. (cito). Che amore è quello che non si dona? E che dono è quello che non dice all’altro “io sono tuo”? Che progetto è possibile fare e far crescere tra due che si amano (o in una comunità) quando ognuno è convinto di essere suo, di se stesso? Non è questa forse la fonte dell’egoismo, che produce ben peggio dei tradimenti o delle violenze sessuali ma va oltre, declinata come fu – nella storia – da autentici tiranni che si ritenevano slegati da ogni patto, e quindi inevitabilmente chiamati a rendere schiavi tutti coloro che non facevano parte della loro razza o della loro ideologia? Il fondamento naturale del rispetto dell’altro sta proprio nel credere che io non sono mio, ma che accanto a me vivono persone alle quali sono legato da un patto di coesistenza, che mi porta a voler loro bene, non solo quando “ sono capaci di farmi provare sensazioni nuove” (cito). Grazie a Dio, cara Giorgia, esistono i comandamenti. Grazie a Dio gli uomini saggi (più di quanti ce ne immaginiamo) hanno imparato a analizzare i loro desideri, a purificarli e a non vivere di soli istinti. Sei libera di crederlo, ma altrettanto libero mi sento io di dirti, con un pizzico di paternità, anche se non ti conosco, che costruirai ben poca della tua felicità se continui a credere che i comandamenti (quelli che non ti piacciono) reprimono la tua libertà. E’ la verità che fa liberi, non è la libertà che fa veri. E’ proprio questione di vedere le cose dal punto giusto, almeno secondo me. Con amicizia don Paolo Tammi ORAZIONE L. Longobardi “Mio fratello Lorenzo” disegno di Leonardo Cancelli Appuntamento d’amore con te, Signore non posso mancare. Ho tante cose da dirti Tu solo sai ascoltarmi. Ho tante cose da piangere. Tu solo puoi consolarmi. Ho tante cose da chiederti. Tu solo puoi esaudirmi. Ho tanto da ringraziarti da lodarti e benedirti. Parla all’anima mia, Gesù fa che ascolti la Tua voce e mi unisca a te fino a diventare un altro Cristo ! - 15 - “Strangers in Rome” 3 foto inviate da Stefano Valariano e scattate a Fontana di Trevi ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008 DIRETTORE RESPONSABILE Giulia Bondolfi TERZA PAGINA don Paolo Tammi DIRETTORE EDITORIALE Marco Di Tillo COLLABORATORI: Francesca Adrower, Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Paola Baroni, Giancarlo e Fabrizio Bianconi, Pier Luigi Blasi, Leonardo Cancelli, Cesare Catarinozzi, Laura, Giuseppe e Rosa Del Coiro, Gabriella Ambrosio De Luca, Andrea e Bruno Di Tillo, Anna Garibaldi, Massimo Gatti, Paola Giorgetti, Pietro Gregori, Giampiero Guadagni, Luigi Guidi, Lucio, Rosella e Silvia Laurita Longo, Lydia Longobardi, Giuliana Lilli, don Nico Lugli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia, Luciano Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro, Sandro Morici, Agnese Ortone, Vittorio Paletta, Alfredo Palieri, Gregorio Paparatti, Giorgia Pergolini, Maria Rossi, Eugenia Rugolo, Alessandro e Maria Lucia Saraceni, Elena Scurpa, Francesco Tani, Stefano Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale. I numeri arretrati li trovate online sul sito della parrocchia www.sanpiodecimo.it NUOVI COLLABORATORI ARRIVEDERCI AD OTTOBRE ! Questo è stato l’ultimo numero del nostro giornale prima della pausa estiva. Riprenderemo con una nuova serie a metà ottobre. Vorrei ringraziare tutti i nostri lettori che ormai stanno diventando davvero numerosi e, naturalmente tutti i collaboratori che ci hanno donato, mese dopo mese, contributi importanti, spesso profondi, intelligenti oppure divertenti, scherzosi, simpatici. Tutti loro hanno abbracciato la semplice filosofia di “Arrivano i Nostri” che è quella di scrivere delle cose del mondo attraverso le proprie personali esperienze, senza paura di “raccontarsi” pubblicamente, di esporre i propri pensieri e i propri ricordi di vita. Nessuno di noi, neanche per un momento, ha pensato di essere un vero giornalista che descrive fatti ed avvenimenti con impeccabile distacco professionale e penna sicura e pungente. No. I nostri redattori sono persone che raccontano ciò che veramente pensano offrendo non distacco, ma partecipazione, coinvolgimento, emozioni. Insomma tutto il contrario di come probabilmente dovrebbe essere un buon giornalista professionista. E per fortuna, aggiungo io perchè questo è esattamente ciò che volevamo in partenza. Va da sé che, come in tutti i giornali, le opinioni di chi scrive non sono mai simili. Spesso, anzi, sono state nettamente in contrasto le une dalle altre, e probabilmente a volte un po’ troppo. Su questo stesso numero, ad esempio, avete trovato a pagina 15 nella rubrica “Lettere alla Redazione” una replica molto decisa del nostro parroco Paolo Tammi all’articolo di Giorgia da noi pubblicato sull’ultimo numero del giornale che aveva per tema “I dieci Comandamenti”. Don Paolo ha spiegato con affetto ma altrettanta fermezza a Giorgia e a molti giovani come lei il corretto punto di vista che dovrebbe avere un cristiano riguardo le tematiche dell’amore fisico e del “donarsi all’altro”. Personalmente ritengo che, nonostante il dilettantismo sfrenato che tutti ci onoriamo di possedere in abbondanza, possiamo senza ombra di dubbio affermare che questa diversità di pareri e di posizioni offrano sempre un contradditorio e comunque siano spunto di riflessioni e dialogo, tutte cose assai più valide e costruttive del silenzio, della presunzione e dell’assoluto menefreghismo. E fa inoltre un gran piacere il fatto che anche molti non credenti o cosiddetti “lontani” abbiano spesso scritto su queste pagine, ci leggano regolarmente e ci spediscano a volte lettere di commento di tutti i tipi. Grazie infine al nostro parroco Don Paolo che ci ha permesso da quattro anni di esistere, di diffondere nella Parrocchia questo giornale e che ogni mese, nonostante i suoi numerosi impegni parrocchiali e scolastici, trova sempre il tempo per inviarci un suo importante e coinvolgente articolo da “terza pagina”. Per il numero di ottobre abbiamo deciso di non proporre alcun tema ma di lasciare ad ogni redattore la libertà di scegliere l’argomento su cui scrivere. Gli articoli dovranno pervenire entro la fine del mese di settembre.Grazie ancora a tutti, buone vacanze e arrivederci ad Ottobre! Marco Di Tillo Direttore Editoriale NOSTALGIA DI SCUOLA Miriam Aiello Chi vuole inviare articoli, disegni, suggerimenti, offerte per sostenere la pubblicazione può lasciare una busta nella nostra buca di posta presso la segreteria parrochiale di via Friggeri Oppure inviare una mail a: arrivanoinostri@ fastwebnet.it Stampato presso la Tipografia Medaglie d’Oro di via Appiano, 36 Sono andata in pensione. Dopo quarant’anni, scanditi da settembre a giugno secondo il calendario scolastico, e tante ore segnate dal suono della campanella, con l’intervallo per la merenda, non è stato facile abituarsi ad una diversa scansione del tempo! - 16 - E poi… il tempo si è fermato! I miei alunni, anche quelli che ora hanno più di cinquant’anni, sono impressi nella mia mente e nel mio cuore sempre con il loro volto di adolescenti: mi piacerebbe vederli, al di fuori del tempo e dello spazio, tutti insieme, perché a tutti ho cercato di comunicare con passione gli stessi insegnamenti, anche se adattati al mutare dei tempi. Una volta andata in pensione, ho messo in ordine tra le mie carte di scuola, ho eliminato tante cose inutili, ma ho voluto conservare l’essenziale: i nomi dei miei alunni, le loro foto, qualche scritto più significativo. Mi auguro che anche i miei ragazzi abbiano conservato l’essenziale di quanto ho cercato di trasmettere loro nel cammino percorso insieme, soprattutto il gusto della bellezza autentica e della verità, perché è senza dubbio una strada diretta per arrivare a Dio, bellezza e Verità assoluta. E se mi capita di sentirmi chiamare per strada “professoressa” e di incrociare lo sguardo di un alunno che si ricorda di me, mi riconosce e mi sorride, allora è il momento in cui mi assale proprio un pizzico di nostalgia…