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Numero 33 Giugno 2010 In questo numero

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Numero 33 Giugno 2010 In questo numero
“ARRIVANO
I NOSTRI ”
Distribuzione gratuita
Bollettino periodico dei
giovani da 8 a 98 anni
S . P i o X - Balduina
www.sanpiodecimo.it
Numero 33
Giugno 2010
Anno V°
In questo numero:
LA NOSTALGIA DEGLI UOMINI
don Paolo Tammi
QUELLI DELLA BALDUINA
Rasoio d’oro e bar Mambo
NOSTALGIA O RICORDO?
La spiaggia di Anzio
IL DIARIO DI GIORGIA
Quello che non si ha avuto
LA PANTANOSTALGIA
E il suo favoloso mondo
MEGLIO LA NOSTALGIA
Un 2 luglio di qualche anno fa
LUOGHI DELLA MEMORIA
Estati, yogurt e biciclette
NOSTALGIA O EMPATIA?
Quel libro su Garibaldi
IL CIELO DI TRIPOLI
Ricordi degli anni ‘30
NOSTALGIA CHE INGANNA
Sentimento poco amato
C’ERA UNA VOLTA
Luoghi e persone
NOI CHE ERAVAMO NOI
della Balduina
Un luogo c hiamato
nostalgia...
L’ULTIMA STRADA
Via Baldi
NOI CHE ERAVAMO NOI
DELLA BALDUINA
Alessandro Saraceni
Noi che andavamo a vedere i film al
cinema Balduina e al cinema Belsito.
Noi che via della Balduina finiva alla
scuola Cesare Nobili e poi c’era il vicolo Massimi.
Noi che via Pereira non era asfaltata e
quando pioveva era un fiume di fango.
Noi che ci tagliavamo i capelli da
Mario “Rasoio d’Oro” a piazza della
Balduina.
Noi che andavamo a mangiare la pizza
da Omero ar 400 a viale Medaglie
d’Oro.
Noi che sviluppavamo le fotografie alla
Kodak sotto i portici.
Noi che Alberto Mandolesi non faceva
ancora la radio, ma aveva un negozio
di vernici a piazza della Balduina, con
sopra la scritta gialla “Colori”.
Noi che Mario Corsi non faceva ancora
la radio ma faceva il benzinaio a via
della Balduina angolo via Athos
Ammannato.
Noi che a San Pio Decimo c’era don
Giacinto.
Noi che il sabato sera andavamo a
prenderci una birra al Pub 53 a Belsito
Noi che a piazza della Balduina c’era il
bar Mambo
Noi che compravamo i dischi in vinile
da D’Angelo a via della Balduina.
Noi che andavamo in palestra da
Mezzetti.
Noi che andavamo a vedere la partita
alla Madonnina del Don Orione, che
prima della copertura dello stadio si
vedeva tutto il campo.
Noi che c’era il 99 che partiva da
Belsito e arrivava fino alla stazione
Termini.
Noi che prendevamo anche il 47 e il 47
barrato.
Noi che il trenino che costeggia via
Pereira era a cielo aperto e c’era pure
la locomotiva a carbone.
Noi che l’estate andavamo a prendere
la grattachecca dalla sora Maria al
Trionfale (e ci andiamo ancora).
Noi che se eravamo di destra avevamo
paura a passare davanti alla
sezione di Democrazia Proletaria di via
Pomponazzi.
Noi che se eravamo di sinistra avevamo paura a passare davanti alla
sezione del MSI di viale Medaglie
d’Oro.
Noi che il Calasanzio era solo maschile. Noi che il Santa Maria degli Angeli
era solo femminile.
I LUOGHI DELLA NOSTALGIA
Giancarlo Bianconi
«La vita fugge e non s’arresta un’ora .... vacca boia!»
«Eh no, hai proprio ragione! Comunque ... Petrarca l’aveva detto un po’ meglio, eh!»
«Nel senso che?»
«Eh, nel senso che, mi sembra di ricordare, il verso non terminasse con quel
“vacca boia” per cui ...»
«Ma che vai dicendo! Il “vacca boia” è semplicemente una mia personale e poetica interpolazione avente la sola funzione di dare forza all’assunto
introduttivo»
«Ah, beh, allora ... è tutta un’altra cosa, certo! Comunque, a dire la verità, non
l’avevo proprio capito. E ... come mai questo poetico esordio?»
«Ma come, non ti sei accorto dove ci troviamo in questo preciso momento?»
«Sì, alla scuola dove abbiamo frequentato il liceo! E allora?»
«Ma come? “Allora” è tutto quello che sai dire? Non provi un po’ di
nostalgia, anche poca-poca dico, a rivedere il posto dove tante e tante volte
abbiamo sostato, magari a fumare di nascosto le nostre prime sigarette, prima
dell’inizio delle lezioni e anche dopo l’uscita da scuola? Ma che non la rivedi lì,
al cancello, Teresa “la dotta” sempre intenta a spiegare qualcosa a qualcuno?
O Giuseppe che si aggiusta continuamente la cravatta? O ... »
« N-no»
«E non provi alcuna nostalgia a rivedere, con gli occhi della memoria
s’intende, Isabella, attraente e desiderabile ... per i compagni delle altre classi che non sapevano quanto fosse svampita? O Lamberto, con quella sua aria
dinoccolata? Dài!... Non mi dire, perché tanto non ci credo, che veramente non
provi nulla nel “rivedere”, lì all’angolo, Giggia, il tuo amore segreto (che poi,
detto inter nos, tanto segreto non era dal momento che ce lo sapeva tutta la
classe la “cotta” che avevi per lei tanto ce l’avevi scritto in fronte, negli occhi,
nel tono della voce, nei gesti...), con quella sua ampia gonna a fiori stampati
bianchi e rossi, a campana, lunga rigorosamente sino a sotto il ginocchio che,
con finta indifferenza, si attarda a parlare con gli altri compagni con il solo
scopo di aspettarti per fare insieme la strada verso casa? E ...»
«No. Non provo alcuna nostalgia per quei tempi, che vuoi che ti dica? Vedi, mentre parli li ricordo benissimo quei tempi, anzi li rivedo e, ti dirò di più, li rivivo in questo preciso momento con grande, anzi grandissimo piacere anche, ma ... non provo
alcuna nostalgia»
«Ma come può essere una cosa del genere? Io non la capisco»
«Perché non la capisci? Rifletti un attimo: cos’è la nostalgia? Secondo me non è
altro che un pungente e triste desiderio di ritrovarsi a vivere quanto è trascorso e allo
stesso modo e con lo stesso stato d’animo di quando lo si stava vivendo. Adesso non
voglio sembrarti saccente per carità, ma anche l’etimologia stessa del termine chiarisce
quanto ho appena affermato; il vocabolo nostalgia è composto, ti ricordi, no? lo abbiamo studiato insieme il greco, da Nostos e cioè ritorno, e Algos e cioè dolore, e quindi è
uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone e/o da luoghi e/o da eventi collocati nel passato che si vorrebbe rivivere»
«Sì, certo, quello che dici è giusto, o meglio, mi sembra giusto. In ogni
caso mi domando come fai a non provare alcuna emozione. Ecco, questo mi
riesce difficile comprenderlo»
«Beh, certo, mi rendo conto che è un po’ - anzi un po’ tanto - difficile da spiegare, ma, senza alcuna pretesa di riuscire a farmi capire, mi ci proverò comunque. Intanto
cominciamo col precisare che io non ho detto che non provo alcuna emozione, ma semplicemente che non provo alcuna nostalgia, il che è ben diverso, tanto vero che questa
tua breve rievocazione mi ha procurato un senso di dolcezza infinita che mi ha riscaldato il cuore, questo sì. Ma nostalgia, no. Ora però non voglio annoiarti e pertanto sarò
breve, ma vedi, secondo me, perno fondamentale della nostalgia non è tanto lo spazio
quanto il tempo: il tempo che è irreversibile, vacca boia, come giustamente dicevi tu
poco fa. Vedi, oggi noi siamo capitati per caso qui dove per un certo periodo abbiamo
vissuto determinate esperienze: come vedi il luogo è lo stesso, l’edificio è lo stesso, la
strada è la stessa, gli edifici vicini sono gli stessi di quando venivamo a scuola: e, quindi, teoricamente sarebbe possibile riproporre nello spazio le condizioni dell’epoca trascorsa e, al limite, anche i nostri compagni di allora. Solo che ora quei noi di allora non
esistono più; quell’Io che viveva in ciascuno di noi, infatti, ora è non solo passato ma
addirittura trapassato, non esiste più, non ci appartiene più e, pertanto, è irriproponibile. E allora? E allora forse è proprio questa trasmutazione dell’Io, questa condizione
di non essere più oggi ciò che si era allora e cioè di non essere più in grado di provare
le stesse emozioni e con la stessa intensità di allora che mi impedisce di provare nostalgia. Meglio, molto meglio provare oggi quella dolcezza di cui ti parlavo poco fa e di cui
forse ai nostri tempi neanche avevamo coscienza. E allora perché tentare di suscitare,
magari ostinatamente anche, un sentimento la cui sola finalità sarebbe quella di procurarmi solo tristezza? Si tratterebbe di puro masochismo, non trovi? E questa sorta di
impermeabilizzazione a questo tipo di sensazione non è certo frutto di un mio esercizio
psicologico, per carità, ma opera di Nostro Signore che ringrazio continuamente dal più
profondo del cuore"
"E chi ti dice, invece, che questa tua refrattarietà alla nostalgia non sia
altro che una forma di autodifesa?"
"Nessuno"
-2-
DI COSA GLI
UOMINI
HANNO
NOSTALGIA ?
don Paolo Tammi
Di cosa gli uomini hanno
nostalgia?
Di ciò che
hanno amato, ovviamente.
Di ciò che sembra non tornare più perché é lontano.
E’ la nostalgia, molto spesso, ad animare ogni nostro
desiderio. Mi travolge sempre (letteralmente, quanto
ad emozione) il racconto della nostalgia di un partner
amato e che ora non c’è più. Insorge spesso in chi è stato
lasciato, in chi ha ricevuto il benservito senza alcuna ragione, almeno in apparenza.
Ho tenuto accanto a me cuori addolorati, che persino nel
corpo mostravano la loro devastazione. Essere traditi,
essere lasciati, essere ingannati è terribile. Tante volte
consiglio di sostituire alla nostalgia la rabbia, perché la rabbia – contenuta da una sana padronanza di sè – esplode
proprio a difesa del senso di giustizia e aiuta ad evitare
guai peggiori (abbiamo tutti un cuore e delle vene da non
far scoppiare).
Esiste anche una nostalgia del Paradiso. Un’espressione
così la usava il beato Giacomo Alberione, fondatore delle
famiglie paoline. Il suo era desiderio del cielo.
E quando uno è innamorato di Dio, non desidera che vederlo e stare con Lui. In fondo il paradiso è uno stato che
appartiene alle cose perdute. Lo avevamo, e lo abbiamo
sciupato per un atto di orgoglio. Tutte le tensioni dell’anima, tutte le sue passioni, tutti i desideri profondi dei grandi mistici ma non solo...di ciascuno di noi ogni volta che
ascolta parole di Dio e ne valuta la bellezza e la lontananza
NON DIMENTICARE DIO
Eugenia Rugolo
Sui due mesi estivi di luglio e agosto si concentrano una grande quantità di desideri;
l’estate stagione mediterranea e che quest’anno tarda a venire, è da sempre sinonimo di ferie, vacanze gioiose e appaganti e
anche spesso pagate profumatamente.
Con la fine dell’anno scolastico, che libera
la famiglia dai delicati impegni per i più piccoli, sembra che un invisibile “starter” con
bandierina giunga a selezionare e smistare
le persone in due gruppi: in uno i gitanti, i
vacanzieri felici e un pò esuberanti e chiassosi; nell’altro gruppo in “disordine sparso”
vi sono tutti coloro che per molti e svariati
motivi e impedimenti (difficoltà economiche, disagi familiari, malattie o altro) non
possono allontanarsi dalla città, né dalle
sue monotone vite. Viaggi, divertimenti,
riposo, vengono spesso rinviati al tempo
delle ferie o delle vacanze.
Questi mesi diventano quasi mitici per la
possibilità di libertà che sembrano contenere, anche se sappiamo benissimo che
non è così, che gli obblighi d’estate non
sono inferiori a quelli degli altri mesi. Le
vacanze brevi o lunghe che siano, possono
essere un’occasione per ripensare, con
serenità e profondità, quindi con verità,
alle nostre vite, ai nostri impegni e anche
ai nostri rapporti con gli altri.
Ogni tempo è propizio per l’opera dello
Spirito Santo. S.Paolo dice che: sia che
dalla propria condizione, ebbene tutto ciò è nostalgia del
cielo. Nostalgia significa “ dolore del ritorno”.
Questa è la composizione greca del termine. Tornare dove?
Dove eravamo, appunto. Claudia Alvarez, una cantante
argentina, in una sua nota canzone ( più nota dall’altra
parte del mondo che da noi) scrive: “ El corazon no se conforma con gritos muertos de infinito. El corazon quiere la
eternidad!”. Ecco, un cuore che chiede e desidera l’eternità
non è un cuore che si allontana dalla vita. Anzi, desidera la
vita piena, completa.
Desidero, dopo queste semplici considerazioni, dire grazie
- per quest’anno pastorale che si conclude - a tutta la redazione del giornale. A Marco, che fa il lavoro più difficile, a
Giulia, che ne è la responsabile, a tutti coloro che vi scrivono. La corsa all’articolo, in tempo perché sia riveduto e
inserito nel copione del testo, è davvero diventata ogni
mese, anche per me, un’attività insostituibile.
Questo giornale è bello perché é normale. Non è molto
devoto ma è un giornale che riporta essenzialmente considerazioni a partire dalla fede. Non è sregolato, senza una
centralità, eppure ospita opinioni di tutti. E’ una bella palestra di dialogo tra il mondo laico e quello credente.
E’ anche un orgoglio di questa comunità parrocchiale.
Si conclude un altro anno di fatica e di frutti.
Pochi sanno, perché in genere pochi ragionano, quanto sia
faticoso guidare una parrocchia. Quanto sia bello, al tempo
stesso, operare qui con il carisma della sintesi, ovvero con
quella particolare capacità di far emergere tutte le sensibilità, di far parlare quelli che hanno qualcosa da dire, di
mttere a lavorare insieme tutte le persone di buona volontà, e al tempo stesso di non creare confusione.
Grazie al cielo ci siamo riusciti un’altra volta.
Questa è anche la saggezza della Chiesa. Nelle sue realtà di
base, come la parrocchia, non stanno insieme persone perché hanno un interesse di vertice, di potere, di apparire.
Ma perché hanno una spinta interiore al servizio. E’ per
questo costante servizio, per il quale vale il principio evangelico “ non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra”
( Mt 6,3) , che le cose vanno avanti. Grazie, perciò, grazie a
tutti e grazie di tutto.
viviamo, sia che moriamo, siamo dunque
del Signore… “14, 7-8”.
Il tempo libero dal lavoro quotidiano è
prima di tutto utile per ritrovare se stessi,
per riallacciare e rinsaldare quelle relazioni
con le persone che sempre più sfuggono o
diventano a volte impossibili. Troppi di noi
vivono “fuori di sé” senza mai alcun tempo
di ritiro, di introspezione, di riflessione
serena. Perché non dedicare a questo
scopo qualche giorno delle proprie ferie?
E perché non cercare di recuperare almeno
nel tempo del riposo, quel clima di cui sempre più sentiamo il bisogno, specialmente
in città?: la nostalgia, il clima della cordialità, che non è soltanto la facile compagnia,
il divertirsi e lo stare insieme, o meglio non
è solo questo.
Cordialità e capacità di aprire il cuore, di
rivelarsi come persone. Questa vita ci porta
a evadere, a non pensare, il riposo dovrebbe aiutarci a capire meglio noi stessi, a
guardare con occhio diverso la natura scoprendo in essa la presenza e l’azione del
Signore, a scoprire gli altri non come antagonisti o avversari, ma come compagni di
strada o fratelli, a vedere Dio presente e
operante in tutto questo.
Abbiamo bisogno di serenità per vivere
meglio, di una pace interna, solida e stabile che ci lasci gustare il presente, il “qui e
ora”, ciò che siamo, ciò che possediamo,
ciò che stiamo facendo, ciò e chi amiamo,
coloro che incontriamo, in una parola,
quanto la vita ci regala di bello e di buono,
giorno dopo giorno con generosità… raggi
-3-
di sole tra le nuvole grigie della vita; così
vorremmo che la nostra vita non fosse
lacerata dai conflitti, dal dover correre a
perdifiato, dal non sapere mai che cosa
fare prima.
Noi non siamo fatti per la guerra ma per la
pace; e anche per l’ordine, che ci chiede di
fare le cose una dopo l’altra, adagio, concedendo a ognuna il tempo che richiede.
E mentre si parte… fermarsi per riprendersi in mano, per pensare con pacatezza:
liberi dalle attività usuali, possiamo guardare dentro di noi e misurarci con noi stessi e con gli altri.
Questo che è già importante sul piano
umano, assume pienezza di senso se il
rivedersi è fatto sotto lo sguardo di Dio, di
fronte a cui trova giusta collocazione il
nostro essere e agire. E’ un fermarsi per
ripartire, per riprendere la strada con quel
rinnovato vigore ed entusiasmo che nasce
dall’aver riscoperto il senso profondo della
nostra vita umana e cristiana.
Diventa l’occasione per un’immersione di
umanità, riscoprendo il piacere di rapporti
umani, autentici e di nuove amicizie; ma
soprattutto l’occasione di stare insieme con
le persone care per riscaldare le relazioni
familiari, per parlare tra i coniugi, per dialogare con calma e attenzione con i figli.
Quello che mi aspetta è un grande incognita ma spero di non dimenticare mai che
non sto viaggiando da sola.
Buone vacanze a tutti!
IL NOSTRO
GRUPPO AMICO
Vittorio Paletta
Ciao a tutti “I Nostri” ! Sono
Vittorio, il nuovo presidente
del Gruppo Amico (d’ora in
avanti G.A) e, volentieri,
cogliendo l’opportunità di
scrivere sul giornale, mi propongo proprio in questo
numero
che
tratta
dei
“Luoghi della Nostalgia”.
Io ho una “certa” e la mia sarebbe un’età in cui tutto è
nostalgia. Ciascuna delle tracce del tema che ho trovato sul
giornale scorso è nei miei ricordi e, se ci penso un attimo,
mi sento un pizzico alla bocca dello stomaco, un brontolìo
nella pancia e nel cuore un sentimento dolce come un cucchiaio di miele. Possiamo immaginare la nostalgia come un
pozzo che contenga tutti i nostri sogni, i nostri ricordi, le
nostre gioie e le nostre sofferenze; rovistando nel pozzo
ripercorriamo la strada della nostra vita e….quanta nostalgia intorno a questi ricordi ! Però, come dice la canzone…è
un sentimento canaglia: tutti ne abbiamo bisogno, come
abbiamo necessità dei sogni e dei ricordi, ma a piccole dosi,
perché dobbiamo invece sempre guardare avanti e la
nostalgia si addice solo al passato. Noi, come G.A. abbiamo
ormai un passato di 20 anni ! Alcuni di voi sanno dell’esistenza del G.A, altri lo scopo e l’attività che svolgiamo , ma
pur operando da tanto tempo nello stesso luogo, non ci
siamo mai incontrati/scontrati veramente e per questo,
andiamo a presentarci, formalmente: “L’Associazione
Gruppo Amico Onlus è una associazione di volontariato che
opera a Roma dal 1990 nel campo del disagio fisico e psichico con la peculiarità di considerare ciascuno per la propria
personale e unica diversa abilità, senza fare distinzione
(nello statuto come nella pratica quotidiana) tra persone
portatrici di handicap e persone cosiddette normodotate”. Il
G.A. è nato 20 anni fa per iniziativa di don Alberto Pacini,
viceparroco presso la chiesa di S.Pio X alla Balduina (molti
di voi lo ricorderanno e sicuramente con nostalgia). Don
Alberto, prete attivo, appassionato e sensibile alle realtà del
disagio, iniziò l’impresa di riunire le energie umane disponibili, per canalizzarle verso un’attività di promozione dei
diversamente abili, attraverso un cammino di fratellanza e
di amicizia..….per questo Gruppo Amico. In vent’anni ne
abbiamo fatto di tutti i colori e forme, inventato laboratori,
cineforum, pizzate, vacanze estive, scampagnate, realizzato
musical ed impegni importanti (e, se ci pensiamo appena un
po’, alle vacanze e alla scoperta del mare e dei giochi
semplici dei primi anni o ai balli e agli scherzi dei primi
Capodanni insieme…..che nostalgia!)
Abbiamo anche fatto teatro! Chi di voi non è venuto a vedere il nostro “Forza , Venite Gente”? Negli ultimi cinque anni
abbiamo realizzato il Musical in due atti “Vi racconterò una
vecchia favola”, scritto e diretto da uno dei soci fondatori
del gruppo, Stefano Patassini, con coro dal vivo e la partecipazione di più di sessanta persone tra attori, ballerini e
cantanti diversamente e normalmente abili. Lo spettacolo è
stato messo in scena in diversi teatri; l’ultima replica si è
svolta nella Sala 700 del nuovo Auditorium Parco della
Musica a Roma. Un trionfo! E, se pensiamo alle centomila
piccole/grandi difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e
risolvere, pensiamo con nostalgia all’adrenalina pura e ai
battiti del cuore che abbiamo provato ciascuna sera prima
di andare in scena !
Oggi, accanto a iniziative ormai consolidate, come la riunione ogni mercoledì (per un incontro assolutamente ludico),
la vacanza estiva (ogni anno un luogo nuovo da sperimentare), il Cineforum (con spiegazioni introduttive e dibattiti
finali), il Capodanno (con balli, ricchi premi e cotillon), stiamo perfezionando una serie di attività nei cosiddetti
“Laboratori”, come momenti di partecipazione di tutte le
diverse realtà del Gruppo; la loro finalità è quella di favorire al massimo la socializzazione nonché di sollecitare le
capacità creative e gestuali dei partecipanti; agli storici
Laboratorio di cucina e di fotografia si sono aggiunti di
recente i Laboratori di musica, di informatica, di disegno
creativo, il salotto di Max e le gite con Letizia. E poiché
siamo molto felici di stare e lavorare insieme stiamo pensando ad un futuro molto prossimo: in occasione del ventennale vorremmo organizzare una grande festa, aperta al
quartiere, dal titolo: Il Gruppo Amico racconta “Vent’anni
insieme” L’appuntamento è in piazza della Balduina, il 3
ottobre 2010, a partire dalle ore 16 alle ore 21.
Il progetto è ambizioso e ci stiamo rompendo la testa per
trovare idee e razionalizzare le nostre modeste forze..una
cosa è sicura… ancora una volta... ce la metteremo tutta!
Per troppo tempo siamo rimasti chiusi nel nostro guscio, ora
è giunto il momento di aprirsi e quale migliore occasione di
iniziare a scoprire tutte le realtà che vivono nella parrocchia? Insieme potremmo imparare a conoscere la disabilità:
troppo spesso e per troppi di noi, essa viene vissuta come
un tabù; noi, che un po’ l’abbiamo conosciuta, vogliamo
abbattere questo tabù…come?
Percorrendo insieme la strada della conoscenza delle potenzialità di amore e di gioia che provengono da persone che
soffrono e vivono intensamente….con uno spirito di fratelli
e di amici solidali, naturalmente.
Vi aspettiamo tutti e pensate negli anni a venire quanta
nostalgia proveremo per questo nostro entusiasmo di oggi !
Congratulazioni a tutti e auguri di Buon Lavoro!
IL TRENINO
L'HULA
HOOP
RIVAROSSI
Per tutti i maschi over 3540 la parola Rivarossi è
immediatamente associata
ai trenini elettrici. Oltre la
semplice nostalgia, evoca
e incarna l’Italia della
seconda metà del XX secolo, che dalla miseria del
dopoguerra si avviava a
diventare una potenza
economica soprattutto col
lavoro di aziende mediopiccole come appunto la Rivarossi.
Oltre agli splendidi modelli prodotti, rappresenta qualcosa
in più rispetto al puro valore materiale e nostalgico: non
solo modelli o giocattoli ma simboli di un’epoca comunque
straordinaria e irripetibile.
E’ un giocattolo di
plastica, di forma
circolare. Ha avuto
il suo boom negli
anni '60. Lo svolgimento del gioco con
l'attrezzo consiste
nel calzarlo e farlo
ruotare
costantemente
attorno
al
bacino
e
anche
sugli arti inferiori o
superiori e attorno
al collo. Uno dei
primi
record
di
durata
per
l'hula
hoop è stato stabilito nell'agosto del
1960
dagli
undicenni
Paulette
Robinson,
Charles Beard e Patsy Jo Grigby a Jackson,
Mississippi, con 11 ore e 34 minuti. L'evento è
stato sponsorizzato e trasmesso dalla stazione
radio WOKJ. Mary Jane Freeze, di 8 anni, ha
vinto una gara di durata il 19 agosto 1976 con
10 ore e 47 minuti, L'attuale record di durata è
detenuto dalla statunitense Roxann Rose, con
90 ore, stabilito fra il 2 e il 6 aprile 1987.
-4-
“AFRICA EXPRESS”
VOI CREDETE
VERAMENTE
CHE I MONDIALI
DI CALCIO IN
AFRICA……
(NO, IO NON CI CREDO)
Al momento in cui questo articolo sarà letto dai nostri amici
lettori di “Arrivano I Nostri” saranno in pieno svolgimento i
Mondiali di Calcio in Sudafrica. Per la prima volta in assoluto questa competizione si svolge in terra d’Africa e sulla
questione, sul suo significato, sull’impatto che avrà, e continuerà ad avere anche in prospettiva, sulla nazione organizzatrice e sull’intero continente sono state scritte migliaia di
pagine, versati fiumi d’inchiostro. Nella quasi totalità dei
casi tutti si sono trovati d’accordo nel dire che questo evento epocale contribuirà, e farà da volano, per un vero e proprio sviluppo di queste terre, che porterà migliori condizioni
economiche e di vita alla gente comune. Io, nel mio piccolo,
ho provato a capire cosa potrebbe succedere e se realmente queste aspettative diventeranno realtà. La mia risposta,
al momento, però è stata: NO, IO NON CI CREDO. Vediamo
alcuni aspetti.
1) L’enorme quantità di denaro che è stata spesa per trasformare il Sudafrica, ed in particolare le aree metropolitane fa sì che oggi questo paese appaia bello, moderno, efficiente. Tutto ciò contribuirà a migliorare anche la vita della
intera popolazione o si limiterà a far stare ancora meglio
quelli che già oggi stanno bene? Credete che le moderne
infrastrutture costruite per l’evento, che la banda larga e wifi di cui il paese si è dotato, le strade ed aeroporti ristrutturati e i grandi parchi naturali con decine di nuovi alberghi di
lusso per ricchi turisti occidentali contribuiranno a migliorare la vita dei milioni di disperati che continuano a vivere in
enormi bidonville senza altra prospettiva se non quella di
morire nelle stesse condizioni in cui sono nati?
NO, IO NON CI CREDO.
2) Quando il 15 maggio 2005 la FIFA assegnò l’organizzazione del Mondiali di calcio al Sudafrica si disse che la cosa
avrebbe portato ingenti benefici economici a tutta l’area.
Ovviamente le opere che in questi 5 anni sono state realizzate hanno determinato una forte spinta all’economia e
creato molti posti di lavoro (peraltro limitatamente alle sole
nove città “mondiali”). Il problema, però, è che queste condizioni sono solo temporanee e spariranno una volta finito il
torneo. Credete, quindi, che tutte le persone che hanno contribuito all’evento saranno reimpiegate in altri lavori stabili
che garantiranno loro un reale futuro migliore?
NO, IO NON CI CREDO.
3) Nel quinquennio premondiale, proprio per la parzialità
dello sviluppo economico e del lavoro, è notevolmente
aumentato il tasso di “ineguaglianza” tra ricchi e poveri
tanto che oggi il Sudafrica è tra le nazioni con il più ampio
divario tra chi ha e chi non ha! Credete che questa situazione, alla lunga, non porterà a manifestazioni di rabbia, violenze e distruzioni? Credete che di tale improvvisa “manna
dal cielo” non ne approfitterà la criminalità (peraltro già
notevole in un paese in cui avvengono circa 50 omicidi al
giorno) per allargare la propria nefasta presenza?
NO, IO NON CI CREDO.
4) Uno studio internazionale ha lanciato un allarme particolarmente grave: organizzazioni criminali a livello mondiale
si sono già organizzate per soddisfare l’inevitabile richiesta
di “carne umana” che avviene sempre in queste occasione!
N O T I Z I E , C U R I O S I TA’ E R I C E T T E
DAL CONTINENTE NERO
a cura di Lucio Laurita Longo
E’ previsto che il numero di bambine e bambini, ragazze e
donne fatto entrare clandestinamente nel paese durante la
manifestazione per prostituirsi con i facoltosi “tifosi” che
vorranno divertirsi tra una partita e l’altra, subirà un
aumento esponenziale. Le autorità hanno già annunziato
che vigileranno in modo tale che ciò non accada. Credete,
però, che i circa 500.000 addetti alla sicurezza che saranno
mobilitati dall’11 giugno all’11 luglio, cercheranno realmente di stroncare anche questo turpe mercato e non si limiteranno alla sola protezione di stadi, albergi e turisti per evitare danni all’immagine del paese davanti al mondo?
NO, IO NON CI CREDO.
5) Quasi tutti i media, tranne alcune autorevoli eccezioni,
sono concordi nell’affermare che questa manifestazione farà
sicuramente da traino anche per le altre nazioni africane che
ne trarranno un sicuro giovamento. Siete sicuri, però, che
ciò avverrà anche in quei paesi come il vicino Zimbabwe
(solo per fare un esempio) portato, con una inflazione superiore al 250.000 % (esistono in questo paese banconote da
un trilione di $), alla rovina economica e sociale dal dittatore Mugabe (al potere da 30 anni) la cui immensa ricchezza
personale è frutto dei continui furti degli aiuti internazionali ed il cui motto è: “Solo Dio può destituirmi”? E credete che
le centinaia di migliaia di profughi di questo paese, (si parla
di circa 800.000 disperati) rifugiatisi in Sudafrica e negli
altri paesi limitrofi, siano effettivamente accolti e che verrà
data loro una opportunità di vita migliore?
NO, IO NON CI CREDO.
6) Hanno detto che l’intera nazione seguirà le partite facendo il tifo per le squadre africane ed in particolare per i
Bafana-Bafana (come viene chiamata la nazionale sudafricana). Credete che ciò sarà realmente possibile in un paese
dove buona parte delle zone rurali sono prive di corrente,
dove per andare a vedere una partita al bar più vicino occorrerebbe fare fino anche 30 km a piedi? Dove l’ente nazionale dell’energia è costretto a continui razionamenti, per consentire alle miniere e alle industrie di andare avanti e dove i
black-out sono sempre di più ogni giorno?
NO, IO NON CI CREDO.
7) Da ultimo l’ambiente. Questa parte dell’Africa è sicuramente la più bella e la più incontaminata dell’intero continente. Credete, però, che dopo questi 5 anni di “progresso
economico ed industriale” (?), non ci saranno effetti negativi sulla qualità dell’ambiente e del territorio anche per la
quantità di rifiuti che crescerà drammaticamente e per la
quasi totale assenza di impianti di raccolta e smaltimento?
Credete che le piccole infrastrutture nazionali di smaltimento e riciclaggio, che si vedranno improvvisamente sommerse da milioni di bottiglie, lattine e tonnellate di rifiuti di ogni
genere, riusciranno a farcela senza andare ad incrementare
le immense discariche a cielo aperto che ci sono ovunque ma
che non ci hanno mai fatto vedere perché gli stadi sono più
belli, e puzzano meno!
NO, IO NON CI CREDO.
Non voglio certo rovinarvi la visione dei mondiali di calcio,
per carità! Come molti di voi sapranno anche io sono un
grande tifoso di calcio e, quindi, guarderò le partite in televisione. Vorrei, però, che anche voi, come me, ogni tanto,
magari
nell’intervallo
di
un
Germania/Brasile
o
Italia/Spagna, lanciaste una occhiata oltre gli spalti e il
magnifico tifo che la gente del posto farà, oppure vi dedicaste a letture o programmi di approfondimento sul tema che
sicuramente usciranno in questo periodo. Potrete così vedere che, al di là delle luci e dei colori, dell’allegria, dei suoni
delle “vuvuzelas” (trombette di plastica che emettono un
suono assordante) e delle facce sorridenti e felici che ci verranno proposte ogni istante, vi sono ancora milioni e milioni di persone disperate, che nulla hanno a che vedere con i
mondiali, che ogni ora, ogni giorno, ogni mese e da troppi
anni, muoiono di fame, malattie, violenza, dopo aver vissuto una vita con un reddito di un dollaro al giorno (se va
bene) e senza mai aver mai visto uno stadio e una partita in
vita loro! E, purtroppo, neanche una fetta di carne!
Allora, forse, aver visto una partita di calcio avrà un senso
diverso e se l’arbitro non ci avrà dato un evidente rigore……
chi se ne frega!
-5-
RICORDO DI MARINA
Cesare Catarinozzi
Quei primi giorni dell’asilo dalle suore
polacche, quando comparve una
bimba con il grembiulino bianco: tu,
Marina, sei una delle prime immagini
della mia infanzia. Le nostre famiglie
fecero amicizia.
Molti anni più tardi tu avesti bisogno di
lezioni private di latino e tua mamma
volle che te le impartissi io: abitavamo
di nuovo vicino, alla Balduina. Rosa, la
rosa… ed io stavo prendendo una bella
cotta per te. Dipingevi, mi regalasti un
tuo quadro. Andava allora anche in
voga la canzone “Marina” di Rocco
Granata.
Quella festa da ballo tra ragazzi a
Belsito, quei balli guancia a guancia…
“Quando l’accompagno a casa la
bacio” pensai. Ma venne a riprenderti
tua madre e l’occasione sfumò. Poi lo
scenario cambiò, non ci fu più un’altra
occasione, finirono anche le lezioni di
latino.
Di nuovo ci rivedemmo molti anni più
tardi, a Ostia. Tu, con altre due maestre, avevi fondato un asilo, “Primi
passi”. Mi portasti a visitarlo e rileggemmo anche insieme le poesie che
un tempo ti scrivevo. <<Adesso posso
dirtelo>> affermasti <<Ma tu mi piacevi moltissimo. Poi ti vidi ballare
sempre con la mia amica Loretta e ti
segnai sul mio “libro nero”>>.
Eravamo tutti e due ormai sposati.
<<Ma nella prossima esistenza>>
dicesti tu <<ci faremo i segnali per
riconoscerci e ci sposeremo.>>
Venisti a vedere “La locandiera” di
Goldoni, da me ridotta e diretta con un
gruppo di ragazzi e ragazze. Eri una
mia
immeritata
ammiratrice.
Passarono ancora molti anni prima che
ci risentissimo per telefono.
<<Ho delle cellule negative >> mi
dicesti <<Sto facendo la chemio, ma
presto tornerò al lavoro.>>. Ci risentimmo tutti i giorni e tu mi trasmettevi il tuo ottimismo. Ricordavamo i
tempi passati, ridevamo insieme del
malinteso dei miei balli con Loretta.
Sembravi guarita, tornasti al lavoro e
ti festeggiarono. Dopo un po’, però
stavi nuovamente male e riprendemmo l’abitudine delle telefonate. Finché
un giorno sembravi irreperibile, finalmente riuscii a trovare per telefono
tuo fratello e gli chiesi: <<Come sta
Marina ? >>
<<Marina è morta>> mi rispose lui.
Il cancro ti portò via, ma non potrà
mai portar via il tuo ricordo dal mio
cuore. Scivolano nella mia mente le
immagini del nostro rapporto, vedo te
e me come in un caleidoscopio rovesciato. Rivedo in particolare quella
bambina dell’asilo, quei balli guancia a
guancia nelle nostra festa di ragazzi…
Marina, Marina, dolce ricordo della mia
infanzia e della mia giovinezza, sei
viva nel mio cuore.
Se esiste veramente una seconda esistenza (per la verità io non credo alla
reincarnazione, ma alla resurrezione),
ma se esistesse, ecco, io quel bacio
mancato te lo darei.
C’ERA UNA VOLTA.
NOSTALGIA DI PERSONE E
DI LUOGHI
Maria Rossi
C’era una volta la Madonnina pellegrina… e il
31 maggio nel giardino della nostra casa si
chiudeva il mese mariano. Era la prima metà
degli anni Sessanta e a San Pio X c’era questa
bella tradizione. In ogni palazzina, in ogni cooperativa, una famiglia ospitava la Madonnina
per il Rosario serale; da noi era il 31, la chiusura. Forse perché eravamo tante noi, forse
perché nella palazzina c’era una banda di
ragazzi e bambini tra i 20 e gli zero anni (ben
4 famiglie su 9 avevano più di quattro figli:
roba di altri tempi!), il nostro giardino si prestava bene e in quel mese era tutto un andare da una casa all’altra della Balduina; ci scambiavamo la visita e recitavamo insieme il
rosario. Ho alcune vecchie foto. Tanti ragazzi, con i vestiti estivi appena cambiati.
Sì, perché il 31 maggio era anche l’inizio della nostra estate e dei vestiti leggeri, e anche
la prova di questi vestiti era una specie di rito: da un anno all’altro non stavano più; eravamo più alti, eravamo cresciuti. Pensavo a queste fotografie, a questi ragazzi, quando
pochi giorni fa, il 31 sera, con una celebrazione molto bella abbiamo concluso in parrocchia il mese di maggio. Nostalgia? La fotografia presenta un mondo di tanti anni fa, e
anche quei vestiti sono un po’ buffi. Ragazzi e ragazze hanno fatto la loro strada di uomini e di donne, i bambini sono cresciuti; qualcuno non c’è più, qualcuno non so dove sia
finito. Molti di loro hanno figli e nipoti ed hanno avuto una vita diversa, probabilmente, da
quella che sognavano. Ho nostalgia di loro, delle persone, perché la nostalgia è delle persone; la nostalgia dei posti, dei paesaggi, è tale, secondo me, solo perché è legata alle
persone. Persone a cui abbiamo voluto bene, che abbiamo amato, a cui abbiamo dato
fiducia; ed è anche un po’ nostalgia di come noi stessi eravamo tanti, o pochi, anni fa.
Anche se la vita ci ha portato sofferenze e delusioni (come è inevitabile per tutti) , non
vorrei tornare indietro.
La vita è sempre davanti e quello che sono oggi, anche se è stato ed è a volte faticoso e
sofferto, mi piace più di quello che ero ieri. Non tornerei assolutamente indietro, perchè
la meta è davanti per tutti noi, anche a 90 anni, se abbiamo fatto del nostro meglio per
crescere, maturare ed imparare. Ognuno di noi, però, ha nostalgia del bambino che era;
perché un bambino è convinto che tutti lo amino, ha fiducia; come un ragazzo è sicuro di
cambiare il mondo. Per questo trovo le vecchie fotografie bellissime.
Nelle vecchie foto della grande casa in collina delle mie vacanze ci sono proprio tutti.
Da lì sono passati zii, nonni, cugini, amici di tutte le fasi della vita. Lì abbiamo festeggiato (e ancora lo facciamo qualche volta) ricorrenze e anniversari. I racconti dell’ultima
guerra, del quartier generale tedesco e delle camionette tra le mortelle del giardino, degli
ebrei nascosti nelle grotte in campagna, delle provviste che si riportavano a Roma in
autunno, si uniscono alle partite di pallavolo, alla musica dei “mangiadischi”, alle cene, alla
prima cinepresa, alle risate, ai primi innamoramenti di tanti di noi. Provo tenerezza per
quelli che eravamo, per i nostri genitori giovani e belli, molto più giovani di quanto siamo
noi oggi. La villa è sempre là, con un aspetto materno, con le persiane verdi, con il grande giardino che allora ci sembrava immenso e anche il giardino della casa di Roma, quello della Madonnina del 31, è sempre lì…sono le persone che non ci sono più, o che sono
tanto diverse. Scrivendo queste righe mi tornano in mente tanti altri luoghi e tante persone. I campi estivi dei ragazzi e delle ragazze della parrocchia in montagna, sulle
Dolomiti, in Lombardia, in Veneto sempre in quegli anni; le messe al campo, sotto gli alberi e vicino ai ruscelli, i falò la sera, la chitarra, le canzoni; i giochi, le scenette, gli scherzi, i mal di pancia…le camere e le camerate dove dormivamo, o meglio parlavamo, fino a
tarda sera. Serenità e spensieratezza.
Pochi giorni fa siamo stati con circa settanta dei ragazzi che faranno la Cresima in settembre ad Arcinazzo per un ritiro di due giorni e mezzo; pochissimo se confrontato ai nostri
campi di tanti anni fa, ma oggi i ragazzi e gli adulti hanno mille impegni e altre priorità.
Sono stati giorni e momenti molto belli, intensi e ricchi dal punto di vista spirituale, festosi e allegri nello stesso tempo. Impegnativi per don Paolo e don Gianni, ma belli anche per
noi catechisti che siamo stati bene tra noi con maggiore tranquillità e serenità di quanto
ci capiti normalmente.
Se queste giornate, come spero e mi auguro, resteranno nel cuore dei ragazzi perché
hanno lasciato loro qualcosa d’importante, se tra tanti o pochi anni le ricorderanno con
gioia, se guardando qualche foto proveranno dolcezza, allora: W la nostalgia! Perché queste sono le cose belle che restano nella vita. Romanzi e poesie sono pieni di nostalgia, la
letteratura italiana ed europea di tutti i secoli. Cosa è, se non nostalgia, quello che riporta l’errabondo Ulisse ad Itaca, o tutti gli esuli e i viaggiatori in patria? Cosa è, se non
nostalgia, quello che spinge chi crede a pensare e a sperare il Paradiso? Cosa è, se non
nostalgia, quello che ci fa ascoltare vecchie musiche, cantare vecchie canzoni o sfogliare
vecchie foto? Nostalgia di cose e di persone, soprattutto. Potrei fare tantissime citazioni
ma mi viene da pensare a Montale che scriveva con affetto della moglie morta: “Ho sceso
dandoti il braccio un milione di scale… con te le ho scese perché sapevo che di noi due/
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/ erano le tue.” (Satura)
Allora, guardiamo le vecchie foto e ricordiamo con tenerezza le persone cui abbiamo voluto bene; è bello dire “c’era una volta” per ricavarne e conservare qualche buon ricordo per
il futuro, sperando di costruirne - e lasciarne - uno sempre migliore ai nostri ragazzi.
-6-
MEDJUGORJE
Alessandra Angeli
Sono stata a Medjugorje nel maggio del 2008 con tutta la famiglia.
Appena arrivata, ricordo di aver riflettuto che il paesino era alquanto “bruttarello” ed in certe parti addirittura trasandato: non c’era
quell’ impatto tipico con i luoghi religiosi, sempre ordinati e ben
curati. Ma, a mano a mano che ci si avvicinava alla collina delle
apparizioni, a ridosso delle ultime stradine, “l’aria” cambiava.
Fatti pochi passi sul tratto roccioso, ecco il pensiero che ancora
ricordo lucidamente: ”Oddio, ma io da qui, tra quattro giorni me ne
devo andare!” La sensazione di Casa, di Verità, di Pace, di aver raggiunto e sfiorato l’inizio e la fine di tutto. Più avanti a me vedo un
giovane in ginocchio in preghiera; allora scacciate vergogna e timidezza, mi genufletto. Ho cominciato a piangere così, senza un
motivo preciso, di gioia, di liberazione. Non la smettevo più.
Giri, giri tutta la vita cercando la ricetta della felicità ed ad un certo
punto, all’improvviso, te la ritrovi fra le mani.
Io sono andata a Medjugorje con la sicurezza che fosse tutto vero:
avevo avuto una grazia che solo dopo ho meglio compreso ed onorato; volevo baciare la terra dove la Madonna appare da lunghi
anni; ero preoccupata di non fare in tempo, di perdere un’occasione così unica: tutto questo non durerà per sempre! Ancora adesso,
quando capita qualche trasmissione in tv o qualche rivista ne parla,
mi salgono le lacrime agli occhi, mi si aggroviglia lo stomaco: è
come se per un attimo vi fossi più vicina ed il contatto, se pur non
diretto, mi scuote ancora. Ma quale suggestione collettiva! Sono
passati due anni da quel pellegrinaggio. Ho lasciato decantare dentro di me quest’esperienza, vedere cosa succedeva; ne sto scrivendo solo ora, a freddo. Vedo le interviste a persone sconosciute che
descrivono le stesse sensazioni che ho provato io, e non ci siamo
certamente messe d’accordo! E’ vero, non tutti tornano “toccati”
ma un motivo c’è: è questione di “antenne!” Se sono spezzate,
arrugginite, o sono alte poco più di una spanna non “senti”: si percepisce in proporzione alla loro vitalità. Quella Luce penetra a
seconda della durezza del nostro cuore. Non si deve andare per
cercare con gli occhi qualche immagine luminosa o qualche evento
straordinario. Ci si deve inginocchiare, chiudere gli occhi, chiedere
perdono, chiamarLa col pensiero. Lei non aspetta altro che La cerchiamo, non con i nostri 5 sensi ma con l’anima.
Milioni di persone da tutto il mondo, conversioni, file ai confessionali multilingue. La gente in chiesa non canta a mezza bocca, ma col cuore,
perché finalmente intuisce cosa vuol dire partecipare alla Messa. E
allora perché la Chiesa non ha ancora riconosciuto tutto ciò? Perché
per intervenire aspetta che gli avvenimenti si esauriscano. I riconoscimenti di fatti soprannaturali richiedono tempo e prudenza. Ma
la parrocchia è affidata ai francescani, non a qualche strana setta.
I pellegrinaggi sono sempre accompagnati da un sacerdote. E chi
non ha mai sentito la famosa frase di Giovanni Paolo II: “Se non
fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare”. Cosa aspettiamo
NOSTALGIA O RICORDO?
Paola Baroni
Mi domando se nell’accezione semantica della parola “nostalgia” ci
sia qualcosa che non solo ci rimanda al passato ma anche a qualcosa di negativo o scaramantico. Questa parola, cioè, ci può rimandare a credere che abbiamo perduto qualcosa di definitivo? E come
fare per” riacciuffare” il passato?
La nostalgia è gioia nel ricordo o tormento del passato ?
Quando penso ai periodi dell’infanzia, alla spensieratezza con cui si
affrontavano tutti i tipi di problemi che allora non sembravano poi
così’ importanti e, al contrario, si percepiva l’affanno e le preoccupazioni degli adulti, ci si sentiva un po’ disorientati.
Io sono abbastanza “antica” da ricordare le corse sulla spiaggia
levigatissima e bianca di Anzio, il mare trasparente che con piccole onde arrivava sull’arenile dove i pescatori riordinavano le loro
reti lavorando con le mani e reggendo le reti ...con i piedi.
Lontano, da Nettuno, si sentivano i colpi sparati dal “Poligono” e
sembrava una festa, e invece ci si preparava alla guerra. Malgrado
tutto questo io ho una profonda nostalgia di quel mare, di quei giorni trascorsi a giocare con i miei piccoli amici ! Certo che i ricordi dell’infanzia sono strani davvero. La guerra è stata terribile, le sirene
degli allarmi incutevano terrore, tutti correvano nei rifugi, e noi?
Corri, corri, si va a giocare tutti insieme per i corridoi stretti delle
cantine armate di travi di legno che, secondo gli adulti, avrebbero
dovuto resistere ai cinque piani che stavano sopra di noi!!!
Avevamo meno di dieci anni e ci hanno perdonato sempre tutto il
nostro chiasso. Però venne un giorno terribile mentre eravamo laggiù: si sentirono i rombi dei motori degli aerei sempre più vicini,
andò via la luce e contemporaneamente si sentì uno spostamento
d’aria, le porte delle cantine tremarono con violenza..., tutti indistintamente ci mettemmo a urlare o a piangere; era la fine! Il
nostro parroco, con gli altri sacerdoti della Parrocchia che veniva
sempre nei nostri rifugi perché loro ne erano privi, con grande
commozione ( me lo ricordo benissimo) ci impartì la benedizione “in
ancora? Da quel maggio 2008 per me è stato un crescendo.
Qualche volta escono notizie che vi gettano fango? E che pensate
che il demonio se ne stia con le mani in mano a guardare? O piuttosto non organizzi il contrattacco, cercando di allontanarcene in
ogni maniera possibile. Sono quasi 30 anni che la Madonna appare e ci lascia i Suoi messaggi. Qualcuno potrebbe dire che sono difficili e ripetitivi: la verità e che siamo noi che non capiamo, vanno
come decodificati. In tutto questo tempo quanti viaggi in giro per
il mondo abbiamo fatto? Quanti week-end e quante settimane
bianche? Possibile che ci sono persone che attraversano il globo e
noi italiani, così vicini, non riusciamo ad organizzarci? Credete, ma
ritenete di non averne bisogno? La vostra fede vi basta? Pensate ad
un contemporaneo di Gesù che, adagiato nell’ osservanza della
Legge, è rimasto a lavorare il campo invece di correre a vedere
se quello che si diceva in giro era vero. Credete che sia tutta una
balla? Ma il Vangelo non ci insegna ad essere prudenti e vigili? Degli
avvenimenti che vanno avanti dal 1981 non meritano di essere
quantomeno indagati?
Andate di persona a controllare e poi giudicherete. Questo vale
anche per chi i non credenti. Inoltre ci sono dei segreti che riguardano il futuro dell’intera umanità, che dovranno essere svelati a
tempo debito; i veggenti sono nostri contemporanei, tutto questo
potrebbe riguardarci o riguardare i nostri figli.
Non sarebbe saggio cercare di capire se e che cosa sta succedendo? E’ vero, il male nel mondo c’è sempre stato, ma andiamo più
in profondità: stiamo diventando dei “senza Dio”.
Quest’ umanità inebriata di innovazioni tecnologiche, in un delirio
di onnipotenza, sta perdendo la bussola; non ha più il senso delle
proporzioni, sta regredendo anche nelle leggi di natura, sempre
più moralmente abbrutita e vuota.
Gli uomini non erano mai giunti a massacrare il pianeta che li ospita, ad alterare i propri corpi, quello di cui si nutrono e l’aria che
respirano; a possedere armi sufficienti a saltare tutti in aria da un
momento all’altro, e la lista sarebbe ancora lunga. C’è veramente
da meravigliarsi che la Madonna appaia da così lungo tempo, spesso in lacrime, invocando la pace e la conversione dei cuori?
Io non ne ho alcuna certezza, ma mi sento in dovere di condividere con voi una considerazione che faccio riflettendo sul tutto, pur
se a malincuore: il fatto che forse, nei prossimi anni, si potrebbe
“ballare”, come quando in aereo s’incontrano delle turbolenze.
E se la Madonna stesse qui da circa 30 anni per rifornire le nostre
anime e i nostri corpi di giubbottini salvagente e maschere per l’ossigeno? E se volesse che attivassimo una sorta di passa-passa ai
nostri contemporanei o alle generazioni future?
Allora forse è il caso di muoversi: c’è l’estate di mezzo, andate a
dare un’occhiata; cercate su Internet, leggete libri, tenetevi informati. Non abbiate paura ma siate vigili. Sappiate che anni fa io ero
una che faceva finire nel cestino i messaggi che mi portava mia
madre. Poi ho smesso. Sapete come si concludono tutti i messaggi? Con questa dolcissima frase materna: “Grazie per aver risposto
alla mia chiamata”. Forse, stavolta, sta chiamando anche voi.
articulo mortis”. Abitavo nel quartiere Italia e per nostra fortuna
riuscimmo a rivedere il sole, ma il quartiere San Lorenzo fu praticamente raso al suolo.
Ho raccontato questo perché per me oggi non è solo un ricordo ,
ma stranamente è provare una immensa nostalgia di quei tempi,
quando si stava tutti insieme, quando ci si voleva bene e ci si aiutava come si poteva, con il cuore, con l’azione, con l’entusiasmo.
Un pensiero affettuoso vada a Padre Lorenzo che da lassù, sono
sicura, cerca di aiutarci ancora. E di pensieri ce ne sarebbero all’infinito, ma non tutti “nostalgici”. Ci sono cose che vorrebbero essere dimenticate senza rimpianti, ma non sempre è facile riuscirci;
allora si può fare della scaramanzia? So che molte persone applicano questa stupida regola. Non è molto meglio a questo punto
affidarsi alla saggezza di Dio?
Il passato non torna più, si dice, il futuro non ci appartiene, allora?
Ritorniamo al vecchio “carpe diem” di scolastica memoria? Nella
vita moderna , la vita di oggigiorno intendo, nel nostro sistema
demo-capitalistico sembra proprio che valga questa regola.
Non importa quello che sarà, basta vivere bene oggi, non curarsi
del prossimo altro che a parole, ma senza essere coinvolti in prima
persona. Questo è quello che appare ora nella nostra civiltà consumistica malgrado la crisi economica e del lavoro.
Eravamo forse più buoni, più umani, più sinceri anche se più esposti a vari pericoli che la scienza ha ormai in gran parte debellato.
Nostalgie d’un amore perduto, di un desiderio inappagato, di una
vita che sarebbe stata totalmente differente se.....
Tutto questo lascia il tempo che trova, forse la nostalgia è solo un
non voler “agire” nel presente, non volersi mettersi in gioco aiutando chi ha bisogno e diritto ad una vita dignitosa per se stesso e per
la propria famiglia. Una particolare nostalgia, che ho in questo
momento rileggendo tutte queste mie chiacchiere, è il lavoro che
ho svolto per qualche anno come assistente sociale nell’ “Onarmo”
e che mi ha dato, malgrado fossi allora giovanissima, una carica
eccezionale dal punto di vista umano!
Ora scrivendo tutto questo mi torna la voglia di combattere, di
agire, di “fare”. Lasciamo le nostre nostalgie e malgrado ....,ahi!
..l’età , mettiamoci al ...lavoro!!!
-7-
DON TONINO
BELLO
Un profeta dei nostri tempi
Cesare Catarinozzi
“Quando vi rivolgete a Maria
nella vostra preghiera, chiedetele che vi dia anche tanta
capacità di sogno, non chiedete
solo cose terra terra.
Chiediamo alla Vergine che ci
dia le calde utopie che riscaldano il mondo.”
(don Tonino Bello)
Don Tonino (Alessano, 18 marzo 1935 – Molfetta, 20 aprile 1993), è stato un vescovo cattolico italiano. Trascorse
l’infanzia in un paese ad economia agricola ed impoverito
dall’emigrazione. Assistette alla morte dei fratellastri e del
padre. Dopo gli studi presso i seminari di Ugento e di
Molfetta, don Tonino venne ordinato sacerdote l’8 dicembre
1957. due anni dopo conseguì la licenza in Sacra Teologia
presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e nel
1965 discusse presso la Pontificia Università Lateranense
la tesi dottorale intitolata I congressi eucaristici e il loro
significato teologico e pastorale. Nel frattempo, gli era
stata affidata la formazione dei giovani presso il seminario
diocesano diUgento, del quale fu per 22 anni vice-rettore.
Dal 1969 fu anche assistente dell’Azione Cattolica e quindi
vicario episcopale per la pastorale diocesana. Sin dagli
esordi, il ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa
ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e
da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi,
fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze,
lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque
volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. Sua la definizione di “Chiesa del
grembiule” per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione.
Nel 1985 venne indicato alla presidenza della Conferenza
Episcopale Italiana a succedere a monsignor Luigi Bettazzi,
vescovo di Ivrea, nel ruolo di guida di Pax Christi , il movimento cattolico internazionale per la pace. In questa veste
si ricordano diversi duri interventi: tra i più significativi
quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e
Gioia del Colle, e contro l’intervento bellico nella Guerra del
Golfo, quando manifestò un’opposizione così radicale da
attirarsi l’accusa di istigare alla diserzione.
A seguito dell’unificazione delle diocesi di Molfetta,
Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo disposta dalla Congregazione
per i Vescovi il 30 settembre 1986, viene nominato primo
vescovo della nuova divisione ecclesiastica pugliese.
Nel settembre del 1990 fondò, coadiuvato dal movimento
Pax Christi, a Molfetta (Bari) la rivista mensile Mosaico di
Pace.Benché già operato di tumore allo stomaco, il 7
dicembre 1992 partì insieme a circa cinquecento volontari
da Ancona verso la costa dalmata dalla quale iniziò una
marcia a piedi che lo avrebbe condotto dentro la città di
Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della
guerra civile.
L’arrivo nella città assediata, tenuta sotto tiro da cecchini
serbi che potevano rappresentare un pericolo per i manifestanti, fu caratterizzato da maltempo e nebbia. Don Tonino
parlò di “nebbia della Madonna” (celebrata, appunto, in
data 8 dicembre). Morì per il cancro a Molfetta il 20 aprile
1993. Campione del dialogo, costruttore infaticabile di
pace, pastore mite e protettore dei poveri, degli immigrati
e degli ultimi. Profeta della speranza, infaticabile testimone dell’amore di Cristo nel tempo, cantore della bellezza
nella molteplicità delle sue espressioni, nostro e indimenticabile poeta e profeta…dell’aurora…
Scrittore ispirato, per la freschezza e l’originalità dello
stile, per la profondità del messaggio, per la forza del suo
linguaggio, capace di parlare ai giovani, agli adulti, lontano
o impegnati nella Chiesa, agli ultimi, a ciascuno, personalmente.
La sua scelta pastorale vissuta nell’opzione radicale per gli
ultimi, il suo impegno per la promozione della pace, della
non violenza, della giustizia e della solidarietà lo rendono
ancora oggi, a distanza ormai di 16 anni dalla sua morte,
uno dei più audaci profeti dei nostri giorni.
MEGLIO LA NOSTALGIA !
Pietro Gregori
Il grave fatto terroristico avvenuto lo scorso 17 maggio in
Afghanistan, dove hanno trovato la morte due nostri alpini
e ne sono rimasti feriti altri due, mi fa ritornare alla mente
un episodio, per molti aspetti similare, in cui è rimasta
coinvolta la mia famiglia nel lontano 1931.
La mattina del 2 luglio di quell’anno, mio padre, nella sua
qualità di ispettore doganale, si era dovuto recare presso lo
scalo ferroviario della stazione Roma Tiburtina, per controllare un carro merci che era giunto a Roma senza la prescritta “punzonatura”.Sul luogo si trovavano già un impiegato
delle Ferrovie dello Stato ed un manovale. Pochi minuti
dopo da quando tutti e tre erano saliti sul vagone, si verificò una tremenda esplosione che scoperchiò addirittura il
veicolo, uccidendo all’istante i due accompagnatori di mio
padre. Lui si salvò per un vero miracolo trovandosi in quel
momento al riparo dietro una colonna di cassette che contenevano, si disse, macchine da scrivere. Ciò malgrado, mio
padre rimase ferito in vari punti sul lato destro del corpo,
per cui fu ricoverato presso il Policlinico Umberto I.
Io mi trovavo in casa con i fratellini, entrambi più piccoli di
me, e la giovane domestica, quando verso le 12,30 suonò il
campanello del portoncino: era un collega di papà che veniva ad avvisarci del fatto, attribuendone però la causa all’essergli “caduta una cassa su un piede”. Non aveva ancora
finito di parlare quando giunse in casa il nonno Luigi, il
quale, non appena ebbe appreso l’accaduto, si precipitò in
istrada accompagnato da quel signore, con l’intento di
recarsi subito all’ospedale.
Quando, dopo un paio d’ore di ansiosa attesa, il nonno ritornò, si gettò immediatamente in ginocchio davanti ad alcune
immagini sacre collocate su una sorta di altarino che tenevamo e, con profonda commozione, formulò una preghiera
di ringraziamento per lo scampato pericolo del figlio. Certo
per lui doveva essere stato tremendamente difficile evitare
di pensare al peggio, visto che a noi piccoli, meno di un
mese prima, era venuta a mancare la mamma! Nel pomeriggio del giorno successivo si presentarono a casa nostra due
cronisti del quotidiano “Il Popolo di Roma” che, dopo aver
chiesto notizie sulla famiglia, scattarono a noi bambini una
fotografia poi pubblicata sul loro giornale. E questo il giorno dopo uscì con un articolo che occupò quasi l’intera pagina dedicata alla cronaca cittadina, dal titolo: “14 FIGLI DI
LAVORATORI, E DI ESSI 11 ORFANI, SOFFRONO PER IL
NEFANDO BRUTALE ATTENTATO”. Apprendemmo così, tra
l’altro, che le due povere vittime avevano lasciato rispettivamente tre e otto figli e che il vagone della morte proveniva dalla città francese di Modane. Quanto ai responsabili del
vile fatto di sangue, il regime allora vigente ebbe a dichiarare trattarsi di fuorusciti antifascisti. Come è avvenuto in
questi giorni per gli alpini assassinati, gli strazianti funerali dei due sventurati furono tenuti, con grande partecipazione di popolo, proprio nella basilica di Santa Maria degli
Angeli. Anche mio nonno volle essere presente, conducendomi con lui, ma, essendo noi arrivati un po’ tardi, dovette
farsi largo tra la numerosa folla contenuta dalla forza pubblica e chiedere a questa di poter passare pronunciando con
gravità le parole: “Sono il padre del ferito”. Al termine del
rito, le salme furono deposte su altrettanti carri funebri,
quelli tirati da cavalli che si usavano all’epoca, e fu formato
un mesto ma imponente corteo che, passando davanti alla
stazione Termini, si sciolse in piazza Indipendenza.
SORRISI
Gregorio Paparatti
Una signora ultracentenaria è diventata trisnonna.
Davanti al neonato,dopo averlo
ammirato a lungo mentre la
mamma gli faceva il bagnetto mormora: ”Se mi ricordo bene questo
deve essere un maschietto”.
*
Il maestro alla classe: “Chi mi sa
indicare sulla cartina dove è
l'America?
-8-
Chiara si alza e la indica.
“Bene; adesso sapete dirmi chi ha
scoperto l'America?”
Tutta la classe in coro:”Chiara !”
*
“Perché piangi?”-domanda la
mamma preoccupata al suo bambino.
“Guardavo papà fare un lavoro e
ad un certo punto si è dato una
martellata su un dito”
-”o mi sarei messa a ridere” - dice
la mamma.
“Anch'io.Ma papà mi ha dato un
ceffone.”
NEL FAVOLOSO MONDO
DELLA PANTANOSTALGIA
Marco Di Tillo
I capoccioni degli Oroscopi sostengono che noi del Cancro
siamo il segno più nostalgico di tutti, sempre ancorati al
passato e assai poco proiettati verso il futuro.
Forse è proprio vero. Ad esempio io, cancerino d.o.c., del
passato salverei tutto. O quasi tutto. Ad esempio salverei
quella nevicata eccezionale del febbraio 1956 durata per
diciassette giorni consecutivi. Avevo 5 anni. Un po’ ero felice, un po’ arrabbiato perché la neve aveva ricoperto completamente il mio campo da calcio, ovvero la strada davanti casa. I miei figli sostengono che chi è nostalgico è pure
un sacco triste. “I ricordi ti fanno du’ palle così, papà. So’
da vecchi rimbambiti. Pensiamo ad oggi, invece. C’andiamo
al cinema? Si o no?”
Sarà vero quello che dicono i miei figli? Che i ricordi sono
tristi ? Secondo me, dipende da come giriamo la questione.
L’uomo è il miglior computer esistente al mondo. La sua
memoria può contenere un’infinità di file che sono suddivisi in categorie, sottocategorie, immagini, azioni, frasi,
discorsi, sensazioni. Ricordi, appunto. Il computer-uomo è
anche molto sofisticato. Ad esempio non bisogna usare il
mouse, basta un piccolo flash del cervello azionato a dovere ed eccoti spuntare davanti tutto quello che fa parte di te,
della tua storia, del tuo percorso umano. Puoi rivedere
tutto, se vuoi, anche ad occhi chiusi anzi, soprattutto ad
occhi chiusi. Puoi farlo di giorno, di notte, mentre guidi,
mentre stai sul treno, mentre fai la doccia tutto insaponato.
Quando ti pare. E’ una banale ripetizione, un meccanismo
semplice, così come hai già fatto rivedendo decine di volte
quel bellissimo film o riletto lo stesso libro. Quante volte sei
tornato nello stesso museo a rivedere quel quadro fantastico o a soffermarti davanti a quella prodigiosa scultura?
E tutto questo sarebbe triste? Allora dovrebbe essere molto
triste anche mangiare il tiramisù oppure i bucatini alla amatriciana per la centomilionesima volta. Che gusto c’è a provare sempre lo stesso sapore? A parte il fatto che provare
sempre lo stesso sapore, se è un sapore buono, potrebbe
essere molto piacevole, mettiamola così, invece, diciamo
che non è mai lo stesso sapore. A volte nel tiramisù c’è
troppa crema, i bucatini sono un po’ più scotti, il sugo è
venuto diverso perché i pomodori non erano quelli giusti.
Così anche le nostalgie. Le immagini che rivediamo sono
sempre le stesse ma è il momento in cui scegliamo di rivederle che magari è cambiata qualcosa dentro di noi.
Abbiamo bisogno, ad esempio, di essere malinconici in quel
momento oppure urge una forte scossa di adrenalina, oppure necessità di riflettere, di pensare, di rivedere qualche
persona importante del passato che ci trasmetta nuove
forze con le sue parole, con il suo sguardo. Insomma tante
diverse implicazioni e possibilità di un solo ricordo che pro-
voca risposte diverse. E allora eccole le mie “tristi” nostalgie.
Quelle del signor Luigi, il mondezzaio che veniva direttamente
a casa, del pecoraio che tosava le pecore sul nostro terrazzino e ci vendeva la lana per i cuscini ed i materassi e anche
della cara tata Cesira, simpatica e strafottente, con i suoi
ricordi dell’Umbria contadina. Ho nostaglia del muretto dell’angolo dove ci ritrovavamo dopo i compiti per giocare a
figurine, a battimuro, a tre tre giù giù. Delle mie estati in
montagna a Penia di Canazei e di quel luogo magico che io
ed il mio amico Paolo, oggi architetto, avevamo “scoperto”.
C’era un ruscello in una piccola vallata silenziosa. Nessun
rumore. Solo quello dell’acqua che scorreva. Saremmo
potuti restare lì per sempre tanta era la pace che ci circondava. Giurammo che se le cose della nostra vita fossero
andate male, sapevamo dove tornare per poter ritrovare un
po’ di pace. L’avevamo soprannominato “il posto azzurro”.
Ci sono tornato, due anni fa. Ma il posto azzurro naturalmente non c’è più. Al suo posto sorge oggi un grande albergo, una SPA come si chiamano ora ‘sti posti con le piscine,
i campi da tennis ed i massaggi a gogò. Ho nostalgia del
primo film che sono andato a vedere con i miei amici e
senza l’accompagno dei genitori. Era “Le vacanze di
Monsieur Hulòt” di Jacques Tati. L’ho rivisto tempo fa. E’
mejo di prima. Almeno lui resiste ancora.
Della spiaggia bianchissima di Stintino in Sardegna, dove
nell’estate del 1970 facemmo campeggio libero e giocammo
un’interminabile partita undici romani contro undici sardi.
Il Cagliari di don Paolo aveva appena vinto lo scudetto ma
il goleador di quella partita non fu Gigi Riva ma il sottoscritto. Oggi su quella spiaggia non si riesce più neanche a camminare per la folla che c’è e, naturalmente, sul prato dove
noi campeggiammo c’è il solito albergone con campi da tennis e piscine. E come ti sbagli ? Ho nostalgia di Papa
Giovanni XXIII, della sua simpatia, del suo sorriso e di
quella volta che mia madre mi portò a vederlo parlare in
piazza San Pietro. Ho nostalgia delle partite a scopetta del
sabato pomeriggio con mia nonna quando lei mi raccontava
della sua infanzia a Trastevere. Delle Olimpiadi di Roma del
1960 in cui vidi molte gare compresa la vittoria del nostro
Livio Berruti sui duecento metri. Nostalgia dell’abbraccio di
Madre Teresa quando l’andavo a prendere all’aereoporto.
Della mia chitarra Eko elettrica e del gruppo rock. Della
prima volta che ho visto Venezia, a otto anni e mi sembrava di passeggiare nel mondo delle fiabe. Nostalgia della
notte dello sbarco sulla luna. Dei miei viaggi in cinquecento, quattro deficienti più i bagagli ed un’estate intera da
vivere con pochi soldi in tasca e gli occhi pieni di curiosità.
Nostalgia della cena con i miei compagni di liceo, dopo 30
anni dal diploma. Eravamo stati ragazzetti insieme e ci
ritrovamo ora attempati signori di cinquant’anni. Abbiamo
pianto, ci siamo abbracciati e dopo abbiamo riso e scherzato, come prima. Nostalgia del giorno del matrimonio con
mia moglie davanti a Dio e di quando abbiamo festeggiato
le nostre nozze d’argento 25 anni dopo. Nostalgia di tutti i
momenti belli passati con i miei figli da quando sono venuti al mondo e anche di quando dicono: “Nostalgia? Che
palle, papà.”
GIANNI RIVERA
IL FLIPPER
Conosciuto in inglese come
“Pinball”, è un gioco di origini americane, molto diffuso
con tale nome in Italia,
Francia ed altri paesi europei
a partire dagli anni cinquanta, soprattutto in bar e locali
pubblici. Il termine flipper
deriva dalle piccole alette
comandate
da
pulsanti
esterni con le quali il giocatore può colpire una biglia
d'acciaio mirando a bersagli
posti su un piano inclinato
coperto da un vetro trasparente. Ogni singolo bersaglio
o combinazione di bersagli
colpiti apporta un punteggio
differente.
Soprannominato Golden
boy, "ragazzo d'oro" del
calcio italiano, è stato il
primo
calciatore
del
nostro paese a vincere,
nel 1969, il Pallone d'oro.
Occupa la ventesima posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori
del XX° secolo.
A parere di molti esperti è
stato il miglior giocatore
italiano
di
sempre.
Indimenticabile il suo
quarto goal alla Germania
nella
semifinale
dei
Mondiali ‘70 in Messico.
-9-
I MIEI LUOGHI DELLA MEMORIA
Alfredo Palieri
Ho preso in prestito il titolo di un bel libro di Mario Isnenghi,
docente di Storia Contemporanea all’Università di Venezia,
che descrive tutti i luoghi storici di cui noi italiani abbiamo
nostalgia, per parlare invece, più modestamente, dei miei
luoghi “storici”, così alla rinfusa.
<<Mio fratello è nato l’otto aprile 1924 !>>.
Siamo a Firenze, nei giardini di piazza Cavour, e mio fratello Bruno rivela a qualcuno, chissà a chi, la mia data di
nascita. Sono le prime parole che io ricordo nitidamente
nella mia vita. Avevo solo due anni. La casa di Firenze in via
Lamarmora 18 è sempre rimasto un ricordo magico. Ci trasferimmo a Roma di lì a poco. Andai a rivederla con mio fratello nel 1937, provando sempre lo stesso tuffo al cuore.
Nella Villa Turrisana, vicino a Trani, alla fine degli anni ’20,
si riunivano d’estate varie famiglie: la nostra, quella di mio
zio Battista, di zio Vincenzo e di zia Ilda. Insomma eravamo
proprio un sacco di gente. Dopo la mattinata al mare, alla
“contr’ora pomeridiana ” (termine pugliese) i grandi dormivano e io, a cinque anni, mi aggiravo tra il piazzale ghiaiato
e le vigne, col frinire delle cicale che veniva superato dal
fragoroso russare di zio Battista. Nella stalla scalpitavano i
cavalli, compreso quello del calesse (sciarabà) con le ruote
con pneumatici che zio Vincenzo guidava impettito e disinvolto. La via Adriatica per Bari non era ancora stata asfaltata. Passavano i carretti, col cane dietro, e, di notte, col lume
sotto. Coi carretti, i contadini si recavano al lavoro nei
campi all’alba. A mezzogiorno, pane e cipolla. Tornavano nei
paesi a sera. Più tardi, col fresco, arrivava da Trani, percor-
LE NOSTALGIE DI
UN’ANZIANA SIGNORA
Lydia Longobardi
*Nella foto: Tripoli, Corso Vittorio Emanuele, 1930
rendo soltanto due chilometri, l’automobile di Mario, un
cugino più grande, tra nugoli di polvere, la ruota di scorta
sul lato e, nel bauletto, la pompa a mano per gonfiare le
gomme. La Domenica, dal Collegio dei Barnabiti di Trani,
veniva a celebrare la Messa nella cappellina della villa il
padre Turchetti. Ricordo che diventava rosso in viso, bevendo il vino della Consacrazione.
Lo zio Battista, padre di sette figlie, era famoso per il suo
russare superbo, come latinista e anche come geniale matematico che realizzava perfette aiuole ellittiche con lo spago
manovrato tra i due fuochi. Poi c’era zio Giovanni Beltrami,
famoso storico, che dimostrò che gli Statuti Marittimi di
Trani sono anteriori di 30 anni a quelli Amalfi. A Trani oggi
c’è una via intitolata a suo nome.
All’inizio degli anni ’40 ci spostammo a Torricella, tra Trani
e Corato. Non c’era elettricità. Solo lumi a petrolio. Ci facevamo i muscoli manovrando la pompa che portava ai cassoni l’acqua della cisterna. Papà aveva realizzato personalmente un bagno completo con tutti i servizi. Le fascine di
legna servivano per la cucina. Che maccheroni al forno e
altre prelibatezze varie preparava la zia Ghita ! Noi, tornando dal mare, caricavamo sulle bici i blocchi di ghiaccio per
la ghiacciaia. Ricordo i sapori antichi dei pasticcini e,
soprattutto delle “cartellate al miele” che preparavano le
zie e che, a Natale, ci arrivano in un magico pacco dalla
Puglia. E poi c’era lo yogurth che si preparava artigianalmente nelle latterie, buono da morire, in barba a tutte quelle scatolette di plastica colorate reclamizzate oggi nei
supermercati nostrani.
E poi c’era la bicicletta. “Sembri la lupa del Campidoglio!” mi
dicevano a casa perché io, a dieci anni, andavo sempre su e
giù per il cortile con la mia prima biciclettina ereditata dai
fratelli maggiori che poi, per 50 lire, fu data in sconto sull’affitto della casetta che prendemmo ad Ostia nell’estate
del ’35. Tic-Tac faceva il contachilometri. Una novità assoluta della bici Bianchi che nel 1937 costò ai miei ben 600 lire.
Ma l’avevo meritata per aver superato brillantemente gli
esami di accesso al Ginnasio Superiore. L’avevo chiamata
“Mariana” questa bici in onore del professor Mariano Nuti,
al quale noi studenti eravamo molto affezionati. Mi fu rubata e nel 1941 fu sostituita da una Legnano alla quale, altra
novità, fu istallato il cambio. Rubata pure quella nel ’48,
forse in onore al film di De Sica, contemporaneo, “Ladri di
biciclette”. In cantina, un po’ di tempo fa, ho trovato le cartine che noi ragazzi, girando in bicicletta, disegnavamo,
come esploratori, ogni volta che scoprivamo nuove strade e
viottoli di quella nostra città che era Roma che oggi sarà
anche diventata una specie di girone infernale piena di auto
e palazzi e gente arrabbiata e nervosa ma che, nella nostra
memoria, resterà per sempre meravigliosa.
Apro gli occhi. Anche oggi il cielo è inesorabilmente
grigio e siamo a maggio inoltrato. Con tristezza chiudo gli occhi. E penso. Penso con nostalgia al cielo
sempre azzurro di Tripoli, alla mia serena infanzia
trascorsa lì dal 1929 al 1939, in pacifica convivenza
tra arabi ed ebrei, alla mia bella scuola elementare
Regina Elena e al ginnasio di Bengasi.
Penso a mia madre tutta dedita alla famiglia che nel
mese di maggio ci faceva fare i “fioretti” alla
Madonna. Penso a quelle buone merendine che ormai
non si usano più: pane, burro e zucchero, pane burro
e alici. E poi i gelatini da sei soldi che venivano dati
in premio a me e a mio fratello quando eravamo stati
bravi e passava strombettando il carrettino siciliano
dei gelati. Nostalgia acuta di un periodo felice della
mia lunga vita, quando era breve il tempo vissuto e ci
si aspettava tanto dal futuro.
Nostalgia della mia prima Comunione nel 1933 nella
Cattedrale di Tripoli, io con le braccine colme di
gigli… Basta ! Riapro gli occhi pieni di lacrime.
In seguito le cose sono andate in modo diverso.
Al ritorno in Italia ho affrontato una realtà più dura,
che però mi ha formato un forte carattere: guerra,
tanti sacrifici, studio, laurea, matrimonio, figli, vedovanza. Tuttavia ora, ogni giorno, dal profondo del
cuore ringrazio Dio perché la Fede mi ha sempre sorretto e donato serenità e amore per gli altri. Guardo
ancora il cielo. Si vede un lembo d’azzurro.
- 10 -
CIRCOLO PICKWICK
LA NOSTALGIA CHE INGANNA
Nostalgia: dal greco Nóstos, ‘ritorno’, e Álgos, ‘sofferenza’
Nostalgia è la mia foto a cinque anni al mare, è mia nonna
che mi coccola, è mia madre giovanissima e bella che mi
rimbocca le coperte, è mio padre con i capelli neri che torna
dal lavoro, è la foto del mio matrimonio, è il viso dei miei
tre figli appena nati, è la fiducia che avevo di riuscire da
sola nella vita, è il ricordo di un tramonto, è l’odore d’erba
appena tagliata, è la colonna sonora di “Nuovo Cinema
Paradiso”, è soprattutto non poter riparare ai tanti sbagli
della vita.
La nostalgia è un sentimento che non amo perché mi fa
sentire triste e debole, perché nulla posso fare per far tornare il passato e magari, all’occorrenza, cambiarlo.
Nostalgia mi fa pensare a qualcosa di inamovibile e struggente e io all’immobilità e lo struggimento contrappongo la
forza del presente e quella di andare sempre avanti.
Nostalgia per me quindi ha una connotazione negativa perché come dice la Bibbia:
“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni
faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un
tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per
sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per
guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per
gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi
e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un
tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e
un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo
per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per
cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un
tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la
guerra e tempo per la pace.”
E quindi se ogni cosa ha il suo giusto tempo, io credo che
non sia buono lasciarsi troppo cullare dalla nostalgia che
di solito ci riporta alla mente solo i ricordi positivi, omettendo regolarmente tutti gli sbagli e i dolori passati.
Le prime cinque righe di questo articolo dunque, potrebbero essere riscritte così.
Nostalgia è la mia foto a cinque anni quando al mare avevo
la febbre , è mia nonna che mi faceva ripetizioni di latino, è
mia madre giovanissima e bella che mi dedica poca attenzione, è mio padre con i capelli neri sempre al lavoro, è quel
giorno al tramonto in cui il mio primo fidanzato mi ha
lasciato, è la fatica sul mio viso il giorno del mio matrimonio, è il ricordo bello ma molto doloroso dei miei tre parti,
è i vari liet motiv di “ Nuovo Cinema Paradiso” un po’ tutti
uguali e melensi, è i tantissimi passi falsi nella mia vita.
Quindi, cara nostalgia, quando mi assali io ti scaccio e
cerco di godermi appieno ciò che la vita mi riserva di buono
in quel momento. Ogni giorno provo ad affrontare la giornata con entusiasmo e soprattutto senza piangermi troppo
addosso guardando con nostalgia al passato.
Giulia Bondolfi
Francesca Adrower
Più la loro nostalgia è forte, più si
svuota di ricordi. Più Ulisse si struggeva, più dimenticava. Perché la nostalgia
non intensifica l’attività della memoria,
non risveglia ricordi, basta a se stessa,
alla propria emozione, assorbita com’è
dalla sofferenza.
Milan Kundera, L’ignoranza
“... non male mi colse, che terribilmente
con odioso languore del corpo distrugge la vita,
ma il rimpianto di te, il tormento per te, splendido Odisseo,
l’amore per te m’ha strappato la vita ...”
Odissea, Libro XI, trad. R. C. Onesti (Ulisse incontra la
madre nell’Ade)
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto, / Che lascia dietro di sé
mari e tempeste, / I cui sogni sono morti o mai nati, / E siede e
beve all’osteria di Brema, /Presso al camino, ed ha buona pace.
Primo Levi, Approdo
Moriranno di nostalgia, ma non torneranno.
Scritta su un muro in Nicaragua poco tempo dopo la caduta del dittatore Somoza
Straniero, al mio dolce volo per il piano, / non aver paura: io
sono uno spirito d’amore, /
che al suo paese torna di lontano.
Pier Paolo Pasolini, Canto delle campane
A rigore la filosofia è nostalgia, il desiderio di trovarsi dappertutto
come a casa propria. Novalis, Frammenti
E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!
Giacomo Leopardi, Alla luna
Ad ogni rintocco tuo, / vibrante nel cielo aperto, / è più remoto il
passato, / più urgente la nostalgia.
Fernando Pessoa, Campana del mio villaggio
Ho nostalgia degli anni Cinquanta: allora avevo un aspetto umano.
Paolo Villaggio (Ugo Fantozzi)
Ora ho costruito un castello / su un’estrema e silenziosa altura; /
la mia nostalgia sta là e guarda / fin alla noia, ed il giorno si fa
grigio / - principessa, dove sei rimasta?
Hermann Hesse, Il principe
Poche gocce di nostalgia / non possono riempire mai / questo
stagno mio di follia, malinconia / di te...
Mina, Fermerò qualcuno
Non c’è che una nota / Nella tastiera dell’anima mia: / “nostalgia”.
Aldo Palazzeschi, Chi sono?
Il pensiero di un uomo è innanzitutto la sua nostalgia.
Albert Camus, Il mito di Sisifo
Perché a ogni sussulto mitico, ti ritornano in mente i tronchi e il
fiume e la collina con dietro la luna e la strada e l’odore di prato
e di campo, del tuo paese?
Cesare Pavese, Il Mestiere di vivere
Tutti gli addii ho compiuto. Tante partenze mi hanno formato fino
dall’infanzia. Ma torno ancora, ricomincio, nel mio ritorno si libera
lo sguardo.
Reiner Maria Rilke
LA FORMIDABILE
500
Nell'Estate del 1957 la
vettura
era
pronta.
Innanzitutto il design: in 2
metri e 97, il disegnatore
Giacosa riuscì a realizzare
una carrozzeria proporzionata, originale e moderna
che gli valse il premio
"Compasso d'Oro 1959", onorificenza dedicata al design
industriale. Grazie alla tecnica costruttiva del telaio, la vettura pesava circa 470 kg a vuoto. Il motore, con 479 cc,
erogava 13 cv, lanciava la vetturetta a 85 km/h e consumava in media 4,5 litri di benzina "normale" ogni 100 km.. Per
i bagagli c'era il vano sotto il cofano anteriore (in parte
occupato dal serbatoio da 20 litri) o lo spazio alle spalle dei
sedili anteriori.
Il prezzo iniziale era di 465.000 Lire. Fu l'inizio di una lunga
carriera fatta di pochi, indovinati aggiornamenti che faranno della 500 la "Regina" incontrastata delle utilitarie.
- 11 -
UN GIORNO LONTANISSIMO DELLA
MIA INFANZIA: 5 MAGGIO 1936
Luciano Milani
Forse saranno ormai molto pochi gli amici che questo mio amarcord
indurrà a rivivere quel giorno e quegli eventi così esaltanti. I giovani poi,
non so se gradiranno leggerlo come un frammento di storia patria così
remota per loro. Comunque, per me è la descrizione del mio stato d’animo corrispondente al desiderio pungente e al rimpianto melanconico di
quel “vissuto” sempre così lontano eppure così presente!
La mia infanzia e la mia giovinezza sono trascorsi in una famiglia che non
aveva aderito al Fascismo. Mio padre nel 1920, giovane reduce della
grande guerra, era stato nominato “Corrispondente” (oggi si direbbe
“Segretario” ) del Partito Popolare di Don Sturzo. E non perché fosse
addentro nelle agitate diatribe politiche del momento, ma semplicemente perché era un buon cristiano, appena alfabetizzato dalla scuola dell’obbligo dell’epoca. È vero che nei 4 lunghi anni di guerra aveva saputo
sfruttare il contatto con i superiori per evolversi un po’, e si era molto
esercitato nella scrittura, inviando a mia madre oltre 900 tra lettere e
cartoline, con la bella effigie dell’Italia vittoriosa , avvolta nel Tricolore
fiammeggiante, ma punto e basta.
A casa mia dunque, la guerra con l’Abissinia non era stata vissuta davvero con l’entusiasmo del grande tribuno Mario Appelius. Eppure quel
giorno anche mio padre ebbe attimi di sincera commozione, non solo per
la fine della guerra, un fatto sempre carico di gioia per un cristiano, ma
anche per la vittoria in sé stessa.
La mattina del 5 maggio, dunque, nel paese si era svolta l’annuale cerimonia della processione al Monte Calvario (un rilievo montuoso a ridosso dell’abitato). Al ritorno, verso le ore 13, ci si parò dinanzi uno spettacolo meraviglioso. In tutte le finestre e in tutti i balconi sventolavano
bandiere di stoffa e di carta. Non ci volle molto a capire che la guerra era
finita e la vittoria aveva arriso alle nostre sorti. L’imbandieramento era
stato curato in poche ore dai giovani fascisti della vicina cittadina di
Monterotondo, su ordine della Federazione Fascista dell’Urbe. Dopo qualche ora, un furgone attraversò le vie del paese, annunciando l’adunata
nella piazza del Municipio per le ore 10, per sentire dalla viva voce del
Duce l’annuncio solenne della Vittoria. Anche a casa mia ci si alzò da
tavola e ci si abbracciò con gioia, dimentichi in quel momento perfino
delle lacrime versate da mia madre quando aveva dovuto “donare con
grande spirito patriottico” la fede nuziale per la guerra. In via del tutto
eccezionale, papà autorizzò ad andare all’adunata me e mio fratello
Giovanni, di due anni più grande. Lui preferì andare ad ascoltare l’annuncio nella canonica, insieme a Don Mario. Alle 10 precise, dopo che lo
speaker ebbe comunicato che 200.000 persone, in Piazza Venezia, in
quel momento, urlavano a voce unanime “Duce, Duce!”, finalmente
dalla piccola radio rurale, fissata sul davanzale della finestra del Podestà,
si udì la voce stentorea del Duce leggere il messaggio del Maresciallo
Badoglio: “Oggi 5 maggio, alle ore 16 alla testa delle truppe vittoriose
sono entrato in Addis Abeba”. Il paese contava allora poco più di 1700
abitanti. Credo che fossimo presenti sulla piazza in 1500. Il richiamo del
Podestà e l’alt perentorio del segretario politico non valsero a far ascoltare il seguito del telegramma. Tutti, grandi e piccoli, ci abbandonammo al canto “Salve popolo di eroi, Salve popolo immortale…”
L’entusiasmo, spinto al parossismo, sembrava aver travolto perfino le
pudiche usanze della nostra piccola comunità rurale: ragazze e ragazzi si
abbracciavano e i baciavano, quasi l’evento storico li avesse autorizzati
ormai alla… inconcepibile trasgressione! Quella piccola folla osannante
non era mai stata così festosa, orgogliosa e superba. Tornata la calma,
sentimmo che il Duce proseguì il discorso martellando le sillabe:
“Annuncio al popolo italiano e al mondo che la pace è ristabilita. Non è
senza emozione e senza fierezza, che dopo sette mesi di aspre ostilità
pronuncio questa grande parola.”
Noi bambini, alla mezzanotte, ligi alla consegna paterna, tornammo a
casa, ma in paese per tutta la notte risuonarono i canti fascisti e le grida
di “Viva il Duce!”. Ormai sono passati 74 anni da quella fatidica notte. Io
sono vecchio. Le mie sinapsi avrebbero bisogno, se fosse possibile, di
essere un tantino oleate per ricordare i fatti e le letture di ieri e dell’altroieri. Ma l’apoteosi di quel lontanissimo 5 maggio è ancora vivissima
nella mia mente nei minimi particolari e nel ricordo dei singoli volti, suscitando sempre in me quel sentimento che con parola di derivazione greca
fortemente semantica si chiama Nostalgia. E ciò, anche se mio padre
seguitò a chiamare ingiusta quella guerra ed io, avanti negli anni e negli
studi, dovetti dargli ragione; ed anche se scoprii più tardi gli incendi delle
misere capanne degli indigeni e i lanci inumani di gas tossici compiuti dai
nostri generali su popolazioni inermi e innocenti.
Ma forse la nostalgia di fatti ed emozioni vissuti da un bimbo di 10 anni
è davvero un’altra cosa, anche a distanza di oltre settant’anni.
- 12 -
L’ULTIMA STRADA
Pier Luigi Blasi
La parola “nostalgia” è inevitabilmente legata alle
parole “passato” e “ricordi”.
L’altro giorno camminando
nel quartiere circondato
dalle macchine, assordato
dai loro clacson e intossicato dai loro gas di scarico,
per un attimo, ho avuto
nostalgia della Balduina di
tanti anni fa. Sono arrivato
alla Balduina all’inizio del
1960, allorchè la mia famiglia si trasferì da un’altra zona di Roma in questo quartiere ancora in costruzione, andando ad abitare a via
Pereira. La strada si presentava come il letto di un
fiume che durante il periodo invernale veniva riempito
dalle pioggie. Verso il 1962, terminata la costruzione
delle ultime case, venne fatta la strada, ed io dal terrazzo di casa seguii con curiosità i lavori. Ricordo le
macchine asfaltatrci, i rulli compressori, l’odore del
catrame, e gli operai le cui voci palesavano la provenienza dal Sud Italia da dove veniva parte dell’emigrazione post bellica verso la Capitale bisognosa di manodopera nella sua espansione edilizia non ancora ultimata. In quel 1960 frequentai l’asilo a via Bitossi
dove, dopo tanti anni, avrebbero studiato anche le mie
figlie. Mi accompagnava a piedi mia madre e anche via
della Balduina, in quel tratto, non era ancora asfaltata
e stavano costruendo il fabbricato dove oggi si trova il
“residence Balduina” e quelli successivi. Dopo la scuola la strada finiva e dove ora c’è via Massimi era tutto
verde.
Anche dopo il ponte sulla ferrovia di via Damiano
Chiesa non c’erano le case che ci sono ora ma quello
che noi bambini chiamavamo “il prato” che si estendeva a destra e sinistra della strada che portava al
Policlinico Gemelli da poco inaugurato. Al “prato”,
oltre a giocare, raccoglievamo foglie ed insetti per le
ricerche di scienze. Ma anche nelle strade era possibile andare in bicicletta e, oggi sembra quasi incredibile,
anche giocare a pallone.
Noi ragazzi di allora, prima delle macchine, siamo stati
i padroni delle strade del quartiere. In quella lunga
strada dove ho abitato per tanti anni passava il gregge con il pastore e a Natale riecheggiava il suono delle
zampogne.
Ora le cose sono cambiate, ma una strada si conserva
quasi come allora: via Baldi. Ogni tanto ci passo e
ritrovo gli stessi negozi di quando ero bambino e, in
alcuni casi, anche le stesse persone di allora.
La tabaccheria, un tempo il bar Nilo, con i fratelli
Scicolone. Poi il barbiere, la merceria ed il negozio di
pasta all’uovo. Quindi salendo il negozio di ferramenta di Alberto, allora affiancato dalla mamma Anita che
vendeva i fiori sempre sorridente. E poi il negozio della
frutta fino a pochi anni fa gestito dai simpatici Ugo
Cruciani e consorte, quindi il negozio di vini dove stanno sempre Orazio e Maria, il bar e, all’angolo, il negozio di alimentari che, sebbene ora porti l’insegna
Giammona, per tutti è ancora Natalini, con Tonino e
Salvatore che ricordo poco più che un ragazzo nel piccolo negozio di alimentari del signor Luigi nell’altro
tratto di via Baldi. All’angolo opposto c’è ancora l’edicola dei giornali, immutata da quando venne aperta
dal “sor Pietro” alla fine degli anni 50. Quindi ancora il
negozio del barbiere dove tagliavamo i capelli mio
padre ed io, il gioco del lotto ed il calzolaio, che è sempre quello dove mia madre portava le scarpe (allora
c’erano anche il papà ed il fratello).
Infine l’officina meccanica di Antonio Polidori che dalla
metà degli anni 60 ha riparato la macchina a tutti, e
ancora oggi ti accoglie con affabilità e simpatia.
Quando ho nostalgia della Balduina di tanti anni fa
passo da via Baldi per salutare i miei amici.
I BENEFICI DEL
VOLONTARIATO
QUANDO LA NOSTALGIA
DIVENTA EMPATIA
Elena Scurpa
Sandro Morici
Da quando il tempo si è messo al bello mi capita sempre più spesso di affacciarmi e vedere vecchietti che,
assistiti dal fido bastoncino, vanno in giro per il quartiere. Il loro procedere malsicuro mi fa ricordare la mia
mamma, che da alcuni mesi ha raggiunto la casa del
Signore. E ricordare la mamma significa ripercorrere
una vita intera, sin da quando si era veramente piccini: squarci di memoria, occasioni particolari, flash di un
rimprovero severo o di un sorriso rassicurante, il tono
inconfondibile della sua voce che risuona nell’orecchio.
In questo esercizio del ricordo, o meglio, del “ritorno”, c’è però un non so che di triste o
quanto meno di malinconico: ecco, questa è nostalgia, che appunto, con la sua origine
greca, contiene il termine “algia”, dolore. Dolore, tristezza…ma perché? Forse per reazione la mia mente cerca allora di rimuovere quanto più possibile quella componente sfavorevole e va automaticamente a ripescare aspetti gioiosi di un ricordo, quasi alla ricerca
di una commemorazione affettiva, di un desiderio carico di tenerezza e di premure. E’
l’altra faccia della nostalgia, è l’empatia, che ci accomuna, ci dà calore, serenità, conforto e, in certi momenti, anche una buona dose di coraggio.
D’altronde, quando ci si dedica a un ritorno al passato, e quindi a esperienze o a circostanze che hanno segnato le vicende umane, si fa storia. Ma attenzione: si fa storia di
fatti veri, rigorosamente obiettivi, oppure si fa un misto di “interpretazioni” dei fatti, fino
a sfociare talvolta nella leggenda? E già, nel mio libro della terza media, il capitolo dedicato a Garibaldi era intitolato: “Il leggendario eroe dei due mondi”…e questo me lo ricordo benissimo! Quando poi l’interpretazione viene esasperata, si passa facilmente nel
campo del “mito”. Chissà quanti miti collettivi ha creato e va sfornando la nostra società, ben pilotata dai potenti mezzi di comunicazione di massa!
Certo, così come nella costruzione della storia di una nazione si cerca l’obiettività ricorrendo all’Archivio di Stato, noi, nel piccolo mondo della famiglia, teniamo ben custoditi
precisi elementi materiali che “documentano” con trasparenza cristallina la nostra storia
e quella dei nostri cari: sono i libri, i quaderni di scuola, “le carte” e, soprattutto, gli
album di fotografie, che aiutano a ravvivare la memoria.
E allora per alimentare il mio desiderio empatico nei riguardi dei miei, sfogliamole pure
le raccolte di foto, per esempio quelle dell’adolescenza, andando alla ricerca di momenti
belli (…il giorno della mia prima comunione) e meno belli (…davanti la scuola, il giorno di
inizio della prima elementare). E qui potrei rivivere tante esperienze da ragazzo, vissute
vicino a mio padre, sempre ritratto con quel sorriso bonaccione.
Vorrei ritornare ancora una volta alle immancabili pose immortalate con lui davanti agli
stand della fiera di Milano, che di anno in anno si andava a visitare per scoprire le ultime
novità della tecnologia nostrana – la Fiat-Avio, l’Olivetti, la Pirelli, la Magneti Marelli…- nel
pieno boom economico tra gli anni ’50 e ’60 (del secolo scorso). Mia mamma invece mi
portava in pellegrinaggio da Padre Pio, oggi San Pio da Pietrelcina: alzatacce all’alba per
partecipare alla S. Messa e poi la fila per confessarti col frate burbero ma comprensivo e
amorevole. E’ lì che ho incontrato tante persone in preghiera, in contemplazione sui
misteri della religione cristiana, col cuore aperto alla speranza.
Altre foto, altre evocazioni. Sempre mio padre era il fotografo “ufficiale” della nostra
squadretta di calcio, che ogni estate in campagna si ricomponeva per affrontare sfide
all’ultima goccia di sudore contro la squadra di amici di un’altra contrada. Ho citato la
parola “amici” e qui si potrebbe aprire un capitolo vastissimo di frammenti incantevoli di
esperienze, di emozioni, di suggestioni, di rapporti di affettuosità genuina.
Potrei continuare per ore a rigirare le pagine dei tanti album che rievocano momenti
spensierati con i miei amici, tra i quali non avrei remore nell’includere alcuni miei zii e
sicuramente i miei genitori. E allora le tante ricorrenti stratificazioni di “nostalgia”, ricavate da quell’affascinante crogiuolo che si chiama “libro della memoria”, che ormai abbiamo inquadrato come testimonianze di “empatia” e che fanno pure rima (voluta) con “simpatia”, ritroverebbero la loro migliore estrinsecazione proprio nell’amicizia, in quell’insieme meraviglioso di rapporti virtuosi che danno valore etico alla nostra debole umanità.
45 GIRI
In Italia il
formato 45
giri si afferma
nella
seconda
metà degli
anni
cinquanta
e
raggiunge
il massimo della diffusione fra il 1964
e il 1970. Stampati generalmente da
entrambi i lati, i 45 giri possono contenere due brani. In genere si incideva il
brano destinato al lancio radiofonico o
televisivo sulla facciata denominata
lato "A", mentre il lato "B" era spesso
un semplice riempitivo. Esistono
comunque molte eccezioni e dei casi
particolari in cui il lato B del 45 giri ha
avuto maggior successo rispetto al
lato A o dischi intenzionalmente incisi
con due lati "A" ovvero con due singoli di uguale importanza. Un esempio fu
nel 1965 Day Tripper/We Can Work It
Out dei Beatles.
Verso la fine degli anni settanta, quando i 45 giri perdono quote di mercato a
favore del long playing e delle musicassette, e non sono più quindi il principale supporto per la musica registrata, la facciata B perde quasi completamente la sua importanza. Spesso presenta solo la base musicale o una versione strumentale del brano presente
sulla facciata principale.
- 13 -
Non posso fare a meno di rivolgere
l’invocazione a Dio che mi aiuti sempre
a far tesoro degli insegnamenti ricevuti dalle persone a me care e che, con
l’esempio della loro vita semplice e
umile, mi hanno inculcato i principi
della morale cristiana, soprattutto la
disponibilità verso il prossimo.
Per rendere omaggio alla loro memoria, mi adopererò per trasmettere agli
altri la serenità che scaturisce dal conforto dell’abbandono alla volontà di
Dio, per averne fatto esperienza nei
momenti
tristi
della
mia
vita.
L’esercizio della carità verso il prossimo è tanto necessario ai nostri giorni
in cui, per la vita frenetica che si conduce, sembra che non si abbia più il
tempo di comunicare i nostri pensieri,
le nostre gioie, le nostre ansie e non
facciamo altro che isolarci uno dall’altro. Quanta amarezza procura questa
constatazione per cui è di una straordinaria validità l’affermazione di
Madre Teresa di Calcutta che “Il
mondo va in rovina per mancanza di
dolcezza e di gentilezza e che la gente
è affamata di amore perché si è tutti
troppo indaffarati.” E’ necessario
soprattutto comprendere i poveri,
ricordando che non esiste solo la
povertà materiale ma anche la povertà
spirituale, più dura e profonda, che
alberga nel cuore degli uomini colmi di
ricchezze. Il Signore ci conceda di aiutare i fratelli ad accettare con il sorriso sulle labbra tutto quello che Egli ci
dà e tutto quello che esige da noi.
Dalla mia lunga esperienza nel volontariato scaturisce la riflessione sui
benefici che questa attività procura
non solo al prossimo ma anche a chi la
pratica. Infatti questa opera di solidarietà che potrebbe sembrare triste e
deprimente,
in
quanto
relativa
all’aspetto più doloroso della vita, al
contrario, grazie all’aiuto di Dio, procura un copioso arricchimento interiore e una giusta valutazione e miglioramento della propria vita.
IL BIGLIETTAIO SUL TRAM
E’
notizia
di qualche
giorno fa e
in fondo fa
parte della
nostalgia.
Roma torna
a 40 anni
fa, quando
sugli autobus si apriva la parta davanti e il bigliettaio di
turno staccava il biglietto previo
pagamento.
Inizia dunque una sperimentazione
della durata di un anno che istituirà
la figura, già celebrata al cinema nel
film con Aldo Fabrizi, in alcune linee
centrali del servizio. Oltre a garantire introiti sicuri, è un servizio utile al
cittadino, anche come deterrente a
piccoli episodi di criminalità.
IL DIARIO DI GIORGIA
NOI CINQUANTENNI
Giorgia Pergolini
Caro diario,
tutti noi proviamo, abbiamo provato,
stiamo provando, proveremo nostalgia.
Nostalgia di un qualcosa che abbiamo
vissuto in passato e che vorremmo
tanto rivivere nell’istante in cui ci pensiamo, ma è davvero così?
Davvero vorremmo rivivere un qualcosa che ormai è passato?
Tutti parlano di nostalgia ma secondo me nessuno vorrebbe mai tornare indietro sui propri passi. Spesso, guardando mia sorella andare
alle elementari, provo nostalgia di quei bei tempi passati a giocare, a
passeggiare con i propri genitori, a non fare niente, mi manca non
avere nessuna pressione, sopratutto adesso che sto studiando per la
maturità, ma se qualcuno mi chiedesse: “Vorresti tornare adesso,
subito a quei tempi?” io risponderei assolutamente no!
Inevitabilmente tutti noi abbiamo foga di andare avanti nella vita, sicuro preferiremmo limitarci a guardare qualche foto invece che tornare
indietro nel tempo e dimenticarci di tutti gli sforzi che abbiamo fatto per
crescere, o peggio rifare tutto da capo ! Penso proprio che il mio peggior incupo sarebbe svegliarmi e ritrovarmi all’età di 13 anni e ricominciare tutto il liceo da zero! Se ci pensiamo a fondo tutti vogliamo procedere il prima possibile; i bambini non vedono l’ora di diventare grandi per poter fare le “cose da grandi”, gli adolescenti non vedono l’ora
di finire la scuola, chi ha un esame vuole che il tempo scorra il più in
fretta possibile perchè l’ansia è qualcosa di insostenibile, chi va
all’università non vede l’ora di finirla per trovarsi un lavoro ed essere
più indipendente, chi lavora non vede l’ora di andare in vacanza o in
pensione, chi è fidanzato non vede l’ora di sposarsi, chi è incinta non
vede l’ora che nasca il suo bambino ecc...Sì certo è normale provare
nostalgia per il passato ma davvero saremmo disposti a riviverlo?
Sento molte persone che dicono frasi del tipo: “Quanto vorrei tornare
piccola!” o “Quanto darei per tornare com’ero prima!”. Ma siamo sicuri di ciò?
Se noi siamo quello che siamo ora è solo grazie a quello che siamo
stati, tornare a quello che siamo stati vorrebbe dire negare chi siamo
ora e chi nega la sua persona nega tutto il suo essere e quindi, a mio
avviso, avrebbe bisogno di uno psicologo non di una macchina del
tempo.
Io posso provare nostalgia delle elementari ma mai e poi mai tornerei
indietro per ricominciare tutto da capo! Certo è ovvio che se avessi la
possibilità di vivere solo un giorno in quel tempo passato lo farei, ma
tutti sappiamo che ciò non sarà mai possibile.
La nostalgia (parola composta dal greco Nostos (ritorno) e Algos
(dolore): “dolore del ritorno”) è uno stato psicologico di tristezza e di
rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento
collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in
modo idealizzato. Ed è proprio questa la trappola in cui spesso tutti
noi cadiamo: l’idealizzazione dei nostri ricordi! Ad esempio io dico di
avere nostalgia per le elementari, ma se mi fermassi un secondo a
pensare a quei tempi potrebbero venirmi in mente molti lati negativi
che sicuramente mi porterebbero a dire: “Sono proprio sicura di voler
tornare indietro nel tempo?”. Sì è vero che lì ero più spensierata ma
anche più ingenua. Penso che il sapere e il saper vivere siano alcune
delle caratteristiche più importanti dell’uomo e io sinceramente non ci
rinuncerei mai. Ringrazio lo scorrere del tempo che mi ha portata fin
qui, non tornerei mai e poi mai indietro! So già fin da adesso che,
quando finirò il liceo, mi mancherà tantissimo! Ma, nonostante questo
sono felice che finisca. Forse il fattore curiosità influisce molto in questi casi. Sono curiosa di vedere cosa succederà dopo, non vorrei mai
fossilizzarmi su un solo percorso e penso che, come me, nessuno vorrebbe mai farlo. Una frase che mi ha fatto pensare molto è questa:
“Non c’è peggior nostalgia che rimpiangere quello che non è mai successo”. Quant’è vera, caro diario. Per me quella è la vera nostalgia!
Infatti nostalgia non vuol dire solo avere mancanza di un qualcosa che
si ha vissuto in passato ma vuol dire anche sentire la mancanza di un
qualcosa che non si ha mai avuto. A mio avviso rimpianto e nostalgia
sono due cose analoghe. Invece di ripensare al passato, di avere
nostalgia di cose che tanto non torneranno più penserei piuttosto al
presente, farei in modo di compeltarmi per non provare appunto
nostalgia di nulla! Se si fa in modo di ottenere la maggior parte delle
cose desiderate, la nostalgia non sarà più un sentimento implacabile.
"Non c'è passato che sia lecito richiamare con nostalgia,
c'è solo un mondo eternamente nuovo, che si forma con l'ampiamento degli elementi del passato e la vera nostalgia deve
essere sempre produttiva per creare un mondo migliore"
J.W. Goethe.
- 14 -
Noi,
(dai colleghi d’ufficio di Rosella Boldrini)
che la scuola durava fino alla mezza e poi andavamo a
casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con
papà), che eravamo tutti buoni compagni di classe, ma
se c´era qualche bullo, ci pensava il maestro a sistemarlo sul serio, che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, mamma a casa te ne dava 2, che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa era il terrore,
che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo
da casa in tuta, tutti felici, che avevamo le tute lucide
acetate dell´Adidas che facevano fico, ma erano pure le
uniche, che la gita annuale era un evento speciale e nelle
foto delle gite facevamo le corna ed eravamo sempre
sorridenti, che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica
su internet, che la vita di quartiere era piacevole e serena, che andare al mare nei sedili posteriori della 850 di
papà o nella 1100 di nonno era una passeggiata speciale, che alla Domenica i nonni ci portavano le “pastarelle”, che facevamo 4 mesi di vacanza
da Giugno a
Settembre, che non avevamo videogiochi, né registratori, né computer ma avevamo tanti amici lo stesso, che
per cambiare canale alla TV dovevamo alzarci, e i canali
erano solo 2, che andavamo a letto dopo Carosello, che
sapevamo che era pronta la cena perché c’era Happy
Days, che ci sentivamo ricchi se avevamo ‘Parco Della
Vittoria e Viale Dei Giardini’, che i pattini avevano 4 ruote
e si allungavano quando il piede cresceva, che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il più fico
e che se anche andavi in strada non era pericoloso, che
dopo la prima partita c’era la rivincita, e poi la bella, e poi
la bella della bella, che avevamo il ‘nascondiglio segreto’
con il ‘passaggio segreto’, che giocavamo a nomi-coseanimali-città, che ci mancavano sempre 4 figurine per
finire l’album Panini (celò, celò, mi manca!), che suonavamo al campanello per chiedere se c’era l’amico in casa,
ma che a quelli degli altri suonavamo e poi scappavamo,
che compravamo dal fornaio pizza e mortadella per 100
lire che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci
toccava riavvolgere il nastro con la Bic., che sentivamo la
musica nei mangiadischi sui 45 giri vinile, che al cinema
usciva un cartone animato ogni 10 anni e vedevi sempre
gli stessi tre o quattro volte e solo di Disney, che non
avevamo cellulari (c´erano le cabine SIP per telefonare)
e nessuno poteva rintracciarci, ma tanto eravamo sicuri
anche ai giardinetti, che giocavamo a pallone o a campana in mezzo alla strada con l’unico obbligo di rientrare
prima del tramonto, che giocavamo con sassi e legni, palline e carte, che le barzellette erano Pierino, il fantasma
formaggino o c´è un francese-un tedesco-un italiano,
che c’era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto,
che il 1° Novembre era ‘Ognissanti’, mica Halloween.
TERZA VISIONE
Fino alla fine degli anni '70,
c'erano tre visioni cinematografiche. La prima per i film
appena usciti. La seconda per
gli stessi qualche mese dopo.
La terza per le repliche a
distanza di anni. In più c'erano le sale parrocchiali. I cinema di terza visione erano
altrimenti detti "pidocchietti". Sedile di legno scricchiolanti, atmosfera malsana intrisa di fumo e odori vari, bagni
fatiscenti. A metà del primo tempo passava l'omino con il
suo vassoio di legno a vendere bruscolini, mostaccioli,
caramelle sciolte e gassose. Erano frequentatissimi per il
basso costo del biglietto. Nel 1965, ad esempio, se una
prima visione poteva venire a costare 1.200 lire a persona, la terza non andava oltre le 200 lire.
LETTERE ALLA REDAZIOE
LETTERA A GIORGIA
Caro direttore,
desidero replicare –da lettore e da scrittore del nostro giornale – all’articolo di Giorgia Pergolini, comparso ne “ Il diario di Giorgia” del mese scorso. Spero tu non me ne voglia,
Giorgia, se mi rivolgo direttamente a te, che hai scritto le
tue opinioni – che rispetto – insieme, però, ad alcune inesattezze, che mi permetto di farti notare. Ti riferisci spesso
al “non desiderare” con il quale sono espressi gli ultimi due
comandamenti del decalogo ebraico-cristiano. Dici in
abbondanza – provo a sintetizzare – che è assurdo vietare
il desiderio, anzi sostieni che è naturale desiderare. Usi un
duplice giudizio – che mi sorprende assai – sul desiderare
le cose altrui rispetto al desiderio di una donna (o di un
uomo) altrui. Mi dovresti spiegare, anzitutto, in base a
quale discernimento la gelosia (delle cose) è “ la peggior
qualità che esista “ (cito testualmente) mentre desiderare
una donna (che non ti appartiene) è naturale, inevitabile e
non si può tornare indietro (qui non cito alla lettera ma
nella sostanza). La gelosia di possedere una cosa che non
è tua è terribile e invece la brama di andare con una donna
che non è tua fa parte della tua libertà? Permettimi di rimanere fortemente sorpreso della stranezza di queste valutazioni psicologiche e morali. L’inesattezza cui mi riferivo,
peraltro, riguarda proprio la parola “desiderare”.
La Bibbia ebraica è stata scritta in una lingua antica, ormai
scomparsa che occorrerebbe conoscere prima di scrivere
con tanta sicurezza. Il verbo ebraico “hamad” non significa volere o augurarsi (ovvero, il nostro desiderare) ma
include tutte le macchinazioni che portano a impossessarsi
di quanto è desiderato. Non è dunque vietata l’attrazione
istintiva, ma il vero e proprio progetto tendente alla conquista di una meta prefissata. Sei proprio convinta che, se
una ragazza o una donna insidiasse così il tuo fidanzato o
tuo marito, tu tollereresti questo come in normale esercizio
della libertà, una cosa “ da concedersi soddisfando un proprio inevitabile desiderio” ?( qui cito). Permettimi di dubitarne. Da altre considerazioni, che invece sono tue opinioni, mi permetto invece di dissentire. Anzitutto dall’incredibile (permettimi, non trovo un aggettivo più azzeccato)
paragone tra il desiderio sessuale e quello della cioccolata.
Spero che tu intenda un simile paragone non tanto quanto
CENA DEI
COLLABORATORI
Sabato 14 maggio
scorso si è tenuta
presso il ristorante “Chiodo Fisso”
di via della Balduina una cena a
cui hanno partecipato numerosi redattori e sostenitori del nostro
giornale. E’ stata
un’occasione per
confrontarsi,
scambiarsi delle
idee e anche per
conoscersi di persona. Visto il successo
ottenuto
dall’iniziativa sono previsti altri
incontri che si terranno regolarmente a partire dal
prossimo autunno, con la ripresa
delle pubblicazioni.
ai contenuti quanto relativamente alle modalità, diciamo
così, di insorgenza del piacere. Quanto a queste ultime,
peraltro, esistono ormoni prodotti dalle cellule riproduttive
del corpo, che generano un forte desiderio sessuale, e bisogni di mangiare, anche solo per compensare altre mancanze, che non sono certo della stessa provenienza nè possono essere messi sullo stesso piano (non morale, ma biologico). L’affermazione letterale che “a questo mondo nessuno è di nessuno” è davvero la perla del tuo articolo.
Vorrei ricordarti che la fedeltà a un progetto, che passa
attraverso la fedeltà a una persona, esiste proprio perché
le persone si appartengono. Vorrei che riflettessi sul fatto
che amarsi è proprio appartenersi. Vorrei insistere sul fatto
che nemmeno chi non professa la fede potrebbe dire che
“non divento proprietà di nessuno”. (cito). Che amore è
quello che non si dona? E che dono è quello che non dice
all’altro “io sono tuo”? Che progetto è possibile fare e far
crescere tra due che si amano (o in una comunità) quando
ognuno è convinto di essere suo, di se stesso?
Non è questa forse la fonte dell’egoismo, che produce ben
peggio dei tradimenti o delle violenze sessuali ma va oltre,
declinata come fu – nella storia – da autentici tiranni che si
ritenevano slegati da ogni patto, e quindi inevitabilmente
chiamati a rendere schiavi tutti coloro che non facevano
parte della loro razza o della loro ideologia? Il fondamento
naturale del rispetto dell’altro sta proprio nel credere che
io non sono mio, ma che accanto a me vivono persone alle
quali sono legato da un patto di coesistenza, che mi porta
a voler loro bene, non solo quando “ sono capaci di farmi
provare sensazioni nuove” (cito). Grazie a Dio, cara
Giorgia, esistono i comandamenti. Grazie a Dio gli uomini
saggi (più di quanti ce ne immaginiamo) hanno imparato a
analizzare i loro desideri, a purificarli e a non vivere di soli
istinti. Sei libera di crederlo, ma altrettanto libero mi sento
io di dirti, con un pizzico di paternità, anche se non ti conosco, che costruirai ben poca della tua felicità se continui a
credere che i comandamenti (quelli che non ti piacciono)
reprimono la tua libertà. E’ la verità che fa liberi, non è la
libertà che fa veri. E’ proprio questione di vedere le cose
dal punto giusto, almeno secondo me. Con amicizia
don Paolo Tammi
ORAZIONE
L. Longobardi
“Mio fratello Lorenzo”
disegno di Leonardo Cancelli
Appuntamento d’amore
con te, Signore
non posso mancare.
Ho tante cose da dirti
Tu solo sai ascoltarmi.
Ho tante cose da piangere.
Tu solo puoi consolarmi.
Ho tante cose
da chiederti.
Tu solo puoi esaudirmi.
Ho tanto da ringraziarti
da lodarti e benedirti.
Parla all’anima mia, Gesù
fa che ascolti la Tua voce
e mi unisca a te
fino a diventare
un altro Cristo !
- 15 -
“Strangers
in Rome”
3 foto
inviate da
Stefano
Valariano
e scattate a
Fontana di
Trevi
ARRIVANO I NOSTRI
Autorizzazione del Tribunale
n°89
del 6 marzo 2008
DIRETTORE RESPONSABILE
Giulia Bondolfi
TERZA PAGINA
don Paolo Tammi
DIRETTORE EDITORIALE
Marco Di Tillo
COLLABORATORI:
Francesca Adrower, Lùcia
e Miriam Aiello, Bianca
Maria Alfieri, Renato
Ammannati, Alessandra e
Marco Angeli, Paola
Baroni, Giancarlo e
Fabrizio Bianconi, Pier
Luigi Blasi, Leonardo
Cancelli, Cesare
Catarinozzi, Laura,
Giuseppe e Rosa Del
Coiro, Gabriella Ambrosio
De Luca, Andrea e Bruno
Di Tillo, Anna Garibaldi,
Massimo Gatti, Paola
Giorgetti, Pietro Gregori,
Giampiero Guadagni, Luigi
Guidi, Lucio, Rosella e
Silvia Laurita Longo, Lydia
Longobardi, Giuliana Lilli,
don Nico Lugli, don
Roberto Maccioni, Maria
Pia Maglia, Luciano
Milani, Cristian Molella,
Alfonso Molinaro, Sandro
Morici, Agnese Ortone,
Vittorio Paletta, Alfredo
Palieri, Gregorio Paparatti,
Giorgia Pergolini, Maria
Rossi, Eugenia Rugolo,
Alessandro e Maria Lucia
Saraceni, Elena Scurpa,
Francesco Tani, Stefano
Valariano, Gabriele,
Roberto e Valerio
Vecchione, Celina e
Giuseppe Zingale.
I numeri arretrati li
trovate online sul sito
della parrocchia
www.sanpiodecimo.it
NUOVI COLLABORATORI
ARRIVEDERCI
AD OTTOBRE !
Questo è stato l’ultimo numero del nostro giornale prima della pausa estiva. Riprenderemo
con una nuova serie a metà ottobre.
Vorrei ringraziare tutti i nostri lettori che
ormai stanno diventando davvero numerosi e,
naturalmente tutti i collaboratori che ci hanno
donato, mese dopo mese, contributi importanti, spesso profondi, intelligenti oppure divertenti, scherzosi, simpatici.
Tutti loro hanno abbracciato la semplice filosofia di “Arrivano i Nostri” che è quella di scrivere delle cose del mondo attraverso le proprie
personali esperienze, senza paura di “raccontarsi” pubblicamente, di esporre i propri pensieri e i propri ricordi di vita. Nessuno di noi,
neanche per un momento, ha pensato di essere un vero giornalista che descrive fatti ed
avvenimenti con impeccabile distacco professionale e penna sicura e pungente. No.
I nostri redattori sono persone che raccontano
ciò che veramente pensano offrendo non distacco, ma partecipazione, coinvolgimento, emozioni. Insomma tutto il contrario di come probabilmente dovrebbe essere un buon giornalista professionista. E per fortuna, aggiungo io perchè questo è esattamente ciò che volevamo in partenza. Va da sé che, come in tutti i giornali, le opinioni di chi scrive non sono mai simili.
Spesso, anzi, sono state nettamente in contrasto le une dalle altre, e probabilmente a volte un
po’ troppo. Su questo stesso numero, ad esempio, avete trovato a pagina 15 nella rubrica
“Lettere alla Redazione” una replica molto decisa del nostro parroco Paolo Tammi all’articolo
di Giorgia da noi pubblicato sull’ultimo numero del giornale che aveva per tema “I dieci
Comandamenti”. Don Paolo ha spiegato con affetto ma altrettanta fermezza a Giorgia e a molti
giovani come lei il corretto punto di vista che dovrebbe avere un cristiano riguardo le tematiche dell’amore fisico e del “donarsi all’altro”.
Personalmente ritengo che, nonostante il dilettantismo sfrenato che tutti ci onoriamo di possedere in abbondanza, possiamo senza ombra di dubbio affermare che questa diversità di pareri e di posizioni offrano sempre un contradditorio e comunque siano spunto di riflessioni e dialogo, tutte cose assai più valide e costruttive del silenzio, della presunzione e dell’assoluto
menefreghismo. E fa inoltre un gran piacere il fatto che anche molti non credenti o cosiddetti
“lontani” abbiano spesso scritto su queste pagine, ci leggano regolarmente e ci spediscano a
volte lettere di commento di tutti i tipi. Grazie infine al nostro parroco Don Paolo che ci ha permesso da quattro anni di esistere, di diffondere nella Parrocchia questo giornale e che ogni
mese, nonostante i suoi numerosi impegni parrocchiali e scolastici, trova sempre il tempo per
inviarci un suo importante e coinvolgente articolo da “terza pagina”. Per il numero di ottobre
abbiamo deciso di non proporre alcun tema ma di lasciare ad ogni redattore la libertà di scegliere l’argomento su cui scrivere. Gli articoli dovranno pervenire entro la fine del mese di settembre.Grazie ancora a tutti, buone vacanze e arrivederci ad Ottobre!
Marco Di Tillo
Direttore Editoriale
NOSTALGIA DI SCUOLA
Miriam Aiello
Chi vuole inviare articoli,
disegni, suggerimenti,
offerte per sostenere la
pubblicazione può lasciare
una busta nella nostra
buca di posta presso la
segreteria parrochiale di
via Friggeri
Oppure inviare una mail
a:
arrivanoinostri@
fastwebnet.it
Stampato presso la
Tipografia Medaglie d’Oro
di via Appiano, 36
Sono andata in pensione.
Dopo quarant’anni, scanditi da settembre a
giugno secondo il calendario scolastico, e
tante ore segnate dal suono della campanella,
con l’intervallo per la merenda, non è stato
facile abituarsi ad una diversa scansione del
tempo!
- 16 -
E poi… il tempo si è fermato!
I miei alunni, anche quelli che ora hanno più di
cinquant’anni, sono impressi nella mia mente
e nel mio cuore sempre con il loro volto di adolescenti: mi piacerebbe vederli, al di fuori del
tempo e dello spazio, tutti insieme, perché a
tutti ho cercato di comunicare con passione gli
stessi insegnamenti, anche se adattati al
mutare dei tempi.
Una volta andata in pensione, ho messo in
ordine tra le mie carte di scuola, ho eliminato
tante cose inutili, ma ho voluto conservare
l’essenziale: i nomi dei miei alunni, le loro
foto, qualche scritto più significativo.
Mi auguro che anche i miei ragazzi abbiano
conservato l’essenziale di quanto ho cercato di
trasmettere loro nel cammino percorso insieme, soprattutto il gusto della bellezza autentica e della verità, perché è senza dubbio una
strada diretta per arrivare a Dio, bellezza e
Verità assoluta.
E se mi capita di sentirmi chiamare per strada
“professoressa” e di incrociare lo sguardo di
un alunno che si ricorda di me, mi riconosce e
mi sorride, allora è il momento in cui mi assale proprio un pizzico di nostalgia…
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