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Il mito e il novecento - Università degli Studi di Trieste

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Il mito e il novecento - Università degli Studi di Trieste
con leggere varianti il testo è pubblicato in AA. Interrompere il quotidiano .La
costruzione del tempo nell’esperienza religiosa Milano 2005 Jaca Book
Ileana Chirassi Colombo
Il mito e il novecento
Bisogna togliere il mito dalle mani degli intellettuali
fascisti e riconvertirlo all’umanesimo.Da molto tempo
io non faccio altro (T.Mann ,lettera a K.Kerényi,7
settembre 1941 )
note a margine
E’una mia vecchia polemica :il centro della della civiltà
piccolo-borghese è la ragione mentre tutto ciò che è
irrazionale,per esempio l’arte ,contesta la ragione borghese
Il potere infatti si fonda sulla ragione (PPPasolini .fondo PPP
238)
e ancora
La situazione “tesi” (mondo barbarico mitico-realistico
e la situazione “antitesi” (mondo moderno laico-illuministico)
non ottengono in alcun mdo ,attraverso alcun “zelo noetico
di pervenire ad una sintesi ,restano pure opposizioni (PPPa
solini ,intervista a cura di E.Magrelli 1977).
Il tempo storico è altrettanto reale quanto il tempo aurorale
non storico,perchè ambedue sono costruzioni dell’uomo
e
I miti di origine sono veri perchè sono la favola di fonda
zione del cosmo ,del mondo attuale e della società pre
sente,della realtà storica.E’questa che conta,non la
fuga da questa !!!! ( R:Pettazzoni,Ultimi appunti, 29-959 ,in SMSR XXXI,1960 a cura di A:Brelich)
Non si ritorna indietro verso il mito,il mito lo si incontra
di nuovo quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta
sotto l’incubo di un pericolo estremo
(E.Junger,Der Waldgang,1953)
Forse un giorno scopriremo che è la stessa logica
a funzionare nel pensiero mitico come nel pensiero
1
scientifico e che l’uomo ha sempre pensato altrettanto
bene
(C.Levi Strauss ,Antropologia Strutturale, ed.or.1958
Se i miti considerati in se stessi appaiono narrazioni
assurde ,esiste una logica segreta che regola i
rapporti tra tutte queste assurdità
(C.Levi Strauss, L’uomo nudo,ed.or.1971 ).
.
..
Non esistono criteri formali precisi per delimitare il mito come
un’unità autonoma,nella sua concreta realtà fenomenologica
il mito tende a scomporsi da una parte nei suoi elementi costi
tutivi e daltra parte a confluire in unità maggiori la più vasta
delle quali è la mitologia cui esso appartiene.
(A. Brelich,Mitologia, in Liber Amicorum ,Studies in Honour
of C.J.Bleeker,Leiden ,1969
La realtà è quella che è,e l’uomo si trova disarmato dinanzi ad
essa,almeno fino a quando non resce a trovarle o a conferirle
un senso..Ciò che accade nella realtà buono o cattivo si svolge
sul piano della contingenza.Tutto diventa necessario una volta
che la realtà è stata sottratta alla contingenza..In ciò consiste la
funzione dei miti “storie sacre”,che li rende differenti da qualsia
si racconto profano (A.Brelich,Prolégomenes à l’Histoire des
Religions,1970)
L’illustrazione di copertina di una raccolta di saggi sul mito,una delle tante che per
essere datata al 1972 si può collocare agli inizi della rapida proliferazione di
saggistica sul tema nella seconda metà del ‘900, può essere l’icona economica del
nostro problema. Il volumetto in questione è “Mythology.Selected Readings”
pubblicato nella collana Penguin Modern a cura di Pierre Maranda ( Maranda 1972).
Il logo significante è un eroe di fumetti ,Superman con la testa di un grande dio
greco,Zeus, uno Zeus ellenistico,”contaminato”,uno Zeus Sarapis,
ridondante,”barbarico”,ma inequivocabilmente greco. Interessante notare che il
segno scelto per rappresentare il “mitico”,la percezione del mitico nella
contemporaneità è un ibrido fantastico culturalmente guidato E’comunque una
figura dell’immaginario che così propone l’icona di un sogno occidentale di
maschile e umana onnipotenza e riconosce esplicitamente e doverosamente le sue
radici in quella cultura greca che proponeva la sua umanità come forma -Gestalteccellente del divino e identifica tutto questo nel “mito”.L’insieme infinito di quei
racconti che nella prospettiva occidentale hanno comunque “radici “greche.
Il termine mito trascrive infatti un vocabolo greco di incerta etimologia ,mythos che
come è noto, significa semplicemente discorso.E’ vero tuttavia che questo “mito “
2
giunge alla nostra cultura contemporanea connotato da un valore aggiunto che lo
trasforma in un qualche cosa in sé, in un discorso speciale,carico di una complessa
polimorfia e trova nella cultura occidentale, condizionata in modo implicito ed
esplicito dalla “grecità”filtrata attraverso molteplici raffinati filtri, il luogo della sua
esaltazione come quello della sua volatilizzazione.
Volendo approfondire appena un poco dovremmo consentire che alla domanda “che
cosa è il mito” siamo obbligati rispondere :” è un’invenzione greca”.Si parafrasa
così l’indovinato titolo del saggio di Marcel Detienne ,L’invention de la mythologie
“,prima edizione 1981,che evidenzia subito la qualità ridimensionata, storicizzata,
che qui viene fatta assumere al termine mito una volta collocato nel contesto suo
proprio,la mitologia,che per la cultura occidentale almeno per una lunghissima
parte del suo percorso,sino alla metà del XX secolo, è stata in grandissima parte la
mitologia greca.Tanto che in un articolo del 1968 l’antropologo Jean Gujart
ringraziava Levi Strauss proprio del fatto che grazie a lui , studioso di miti altri, “il
mito ha cessato di essere la ripetizione di temi dell’antichità classica,mosaica o
cristiana “ (Gujart 1972).
Gujart voleva con ciò sottolineare lo stacco di attenzione per lui finalmente
avvenuto -l’uscita del primo volume della serie Mythologiques è del 1964 -dal
“mito” dall’ antichità classica in questo caso anche opportunamente legata in
prospettiva storica al monoteismo giudaico-cristiano. Tuttavia,nonostante il
legittimo plauso di Gujart al ritrovato “altro” al quale molti etnologi,antropologi e
storici delle religioni si sono variamente e doverosamente associati,dobbiamo
riconoscere che il modello greco-giudaico-cristiano è rimasto,rimane al centro di
un’attenzione anche nuova,nel dibattito europeo soprattutto filosofico.Dato
conseguente al fatto che nel bene e nel male è pur sempre la cosiddetta cultura
occidentale a guidare dai suoi punti di vista, la globalizzazione.E nella cultura
occidentale il “mito” ha il suo posto d’onore e il suo luogo di origine proprio come
invenzione greca e come interpretazione di quell’invenzione.
Detienne richiama infatti anzi tutto la riflessione sulla dimensione storica rispetto la
quale si deve considerare il vocabolo d’uso, mito, distinguendo l’insieme dei valori
del verbo mytheuein che nel lessico omerico e arcaico compare con il senso di
dire,dire intenzionalmente,anche esprimere un’opinione o un consiglio o una norma,
dal mythologeuein usato ancora nel lessico di Omero per i racconti che Odysseus fa
di se stesso e possono essere ricevuti soggettivamente come veri o falsi. I mythoi, i
racconti nel senso pieno del termine costruiscono i personaggi portanti del
pantheon politeistico greco,della religione greca,gli esseri sovrumani o meglio
extraumani, dei dee ,eroi,eroine che la costituiscono e la fanno funzionare un quanto
sistema simbolico unificante.La mitologia, mythologia in senso primario si presenta
infatti in Grecia non tanto e non solo come discorso forte di rivelazione dei modi
della venuta in esistenza del cosmo in quanto tale,dell’universo esistente così come
deve essere immediatamente percepibile per i destinatari del messaggio ,ad esempio
i cittadini delle varie poleis greche ai quali si rivolgeva quell’importantissimo testo
mitico che è la “Teogonia”,il racconto della venuta in esistenza degli dei e del
3
cosmo,attribuito al poeta Esiodo. Ma accanto ad un testo che per il suo mirato
contenuto ( racconto della venuta al mondo di di questo mondo,dei e umanità
compresi ) avrebbe potuto esigere una collocazione privilegiata,si propongono senza
gerarchia come ugualmente importanti una inesauribile serie di racconti che
definiscono e ridefiniscono le logiche di questo cosmo così affiorato all’esistenza e
che si costruisce attraverso le molteplici reciproche avventure di esseri extraumani
ed umani più antichi.Sono quelle avventure,quei miti a risultare fondanti per la
cultura degli Hellenes,degli Elleni -ma l’individuazione del momento di entrata in
funzione dell’etichetta comune è ben lungi dall’essere chiara.Si tratta in ogni caso di
una cultura greca che non rinuncia mai ad apparire divisa,frammentata in
innumerevoli varianti topografiche,”etniche”, per le quali si producono racconti
diversi, miti locali,legati a pratiche,azioni diverse,a riti locali mantendo tuttavia la
sua sostanziale identità grazie il filo narrativo continuo che stringe tra loro le entità
significanti per un universo simbolico comune.Sono dei e dee,Zeus,Hera,Poseidon,
Athena ,Artemis..ed eroi,Herakles,Odysseus,Theseus ..I racconti,miti,che li
coinvolgono sono importanti perché funzionali alla organizzazione di un linguaggio
multietnico e interpolitico che lega tra loro le espressioni della differenza nella
cornice di una medesima comunità culturale, anche se Herakles è di Tebe, Odysseus
della piccola isola di Itaca e Theseus è,significativamente l’eroe del mito politico
della grande Atene.
Questa organizzazione del raccontare si pone come fondamento ineludibile di quella
che possiamo definire “religione” greca in senso ampio,intesa come organizzazione
del proprio immaginario simbolico che ha proprio nel mito come luogo narrativo,più
che nel rituale,la sua espressione specifica .
Tanto che la mitologia greca è stata anche interpretata come espressione globale
della “ religione” greca, cioè si è pensato che il modello simbolico identificante la
grecità sia il modello mitologico.
Sui temi la bibliografia è molto articolata.Rimandiamo a titolo indicativo al volume
miscellaneo “Le métier du mythe”a cura di F. Blaise,J.de la Combe,Ph.Rousiau
(1996) e ad un articolo di Ch. Morgan (1993).1
La critica avanzata evidenzia dunque la specificità “greca” del mito e assume la
“narratività”come elemento identificante del modo attraverso il quale il mito
comunica presentandosi proprio una forma privilegiata della comunicazione.
Si sottintende con ciò in modo efficace l’abbandono di quella interpretazione del
mito come discorso altro contenitore di verità originarie o ultime che fu dominante
modello interpretativo nella grande onda di rifiuto,denuncia,paura,della modernità
che si riversa come una inarrestabile onda di marea sulla cultura europea nel “dopo
Nietzsche ed arriva sino alla articolato recupero del mito da parte dei filosofi di
Francoforte che ne ripropongono la necessità come luogo e modo per combattere
la “ragione”,quella ragione che attraverso il rifiuto del mito come superfluo si era
proposta come storia abbinata alla tecnologia per garantire le imponenti
manipolazioni economiche necessarie all’asservimento delle masse ( Horkheimer
-Adorno,1947).
4
La ripresentazione del mito come “prodotto” greco ne recupera invece la
funzionalità storica identificandolo come l’insieme di narrazioni che nel periodo
arcaico, il momento creativo di fondazione della realtà politica greca avevano
proposto attraverso la poesia esametrica essenzialmente narrativa e di vasta
circolazione, proposte illuminanti su grandi e centrali problemi di comprensione
dell’esistenza.Non solo racconto di origini prime ma catene di racconti per dire la
fondazione di un toponimo,di un comportamento rituale individuato,di un nuovo
luogo dove vivere,una una colonia, o in modo più circostanziale di un singolo culto
che organizzerà ritualmente un modo specifico per un piccolo gruppo di essere nel
presente.Una massa di dati che ritroviamo un poco ovunque sparsi in fonti che si
sparpagliano nei secoli. Tutto questo è mito ma nella sua specificità di prodotto
greco. La bibliografia allineata su questo fronte oltre e dopo Detienne, è abbondante
e ripetitiva.Una delle ultime messe a punto è di Burkert,(1993) che tratta piuttosto
sbrigativamente il dibattito strutturalista degli anni ’70 senza rilevarne la portata
fondamentale.2
Per quanto riguarda in particolare la funzione storica del racconto mitico è
importante un saggio del grecista Claude Calame sui miti greci di fondazione della
colonia greca di Cirene in Libia,una fondazione storica corinzia (Calame 1996).
Claude Calame,al quale la ricerca sul mito in generale e sul mito greco in particolare
deve molto,indica con precisione e chiarezza i multipli modelli attraverso i quali i
miti,come sequenze narrative,manipolati da una determinata cultura,propongono
modelli di percezione del tempo,di costruzione e ricostruzione della memoria che al
di là dei problemi del vero o del verosimile si rivelano importanti per la costruzione
di identità culturali nuove.
Nel caso specifico si mostra come “nasce “ un mito politico,cioè come si deve dire il
fondamento ineludibile di quell’unico, diverso,cosmo storico realizzato da una
nuova città (qui Cirene) nella sua realtà storica,affidando il messaggio ad enunciatori
dislocati in un tempo “mitico” cioè inattuale che si fa storico su piani diversi
utilizzando mezzi diversi . Ad esempio attraverso lo stratagemma della profezia –
strumento di straordinario interesse nella costruzione ,manipolazione e trasmissione
della storia nel mediterraneo antico ,ma non solo . Qui gli avvenimenti futuri sono
previsti da una “maga” straniera come la “ mitica” Medea e articolati dalla profezia
accreditata dell’oracolo di Apollo in Delfi attraverso una “storica” sacerdotessa, la
Pythia che funziona come prophetis del dio. E non possiamo qui affrontare il
problema ampio della ricognizione del futuro attraverso le pratiche della divinazione
ampiamente accettato nelle culture antiche e nelle culture non monoteiste ma
sottoposto a severissime restrizioni nei canoni dei sistemi simbolici dei monoteismi.
In ogni caso anche per la ricerca del novecento la “qualità” ultima del mito,
continua essere accreditata come essenzialmente ellenica
Il mito continua apparire il prodotto per eccellenza della mythotokos Hellas di
Creuzer,per il quale lavorarono poeti,logografi ma anche filosofi e storici
affiancando alla produzione poetica anche l’ ermeneutica,ben prima di Platone
(Baeumler 1926:CVI). Possiamo ricordare in questo senso il sempre citato Teagene
5
di Reggio,VI a.C. che inaugura quell’ approccio allegorico – il mito dice qualche
cosa d’altro-che permane come non ancora esaurito processo intellettivo lungo tutto
l’arco millenario della cultura occidentale .
Possiamo infatti affermare che il mito continua essere proposto soprattutto come
“discorso speciale”, che dice “una verità”nascosta,diversa dai modi della sua
enunciazione.
Tuttavia l’allegoria è solo un modo dell’ermeneutica.
Proprio attraverso la messa in evidenza del mito come modello di enunciazione
particolare la mitologia si universalizza scomparendo nel fatto semantico.Lo dice
opportunamente ancora Detienne.
” La mitologia è per noi un luogo semantico dove si incrociano due livelli di
discorso il secondo dei quali parla del primo ed appartiene al livello dell’
interpretazione” (Detienne,1983:12).
Si evidenzia la dimensione del “mitico” intesa come un universale, ma non una
“categoria dello spirito”,non una variante del pensare come “mythische Denken” che
ha valore in sé ma piuttosto come luogo della continua possibilità ermeneutica.
Il “mitico”di Detienne si rivela così particolarmente utile per chiarire la dinamica
storica del concetto di mito all’interno dell’antropologia storica greca :”la
mitologia esiste, ma non dispone di un territorio autonomo né designa una forma di
pensiero universale la cui essenza pura sarebbe in attesa del suo filosofo”.
Si tratta di un enunciato operativo anche se fu proprio la stessa cultura greca nel suo
specifico ad inventare per sé il “filosofo”,cioè il recensore-interprete dei “suoi” miti
quando, ad un certo punto - dalla fine del VI a.C.- uscendo dalla dimensione
dell’oralità- propose i suoi mythoi come oggetto di riflessione, “rilettura”
-rifiutando la loro semplice enunciazione in molteplici forme ed avviando quel
processo di costruzione della dicotomia del “mitico” contrapposto al “logico” che
ben conosciamo.
Detto ciò resta da riconoscere che il pensiero del novecento ha mostrato
emblematicamente che il “ parlare mitico”inteso come raccontare storie con
protagonisti,attanti appartenenti ad una dimensione altra- gli esseri extraumani
puramente mitici della classificazione proposta da Angelo Brelich(1966)in quella
che rimane tuttora la più utile “Introduzione alla Storia delle Religioni”, è un’
operazione diffusa, non solo nell’antichità greca,ma riconosciuta in atto presso gran
parte delle culture del mondo antico come presso molte culture,molte religioni che
con motivazioni varie definiamo “altre” e funzionante in qualche modo nel
contemporaneo tecno-logico.
Anche se giustamente, è stato più volte osservato, che la gamma di senso che oggi
ricopre il vocabolo mito appartiene solamente al lessico moderno.
La specificita della mitologia come “invenzione greca” è formalizzata da
Detienne nella suggestione della raffinata ricerca sul mito greco che possiamo
riconoscere avviata da Jean Pierre Vernant a partire da quel fondamentale “Les
origines de la pensée grecque” del 1962 .Si tratta di una piattaforma di
6
precisazione molto importante per la riflessione storico religiosa ed antropologica
del ‘900 in generale.
Importante in quanto la “grecità “ della mitologia si scontra apertamente con la
pretesa di proporre il mito come discorso di valore assoluto,prodotto di un pensiero
diverso,dotato di una sua consistenza ontica, nel senso accordato ai miti come
contenitori e mediatori di verità arcaiche e antropologicamente universali.
La riflessione sul “mito” si sposta così verso la molteplicità dei “miti”e l’interesse
va non più alla verità univoca e profonda ma alla funzionalità del raccontare mitico
per le singole culture.Il nome che si impone è certo quello di Claude Levi Strauss.
Non tentiamo di analizzare qui l’opera di Levi Strauss (possiamo rimandare alla
presentazione complessiva di Dubuisson,1996) ma vogliamo segnalare quelle che a
nostro avviso sono le tappe minori ma altamente significanti di un percorso che mira
esplicitamente a porre al centro dell’attenzione, accanto al mito greco, il mito,i miti,i
racconti dei popoli “altri”.Con pari dignità d’ascolto.
Le infinite varianti dei racconti,dei miti dei popoli “selvaggi” studiati da Levi
Strauss appartengono al bricolage che le varie culture hanno attuato utilizzando
dati e strumenti della loro situazione storica e ambientale.Al di sotto delle varianti
affiora tuttavia il permanente modello unitario che non è la verità archetipale ma
“verità” dell’enunciazione di soluzioni raccontate di problemi importanti.
Per introdurre Levi Strauss dovremmo cominciare dalla famosa “decifrazione “ del
mito di Edipo- unico incontro con il mito greco nella vasta produzione
dell’antropologo-per continuare con l’altrettanto emblematico saggio forse ancora
più significante dal punto di vista teorico, dedicato alle “gesta di Asdiwal.
Si riattraversano una serie di racconti raccolti da Franz Boas a Port Simpson nel
dialetto tsimshian delle popolazioni della costa nordoccidentale dell’alto
Pacifico,Colombia britannica attraverso un’analisi distribuita su più livelli dove si
passa dal particolare circostanziale per arrivare all’enunciazione finale di un disturbo
planetario riassunto nella difficoltà del comunicare. Difficoltà che se non risolta
porta all’immobilità della pietrificazione,come accade agli ultimi protagonisti del
racconto che finiscono trasformati in pietre,”landmarks”del paesaggio per la
memoria.
E’un testo che rimane per molti aspetti esemplare,sul quale tuttavia non insistiamo.
Dopo la famosa serie di Mythologiques,“La potière jalouse “ del 1985 è tuttavia il
saggio nel quale Levi Strauss riassume e riconferma il metodo e la sua assoluta
originalità .
“La vasaia gelosa” è anche il testo di referenza scelto da Jean Petitot per saggiare la
verificabilita della funzione universale di quella formula espressiva della “logica”
dell’enunciato mitico che rimane la grande proposta levistraussiana.
Come le formule della fisica teorica la formula organizzativa del bricolage mitico ha
la proprietà ridurre ad unità misurabili una quantità imprevedibile di dati, in questo
caso le narrazioni,i singoli miti (Petitot 1988). Esplorando i miti jivaro legati alla
lavorazione della ceramica-arte di basilare importanza nella articolata storia dei
saperi tecnici- Levi Strauss si propone di dimostrare come in quel contesto
7
culturale sudamericano la terra da ceramica, legata tecnicamente al fuoco di cottura
quindi strettamente correlata alla nutrizione ed ai suoi più significanti stratagemmi
(i passaggi dal crudo al cotto), giochi anche un importante ruolo cosmogonico
fungendo da termine mediatore per l’organizzazione spaziale,l’alto,il basso,l’esterno,
fondando per l’umanità la possibilità ( essenziale) dell’orientamento come dato
culturale.
Forse vale la pena riassumere qui brevemente la “dimostrazione” davvero magistrale
della logica segreta delle catene narrative che Levi Strauss fornisce.
Il mito di partenza appartiene alla tradizione orale degli Jivaro ( Ecuador) .Propone
il rapporto che lega tra loro l’uccello succiacapre (Nyctibius grandis,di abitudini
solitarie e notturne)la gelosia coniugale e la ceramica.
Per afferrare il nesso che unisce questi termini apparentemente slegati, quindi per
cogliere quella che per l’autore è la coerenza strutturale profonda soggiacente alle
apparenti assurdità dei contenuti narrativi si ricorre alla soluzione del testo in una
formula capace di risolvere in modo economico la logica dell’enunciato narrativo.
La formula è così trascrivibile : Fx(a) : Fy(b) = Fx(b) : Fa -1(y)
I termini a e b valgono rispettivamente per l’uccello succiacapre(a) e la donna(b)
mentre x vale per la gelosia e y per la ceramica.
Il problema “assurdo” sorge dal rapporto incommensurabile tra il succiacapre e la
ceramica.Per risolverlo bisogna cercare in un altro mito,o meglio in un altro insieme
di racconti,che appartengono ad un gruppo diverso dagli Jivaro e riguardano un
uccello diamentralmente opposto al succiacapre,il fornaio(Furnarius
sp).L’ornitologia ci avverte che il fornaio è associato alla buona intesa coniugale
( vive in coppia) e come costruttore di nidi è un buon vasaio.
Se teniamo presente che :
a /b valgono come opposizione qualitativa di termini ; x/y come opposizione
qualitativa di funzioni.
F funzione (t) significa che il termine t possiede la funione f;
F a-1 (Y) significa il mutamento di valore del termine nel suo inverso a -1 con un
mutamento del valore di termine in un valore di funzione.
Possiamo agevolmente dedurre che il fornaio come termine è un succiacapre
(funzionalmente )invertito .Il fornaio,assente come personaggio,attante in prima
persona nei miti jivaro, vi compare come succiacapre invertito attraverso la
definizione del ruolo della ceramica, tecnica tradizionalmente femminile in molte
parti del mondo dalle Americhe all’Africa (come non manca di annotare Levi Strauss
sempre attento alla documentazione etnografica).
E’ spiegata così la “logica”del racconto, del “mito “ della vasaia gelosa che è
trasformata in uccello notturno fondando una specifica specie ornitologica e dando le
basi per avviare la fabbricazione della ceramica,cioè la costruzione di contenitori.
Si garantisce la logica ( quindi la verita?) del racconto ponendo l’equazione: la
gelosia sta alla ceramica come il succiacapre invertito sta alla donna. Levi Strauss
prosegue nella sua serrata dimostrazione tesa ad evidenziare la logica
8
incontrovertibile che spiega tutte le apparenti assurdità del dire ma anche dell’agire e
quindi dell’essere !
Riflette così sui sempre logici e logicamente enunciati destini intrecciati dell’argilla
e del nutrimento,tra cultura e natura contenitore e contenuto,ingestione ed espulsione
ecc.
Non seguiremo qui il nostro autore più oltre,ci sembra tuttavia che questo breve
cenno possa servire a mettere a fuoco la specificità dell’apporto levistraussiano alla
problematica del mito e la sua posizione nel pensiero del ‘900.
L’universalità della categoria mito risulta confermata non attraverso l’affermazione
assiomatica di una presunta funzione di memoria collettiva dell’umanità né sulla
base dell’affermazione dell’esistenza di una “miticità “ essenziale -come sostengono
tradizionalisti e fenomenologi - bensì sulla base di una conferma logico matematica
della struttura narrativa .La narrazione utilizza i dati della cultura di base in quanto
risponde alla necessità umana primaria di comunicare i modelli scelti come validi
cosmicizzare i diversi specifici ambientali,per la trasformazione del “naturale “ in “
culturale”.
Ma ritorniamo a Detienne che è anzi tutto un antichista ed in particolare un grecista
ed ha posto in modo chiaro la specifità culturale ,greca,del “mito” recepito troppo
spesso come un dato universale .
Detienne non cerca la logica del mito discorso -non è un semiolinguista- ma da
storico evidenzia la “storicità” del problema del mito suscitato dalla assunzione
della mitologia come “invenzione “ greca,quindi inesistente al di fuori del paradigma
greco e soprattutto al di fuori della vasta polemica innestata dagli usi della mitologia
greca.Ovviamente nella cultura di riferimento,quella europea ,occidentale.
In questa prospettiva il bersaglio indiretto è comunque Levi- Strauss.
L’evanescenza della “mythologie” rende in certo senso vana la ricerca sulle
“mythologies” e soprattutto sul “mythique” che al fondo sempre riappare.
Prima di Detienne si colloca tuttavia il lungo paziente lavorio sul mito di altri
studiosi che affrontarono il problema mito in chiave storica non per trovare nel
“mito” inteso come racconto velate allusioni a dati o fatti storici e neppure per
proporre l’antitesi fantastico-vero ma per cercare la funzione del mito,dei miti intesi
come racconti nell’ambito delle culture che li producono .
Una posizione critica che rifiutava in primo luogo l’ interpretazione del mito in una
dimensione ontica che ne poteva fare ad esempio luogo di espressione di un “sacro”
archetipale ,ontologico ,secondo il celebre modello di Rudolph Otto.
Sono un gruppo di studiosi italiani a rifiutarsi di accettare un modello
interpretativo del mito che nel XX secolo domina una grande parte della cultura
ufficiale ed ha in Mircea Eliade un rappresentante emblematico,a partire da un testo
chiave,“Le mythe de l’eternel retour”,uscito in prima edizione nel 1949.
Nella prospettiva eliadiana il mito è inteso come rivelazione di qualche cosa “che è
”nascosta nei messaggi conservati nei racconti tradizionali di tutti i popoli.
9
In questa prospettiva il mito,o meglio i miti intesi come i racconti tradizionali di
un’umanità archetipale possono costituire ancora oggi un modello salvifico per un
umanita altrimenti travolta dall’incalzare insopportabile del tempo continuo ,il
famoso tempo della storia . Ma ricordiamo che il tempo della storia non appare più
così antitetico come la critica più recente vuole dimostrare (Calame 1998).
Questa contrapposizione tra tempo del mito e tempo della storia che Eliade propone
e rende popolare a livello intellettuale nel suo celebre testo del ‘49 era ampiamente
condivisa con varianti da una gamma notevole di pensatori “tradizionalisti”del
novecento..Guenon, Coomaraswamy,Evola,per citare nomi ricorrenti anche
nell’entroterra eliadiano ( Pisi 1998).
Possono rientrare nella lista anche altri personaggi molto noti, Walter Friederich
Otto ,Ernst Junger e l’antichista Karl Kerényi.Si tratta di un atteggiamento vasto, per
così dire onnicomprensivo anche se contraddittorio in sé stesso ma che coinvolge e
determina il mondo della cultura novecentesca in senso vasto,dalla narrativa,alla
poesia,all’ arte figurativa,senza omettere l’investimento politico.
Questo dato è soprattutto importante nella cultura tedesca che dopo la prima guerra
mondiale appare tragicamente “affamata di mito” 3 .
Possiamo comunque osservare che a tutt’oggi manca una articolata e completa
riflessione globale sul tema nonostante alcune pertinenti osservazioni di Ginzburg
(1986:210-238).E quanto scrive una scrittrice contemporanea impegnata come
Christa Wolf per la quale ancora oggi noi occidentali continuiamo ad cibarci
dell’antichità classica come attingendo ad un inesauribile pozzo : Die alten
griechischen Autoren und Denker hatten zu dem bewundernswerten Phaenomen
beizutragen das wir heute klassisches Altertums nennen, ein unerschoepflicher
Brunnen aus dem das Abendland seitdem sich speist :mit Ideen,Kunstmaximen
Staatstheorien,mit Philosophie und der grossen Utopie von Demokratie ( Wolf
1999).
Rispetto il panorama generale della cultura europea della prima metà del novecento è
particolarmente importante per la intelligente e creativa critica proprio la posizione
della scuola storico-religiosa italiana,a partire dal suo fondatore Raffaele Pettazzoni
Pettazzoni rispetto il gran parlare di “mito” affronta il problema partendo dal
concreto
L’occasione è legata alla pubblicazione del primo volume della serie Miti e
Leggende nella collana curata da Pettazzoni stesso per la casa editrice torinese
UTET. Si presenta in questa occasione per il grande pubblico italiano una raccolta
di miti,”non greci” . Pettazzoni riserverà comunque al mito greco un posto
particolare affidando la redazione di un volume sulla mitologia greca alla grecista
Luigia Achillea Stella (Stella 1956).
Il primo volume della collana comprende i racconti “tradizionali”, nordamenricani
e australiani, non miti greci ma miti di popolazioni “primitive”,i racconti ai quali
quelle popolazioni assolutamente “altre “affidavano funzioni
importanti,fondamentali per la loro esistenza.
10
Pettazzoni sente qui ,a questo proposito, la necessità di una breve riflessione teorica
interrogandosi nella breve prefazione sulla “verità del mito”.“4
Questa “verità” del mito secondo Pettazzoni ha senso e valore precisi. Pettazzoni
opportunamente richiama quella che è per noi la nozione corrente di mito : “il mito
nell’accezione nostra comune appartiene alla fantasia distinto-come tale-anzi
contrapposto alla realtà .Gli dei che sono le persone del mito sono per noi esseri
favolosi nei quali non crediamo”.E aggiunge subito dopo,come nota di
avvertimento: la critica al mito -la trasformazione del mito in mito diremmo noirisale ai primi pensatori greci,Teagene di Reggio, Senofane di Elea che “rifiutavano
il contenuto letterale dei racconti dei poeti, di conseguenza anche l’antropomorfismo
degli dei di Omero,”incompatibile con l’ideale divino”.Ma il mito -aggiunge-è più
antico di Omero e appartiene ad un mondo che credeva negli dei”.Segue
l’esemplificazione tratta sempre da materiale etnologico. Si ricorda in particolare la
distinzione tra “storie vere “ e “storie false” registrata presso i Pawnee popolazione
di lingua caddo come presso altri popoli dell’America settentrionale, Wichita,
Dakota,Cherokee ecc.ma anche in Australia ( Karadjeri della costa nordoccidentale
di Lagrange Bay) ,o in Africa ( Haussa nigeriani, Herero dell’Africa orientale
ecc.).Ma non si può parlare di “verità” intrinseca del mito.
Solo per effetto del “credere” il mito si sposta a coprire significativamente la zona
del “vero”.Si tratta di credere ad un “vero” che ha prima di tutto una sua consistenza
testuale, appartiene a racconti “che coinvolgono esseri sovrumani suscitatori delle
cose e fondatori di istituzioni”-precisa Pettazzoni che osserva anche come questi
miti siano sempre “raccontati”.
Di striscio si precisa l’osservazione della sostanziale oralità del mito che è racconto
orale ed acquista specificità perché detto in circostanze particolari rituali,cultuali.
Come presso i Cherokee dove la recitazione e l’audizione dei racconti di creazione
dei corpi celesti è riservata alle speciali riunioni notturne 5.
Gli esempi possono moltiplicarsi: il mito,il racconto,che in alcuni casi assume il
valore di enunciato segreto rivelabile a pochi, diventa “sacro” quindi “vero” o
viceversa perché narrato e ascoltato,messo in circuito in circostanze particolari,
diverse,rituali,quindi ”sacrali”, o perché come messaggio di “verità” riconosciute “
da sempre” dal gruppo,verità tradizionali,è accettato come indispensabile per il
mantenimento dell’identità del gruppo stesso.
Vero perché “sacro” può dire Pettazzoni. La sacralità tuttavia -e questa osservazione
deve rimanere sempre presente-non è ontologica,non è in sé,ma scaturisce da una
specifica situazione circostanziale,storica, che conferisce ad un enunciato un
particolare valore,lo rende accetto anche senza mediazioni,senza bisogno di “fede “.
Senza bisogno di quel tipo di rapporto di “professione di fede” peculiare del
modello cristiano che stravolge il senso originario del termine quando il concetto di
Fede era legato ad una figura del patto la dea Fides che il politeismo romano
onorava in modo privilegiato sul Campidoglio accanto a Juppiter,ponendo al suo
servizio un sacerdote di ordine superiore,un flamen che la serviva albo amictu
11
velata manu,con la mano destra coperta a significare la messa a disposizione della
mano stessa in caso di violazione dei termini del patto( Freyberger 1986 )6.
Potremmo osservare che il “mito vero” nel senso pettazzoniano si propone analogo
a quel tipo di racconto che in greco ,ad un certo punto in certe circostanze diventa
hieros “sacro” ma è esplicitamente logos hieros ,con il significato di discorso
particolare, che segnala un enunciato che si oppone al mythos per il semplice fatto
di dover essere segreto.Non detto. L’esempio più noto è lo hieros logos che
protegge la “rivelazione” del complesso mitico-rituale più famoso della grecità,i
misteri di Eleusis,un enunciato che non si poteva rivelare, dire, e che non consisteva
nel suo mythos.Il racconto celebre del famoso ratto di Kore è infatti un racconto,un
mito,tutt’altro che segreto poiché è esplicitamente raccontato nel celebre Inno a
Demeter della raccolta pseudoepigrafa degli Inni Omerici ed in molte altre
varianti,senza protezione.Mentre il senso segreto il valore vero del messaggio si
nasconde altrove.7
Per la definizione di “sacralità” in questa prospettiva possiamo ricordare ancora una
volta la puntualizzazione di Pettazzoni :i miti sono i racconti,che riguardano
problemi di fondazione di modalità culturali, anche non necessariamente cultuali,
ritenute fondamentali per il gruppo e sono per questo fatto ritenuti “veri” .La
sacralità sta nel riconoscimento di verità e la “verità” pone il mito sul piano della
storia.In questo senso è importante proporre nel giusto valore la puntualizzazione di
Pettazzoni:“ Il mito è storia vera perchè è storia sacra”, evidenziata con il corsivo
Ma il valore di sacro nell’accezione pettazzoniana ,è un dato sempre
flessibile,circostanziale storico, non è un dato in sé, è “sacro” in quanto fatto tale
dalla storia.8
Il mito pettazzoniano è dunque un racconto che si propone anche come “storia
sacra”,nella prospettiva della cultura ,del gruppo che lo accetta e lo interpreta come
risposta ad un bisogno ineludibile suggerito dalle circostanze che sono sempre
circostanze storiche.La “sacralita”, l’”archeticipità”, del mito,dei miti, si costruisce e
ribadisce di volta in volta,secondo la storia. Intorno a questo tema di fondo si
definisce la fondamentale differenza che divide,nel reciproco rispetto,Pettazzoni ed
Eliade proprio intorno alla consistenza manifesta del sacro,alla ierofania (Chirassi
Colombo,1998).In ogni caso il “sacro”che così emerge è qualità, situazione
circostanziale oggettiva,che ha bisogno di essere,accettata,quindi anzi tutto
raccontata. Ed è qui che si propone il mito nella sua posizione essenzialmente
relazionale.Il mito come veicolo trasmettitore di dati e valori deve sottostare al
riconoscimento ed all’accettazione,deve passare attraverso il setaccio del
credere.Ma credere è termine che Pettazzoni subito abbandona dopo averlo
utilizzato in riferimento ad un nostro atteggiamento riguardo agli dei,gli esseri
svrumani dei politeismi.In quanto plurimi gli dei sono entità,personaggi nei quali
noi “non possiamo credere”.I miti nelle società che li producono sono accettati
senza bisogno di un certo tipo di opzione,senza bisogno del credere perchè ritenuti
comunque validi per la vita del gruppo,quindi fondanti la “storia”.
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La complessità contraddittoria del “credere” rispetto l’enunciato per la formazione
di una specifica qualità del prodotto che diventerà mito-verità è così con
straordinaria anticipazione individuata, anche se poi non approfondita,da Pettazzoni 9
Il mito dunque non dice qualche cosa che si accetta attraverso l’atto volitivo del
credere che ha un ruolo specifico solo nelle culture che costruiscono il loro
simbolico religioso sulla professione di fede. Il mito per le culture che lo usano può
facilmente intercambiare con la “storia” , neppure storia sacra ,ma storia,cioè
racconto qualche cosa che si dice essere accaduta ed è ritenuta assolutamente
importante in sé, tradizione non eludibile.
Si vanifica così la risposta alla domanda posta da P.Veyne in un noto saggio nel
quale si pone la famosa domanda : i Greci hanno creduto ai loro miti ?(1983).
Fino ad un certo punto ,fino a Platone almeno, i Greci non hanno “creduto” ai miti
nella misura nella quale non avevano bisogno di porsi il problema del credere quindi
il problema del” mito”inteso come un “discorso di rivelazione” da accettare o da
respingere come vero o falso.
I Greci si sono posti in vari modi il problema di come porsi dinanzi ai racconti dei
loro poeti ma hanno sostanzialmente continuato ad accettare quella strutturazione
dell’immaginario costituita da quei racconti che magari ad un certo punto potevano
risultare risibili ma intrecciavano la piattaforma rispetto la quale si costruiva la
storia,la piattaforma della tradizione.Proprio come gli indiani Pawnee o
Cherokee.Nel V secolo il mito come racconto straordinario si lega all’”accettazione”
degli dei,alla “religione”.
”Da parte mia niente mi sbalordisce e niente mi sembra indegno di fiducia quando
sono gli dei a realizzarlo” dice il poeta di Tebe Pindaro nella X Pitica.
E’un enunciato importante per la storia del mitico e per il suo articolarsi interno alla
teologia del politeismo in Grecia. I miti,le imprese raccontate di un eroe panellenico
come Perseus l’uccisore della Gorgone pongono il problema della loro accettazione
ma se proposte come volute dall’ordine sovraimposto degli dei meritano se non
fede almeno,fiducia,pistis. Accettazione del simbolico proposto.
Si profila tuttavia sullo sfondo del V secolo-il secolo turbinoso e creativo nel quale
la Grecia attraverso la democrazia ateniese getta le basi di ciò che noi sia pur
confusamente intendiamo per “mondo occidentale”- una delle prime avvisaglie di
rottura dell’ accettazione incondizionata del racconto tradizionale.Per essere
accettato d’ora in poi il mito,il racconto dovrà essere presentato come storia oppure
potrà essere accettato,per fiducia nella tradizione “ religiosa” che non può non essere
“vera”,anche se non si presenta così verificabile come la storia.
Ma ritorniamo all’esegesi novecentesca. A Pettazzoni che afferma che il racconto
mitico è “vero” ,è “sacro”,ha valore solo in quanto è accettato come vero da coloro
che lo usano,quindi diventa implicitamente “storia”.
E’ una affermazione di grande importanza se teniamo presente l’epoca nella quale fu
formulata,il periodo tra la fine degli anni quaranta ed il 1960.
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Lo storicismo umanistico di Pettazzoni si pone continguo alla appassionata ricerca
di Ernesto De Martino e alla radicale critica di Angelo Brelich per l’
organizzzazione di una una metodologia impegnata su di un percorso che recupera
la dimensione del “mitico “e del “sacro” alla legittimazione della storia e colloca il
mitico – come il sacro ,ma anche il magico,l’irrazionale ,il religioso al loro posto
nella dialettica della storia.
Illuminanti in questo i già citati Ultimi Appunti di Pettazzoni pubblicati postumi su
Studi e Materiali nel 1960 da Brelich.
Qui Pettazzoni nella preparazione di un lavoro che la morte gli impedirà di portare a
termine si confronta con le definizioni che del mito aveva dato più volte il suo
collega,storico delle religioni e corrispondente assiduo,Mircea Eliade.
Ben due saggi abbastanza recenti dedicati al mito ed alle sue interpretazioni nel
‘900, Theories of Myth in Twentieth- Century History ,di Ivan Strenski (1987) e
Mythologies du XX siècle di Daniel Dubuisson (1993) inseriscono Eliade insieme a
Levi Strauss tra i teorici del mito degni di nota del nostro secolo.
Devo l’osservazione a Cristiano Grottanelli che propone una recensione del testo di
Strenski in Quaderni di Storia (1997:183).Importante sottolineare come da entrambi
i testi siano esclusi in blocco gli studiosi italiani!
In realtà Eliade non è un teorico,un analista del racconto mitico -come lo sono in
modo diverso Dumézil e Levi Strauss . Eliade fa sua quel tipo di interpretazione
neoromantica “irrazionalistica” che è centrale nel pensiero del primo ed ancora nel
secondo ‘900,perdura ed ha radici lontane :il mito è linguaggio dell’umanità arcaica,
umanità potente perché considerata depositaria di una conoscenza più immediata ,più
vicina alle verità essenziali.
Questa posizione enunciata in modo diverso già da Vico è divulgata nella cultura
europea preromantica soprattutto da Christian Gottlob Heyne sul quale è stata
recentemente richiamata l’attenzione come padre fondatore della grande
Altertumswissenschaft tedesca (Graf 1993) e rimane come motivo guida in tutto un
filone di pensiero. Eliade la ripropone,soprattutto la divulga in innumerevoli luoghi
della sua lunga e fortunata produzione.
” I miti rientrano in una particolare categoria di creazioni spirituali dell’umanità
arcaica.. “il Mito in quanto tale è forma originale dello spirito” ..
Così scrive Eliade nel secondo capitolo di Images et Symboles (1952)dedicato ai
miti indiani del tempo ed alla riflessione sui rapporti mito -tempo,un capitolo
comunque ricco di suggestioni.
Per Eliade il mito racconta per la consolazione dei suoi fruitori,il Grande Tempo,il
Tempo ciclico delle società arcaiche così come detto nel citato Le mythe de
l’éternel(1949).
Questa dimensione del “tempo è importante ed esplicita la profonda dimensione
antistorica dello studioso rumeno. Per Eliade non esiste un passato vero e neppure
un futuro diverso possibile.Il “grande tempo” propone come indifferenti le
14
differenze in una proiezione insieme assai pericolosa riproponendo l’inevitabile
ritorno del passato e la irrilevanza del presente.
Citiamo un esempio.La “realtà”del Grande Tempo rende infinitamente piccoli gli
avvenimenti circostanziali come le personali ambizioni ( ma vorremmo aggiungere
anche il desiderio di veder soddisfatti i propri bisogni,desideri diritti ) . In questo
caso il personaggio scontento è un dio come Indra personaggio molto importante
del pantheon induista. Indra vuole ingrandire sempre più il suo palazzo costringendo
ad un lavoro insostenibile il suo architetto Visvakarman.
Sino a quando Visnu ,il dio supremo, interviene prendendo opportunamente l’aspetto
di un ragazzino e richiama Indra a considerare la realtà nella sua essenza: le
formiche furono prima di molteplici trasformazioni, tanti Indra ora sono formiche
ma ritorneranno Indra.. L’atemporalità del contesto narrativo del racconto mitico,il
fatto che l’azione narrata si svolge sempre in un tempo non definibile,non
presente,diverso dall’ attuale,aoristo,è proposto come qualità ontologica del tempo e
la narrazione diviene espressione di cose che sono già tutte nel tempo.
Il mito arcaico è racconto “sacro” in quanto espressione della dimensione temporale
che assicura attraverso il continuo ritorno l’eterna permanenza delle singole
esistenze.
Ascoltare il mito secondo Eliade ,è per ogni uomo: “ trascendere il tempo profano
....,equivale a una rivelazione della realtà suprema : realtà rigorosamente metafisica
alla quale ci si può accostare solo attraverso i miti e simboli “(Eliade 1993:59).
Poco prima aveva scritto : “ricordiamo che per ognuno di questi individui,per
l’australiano,come per il cinese,per l’indu come per il contadino europeo,i miti sono
veri in quanto sono sacri “, “ les mythes sont vrais parce qu’ils son sacrés”. E una
ripetizione quasi identica all’enunciato di Pettazzoni. Ma negli Ultimi appunti
Pettazzoni glossa questo enunciato in rosso : no! E con questo intendeva dire no
proprio al “mito sacro” eliadiano al mito inteso come racconto che racchiude in se
stesso il vero,un vero esistente in sé ,come il sacro, fissato in un tempo senza
divenire.
Alla fine del suo percorso di studioso Pettazzoni ribadisce dunque ancora una volta
la sua acquisita certezza per quale il mito (e il sacro) hanno verità e realtà solo in
rapporto al loro utilizzo storico,non costituiscono una dimensione “diversa”
“antitetica” alla quale “ritornare” per una fuga dall’attuale,o alla quale ricorrere per
cambiare la realtà
Mito e sacro rimangono modi di espressione dell’umano, modelli simbolici ai quali
va riconosciuta la massima importanza in quanto funzionali alla espressione delle
valenze proprie della dimensione storica delle singole culture.
Il richiamo culturale a questo punto rievoca quel primo volumetto del famoso padre
del funzionalismo antropologico,Bronislaw Malinowski,”Myth in Primitive
Psychology” ,pubblicato nel 1926 come risultato di una lunga osservazione
diretta,di campo,del funzionamento complessivo di una società “ altra”,il mondo
“selvaggio” delle isole Trobriand,Melanesia.”
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Per i trobriandesi i loro miti vivono “not by idle interest not as fictitious or even as
true narrative:but are to the natives a statement of a primeval,greater and more
relevant reality by which the present life,fates and activities of mankind are
determined”.I miti sono “veri” in quanto forniscono al gruppo i motivi per i rituali e
per le “moral actions” ,i comportamenti etici e le indicazioni su come metterli in
pratica .Il mito non fornisce spiegazioni delle realta più o meno fantastiche,non
conserva memorie, ma giustifica i comportamenti adottati ,si lega quindi e si
confonde con il rito e con la storia.In ogni caso è significante nel contesto per il
quale è utile,funziona.
Sulla scia di Sir J.Frazer e della scuola sociologica francese di Durkheim,di Hubert
e di Mauss, il mito per Malinowski è l’enunciazione degli statuti,i
charter,rispetto i quali il gruppo,la società, potrà organizzarsi secondo quella
funzione che la scuola sociologica riconosce in ultima istanza alla “religione”,alle
religioni, complessi mitici e rituali necessari per organizzare la tassonomia dello
spazio tempo,rispetto i quali non ci si interroga sul piano dell’ontico ma su quello
della valenza nella storia.
La posizione di Malinowski è decisamente vicina a quella di Pettazzoni che certo
conosce il suo testo ma la posizione di Pettazzoni e del suo gruppo rimane
comunque anticipatoria anche se isolata nella cultura italiana e europea.
Sempre negli Ultimi Appunti troviamo un’altra contestazione di Pettazzoni alla
definizione di mito data da Eliade in “Mythes,Reves et Symboles”per la quale il
mito è espressione di “une révélation transhumaine qui a eu lieu au l’aube du
Grande temps”. Si tratta di un enunciato che consente all’uomo di allontanarsi dal
tempo profano e raggiungere il tempo sacro.
Al contrario la funzione che Pettazzoni riconosce al mito è quella di una verità non
essenziale ma “esistenziale”,una “verità” che consente il superamento di una crisi,
che interviene e si forma quando serve,al momento storico nel quale si arriva ad un
punto che si “protegge solo mercè la religione.Dèi ed eroi mitici non esistono che
nel pensiero umano che li crea “ 10 .
Il suggerimento che propone il mitico come espressione del sacro, del
religioso,quale modalità efficace se non ultima di “superamento della crisi”, viene a
Pettazzoni, almeno in parte, dalle proposte parallele di ricerca di Ernesto De
Martino.
”Il mito è la parola della crisi” troviamo scritto in un inedito demartiniano
( Massenzio 1955:144).
Sul tema che stringe in modo inestricabile il mito al rito (nell’interattivo nesso
mitico-rituale),quindi rimanda alla esperienza religiosa ,al “religioso”inteso come
strategia sempre rinnovata nella storia e sempre umanamente necessaria per superare
l’inevitabile angoscia del contingente,lo stesso De Martino aveva scritto in
“Storicismo ed irrazionalismo nella storia delle Religioni nel saggio del 1957
pubblicato su Studi e Materiali ( ora in Massenzio 1995)e ripreso in altri luoghi.
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Si profila così nella prospettiva storico-religiosa la interpretazione del pensiero
mitico non come modello costituente un’esperienza cognitiva comune di un’umanità
arcaica ormai estranea, né come rivelazione ad un’umanità aurorale misteriosamente
conservata attraverso un criptolinguaggio ma come “pensiero selvaggio” in quanto
attivo,strumento performativo adatto alla costruzione di una storia nella quale
l’umanità esprime i modi per vincere le situazioni di volta in volta provocate dalle
singole circostanze ,dai problemi in atto e inventa i modelli per superarli.
Anche se non detto esplicitamente,il mito si risolve qui nel bisogno di dire e di
rapportarsi a ciò che è stato detto, che è proprio dell’umanità parlante.
Questo inserimento del mito nella logica e nei bisogni della cultura è enunciato da
Pettazzoni decisamente già prima della lezione strutturalista di Levi Strauss che
inizia vistosamente solo nel 1964 ,anno di pubblicazione del primo volume di
Mythologiques.
l famoso saggio di apertura di un’analisi strutturale applicata dai sistemi di
parentela ai sistemi di miti,”The structural Study of Myth” appare nel 1955 non
molto prima della sua ripubblicazione nella prima edizione di “Antropolgia
Strutturale” apparsa a Parigi nel 1958.
La posizione sul mito di Pettazzoni ed in genere della scuola italiana di Storia delle
Religioni appare dunque molto innovativa ed autonoma e si poneva esplicitamente
contro quella corrente di pensiero condivideva l’interpretazione del mito come
“forma dello spirito” enunciante “verità” universali separate,velate penetrabili solo
da pochi.
Per accostare le ambiguità dei modelli enunciativi di questa corrente vale la pena
ricordare le analisi etimologiche di mythos e logos proposte nel significativo
Vortrag “Mythos und Wort” da W.F.Otto, il Nietzsche redivivo, in un saggio del
1952 che appare per così dire riassuntivo della posizione ermeneutica di tutta una
linea di pensiero che in Europa si snoda nello spazio che intercorre tra la prima e la
seconda guerra mondiale.
Possiamo leggerlo in “Das Wort der Antike”,1962 ( tr.it. 1993 ).
Dopo aver proposto l’ interpretazione etimologica di logos dalla radice leg comune
al greco ed al latino nel senso di “scegliere” ,usata in Omero”,valore che spiega l’uso
posteriore del termine per indicare “ciò che si è ponderato,riflettuto .....ciò che è
razionale consequenziale iniziale,ottenendo un ruolo fondamentale nella storia
spirituale”,Otto passa al mito.
“ Tutt’altra cosa con mythos.Con esso non si intende qualche cosa di ponderato.Il
significato di questo termine è assolutamente oggettivo: il reale,l’effettivo(in parola
naturalmente).Mythos è la storia nel senso dell’accaduto o di ciò che sta accadendo
conformemente all’essere “.
Il narrato dei miti racchiuderebbe dunque realtà nascoste dalle quali la storia intesa
come forzato mutamento in senso lineare,allontana per sempre. I miti contengono la
rivelazione degli “archetipi”, i logoi originari comunicati attraverso il linguaggio di
una rivelazione accessibile solo a chi è più vicino al mondo essenziale degli inizi,gli
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arcaici,i primitivi, coloro che si sono sottratti all’angoscia del tempo sempre
continuo,alla storia,o coloro,i pochi, che hanno conservato la capacità di
comprendere il senso nascosto, coloro che continuano la tradizione di quanti
possedevano i segreti della conoscenza,i poeti,i sapienti,i teurgi,gli uomini “divini”
del tardo antico ecc.
Agli irrazionalisti si aggiungono infatti tradizionalisti ed esoterici tutti tra loro in
rapporto nella comune esaltazione della nietzschana denuncia del moderno prodotto
dalla consapevolezza razionale propria della cultura inaugurata dal “demonico”
Socrate.
In particolare questa prospettiva è presente nell’antimodernismo radicale di una
grossa parte della cultura tedesca del primo novecento per la quale giustamente è
stato segnalato un rapporto ossessivo con “il mito “.
Qui il “malessere” converge nella ricerca ed elaborazione dei miti propri,patrimonio
ancestrale delle stirpi, popolari come “vőlkisch,”miti da ricercare,per lo specifico,
nel paganesimo nordico,e nelle origini indoeuropee, sulla scia della ricostruzione
della “tradizione”e poi della “razza”,indoeuropea.Anche se sulla effettiva qualità del
concetto di “razza” gli “spiritualisti” ed i “tradizionalisti”non coincidono tutti tra
loro.
Sono posizioni che compaiono comunque pericolosamente alla base dei vari
movimenti econazionalisti europei di inizio secolo per i quali scrivono personaggi
come Paul de Lagarde,Guido von List,Jorg Lanz von Liebenfels ed altri per
proseguire con la complessa ermeneutica degli anni venti-trenta alla ricerca di una
piattaforma di certezze metafisiche intese come certezze ”reali”,essenti ed esistenti.
Costituiscono nel loro insieme una vasta anche se imprecisa piattaforma di
convinzioni che rese possibile l’impianto anche a livello popolare delle ideologie
nazifasciste come risposta a quello che è stato definito un globale “bisogno di
mito”(Clarke 1989).
A questo bisogno di mito si può e si deve rispondere in vari modi.E’ la posizione
ribadita nel 1938 da Gonzague de Reynold a capo della destra conservatrice
svizzera, citato da G. Marchal (1993),dove il “mito” è proposto -con evidente ripresa
trasversale da Georges Sorel. Il mito equivale ad un manifesto , un enunciato che è
unica modalità di coagulo della massa per il raggiungimento di un obbiettivo nuovo.
Per far muovere le masse c’è bisogno del mito, un “mito nuovo” o anche un “mito
genuino”.Costruito come ? Quali gli elementi scelti per i bricolage e quale
“forma”per l’enunciato ?
La cultura europea almeno una grossa parte di essa oscilla tra questi enunciati e
Definizioni che non sono innocenti e mirano alla organizzazione strumentale di un
consenso ideologico su vasta scala.
Al fondo sta sempre l’ asserzione del “mito” come una dimensione “essenziale”,un
racconto che distingue un modo di essere.
Ed è posizione ribadita da autorevoli personaggi del mondo della cultura,coloro che
offrono la giustificazione scientifica per l’utilizzo ideologico.Sono i già citati
W.F.Otto,Eliade.
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Si può aggiungere in certa misura anche lo specialista storico della religione
greca,grande intellettuale mitteleuropeo,l’ungherese Karl Kerényi, intorno al quale
tuttavia il discorso deve proporsi in modo più analitico di quanto consentito in
questo spazio.
L’attiva partecipazione di Kerényi al dibattito teorico,in chiave filosofica, sul
mito,sul rapporto mito -simbolo,sul problema della demitizzazione in chiave
teologica (Bultmann )ecc. è bene attestata dai suoi interventi ai convegni organizzati
da Enrico Castelli a partire dal 1955.
Essi rimangono sempre nei limiti di una posizione critica per così dire interna alla
prospettiva sistematica del dibattito filosofico europeo.Anzi il mito è proposto come
un assoluto ultimo,non più “demitizzabile”.
Per Kerény il mythos parola si risolve in theos dio come segno della verità divina
che si fa percepibile,è rivelata,per Platone come per Giovanni
Così Kerényi in “Theos e Mythos” pubblicato negli Atti del convegno su “Il
problema della demitizzazione” Archivio di Filosofia ,1961.
In questa prospettiva il simbolico della grafica di copertina citata in apertura
esprime con immediatezza l’itinerario del concetto categoriale di mito come
formalizzato nel pensiero novecentesco.La testa del dio ellenistico –la testa di
Sarapis -segnala quanto si conserva comunque come modalità permanente di quella
cultura antica,sempre esteticamente greca, nella quale la modernità –intesa come
prodotto europeo,occidentale -trova le sue radici profonde anche quando è innestata
sul corpo nuovo dell’eroe del fumetto e diventa icona della modificabilità del
messaggio nella storia.
L’icona dice ancora il bisogno di “concretizzare”,di antropomorfizzare l’idea di mito
in un qualche cosa di definitivo,di percepibile in quanto tale ,un modello diverso,non
raggiungibile ma pensabile e ora anche assurdamente percepibile attraverso il
virtuale,la fiction,i miracoli telematici destinati a riempire i bisogni che l’umanità
globalizzata non può estinguere.
Vedi in proposito tra l’altro le osservazioni di Marc Augé in la “Guerre des reves”
(1997).
La prospettiva che sta dietro a Zeus-Superman propone comunque un mito
depotenziato prodotto di elaborazione e rielaborazione di una cultura che è passata
comunque attraverso la “demitizzazione” e usa un’icona stereotipa,” mitologica”
come risposta ai bisogni economico-culturali della società che lo ha prodotto.
In questo senso U. Eco nel saggio su Superman ( saggio del 62 ripubblicato in
Apocalitttici e integrati 1985) interpreta la mitologia d’oggi come derivata da “una
mitizzazione (ispirata dalla cultura di massa ) risultato di una simbolizzazione
inconscia ,che identifica nel soggetto -oggetto del mito,nell’eroe e nelle sue
avventure non il racconto di avvenimenti di un’epoca strutturalmente diversa che
serve a fondare in modo rassicurante l’attualità ma “una somma di finalità non
sempre razionalizzabili proiezione nell’immagine di tendenze aspirazioni ,timori
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particolarmente emergenti, in un individuo,in una comunità,in un luogo,in un’intera
epoca storica “.
Come dire che il “mito” nella modernità ha compiuto una rivoluzione completa
presentandosi non come enunciato fondatore del presente,ma piuttosto come il
discorso annunciante l’utopia,nei suoi molteplici aspetti,dalla realizzazione di
situazioni completamente diverse ma simmetriche rispetto l’attualità,alle più libere
elaborazioni di un fantastico sfrenato che evidenzia una percezione ansiosa di una
realtà contingente che sfugge .
Se questo è vero potremmo dire che appare definitivamente vanificato proprio nel
contemporaneo quel processo di demitizzazione interno alla cultura occidentale
che avrebbe dovuto portare alla accettazione piena della storia nella sua spoglia e
logica realtà.Un processo che era iniziato ben prima dell’illuminismo moderno.
L’identificazione categoriale di mito come prodotto diverso dal logos,come discorso
enunciato non “razionale” universalmente attribuita a Platone è comunque un
importante enunciato storicamente “vero” che completa per così dire la tendenza già
ben presente nel pensiero greco arcaico che isola modalità di enunciazione
considerate secondo parametri dialettici che schierano in prospettiva antitetica valori
e situazioni portanti:come conveniente vs sconveniente, vero vs il falso ma anche
maschile vs femminile,ellenico vs barbaro. E’ proprio la dialettica che non
assolutizza nella prospettiva greca radicalmente un polo rispetto l’altro a sciogliere
l’antinomia . E’per la necessità della presenza dell’antitesi che la famosa
opposizione mythos /logos non è mai radicalizzata nei suoi valori estremi.Questo
dato si evidenzia bene nei numerosi passi sparsi nei dialoghi nei quali Platone si
occupa di mythos, mythologema, aletheia,
pseudos,mito,mitologema,verità,menzogna.Non possiamo qui dare un’ analisi
ravvicinata ma la circospezione platonica ed il suo evidente ironico distacco dal
problema della razionalizzazione di tipo sofistico appare chiara dal noto passo del
Fedone(60c-61b) in cui Socrate propone in modo non semplice quello che almeno
era il suo problema dinanzi alla richiesta di uscire dalla comunicazione per lui
ordinaria,la dialettica,e fare qualche cosa d’altro,ad esempio mousike (Sabbatucci
1973). E’ sulla musica,mousike,che Socrate opera il suo primo taglio
dicotomico.Mousike nel senso ampio greco è attività della quale è garante la
polivalente collettività delle Muse e nel suo complesso equivale alla filosofia che
nella accezione popolare ,“demotica” si esprime nei miti poetici,nei “discorsi
versificati”.Ma più precisamente il vocabolo entra nel circuto lessicale non prima del
V secolo dove tra i vari esiti semantici sta ad indicare lo specifico che distingue
l’atto comunicativo di Apollo,il signore della divinazione: Kadmos fondatore di
Tebe “ascoltò infatti la mousikan orthan,la musica vera (?)del dio”.Così in un
frammento di Pindaro riportato da Plutarco nel complesso contesto dedicato alla
comunicazione tra umano e divino(M.397 B).Per il tema della comunicazione tra
vedi Chirassi Colombo 1996).Socrate,incapace di fare il poeta, cioè il cantore di miti
,per obbedire ad un sogno che gli ingiunge di fare “musica”,fa ciò che sa fare,mette
in versi i logoi di Esopo.Come Apollo ?Ma che cosa sono per i greci,gli ateniesi
20
dell’età di Socrate i logoi di Esopo ? Esopo racconta in prosa piccoli episodi che
mettono in gioco animali in situazioni garbatamente parenetiche per la costruzione di
una morale di consumo “popolare”che ha una vasta diffusione e sicure radici nelle
culture del vicino oriente.Socrate rimane così sempre dalla parte del logos racconto
ma usa il rivestimento poetico,cioè un modo di espressione trasformante che è
quello scelto ad esempio dalle sacerdotesse e dalle profetesse di di Apollo,a Delfi le
storiche Pythiai,in tutto il mediterraneo le mitiche Sibyllai,per comunicare la volontà
divina. La problematica di Socrate rimane in ogni caso aperta anche ad una lettura
approfondita che presenta come sostanzialmente irrisolta la imprecisa polarità
mythos -logos nella quale Platone si fa volutamente imbrigliare. E con Platone la
cultura occidentale. Ricordiamo ancora un enunciato di Platone,l’emblematico modo
con il quale Socrate nel Gorgia introduce il suo racconto sull’oltretomba,il destino
dell anima dopo la morte : ascolta dunque un racconto,logos, molto bello che tu
riterrai un mito,mythos ed io un logos ( Gorgia 523 ).
Come dire che la verità sta nella comprensione.
Per individuare il bivio dinanzi il quale si confronta la problematica contemporanea
sul mito è di grande interesse considerare a confronto due proposte di riflessione
uscite su due importanti riviste europee,a distanza abbastanza ravvicinata : si tratta
di un numero della rivista di filosofia fondata da Enzo Paci AUT-AUT e di un
numero de l’Homme, rivista francese di antropologia,organo della EHSS,l’Ecole des
Hautes Etudes en Sciences Sociales.
Ecco la titolatura : “Il mito in questione”,per il numero monografico di Aut Aut,2434 1991 (maggio-giugno);“Le Mythe et ses métamorphoses”per il numero
monografico de L’Homme,aprile settembre 1988 .
Si misurano due prospettive che contrappongono due scelte di pensiero .
Da una parte il mito,discorso,racconto divenuto mitologia,corpus di narrazioni
intese come invenzione essenzialmente tutta greca,è riproposto ancora come oggetto
di una inesauribile ermeneusi che pensa soluzioni universali partendo sempre
dall’interno dei quadri culturali occidentali .
Dall’altra parte il mito recuperato nella sua interezza etimologica ,come narrazione,
espressione del “pensiero selvaggio” nella sua dimensione allargata di parola di
senso è restituito,riconosciuta ai popoli totalmente altri con un’operazione che lo
riqualifica come progetto semiologico, icona ,linguaggio dell’esprit.
Mito inteso come capacità discorsiva propria della specie umana,in grado di
produrre un discorso atemporale aoristo, attraverso il quale descrivere le
contraddizioni e le esigenze della organizzazione dello spazio -tempo secondo
schemi liberamente organizzati dalle singole culture ed al di fuori di ogni
opposizione tra razionale e non razionale.
Levi Strauss recupera qui -ed il debito è esplicito-dal “Mythische Denken”di Ernst
Cassirer,volume secondo della celebre “Philosophie der symbolischen Formen”,del
1923 :”Sono le stesse forme generalissime dell’intuizione e del pensiero che
21
costituiscono l’unità della coscienza mitica quanto quella della coscienza
conoscitiva (Cassirer 1964:89).
La distanza tra le due prospettive nei due numeri monografici è tuttavia
significativa.
Dietro la proposta di riflessione del numero di Aut-Aut tutta l’esperienza epistemica
della filosofia occidentale è riorganizzata intorno la riflessione sul mito,sempre
inteso come mito greco inaugurata dalla Mythos -Debatte tedesca con la sua
proposta di una Nuova Mitologia .
La riflessione verte su un patrimonio di enunciati che ripropone sempre la mitologia
greca,ma liberata da “certe” interpretazioni, quelle che l’avevano resa convertibile
nella mitologia regressiva ad uso e consumo di un pensiero definito di destra nelle
sue forme emergenti estreme, nazista e fascista.
La denuncia in questo senso oltre che di Thomas Mann è di Cassirer stesso.
A Cassirer dobbiamo infatti oltre al suo celebre “Pensiero mitico” anche l’ analisi
dei miti politici moderni,mito dello stato,nazismo,razzismo(Judaism and Modern
Political Myths in Simbol,Myth and Culture,Essays 1935-1945 tr.it. Bari 1981).
Cassirer si accorge come Mann,della ambivalenza dell’ ermenuetica sul
mito,un’ambivalenza nella quale risulta coinvolto anche il gruppo di intellettuali
del Collège de Sociolologie nel quale spiccano i nomi di George Bataille e Roger
Caillois ,operativo proprio alla fine degli anni trenta con finalità difficili da chiarire (
Hollier 1979).
Nello specifico anzi si tratta di un capitolo complesso tutto da riaffrontare.
Per la “Nuova Mitologia” è necessario comunque liberare anzitutto la mitologia
greca -soprattutto quella rivisitata dalla cultura tedesca- da un certo tipo di
interpretazione,di ermeneusi .
Quella utilizzata da Klages nel suo Eros cosmogonico ,o quella di Rosenberg ,Il mito
del XX secolo ,ma anche in genere tutta quella corrente di pensiero che proponeva in
senso lato il riutilizzo dei miti,i racconti tradizionali, come fonti per il ritorno all’
originario della natura e della razza .Un terreno dove la mitologia comparata
indoeuropea,soprattutto germanica,si invischia nel pericoloso intrico delle eredità
ancestrali.
Si poneva infatti in questi anni ed attraverso un certo tipo di ermeneutica l’ ambiguo
problema della “eredità”,sul quale si interrogava nell’Erbschahft dieser Zeit nel
1935 Ernst Bloch in un momento particolarmente torbido per la storia del pensiero
europeo.
La Nuova Mitologia in particolare vuole recuperare attraverso il mito greco così
presente nel suo complesso nella cultura occidentale il filo di pensiero che da
Schelling attraversa Nietzsche arriva ad Otto proponendo il mito come
significante,come la “la parola “ nel senso di annuncio dell’assoluto, “verità “della
fondazione . Ciò che in E. Bloch diventa segno dell’ “unvordenkliches”,
l’immemoriale o meglio di “cio che non è ancora neppure pensabile” ( Carchia
1992).
22
Per Ernst Bloch quel tipo di mito era già divenuto rivelatore della promessa,
dell’utopia,non apparteneva al passato,né all’aoristo,ma era una parola per il futuro.
Icona di questa nuova ermeneusi la morfologia di una figura divina,il più
frequentato degli dei della Grecia tra ‘800 e ‘900,Dionysos,il Dionysos della
tragedia greca.
Non proprio il dio greco come è possibile ricostruire in prospettiva storico-religiosa
e antropologica ,legato specificamente al tragico,al teatro come invenzione rituale
funzionalizzata ai problemi della polis Atene in un momento assiale della sua
storia,ma il Dionysos maschera,prosopon nel senso di evidenziatore di quella
Kulturkritik che percorre il pensiero tedesco dal XIX secolo al XX.
Anche in questo caso la Kulturkritik, prova liberare il mito dalla sua ermeneutica
pericolosa.Si tratta di un’operazione per molti aspetti ricca di ambiguità forse
insuperabili ed insite nel percorso scelto.U n richiamo d’attenzione in questo senso
sta nel saggio di Cuniberto nel citato numero di Aut Aut che si interroga sulla
problematicità ideologica (e politica)della Mythos Debatte ,tra mitologia della
ragione e /o supplemento d’anima ( gli enunciati rientrano nel il titolo del saggio).
La Debatte qui è vista soprattutto nella prospettiva aperta da Habermas intesa a
mediare ragione e mito Aufklärung e Romanticismo nell’avvio di un postmoderno
significante (Cuniberto 1992).E dove ancora si continua a riproporre l’intenzionale
non soluzione del dilemma enunciata da Platone.
Ma a questo punto possiamo dire che la riflessione filosofica sembra voler ignorare
ancora oggi le proposte o meglio le scoperte dell’antropologia e della storia delle
religioni. Ed il discorso su Dionysos ed il teatro rimane sostanzialmente aperto.
In un articolo pubblicato sulla rivista di antropologia britannica,Man ,nel 1969,P
(Theories of Myth) Percy S. Cohen passava in rassegna in ordine cronologico le
teorie moderne del mito riassumendole in questo elenco:
1) mito come forma di spiegazione di eventi ( prima antropologia
Tylor e Frazer
2) mito come espressione di una particolare e autonoma facoltà di pensiero,la
mitopoietica di Ernst Cassirer anticipata dalla teoria del mito malattia del
linguaggio del sanscritista e comparatista Max Mueller
3) mito come manifestazione dell’inconscio ,teoria psicanalitica di Freud e in
particolare Jung
4) mito come racconto fondatore della solidarietà sociale ,Durkheim ed i suoi miti
totemici
5) mito come charter,dichiarazione legittimante senza valore descrittivo né
eziologico (Malinowski)
6)la teoria rituale del mito ( la myth and ritual school da Roberson Smith alla
scuola di Cambridge )
7) mito come linguaggio strutturante (Levi Strauss)
Alla lista dobbiamo aggiungere altre definizioni .
8) mito come forma narrativa,l’approccio semeiotico ( Greimas,Courtes,
23
Calame e in modo più sfumato,più antropologico Vernant ,Detienne)
In ogni caso è importante richiamare l’attenzione sul fatto che ancora “Sieben
Mythosbegriffe”,sette modelli interpretativi di Mythos sono riproposti alla voce
Mythos nella IV Band dello Handbuch Religionswissenschaftlicher Grundbegriffe
uscito nel 1998.E la voce “mito” rimane ad attirare attenzione comparendo
puntualmente nelle grandi rassegne enciclopediche di fine secolo e millennio.E in
questa prospettiva potrebbero essere lette con profitto anche in comparazione ,le
presentazioni del mito come voce a séche dobbiamo a Ginzburg(1996) e Spineto
(1997).
Ovviamente non è possibile analizzare qui nei particolari le diverse posizioni
proposte ma apare certo che la svolta nell’interpretazione novecentesca del mito è
dovuta alla esasperazione per così dire della interpretazione in chiave
“linguistica”,esasperazione che che riconduce il mito alla tautologia della sua
posizione originaria,allo statuto etimologicdi mythos, racconto, modello
comunicativo,e non “banalmente” descrittivo, di situazioni, problematiche
conflittuali importanti e portanti per il gruppo dove la costrizione logica interna ai
modelli della comunicazione organizza culturalmente ,e quindi in modo
diversificato,i messaggi.
L’individuazione del mito come linguaggio tassonomico del reale,modalità del
linguaggio universale nelle inquantificate varianti a disposizione delle singole
culture rimane l’ineludibile contributo al pensiero del ‘900.
In questo senso l’analisi strutturale delle mitologie dei popoli senza scrittura ,il
recupero dei contributi di senso del “pensiero selvaggio” a di la del suo
riconoscimento a dignità di pensiero a pieno diritto è effettivamente la grande svolta
del ‘900.
Dopo l’interpretazione psichiatrica di Paul Ehrenreich che nella sua “Die Allgemeine
Mythologie und ihre ethnologischen Grundlagen“(1910)sosteneva che la mitologia
,il patrimonio dei racconti tradizionali, dei popoli altri ( in particolare l’esperienza
veniva dal Brasile) doveva essere studiato come un fenomeno di psicologia sociale,il
“pensiero mitico” grazie Levi Strauss rivendica l’autonomia del proprio linguaggio
come espressione del bisogno di “mostrare” intorno a sé un mondo (ri)conoscibile.
I miti,e nella loro parallela autonomia i riti ,e tutto l’apparato segnico simbolico che
ingloba l’espressione “religiosa” di una cultura,si presenta nella prospettiva
strutturalista come un complesso racconto di tassonomia dell’esistente.
Progetto necessario per stabilire la possibilità di essere nel mondo, un essere nel
senso ampio dell’esserci demartiniano.
Iniziando la dimostrazione pratica del suo metodo di analisi del linguaggio mitico
con la lettura del celeberrimo mito di Edipo ,Levi Strauss propone il progetto
ambizioso di arrivare attraverso il suo sistema di intepretazione rigorosamente
“scientifico” ad enucleare al di sotto dei contenuti variabili e varianti l’enunciazione
di irrisolti problemi validi per l’umanità tutta.La scientificità sta nella logica della
formula interpretativa che abbiamo sopra evidenziato.
24
Ma può essere importante sottolineare come al di là,della verifica della “logica “
intrinseca del mito come pensiero-racconto, ciò che appariva importante a Levi
Strauss era trovare il modo di dimostrare la sostanziale reazione unitaria della specie
umana rispetto i bisogni di fondo.
Al di là di tutte le polemiche la “intepretazione” post o extrafreudiana del mito di
Edipo che Levi Strauss pubblicò in Myth .A Symposium ed.Sebeok,Bloomington
Indiana 1955 rimane un pezzo emblematico del pensiero del ‘900.
La scelta di Edipo per esplicita ammissione è dovuta alla notorietà dell’intrigo,del
plot,ben noto al pubblico colto per quelle mediazioni importanti e portanti che vanno
almeno da Sofocle a oltre Freud (Paduano 1994).
Anche se la notorietà del tema gli permette di omettere la citazione delle fonti Levi
Strauss presenta la story ,il mito dell’incestuoso parricida inserito nel contesto
allargato che consente di utilizzare tutta una serie di informazioni che non
riguardano solo il protagonista ma lo sfondo culturale umano nel quale la vicenda
prende avvio. L’interesse riguarda tutta la catena narrativa del mito sino al massimo
numero raggiungibile delle sue varianti .Impossibile accontentarsi di leggere solo un
frammento, anche se il frammento può essere un canto di Omero o una tragedia di
Sofocle.E’ già questa una presa di posizione importante ,esplicitamente antiletteraria
L’Edipo di Levi Strauss è per eccellenza un Edipo selvaggio.
Il materiale mitico allargato diventa un ipertesto nel quale tutte le varianti sono
ugualmente importanti.Suddiviso in sottounita ,mitemi,che si stabiliscono per
confronto dialettico e si dispongono su colonne confrontabili in senso diacronico
(svolgimento della story ) e sincronico( richiamo di circostanze confrontabili ) il
pacchetto di racconti, estrapolati dai contesti dei capolavori riconosciuti dalla critica,
produce all’ermeneuta disincantato il suo “senso”.
Le vicende di Edipo nascono dall’irrisolto problema che tormenta la cultura greca
-come la cultura Zuni,un problema squisitamente antropologico,nel senso
dell’anthropos,animale umano: scontro tra la sicurezza dell’autoctonia,il nascere da
uno ,dalla terra,rispetto l’insicurezza che deriva dal nascere da due,per l’inevitabile
legge della riproduzione sessuata. E’il problema del due,della eterosessualità
riproduttiva dunque il primo nodo.
La storicizzazione di questo problema riappare per noi ancora nella inevitabile
prospettiva greca.La leggiamo in un brillante saggio chiaramente
postlevistraussiano di Nicole Loraux,Les enfants d’Athena (1981) che propone in
una raffinata analisi di cogliere nel mito attico di Erichthonios il figlio della vergine
Athena nato dal seme del padre,il dio artigiano Hephaistos, per mediazione di Ge
-Terra,il segno dell’inquietudine della vincente democrazia ateniese di V secolo
dinanzi alla necessità politica di definire la propria identità di gruppo.
Una identità che si vuole rifondare esclusiva per quei cittadini maschi figli del
padre ma costretti a nascere anche da madre. La madre negli enunciati del mito
viene ridotta a mero terreno di coltura come insegnano le note metafore cerealicole.
Sono metafore scelte per organizzare e raccontare la eterosessualità cittadina che
dicono la madre terreno di per sé sterile lasciato al lavoro agricolo di semina
25
dell’agricoltore padre e proprietario del terreno-corpo e trasformano la terra,Ge,in
nutrice di figli per il padre,in patria.Per un breve richiamo sul gioco delle metafore
nella costruzione della religione greca vedi Chirassi Colombo (1994,2).
La rilettura strutturale levistraussiana del mito di Edipo sembra aver sollecitato
attenzione a quello che si pone come topos per eccellenza della problematica
culturale e politica della polis greca in un momento molto importante,centrale della
sua storia,il V secolo ateniese.
Il problema ateniese diventa così problema universale.
Ogni riflessione su questa combinatoria tra “pensiero selvaggio” in senso lato e
pensiero (selvaggio) greco apre problemi di fondo sempre riemergenti sulla
irriducibilità coercitiva dell’orientamento culturale dell’io indagante e la
problematica della comprensione interculturale dei bisogni antropologici.
L’esplorazione novecentesca del linguaggio mitico passa comunque
essenzialmente attraverso la grande esplorazione strutturalista.
La funzionalità del mito è spiegata come attività di una precisa macchina
combinatoria che utilizzando gli stessi operatori binari che permettendo l’attività del
linguaggio traducono in testi narrativi i bisogni ,gli orientamenti le scelte che i
gruppi umani necessariamente si danno utilizzando tutto ciò che fa parte della loro
esperienza storica.
La chiave logica della produzione mitica cioè narrativa,a partire dall’esperienza
dell’ambiente è individuata da Levi Strauss in una formula logica che propone la
produzione del mito in sé come linguaggio speciale e funzionale comune all’umanità
parlante nella pluralità delle lingue e delle culture.
Al di là di quello che appare il falso problema della polarità razionale /
irrazionale,prodotto tipico della cultura occidentale nel suo lungo cammino dai Greci
a quasi la fine del II millennio.
Abbiamo già proposto questa formula con la quale Levi Strauss vuole risolvere il
problema come il punto “estremo”del progetto di riconversione del mito in logos
perseguito dal pensiero antropologico del ‘900.
Tuttavia dietro alla ricerca della conferma logico matematica è doveroso segnalare
il dichiarato intento umanistico- inevitabilmente autoreferenziale- che leggiamo nel
finale dell’ Uomo Nudo (1971).
L’analisi dei miti- dei miti altri di culture tanto lontane dalla nostra come quelle dei
Bororo- non serve come fuga esotica ma per “cogliere certe modalità operative
dello spirito così stabili nel corso dei secoli e così generalmente diffuse da potersi
considerare basilari; si può quindi cercare di ritrovarle in altri campi della vita
mentale nei quali non si sospettava neppure che intervenissero e la cui natura si
troverà di volta in volta chiarita”.
Tra queste forme di pensiero analogiche con la procedura del mito troviamo la
musica e la matematica ! A completare la dimostrazione della sostanziale unità della
specie umana nello “spirito “inteso essenzialmente come attività cognitiva.
Levi Strauss rende così umanistico omaggio alle tesi della semeiotica che vogliono
sciogliere definitivamente il mito nella sua forma,nella comunicazione narrativa.
26
E’ la struttura narrativa infatti che organizza il senso articolando gli input culturali
attraverso meccanismi logici. E’essenzialmente la teoria di Algirdas J.Greimas e
della sua scuola.
Un intervento di Greimas sulla semiologia del mito è già formalizzato nel 1963 in un
articolo per l’Homme “ La description de la signification et la mythologie
comparée” e successivamente in “Elements pour une thèorie de l’interpretation du
récit mythique “ pubblicato su Communications ,8,1966.Entrambi articoli
confluiscono nel noto volume “Du Sens” che esce nel 1973.
La presentazione della teoria semiologica con qualche saggio di applicazione si
trova già negli Atti del convegno di Urbino su il Mito greco che aprì in Italia nel
1973 il grande dibattito a più voci sul mito in generale e su quello greco in
particolare non nel senso del ricupero -rilancio della Debatte ma sul piano
pragmatico delle chiavi interpretative (Gentili-Paione 1977).
Importante tra i contributi ,sul piano specificamente teorico,il saggio di Joseph
Courtès “ Sémiotique et théorie actantielle du récit”.
A Courtès si deve il suggerimento teorico e pratico, di come si “deve”operare dinanzi
ad un testo narrativo quale è prima di tutto un mythos .Si tratta di un’ analisi
preliminare in grado di render conto del senso del messaggio e preparare così il testo
al suo inserimento nella storia,cioè alla comprensione che lo renderà pienamente
fruibile solo in rapporto alla situazione storica nella quale e per la quale quel
racconto è stato raccontato.
Il lungo,complesso lavoro sui miti “selvaggi” come sui miti “greci” testimonia in
modo per molti aspetti esemplare la fruibilità e novità culturale di un corretto
approccio semiologico per un’analisi del mito inteso nella sua qualità essenziale di
testo,cioè di un discorso speciale ben inserito,fondante,non antistorico ma anzi in
vario modo produttore di storia,funzionale sempre alla cultura che lo produce
Superata,problematicamente e faticosamente”,l’antitesi illuministico romantica del
razionale vs irrazionale , la critica attuale,a partire da Nietzsche,come dice il titolo di
un interessante ultimo approccio al problema filosofico del mito ( Gentile
1999),vuole riconquistare la storia al mito.
Il mito scivola e si confonde con la storia anzi diviene storia nella impossibilità di
distinguere tra “tempo degli dei” e “tempo degli uomini”-come dice il titolo di un
capitolo di “Le chasseur noir” di Vidal Naquet (1983)- e annulla attraverso la
catena delle genealogie il vuoto tra i due momenti non più antiteci rimpiendolo con
l’ archivio delle avventure delle avventure dei protagonisti rigorosamente riportate
secondo i tempi delle loro cronologie.
Il fiorire di studi recenti sui modelli funzionali delle genealogie nella individuazione
di una prospettiva mitostorica per le culture del mondo antico promette in chiave
comparata risultati interessanti.
Da vedere almeno alcuni dei saggi della raccolta di “Transcrire les mythologies”
(Detienne ed.1994)e in particolare interessanti le riflessioni sulla costruzione del
testo e della storia biblica di F.Smyth e T.Roemer.
27
La problematica della sostituzione del mito con la storia ha il suo nodo classico
nella complessa questione della “demitizzazione” nel senso specifico attribuito alla
scelta della cultura romana. I Romani ,i fondatori della urbs,civitas romana
avrebbero scelto -al contrario dei Greci- una qualificazione della loro identità
attraverso il rigore del culto e la stretta enunciazione degli eventi della storia.
La questione dell’ “assenza di miti” in Roma è parte della sua fondazione storica
Roma non ha racconti riguardo gli dei e le origini del cosmo perché sono stati vietati
dal fondatore. Romolo avrebbe tassativamente proibito,come dice il noto passo dello
storico greco Dionigi dli i Alicarnasso ( II,16,3 ) .Il problema del mito a Roma ha
occupato storici delle religioni,linguisti ed antichisti in genere,almeno dagli inizi del
secolo,ma ha cominciato ad essere posta in prospettiva realmente critica solo a
partire dal saggio dell’allievo di W.FOtto,Karl Koch . Koch pubblica nel 1937 un
saggio su Juppiter Optimus Maximus visto come la trasformazione di vari Juppiter
laziali ai fini di costruire una “religione “per la città stato nuova, Roma.
La “demitizzazione”di Koch passando attraverso le grandi ricerche di mitologia
comparata indoeuropea di G.Dumezil è stata filtrata soprattutto dalla attenta critica
della scuola di storia delle religioni romana,con Brelich ( 1960;1975),Sabbatucci
(1975;1988),Montanari(1988,1990) che hanno richiamato ormai definitivamente
l’attenzione sulla operatività in Roma non tanto di una demitizzazione ma di
piuttosto di una storificazione mirata.
Si tratta di un processo che non si oppone,non contrasta l’enunciazione mitica ma si
colloca al suo posto proponendo di accettare la fondazione della civitas,della res
publica,come “evento cosmico” primario e quindi “primordiale” al posto di ogni
mito teogonico o antropogonico e di considerare la scrittura annalistica ,cioè
l’enunciazione degli eventi che riguardano le vicende della nuova fondazione nel
suo stabilirsi sul territorio come oggetto definitivo e primario di memoria .
Sulle sottili problematiche di questo importantissimo filone di riflessione,sugli
intricati passaggi della trascrizione romana del mito in storia da consultare l’efficace
sintesi che Vernole premette ad un suo saggio sul “mito” repubblicano che racconta
le avventure di uno storico eroe fondatore,Furio Camillo,il vincitore della
emblematica antagonista di Roma,l’etruscaVeio(Vernole 1997).
In Italia e fuori non sembra comunque si sia compresa a fondo la portata di questo
fine approccio alla “demitizzazione” come storificazione verificato attraverso uno
studio analitico della complessa documentazione romana,non solo letteraria.
Si tratta di un modello di analisi che se sviluppato in chiave comparata,in particolare
per quanto riguarda le scelte programmatiche operate da diverse culture operative nel
mediterraneo dei secoli dall’VIII al V a.C( tra queste Israele) porterebbe interessanti
guadagni per discorsi allargati sulla genesi del “razionale”,del logos e della
“storia” che risultano essere non tanto traguardi definitivi quanto scelte culturali e
strumentali , precise,opzioni forti ma anche problematicamente elitarie.
Come risulta il cristianesimo “demitizzato” proposto dalla finissima analisi
R.Bultmann(1941).
28
La riflessione di fine millennio riapre sulla ri-accettazione del “mito” ma non come
rivelazione di valori assoluti,bensì come comunicazione primaria,linguistica in
senso stretto,del “bricolage “ di bisogni emergenti .Mito accettato come “parola
della crisi”,messa in memoria del passato per garantire il presente dei progetti e
delle necessarie utopie.
Ileana Chirassi Colombo
*
Questo testo include in parte il contenuto di una conferenza e dibattito sulla
parola Mito,tenuto a Bologna nel maggio 1998 nell’ambito del progetto Addio
Novecento del Museo Moranti di Bologna
29
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miscellaneo “Le métier du mythe”a cura di F. Blaise,J.de la Combe Ph.Rousiau
(1996) e ad un articolo di Ch. Morgan (1993).Ma si possono aggiungere altri titoli.
2
Per lo specifico italiano una rassegna sul mito nel novecento è proposta da
Grottanelli al XXXVI convegno di studi sulla Magna Grecia ( 1996-1998).
3
La definizione è presa dal saggio di Th. Ziolkowski “Der Hunger nach dem
Mythos” in “Die sogennanten Zwanziger Jahre”, R.Grimm -J.Hermann ed (1970)
citato da Horstmann (1979:222-3).
4
Verità del mito” è infatti il titolo con il quale la stessa prefazione compare anche nel
volume XXI (1947-48) della Rivista Studi e Materiali di Storia delle
Religioni,fondata dallo stesso Pettazzoni.
5
la fonte citata è l’autorevole J.Mooney uno dei padri fondatori dell’etnoantropologia
nordamericana con i suoi “Myths of the Cherokee” ,Washington 1900).
6
Sul tema fede invita riflettere Dario Sabbatucci nei primi capitoli di “La prospettiva
storico-religiosa “ (Mhilano 1987).L’osservazione sul mutamento di senso nel
passaggio dal registro romano a quello cristiano è gia del grande linguista
Benveniste
7
.(Per una proposta di rilettura globale del complesso mitico-rituale di Demeter e
Kore vedi Chirassi Colombo 1992
8
per il tema rimandiamo in particolare alla prima parte del saggio di Marcello
Massenzio“ Sacro e identità etnica “(1994).
9
Sul tema ricordiamo l’attenzione antropologica nel senso pieno di Michel de Certau
(1987).Da vedere in ogni caso “Le cru et le su “di J.Pouillon (1993).
1
così nell’appunto del 24 IX,1959 del carteggio Pettazzoni -Eliade curato da Natale
Spineto che ci offre una serie di preziose informazioni (1997).
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