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Lampada sapeva delle inchieste
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Secondo i magistrati lombardi era a conoscenza dell’operazione “Meta” Lampada sapeva delle inchieste L’imprenditore di origini reggine durante l’interrogatorio della Dda di Milano AVEVA l’incubo di finire in prigione Giulio Lampada perché, secondo i magistrati della Dda di Milano sapeva delle inchieste e in particolare era a conoscenza dell’operazione “Meta”. L’imprenditore lombardo, di origini reggine pagava dalle 40 alle 60mila euro al mese a quattro esponenti delle Fiamme Gialle milanesi per evitare i controlli nei locali dove piazzava centinaia di slot-machine taroccate, e per questo temeva che primo o poi lo avrebbero pizzicato. I primi sospetti iniziò ad averli quando furono gli stessi finanziari corrotti a dirgli di «stare molto attento», quando andava a consegnare il denaro. LA TRAGEDIA IN SVIZZERA a pagina 8 Ecco perché il processo Herakles è da rifare Emigrazione sanitaria dalla Calabria al Nord 236 milioni Delitto di Oppido La carcassa del pullman su cui viaggiavano i ragazzini Una struttura per garantire la libertà del boss I dati del 2010 ANTONIO ANASTASI a pagina 7 GIUSEPPE BALDESSARRO e MICHELE INSERRA a pagina 9 Operazione “Lancio” Pentiti e veleni Strage di bimbi al rientro dalla vacanza pullman si schianta in galleria: 22 morti Le vittime, tutte belghe, avevano dodici anni. Tre ragazzini in coma Timori di vendetta verso il cugino di Ferraro MICHELE ALBANESE a pagina 7 alle pagine 4 e 5 CONTINUA l’emigrazione sanitaria dalla Calabria verso il Nord. Nel 2010 la regione ha contribuito per 236 milioni di euro a finanziare la sanità di Lombardia, Emilia Romagna e Lazio. Sono i dati sulla mobilità interregionale certificati dalla Conferenza delle Regioni. a pagina 15 Interventi di GIUSEPPE AVIGNONE FRANCO CRISPINI ANTONINO DE MASI FERNANDA GIGLIOTTI e ETTORE JORIO alle pagine 19 e 20 La popolare trasmissione si occuperà del giallo della scomparsa del giovane elettrauto di Gioia Tauro Sombrero Sottosopra STEFANO Lo Verso, pentito di mafia, ha deciso di rinunciare al programma di protezione e tornare a casa sua, a Palermo. Ha dichiarato: “Chi è mafioso dovrebbe andare via, essere emarginato dalla società civile, non chi collabora con la giustizia”. Eppure il suo è un comportamento eroico. Ma non è il solo caso. Quando la Lega fa la sua sfilata a Venezia in onore del dio Po con slogan secessionisti e offese ai simboli costituzionali, la polizia chiede ai cittadini di non esporre la bandiera italiana alle loro finestre per “non provocare”. Decisamente è un mondo alla rovescia. Riflettori su Pioli nel programma “I fatti vostri” IL GIALLO della scomparsa dell’elettrauto di Gioia Tauro, Fabrizio Pioli, sarà affrontato oggi dalla trasmissione “I fatti vostri”. DOMENICO GALATÀ a pagina 37 20315 9 771128 022007 E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro ANNO 18 - N. 74 - € 1,20 Pentiti e veleni Da rivalutare anche la parte dell’inchiesta relativa alla vicenda Europaradiso Perché Herakles è da rifare La Cassazione: «La Corte d’Assise d’appello non poteva ignorare le rivelazioni di Vrenna» di ANTONIO ANASTASI CROTONE – “Bacchettate” dalla Cassazione alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro e spiragli per la riapertura dell’istruttoria dibattimentale sulla vicenda Europaradiso, il megavillaggio turistico che secondo l’accusa faceva gola alla ‘ndrangheta. Perché «non si può convenire sull’assunto che, essendo stato in primo grado celebrato il giudizio con rito abbreviato, vi sia un diritto dell’imputato all’esclusione di nuove prove a suo carico». Ecco perché le posizioni di 90 imputati dovranno essere rivalutate anche alla luce delle rivelazioni del pentito Pino Vrenna. Si conoscono le motivazioni con le quali la Corte di Cassazione, nel febbraio scorso, annullò con rinvio la sentenza Herakles. Il grosso degli imputati, presunti affiliati alle cosche del Crotonese e colletti bianchi accusati di collusione con i clan, scelse il rito abbreviato, e in Appello, nell’aprile 2010, si registrarono maxi sconti di pena e scarcerazioni a raffica con conseguenti polemiche sui “patteggiamenti occulti”. La Cassazione, come si ricorderà, ha annullato quella sentenza con rinvio, accogliendo in toto l’appello del procuratore generale e respingendo l’ordinanza di rigetto di acquisizione di prova sopravvenuta. Ovvero il pentimento dell’ex boss di Crotone, capo della principale cosca oggetto del processo, avvenuto sul finire del 2010. La discrasia è con il troncone del processo che segue la via ordinaria. Il sostituto procuratore generale di Catanzaro Enrico Facciolla la pensa diversamente dal suo collega Piercamillo Davigo che rappresentava, lo scorso 3 febbraio, la pubblica accusa davanti alla Corte di Cassazione, sulla rilevanza delle dichiarazioni del pentito Pino Vrenna nel processo Herakles, anche se i due magistrati sono stati impegnati in diversi tronconi del procedimento. Il pg ha rinunciato ai motivi d’appello proposti dalla Dda di Catanzaro che impugnava la sentenza con cui, nel giugno scorso, il Tribunale penale di Crotone condannava 20 imputati, tra cui l’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale Giuseppe Mercurio, ritenuto colpevole di voto di scambio con l’aggravante di aver agito con modalità mafiose ma assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e tentata estorsione. Il pg ritiene che sia il dibattimento davanti al Tribunale la sede naturale in cui dovevano trovare spazio l’esame di Pino Vrenna, pentito, che fu sentito limitatamente ad alcuni temi e quale imputato, e del testimone di giustizia Emilio Iuticone, uno che accusa anche il presunto imprenditore di riferimento del clan Russelli, Antonio Campisi (assolto in primo grado), per cui rinunciò alla richiesta di riapertura dell’istruttoria avanzata dalla Dda, chiedendo, in buona sostanza, la conferma della sentenza. Ma i magistrati che valutano il filone del rito abbre- Il progetto per la realizzazione del magaparco Europaradiso alla foce del fiume Neto e, a sinistra, il collaboratore di giustizia Pino Vrenna viato seguono un’altra scuola di pensiero. «Qualora la richiesta di rinnovazione del dibattimento del giudizio in appello sia volta ad assumere nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, l’ammissione è subordinata solo al giudizio di superfluità e irrilevanza manifesta e cioè di prove del tutto incongrue». Secondo la Cassazione, i giudici d’Appello possono essere incappati in una CROTONE – I pentiti? «Bugiardi mancata assunzione di proche s’inventano di tutto». E’ il leit ve sopravvenute, in violaziomotiv delle dichiarazioni spontane del codice di procedura nee rese ieri pomeriggio, nel corso penale. Il pentito, infatti, del processo Tramontana, davanti elemento di spicco della coal Tribunale penale di Crotone, dal sca Vrenna Bonaventura boss di Cutro Nicolino Grande AraCorigliano, che «può rifericri, che, producendo una fitta docure anche su assetti e organimentazione (ma altre carte si è rigramma del sodalizio di apservato di presentarle alla prossipartenenza e delle cosche ma udienza), ha smentito alcuni operati in zone limitro», ha passaggi degli interrogatori dei fatto rivelazioni collaboratori di giusulla realizzazio- L:134240m A:291074m stizia che, a suo dire, LA SENTENZA ne del progetto lo accusano ingiuEuroparadiso, stamente. Perché le sulla tentata rapicose che riferiscono, « L’azione penale na a un furgone sempre a suo dire, o portavalori avvele hanno apprese dai non è discrezionale» nuta nel maggio giornali o dai fasci2000 al Papani- «NON SI PUÒ convenire sull’assunto coli processuali o le ciaro, su varie che, essendo in primo grado celebrato hanno “copiate” dal estorsioni. Per il giudizio con rito abbreviato, vi sia un libro di Nicola Gratquesto è stata an- diritto dell’imputato all’esclusione di teri “Fratelli di sannullata l’ordinan- nuove prove a suo carico». E’ uno dei gue”. Nel mirino di za di rigetto di passaggi della motivazione della senGrande Aracri sia prova sopravve- tenza con cui la Corte di Cassazione ha l’ex boss di Crotone nuta. Con rinvio. Pino Vrenna che l’ex annullato con rinvio la sentenza della Ma la Cassazio- Corte d’Assise d’Appello nell’ambito reggente della stessa ne spiega anche del processo Herakles. Secondo la Sucosca, Luigi Bonaperché ha annul- prema Corte, infatti, «nessuna lesione ventura, l’ex affiliato lato la decisione di dei diritti della difesa è ipotizzabile dal al medesimo clan, ritenere inam- momento che, allorché l’imputato riVincenzo Marino, e missibile l’appello chiede il giudizio abbreviato, non può Angelo Cortese, che del pm riguardo non considerare da un lato anche la si autoaccusa di essela negazione possibilità, prevista dalla legge, che il re stato il braccio dedell’aggravante stro del capoclan di giudice acquisisca nuovi elementi e mafiosa e la con- dall’altro che sopravvengano nuove Cutro, che nell’ambicessione di atte- prove». Le valutazioni della Corte d’Apto del processo Scacnuanti generi- pello, secondo la Cassazione, implicaco Matto è stato conche. Con riferi- no «una discrezionalità dell’azione pedannato in via definimento ad alcune nale smentita dall’articolo 112 della Cotiva per associazione posizioni si parla stituzione con impossibilità del giudice mafiosa e altro a 17 di «motivazione di intervenire in presenza di carenze anni di reclusione. assente» poiché probatorie da parte del pm, che è estraMa andiamo con l’attenuante è sta- nea all’ordinamento vigente». (a. a.) ordine. Perché Vrenta concessa essenna sarebbe un budo stato il reato giardo? Perché «a caunificato in continuazione sa mia non ci sono corridoi – ha det(è il caso, per esempio, to Grande Aracri – e potete chiederdell’imputato Gaetano Barilo agli ispettori di polizia qui prelari). Inoltre, anche se i motisenti che ci sono venuti tante volte». vi sono stati formulati nei Il riferimento è agli incontri prepaconfronti di molti imputati ratori per un assalto a un caveau da cumulativamente, «ciò non cui sarebbe partito un furgone porimplica di per se la genericitavalori blindato, incontri che satà dei motivi di appello dal rebbero avvenuti a casa di Grande momento che sono indicate Aracri, dove Vrenna dice di essersi sia le ragioni di doglianza recato mentre il cutrese si trovava che i riferimenti alle risulagli arresti domiciliari. tanze processuali a sosteBonaventura, invece, sempre segno delle stesse». | IL CASO | Il boss in aula: «I collaboratori copiano dal libro di Gratteri» Nicolino Grande Aracri condo Grande Aracri, nel corso di un interrogatorio del luglio 2007, «consulta un suo manoscritto ma sono appunti estrapolati dal fascicolo Scacco Matto». Grande Aracri ha citato anche i numeri di pagina dell’ordinanza. Le ramificazioni in Emilia e in Germania? «Illazioni investigative trascritte nel fascicolo Scacco Matto». I collegamenti con lo zio di Luigi Bonaventura, Gianni? «Impossibili. Ero in isolamento, ristretto al 41bis nel carcere di Novara, escluso da tutto e da tutti». Secondo GrandeAracri, Bonaventura si sarebbe inventato anche la tipologia di arma usata per l’omicidio di Salvatore Arabia, commesso a Cutro nell’agosto 2003. «Dice che era una pistola a tamburo ma dagli atti dell’ordinanza di custodia cautelarerisultachea spararefuunapistola semiautomatica calibro 9x19». L’alleanza con Pasquale Nicoscia, capo dell’omonima cosca di Isola Capo Rizzuto? Grande Aracri ha annunciato che produrrà certificati di detenzione che attestano che tali rapporti erano impossibili. Così come una «falsità», secondo il Grande Aracri pensiero, sarebbero le dichiarazioni di Marino che nel maggio 2008 ha parlato dell’alleanza con Leo Russelli, boss scissionista del quartiere Papanice di Crotone. «Dal 2001 al 2006 sono stato al 41 bis. Non avevo alcun rapporto col mondo esterno». Strali anche su Cortese, che dichiarò di aver partecipato per conto di Grande Aracri a un matrimonio di ‘ndrangheta di un membro della famiglia Pelle. «Ha letto nel fascicolo Scacco Matto di questo matrimonio, considerato che era imputato nello stesso processo. Eppure Antonio Le Rose e Salvatore De Luca non parlano di lui nelle intercettazioni. De Luca, quando Le Rose gli chiese “di Cutro chi eravate?”, rispose “io e Tonino”. Nell’ordinanza si diceva che avrebbe partecipato anche mio fratello Antonio Grande Aracri. Ma Cortese non sa neanche dove abita Antonio Pelle. Dice che abita a Bovalino ma lui sta a Benestare». La “dote” del “crimine” internazionale? «Cortese l’ha copiata dal libro di Gratteri, vi dico anche i numeri delle pagine». Insomma, «mi attribuisce un ruolo – ha detto ancora – pur di mostrarsi credibile agli occhi degli inquirenti. Ma la sua decisione di collaborare con la giustizia era premeditata». Il riferimento, stavolta, è a lettere di Cortese a Grande Aracri in cui si usano «termini strani». «Mi chiamava “zio”ma tutto questo affetto mi suonava strano. Mi chiedeva soldi perché si sentiva abbandonato dalla sua famiglia e dovette pure lavorare nella lavanderia del carcere di Parma e diceva che mi sarebbe stato grato per tutta la vita. Ma già da allora cercava di costruire collegamenti con me». Le armi? «Cortese dice che avevamo di tutto, dalle bombe a mano ai kalashnikov, armi che provenivano dalla Germania, e avremmo potuto fare persino la guerra con Bin Laden. Ma anche questo è un passaggio copiato da Gratteri, e alla fine dei conti l’unica arma che ha fatto ritrovare è una pistola a casa di suo padre che peraltro era all’oscuro di tutto». Il rifiuto del comparaggio a Raffaele Dragone, figlio del boss Antonio (uccisi entrambi, ndr?)? «C’è il certificato di matrimonio. Se veramente mi fossi rifiutato, non avrebbe voluto farlo ‘sto comparaggio». Una tesi, quella del boss di Cutro, alla quale è improbabile che gli inquirenti attribuiscano una patente di attendibilità. a. a. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Primo piano 7 Giovedì 15 marzo 2012 Giovedì 15 marzo 2012 Lotta al crimine La Dda reggina individua la struttura parallela che ha il compito di garantire la libertà ai boss Associati per una latitanza E per la prima volta viene contestata l’associazione semplice ai favoreggiatori | L’INTERVENTO | «L’onore di Tuccio non è in discussione ma deve dimettersi» di MASSIMO CANALE* Il nascondiglio Il pizzino IL nascondiglio di Domenico Condello nella zona nord della città, dove il latitante sarebbe stato ospitato per diversi giorni dai suoi fiancheggiatori. UNO pizzino lasciato dal latitante ai propri fiancheggiatori per ringraziarli dell’ospitalità ricevuta e per dire che forse sarebbe tornato in quella casa. di GIUSEPPE BALDESSARRO REGGIO CALABRIA - C’è una nuova maniera di gestire la latitanza dei capi della ‘ndrangheta reggina, che consente ai clan di “limitare” i danni in caso di arresti. I pm Giuseppe Lombardo e Rocco Cosentino della Dda la individuano nell’ambito dell’inchiesta “Lancio” che martedì ha portato all’arresto di un folto gruppo di persone accusate di avere favorito la latitanza per oltre 20 anni del boss Domenico Condello. Secondo l’impostazione dell’accusa i padrini per garantirsi la fuga devono evitare i contatti diretti con gli affiliati. Personaggi che evidentemente sono controllati dalle forze dell’ordine. Per questo nella concezione individuata dalla Procura, viene creata una vera e propria struttura, all’interno della quale c’è un solo elemento “titolato” a fare da cerniera tra il capo, l’organizzazione mafiosa e la struttura stessa chiamata a curare la latitanza. «L’indagine - scrivono i magistrati - ha permesso di individuare una granitica “cellula criminale”, costituita essenzialmente dai com- ponenti del nucleo familiare dello stesso latitante, a cui hanno aderito con diverso contributo di causa anche ulteriori soggetti legati agli stessi da vincoli riconducibili ad un più ampio paradigma». E aggiungono: «In particolare, i soggetti interessati dal presente provvedimento hanno messo a disposizione, nelle numerose occasioni d’incontro con il latitante, ogni forma di supporto logistico al fine di eludere consapevolmente le attività tecniche in atto». Le persone sottoposte ad indagine, attraverso l’adozione di un modus operandi semplice ma allo stesso tempo molto efficace, duttile e collaudato, «sono riuscite a creare uno schermo protettivo attorno a Domenico Condello che ha consentito di vanificare i numerosi servizi di ricerca predisposti al fine di individuare il luogo esatto ove lo stesso si trova». Per i magistrati: «Il contributo fornito dai diversi favoreggiatori è da ritenersi di enorme rilevanza, poiché appare evidente che l’attività connessa a favorire la latitanza del Condello ha consentito anche il sostanziale mantenimento dell’integrità operativa della radicata struttura mafiosa facente capo a quest’ultimo, che con il suo arresto sarebbe stata inevitabilmente indebolita». Un’intuizione che ha portato i pm a sostenere un capo d’accusa che assolutamente inedito per i reati come il favoreggiamento, soprattutto quando si tratta di familiari del fuggitivo. Non si parla più di procurata inosser- vanza della pena, o di favoreggiamento semplice. Ma di «associazione a delinquere semplice», ossia non mafiosa in senso stretto, ma aggravata dall’articolo sette del codice, ossia dalle modalità mafiose. D’altra parte, secondo i magistrati, non può essere contestato neppure il concorso esterno in associazione mafiosa, diventando difficile dimostrare, in concreto, i vantaggi all’associazione stessa. REGGIO CALABRIA - C’è l’associazione e c’è l’uomo di collegamento. I magistrati, nelle carte dell’inchiesta contro i favoreggiatori di Bomenico Condello, spiegano la nuova impostazione utilizzata per aggredire la cosca. Per la Procura «La struttura di gestione (della latitanza di Condello, ndr), che per la sua stabilità presenta tutti gli elementi costitutivi dell’associazione per delinquere finalizzata ad agevolare l’attività della più ampia cosca di ‘ndrangheta al cui vertice il latitante si colloca, è certamente più snella nel suo agire, oltre a funzionare al meglio mediantelasemplice individuazionediun soggetto cerniera. In questo caso Bruno Antonino Tegano (cognato di Condello) per il tramite della sorella Margherita Tegano, è l’uomo al quale è riservato il compito di interfacciare l’organizzazione mafiosa». Per i pm Lombardo e Cosentino, Bruno Tegano «è la diretta emanazione del cognato», e si può intergacciare «con la struttura logistica che gestisce di fatto reggini, ormai tutto ciò è diventato superfluo, quasi inutile. Ma quello su cui non si può tacere è la situazione familiare dell’assessore che oltre ad essere imbarazzante per lui lo è per noi reggini e per la nostra Città. Appena due settimane fa la maggioranza consiliare ha approvato un risibile documento con cui si conferisce mandato al Sindaco di tutelare in sede giudiziaria chi offenda il nome di Reggio, oggi mi domando se sia più offensivo e inopportuno un articolo di stampa, un’opinione in controtendenza, o piuttosto un assessore all’urbanistica con affinità in settori di ‘ndrangheta… Ma in questa storia sorprende ancora una volta il silenzio del Sindaco Arena: aveva taciuto all’indomani della notizia delle telefonate dell’assessore ai lavori pubblici Pasquale Morisani con ben individuati esponenti della ‘ndrangheta reggina, continua a tacere oggi allorquando si viene a sapere che un altro suo assessore ha rapporti di affinità con un boss della zona nord della Città a cui la suocera di Tuccio avrebbe dato ospitalità durante un periodo di latitanza. Ora, non pare ulteriormente accettabile la scelta del silenzio: viviamo in una Città sospesa che attende le conclusioni di un accesso antimafia, oberata dai debiti e in cui finanche il sogno e la speranza di un futuro sembrano allontanarsi giorno dopo giorno al rincorrersi delle notizie che ci parlano di lavoratori non pagati, di società fallite e di un’economia ormai definitivamente in ginocchio. Reggio e i reggini hanno diritto di avere un Sindaco autorevole e capace di affrontare le situazioni, non di un silente commissario liquidatore sotto tutela catanzarese. Abbia il coraggio Arena di fare chiarezza, di revocare le nomine agli assessori lambiti dal sospetto, di ripartire con una Giunta che non presenti ombre e che possa riconquistare la fiducia che il popolo reggino gli ha tributato appena dieci mesi addietro. *Cons. Comunale Pd Arena decida e riparta con un nuovo esecutivo L’impostazione di Lombardo e Cosentino Tegano considerato l’uomo cerniera titolato a parlare con Condello L’ARRESTO della suocera dell’assessore all’urbanistica Luigi Tuccio impone una riflessione civica prima ancora che politica. Proverò a spiegare con pacatezza le ragioni per cui a mio avviso Tuccio si debba dimettere, rifuggendo da aprioristiche ragioni di appartenenza politica, invocando il mero lume della ragione e dell’opportunità. E’ bene dirlo prima d’ogni altra cosa, in questa storia Tuccio ha fatto, più o meno, tutto da solo, tutto male, da ultimo con un comunicato in cui cerca di gettare la palla fuori campo citando suo padre, i suoi affetti, il suo onore e improbabili congiure ai danni suoi e del suo amico d’infanzia Giuseppe Scopelliti. Nessuno, fino ad ora, ha mai contestato l’onorabilità di Tuccio, men che meno della sua famiglia, della mente lucida di suo padre Giuseppe, magistrato di cui Reggio è da sempre orgogliosa, autore di un saggio in cui si domandava senza una risposta possibile se fosse la ‘ndrangheta a generare sottosviluppo o il sottosviluppo a generare la ‘ndrangheta. Nessuno ha attaccato Tuccio nella sfera affettiva, della sua intimità, del suo rapporto con i figli e la donna che ama. Il tema non è questo e Tuccio pare non capirlo. In discussione c’è invece l’opportunità che Tuccio, alla luce dei fatti, continui a ricoprire il suo ufficio di assessore, una tale scelta addenserebbe ulteriormente la “lupa” in cui oggi pare avvolta l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Arena. Vero che le suocere e le cognate non si scelgono, ma alla fine si è costretti a conoscerle da vicino, a frequentarle durante le ricorrenze, magari solo per dovere di coppia, a stabilire rapporti e legami che un uomo pubblico come Luigi Tuccio non poteva permettersi al momento della sua nomina, tantomeno ora che la realtà è venuta a galla. Non tornerò sulle infinite nomine di cui ha beneficiato la sua famiglia negli anni, non citerò le pregresse gaffes di Tuccio che hanno offeso tanti L’arresto di Bruno Tegano la latitanza del soggetto di vertice». «Appare evidente - aggiugono i magistrati - che tale impostazione contribuisce a creare un sistema di protezione potenzialmente perfetto. Da una parte, si riducono al minimo i rischi per l’associazione di tipo mafioso con la creazione di un cuscinetto in grado di assorbire i contraccolpi che derivano dalla incessante attività di ricerca del latitante da parte dell’Autorità Giudiziaria. Dall’altra, l’organizzazione di tipo mafioso continua a beneficiare del ruolo attivo del suo capo attraverso la immediata disponibilità del soggetto cerniera, che è l’unico destinato a ricevere le disposizioni di questi ed a veicolare gli ordini impartiti verso gli altri componenti della cosca di riferimento». Si legge nell’inchiesta: «Si creano, in altre parole, le premesse di un sistema di protezione in cui il rischio ricade sul solo soggetto che svolge il ruolo sin qui delineato. Con tale impostazione si superano, infine, le obiezioni incentrate sulla possibilità di individuare nella condotta del favoreggiatore i connotati tipici del contributo penalmente rilevante a fini di concorso eventuale nell’associazione mafiosa. Appare evidente, infatti, che in presenza di comportamenti penalmente rilevanti ascrivibili ai prossimi congiunti del latitante non è agevole individuare gli elementi sintomatici tipici dell’adesione psicologica del soggetto agente, che rende il suo comportamento rilevante ai fini appena esposti». E infatti: «L’obiezione principale è sempre stata, infatti, quella che vuole la condotta rivolta al latitante in qualità di prossimo congiunto, sganciata dal beneficio al suo ruolo all’interno dell’organizzazione mafiosa di cui è parte: arduo è sempre risultato dimostrare che il prossimo congiunto aiuta il latitante ad eludere le investigazioni per fornire un contributo concreto, specifico, volontario e consapevole alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione di tipo mafioso». g.bal. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 8 Primo piano L’interrogatorio di Giulio Lampada a Boccassini sui suoi rapporti con Morelli, Giglio e Giusti ’Ndrine al Nord «Avevo paura delle inchieste» Per la Dda di Milano sapeva dell’operazione “Meta” ben prima che fosse pubblica | LA STORIA | di GIUSEPPE BALDESSARRO REGGIO CALABRIA - Aveva l’incubo di finire in prigione Giulio Lampada. L’imprenditore lombardo, di origini reggine, aveva la coscienza sporca. Pagava dalle 40 alle 60 mila euro al mese a quattro esponenti delle Fiamme Gialle milanesi per evitare i controlli nei locali dove piazzava centinaia di slot-machine taroccate, e per questo temeva che primo o poi lo avrebbero pizzicato. I primi sospetti iniziò ad averli quando furono gli stessi finanziari corrotti a dirgli di «stare molto attento», quando andava a consegnare il denaro. E da allora vedeva le forze dell’ordine ovunque. Per questo si era messo in moto per cercare di capire se ci fosse un’indagine sul suo conto. Inchiesta che potevano provenire da Reggio Calabria oppure da Milano. Il racconto di quei mesi è contenuto in un lungo interrogatorio che Lampada ha rilasciato a Ilda Boccassini. Un interrogatorio nel quale racconta dei rapporti con l’avvocato Vincenzo Minasi si, con il consigliere regionale del Pdl Franco Morelli, e soprattutto con i giudici reggini Vincenzo Giglio e Giancarlo Giusti. Durante l’interrogatorio la Boccassini contesta a Lampada decine di telefonate nelle quali l’uomo afferma con diversi interlocutori che «sul suo conto non ci sono inchieste». Che ne è certo. Lasciando intendere che il dato gli viene fornito ora dal suo avvocato, ora da Morelli oppure da Giglio o Giusti. Secondo il racconto che fa ai magistrati lombardi, l’incubo di Lampada, gli aveva scatenato l’ansia di sapere se davvero fosse indagato «per presentarsi dai giudici e spiegare la sua posizione». In questo senso aveva parlato della sua fobia al propio avvocato e a Morelli, i quali In Lombardia furono i primi a subire un sequestro grazie ad alcune loro fonti lo continuavano a rassicurare «non c’è niente sul tuo conto». Per la stessa ragione avrebbe interpellato i giudici Giglio e Giusti. «Sono stato a casa di Giglio tante volte. Lo tenevo sotto pressione, gli chiedevo di informarsi, di farmi sapere perchè volevo chiarire la mia posizione». Sempre identica la risposta: «Sta tranquillo non c’è niente, se ci sarà qualcosa ti chiameranno loro ...». Ad un certo punto della vicenda l’imprenditore viene chiamato dal suo avvocato che gli mostra una carta della polizia di Milano che lo indica come indagato. Per quella informazione darà del denaro a Minasi «mille euro una volta e mille e 500 un’altra». Aggiungendo: «Mi disse che doveva darli qa qualcuno che gli passava le informazioni, ma non so a chi». Alla stessa maniera non sa mai da chi i diversi interlocutori recuperano le informazioni. A Giglio, secondo quanto afferma si sarebbe rivolto «per avere un consiglio», per sapere come comportarsi e con chi parlare. Arriva a cercare un contatto con Domenico Gattuso. E’ uno di quelli che può vedere tramite un colonnello dei carabinieri che è socio di suo padre. Lampada riceve informazioni rassicuranti, ma chiede di parlare direttamente con l’ufficiale dell’arma. Cosa che non otterrà. Una serie di contatti dunque. Molti dei quali avvenuti a cavallo della campagna elettorale delle regionali. L’imprenditore però, secondo i magistrati della Dda lombarda ha informazioni buone. Sa infatti che le misure dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere dell’operazione “Meta”, non lo riguardano. Ma sa anche che c’è l’inchiesta che lo sfiora. E questo ben prima dell’uscita sulla stampa del suo nome collegato a “Meta”. Sono insomma certi i pm che qualcuno ha soffiato notizie riservate a Lampada, anche se l’imprenditore afferma di non sapere da chi arrivavano le “indiscrezioni”. Il consigliere regionale Morelli. A sinistra l’avvocato Minasi. Sotto il magistrato Giglio Il ras milanese prende le distanze della consorteria di Reggio Sono ben 34 tra società e aziende «Ero lontano dalla famiglia Valle» I proventi dell’usura in attività commerciali il grande manager della famiglia Valle, prendeva personalmente ogni giorno da quei videopoker che aveva disseminato in tutta la città. «Ho una chiave per aprirli, sono il mio bancomat» diceva intercettato. Ne ricavava 40 mila euro al giorno, il manager Lampada. Attività lecita e illecita: ottiene le licenze ma froda lo Stato evitando di collegarle alla rete dei Monopoli, nascondendo quindi guadagni e trucchi per spennare ancora di più quei polli sui quali in dieci anni costruisce la sua fortuna. Meglio che trafficare droga. Ma quello che emerge nel corso dell’interrogatorio è che Lampada mette le mani avanti e prende le distanze dalla famiglia dei Valle. «Io ero totalmente lontano dalla famiglia Valle - racconta ai magistrati milanesi - Addirittura li abbiamo...nel lontano anno ‘90 denunciata la famiglia Valle per la storia di Concetta, di mia sorella alla sorella, alla Polizia di Vigevano. Con i Valle non ho avuto proprio nessun tipo di business, nessun tipo di lavoro, di rapporto, non avevo...tutti i professionisti che io conoscevo, io conducevo un altro tipo di vita...io con i Valle non avevo nulla a che spartire...Mai portato un Valle o una società dei Valle dentro una banca, dentro un notaio». REGGIO CALABRIA - I proventi delle attività illecite della famiglia Valle venivano reinvestiti in attivitàcommerciali e immobiliari, grazie anche all’ausilio di compiacenti prestanome, ai quali erano intestati esercizi commerciali e quote aziendali. Alla clan calabrese sono state ricondotte, per il momento, ben 34 tra società e aziende. In particolare, gli imprenditori Cusenza e Mandelli avrebbero permesso ai Valle di estendere la loro “sfera di influenza interessandosi a operazioni legate alle costruzioni immobiliari”. La zona oggetto di interesse sarebbe quella ricadente nei comuni di Rho e di Pero, alle porte di Milano, interessate in prima battuta dalle opere connesse al prossimo Expo 2015. Dall’inchiesta sono emersi solo diciassettecasi di prestito abusivodi denaro e cinque vittime di usura, ma gli inquirenti ritengono che gli imprenditori vittime del clan siano molti, molti di più. Se non fosse stato per lo strumento delle intercettazioni telefoniche, difficilmente l’inchiesta sarebbe andata in porto positivamente. Proprio in una telefonata di quelle oggetto di intercettazioni, un imprenditore si confida con un amico, dichiarando la paura per la propria incolumità, a fronte dell’impossibilità di saldare il debito: “Domani ho un appuntamento con i peggiori che me li hanno prestati, dei calabresi, e verrà fuori l'ira di Dio”. di MICHELE INSERRA REGGIO CALABRIA - «Personalmente non faccio parte di nessuna associazione mafiosa». Ma prima premette: «Mio fratello è parente dei Valle, praticamente ha sposato Maria Valle». E’ il racconto del presunto boss di Milano, il reggino Giulio Lampada durante l’interrogatorio del 30 dicembre scorso ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano Ilda Boccassini e Paolo Storari. Assieme a Giulio Lampada a dicembre erano finiti dietro le sbarre anche il magistrato reggino Vincenzo Giglio e il consigliere regionale della Calabria del Pdl Franco Morelli Nell'ultimo mese e mezzo, quando ormai sapeva d'essere chiuso in una tana senza uscita dopo che i poliziotti gli avevano fatto bloccare i conti, sequestrato le società, piazzato microspie in ogni stanza, nei suoi ultimi cinquanta giorni di libertà Giulio Lampada pagava i conti degli alberghi con sacchi di monetine. Quelle che lui, arrestato il primo dicembre per associazione mafiosa accusato di essere «Con loro non ho mai fatto affari o costituito società» Il magistrato Ilda Boccassini REGGIO CALABRIA - Al centro dell’inchiesta un clan storico della ‘ndrangheta, legato da vincoli epocali con i potenti boss Di Stefano di Reggio Calabria. I Valle, da tempo insediatosi tra Vigevano e Milano, il primo clan a cui vennero sequestrati e poi confiscati beni in Lombardia e riutilizzati a fini sociali, grazie alla legge 109/96 promossa da Libera. La presenza della famiglia Valle in Lombardia risale alla fine degli anni Settanta, una presenza dovuta, da un lato, all’esigenza criminale di espandersi in nuovi territori e, dall’altro, motivata dai furori della guerra intestina contro i clan rivali dei Geria-Rodà, che in quegli anni aveva mietuto vittime da un parte e dall’altra nel territorio di origine. È però nel decennio successivo che il clan allarga la propria sfera d’influenza muovendo dalla provincia pavese, in particolare Vigevano, verso Milano, passando dall’hinterland sud ovest del capoluogo. Alla guida del sodalizio criminale il capostipite Francesco Valle, di 73 anni, supportato dai figli Fortunato e Angela, sposatasi con Francesco Lampada, altro rampollo di famiglia mafiosa proveniente da Reggio Calabria. Il patriarca si occupava in prima persona degli affari di famiglia, incentrati soprattutto sui business dell’usura e dell’estorsione. Le somme che venivano prestate partivano da unminimo di20mila europer arrivare anche ad un massimale di 250mila euro mentre il tasso di interesse accordato era del 20%: condizioni capestro dalle quali eradifficilissimo rientrare per chiunque. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Primo piano 9 Giovedì 15 marzo 2012 Giovedì 15 marzo 2012 24 ore in Calabria Catanzaro. Avrebbe procurato ingiusto vantaggio alle cliniche private, all’ateneo e a Fondazione Betania La difesa di Scopelliti in Procura Il presidente della Regione, indagato per tentato abuso d’ufficio, sentito per 2 ore di TERESA ALOI CATANZARO -Quando varca il portone di ingresso del vecchio palazzo di giustizia - sono le 15,30 - Giuseppe Scopelliti è apparentemente sereno. Sta rientrando da una trasmissione televisiva (“Articolo 21”) dedicata ai temi della sanità. Accenna persino ad un sorriso. Poi di corsa su per le scale. Destinazione, la stanza del sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro, Gerardo Dominijanni, che sta indagando sull'ipotesi di un tentato abuso commesso dal governatore, indagato per la stipula del “Patto di Legislatura” tra la Regione e l'Associazione italiana ospedalità privata, la delibera di Giunta relativa al rinnovo del protocollo d'intesa tra Regione e l'Università Magna Grecia e l'approvazione con delibera di Giunta del regolamento attuativo contenente i requisiti minimi per l'autorizzazione al funzionamento e le procedure per l'accreditamento dei centri socio riabilitativi per disabili, e la riconversione dei servizi Siad, relativi alla Fondazione Betania Onlus. Il presidente della Regione Calabria ci resterà circa due ore. Alle 17,30, accompagnato dai suoi legali di fiducia, Nico D'Ascola, e Aldo Labate, Giuseppe Scopelliti esce dal palazzo. Poche, ma esaustive, le dichiarazioni che rilascerà ai giornalisti. Del resto anche a ventiquattro ore di distanza da quell'avviso a comparire il presidente era stato chiaro. Rispetto a quell'ipotesi di aver procurato, nella sua qualità di commissario ad acta, un ingiusto vantaggio alle cliniche private, alla Fondazione Betania e all'Università Magna Graecia del capoluogo, aveva sottolineato con forza quanto quegli atti sono stati revocati, «atti di indirizzo «Tutti atti che non hanno provocato effetti» politico, non atti gestionali e che dunque non producono effetti e di conseguenza alcun danno. Sicuramente - spiegò Scopelliti dopo aver ricevuto l'avviso - avremo modo di rispondere in maniera circostanziata ad atti che sono stati revocati otto mesi fa dimostrando la totale estraneità convinto che tutto si possa concludere in maniera tranquilla». Ieri come oggi. «Ho rappresentato in maniera molto lineare e molto chiara le scelte che sono state fatte e che, sono ovviamente, tutti atti che non hanno prodotto alcun effetto perchè sono atti revocati», ha spiegato accennando alla cortesia di chi lo ha interrogato, nonchè del procuratore della Repubblica, Vincenzo Antonio Lombardo, presente durante l'interrogatorio. Una Il presidente Giuseppe Scopelliti esce dalla Procura con i legali e i collaboratori condotta semplice, dunque «che ho tenuto - ha aggiunto il presidente Scopelliti - rispetto a fatti che sono molto chiari ed evidenti. Sono atti deliberativi che non hanno trovato poi nessuna continuità nel tempo e sono stati anche poi revocati sulla scorta delle indicazioni del tavolo Massicci». Nella stessa inchiesta sono indagati anche il direttore generale del Dipartimento della Salute, Antonio Orlando, che giorni fa si era avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del sostituto procuratore Dominijanni, il direttore generale alla presidenza, Francesco Zoccali, l'assessore regionale alle Politiche sociali, Francesco Antonio Stillitani, e il direttore generale vicario del Dipartimento Salute, Concettina di Giesu. Il professionista coinvolto nel caso “Fallara” avanza la richiesta al gip di Reggio Calabria Labate chiede il patteggiamento È accusato di aver ricevuto 842mila euro dal Comune per progetti mai realizzati di GIUSEPPE BALDESSARRO REGGIO CALABRIA – Ha chiesto di patteggiare l'architetto Bruno Labate. Il professionista reggino accusato di «peculato in concorso con l’allora dirigente dell’Ufficio Finanze, Orsola Fallara, e truffa aggravata dalla continuazione», ha depositato una richiesta di patteggiamento a 2 anni e 8 mesi di reclusione (pena sospesa). Una richiesta che i suoi legali, gli avvocati Pasquale Foti e Antonino Scimone sosterranno a partire dal fatto che Labate ha restituito quanto percepito illecitamente grazie agli incarichi conferitigli dalla Fallara, a cui era legato sentimentalmente. Denaro versato al Comune in tre diverse tranche. La prima da 180 mila euro, la seconda da 530 mila euro e l'ultima, recentissima, da 40 mila euro che dovrebbe rappresentare gli interessi e la rivalutazione del maltolto. Nella sostanza il pool di magistrati (il Procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza, e i sostituti Francesco Tripodi e Sara Ombra) lo accusano di avere intascato soldi pubblici non dovuti. Secondo quanto dovrà valutare il Gup Da- Tribunale di Crotone Esec. Imm. n. 8/10+20/10 R.G.E. G.E. Dr. Francesco Murgo Piena ed intera proprietà degli immobili in Strongoli, via Provvidenza, e precisamente: - Lotto uno: locale per attività commerciale al piano terra, della sup. totale di circa mq 115, munito di concessione edilizia. - Lotto due: appartamento al piano primo della sup. totale di mq 170, munito di concessione edilizia. Vendita senza incanto 09.05.2012 ore 12 presso la Sala delle Pubbliche Udienze del Tribunale di Crotone, Via Vittorio Veneto snc - Palazzo di Giustizia. Prezzo base: Lotto uno Euro 44.606,00, Lotto due Euro 56.897,00 con offerte in aumento in caso di gara Euro 1.000,00 per ciascun lotto. Presentare offerte entro h. 12 del giorno precedente la vendita presso la Cancelleria del Tribunale di Crotone, Via Vittorio Veneto snc - Palazzo di Giustizia. Data eventuale vendita con incanto 16.05.2012 ore 12 presso suddetto Tribunale, con rilanci minimi Euro 1.000,00 per ciascun lotto. Maggiori informazioni in Cancelleria, Custode Giudiziario Avv. Pasqualina Bevilacqua Tel. 0962/763466, sito www.asteannunci.it niela Oliva, i mandati di pagamento contestati sono diversi. I periti della Procura scrivono infatti: «Si può rilevare come nel periodo 21 maggio 2009 al 27 agosto 2010 siano stati fatti una serie di indebiti pagamenti in favore di Bruno Labate, per un importo complessivo di euro 842.740,00, al lordo delle ritenute». I provvedimenti arrivavano sempre dall’ufficio Finanze. Fatto che viene considerata un’anomalia,visto chesi trattadi incarichi, mai eseguiti, conferiti in maniera difforme a come avrebbero dovuto. E infatti molti dei pagamenti vengono giustificati per non meglio precisate competenze tecniche relative ad alcune opere pubbliche. E' il caso dei lavori per verde attrezzato in Via Cava, per la riqualificazione di Via Carrera, di un belvedere con Croce artistica, per un’area giochiall’aeroporto, per alcunearee verdi (Tremmulini, Arghillà, Saracinello e san Giovannello) e infine (compenso da 225 mila euro) per la riqualificazione del Depuratore di Ravagnese. Fino ad 2010 quando Orsola Fallara fa liquidare a favore dell'architetto 81 mila euro per il “Verde attrezzato di Arghillà, Tremulini e Geb- bione”, e nello stesso mese altri 225 mila euro per gli “Interventi di riqualificazione dell’impianto di Ravagnese – Gallico”. Secondo la ricostruzione la Fallara proponeva a Labate di fare alcune progettazioni, cosa che avveniva ma in maniera piuttosto approssimativa.L'architetto glifaceva avere delle idee, per lo più schizzi di massima. La dirigente poi diceva che li avrebbe consegnati all’ufficio tecnico che avrebbe provveduto a perfezionare i progetti stessi. Una vicenda dai tratti grotteschi. Tanto più che il professionista per seguire i consigli della compagna del tempo ha praticamente dilapidato il proprio patrimonio professionale. L'uomo infatti era dirigente della Cassa depositi e prestiti (con uno stipendio da quasi 10 mila euro al mese), lavoro che ha abbandonato per seguire la Fallara nell'avventuroso tentativo di diventare dirigente regionale. Non a caso era statochiamato aguidareladelegazione dellaRegione Calabria a Roma. Un incarico, secondo quanto da lui stesso affermato, temporaneo in attesa di un posto da manager in Fincalabra. Sogni naufragati, e pagati a caro prezzo. A Cosenza il plico sospetto con lettera minatoria. Altri episodi a dicembre e due mesi fa Ordigno con polvere esplosiva a Equitalia di ANDREANA ILLIANO COSENZA - «L’avete voluto voi, ora ne pagherete le conseguenze», è una delle frasi deliranti, trovate in una busta indirizzata ad Equitalia, alla sede cosentina, insieme a polvere grigia esplosiva e a dei fili elettrici, non collegati. Più che un ordigno, una minaccia. Una specie di manifesto sovversivo contro le tasse. L’ennesimo segno di rivolIl Rettore, il Direttore Amministrativo, i Docenti, i Tecnici e gli Amministrativi dell'Università della Calabria sono affettuosamente vicini al prof. Giorgio Celebre per la perdita del caro papà FRANCESCO Arcavacata di Rende, 14 marzo 2012 ta. La busta “sospetta” ieri, non è arrivata a destinazione, è stata trovata prima da un dipendente delle poste centrali. L’uomo ha capito che, oltre ad una missiva lì dentro c’era materiale sospetto, insomma non era una busta comune. E così ha avvertito le forze dell’ordine. Sul posto è arrivata la polizia e gli artificieri dei carabinieri. La busta con la lettera delirante non conteneva materiale pericoloso. E l’idea della Digos è che più che un’organizzazione, dietro l’ennesima minaccia dimostrativa, ci sia qualche mitomane. Insomma non ci sarebbe una vera e propria strategia offensiva. Ieri intanto è passata qualche ora, prima di avere la certezza che non fosse pericoloso quel materiale celato nella busta, indirizzata appunto ad Equitalia. Non è però la prima volta che la sede cosentina si è La busta e la lettera La polvere esplosiva trovata di fronte a manifestazioni di protesta di questo tipo. A dicembre scorso quattro manifesti con frasi di denuncia e minacce furono attaccati davanti alla sede dell’ufficio della città dei Bruzi. I cartelli furono sistemati, nella notte, con nastro adesivo davanti alle porte d'ingresso degli uffici, contenevano ingiurie. offese contro le "cartelle pazze" e contro il pagamento delle tasse sulla casa. Il 12 gennaio scorso, poi, appena due mesi fa, si ebbe un episodio simile a quello di ieri: una busta gialla chiusa e dentro polvere esplosiva con una lettera con frasi minatorie in stampatello. Una minaccia. La prima dell’anno. Ieri si è replicato. Ieri una nuova manifestazione dimostrativa. Le indagini sono in corso, le forze dell’ordine sono a lavoro, per capire che cosa e chi è capace di arrivare a tanto. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 12 BREVI CATANZARO A CARAFFA A VIBO VALENTIA Aziende calabresi a Expo edilizia 2012 Abusa di una dodicenne, a giudizio Attentato incendiario a impresa edile SONO due le aziende della provincia di Catanzaro, la Cotto Cusimano, di Settingiano, e la Fabiano Legnami di Chiaravalle Centrale, che saranno tra le protagoniste a Roma della quinta edizione di Expoedilizia che si terrà a Roma dal 22 al 25 marzo. UN venticinquenne di Caraffa, T.N., è stato rinviato a giudizio con l’accusa di avere abusato di una dodicenne. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe mandato dei messaggi alla bambina e l’avrebbe circuita. Quindi si sarebbe incontrato con lei due volte. IGNOTI hanno dato alle fiamme un carico di tavole proprietà di G. S., titolare della “Edilnova”, impresa edile del vibonese. Il legname si trovava all’interno di un cantiere e serviva per il ponteggio di un fabbricato in costruzione. Il fatto è avvenuto a Vena Superiore lungo la statale 18. L’udienza si è incentrata sull’avocazione del fascicolo “Why not”. Si torna in aula il 19 aprile Prodi indagato, la Procura sapeva Continua la deposizione fiume dell’ex pm Luigi de Magistris a Salerno passaggi, oggetto dell'attividi PAOLO OROFINO tà investigativa svolta dai maSALERNO - «Il procuratore gistrati della procura di Salercapo sapeva dell'iscrizione di no, che hanno chiesto e otteProdi e l'inchiesta mi è stata nuto il rinvio a giudizio delle tolta dopo che ho iscritto Ma- persone che a vario titolo stella». L'ex pm Luigi de Magi- avrebbero avuto un ruolo nelstris, oggi sindaco di Napoli, l'azione di ostacolo e indebita continua a deporre al proces- interferenza alle inchieste Poso che vede imputati magi- seidone e Why Not. De Magistris, anzitutto, ha strati e parlamentari calabresi al tribunale di Salerno, con voluto smentire alcune dil'accusa di corruzione in atti chiarazioni dell'ex procuratogiudiziari, in relazione all'a- re diCatanzaro MarianoLomvocazione dei fascicoli Posei- bardi, che subito dopo la notidone e Why Not. Proprio di quest'ultima inchiesta si è discusso ieri, con le dichiarazioni dinanzi ai giudici del primo cittadino di Napoli, ascoltato come testimone protagonista dei fatti verificatisi nel 2007, anno in cui a partire dal mese di marzo si susseguirono una serie di colpi di scena “giudiziari” passati alla ribalta della cronache nazionali. Il culmine del clamore si ebbe, appunto, con l'iscrizione nel registro degli indagati dell'allora presidente del Consiglio, Ro- L’ex pm Luigi de Magistris mano Prodi a cui seguì,tre mesidopo,l'iscrizione zia dell'indagine su Prodi, di Clemente Mastella, all'epo- rimbalzata sui tg nazionali, ca ministro della Giustizia, disse dinon esserestato inforche provocò l'immediato prov- mato dell'iscrizione del prevedimento di avocazione del mier. L'attuale sindaco di Naprocedimento Why Not, ad poli, nelprocesso, haaffermaopera della procura generale to che invece il capo della prodi Catanzaro, che mise defini- cura di Catanzaro era stato tivamente “fuorigioco” il pm messo al corrente dell'avvenuta iscrizione del presidente de Magistris. Questi, nel corso dell'udien- del Consiglio, prima ancora za di ieri, ha chiarito alcuni che la notizia trapelasse sulla stampa. Ciò a comprova della correttezza del suo operato di sostituto procuratore. De Magistris ha poi parlato delle cose che accaddero quando, il 14 ottobre del 2007, fu indagato Mastella. L'ex pm catanzarese ha riferito che l'iscrizione dell'allora Guardasigilli fu comunicata tramite la segreteria al procuratore aggiunto del periodo, Salvatore Murone, ora imputato nel processo. Il “visto” di avvenuta presa visione del provvedimento, che avrebbe dovuto firmare Murone, non ritornò mai a de Magistris, che in compenso, a distanza di alcuni giorni, ricevette l'avviso dell'avocazione del fascicolo Why Not, quando già i faldoni erano stati presi dall'armadio blindato del suo ufficio, per essere portati in procura generale. Altro rilevante fatto contestuale, raccontato in aula da de Magistris, fu la sospensione della perquisizione presso la sede del giornale di Mastella “Il Campanile”, da lui disposta il 15 ottobre e programmata per il 23 dello stesso mese. La perquisizione, però, stranamente non avvenne per il giorno stabilito. Fu rinviata ed eseguita molto tempo dopo l'avocazione, quando il ministro della Giustizia era già ben a conoscenza dell'indagine sul suo conto. Il processo a Salerno riprenderà il prossimo 19 aprile. Tre parlamentari “interrogano” il Governo sulla questione Appello a Trematerra Edilizia sociale, i dubbi del Pd sulla graduatoria bocciata Maltempo a Reggio Battaglia sollecita lo stato di calamità addotte dall’assessore ai Lavori pubblici della regione Calabria, Giuseppe Gentile, in ordine all’annullamento della prima graduatoria». Nell’interrogazione, inoltre, i tre parlamentari pidiellini si chiedono se il Governo «non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa utile ad accertare eventuali irregolarità nelle procedure amministrative di annullamento ed emanazione del secondo bando e se non ritenga utile sollecitare la Regione Calabria ad assumere provvedimentiurgenti utili alle famiglie bisognose di un alloggio, prima che si esprima il prossimo ottobre ilConsiglio diStato inordine al ricorso presentato dalla stessa Regione Calabria contro le decisioni del Tar (Tribunale amministrativo regionale) della Calabria, che ha accolto i ricorsi proposti dai cittadini ricorrenti, annullando il provvedimento di revoca del primo bando». Dubbi e perplessità, dunque, che ora portano la delicata questione all’attenzione del Governo. REGGIO CALABRIA – Il consigliere regionale del Pd Demetrio Battaglia ha scritto all’assessore regionale all’Agricoltura, Michele Trematerra, per chiedere la dichiarazione dello stato di calamità a seguito dei recenti eventi meteorologici del 9, 10 e 11 marzo verificatisi in alcune aree della provincia di Reggio. «Infatti, sulla fascia jonica ed in particolare nel territorio del Comune di San Lorenzo – afferma il consigliere Demetrio Battaglia – si sono abbattute violente raffiche di vento ciclonico che hanno devastato ettari di serre coltivate a primizie. Lo sradicamento delle coperture ha provocato la perdita di ingenti investimenti economici ma, anche l’estirpazione delle colture determinerà mancati introiti per somme altrettanto considerevoli. Pertanto, al fine di poter attivare l’erogazione di aiuti economici alle aziende che hanno patito i danni, stante anche l’attuale e notoria crisi in cui versa il settore agricolo in Calabria e non solo, il consigliere Pd ha chiesto alla Giunta regionale di intervenire». CATANZARO –I deputati del Partito democratico Franco Laratta, Doris Lo Moro e Nicodemo Oliverio hanno presentato un’interrogazione con cui chiedono di sapere «se il Governo sia a conoscenza della tortuosa vicenda dell’edilizia sociale in Calabria che ha portato l’attuale Giunta regionale ad annullare la prima graduatoria ed emanare un secondo bando». Secondo i tre deputati del Partito democratico che hanno preso la dura posizione, si tratta di «un fatto grave, che ha messo a rischio i 155 milioni di euro di finanziamenti che avrebbero potuto creare 4 mila alloggi sociali e sviluppare un’economia sul territorio per un miliardo di euro». I parlamentari, dunque, partendo da questa premessa, chiedono «quali necessarieazioni, perquanto dicompetenza, intenda assumere il Governo per scongiurare la perdita di corposi finanziamenti per l’edilizia sociale in Calabria e se non intenda accertare quali siano le motivazioni “giuridiche e tecniche” «Necessario decidere con urgenza» La Merante diserta l’aula Al processo depone l’ex assessore Morrone CATANZARO - Non si è presentata in aula. Caterina Merante, principale teste d’accusa ed imputata per una presunta violazione delle norme sul lavoro doveva essere ascoltata nell’ambito del processo “Why not”su presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici. Di contro, l’accusa ha chiesto l’acquisizione dei verbali delle sue dichiarazioni, richiesta accolta dal tribunale con l’opposizione dei difensori di alcuni imputati. Subito dopo, è stato il turno dell’ex assessore della Regione Calabria ed attuale consigliere regionale Ennio Morrone. Imputato nel processo con l’accusa di abuso d’ufficio, all’epoca dei fatti nell’Udeur ed assessore al personale nella Giunta regionale di centrosinistra, ha risposto alle domande del pg Massimo Lia sull'affidamento da parte della Regione dei servizi relativi al censimento del patrimonio immobiliare dell’ente e per la verifica dei bisogni formativi dei dirigenti , spiegando che le procedure erano curate dai funzionari degli assessorati. Morrone ha anche escluso di avere mai raccomandato alcuno dei lavoratori assunti dalle società esterne. Infine, sono stati sentiti Marino Magarò responsabile di una delle aziende che orbitava attorno alla team Service che ha chiarito come chi organizzava l’appalto per la sorveglianza idraulica era la società “Why not” e infine Giancarlo Franzè, uno dei soci della società stessa.. t.a. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Calabria 13 24 ore Giovedì 15 marzo 2012 24 ore Giovedì 15 marzo 2012 Duplice omicidio Grattà. I gemelli uccisi a Gagliato nel 2010 nell’ambito della guerra di mafia Due condanne a vent’anni Concluso il processo con rito abbreviato per tre imputati, assolto Catrambone LA STORIA di AMALIA FEROLETO CATANZARO - Vent’anni di carcere ciascuno per Alberto Sia e Patrik Vitale entrambi di 26 anni e l’assoluzione per Giovanni Catrambone 22 anni. Si è concluso con questo dispositivo di sentenza, emesso dal gup Abigail Mellace, al termine della Camera di Consiglio, il processo celebrato con rito abbreviato al quinto piano del palazzo di Giustizia “Ferlaino” a Catanzaro, a carico dei tre imputati del duplice omicidio dei fratelli gemelli, i pastori Vito e Nicola Grattà di 38 anni uccisi l’11 giugno 2010 a Gagliato nel Catanzarese, nell’ambito della riaperta guerra di mafia denominata “Faida dei boschi”. Il pubblico ministero, Vincenzo Capomolla a conclusione della requisitoria, aveva chiesto per Sia e Vitale la condanna all’ergastolo e per Catrambone la condanna a vent’anni di carcere. Sia è difeso dall’avvocato Salvatore Staiano, Vitale dall’avvocato Gregorio Viscomi mentre Catrambone dall’avvocato Giovanni Caridi. Gli imputati sono finiti in carcere il 2 luglio 2010, in esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia, che poi il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Emma Sonni, ha convalidato. I tre giovani, assieme ai quali è stato indagato anche un minorenne, secondo la tesi dell’accusa avrebbero partecipato alla ideazione e all’esecuzione dell’omicidio dei Grattà, maturato nell’ambito di una faida tra cosche per il controllo del Soveratese, nonchè del territorio a cavallo con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia che in tre anni ha mietuto oltre venti morti. Una delle vittime di questa guerra è stato proprio Vittorio Sia, presunto boss di Soverato padre di Alberto, ucciso in un agguato mafioso il 22 aprile 2010 a Soverato superiore. Aberto Sia, Vitale e Catrambone erano sospettati di aver rubato lo scooter utilizzato per l’agguato di chiaro stampo mafioso in cui sono stati freddati i due gemelli Grattà mentre erano intenti a giocare una partita di carte in un garage nella piazza del paese, con una Dieci delitti nel 2010 CATANZARO - Una cruenta guerra di mafia quella che nel territorio a cavallo tra il Basso jonio Sovertaese, l’Alta Locride nel Reggino e il Vibonese in tre anni ha seminato oltre venti morti ammazzati. Di cui 10 nel 2010 solo nel Sovratese. Una riaperta guerra tra clan per il controllo del territorio che vede contrapposti il clan SiaTripodi Procopio- alleati con i Novella di Guardavalle, (dopo la scissione dai Gallace), con i Costa di Siderno ei Vallelunga di Serra San Bruno. E dall’altrail clanGallace- Ruga-Leuzzi -Metastasio che spingono per espandersi nel Basso Jonio. Nel 2010 nel Soveratese sono stati uccisi, uno dopo l’altro in agguati di stampo mafioso Pietro Chiefari, il 16 gennaio a Davoli, Domenico Chiefari, l’11 marzo a Guardavalle, Francesco Muccari il 15 marzo a Isca, Vittorio Sia il 22 aprile a Soverato, Giovanni Bruno il 16 maggio a Vallefiorita,igemelliVito eNicolaGrattàl’11 giugno a Gagliato, Agostino Procopio il 23 luglio a S.Sostene, Ferdinando Rombolà il 22 agosto a Soverato, Rocco Catroppa il 29 agosto a Palermiti. a.f. I gemelli Nicola e Vito Grattà uccisi a Gagliato l’11 giugno del 2010 terza persona. Le ipotesi d’accusa per i tre erano di concorso in omicidio aggravato, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco. Ma Catrambone è stato assolto anche dall’accusa di furto. I tre imputati secon- do secondo l’accusa, avrebbero rubato lo scooter, rinvenuto bruciato dopo l’omicidio in località Pietà di Petrizzi, cioè in una zona che sarebbe sotto il controllo della cosca. Qui i militari dell’Arma hanno rinvenuto anche una pistola 9x19 di tipo luger piuttosto rara con quattro colpi nel caricatore, pure bruciata, compatibile con quella utilizzata per l’agguato. Preziosa la testimonianza durante il processo per il duplice omicidio Grattà del pentito Bruno Procopio, 24 anni finito nelle maglie dell’operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro di carabinieri e Guardia di Finanza, denominata “Showdown” il 15 dicembre 2011 che ha decapitato la cosca che opera nel soveratese “Sia- Tripodi -Proco- pio”. Bruno Procopio, infatti è figlio del presunto boss locale di Davoli e San Sostene, Fiorito Procopio, detto Fiore. La cantata di Procopio ha permesso agli inquirenti di fare luce anche su un altro efferato omicidio avvenuto sulla spiaggia a Soverato il 22 agosto 2010 sempre nell’ambito della guerra di mafia, quello di Ferdinando Rombolà, 40 anni, al quale avrebbe preso parte il pentito. Stando alla ricostruzione fatta dagli inquirenti i gemelli Grattà avrebbero partecipato insieme a Rombolà al gruppo di fuoco in cui fu ucciso Vittorio Sia. E da lì sarebbe scatta la vendetta del figlio. Inoltre, Rombolà avrebbe anche partecipato all’agguato mortale teso il 23 luglio 2010 a San Sostene ad Agostino Procopio, 33 anni, calciatore figlio di Fiorito e fratello di Bruno Procopio. Il giudice depositerà entro 90 giorni le motivazioni della decisione, avute le quali la difesa dei condannati (gli altri avvocati impegnati sono Sergio Rotundo, e Felice Siciliano) ricorrerà in appello. Dopo l’omicidio di Vincenzo Ferraro il sindaco di Oppido Mamertina chiede l’aiuto dello Stato Ora si teme la ripresa della faida Gli inquirenti alla ricerca del cugino (latitante) della vittima per evitare la vendetta di MICHELE ALBANESE OPPIDO MAMERTINA - Torna la paura ad Oppido Mamertina. I due ultimi omicidi verificatisi nelle campagne cittadine con due agguati di chiaro stampo mafioso quello di Domenico Bonarrigo del 2 marzo scorso e quello di Vincenzo Ferraro dell'altro ieri hanno fatto scattare il livello di guardia. E anche se nessuno lo dice apertamente l'ipotesi della ripresa della faida tra gruppi e famiglie contrapposte da decenni fa sorgere a molti un brivido lungo la schiena. Questa città insieme a molte altre nella Piana sa cosa significa faida. Conosce a menadito il clima di inquietudine e di terrore che si respira sapendo che possono esserci in giro gente armata pronta a sparare contro altre persone ad ogni ora del giorno . Gente abituata ad avere a che fare con il sangue e con la morte. Sicari che non hanno paura a seminare il panico in tutti i punti della città: nel- le strade o nei locali pubblici, senza timore alcuno. Proprio come accadde negli anni che vanno dal 1996 al 1998 quando agguati si verificarono senza sosta nelle piazze o nei bar, finendo per coinvolgere anche vittime innocenti che nulla avevano a che fare con lo scontro in atto. Ad Oppido dopo gli ultimi due omicidi si respira lostessoclimadi quelliannidipiombo e di lupara. Non a caso il sindaco Bruno Barillaro ieri è stato in Prefettura per chiedere una maggiore attenzione da parte dello Stato. Faccia tirata e volto truce quello del sindaco che non nasconde il timore che la sua città possa ritornare agli anni terribili di quella faida che insozzò ogni onore e civiltà. Altro che alba del terzo millennio o sogni di crescita umana ed economica. Se fosse vero che lo scontro di sangue è riscoppiato si avrebbe davanti il buoi più pesto, l'incubo più atroce per una comunità. E' questo Barillaro lo sa bene ecco perché ha chiesto l'intervento del Prefetto. Sul fronte delle indagini per l'omicidio di Vincenzo Ferraro, intanto continua il lavoro dei Carabinieri che non si fermano un attimo pur di intercettare l'autore del delitto. I militaridell'Arma hannointerrogatoa lungo i due operai di nazionalità rumena che si trovano al momento dell'agguato con il Ferraro a bordo della sua Nissan Patrol. Loro hanno raccontato quello che hanno visto nei minimi dettagli pur ammettendo di non aver riconosciuto colui che imbracciando un fucile caricato a lupara ha messo fine alla vita di Cecè Ferraro lungo quella stradina interpoderale che porta ad Oppido vecchia, la città distrutta dal terremoto del 5 febbraiodel 1783e poiabbandonata. Una zona nella quale il Ferraro aveva alcuni terreni. Sicercano di bloccare altre vendette ed altro sangue, cosa che non appare alquanto facile. E poi si cerca Pepè Ferraro, cugino della vittima dell'altroieri, unlatitante da 14 anni che potrebbe entrare in azione per vendicare la morte di Cecè. Vincenzo Ferraro Nuovo sequestro della Finanza nel porto di Gioia Tauro: cocaina diretta in Grecia e nel Nord Italia Oltre 200 chili di droga in viaggio su due container La droga sequestrata dalla Guardia di Finanza nel porto di Gioia Tauro GIOIA TAURO - Visti i continui sequestri di droga nel porto di Gioia Tauro negli ultimi due anni è legittimo chiedersi quanta ne sia passata negli anni scorsi in quei container. Cocaina a fiumi che ha ingrassato le 'ndrine della 'ndrangheta e non solo. L'ultimo sequestro è avvenuto due giorni fa ed ha portato al rinvenimento di altri 262 chilogrammi di “neve” purissima. Ancora una volta ad agire sono stati i Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria - Sezione Goa di Reggio Calabria, unitamente ai Funzionari dell'Agenzia delle Dogane - Ufficio Centrale Antifrode , gli esperti dello Svad ( il Servizio di Vigilanza Antifrode Doganale ) di Gioia Tauro ed i Finanzieri del Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro. La droga era suddivisa due carichi rinvenuti all'interno di altrettanti container arrivati nel Porto di Gioia Tauro. I due contenitori, di cui il primo in transito presso il porto calabrese e diretto in Grecia ed il secondo in importazione e diretto nel Nord Italia, erano sbarcati dalle navi mercantili Charlotte Rickmers e Msc Catania, provenienti dal Centro America. L'operazione, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria in stretto e costante coordinamento con la Procura della Repubblica di Palmi, ha consentito, dopo una serie di incroci documentali e successivi meticolosi controlli eseguiti su numerosi container in transito presso il porto di Gioia Tauro, realizzati anche attraverso l'impiego di apparecchiature scanner in uso alla Dogana, l'individuazione dei carichi occultati nei due contenitori imbarcati presso il porto peruviano di Paita e quello messicano di Mazatlan. Secondo le stime effettuate dalla Guardia di Finanza e dalle Dogane la merce avrebbe fruttato, con la vendita al dettaglio, circa 50 milioni di euro. E ciò perché il quantitativo di cocaina sequestrato, tagliato almeno 3 - 4 volte avrebbe raggiunto, alla minuta vendita, un prezzo medio di cinquanta euro al grammo. Anche questa operazione rientra nell'ambito di un piano di rafforzamento dei controlli dei contenitori movimentati nel Porto di Gioia Tauro messo in atto dai finanzieri e dai funzionari della locale Agenzia delle Dogane che, dall'inizio dell'anno, ha portato a sequestrare complessivamente 376 kg di cocaina purissima. La droga era stata imbarcata in cinque borsoni di colore nero, all'interno dei quali i militari delle Fiamme Gialle ed i funzionari doganali hanno contato 219 panetti di stupefacente per un peso complessivo di 261,685 Kg di cocaina di elevata qualità e purezza. Stessa tecnica e stesse modalità di imbarco e di occultamento. La droga, come tante altre volte era stata collocata nei borsoni e sistemata immediatamente a ridosso delle porte dei container per favorire chi avrebbe dovuto prelevarla e portarla fuori dai porti. Gli inquirenti adesso hanno avviato indagini tese ad individuare i responsabili di questo traffico internazionale. Accertamenti che si intrecciano con altre indagini in corso partite dopo i precedenti sequestri di cocaina. m.a. Area strategica per il traffico internazionale E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 14 Calabria 21 Giovedì 15 marzo 2012 REDAZIONE: via Cavour, 30 - 89100 Reggio Calabria - Tel. 0965.818768 - Fax 0965.817687 E-mail: [email protected] Monasterace Piana Taurianova Florinnova, niente Emergenza rifiuti Corteo di solidarietà accordo: è sciopero situazione al collasso dopo il raid a scuola a pagina 34 a pagina 38 a pagina 39 Operazione Lancio. La compagna dell’assessore Tuccio tra i soci della “Scopelliti Presidente” Le consulenze di Giampiera Dal Cda della mista “Fata Morgana” alla difesa legale del Comune di Reggio di CATERINA TRIPODI TURBATO ma allo stesso tempo irremovibile, l’assessore comunale all’urbanistica, Luigi Tuccio, è stato chiaro, la poltrona in giunta non la molla come ha specificato proprio nella giornata di ieri attraverso una nota stampa. Nonostante l’operazione “Lancio” dei Ros dei carabinieri abbia svelato, martedì mattina, parentele imbarazzanti, con il fermo di sua suocera, Giuseppa Cotroneo, ringraziata, con un pizzino, dal super latitante di Archi, Domenico Condello (alias Micu u pacciu) per l’appoggio e l’ospitalità (il casolare di Bolano di Catona) offertole durante la latitanza. Giuseppa è mamma di tre figlie, oltre che della compagna di Tuccio, Giampiera Nocera, anche di Maria Angela, moglie di Massimo Pascale braccio destro del Governatore Scopelliti ed attualmente all’ufficio di Gabinetto della Regione, ed infine di Bruna, sposata con Domenico Condello (omonimo cugino del “Supremo”, nonchè cognato del superboss Nino Imerti), attualmente detenuto in carcere a Varrazze. Quindi la ricostruzione del ramo familiare vede la suocera dell’assessore Tuccio coinvolta in una vicenda di favoreggiamento di un super latitante di ‘ndrangheta, nonchè lo stesso Tuccio, cognato di Pasquale Condello. Una parentela che fa tremare (ma non pare scalfire però l’imperturbabilità di Tuccio) e che fa sembrare solo un pallido ricordo, l’imbarazzante vicenda scatenata dallo stesso Tuccio che in un post su Facebook definì il Premio Oscar, Roberto Benigni, “comunista ebreo”, scatenando la pubblica indignazione di larga parte della città e della politica reggina, che chiese, inutilmente, allo stesso assessore e al sindaco Arena le immediate dimissioni dalla giunta. Anche oggi, come allora, Tuccio ha fatto sapere che resterà all’assessorato. E lo ha fatto con una lettera pubblica che resterà impressa nella memoria collettiva a lungo. A parte l'appassionata difesa dell'amore (chapeau all'assessore per come illustra la purezza del suosentimento), ed i frammenti della vita adolescenziale passati al fianco del padre Giuseppe, presidente di sezione del Tribunale, e presidente del Cap (società di basket dove conobbe il giovane Peppe Scopelliti in versione pivot), Luigi Tuccio nella sua autoperorazione,perun attimo,haricordato una figura popolare molto in voga nei presepi calabresi: “u 'meravigliatu da rotta”, ovvero il meravigliato della grotta. La nota di Tuccio, infatti, regalava immagini. Sembrava quasi di vedere stampigliato sul suo volto lo stupore fanciullesco da perenne adolescente dell’assessoreche dichiarava, affannosamente, di disconoscere i legami familiari della compagna: “ho appena appreso...”, “ho saputo solo oggi..”. Quindi, manco a dirlo,Tuccio non sapeva chi fossero nè sua suocera, ne' sua cognata. That's incredible avrebbe detto Dan Peterson,giusto per citare una figura familiare allo stupefatto assessore, già cestista, che si dedica, nella sua nota, alla difesa a spada tratta di una persona in particolare, il Governatore Scopelliti (nominato nell’intervento quattro volte esattamente come la compagna Giampiera, ndr) e ritenuto il vero destinatario del “polverone mediatico”. Insomma, l’obiettivo di tutta l’operazione, secondo Tuccio quindi, sarebbe “l’accerchiamento del Governatore”. Una singolare equazione per cui si arresterebbe la suocera dell’assessore Tuccio, quindi, solo per colpire, per dirla con le sue stesse parole, “l’obiettivo appetitoso ed irraggiungibile: Scopelliti”. Accantonando però la discutibile nota dell’assessore, ci si chiede, però se Tuccio ricorda che la compagna ha un ruolo politico attivo ben preciso. Giampiera Nocera: tra ruoli specifici in politica e consulenze per il Comune di ReggioIl giovane avvocato, nel 2010 risulta nell’atto costitutivo dell’associazione Lista Scopelliti Presidente (della quale è vicepresidente). Insieme al Capo di Gabinetto del Comune di Reggio Calabria, l’avvocato Antonio Barrile, l’assessore regionale alla cultura Mario Caligiuri, Davide Rocca e Gaetano Pisciotto stipula l’atto di nascita della “Scopelliti presidente”che vede la luce alle ore 20 dell’8 febbraio2010, aReggio Calabria,in viaFilippini al civico 33 della Lista nata per “fare proselitismo politico nella regione nell’area del centrodestra promuovendo ogni forma di coordinamento con i gruppi politici affini nei cui programmi si riconosce pienamente”.Sempre nel 2010, Giampiera Nocera è consigliere di amministrazione della “Fata Morgana”, la mista del Comune di Reggio Calabria per la quale percepisce da luglio a dicembre 3.750.000 euro. Le consulenze legalisono a gogò. In particolarmodo, sempre nel 2010, l’avvocato trova il tempo per essere nominata, svariate volte, avvocato del comune dall’ufficio “affari legali”. Ecco qualche dato che siamo riusciti ad avere. La Nocera rientra spessissimo nella ristretta rosa dei consulenti legali di Palazzo San Giorgio: il 14 gennaio (53131/c contro Alampi Maria Rosa), il 25 gennaio (52170/c-52171 contro Lo presti-romolo), il 18 febbraio è assegnata a tre procedimenti (54621/c contro Genoveffa Caristo), (29190 e la 564011/c contro Grazia Ciancio) il 26 marzo (46433/c controparte Giorgio Azzarà), il 16 aprile (56723-708c contro Paolo Laganà) il 30 aprile è assegnata a tre procedimenti (57025/c Domenico Campolo), (57400/c Francesco Velonà), (57987/c Andrea Marzullo), giugno (57988/c contro Paolo Nicolò). Le consulenze legali sono attualmente in atto anche con l’amministrazione Arena. Insomma se l’amore è cieco ed uno i parenti non se li può di certo scegliere, resta in piedi, accanto alla questione dei legami politica-ndrangheta sulla quale può decidere solo la magistratura, resta in piedi la questione dell’opportunità e dell’etica politica ed anche quella, che si sta rivelando ormai una costante abituale di palazzo San Giorgio, del circuito, chiuso, degli incarichi e delle consulenze. L’assessore all’urbanistica Luigi Tuccio LE DIMISSIONI DI TUCCIO Il sindaco e il rischio doppiopesismo Un pensoso Demi Arena PER il primo cittadino la questione Tuccio resta una spina nel fianco. E’dadicembre 2011,dopo lo scivolone orribile su Benigni, che al sindaco Demi Arena vengono richieste le dimissioni del suo assessore all’urbanistica. Arena è appena rientrato, nella serata di ieri, a Reggio, dopo un’assenza dalla città durata quattro giorni, ed ha deciso di consultarsi prima con il suo amministratore, (che dagli accertamenti dell’ultima operazione dei Ros, che hanno arrestato sua suocera per avere favorito il latitante Domenico Condello, risulta cognato di Pasquale Condello (omonimo cugino del Supremo ed attualmente recluso a Varrazze) prima di pronunziarsi pubblica- mente. In un momento così delicato, con la commissione d’accesso agli atti insediata dentro Palazzo San Giorgio, il sindaco dovrebbe essere il primo ad allontanare anche solo l’ombra delle nubi del sospetto delle infiltrazioni mafiose dentro la cosa-casa pubblica. In caso di un’eventuale richiesta di dimissioni di Tuccio, però il sindaco dovrebbe valutare anche il rischio del doppiopesismo. Non va dimenticata la vicenda dell’assessore Pasquale Morisani, intercettato mentre chiedeva voti ad un boss mafioso, al quale non sono mai state chieste le dimissioni. e quindi dovrebbe agire consecutivamente. Intanto intanto un piccolo giro di valzer di commenti in casa Pdl. Per il neo- coordinatore cittadino, Daniele Romeo: «Tuccio non deve assolutamente dimettersi. Perchè se le colpe dei padri non ricadono su quelle dei figli figuriamoci quelle delle suocere....Trovo squallido ha continuato Romeo dopo la battuta - la richiesta di dimissioni di Massimo Canale. Tuccio è un signore con la s maiuscola e non esiste un caso in merito basta solo pensare ad una cosa: secondo voi Tuccio va a chiedere voti alla ‘ndrangheta?»Anche per il capogruppo del Pdl in consiglio comunale Beniamino Scarfone «Tuccio è persona per bene e per quanto riguarda eventuali risvolti politici cisi dovrà confrontarecon il sindaco insieme al partito». c.t. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Reggio 37 Ufficio di Corrispondenza: Piazzetta 21 Marzo, 9 - 89024 Polistena Tel/Fax 0966.935320 E-mail: [email protected] Ancora senza una soluzione il giallo della scomparsa dell’elettrauto vittima di un “delitto d’onore” Riflettori su Fabrizio Pioli Del caso di Gioia Tauro oggi parlerà la popolare trasmissione “I fatti vostri” di DOMENICO GALATÀ GIOIA TAURO – Assume sempre più una portata nazionale la scomparsa di Fabrizio Pioli, il 38enne elettrauto di Gioia Tauro, presunta vittima di un “delitto d’onore” per la relazione con Simona Napoli, 24enne di Melicucco coniugata e madre di un bambino. La scorsa settimana si è occupata del caso la trasmissione “Quarto Grado”, in onda sui canali Mediaset e condotta dal giornalista Salvo Sottile. La vicenda di Fabrizio oggi approda invece sui canali della Tv di Stato. Ad occuparsene una della trasmissioni di punta di Rai Due, “I Fatti Vostri”, in onda a partire dalle ore 11 e condotta, tra gli altri, da Giancarlo Magalli. Lo spazio che la trasmissione di Michele Guardì dedicherà alla storia di Pioli prevede la presenza del padre di Fabrizio, Antonio Pioli, e del caposervizi della redazione reggina del “Quotidiano”, Michele Inserra. Un modo, quindi, per tenere alta l’attenzione sul caso che da tre settimane ormai vede impegnati nelle ricerche del corpo di Pioli i Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, unitamente alle unità cinofile e gli elicotteri in forza all’Arma. Ricerche che sino ad oggi, purtroppo, non hanno portato ad alcun esito. Giornalmente vengono battute palmo dopo palmo le campagne che circondano il territorio di Melicucco, paese dove Fabrizio è stato visto per l’ultima volta, ma del suo corpo o quantomeno della Mini Cooper nera con il tettuccio bianco sulla quale viaggiava, si sono perse completamente le tracce. I principali accusati di aver ucciso Pioli e fatto sparire il suo corpo sono il pa- dre ed il fratello di Simona: Antonio Napoli, tutt’ora latitante, e Domenico, attualmente detenuto. A scaturire nei loro confronti l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Palmi, Paolo Ramondino, sono state le dichiarazioni fatte dalla stessa 24enne (ora sotto protezione, insieme al figlioletto) ai Carabinieri di Gioiosa Ionica, località dove Simona si è recata dopo aver visto il padre discutere animatamente, armato di pistola, con il 38enne elettrauto. Simona e Fabrizio si erano conosciuti su un social network e da poche settimane avevano intrapreso una relazione. A quanto pare, Pioli non era a conoscenza del fatto che Simona fosse sposata e avesse un bambino, così come non avrebbe Fabrizio Pioli mai immaginato che quella relazione nata sul web avrebbe potuto avere un epilogo così drammatico. Qualche giorno fa i Carabinieri hanno concentrato le ricerche in un pozzo situato in contrada Crofila, nella campagne di Melicucco, ma l’intervento dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco, calatisi nel pozzo profondo sette metri in cui giacevano cinquanta centimetri d’acqua, hanno portato alla luce soltanto la carcassa in decomposizione di una cane. Di Fabrizio paiono essersi completamente perse le tracce, così come del padre di Simona, datosi alla latitanza da settimane. Anche in questo caso, i Carabinieri stanno setacciando le campagne del circondario senza riuscire, almeno per il momento, ad individuare il nascondiglio dell’uomo. In attesa della stabilizzazione scenderanno in piazza con il sostegno delle organizzazioni sindacali Lsu e Lpu della Piana rilanciano il grido d’allarme di KETY GALATI ROSARNO –Stavolta fanno sul serio i lavoratori precari Lsu eLpu della Piana per ottenere la stabilizzazione. Ieri, da Rosarno, è stato lanciato dagli stessi lavoratori in preda ad una crisi di nervi l’ultimatum alle organizzazioni sindacali e al mondo della politica, per il riconoscimento dei loro diritti, calpestati da decenni. Gli Lsu e Lpu provenienti dai centri limitrofi di Seminara, Sant’Eufemia, Cittanova, Gioia Tauro e San Ferdinando, hanno presentato le loro proposte, in cui si è chiesto l’impegno concreto ed efficace del presidente della regione Calabria Giuseppe Scopelliti edell’assessore regionaleal Lavoro Francescantonio Stillitani. Malgrado, i precari abbiano bacchettato le organizzazioni sindacali presenti, tra cui Cgil e Cisl, attribuendo loro la responsabilità di non aver fatto nulla in tutti questi anni per risolvere la loro situazione di precariato, alla fine, gli stessi hanno affidato ancora una volta ai sindacati questa nuova battaglia. Spetterà dunque a Cgil e Cisl organizzare la protesta, in tempi rapidi, che sarà divisa in diverse fasi. La prima mossa riguarderà la convocazione di un’assemblea regionale dei lavoratori, che vedrà il coinvolgimento più possibile di tutte le parti in gioco. A Scopelliti si chiederà di farsi portavoce di un incontrocon le autorità nazionali, per programmare soluzioni verso la stabilizzazione dei lavoratori. Se questo non sarà sufficiente, gli Lsu e Lpu con il sostegno dei sindacati hanno annunciato uno sciopero contro leriforme delgoverno Montie manifestazioni in tutta la regione e a Roma. Sit- in davanti la prefettura ed a Catanzaro. E’ questo l’accordo raggiunto tra sindacati e lavoratori. Questi ultimi, ieri mattina hanno tirato le amare somme di oltre vent’anni di precariato, senza diritto alla malattia, alle ferie e a un futuro con la pensione. Discriminati da tutti i governi nazionali e regionali, i lavoratori nel limbo, con le braccia incrociate, non si accontenterannopiù deisussidi edelle integrazioni, ma hanno rivendicato un contratto regolare. Sono state queste le legittime richieste di Liliana Saffioti, che ha moderato il dibattito, Franco Restuccia, Filippo Sandariato, Daniele Scarcella, Andrea Surace, Mimmo Raso e Giuseppe Scandinaro. Il Sul critico sulla mancata approvazione “bipartisan” in consiglio regionale Ai rappresentanti sindacali, Angelo Anastasi, Cisl, i segretari regionale e generale della Piana Cgil, Claudia Carlino e Antonio Calogero, Patrizia Giannotta, Lidil Cgil, non è rimasta altrasceltache fareammendapubblicamente delle loro colpe, incalzando però i lavoratori ad una lotta diversa da quelle passate, che non hanno prodotto nulla. Gli unici sindaci presenti, Elisabetta Tripodi di Rosarno e Giuseppe Zampognadi Scidohanno fatto notare che l’unico modo per risolvere questo dramma è aprire un tavolo nazionale. Sono d’accordo con loro, i consiglieri regionale e provinciale Nino De Gaetano Pd e Giuseppe Longo, Rifondazione Comunista, che hanno suggerito a Scopelliti, di avviare misure straordinarie per stabilizzare gli Lsu e Lpu della Calabria. I nuovi rappresentanti Al Comune di Melicucco elezioni Rsu «Questa la partita fondamentale per il futuro della nostra regione» Assente la Cisl Trasporti e infrastrutture GIOIA TAURO - «Che su trasporti e infrastrutture si giochi lo sviluppo del prossimo futuro della regione Calabria crediamo sia abbastanza chiaro a tutti gli attori della politica calabrese. Finalizzare in manieraunitaria lepropostee gliintenti da presentare all’incontro in programma nei prossimi giorni con il Ministro per le infrastrutture, Corrado Passera, era fondamentale proprio per fornire al Ministero una visione di insieme chiara e precisa sulle priorità che riguardano i trasporti calabresi». Il Sul interviene sull’ordine del giorno approvato dal Consiglio Regionale lo scorso 12 marzo sul Piano Trasporti e Infrastruttre, esprimendo il proprio rammarico sulla mancata approvazione “bipartisan” del piano. Rammarico espresso proprio perché il settoredeitrasporti perilSulrappresenta il rilancio dell’economia calabrese. «La condivisione del programma degli interventi, vitale non solo per il rilancio dei trasporti regionali ma per la stessa sopravvivenza economica della Regione, non può e non deve avere prese di distanza da parte dinessuno. I cittadini calabresi sonostanchi dello scaricabarile e non credono più ai salvatori della patria. Anche se il percorso doveva essere condiviso a monte e non arrivare in dibatti- Il porto di Gioia Tauro mento con punti ancora “in sospeso” ci sembra alquanto superficiale il comportamento di quelle forze politiche che non hanno voluto essere protagonisti fino in fondo su un progetto che potrebbe cambiare il futuro della Calabria». Ed inoltre per il Sul «indispensabili e di priorità assoluta le attività fissate con l’ordine del giorno approvato a maggioranza stigmatizza, in questo momento di crisi, il comportamento della politica. Non si può pensare che qualcuno possa avere riserve o che ancora si possa ancora discutere sulla necessità di completamento della A3 come su quello della statale 106 per rendere la nostra regione “europea” come le altre regioni d’Italia». “Stop”, quindi ai «soprusi» da parte del Governo, e via a qualcosa «di eclatante», per potenziare il sistema aeroportuale calabrese. «Anche a livello locale bisogna fare una seria riflessione visto lo sfascio che regna nel Trasporto Pubblico Locale e la Regione non può continuare a fare orecchio da mercante. Ferrovie della Calabria, che rappresenta la più grande azienda del trasporto pubblico calabrese, dopo gli sforzi dei lavoratori, ha bisogno di passare dalla fase di risanamento ad una fase di rilancio. Anche su questo pretendiamo che si faccia chiarezza. L’altra piaga che rischia di incancrenirsi è il PortodiGioia Tauro,sucuispesso cisifa grandi, ma che in realtà è abbandonato da sempre. Non è più possibile perdere un minuto se non si vuole lasciare alla concorrenza africana il monopolio del traffico contenitori nel Mediterraneo e non si può più pensare di rimandare la “completa realizzazione del nodo intermodale di Gioia Tauro ed il potenziamento delle Infrastrutture portuali». fra. pap. MELICUCCO – Anche al Comune di Melicucco le elezioni dei rappresentanti sindacali tra i dipendenti dell’ente. Quindici i votanti, sui diciotto aventi diritto. Per la lista Fp Cgil, sono stati eletti Michela Amaro (due voti) e Antonio Macidionio (tre voti), mentre per la lista Funzione Pubblica Uil le preferenze sono andate a Angela Franco (tre voti) e Domenico Antonio Redi (quattro voti). Assente la Cisl, per motivi che lo stesso Redi ha voluto sottolineare: «la nostra è stata una forma di protesta verso una sigla sindacale che si è dimostrata poco attenta nei nostri riguardo. Eravamoin tredici adaderire alla Cisl,che interpellata diverse volte su specifici argomenti, non ci ha fornito alcun tipo di riposta. Ecco che abbiamo optato per altre sigle sindacali, anche se molti dipendenti hanno scelto di non iscriversi in attesa di vedere quale sarà l’attenzione verso le problematiche sollevate». do. ga. BREVI A ROSARNO Pistolettate a auto ERA l’una della notte scorsa quando una telefonata anonima avvertiva i carabinieri di alcuni colpi esplosi nella centralissima via Convento a Rosarno. Quattro colpi di fucile calibro 12 caricato a pallettoni esplosi all’indirizzo di una Peugeot di proprietà di G.S., 75 anni. I colpi hanno danneggiato la fiancata destra dell’auto ed anche il portone dell’abitazione. GIOIA TAURO Nomina di Pedà IL presidente nazionale del gruppo giovani imprenditori di Confcommercio, Paolo Galimberti, ha espresso viva soddisfazione per la nomina del vicepresidente nazionale del gruppo, Giuseppe Pedà, nel Consiglio di amministrazione delle Ferrovie della Calabria. «Vengono riconosciute le doti professionali e umane di un giovane imprenditore e manager». E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Piana Giovedì 15 marzo 2012 Corigliano e costa jonica Giovedì 15 marzo 2012 “Timpone Rosso” in Corte d’assise: la difesa demolisce i pentiti sull’agguato a Campana e a Fabbricatore Il superteste scagiona il boss Il maresciallo dell’Aeronautica: «Barillari il giorno dell’omicidio era a Roma» di MATTEO LAURIA CORIGLIANO - In Corte d’Assise a Cosenza in “Timpone Rosso” spunta un super teste che fornisce un alibi di ferro al presunto boss Maurizio Barillari, accusato di concorso nell’esecuzione del duplice omicidio compiuto lunga la statale 106 jonica il 25 marzo del2002in cuivennerotrucidati a colpi di kalashnikov Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana. Si tratta di un maresciallo dell’aeronautica militare in attività a Roma, ma di origini coriglianesi. Un teste indicato dalla difesa (rappresentata dall’avvocato Salvatore Sisca), il quale ha riferito che nel periodo in cui fu data esecuzione al piano omicidiario il Barillari si trovava a Roma con la famiglia, in particolare ad Aprilia. Tesi questa confermata da altri quattro testi. La stessa Corte ha mosso perplessità circa l’esigenza di assumere una dichiarazione del genere in una fase diversa del processo. E’ stata Il tribunale ascoltata la moglie di Barillari sul punto ed il fratello di Vincenzo Campana (Giuseppe) attualmente detenuto presso il carcere di Rossano. Barillari è in carcere da circa tre anni presso l’istituto di pena di Parma edè sottoposto al regime del 41-bis (carcere duro). La linea difensiva è mira- ta a demolire il quadro accusatorio, facendo leva sulla presunta inattendibilità del collaboratore di giustizia Vincenzo Curato, lo stesso che cita Barillari nell’ambito non solo del duplice omicidio Fabbricatore-Campana, ma anche in quello di Giorgio Cimino. Il pentito Curato si è autoaccusato nell’aver interagito in concorso negli omicidi contestati. Sul punto emergono contraddizioni poiché il collaboratore di giustizia al momento dell’agguato mortale a Fabbricatore e Campana pare fosse detenuto presso il carcere di Catanzaro. A coinvolgere Barillari, in questo gioco al massacro, altri due collaboratori di giustizia: Pasquale Perciaccante (già condannato all’ergastolo con l’accusa di omicidio) e Carmine Alfano (legato da un rapportodi parentelaconBarilari). Nelle sue esternazioni Curato, individua mandanti ed esecutori materiali, e ricostruisce una scala piramidale che conduce l’onorata so- cietà coriglianese al clan degli zingari di Cassano. “Timpone Rosso” porta la firma della distrettuale antimafia, la stessa che nel luglio del 2009 smantella uno dei più potenti sistemi ‘ndranghetisti operanti nella Piana di Sibari con epicentro nei comnuni costieri di Cassano, Corigliano e Rossano. Il maxiprocesso vuole fare piena luce su mandanti ed esecutori materiali di ben undici omicidi commessi lungo il litorale jonico. Il capo d’imputazione dominante èl’associazione adelinquere di stampo mafioso. Ventisette sono gli indiziati, per alcuni dei quali è scattato il carcere duro. A costituirsi parte civile in questo processo i Comuni di Cassano e di Corigliano, la Regione Calabria, i familiari di Giorgio Salvatore Cimino e Sergio Benedetto barbaramente uccisi in una lotta fratricida tra cosche per il dominio del territorio. Prossima udienza programmata per mercoledì prossimo. IL RITO ORDINARIO Santa Tecla, in aula le due presunte vittime di estorsioni CORIGLIANO - Processo “Santa Tecla” (rito ordinario), oggi è il giorno degli imprenditori Cataldo Russo e Pietro Paolo Oranges, nonché del pentito Pasquale Perciaccante. Si procederà ad esame e controesame affidati alla pubblica accusa (rappresentata da Vincenzo Luberto) e alla difesa dei principali imputati i fratelli Maurizio e Fabio Barillari (rappresentati dagli avvocati Salvatore Sisca, Marco Gemelli e Franco Oranges). A chiamare in causa i due imprenditori (Russo tra l’altro coordinatore provinciale dell’Udc) il pentito Carmine Alfano non solo nei verbali sottoscritti ma anche in sede di esame e controesame nell’attuale processo. Il pentito ritiene i due imprenditori Pietro Paolo Oranges e Cataldo Russo, vittime di estorsioni. Lo stesso Alfano tuttavia precisava che Russo non aiutava il clan, e che a sostenere la onorata società coriglianese fossero solo gli Straface. Maurizio Barilari, secondo Alfano, imponeva a Russo le ditte da impiegare nei cantieri dei lavori e negli appalti. Questa mattina i due costruttori, legati da rapporti di parentela, saranno incalzati anche su questi punti. I due sono stati indicati come testi sia dalla pubblica accusa sia dalla difesa. Poi sarà sentito Pasquale Perciaccante, pentito chiave nel processo in corso in corte d’assise a Cosenza meglio conosciuto come “Timpone Rosso”. m.l. IL RITO ABBREVIATO Flesh market, la difesa «Ecco le contraddizioni delle ragazze» CORIGLIANO - Nell’inchiesta “Flesh Market” sfilano in aula i testi della difesa. Ieri mattina, nel rito immediato, sono stati ascoltati alcuni familiari (moglie e figlia) ed altri dipendenti dell’imputato Giuseppe Russo. Il processo è chiamato a provare i capi di imputazione che oscillano tra sfruttamento, favoreggiamento e induzione della prostituzione. Accusati a vario titolo: Giuseppe Russo, Santo Bagnato, Damiano Collefiorito, Cosimo La Grotta , Giuseppe Brina, Saverio La Camera, Vincenzo Novelli, Italo Le Pera e Natale Musacchio (collegio di difesa composto da : Giovanni Zagarese, Pasquale Di Iacovo, Vincenzina Mazzuca, Libero Bellintani, Giacinto D’urso e Franco Oranges Francesco Calabro’, Giuseppe Zumpano, Andrea Salcina, Lucio Esbardo, Mauro Cordesco, Maria Zucarelli, Giuseppe Mainieri). Dalle testimonianze sono emerse alcune contraddizioni contenute anche in un esposto che una delle figlie di Russo depositava nell’agosto del 2011 ai carabinieri all’interno del quale si evidenziavano le dichiarazioni contrastanti rese da una delle quattro sorelle (L.M) nel narrare i rapporti intercorsi con il Russo. In un verbale datato marzo 2011 M.L. dichiara di avere avuto un rapporto completo con Russo e di avere percepito come somma la cifra di 50 euro. Durante l’incidente probatorio invece riferisce di avere percepito 150 euro e che in quella prima occasione aveva perso la verginità. Moglie e figlia di Russo confermano che l’imputato non ha cicatrici, non usa jeans, non ha ferite sulla pancia. Tutti elementi introdotti dalla giovane M.L. in sede di incidente probatorio. m.l. Moglie e figlia di Russo dalla parte dell’imputato Il centrodestra risponde al centrosinistra sulla sanità e difende Dima Raccolta differenziata Il Pdl conta sull’ospedale solo per i commercianti Pronta la proroga del commissariamento, speranze per la Sibaritide Ausonia: «Primo passo» di LUCA LATELLA CORIGLIANO –Nel prossimo weekend il governo centrale affiderà nuovamente l’incarico di commissario per l’emergenza sanitaria in Calabria al governatore Scopelliti. Una notizia, che si attendava già da qualche tempo e sulla quale non erano mancate le polemiche. L’“operazione”del governo Monti consentirà la nomina della commissione di gara per il nuovo ospedale della Sibaritide, e quindi un’accelerata all’iter burocratico. Una notizia che serve da spunto al Pdl di Corigliano per chiedere a Scopelliti di procedere con tempestività alla nomina della commissione di gara che dovrà valutare le proposte progettuali presentate per la realizzazione del nuovo ospedale. I berlusconiani locali non disdegnano qualche frecciatina: “Chi mette in dubbio questo processo di trasformazione della sanità nel territorio, o lo fa perché non conosce i fatti , o per qualunquismo”. Un tema, la sanità, sul quale il Pdl invita al confronto perché convinti che il dibattito sul futuro dell’ospedale di Corigliano, anche alla luce della realizzazione dello spoke Corigliano-Rossano che prevederà l’erogazione di prestazioni in forma integrata e complementare tra i due nosocomi dell’area urbana, «do- Corsia di ospedale vrebbe essere scevro da condizionamenti». Dal partito, inoltre, tentano di smorzare le polemiche scaturite dall’ipotesi di un “trasferirmento” di Ginecologia da Corigliano a Rossano col definire la manovra «un incidente di comunicazione che nasce da un incontro avuto con i primari con il direttore Scarpelli e che va inquadrato in una discussione di carattere tecnico e che non è stata avallata da nessun rappresentante istituzionale ad iniziare da Giovanni Dima che oggi è destinatario di critiche assolutamente infondate ed ingiuste». CORIGLIANO – Il “lancio” della raccolta differenziata solo per gli esercizi commerciali, come probabilmente si avvierà nei prossimi giorni, per il movimento “Liberi Ausoni” rappresenta un “timido tentativo” poiché serve, invece, sensibilizzare i cittadini “sull’importanza del rispetto dell’ambiente e avviare la raccolta differenziata porta a porta”. Il movimento, tuttavia, apprende “favorevolmente” l'iniziativa intrapresa dai commissari prefettizi che riguarda la raccolta differenziata. Forza Nuova apre a Schiavonea Alla sbarra il pensionato che perseguita e minaccia una donna di 63 anni nese, portandolo alle devastanti conseguenze che sono oggi sotto gli occhi di tutti”. Forza Nuova avrà la sua sede cittadina a Schiavonea, mentre come presidente del circolo e coordinatore cittadino di Corigliano sono stati nominati Maria Filomena Russo e Leonardo Foggia. “Forza Nuova – conclude la nota del partito –non vuole collocarsi né a destra, né a sinistra, la politica è la scienza e la madre di tutte le filosofie terrene: o la si fa per crescere con onore, dignità e coerenza oppure meglio stare a guardare per non causare danni alla collettività”. l. l. SIavvia a conclusione il processo che vede alla sbarra il 73enne Cosmo Caputo, accusato di tentato omicidio e stalking . L’uomo nel corso degli anni avrebbe perseguitato un'anziana di 63 anni, fino ad arrivare a fermarla sotto casa e schiaffeggiarla. Una delle aggressioni più gravi si consumava nei pressi di una farmacia di Cantinella dove l’anziano avrebbe finanche tentato di soffocare la vittima. Tesi questa confermata ieri mattina in aula presso il Tribunale di Rossano da un teste che ha assistito alla scena. Prossima udienza, attesa la sentenza, il 28 marzo. m. l. Altre nomine all’interno del circolo col segretario regionale CORIGLIANO–Il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, ieri pomeriggio ha sancito l’apertura del circolo a Schiavonea. Il segretario nazionale di Forza Nuova,insieme alsegretario regionaleDavide Pirillo hanno anche inaugurato il circolodi Castrovillariperquellache stadiventando sempre più una realtà dopo alcuni mesi di radicamento locale. A Corigliano si penserà a dar vita ad un nuovo progetto politico che, si legge in una nota, “guardi unicamente alle persone, ai loro diritti, ai loro problemi perché è ora di dire basta alla partitocrazia asfissiante e malata che ha corroborato anche il tessuto cittadino coriglia- “Si tratta, anche se di un primo approccio, di un passaggio importante in tema d'ambiente che deve portare la città nella direzione di diventare “virtuosa”in termini di smaltimento dei rifiuti. Il tema della raccolta differenziata – spiegano – è stato affrontato più volte dal nostro movimento anche nel corso di un incontro avuto con la commissione presieduta da Rosalba Scialla. Nel corso del suddetto incontro avevamo evidenziato la necessità di avviare un percorso di programmazione atto a valorizzare l'ambiente ma prima ancora salvaguardarlo”. Liberi Ausoni ricorda come per anni i cittadini abbiano pagato “bollette salatissime”, e continuano a farlo, per fruire del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani e per la differenziata, “mai effettivamente partita”. “E’ indubbio, però, che la città di Corigliano necessita, per facilitare lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti, di avviare un percorso a lungo raggio”. Ma è indispensabile e necessaria, a loro dire, una campagna di sensibilizzazione per avviare una vera e propria ““istruzione alla raccolta differenziata”, per poter avviare, successivamente, cosiddetta raccolta “porta a porta”. l. l. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 38 Cosenza Giovedì 15 marzo 2012 Appello alla politica a evitare la chiusura dell’importante clinica privata L’INTERVENTO «Sono ritardi dolosi» Una Vibo che non c’è più Francesco Stinà (La destra) sulla Villa dei Gerani di GIANLUCA PRESTIA CONTINUA a tenere banco la delicata vicenda della Villa dei gerani, la clinica provata che rischia la chiusura in quanto non ha ricevuto il pagamento delle prestazioni da parte dell’Asp. Si tratta di una cifra rilevante: poco più di cinque milioni di euro. Già in precedenza, dopo la protesta della dirigenza della struttura sanitaria privata, erano intervenuti organizzazioni sindacali e consiglieri comunali che si erano appellati ai vertici aziendali e avevano investito del problema anche i sindaci del territorio. L’ultimo intervento in ordine di tempo è quello di Francesco Stinà, segretario provinciale della Federazione “La Destra” che senza troppi giri di parole parla di «caso eclatante» e di «dolosi ritardi». La clinica ha, di fatto, dovuto sospendere l’attività di Ostetricia e Ginecologia ponendo in cassa integrazione circa dieci dipendenti oltre ad avere interrotto i rapporti con almeno altrettanti professionisti, pur continuando a svolgere in modo eccellente attività di chirurgia, oculistica, Risonanza Magnetica e tutta la diagnostica perimmagini. Vi è, purtroppo, una impasse nei pagamenti determinata da molteplici cause, alcune delle quali sono, secondo Stinà, da ricercare «nelle strumentali e temerarie opposizioni, da parte dell’Asp, ai decreti ingiuntivi emessi dalla struttura che bloccano crediti per rilevanti importi; altra causa è determinata da incomprensibili dubbi interpretativi in relazione alla efficacia o meno di delibere dell’Asp che comportano il congelamento di corrispettivi riferiti a prestazioni rese, oltre ai biblici ritardi con cui vengono effettuati i controlli essenziali al pagamento dei saldi delle stesse prestazioni. Se non fosse per la vigorosità e solidità della struttura sanitaria si sarebbe assistito ad un tracollo di un’ennesi- La clinica privata Villa dei Gerani e Franco Stinà (La Destra) ma iniziativa economica, valido supporto ad un importante servizio pubblico, che questo martoriato territorio vibonese non può permettersi». A questo punto Stinà si chiede i motivo di questi «eclatanti dolosi ritardi negli adempimenti», aggiungendo di non credere che la causa sia l’indolenza, abulia e/o incapacità nel valutare la necessità di riconoscere il diritto all’ottenimento aicorrispettivi nelleforme edelle condizioni contrattuali pattuite. «Noi aggiunge - desideriamo farci interpreti del disagio che si avverte all’interno delle famiglie del personale dipendente chegravita intornoa Villadei Gerani, dei Professionisti a cui siamo vicini e a cui vogliamo esternare la nostra solidarietà invitando quanti svolgono ruoli istituzionali a prendere posizione in relazione alla vicenda che non è solo Villa dei Gerani ma è un servizio pubblico essenziale che non può essere lasciato allo sbando e che tra l’altro pregiudica una importante base occupazione verso la quale non si può rimanere indifferenti». A officiare la santa messa il vescovo Luigi Renzo Celebrato nel Duomo di S. Leoluca il precetto pasquale interforze Un plauso, inoltre, l’esponente di La Destra, l’ha indirizzato all’iniziativa del consigliere del Pdl Maddalena che ha inteso presentare un ordine del giorno all’attenzione del civico consesso di Vibo Valentia con il quale impegna il sindaco e l'intera giunta ad attivare tutte quelle opportune e necessarie iniziative atte a scongiurare il pericolo che l'importante presidio sanitario vibonese possa subire ulteriori penalizzazioni, ostacolandone l'attività e compromettendo gli attuali livelli occupazionali e dei servizi offerti. «Occorre, dunque, fermare o quantomeno limitare gli ingenti danniche stasubendo il territorio a cagione della non oculata attività programmatoria del settore, della abulia, che appare larvata forma di “strafottenza” anche politica verso una problematicità che sembra non appartenere a nessuno; tanto è grande ed estesa che sta imbrigliando negativamente tutto il settore sanitario vibonese, incidendo, negativamente a livello esponenziale, anche sull’unica strutturasanitaria privata esistente, obbligando tutti gli addetti ai lavori (pubblici e privati) a navigare a vista senza cognizione dell’orizzonte». L’auspicio di Stinà, è che, a questo punto, la Politica locale si attivi in maniera incisiva nel porre in essere azioni tendenti a scongiurare «la malaugurata ipotesi che malcelati e pretestuosi ritardi, che dubbi ed incertezze interpretative possano pregiudicare diritti fondamentali e personalissimi dei cittadini e dei lavoratori». QUEL nome di origine latina, che leggevo transitando col treno alla stazione della frazioneMarina, miaffascinava. Destino volle che ne divenissi cittadino, di Vibo Valentia, per l'appunto. Erano gli anni Sessanta e passa. Anni di fervore culturale, delle interessantissime manifestazioni dell'Agosto vibonese, dei teatri all'aperto, dei concorsi di Miss Italia, delle attrazioni artistico-culturali, dei film d'essai, dei circoli ricreativoculturali, delle conferenze e serate al Cine club, delle vivaci conversazioni salottiere nelle farmacie di Libero Buccarelli e dei fratelli David sul corso Umberto I, degli edifici scolastici rispettati e non scarabocchiati. Era la Vibo che, dopo le fieree imercatisettimanali, tornava ad essere pulita dai netturbini con scope, palette e bidoni. Era una città ordinata, gentile, cortese, accogliente: era il giardino su quel mare azzurro e dalle arenose spiagge bianche. I tratti di quell'epoca da Amarcord felliniana non troverebbero posto nella contrastante realtà socioambientale attuale in cui ci siamo (o ci hanno?) ridotti. Ripercorrendola oggi troviamo le attuali vie con metalliche fioriere traboccanti di variopinti sacchetti di indifferenziati rifiuti, addossati persino ad edifici scolastici (scuola De Amicis, Liceo “Morelli”). Percorrere le strade cittadine in auto è come andare in alcuni supermercati: qui paghi uno e ne prendi due, là eviti una buca e ne prendi due. Non puoi evitarne alcuna al Cancello Rosso e in via Cocari, ove spesso tornano a trasformarsi in pozzanghere e groviere, specialmente in via Cocari con 50 buche in meno di venti metri. Andare al cimitero è un rischio per quel tratto franato che pare ammonire: «Fratello, ricor- Presentata la XVII giornata della Memoria in programma a Serra San Bruno il 21 marzo Libera ricorda le vittime della mafia di FRANCESCO IANNELLO Rappresentanti delle forze dell’ordine presenti alla messa e il vescovo Renzo IERI mattina, in occasione delle imminenti festività pasquali numerosi appartenenti alle forze dell'ordine della provincia, con in testa i rispettivi comandanti provinciali, hanno partecipato alla tradizionale celebrazione eucaristica in preparazione della Pasqua, officiata dal vescovo Luigi Renzo. Per l'occasione, oltre all'Ordinario militare, erano presenti tra glialtriil sindacoNicolaD'Agostino, il presidente della Provincia Francesco De Nisi, l'ex senatore Antonino Murmura e il vice prefetto vicario Maria Stefania Caracciolo, in rappresentanza del prefetto Michele Di Bari. La funzione religiosa, nel duomo di San Leoluca, ha rappresentato un importante momento di meditazione per tutte le istituzioni presenti sul territorio. Nell’omelia il vescovo ha sottolineato, tra l'altro, l'importanza della riflessione interiore, dell'apertura a Dio e della carità “spirituale”, che è poi il modo corretto di rapportarsi con il prossimo, che deve contraddistinguere l'operato di tutti, cittadini, forze dell'ordine ed esponenti istituzionali e religiosi. f. p. dati che devi morire». Il cimitero, peraltro, è vicino. Anche qui, nella nuova città dei morti, le stradine sono prive di pavimentazione. Altre strade sembrano ormai abitualmente utilizzate a veri “cessi per cani” nelle quotidiane passeggiate al guinzaglio. Un avviso ai pedoni: «Cave canis excrementa». Di sera, è bene munirsi di torce elettriche, data la ridotta illuminazione per la soppressione degli appositi pali con lampioni (ben cinque segati nella sola via Mons. O. Brindisi). La disciplina del traffico automobilistico è affidata al buon senso e alla pazienza degli automobilisti. Vigili urbani presenti nei punti nevralgici? Non ce ne sono più, nè ci sono i pazienti ausiliari del traffico. Ora c'è la Polizia municipale, che non vedi, ma passa improvvisamente e ti lascia un segno del suo passaggio: unverde biglietto da visita sul parabrezza dell'auto, posteggiata entro le strisce bianche, ma in zona pedonale (come a piazza Municipio): sei contravvenzionato e devi pagare, nessuna grazia. Come dire, non dispiacerti, in un periodo di profonda crisi economica devi contribuire a battere cassa, pur pagando già al Comune l'addizionale Irpef, anche alla Regione, con il decretato aumento. Questi e tanti altri aspetti caratterizzano le attuali condizioni fisico-ambientali, civiche, morali e socioculturali che mettono a nudo uno stato di decadenza che va deturpando una Città, quale Hipponion-Vibona-Monteleone-Vibo Valentia, ricca di trimillennaria storia di memorabili eventi umani e di civiltà. Quella città, la Vibo Valentia educata, civile, gentile, pulita e ridente giardino sul mare, c'era una volta. Antonio Roberto Carrabba CAMMINARE insieme per ricordare, per condividere un momento di fratellanza, di dolore e nello stesso tempo di gioia. È difficile entrare nella testa e nel cuore delle tante persone che ancora oggi, magari a distanza di tanti, troppi anni, ricordano i propri cari uccisi dalla criminalità organizzata. Vite spezzate che coinvolgono giovani e meno giovani, uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di essersi battuti contro le mafie, contro un sistema di potere che sovente opprime il tessuto sociale di un determinato territorio fino a farlo divenire un'entità asfittica nella quale il sentimento che pervade talora è solamente quello della paura e dell'impotenza. Combattere e gridare a voce alta i valori della legalità, della dignità, della giustizia sociale, della corresponsabilità e il rispetto della costituzione e dei diritti delle persone. Sono questi i riferimenti che l'associazione “Libera, nomi e numeri contro le mafie” vuole mettere in campo nella diciassettesima Giornata della Memoria e dell'impegno in ricordo delle vitti- Barbara Vinci, Bruo Rosi, mons Giuseppe Fiorillo e Matteo Luzza me delle mafie. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sala del Duomo di San Leo Luca di Vibo Valentia, l'associazione ha avuto modo di illustrare e di comunicare lo svolgimento di questa giornata. L'evento si terrà mercoledì 21 marzo a Serra San Bruno. È dal 1996 che ogni 21 marzo (primo giorno di primavera) si celebra la Giornata della Memoria per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie. Ad introdurre l'evento Monsignor Giuseppe Fiorillo, coordinatore provinciale di Libera, Mat- teo Luzza e Barbara Vinci (entrambi hanno perso dei propri cari per opera della criminalità organizzata), presente, inoltre, anche il sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi. Comune denominatore che unisce il pensiero dei presenti è il ricordare i propri cari, è il concetto di memoria che va ribadito perché, come ha affermato Matteo Luzza, «se non ricordiamo i nostri cari e che come se li uccidessimo una seconda volta». Matteo Luzza ha perso suo fratello il 15 gennaio del 1994 e i resti del suo cor- po furono ritrovati proprio il 21 marzo. Barbara Vinci, invece, era appena una bambina quando il 14 aprile 1980 suo padre fu assassinato nella gioielleria dello zio a Serra San Bruno. E la cittadina serrese è stata scelta quest'anno da Libera per trasmettere un messaggio di positività ad una comunità da tempo oggetto della faida dei boschi o da tempo protagonista di delitti efferati come quello del giovane Pasquale Andreacchi. Ed è proprio nel ricordo di quest'ultimo e di tutte le 900 vittime delle mafie che il 21 marzo si ritroveranno in tantissimi a Serra per dar vita ad un corteo di preghiera, ad una celebrazione che avrà il suo culmine nella lettura dei nomi delle vittime innocenti. Tanti i giovani provenienti dalle scuole di Vibo, Tropea e Serra e dal mondo dello scoutismo che leggeranno dei temi e delle frasi da loro svolti. Dunque, non casuale la data del 21 marzo simbolo di una nuova stagione , di una rinascita culturale e sociale, luogo d'incontro per sprigionare la forza di volontà dei familiari delle vittime e per lanciare e per promuovere un messaggio e un'azione di pace. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 22 Vibo dal POLLINO alloSTRETTO Scopelliti interrogato per 2 ore GIOVEDÌ 15 marzo 2012 PAGINA 5 regionale quotidiano d’informazione regionale calabria ora quotidiano d’informazione Visita il nuovo sito Visita il nuovo sito di Calabria Ora di Calabria Ora www.calabriaora.it www.calabriaora.it Il governatore davanti al pm si è difeso dall’accusa di tentato abuso d’ufficio CATANZARO «Ho rappresentato in maniera lineare al sostituto procuratore la scelta fatta. Si tratta di atti che non hanno prodotto alcun effetto, perché revocati nel mese di luglio 2011. È stata chiara la condotta tenuta. Atti deliberativi che non hanno avuto continuità nel tempo, anche sulla scorta delle indicazioni fornite dal “Tavolo Massicci”». Poche parole, ma significative, quelle riferite alla stampa dal presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti al termine dell’interrogatorio in Procura durato due ore. Le stesse, non nella forma ma nei contenuti, che aveva pronunciato il 16 febbraio scorso quando sul suo tavolo gli arrivò l’avviso di garanzia, che rese noto con un comunicato stampa. Il governatore, arrivato negli uffici giudiziari del capoluogo alle 15, dopo aver partecipato a una trasmissione televisiva, ha portato con sé una serie di documenti e ha risposto, assistito dai sui legali Nico D’Ascola e Aldo Labate del foro di Reggio Calabria, alle domande del sostituto procuratore Gerardo Dominijanni, titolare del fascicolo, relative «Al procuratore agli atti rispetto ai ho rappresentato quali il governatore è indagato per tentato in maniera abuso d’ufficio in chiara qualità di commissala scelta fatta» rio ad acta per l’attuazione del Piano di rientro della Sanità. Si è difeso da tutte le accuse, fornendo la sua versione dei fatti. L’inchiesta, in particolare, riguarda alcuni provvedimenti che sarebbero stati assunti, secondo la Procura, senza il preventivo parere del Tavolo Massicci. Al commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro in Sanità, vengono contestati la stipula del “Patto di Legislatura”, firmato il 10 agosto del 2010 e poi rivisto il primo giugno Sopra l’arrivo del governatore Giuseppe Scopelliti in Procura; in alto a destra il pm Gerardo Dominijanni pochi istanti prima dell’interrogatorio al presidente del 2011 tra la Regione e l’Aiop. L’accordo era finalizzato a mantenere i volumi di fatturato delle cliniche private nell’arco di cinque anni a fronte del taglio immediato dei posti letto. Con lo stesso accordo, l’Aiop si impegnava ad investire nelle alte specialità per ridurre la migrazione sanitaria, che costa alla Regione circa 238milioni di euro. La conseguenza? Per il sostituto procuratore Dominijanni, questo accordo non avrebbe consentito alla Regione di ottenere le premialità previste dal Fondo Sani- tario. A quanto pare, però, questo protocollo sarebbe stato sospeso e revocato il 22 luglio del 2011, otto mesi fa, con un decreto del commissario Scopelliti, perché a detta del Tavolo Massicci non era corretta la procedura: le relative competenze dell’iter spettavano all’ufficio del commissario e non alla giunta. Gli altri due atti contestati dall’ufficio di Procura fanno riferimento alla delibera di giunta relativa al rinnovo del protocollo d’intesa tra Regione Calabria e Università Magna Grecia e all’approvazione con delibera di giunta del regolamento attuativo contenente i requisiti minimi per l’autorizzazione al funzionamento, le procedure per l’accreditamento dei centri socio riabilitativi per disabili e la riconversione dei servizi Siad, relativi alla Fondazione Betania onlus. Provvedimenti assunti, secondo le tesi della pubblica accusa, senza preventivo parere del Tavolo Massicci. Per la convenzione con l’università Magna Grecia, risultano inoltre indagati il direttore generale del dipartimento Salute Antonino Orlando e per la delibera relativa alla Fondazione Betania l’assessore al Lavoro Francescantonio Stillitani insieme ad una dirigente del dipartimento. Due settimane fa, il primo marzo, era stato interrogato dal sostituto procuratore Dominijanni il dirigente Antonio Orlando, accusato, anche lui, di tentato abuso di ufficio in concorso. Ma Orlando aveva scelto il silenzio, si era avvalso della facoltà di non rispondere. GABRIELLA PASSARIELLO [email protected] processo why not rante, principale teste d’accusa ed imputata nel processo per una presunta violazione delle norme sul lavoro. Ma lei non si è presentata e l’accusa ha chiesto l’acquisizione dei verbali delle sue dichiarazioni. Richiesta accolta dal collegio, presidente Antonio Battaglia a latere Adriavizi relativi al censimento del patrimonio im- na Pezzo e Giovanna Mastroianni ma con mobiliare dell’ente e per la verifica dei biso- l’opposizione dei difensori di alcuni imputagni formativi dei dirigenti a società esterne, ti alla loro utilizzabilità per la parte riguarha riferito che «le pratiche erano curate dai dante i loro assistiti. L’udienza è stata aggiorfunzionari degli assessorati e che la Giunta, nata al prossimo 28 marzo, giorno in cui vervotando le delibere, aveva compiuto un atto ranno chiamati i testimoni a discarico. L’indagine, avviata nel di indirizzo. 2006 dall’allora sostituto Io prima della seduta di Così risponde procuratore della Repubbligiunta non ne ero a conol’ex assessore ca di Catanzaro Luigi De Mascenza perché mi occupavo gistris, oggi sindaco di Napoal Personale di altri settori. E poi sulle li,avocata e affidata alla Proesternalizzazioni, a me intealle domande cura generale di Catanzaro, ressava il risultato, so che del procuratore riguardava un presunto covenne costituita una task formitato d’affari politico - afface,ma non me ne occupavo ristico che avrebbe illecitapersonalmente. Io ai dirigenti davo piena autonomia nei limiti della legge, dell’esternaliz- mente gestito sia i soldi destinati allo svilupzazione della Bifor e dell’Infor per via diret- po della Calabria che i progetti finanziati dalta alla Brutium, lo seppi tempo dopo». Atte- la Regione. g. p. so per ieri l’interrogatorio di Caterina Me- Morrone: raccomandazioni? Sono contrario a queste cose Il tribunale di Catanzaro CATANZARO «Non ho mai raccomandato nessuno. I candidati venivano da me per cercare lavoro, ma io mi limitavo a dire loro di compilare la domanda perché va avanti il merito. Io non li conoscevo, non sapevo quale fosse il loro grado di preparazione. In un’azienda i lavoratori devono essere utili, sono sempre stato contrario a queste cose». L’ex assessore regionale al Personale nella giunta di centrosinistra e attuale consigliere Ennio Morrone, ieri, a Palazzo Ferlaino, ha risposto alle domande del sostituto procuratore Massimo Lia nell’ambito del processo Why not su presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici. Ha negato di avere mai raccomandato lavoratori assunti dalle società esterne per lo svolgimento degli incarichi. Morrone, imputato per abuso di ufficio rispetto all’affidamento da parte della Regione di alcuni ser- 6 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O ora Sequestrati 262 chili di coca La droga era in due container arrivati al porto di Gioia dall’America latina GIOIA TAURO (RC) Come un’efficientissima “società di servizi”, la holding criminale che gestisce il traffico di cocaina attraverso le banchine del porto di Gioia Tauro, continua a fare entrare sul territorio italiano la droga in arrivo dal Centro e Sud America. Questa volta sono 262 i chilogrammi di stupefacente individuati e posti sotto sequestro dagli uomini del Goa di Reggio Calabria e Gioia e dai loro colleghi dell’ufficio delle dogane. Una quantità notevole di droga che va ad aggiungersi alla montagna di polvere bianca che transita, ormai da anni, in questo pezzo di Calabria prima di essere suddivisa tra i vari gruppi di narcotrafficanti che curano tutte le fasi della paradossale “filiera” che fa della Piana uno degli ingressi privilegiati della coca sul mercato del Vecchio continente. La droga scovata dagli inquirenti, questa volta, viaggiava su due distinti container provenienti dal porto peruviano di Paita e da quello, un po’ più a nord di Mazatlan, in Messico. Ad insospettire gli agenti delle fiamme gialle una serie di “stranezze” rinvenute sui piombi posti a sigillare gli stessi container che non rispondevano ai canoni. Dopo un’accurata ispezione infatti – ispezioni che general- UN MARE DI DROGA Uno dei 219 panetti di cocaina sequestrati nello scalo di Gioia Tauro mente si avvalgono anche di sofisticati macchinari scanner in grado di individuare le anomalie contenute all’interno dei Teus – i militari hanno rivenuto cinque borsoni carichi di 219 panetti ripieni di neve. Una goccia nel mare di coca che gli inquirenti valutano passare attraverso le griglie dello scalo gioiese, ma che, una volta ac- curatamente tagliata (anche tre o quattro volte rispetto alla polvere originaria) con altre sostanze chimiche, avrebbe fruttato ai vari compratori della partita, una somma che si aggira attorno ai cinquanta milioni di euro. Un meccanismo ben collaudato quello utilizzato dai narcotrafficanti; un meccanismo che segue quasi sempre lo stesso copione e che riesce ad agire grazie ad una struttura “orizzontale” in grado di assicurare una testa di ponte nei porti latino americani di partenza, dove appartenenti al giro si occupano di ricevere i carichi direttamente dai narcos, prima di individuare i container ritenuti più si- curi e caricarli con gli ormai consueti borsoni di tela nera. Gli stessi uomini poi segnalano il numero identificativo dei container ai loro referenti in Calabria che, una volta che le gigantesche navi transoceaniche hanno ormeggiato sulle banchine gioiesi, si preoccupano di recuperare il carico e farlo uscire indenne dal porto evitando i serrati controlli delle forze dell’ordine. Numerose ormai sono le operazioni condotte dalla guardia di finanza e dalla agenzia delle dogane coordinati dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che riguardano il sequestro di sostanze stupefacenti. Così come numerosi sono i casi di portuali “infedeli” che dopo avere individuato il container “ripieno”, si preoccupano di recuperarlo. Dietro il forsennato giro del narcotraffico in salsa gioiese, la longa manus del crimine organizzato, la cui capacità di attirare gli affari dei broker della coca è stata messa in luce da numerosissime operazioni dell’antimafia che ha individuato le famiglie più importanti del comprensorio (come i Pesce di Rosarno, tirati in ballo anche da alcuni collaboratori di giustizia) come parte di questo paradossale commercio trans nazionale. vimp operazione “lancio” Attesi oggi davanti ai giudici i fiancheggiatori di Condello REGGIO CALABRIA Inizierà oggi l’udienza di convalida dei fermi eseguiti martedì nell’ambito dell’operazione “Lancio”. Le 17 persone fermate dai carabinieri dovranno risponSi dovrà dere, a vario tidecidere tolo, di associase convalidare zione mafiosa, favoreggiameni fermi to aggravato e ai 17 indagati intestazione fittizia di beni. Dopo aver risposto alle domande dei gip (saranno addirittura forse quattro i giudici che sentiranno gli indagati), gli stessi decideranno se convalidare il provvedimento emesso dalla Dda e quindi emettere la contestuale ordinanza di custodia cautelare in carcere. Sta di fatto che, solo nella giornata di oggi, o al massimo domani, si capirà se sussistono gli elementi posti a fondamento del fermo. Ed intanto emergono nuovi ed interessanti particolari riguardanti la struttura criminale che ha consentito al latitante Domenico Condello di godere di una rete di fiancheggiatori molto valida. Secondo quanto scritto dai sostituti Giuseppe Lombardo e Rocco Cosentino, infatti, ci sono delle novità rispetto al passato nel modus operandi scelto dalla cosca Condello per dare a Micu u pacciu la dovuta assistenza. Innanzitutto l’attività connessa a favorire la latitanza del boss ha consentito anche il mantenimento dell’integrità operativa della struttura mafiosa. Secondo i magistrati, dunque, l’attività di copertura riferibile alla cellula criminale formata dai favoreggiatori non si è limitata ad una semplice attività di assistenza nei confronti del latitante, ma è divenuta anche strumento per mantenere la compattezza originaria del sodalizio. «Si assiste, nel caso di specie – scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo – ad una evoluzione dell’ordinaria gestione del supporto logistico che l’organizzazione di tipo mafioso fornisce al latitante, che riveste un ruolo di vertice della specifica articolazione territoriale della ’ndrangheta calabrese: non si corre più il rischio di destinare un numero indeterminato di appartenenti all’organizza- BOSS Domenico Condello zione di tipo mafioso, che ha ben più articolati settori da amministrare, ad un servizio stabilmente affidato alla cerchia dei familiari del latitante; si crea, sfruttando i prossimi congiunti di questi, un apparato finalizzato alla consumazione di una serie indeterminata di delitti tutti teleologicamente orientati a gesti- re la lunga latitanza del soggetto di vertice». Da una parte, dunque, si supera la ritrosia del latitante a fidarsi di soggetti a lui non legati da vincoli di parentela, dall’altra la cosca viene sgravata da un compito molto delicato, che viene svolto da soggetti che, pur non facendo parte dell’associazione, rientrano per ragioni affettive nella cerchia dei soggetti di fiducia di Condello. Ed allora che si fa? Si individua un soggetto cerniera, in questo caso rappresentato da Bruno Tegano, a cui viene affidato il compito di interfacciare l’organizzazione mafiosa con la struttura che di fatto gestisce poi la latitanza del soggetto di vertice. È lui, così, l’unico a rischiare davvero di essere catturato dagli inquirenti, preservando il boss che deve restare intoccabile ed introvabile. CONSOLATO MINNITI [email protected] dalla prima Però si scioglie un Comune per “prevenire” che un amministratore possa commettere un reato. Insomma, tu non sei malato, ma c’è il pericolo che un giorno possa diventare contagioso e io ti metto subito in quarantena. E questo significa non solo che lo scioglimento dell’amministrazione Reggio di Nicotera è avvenuto per capriccio di potere e per motivi politici – affermazione di cui mi assumo la responsabilità –, ma che qualsiasi amministrazione, qualsiasi consigliere comunale, qualsiasi sindaco di una cittadina calabrese, domani potrà essere accusato di collusioni mafiose, per «prevenire» che poi accada davvero. È un’aberrazione giuridica. È una grave involuzione della democrazia. E riguarda tutti noi cittadini. Tutti. Viene spontaneo adesso fare un parago- NICOTERA, COMUNE SCIOLTO PER MAFIA SENZA NESSUNA PROVA ne con la richiesta del procuratore generale Iacoviello e la sentenza della quinta sezione penale della Cassazione che ha invece annullato la sentenza d'appello con cui i giudici palermitani avevano condannato a sette anni il senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Iacoviello ha detto che il concorso esterno «è diventato un reato autonomo in cui nessuno crede. Io ne faccio una questione non a favore dell'imputato, ma a favore del diritto». E ancora, ha detto Iacoviello che descrivere il senatore siciliano come il «referente o il terminale politico della mafia», non significa nulla: «Non si fanno così i processi, si devono descrivere i fatti in concreto». I fatti, appunto. Quelli che, a esempio, non sono mai stati contestati al sindaco di Nicotera. Lo scandalo sta nel fatto che siamo costretti a valutare queste considerazioni come coraggiose, invece che banali affermazioni del diritto. Il concorso esterno per associazione mafiosa sembra ora ripercorrere la parabola del concorso morale nelle associazioni sovversive e nelle bande armate degli anni Settanta. Una mostruosità giuridica che dopo secoli di condanne fu smantellato per primo in Cassazione da Corrado Carnevale; e forse non è casuale che in questi giorni ci sia stato un attacco “preventivo” contro il presidente della quinta sezione che doveva giudicare Dell’Utri, reo di essere amico di Carnevale. Sono decine i consigli comunali sciolti in Calabria, quanti reggerebbero all’esame di Iacoviello e della quinta sezione di Cassazione oggi? Intanto, però, il ministro degli scioglimenti, Maroni, risponde alle accuse di corruzione e mazzette – che non è mafiosità, questa? – contro il presidente del consiglio regionale lombardo, Boni, che «la Lega non si tocca». Già ma chi avrebbe mai potuto dire una cosa simile in Calabria, quale uomo politico, quale movimento politico? Lanfranco Caminiti 7 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O ora S T R E T T O caos rifiuti GIOIA TAURO (RC) Un altro camion che torna indietro, un altro “schiaffo” ad un sistema rifiuti calabrese già di per sé in perenne sofferenza. Continua a creare grossi disagi, il blocco permanente messo in atto da venerdì scorso al termovalorizzatore di Gioia Tauro dai dipendenti di “Piana Ambiente”, che da diverse settimane non effettuano più la raccolta dei rifiuti per protestare contro il mancato pagamento di tre stipendi. Verso le 16 di ieri, appunto, i momenti di maggiore tensione, quando un grosso mezzo arrivato da Lamezia per conferire è stato bloccato all’ingresso dai lavoratori. Dopo appena qualche istante, l’autista ha deciso quindi di rinunciare e di tornarsene indietro. Ma la tensione è rimasta alta ancora a lungo, con gli uomini del commissariato di polizia di Gioia Tauro impegnati in una difficile opera di mediazione. Un andazzo che va avanti ormai da di- CATANZARO Tre ore di camera di consiglio e poi il verdetto pronunciato dal gup del Tribunale di Catanzaro Abigail Mellace. Vent’anni ciascuno per Alberto Sia, 26 anni, di Soverato, avvisato orale di pubblica sicurezza e figlio di Vittorio Sia, 51 anni, il presunto boss ucciso in un agguato il 22 aprile scorso, e per Patrik Vitale, 26 anni, di Satriano. Assolto invece Giovanni Catrambone, 22 anni, di Montepaone. Così come aveva chiesto l’avvocato Giovanni Caridi. Secondo il legale non esistevano indizi gravi, precisi e concordanti per mettere dietro le sbarre il 22enne. Per lui cadono i reati associativi e quello di furto dello scooter utilizzato poi per il delitto. Pene di gran lunga inferiori rispetto a quelle chieste dal pm Vincenzo Capomolla che al termine della requisitoria aveva invocato il carcere a vita per Vitale e Sia e 20 anni per Catrambone accusati di concorso nel duplice omicidio dei fratelli gemelli 45enni Vito e Nicola Grattà, avvenuto l’11 giugno del 2010 a Gagliato nel Catanzarese. I tre imputati con rito Bloccato un altro camion a Gioia Protesta dei lavoratori di “Piana Ambiente”, momenti di tensione ieri pomeriggio BLOCCO PERMANENTE I lavoratori sono senza stipendio da 3 mesi versi giorni, tanto che di camion a Gioia non ne arrivano neppure più. I rifiuti del Reggino, ma anche del Vibonese, vanno così a gravare sul- la discarica di Pianopoli, con file interminabili e soprattutto con poche possibilità che il sistema possa reggere ancora per molto. Il tutto per una vertenza locale che da mesi si trascina stancamente senza segnare il minimo progresso. Mentre la mista Piana Ambiente, controllata per il 51% dai Comuni del territorio, si appresta a chiudere i battenti per lasciare spazio ad un nuovo consorzio, i dipendenti attendono ancora il pagamento degli stipendi. Oltre a vantare ingenti crediti arretrati dai Comuni, la società lamenta oggi una crisi di liquidità dovuta ad un contenzioso con privati. Per non incorrere nel pignoramento verso terzi, i Comuni non stanno versando più un euro alla società. Di qui anche la prospettiva di un pagamento straordinario degli stipendi da parte dei Comuni ma con una formula che sia in grado appunto di evitare il pignoramento. Ma dopo l’assistenza le- gale fornita in tal senso dalla Provincia, i pagamenti ancora non arrivano. Nel frattempo, alcuni Comuni hanno deciso in via straordinaria di affidarsi ad altri soggetti per raccogliere i rifiuti, mentre il Comune di Gioia Tauro ha deciso di fare addirittura da solo. Risultato: l’emergenza continua, con le strade invase da tonnellate di rifiuti in diversi centri del comprensorio. Intanto i lavoratori continuano a protestare, attendendo proprio quei sindaci che da giorni non si fanno neppure vedere. Insomma, una vertenza complicatissima, dove la colpa, come sempre, è di tutti e di nessuno. A sbloccare la situazione non ci è riuscito neppure il commissario all’emergenza Speranza, che nei giorni scorsi ha intimato ai Comuni di pagare, né l’ultimo vertice in Prefettura. Ed il blocco, intanto, continua. Francesco Russo Omicidio Grattà Due condanne e un’assoluzione Pene inferiori a quelle chieste dal pm: 20 anni per Sia e Vitale, libero Catrambone abbreviato sono stati condotti in carcere dai carabinieri il 2 luglio dell’anno scorso, in esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia, poi convalidato dal giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Emma Sonni. I tre giovani, assieme ai quali è stato indagato anche un minorenne, secondo la tesi dell’accusa, avrebbero partecipato alla ideazione e all’esecuzione dell’omicidio dei Grattà, maturato nell’ambito di una faida tra cosche per il con- trollo del Soveratese. Una delle vittime di questa guerra è stato proprio Vittorio Sia, padre di Alberto, ed ora quest’ultimo insieme a Vitale e Catrambone è sospettato di aver rubato lo scooter utilizzato per l’agguato di chiaro stampo mafioso in cui sono stati freddati i due Grattà. L’accusa per i tre è di concorso in omicidio, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco. Le intercettazioni e i riscontri investigativi hanno permesso ai carabinieri di verificare che i tre giovani avrebbero rubato lo scooter, dopo il duplice omicidio, rinvenuto bruciato in località Pietà di Petrizzi, non distante dal luogo dell’agguato in una zona che sarebbe sotto il controllo proprio di Sia e degli altri due fermati. Qui i militari hanno trovato anche una pistola 9x19 con quattro colpi nel caricatore,bruciata, compatibile con quella utilizzata per l’agguato. Come risultato dalle intercettazioni, Sia avrebbe voluto vendicare a tutti i costi l’omicidio del padre, il boss Vittorio Sia, e per questo avrebbe organizzato CONDANNATI Alberto Sia e Patrick Vitale con i due suoi amici i preparativi per l’uccisione dei gemelli Grattà. Proprio per questo il ragazzo avrebbe avuto contatti con esponenti della’ndrangheta dell’area del basso Jonio Catanzarese. Sia e Vitale parlarono della vendetta a bordo di un’auto. Il figlio del boss, in particolare, sosteneva che «devo passare da là incappucciato e farlo fringuli fringuli». E ancora: «Lo devo lasciare freddo... freddo, a quella serranda lo devo lasciare». L’azione criminosa sarebbe stata organizzata nei minimi partico- lari, dalla scelta del motorino da utilizzare, all’occultamento del mezzo a due ruote e della pistola. Secondo l’avvocato Gregorio Viscomi non esistono elementi di prove che lo scooter trovato fosse stato utilizzato dal suo assistito Vitale e da Sia per il delitto. E se anche il Vitale lo avesse rubato, non ci sono prove che l’imputato lo avesse usato per l’omicidio, mentre Salvatore Staiano nella sua arringa si è battuto per ottenere l’inutilizzabilità delle intercettazioni. Gabriella Passariello il caso Alessio, 13 anni di lotta e di attesa per ottenere l’accompagnamento ACQUAPPESA (CS) Una battaglia giudiziaria lunga ben 13 anni è quella che sta conducendo con la caparbietà che solo un padre può avere, spinto dalla disperazione nel vedere il proprio figlio - che oggi ha 24 anni - affetto sin dalla nascita da un grave ritardo mentale. Una battaglia combattuta affinché ad Alessio sia riconosciuta l’indennità di accompagnamento. disturbi, purtroppo, si sono aggravati ed ora Il signor Giuseppe Sessa di Acquappesa si è ri- passa le sue giornate da solo su una sedia completamente assente, incapace volto a Calabria Ora per cercadi reagire a qualsiasi stimolo. re di rendere pubblico il suo diIl ragazzo soffre Alessio ha bisogno dell’assisagio e di conseguenza sollecidi disturbi stenza continua di una persotare l’intervento delle istituziona che non può certo più esseni alla soluzione del suo proneurologici che re soltanto il padre, o qualcuno blema, ormai ingestibile. si aggravano dei suoi fratelli, uno dei quali Alessio soffre sin dalla nascicon il tempo anch’egli ritardato mentale ma ta di gravi problemi di tipo non in modo così grave. «Ad neurologico che comportano Alessio è stata riconosciuta il disturbi del comportamento. Ma nonostante la disabilità Alessio, grazie all’aiuto della sua 75% di indennità, ma vedendo che le cose pegfamiglia, è riuscito anche a studiare e ad otte- gioravano col passare degli anni, tramite il mio nere un diploma. Col passare degli anni i suoi legale di fiducia ho deciso di chiedere anche te in mio possesso mi è stato risposto, che almeno mi sarebbe stato dato un assegno di mantenimento per Alessio. Manco quello ho visto». Il signor Sessa rivolge quindi un accorato appello al presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti affinché «prenda a cuore la situazione di mio figlio e ci aiuti a sollecitare la ral’accompagnamento – ci spiega il papà di Ales- pida conclusione dell’iter burocratico per ottesio, Giuseppe Sessa –. Ma la causa legale sta nere, quantomeno, il sussidio economico che andando avanti da 13 anni e fispetta di diritto a chi si trova nora non ho ottenuto nulla. nelle stesse condizioni di grave Il padre Ho provato anche a rivolgere disabilità di mio figlio, come Giuseppe un appello al presidente della prevede la legge. Lo stesso apRepubblica, ma senza risposta. pello lo rivolgo al leader di Disi appella Non posso più andare avanti ritti civili, Franco Corbelli, di al governatore da solo ad assistere Alessio – cui sono note le battaglie conaffinché lo aiuti aggiunge desolato –. Sono soltro le ingiustizie. Non escludo tanto io che provvedo ad ogni la possibilità, in caso di ulteriosua necessità, anche fisica, vire silenzio, di rivolgermi a “Striscia la notizia” sto che mio figlio non è autosufficiente. Non per rendere pubblico ed in modo ancora più riesco a capire i motivi di tanto ritardo da par- eclatante il mio problema». te delle istituzioni preposte visto che dalle carm. f. s. 8 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O ora calabria rosso... faida Delitto Ferraro, l’inchiesta passerà alla Dda di Reggio Gli inquirenti non nutrono dubbi: è un omicidio di mafia VITTIMA Nel fotino in basso Vincenzo Ferraro, vittima della riesplosa faida di Oppido Mamertina. Sopra: il luogo dell’agguato OPPIDO M. (RC) È quasi certo che nei prossimi giorni le indagini sull’omicidio di Vincenzo Ferraro passino dalla procura di Palmi alla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. E siccome appare ormai chiaro che il delitto avvenuto nella mattinata di martedì, a Oppido Mamertina, sia collegato a quello di Domenico Bonarrigo, compiuto nello stesso centro della Piana di Gioia Tauro, anche quest’ultimo caso dovrebbe prendere la via che porta alla Procura reggina. Queste le indiscrezioni filtrate nella giornata di ieri da ambienti investigativi. Ipotesi che confermerebbe, quindi, la matrice mafiosa dei due omicidi e, al contempo, la riapertura della faida a Oppido dopo un quindicennio di calma apparente. Nella giornata di ieri, intanto, sono continuate le indagini dei carabinieri della compagnia di Palmi, diretta dal capitano Maurizio De Angelis e dal comandante del Nucleo operativo, il tenente Mario Ricciardi, e dei colleghi della stazione di Oppido Mamertina, guidata dal maresciallo Ivan Marino. Oltre alle perquisizioni di rito ai pregiudicati della zona e agli interrogatori in caserma, durante tutta la giornata di ieri i militari dell’Arma sono stati impegnati in altre attività di riscontro investigativo per carcere di raccogliere elementi utili alle indagini. Elementi che porterebbero, ormai in maniera inequivocabile, al collegamento del delitto Ferraro a quello di Bonarrigo, avvenuto a Oppido Mamertina il 2 marzo scorso. La situazione in questo senso pare ormai delineata e i due fascicoli passeranno a giorni dalle mani del sostituto procuratore di Palmi Gianluca Gelso, titolare delle indagini coordinate dal procuratore capo Giuseppe Creazzo, a quelle dei magistrati dell’antimafia di Reggio Calabria. Luoghi isolati e vittime nell’impossibilità di poter reagire o tentare alcuna fuga, sono gli elementi che accomunano i due agguati compiuti a distanza di meno di due settimane. Sia Ferraro che Bonarrigo, al momento dei due omicidi, erano alla guida dei loro fuoristrada e in zone isolate. Entrambi, infatti, sono stati freddati in strade interpoderali che tagliano in due ampie distese di uliveti. L’unica differenza è che nel caso di Bonarrigo, secondo la ricostruzione operata dagli inquirenti subito dopo l’omicidio, è sicuro che all’agguato abbiano partecipato due killer, mentre FerLa comunità di raro è stato ucOppido invita a ciso da un solo deporre le armi: uomo. In supporto di queste domenica si terrà ipotesi investiuna fiaccolata gative ci sarebbero i bossoli di calibro 12 e pistola, sulla scena del delitto Bonarrigo, e solo quelli di fucile a pompa in contrada Rocca, dove è stato ucciso Ferraro. Intanto, l’amministrazione comunale, nella giornata di ieri, ha fatto sapere che domenica prossima si terrà una fiaccolata nelle vie della città per lanciare un messaggio, contro l’escalation di violenza e in favore della legalità e del vivere civile. FRANCESCO ALTOMONTE [email protected] san luca nel terrore Prima il banale lancio di uova Poi i folli delitti di Duisburg SIDERNO (RC) Tutto ebbe inizio il 10 febbraio 1991. A San Luca un gruppo di ragazzi legati ai Nirta-Strangio, in occasione delle festività di Carnevale, lanciarono uova contro il circolo ricreativo Arci gestito da Domenico Pelle, uno dei “Gambazza”, sporcando anche l’automobile di uno dei Vottari. Un altro gruppo di giovani appartenenti ai Nirta-Strangio, una volta venuti a conoscenza dell’accaduto, avrebbero voluto punire quell’atto ricorrendo ancora alle mani. Fu così che lungo la strada incontrarono un affiliato ai Vottari. Questo spaventato incominciò a sparare uccidendo due giovani (Francesco Strangio, 20 anni, e Domenico Nirta, 19 anni) ferendone altri due (Giovanni Luca Nirta, e Sebastiano Nirta). Nel 1993 la faida continua con l’uccisione di due capibastone della cosca Pelle-Vottari. Loro risponderanno con altri due morti. Nel gennaio 2005 viene ucciso a Casignana Salvatore Favasuli. Il presunto autore secondo gli inquirenti risponde al nome di Domenico Giorgi, ar- restato a Rivalta di Torino il 19 novembre 2010. Il 31 ottobre 2005 a cadere sotto i colpi dei sicari è Antonio Giorgi. Il 25 dicembre 2006, nella famigerata strage di Natale, viene uccisa Maria Strangio moglie di Giovanni Nirta, ma il reale obiettivo dei sicari era proprio l’uomo che invece si è salvato. Ricomincia così la faida dopo un lungo periodo di pausa. L’ultimo atto si consuma a Duisburg il giorno di Ferragosto del 2007. All’interno del ristorante “Da Bruno” si stava festeggiando l’ingresso nella maggiore età di Tommaso Venturi, una delle sei vittime. La carneficina avviene fuori dal locale. Sulla scena del crimine sono stati settanta i bossoli ritrovati dagli investigatori tedeschi. L’11 luglio 2011 davanti alla corte d’Assise del tribunale di Locri la sentenza di primo grado. Otto gli ergastoli per i responsabili dell’eccidio su suolo tedesco. Tra questi Giovanni Strangio, ritenuto uno degli organizzatori e degli esecutori materiali dell’agguato. Ilario Balì I Cataldo-Cordì? «Scene di guerra» tra Siderno e Locri LOCRI (RC) Tredici anni fa sul ponte tra Locri e Siderno. Era il 13 ottobre 1997. I sicari del clan Cataldo chiudono i conti con il boss che aveva decimato la famigghia del capo. Un ragazzotto dal grilletto facile è in macchina. Fa segno al conducente di accostarsi a quel gruppetto di ciclisti lungo la statale 106, si siede sul finestrino lato passeggeri, ficca lentamente la canna del fucile alla nuca di don Cosimo Cordì, spara e lo finisce. Spara anche agli altri del gruppo, ma l’arma si inceppa. Erano tempi difficili quelli. A Locri era scoppiata la guerra di mafia, e correva voce che tutto era cominciato venti anni prima. Fanno secco il boss Domenico Cordì. I killer aprirono il fuoco sotto gli occhi della gente atterrita, in Piazza Mercato, dove gli inquirenti trovarono a faccia in giù anche i pregiudicati Vincenzo Saraceno e Carmelo Siciliano. Raccontano che quella volta furono i siciliani a far fuoco, e che con loro c’era anche un giovanotto del posto, Giuseppe Cataldo. Da quel giorno, una sparatoria dopo l’altra. Morirono Damiano Zucco e l’incolpevole Giuseppe Caserta, un ragazzo che si guadagnava da vivere scaricando casse di frutta. Morì Antonio Iemma, lo sposo di Adele Cataldo. Era davanti al bar, a cento metri dal palazzo di giustizia, nel cuore di Locri. I killer lo finiscono lì, sulla sedia, con sei colpi di pistola calibro 7,65, di cui due alla fronte. Quando polizia e carabinieri giunsero sul posto, interrogarono quei due cristi che erano seduti accanto a lui. Nessuno vide in faccia il cecchino. Due anni prima era morto ammazzato il pregiudicato Graziano Paciullo, un mafioso legato mani e piedi alla famiglia Cataldo. E tre mesi prima era sfuggito a un agguato un altro uomo d’onore. Sta per finire l’inverno 1996. E’ la sera dell’otto marzo. I sicari di don Cosimo Cordì si nascondono dietro un cespuglio, nei paraggi della Standa, dove sorge il complesso residenziale denominato Parco Mesiti. Sono feroci, cinici, sparano all’impazzata sulle auto dei carabinieri, saltano su quelle della polizia, mettono paura ai commercianti. Oggi si sono portati dietro l’artiglieria. Hanno dei fucili. Devono liquidare Vittorio Parrotta, il cognato di Nicola Cataldo. Quello gira armato, si difende, è svelto, non gli trema la mano, spara. Partono oltre cento colpi, la macchina rincula e i killer lo mancano. Era il periodo in cui i sicari andavano ai lutti di quelli che ammazzavano, per mostrarsi innocenti agli occhi dei familiari. E a Locri “zu Pepè” Cataldo l’aveva appena fatta franca. Dicono gli investigatori che, una volta sul posto, era come assistere «a una scena di guerra». Dicono che i picciotti di don Cosimo, quel giorno, lanciarono una bomba sulla Fiat Uno che trasportava il padrino e la sua giovane consorte. Morì Cosimo Cordì, lasciando solo l’altro “don” della famiglia, il fratello Antonio, accanito socialista. Morì il cognato Agostino Dieni, proprietario di un negozio di scarpe. Morì Vittorio Parrotta. Un tiratore scelto lo centra da distanza impossibile. Un’interminabile scia di sangue, una faida riesplosa nel 2005, quando fanno fuori Giuseppe Cataldo. Tre mesi dopo, una batteria di sicari uccide a Siderno Salvatore Cordì. ILARIO FILIPPONE [email protected] 9 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O ora calabria rosso... faida Potere, rispetto e sangue a fiumi Da Lamezia a Taurianova: quei morti ammazzati per “questioni d’onore” COSENZA Altrove, lo sgarbo, rappresenta la cifra del grado di inciviltà di chi lo commette. Ed è giudicabile, o punibile, con il biasimo. A queste latitudini, lo “sgarro”, costituisce motivo di scontro elevato all’ennesima potenza. E genera morte. Sangue e morte proiettati in una dimensione ciclica, che non conosce sosta. L’oltraggio - se arrecato in ambienti di malavita - ha un solo effetto: determinare reazioni a catena e infiniti lutti al pari di quelli addotti agli Achei in tempi immemori... Le chiamano faide. E tali sono: “pseudo diritti” a rendere - o restituire - l’offesa subita all’interno di logiche di violenza allo stato puro e dinamiche di odio senza freni. Si tramandano di padre in figlio, così come di padre in figlio si tramandano i valori. È ammalata di faide, la Calabria. Afflitta da un male (poco) oscuro curabile solo con l’evoluzione della specie. Differenti sono i protagonisti delle decine di “miniguerre intrafamiliari” che hanno insanguinato interi paesi e differenti i motivi posti alla base degli scontri; ma identiche restano le modalità di conduzione delle contese: tutte recano la firma del piombo. Mai intimidazioni o messaggi trasversali, nelle faide. Solo azioni di sangue a carattere frontale che, in una reazione a catena, non sembrano destinate a conoscere fine se non al momento dell’estinzione dei protagonisti diretti. Tutte le regole saltano, nella conduzione di una faida. Anche quelle attorno alle quali fintamente - la ’ndrangheta ha costruito il proprio “mito”: l’inviolabilità di donne e bambini. È il territorio reggino quello maggiormente caratterizzato da frizioni e scontri interni alle consorterie criminali dominanti nei centri di propria competenza. Nel Reggino affondano le radici le cronache a carattere giudiziario che, in un contesto nazionale, hanno contribuito a macchiare per sempre l’immagine di un’intera ragione: le faide di Cittanova, Taurianova, Locri, San Luca, ieri o oggi, hanno storicamente fatto più notizia in ambito nazionale e internazionale di quanto non facciano le bellezze paesaggistico-ambientali del territorio, o di quanto non possa fare l’immenso patrimonio culturale e archeologico della Magna Graecia. Le faide, e quindi il sangue se ne deduce - interessano gli italiani più di ogni altro argomento correlato alla voce Sud. E il perché resta materia da sociologi... Di sicuro, il riacutizzarsi di uno scontro che sembrava ormai sopito - quello di Oppido Mamertina - non trova impreparati i calabresi. Né coloro i quali sono avvezzi alle vicende di malavita che, spesso, non sono affatto scollegate con le vicende delle singole famiglie di mafia. Spesso, le faide, nascono da piccolissime controversie tra componenti di ’ndrine alleate, sgarri involontari che finiscono con il determinare l’inaugurazione di stagioni di sangue che non si sa quando, e se, potranno avere fine. La faida di Oppido, ad esempio, stando alle ricostruzioni del investigatori, sarebbe riesplosa a distanza di oltre vent’anni, esattamente quando si riteneva che tra i contendenti un tempo in lotta fosse prevalsa l’idea di deporre ogni arma. Ecco perché il rischio che in Manie di predominio e “questioni di rispetto”: così nascono e si sviluppano le guerre intrafamiliari caratterizzate da attacchi senza esclusione di colpi. Hanno fatto più morti le faide che gli scontri tra cosche avversarie interessate a condurre le attività illecite in Calabria Calabria, a macchia di leopardo e all’improvviso, possano verificarsi fatti di sangue all’apparenza inspiegabili e privi di movente appare molto alto. La geografia delle logiche di “autodistruzione” di molte ’ndrine calabresi è vastissima. Quasi in ogni centro della regione sono riscontrabili fatti di sangue legati a controversie a carattere familiare. In alcuni casi, l’elevato grado di violenza ha determinato un particolare interesse dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione, cristallizzando ogni singola tappa degli eventi dell’orrore. Altre volte, però, le minifaide sono rimaste tutte interne ai territori in cui si sono combattute. E particolarmente difficile ne appare la riproposizione. A grandi linee, e in maniera particolarmente coincisa, meritevoli di particolare attenzione sono le faide che hanno insanguinato San Luca, Locri, Lamezia Terme, Cittanova, Laureana, Taurianova, Isola Capo Rizzuto e il Cirotano, Sant’Onofrio e il Vibonese, l’area delle Serre vibonesi, l’alto Jonio e l’alto Tirreno. Tutte, infatti, sono state combattute (e lo sono o lo saranno ancora?) senza esclusione di colpi e attraverso azioni di fuoco rimaste eclatanti perché tutte hanno fatto decine di morti. Per clamore mediatico, alla storia, passerà la Faida di San Luca condotta tra i PelleVottari e i Nirta-Strangio. Ecco il motivo: lo scontro nasce nel ’91 per un banalissimo scherzo di carnevale culminato con un lancio di uova; si sviluppa con l’assassinio di Maria Stranio (una donna...) il 25 dicembre del 2006 e culmina nella Strage di Duisburg, o Ferragosto, l’anno successivo con lo sterminio di 6 persone al ristorante Da Bruno. La faida non può considerarsi conclusa, nonostante gli arresti e le sentenze che hanno inchiodato alle proprie responsabilità gli autori delle stragi. L’altra guerra di assoluto interesse è quella di Lamezia, tra i Giampà e i Torcasio: nell’arco di dieci anni avrebbe prodotto, tra omicidi collaterali, 53 morti, gli ultimi dei quali Vincenzo e Francesco Torcasio, padre e figlio, assassinati a giugno e luglio dello scorso anno. Non è esente il Vibonese da scontri di alto livello di fuoco: memorabile la cosiddetta “strage dell’epifania”, avvenuta a Sant’Onofrio il 6 gennaio del 1991. A scontrarsi le famiglie Matina-Petrolo di Stefanaconi contro i Bonavota, usciti vincenti dalla violentissima guerra costata la vita a numerose persone. Oltre trenta morti, invece, conterà lo scontro tra i Neri e gli Avignone-Lombardo-Fazzalari a Taurianova, una contesa durata due anni (dall’89 al ‘91). Anche nella vicina Cittanova saranno uccise trenta persone nel duello storico tra i Facchineri e i Raso-Albanese. E sempre trenta se ne conteranno negli anni ’80 tra i Cutellè-Albanese e i Chindamo-Lamari. Sangue inutile verrà versato a Paola e dintorni nelle contese tra i Serpa e i Basile-Calvano e a Isola Capo Rizzuto nello scontro tra gli Arena e i Grande Aracri (di Cutro), e a Cirò tra i Farao-Marincola e i SantoroGiglio. Omicidi, agguati, vendette che contribuiranno ad offrire al resto del Paese un’immagine distorta della Calabria e dei calabresi. Episodi di violenza bruta nata dal nulla e destinata a non portare a nulla. PIER PAOLO CAMBARERI [email protected] DELITTI VIOLENTI Nella foto in alto gli uomini della Scientifica sul luogo dell’omicidio di Francesco Torcasio, assassinato il 7 luglio 2011 in centro a Lamezia. Un mese prima era stato ammazzato il padre Vincenzo. Sotto, in una foto d’epoca, l’auto blindata a bordo della quale viaggiava Carmine Arena, ucciso con un colpo di bazooka 16 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 calabria ora R E G G I O «A casa della Cotroneo nascondevamo le armi» l’intervento Incendio in abitazione Donna soccorsa dai vigili “Lancio”, il pentito Buda racconta gli anni della guerra A casa della Cotroneo venivano nascoste anche munizioni e nelle vicinanze le armi che servivano ai clan durante la guerra di ‘ndrangheta. Emergono nuovi e sempre più interessanti particolari dall’operazione “Lancio” che ha portato in cella 17 persone accusate di associazione mafiosa, favoreggiamento e intestazione fittizia di beni. Gli elementi riguardano soprattutto il ruolo delle donne e nello specifico quello di Giuseppa Cotroneo, che è accusata di aver favorito la latitanza di Domenico Condello, tanto da aver ricevuto dallo stesso latitante una lettera di ringraziamenti per tutta l’assistenza avuta. A parlare della donna sono già diversi collaboratori di giustizia a metà degli anni ’90. Tra questi anche Rocco Buda che, il 20 novembre del 1995, dichiarò: «A rifornirci di munizioni erano dei fratelli titolari di una armeria ubicata in località Musala' di Campo Calabro, non ricordo adesso se si chiamassero Morgante o Catanzaro. Questi erano vicini al no- L’uscita della Cotroneo dal comando carabinieri stro gruppo in quanto pativano angherie da parte dei Garonfolo, organizzazione, questa, all'epoca, avversa alla nostra, e pertanto per liberarsene ci rifornivano di munizioni, generalmente calibro 7.65 e cal.12 a pallettoni. Inoltre uno dei fratelli a nome Francesco, chiamato familiarmente "ciccio", era l'amante di Cotroneo, attuale suocera di Pasquale Condello Junior, della quale ho già parlato in altri verbali. I contatti con i citati fratelli e principalmente con il più grande che se mal non ricordo si chiama Filippo, li teneva direttamente Imerti Antonino. La consegna delle munizioni avveniva mediante la consegna di alcuni pacchi o direttamente all'Imerti Antonino oppure lasciandoli presso l'abitazione della Cotroneo … omissis... Altro luogo ove erano state nascoste le armi era una campagna ubicata nei pressi dell'abitazione della Cotroneo e precisamente nella parte posteriore dell'abitazione della stessa. In tale appezzamento di terreno, che sembrava peraltro abbandonato, Nino Imerti celava, interrandoli, le armi che ci servivano o che avevamo usato per un’attività delittuosa. Poiché era sempre l’Imerti, per non dare nell'occhio agli altri abitanti della zona, a prelevare o nascondere le armi, non sono in grado di indicarvi con precisione ne il luogo, ne gli accorgimenti che adoperava, per nascondere le armi...omissis». Buda riferisce anche di un altro interessante episodio che coinvolse la donna: «Ricordo che l’Imerti mi mando, da solo, presso un'officina, mi pare, meccanica di Reggio Calabria ove dovevo ritirare la fiat 131 che venne poi adoperata per l'omicidio Lisi. In questa circostanza presi effettivamente la Fiat 131 che si trovava parcheggiata in una via adiacente all'officina. Ricordo inoltre che con il Rosmini prima indicato vi era anche un giovane che mi accompagnò fino al punto ove era parcata la citata auto. Dell'auto il giovane mi consegno anche un paio di chiavi che adoperai per la messa in moto. Ribadisco che dal luogo ove mi venne consegnata l'auto mi portai a bordo di questa fino all'abitazione della Cotroneo ove la nascosi, nel garage». (r. r.) Ladro beccato in flagranza Toscano sorpreso dalla polizia dentro il magazzino “Deter shop” Entra in un magazzino e ruba, ma viene sorpreso e ammanettato. È accaduto la notte scorsa, intorno all’1.10, quando gli operatori di polizia hanno ricevuto la chiamata che indicava qualcosa di sospetto all’interno di un esercizio commerciale di via Ecce Homo. Su disposizione della sala operativa le volanti Sud 1 e Sud 2 si sono portate sul posto e cioè in corrispondenza del negozio detersivi ed igiene “Deter shop”. Pochi minuti prima, infatti, personale dell’istituto di vigilanza incaricato delle consuete attività di verifica notturna, aveva notato la serranda dell’esercizio commerciale sollevata e la porta a vetri aperta. Gli operatori hanno riscontrato che la porta d’ingresso presentava evidenti segni di effrazione all’altezza della serratura e che, all’interno, la cassa, ubicata nei pressi dell’entrata, si presentava manomessa. Sul bancone, posto sul lato sinistro dell’ingresso vi erano ben visibili tre buste in cellophane di colore bianco contenenti numerosi profumi ed articoli per l’igiene. I poliziotti hanno proceduto ad un accurato sopralluogo dei locali e nel deposito retrostante all’area aperta al pubblico, è stato individuato, nascosto dietro ad uno scaffale, un uomo che alla vista degli operatori li ha spintonati cercando una disperata quanto inutile Vigili del fuoco in azione Attimi di paura nel po- ti interni dell’abitazione. La situazione però è dimeriggio di ieri a Reggio Calabria, dove l’abitazione ventata ancor più grave di un’anziana donna è an- perché l’anziana è poi riendata a fuoco. Sul posto so- trata in casa ed è stata colno prontamente intervenu- ta da una densa nube di futi i vigili del fuoco e, solo mo che le ha creato non pograzie a lochi problemi. Sul poro pronto L’anziana sto sono soccorso, è ha lasciato giunte le stato evitasquadre to il peggio. della legna dei vigili Secondo accesa ed è poi del fuoco quanto riuscita di casa che hanno costruito provvedudagli uomini del comando provincia- to allo spegnimento dell’inle di Viale Europa, infatti, cendio non senza qualche la donna avrebbe lasciato difficoltà. della legna accesa e sarebL’intervento si è conclube poi uscita di casa. Que- so dopo qualche ora con sto avrebbe poi provocato soli danni materiali alla l’incendio che ha causato struttura e tanto spavento seri danni agli arredamen- per l’anziana signora. polizia municipale Vende fiori senza licenza Multa da 5mila euro nascondiglio inutile L’uomo aveva trovato rifugio nel retro del locale ma è stato scovato dagli agenti e ammanettato fuga, visto che è stato immediatamente bloccato e sottoposto a perquisizione personale sul posto. I poliziotti lo hanno tratto in arresto per il reato di furto aggravato. Si tratta di Antonio Toscano, 30 anni, reggi- no residente a Bergamo, sedicente, celibe, disoccupato, pregiudicato per furto con strappo, rapina ed evasione.All’interno di una delle buste che il Toscano aveva con se sono stati rinvenuti e sequestrati vai strumenti d’effrazione e gli articoli di profumeria che aveva preso. L’arrestato, messo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria è stato giudicato con rito direttissimo. Angec e consiglio dell’ordine Lunedì alla Provincia convegno sulla mediazione Lunedì prossimo alle 16 nella sala conferenze della Provincia di Reggio Calabria (Piazza Italia) si terrà un Seminario sul tema “La Mediazione un anno dopo- prospettive e problemi tra prassi e giurisprudenza”, organizzato dall'Angec srl e dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria, in collaborazione con la Provincia di Reggio Calabria. Parteciperanno: Giuseppe Raffa - Presidente della Provincia; Lamberti Castronuovo – assessore alla Provincia di Reggio Calabria; Mario Candido – assessore alla Provincia di Reggio Calabria; Mariantonietta Miccoli – Direttore Angec Srl; Michele Salazar – Com- ponente Cnf; Alberto Panuccio – Presidente Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria; Rodolfo Palermo - Presidente di sezione del Tribunale di Reggio Calabria; Avvocato Michele Miccoli – avvocato Angela Busacca – avvocato Paolo Zagami – avvocato Claudio Parlagreco – professor Giuseppe Foti. Nell’occasione sarà presentato il libro “ la mediazione civile e commerciale ad un anno dell’entrata in vigore”. Edito da Iiriti Editore 2012. Dopo le relazioni sarà dato ampio spazio per gli interventi su tutti i temi inerenti la mediazione, alla luce della prima giurisprudenza formatasi. Nell’ambito dei controlli sull’abusivismo commerciale per la vendita di piante e fiori, disposti dal comando di Polizia Municipale, personale del corpo ha effettuato un nuovo rilevante intervento in via Pensilvania. In particolare, è stato sottoposto a controllo un commerciante itinerante, dedito tradizionalmente alla vendita di fiori e piante con l’utilizzo di un autocarro già soggetto negli anni scorsi a numerosi controlli nella stessa via e nella zona di viale Zerbi. Nel corso dell’ispezione, il personale operante, appartenente al servizio operativo diretto da E. Giordano, ha effettuato una verifica presso gli uffici del Comune di Messina da cui è emerso che lo stesso commerciante aveva restituito la propria autorizzazione commerciale per cessazio- ne attività, rimanendo in possesso solo della fotocopia esibita. Nel corso del controllo odierno si è proceduto all’accertamento delle violazioni amministrative derivanti dalla mancanza del titolo autorizzativo alla vendita, irrogando sanzioni amministrative per oltre 5000 euro e sottoponendo a sequestro le piante messe in vendita (oltre 150 pezzi). Il proprietario del veicolo utilizzato per la vendita è stato sanzionato anche per la mancanza di revisione ai sensi dell’articolo 80 del Codice della Strada. I fatti sono stati anche segnalati alla Guardia di Finanza ed all’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti anti evasione. Le piante sequestrate sono state confiscate e donate ad associazioni di volontariato. 24 GIOVEDÌ 15 marzo 2012 calabria ora P I A N A “Mare nero”, pene confermate In appello assolto solo un imputato dopo l’annullamento della Cassazione La Cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d’appello obbligando i giudici di piazza Castello a rimpronunciarsi sul reato associativo. Nella tarda serata di ieri, dopo 6 ore di camera di consiglio, la Corte presieduta da Patrizia Napoli, chiamata a esprimersi in merito al processo denominato “Mare nero”, ha confermato quasi totalmente la sentenza già emessa il 3 dicembre 2009 comminando 20 condanne e una sola assoluzione. I fratelli di Gioia Tauro Rocco, Fortunato Teodoro e Massimiliano Pasqualone, considerati dall’accusa il vertice dell’organizzazione, sono stati condannati rispettivamente a 13 anni e otto mesi, 14 anni e quattro mesi e 13 anni e dieci mesi di reclusione, a fronte dei 15 anni che gli erano stati comminati in primo grado; Rosaria e Pierluigi Etzi, a 5 anni e due mesi e 3 anni e dieci mesi. Confermata la pena per Barbara Musso, ma condonata nei limiti dell’indulto; a Giuseppe Ruffo è stata inflitta una pena a 8 anni e due mesi di reclusione. Giuseppe Timpano e Adelfio De Luca tre mesi e 2mila euro di multa, così come a Francesco DiMauro; Adriano Spanò e Leandro Fascetti, sette anni e due mesi; Alessandro Isabella 4 anni e otto mesi. La stessa pena è stata inflitta a Mi- chele Selvaggio, Emilio Perri, Simone Sciuto, Ida Baldacchino. Il giudici hanno deciso inoltre per la conferma della condanna di Alessandro Sorrenti a 3 anni e dieci mesi di prigione e 20mila euro multa. Sconto di pena per Danilo Verra, 3 anni e 10 mesi. Infine, Rocco Perre e Domenico Sardanelli hanno avuto 6 anni e dieci mesi e sei anni. L’unico assolto è Domenico Ruffo. L’inchiesta “Mare nero” ha avuto inizio nel 2004 ed è sta- ta condotta dal Commissariato di polizia di Gioia Tauro. L’operazione trae origine da una intensa attività investigativa effettuata attraverso una serie di intercettazioni e pedinamenti e che avrebbe individuato un’organizzazione, che farebbe capo ai fratelli Pasqualone, dedita al narcotraffico tra la Calabria e vari stati esteri. I tre fratelli, è la tesi accusatoria, avrebbero assunto alle proprie dipendenze un discreto numero di giovani, organizzando una vasta rete di approvvigionamento per reperire la droga in alcune regioni italiane, principalmente in Calabria, Sicilia e Lazio. La prima sentenza di appello era stata impugnata dall’avvocato Renato Vigna (coadiuvato dalla collega Francesca Marzia) che contestava la sussistenza del reato associativol. La Cassazione aveva accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza che, ieri, è stata riconfermata. Francesco Altomonte all inside I Pesce truccavano le partite del Rosarno Lo ha riferito il capitano Palmieri nel corso dell’udienza di ieri La cosca Pesce di Rosarno controllava la squadra di calcio di serie D della cittadina tirrenica, divenuta, dal campionato 2010/2011, Interpiana Cittanova, ed anche un sistema "diffuso" di compravendita di risultati con altre squadre. A riferirlo è stato il capitano dei carabinieri Valerio Palmieri deponendo nel processo All inside. L'ufficiale ha affrontato l'argomento in relazione all'accusa di frode calcistica aggravata dalle modalità mafiose contestata ai 3 imputati Domenico Varrà, presidente dell'allora Rosarno Calcio, secondo l'accusa referente del boss Francesco Pesce e Salvatore Micalizzi, primo presidente della società Interpiana, adesso gestita da un custode giudiziale dopo il sequestro del tribunale di Reggio nell'ambito di una inchiesta della Dda. Palmieri ha riferito di alcune intercettazioni fatte durante le indagini a carico degli imputati dalle quali, secondo l'accusa, emerge l'accordo raggiunto con il Vico Equense (Napoli) per concludere in parità, sull'1-1, la partita tra del 17 maggio 2009. Dalle intercettazioni, ha riferito Palmieri, emergerebbe un sistema diffuso di combine per aggiustare le gare della squadra riconducibile ai Pesce. Il materiale raccolto dalla Dda nell'ambito delle indagini, è stato inviato nei mesi scorsi alla Procura federale della Fgci. r. p. maltrattamenti animali Polistena, cani avvelenati La “Lav” denuncia 5 casi POLISTENA C’è qualcuno, a Polistena, che da diversi giorni si diverte a seminare per strada bocconcini avvelenati, che hanno già causato la morte di due cani di proprietà. La denuncia all’ufficio legale dello sportello “diritti degli animali” della provincia di Reggio Calabria, è partita da alcuni residenti nel quartiere sud della città, preoccupati dopo i decessi dei giorni scorsi, e dopo la notizia che ci sarebbero altri tra cani che versano in gravissime condizioni proprio per aver ingerito i bocconcini avvelenati. A nulla sono valse le cure veterinarie somministrate agli animali, morti dopo una lunga ed atroce agonia; addirittura uno degli animali ha iniziato a lacrimare sangue a causa delle emorragie interne provocate dal veleno ingerito. Dallo sportello “diritti animali” della regione giunge una nota di ferma condanna degli episodi avvenu- ti negli ultimi giorni. «Tali fatti sono di una inaudita crudeltà e rivelano stupidità e cattiveria gratuita nei confronti di animali che non facevano male ad alcuno. – si legge nella nota stampa – Non si deve trascurare inoltre il grande pericolo che tali esche avvelenate rappresentano anche per i bambini». Il comunicato stampa termina con un monito ai criminali, autori del gesto di avvelenamento dei cani: uccidere animali è un reato perseguibile penalmente, come previsto dall’articolo 544 del codice penale. Chi si macchia di questo reato è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi e con una multa che va dai tre mila ai quindici mila euro. Stessa pena per chi somministra agli animali sostanze stupefacenti o avvelenate. La pena aumenta se dalla somministrazione di sostanze velenosa deriva la morte dell’animale. VIVIANA MINASI [email protected] GIOVEDÌ 15 marzo 2012 PAGINA 28 l’ora di Paola Redazione viale Ippocrate (ex Madonna della Grazie) - Telefono e fax 0982583503 - Mail: [email protected] SANITÀ & FARMACIE tel. 0982/5811 tel. 0982/581224 tel. 0982/581410 tel. 0982/581286 tel. 0982/587316 tel. 0982/612439 tel.0982/582276 ospedale civile pronto soccorso guardia medica centro trasfusionale farmacia Arrigucci farmacia Cilento farmacia Sganga EMERGENZA carabinieri commissariato polizia stradale polizia municipale guardia di finanza corpo forestale vigili del fuoco croce rossa italiana tel. 0982/582301 tel. 0982/622311 tel. 0982/622211 tel. 0982/582622 tel. 0982/613477 tel. 0982/582516 tel. 0982/582519 tel. 0982/613553 COMUNE (112) (113) (117) (1515) (115) centralino ufficio tributi bibioteca comunale ufficio relazioni pubblico ufficio presidenza consiglio ufficio affari generali ufficio contenzioso tel. 0982/58001 tel. 0982/5800301 tel.0982/580307 tel. 0982/5800314 tel. 0982/5800212 tel. 0982/5800218 tel. 0982/5800207 Le mani del clan sulla festa L’incarico affidato a un uomo di Muto. La Procura delega i carabinieri PAOLA PAOLA Su delega della locale procura della Repubblica, ieri mattina i carabinieri della compagnia di Paola, agli ordini del capitano Luca Acquotti, si sono recati in Comune per prendere visione ed estrapolare copia della deliberazione di giunta esecutiva numero 41 dell’1 marzo 2012 e annessa convenzione con cui è stata data in affidamento all’esterno l’intera gestione della festa civile del patrono San Francesco di Paola. Gli inquirenti vogliono infatti vederci chiaro sull’incarico di affidamento della giunta municipale di Paola ad una società il cui amministratore unico è indagato e imputato in distinti procedimenti penali in quanto sospettato (e accusato) di essere un “prestanome” del clan Muto di Cetraro. La magistratura in- Un momento della processione quirente paolana ha chiesto ai carabinieri di accertare i fatti, verificare la corret- "Società" dichiara di accettare dietro il corrispettivo di euro tezza delle procedure e 100.000,00 + iva, per rendicontare in merito. Acquisiti gli atti l'anno 2012, da far graIn ballo vi sono consiIn ballo vi sono vare sui fondi comunali, stenti finanziamenti pubnonostante la riduzione blici, di cui 100.000 più consistenti dell'importo richiesto iva messi a disposizione somme di nella proposta progetdall’amministrazione codenaro pubblico tuale, poichè il Comune munale di Paola. A ciò si darà la possibilità alla vanno ad aggiungere i fondi che i privati raccoglieranno dagli al- "Società" di richiedere i relativi contributi agli Enti: Regione Calabria, Provincia di tri enti. Nella convenzione, acquisita ieri anche Cosenza, Camera di Commercio ecc”. L’amministrazione comunale di Paoda Calabria Ora, tra l’altro, si legge: “La «Sull’ospedale solo propaganda politica» La Nostra Paola, coalizione per Carlo Gravina sindaco, bacchetta il centrodestra sul caso della sanità: «Se da una parte si continua, ormai da molti mesi, con slogan, proclami, e propaganda varia, a prospettarci il Paradiso in terra, dall’altra verifichia- la, dal canto suo, definisce tecnicamente “conveniente” l’intera operazione, proprio alla luce dell’articolata proposta giunta in Comune in data 23 novembre 2011 (prot. n. 21751) per la gestione della Festa Patronale del Santo Patrono San Francesco di Paola 2012, a firma del soggetto giuridico in questione. Il caso, dunque, è ora all’attenzione della procura e dei carabinieri, i quali vogliono capire se il clan Muto sia riuscito a mettere le mani sulla festa del Santo paolano. GUIDO SCARPINO [email protected] Aeroporto al Santo, tutti felici Il gruppo dei Democratici e di centrosinistra: «Proposta del sindaco» «Apprendiamo con soddisfazione che l’aeroporto di Lamezia Terme è stato intitolato a San Francesco di Paola, pertanto il nostro ringraziamento va all’intero consiglio regionale, senza alcuna distinzione partitica, che ha votato all’unanimità la proposta all’ordine del giorno». E’ quanto sostiene in una nota la coalizione dei Democratici e di Centrosinistra, espressione del candidato a sindaco Carlo Gravina. «Tuttavia - puntualizza il centrosinistra - ravvisiamo una mancanza di tatto da parte della maggioranza regionale che, proponendo l’intitolazione non ha pensato di invitare il sindaco di Paola, in rappresentanza della città che in questo e non solo in questo caso è stata completamente scavalcata. Tra l’altro - accusa ancora la coalizione - l’intitolazione dell’aeroporto internazionale di Lamezia Terme al nostro santo patrono è una proposta già formulata proprio dal sindaco Roberto Per- cordare un programma relativo al 50° anniversario della proclamazione di San Francesco di Paola a patrono della Calabria, possano trovare finalmente risposta e che quella stessa proposta di legge relativa alla istituzionalizzazione della festa patronale di cui tanto discettato circa la paternità, trovare il Il centrosinistra possa giusto epilogo». smentisce il Pdl: La coalizione di Carlo Gravina «Una nostra conclude: «Ssiccoidea non me crediamo molto nelle istituzioni recepita» continuiamo a pensare che forse Il sindaco Roberto Perrotta la giusta attenzione verso qualcosa o qualcuno, più che essere rappresentati rotta che non ha trovato alcuna rispon- da effetti stucchevoli, debba invece condenza». Poi una stilettata al governato- cretizzarsi in risposte pratiche, concrete re Scopelliti: «Ci aspettiamo che le reite- e pragmatiche». rate richieste di essere ricevuti per cong. s. La Nostra Paola accusa il centrodestra: «Nulla ancora è cambiato» mo un immobilismo totale; se da una parte abbiamo assistito alla grande operazione di marketing sull’imminente ritorno nel nostro ospedale dei reparti di ginecologia e di pediatria, oggi quegli stessi locali vengono utilizzati per gli ambulatori specialistici del distretto sanitario; e ancora, se da una parte ci si esalta e si esulta perché l’ospedale di Paola viene individuato, in base al decreto 106 del 20 ottobre del presidente Scopelliti, come sede dell’unità operativa complessa di chirurgia generale (30 posti letto), dall’altra si provvede al potenziamento, almeno in termini di personale medico, di quella che dovrebbe essere una unità operativa semplice di chirurgia (10 posti letto) dell’ospedale di Cetraro. Se da una parte si continua a sbandierare l’obiettivo dell’efficienza e dell’efficacia, dall’altra continuiamo a sentire sulla nostra pelle l’atavico problema, generato da anni e anni di malapolitica, delle lunghe attese per le prestazioni specialistiche; dei pronto soccorso ingolfati, tanto da costringere al blocco dei ricoveri ordinari; delle strutture fatiscenti, delle apparecchiature inadeguate, della carenza di personale e della sempre più crescente migrazione sanitaria. E allora a chi ci fa vedere il Paradiso, diciamo che viviamo ancora in una situazione sanitaria infernale. A chi si bea di aver salvato l’ospedale, ricordiamo che è un merito che non gli appartiene. A chi fa leva sull’amicizia e sulla sinergia con speciali protettori, facciamo presente che di Protettore ne abbiamo uno che basta e avanza, né pensiamo che scelte così importanti possano dipendere dalla sola amicizia con qualche potente di turno. A chi continua a preferire la politica della propaganda, dei proclami, delle passerelle, rispondiamo che tali pratiche le lasciamo volentieri a chi è più interessato alla ricerca smodata della vanagloria, piuttosto che alla soluzione concreta dei problemi. Ed è per tutto questo che continuiamo a chiedere e batterci perché si facciano scelte coraggiose, anche impopolari, se è il caso, e di portarle avanti fino in fondo in nome e per conto del cittadino bisognoso di sanità, per una riorganizzazione e razionalizzazione della sanità territoriale, e ancora per una necessaria politica di investimenti strutturali tecnologici e di personale, a cominciare dai precari senza i quali gli ospedali sarebbero già chiusi. Solo tutto ciò - conclude - potrà permetterci di raggiungere l’obiettivo di una sanità efficiente, efficace, che non riconosca colori politici, municipalità, non clientelare. Senza tutto questo è solo demagogia e populismo e non sarà mai Paradiso». (g. s.)