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Antichi porti del Lazio
Programme Interreg III B Medocc REGIONE LAZIO ASSESSORATO CULTURA, SPETTACOLO, SPORT E TURISMO I PORTI ANTICHI DEL LAZIO ANSER ANciennes routeS maritimEs méditeRranéennes UN PROGETTO SUI PORTI DEL MEDITERRANEO Obiettivo principale del progetto anser è valorizzare il patrimonio archeologico legato alla presenza di antichi porti e approdi, come fonte di sviluppo sostenibile dei territori interessati. Tale progetto, realizzato nell’ambito dell’attuazione del Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg iii B–Medocc che sostiene la cooperazione transnazionale nello spazio del Mediterraneo occidentale, prevede essenzialmente le seguenti attività: - studio e messa a punto di orientamenti comuni fra i paesi partner (elaborazione di dossier tematici, documenti metodologici di approfondimento per la valorizzazione sostenibile del patrimonio archeologico subacqueo e non, realizzazione di una banca dati comune); - creazione di una rete transnazionale stabile tra Amministrazioni e Istituzioni interessate - scambio di esperienze tra i partner coinvolti nel progetto, attraverso la realizzazione di seminari tematici su aspetti specifici della valorizzazione del patrimonio archeologico; - progetti pilota (elaborazione e realizzazione di attività concrete a carattere innovativo e dimostrativo relativamente agli ambiti presi in considerazione, compresa la formazione); - informazione e comunicazione (sito internet, newsletter, seminari euromediterranei e giornate d’informazione nazionali). I paesi dell’Unione Europea coinvolti sono cinque (Italia, Francia, Malta, Spagna e Portogallo) e due della sponda sud del Mediterraneo (Algeria e Marocco). Per quanto riguarda le attività svolte nel territorio della Regione Lazio in primo luogo si è contribuito alla banca dati informatizzata sui porti del Mediterraneo, dove sono confluite le informazioni scientifiche relative a quanto conservato sulla nostra costa. Tali informazioni, rese consultabili anche al grande pubblico, permettono di avere un’ idea sulle rotte del Mediterraneo in età antica. Altre attività sono mirate a far conoscere i principali porti e approdi del territorio (cartellonistica, depliant, visite guidate anche subacquee) ed alla creazione di percorsi turistici da terra e da mare anche per il piccolo cabotaggio. Altre iniziative hanno riguardato l’organizzazione di un corso internazionale dedicato ai giovani laureati in Beni Culturali, provenienti dai paesi partner del progetto, che ha affrontato le metodologie e le tecnologie applicate all’archeologia subacquea ed infine il coordinamento di cinque seminari, che si sono tenuti in Italia, Francia e Spagna che hanno riguardato le problematiche legate a questa specifica classe di presenze archeologiche, all’uso ancora attuale di alcune di esse ed ai condizionamenti che la presenza di queste grandi strutture ha avuto, ed ancora ha, sul territorio. Per saperne di più www.projet-anser.net REGIONE LAZIO FEDER FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE Direzione Regionale Cultura, Sport e Turismo Direttore Alessandro Voglino Area Valorizzazione del Territorio e del Patrimonio Culturale Dirigente Elina Vercelli Responsabili del progetto Rita Turchetti, [email protected] Lorenza de Maria, [email protected] Si ringraziano per la gentile collaborazione: La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale Ida Caruso e Francesca Boitani La Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio Annalisa Zarattini SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELL’ETRURIA MERIDIONALE La Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Antica Anna Gallina Zevi e Cinzia Morelli Testi a cura di: Giulia Boetto e Francesca Carboni SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL LAZIO Cura editoriale Rita Turchetti e Lorenza de Maria COORDINAMENTO DEL PROGETTO Regione Toscana Direzione Generale dei Beni Culturali Responsabile Francesco Gravina [email protected] PARTNER Regione Campania, Area Gestione del Territorio, Italia Gennaro Radice, [email protected] Regione Liguria, Dipartimento Lavoro, Formazione e Servizi alla Persona, Italia Maria Teresa Orengo [email protected] IMED – Istituto per il Mediterraneo, Italia Anna Misiani, [email protected] Consorzio Pisa Ricerche, META – Multimedia and Telematic Application Centre, Italia Roberto Gagliardi, [email protected] Junta de Andalucia, Consejería de Cultura, España Carlos Sánchez de la Heras [email protected] CASC – Centre d’Arqueología Subacuàtica de Catalunya, Museu d’Arqueología de Catalunya, España Xavier Nieto, [email protected] Diputación Provincial de Alicante, MARQ – Museo Arqueológico Provincial de Alicante, España Rafael Azuar , [email protected] CNRS – Centre National de la Recherche Scientifique,Université de Aix-en-Provence, Centre Camille Jullian, France SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI OSTIA Antoinette Hesnard, [email protected] Instituto Portugués de Arqueologia, Centro Nacional de Arquologia Nautica e Subacuatica, Portugal Francisco Alves ,[email protected] Ministère de la Communication et de la Culture, Direction du Patrimoine Culturel, Algeria Mourat Betrouni Ministère de la Culture et de la Communication, INSAP – Institut National des Sciences de l’Archéologie et du Patrimoine, Maroc Aomar Akerraz,[email protected] Foundation for International Studies, Malta Nicholas Vella, [email protected] Centumcellae ed il porto di Traiano Foto aerea di Civitavecchia prima dei bombardamenti (da “Immagini di Civitavecchia”, 1993). Il porto di Centumcellae fu realizzato per volontà dell’imperatore Traiano nei primi anni del ii secolo d.C. Strategicamente ubicato in una parte della costa tirrenica fino ad allora povera di approdi, rientrava in un disegno politico promosso dall’imperatore, volto a favorire l’approvvigionamento alimentare di Roma. Oltre alla funzione commerciale, l’impianto servì anche da base militare per la flotta imperiale, normalmente stanziata a Ravenna e a Miseno. Di eccezionale importanza è la descrizione dettagliata delle fasi di costruzione del porto, documentata da una lettera di Plinio il Giovane che ne fu testimone oculare, trovandosi in quel preciso periodo nella residenza di Traiano, prossima al litorale. Nella lettera dello storico, amico e consigliere dell’imperatore, datata al 106-107 d.C, compare per la prima volta il nome di Centumcellae, riferito dapprima alla magnifica villa di Traiano; il toponimo successivamente definì l’intera area portuale e la città stessa. Nel 416, Rutilio Namaziano, descrivendo il suo viaggio per mare verso la Gallia, parla dell’approdo di Centumcellae, che, grazie alla sua darsena interna, era in grado di accogliere le navi in acque perennemente quiete e, ancora nel vi secolo, lo storico bizantino Procopio ricorda la città come grande e popolosa. Nell’854 d.C., a seguito degli attacchi dei Saraceni, gli abitanti furono costretti a ritirarsi nell’entroterra dove fu fondata Leopoli (città di Leone iv); cessato il pericolo tornarono a risiedere lungo la costa e il centro urbano adiacente al porto assunse il nome di Civitas Vetula, ovvero, Civitavecchia. A partire dal Rinascimento i pontefici, consapevoli dell’importanza di questo scalo per la difesa e il rifornimento di Roma, impegnarono per il restauro e la ristrutturazione delle antiche strutture ingenti ricchezze e il genio dei più grandi architetti del tempo. L’impianto traianeo era comunque ben riconoscibile fino alla seconda guerra mondiale, quando il porto, per il suo valore strategico, fu quasi totalmente distrutto dai bombardamenti. La struttura era costituita da un grande bacino delimitato da due moli convergenti che si spingevano in mare dalla terra ferma, nel punto in cui la costa formava un’insenatura naturale. Alla testata di ciascuna banchina si trovavano due torri-faro a pianta circolare, delle quali, quella del molo sud-orientale, detta “del Bicchiere”, è stata rasa al suolo dai bombardamenti, mentre quella del molo di nord-ovest, Accanto: Forte Michelangelo, veduta dal pallone aerostatico dei resti del grande edificio di età romana. A destra: torrefaro del porto romano, trasformata in fortino nel xvi sec. d.C. detta “Molo del Lazzaretto” (foto Alinari). detta del “Lazzaretto”, è l’unica che ancora si conserva, seppure fortemente danneggiata. Lo specchio d’acqua era protetto all’esterno da un antemurale curvilineo, ora distrutto, anch’esso caratterizzato, alle estremità, da due torri-faro. Di un faro vero e proprio non vi è notizia né traccia archeologica, sebbene tradizionalmente lo si ipotizzi al centro dell’antemurale. Il metodo di costruzione della diga frangiflutti frontale è lo stesso del molo di levante, come riferisce Plinio. Si tratta della cosiddetta tecnica “a pietre perse”, che prevedeva la gettata di massi a costituire delle scogliere artificiali, sopra le quali si calavano cassoni ripieni di muratura. Il molo di ponente era costituito invece da piloni in opera cementizia collegati da archi con paramento in blocchetti, ancora visibili sotto l’attuale banchina d’imbarco dei traghetti delle Ferrovie dello Stato. A nord del bacino principale e comunicante con esso è la darsena, un bacino più interno e in posizione più riparata, che consentiva di svolgere le operazioni di carico e scarico delle merci e offriva una base fissa e sicura alle flotte militari qui distaccate. Questo settore dell’impianto portuale fu realizzato scavando il banco roccioso e addossando alle pareti, prima che si aprisse il collegamento con il bacino principale, muri in opera reticolata. Per quanto riguarda le altre strutture funzionali al porto, nell’area prossima alla darsena – oggi adiacente al moderno ingresso – era situato l’arsenale – i navalia – la cui struttura è definitivamente scomparsa, mentre un altro complesso architettonico di notevole importanza – forse la sede del comando della flotta – era ubicato nell’area ove insiste il Forte Michelangelo, come dimostrerebbero anche gli ambienti di epoca romano-traianea, rinvenuti di recente nello scavo del cortile della fortezza cinquecentesca. Alle spalle del bacino portuale principale, lungo l’attuale corso Marconi, si conservano, ancora, inglobati nelle cantine degli edifici ricostruiti nel dopoguerra, i magazzini che servivano al deposito delle derrate alimentari. F Per saperne di più f. correnti, Centumcellae: la villa, il porto e la città, in Caere e il suo territorio da Agylla a Centumcellae, Roma 1990, pp. 209-214. l. quilici, Il porto di CivitavecchiaL’antica Centumcellae, in Eius Virtutis Studiosi: Classical and Postclassical Studies in memories of Frank Edward Brown (1908-1988), Studies in the History of Art. 43, Center for Advanced Study in the visual Arts, Symposium Papers xxiii, Hannover and London 1993, pp. 63-83. Il porto di Anzio Foto aerea in cui sono visibili i resti del porto romano. Veduta della cosiddetta Villa di Nerone. Come tramanda lo storico latino Svetonio, l’imperatore Nerone, nativo di Anzio, dedusse nella città una colonia di veterani e vi fece costruire un porto, spendendo enormi somme. Le imponenti rovine di esso divennero materia di ricerca e di interesse antiquario quando, alla fine del 1600, il papa Innocenzo xii intraprese l’edificazione del porto moderno. Questo, infatti, si installò su parte dell’impianto antico, del quale riutilizzò alcune strutture murarie. Il bacino principale del porto neroniano era costituito da due moli convergenti, ciascuno ancorato ad un promontorio naturale: quello sul quale sorge il Faro, verso ovest e quello dov’è il belvedere di Villa Albani, verso est. Il molo orientale si estendeva con andamento perpendicolare alla riva, mentre il molo occidentale formava una curva accentuata e culminava sopravanzando la testata del molo orientale, a proteggere la bocca del porto che si trovava ad est. Le rovine dei moli sono conservate in mare ad una profondità variabile fra 1 e 8 metri; all’estremità verso terra della banchina occidentale è tuttora visibile una platea in calcestruzzo sulla quale si trovano le cosiddette “grotte”, i resti di una serie di ambienti comunicanti fra loro, costruiti a ridosso delle pareti del promontorio. Della banchina orientale rimangono due grossi blocchi, uno è sor- Resti dei cosiddetti magazzini del porto. Un’altra veduta della cosiddetta Villa di Nerone. montato dal molo moderno, l’altro, staccatosi, si trova in mare, di poco emergente dal pelo dell’acqua. L’analisi dei resti superstiti ha permesso di comprendere le loro modalità di costruzione che sono quelle indicate nel trattato di Vitruvio. Le strutture murarie del porto di Anzio sono, infatti, costruite in opera cementizia, di scapoli di tufo e malta di calce e pozzolana. Era quest’ultimo elemento a rendere la malta idraulica, ovvero capace di solidificare in acqua. Su tutti i ruderi si notano un grande numero di cavità lasciate nell’opera cementizia dai legnami usati nella fabbricazione. Il calcestruzzo, infatti, è stato gettato entro cassaforme di legno, con le pareti di assi tenute insieme da pali piantati nel fondale, ai quali erano legate travi orizzontali. Talvolta è stata accertata la presenza di altri pali verticali, piantati lungo il perimetro esterno della cassaforma. Le parti delle banchine emergenti furono realizzate in muratura con paramento di mattoni. Recenti indagini hanno consentito di precisare meglio la planimetria del porto, che si è rivelata assai complessa, articolata in due moli affiancati, del quale l’orientale (più piccolo) è stato in seguito occupato dal porto di Innocenzo xii. A delimitazione della baia risultante ad est del bacino principale era un ulteriore molo dell’età di Nerone, al quale si ancorò nel xviii secolo il cosiddetto Moletto Panfili, attualmente sepolto dalle banchine della “Riviera di Levante”. Alla fine del 1800, proprio a nord di quest’area, in una zona da tempo insabbiata e invasa dalla città moderna, venne scoperto il relitto di una nave romana, durante lo scavo per le fondazioni di un edificio. La nave era evidentemente affondata nel porto, nei pressi della sponda verso terra. Sondaggi effettuati al centro del bacino occidentale hanno, inoltre, rivelato la presenza di un molo intermedio, interno alla darsena principale, probabilmente realizzato in età neroniana, che serviva a bloccare le onde che il vento di scirocco poteva spingere fin dentro il bacino. L’andamento di questa banchina, anche dove il cementizio si è disgregato, è in alcuni tratti ricostruibile grazie alle travi di legno delle cassaforme di costruzione, conservate nel fango del fondale. F Per saperne di più e. felici, Scoperte epigrafiche e topografiche sulla costruzione del porto neroniano di Antium, in Archeologia subacquea. Studi, ricerche e documenti, iii, Roma 2002, pp. 107-122. Il porto di Gravisca Tarquinia Lido, veduta dei resti del porto Clementino. Graviscae, ancora con dedica in greco ad Apollo (da Le grandi avventure dell’archeologia, 1980). Il tratto di costa compreso fra i fiumi Mignone e Marta gravitava, in epoca etrusca, nell’ambito della città-stato di Tarquinia che si trovava ubicata su di un’altura, in prossimità del mare, ma ad una certa distanza da esso, al quale era direttamente collegata attraverso vie d’acqua e percorsi di terra. Tale posizione consentiva all’abitato una maggiore salubrità, rispetto alla fascia costiera, umida e spesso soggetta alla malaria e una più sicura difesa, rispetto agli attacchi dei nemici provenienti dal mare e alle incursioni dei pirati. Sotto il controllo di Tarquinia, sulla costa, attorno al 600 a. C., si installarono un importante scalo marittimo ed un santuario dedicato alle divinità di Hera, Afrodite e Demetra, intensamente frequentato da mercanti greci. Il complesso, scoperto nel corso degli scavi effettuati nella zona prossima al Porto Clementino a partire dal 1969, rimase in uso fino alla conquista romana del territorio, avvenuta nel 281 a. C. Un secolo più tardi, nel 181 a.C., sul sito fu dedotta la colonia marittima di Graviscae, che assolse la duplice funzione di scalo commerciale e di presidio militare, diminuendo progressivamente d’im- portanza, fino alla quasi totale distruzione, avvenuta nel corso dell’invasione gotica del 408-410 d.C. In questo tratto di costa, dopo il Mille, si impiantò il porto di Corneto, l’abitato medievale sorto in collina, nei pressi della città etrusca di Tarquinia. L’impianto era controllato dalla Torre degli Appestati, della quale resta il basamento, in blocchi di arenaria. Nel corso del xv secolo, per volere di Niccolò v e di Pio ii, il porto, a difesa del quale si innalzò la Torre di Corneto (ora distrutta), subì modifiche ed ampliamenti, fino a quando, nel 1486, venne Tarquinia Lido, Graviscae, planimetria del santuario (da Torelli 1977). Tarquinia Lido, Graviscae, veduta aerea del santuiario (da Le grandi avventure dell’archeologia, 1980). raso al suolo in occasione del conflitto fra il papa Innocenzo viii e il re di Napoli. L’assetto definitivo dello scalo marittimo si deve all’opera di Clemente xii (1738), dal quale esso derivò il nome. I ruderi visibili presso l’attuale località di Tarquinia Lido sono il risultato della distruzione causata dai bombardamenti tedeschi, durante la seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda il porto antico, in seguito a recenti indagini, è stato possibile localizzarlo non in mare, ma a terra, seppure subito a ridosso della linea di costa. Tale fenomeno è dovuto alle sensibili modifiche subite da questo tratto costiero nel corso dei secoli. L’area era caratterizzata anche dalla presenza di stagni e lagune che potevano facilmente essere utilizzati come ricoveri portuali, al tempo dell’abi- tato arcaico e della colonia romana. È verosimile, dunque, che l’impianto si articolasse in un attracco esterno, coincidente, forse, con lo scalo marittimo settecentesco e in uno o più bacini interni, ora interrati, collegati al mare attraverso canali, conformemente alla natura acquitrinosa della zona, dove Pio vii, nel 1805, fece realizzare delle saline. Il poeta Rutilio Namaziano, descrivendo il suo viaggio per mare di ritorno in Gallia, nel 415 d.C., dice che la sua nave si era opportunamente portata al largo, nel tratto fra la foce del Mignone e Graviscae, al fine di evitare le secche che caratterizzavano questa parte del litorale. I naufragi di molte navi che, invece, procedendo di cabotaggio, si tenevano vicino alla costa, sono testimoniati dai numerosi relitti scoperti a bassa profondità, nel corso di sistematiche ricognizioni sottomarine. F Per saperne di più p. gianfrotta, Le coste, i porti, la pesca, in Etruria meridionale: conoscenza, conservazione, fruizione (Viterbo 1985), Roma 1988, pp. 11-15. Il porto di Torre Astura Sotto: Villa romana e castello. In basso: strutture della villa e della peschiera. Un approdo naturale nel tratto di mare prossimo alla foce del fiume Astura viene ricordato dal geografo Strabone (v, 3, 6), descrivendo la costa del Lazio Meridionale. La località è nominata di frequente anche nelle lettere di Cicerone (Ad Att. xii, 17, 1; 19, 1;36, 1; 37, 2; 37a; 41, 4) che vi possedeva una villa nella quale abitò tra il 45 e il 44 a.C., dopo la morte della figlia Tullia. Sul luogo, visibile da Anzio e dal Circeo, si trovano i resti di un complesso architettonico, databile tra la fine dell’età repubblicana e l’inizio dell’età imperiale, con varie fasi successive di ampliamento e consolidamento e una torre medievale, famosa perché nel 1268 vi fu catturato Corradino di Svevia, in seguito al tradimento di Giovanni Frangipane. Le rovine di età romana sono relative ad una villa marittima, in parte costruita sulla terraferma, in parte realizzata su di un’isola artificiale, ad una grande peschiera, realizzata attorno ad essa e ad un porto, di notevoli dimensioni, aggiunto in un secondo tempo. I due corpi residenziali sono uniti da un ponte su arcate, lungo circa 130 metri, che sosteneva pure lo specus di un acquedotto, con la funzione di apportare acqua dolce alla porzione insulare del complesso. L’impianto di itticoltura, uno dei più grandi che si conservino, ha una forma quadrangolare, con avancorpo aggettante al centro del lato meridionale, sul quale si innalza la Torre di Astura. La peschiera è stata impostata direttamente sul banco roccioso ed è delimitata sui lati esposti verso il mare aperto, da un molo perimetrale in opera cementizia, realizzato mediante gettate affiancate di calcestruzzo. Tutto attorno ad esso si estendono una serie di piccoli vani rettangolari collegati tra loro. Una doppia fila di sei vasche si estende dal centro del lato meridionale del recinto esterno fino alla parte dell’impianto connessa direttamente, mediante vasche con pilastri, alla fronte della villa realizzata sull’isola. Qui si trovano vasche dal perimetro rettangolare, all’interno di due delle quali si inscrivono bacini romboidali. Date le dimensioni e l’articolazione planimetrica dell’impianto, si ritiene che esso dovesse servire per un allevamento di pesce su scala che oggi definiremmo industriale. La fortezza medievale, che si erge verso il mare aperto, ingloba i resti di una struttura in cui è stato riconosciuto il basamento del faro di età romana, la cui Foto aerea, in giallo resti della villa con peschiera ed in rosso il porto. A destra: planimetria della villa romana e delle peschiere (elab. F. Piccarreta). costruzione sembra pure precedente all’impianto della peschiera. Una lanterna era infatti necessaria alla segnalazione della punta, con i suoi bassifondi di scogli e dell’ancoraggio naturale, ricordato dalle fonti alla foce del fiume. Nel corso dell’età imperiale, sul versante orientale dell’isola artificiale, venne agganciato il porto, realizzato a moli convergenti, con imboccatura aperta verso Sud-Est, protetta da un antemurale. Quest’ultimo appare oggi completamente spianato e sommerso ed anche i moli sono scarsamente conservati. Essi furono costruiti innalzando su una fondazione continua una serie di pile di calcestruzzo collegate da arcate, le luci delle quali vennero, in una seconda fase, chiuse con setti murari. Al termine del molo occidentale si individuano i resti di una piccola struttura circolare probabilmente pertinente ad un faro di segnalazione dell’imbocco del porto. Simili torrette dovevano trovarsi all’estremità del molo opposto e sull’antemurale, che ha, non a caso, mantenuto il nome significativo di “Scoglio della Lanterna”. La forma del porto di Astura sembra motivata dalla necessità di creare un approdo il più possibile lontano dai bassifondi scogliosi che caratterizzano questo tratto della costa. Le sue dimensioni denotano l’ingente impegno economico, non giustificabile ai fini di un semplice scalo privato. L’ipotesi più probabile è che l’impianto qui realizzato sia stato concepito come ancoraggio di rifugio, ubicato nel mezzo del tragitto tra i due approdi attrezzati di Ostia e del Circeo. La costruzione di un porto di questa mole sembra la prova che la villa divenne di proprietà imperiale. Dai racconti di Svetonio e Plinio, sappiamo, infatti, che Augusto, Tiberio e Caligola vi soggiornarono nel corso dei loro viaggi via mare verso la Campania. F Per saperne di più f. piccarreta, Astura, Forma Italiae, Regio i, Vol. xiii, Firenze 1977, pp. 21-66. I porti di Ponza e Ventotene Ponza, località Punta della Madonna, molo Musco. Accanto: Ponza, le grotte di Pilato. L’arcipelago pontino, con le due isole maggiori di Pontia (Ponza) e Mandataria (Ventotene), venne, in età augustea, a far parte della proprietà imperiale. A quest’epoca si può verosimilmente far risalire l’inizio dello sfruttamento edilizio intensivo nel loro territorio, caratterizzato, in particolare, dalla costruzione di lussuose ville residenziali, utilizzate come luoghi di esilio per i membri della famiglia imperiale. Sempre nell’ambito della pianificazione urbanistica dell’età di Augusto si colloca, in entrambe le isole, la realizzazione degli impianti portuali, pur in assenza di precisi dati storici e archeologici relativi alla loro data di costruzione. Il porto romano di Ponza è stato di recente definitivamente localizzato sul versante settentrionale dell’isola, nel luogo di quello moderno, confutando l’ipotesi, prevalsa negli ultimi decenni, dell’ubicazione dell’approdo antico in località S. Maria. L’insenatura, tuttora occupata dall’impianto portuale risalente alla ristrutturazione borbonica del 1768, è naturalmente difesa dall’azione dei venti e del moto ondoso, grazie alla presenza del piccolo promontorio di Punta della Madonna e ulteriormente protetta dal lungo molo, ora denominato “Mario Musco”, documentato in questa posizione già nella cartografia rinascimentale. In seguito al danneggiamento della banchina moderna, dovuto agli spostamenti d’acqua determinati dagli aliscafi di linea nel corso delle manovre di arrivo e partenza, indagini subacquee hanno appurato la presenza, al suo interno, di resti del molo romano. Il parziale crollo della fodera di cemento ha reso, infatti, visibile un tratto della struttura originaria, conservata sotto il piano di calpestio dell’attuale banchina fino al livello del fondo marino, realizzata in opera reticolata all’interno della quale restano le impronte cave, verticali, lasciate dai montanti in legno della cassaforma che serviva a contenere la gettata del conglomerato cementizio. Sono state individuate, eccezionalmente conservate nel fango del fondale, delle tavole in legno di quercia accostate l’una all’altra, lasciate in opera a lavoro ultimato, che ci testimoniano l’impiego, per la costruzione del molo, del metodo a doppia paratia, utilizzato per realizzare una cassaforma “stagna”, entro la quale effettuare la colata di calcestruzzo, come prescritto nel trattato di Vitruvio. In documenti di epoca rinascimentale, la struttura del molo viene rappresentata con una breve lacuna nel tratto verso terra. Questa potrebbe essere interpretata come un’interruzione, prevista in fase di costruzione, per Ponza, veduta interna delle grotte di Pilato. Ventotene, bitta d’ormeggio. permettere l’afflusso di acqua all’interno del bacino, al fine di contrastarne l’interramento. In tal caso, la banchina non presenterebbe una fondazione continua, ma sarebbe costituita da setti murari isolati, uniti superiormente da arcate in muratura. Il porto romano di Ventotene, tuttora in uso, è situato sull’estremità orientale dell’isola, immediatamente a sud di quello moderno. Esso è costituito da un bacino artificiale, reso necessario dalla mancanza di approdi naturali, interamente scavato nella roccia tufacea, fino alla profondità di circa 3,5 metri sotto il livello del mare. L’impianto presenta una forma allungata in senso Nord-Sud, con ingresso aperto a Sud-Est. Di fronte all’imbocco del porto, dal mare aperto, si trova un piccolo bacino di alaggio, ora denominato “del Pozzillo”, dove le navi potevano essere tirate in secco. Sulla banchina che si estendeva lungo il lato occidentale, verso terra, si trovava un portico, anch’esso scavato nella roccia, del quale restano le arcate, scarsamente conservate perché corrose dall’azione del vento. Più a sud, in corrispondenza di una rientranza del bacino forse realizzata in un tempo successivo all’impianto originario, si individuano una serie di ambienti con funzione di magazzini, a tutt’oggi occupati da negozi e rimesse per le barche. Sono ancora in uso le grandi bitte di epoca romana, intagliate sulla scarpata relativa al lato meridionale dell’imboccatura del porto, fra le quali si tendevano le catene che ne sbarravano l’accesso. Le bitte dovevano pure essere utilizzate per facilitare l’entrata nel bacino delle navi da carico, poco adatte alla manovra, in quanto prive di remi. Si è calcolato che l’impianto era in grado di ospitare imbarcazioni lunghe fino a 30-35 metri. Il porto fu verosimilmente realizzato, con carattere di approdo privato, in funzione della vicina villa imperiale di Punta Eolo, che ospitò l’esilio di Giulia, figlia di Augusto, di Agrippina, moglie di Germanico e di Ottavia, moglie di Nerone. È probabile che l’enorme quantità di roccia estratta per lo scavo del bacino, stimata in circa 6.000 metri cubi, sia stata utilizzata come materiale da costruzione del complesso residenziale. Sempre alla villa di Punta Eolo era forse pertinente la peschiera rettangolare, pure scavata nella roccia, i resti della quale sono visibili a sud del porto. F Per saperne di più p.a. gianfrotta, Ponza (puntualizzazioni marittime), in Archeologia Subacquea. Studi, ricerche e documenti, iii, Roma 2002, pp. 67-90. g.m. de rossi, Ventotene e S. Stefano: un’agile ma esauriente guida per la riscoperta storica, archeologica e naturalistica delle due isole e per una loro “rilettura” nel Museo di Ventotene, Roma 1993. I porti marittimi di Claudio e di Traiano PARCO ARCHEOLOGICO DEI PORTI DI CLAUDIO E TRAIANO Carta del sistema portuale di Roma. Foto aerea del bacino esagonale del porto di Traiano (in primo piano l’Episcopio di Porto). Nel 42 d.C., l’imperatore Claudio diede avvio alla costruzione di un grande porto marittimo posto 3 km. a Nord della foce del Tevere. Il Porto di Claudio fu inaugurato nel 64 d.C., sotto il principato di Nerone. Il nuovo porto si affiancava a quello fluviale di Ostia ed al porto marittimo di Pozzuoli, cardini dell’organizzazione portuale di Roma fin dagli inizi del ii sec. a.C., ma divenuti inadeguati alle crescenti necessità di approvvigionamento della città. Ampio all’incirca 150 ettari, il porto di Claudio fu scavato in parte nella terra ferma, in parte racchiuso verso mare da due moli curvilinei convergenti verso l’ingresso. Qui, su un’isola artificiale, sorgeva un gigantesco faro, a modello del celebre faro di Alessandria d’Egitto, che segnalava ai naviganti l’ingresso del porto. L’estensione del bacino assicurava che si potesse effettuare, senza pericolo, lo scarico dalle grandi navi da carico (naves onerariae) e il trasbordo delle merci sulle imbarcazioni fluviali (naves caudicariae) adatte alla risalita del Tevere fino a Roma. Almeno due canali artificiali assicuravano il collegamento tra il mare, il porto di Claudio e il Tevere. Le fondazioni del molo Nord sono ancor oggi visibili alle spalle del Museo delle Navi di Fiumicino, per un’estensione di circa 1 km. Sulla banchina verso terra sono invece visitabili alcune delle strutture funzionali pertinenti al porto (la c.d. Capitaneria, una cisterna e degli edifici termali) tutte realizzate, però, in un’epoca posteriore (ii sec. d.C.) all’impianto di Claudio. La scarsa sicurezza e l’insabbiamento progressivo cui il porto di Claudio andava soggetto (confermando appieno le catastrofiche previsioni dei tecnici del tempo), Il molo settentrionale del porto di Claudio al momento del ritrovamento. Assonometria ricostruttiva dei porti imperiali (da P. Verduchi). Attorno al bacino traianeo si sviluppò la città di Portus che fu resa da Costantino (314 d.C.) autonoma da Ostia, diventando così il “Portus Romae”. A partire dal ivv sec.d.C., la città fu munita di un circuito di mura per difendere i preziosi magazzini e le vie fluviali di accesso a Roma. Con l’aumentare delle scorrerie barbariche, l’attività portuale si contrasse sui lati meridionali del bacino esagonale costituendo il “Castello di Porto”, legato alle vicende delle guerre gotiche (vi sec.). Il periodo altomedievale segnò l’abbandono dell’area; sopravvisse solo l’Episcopio di Porto ancor oggi visibile lungo la Fossa Traiana. spinsero l’imperatore Traiano a trasformare 40 anni dopo (fra il 100 e il 112 d.C.) il sistema portuale con la costruzione di un nuovo bacino più interno. Il porto di Claudio continuò ad essere utilizzato come riparo in rada, migliorando la funzionalità del Porto di Traiano. Il fulcro del complesso portuale traianeo era costituito dal bacino esagonale (33 ettari di superficie) circondato da banchine di attracco e dall’insieme più grandioso di magazzini e di edifici funzionali mai esistito nell’antichità. Sul suo lato occidentale, si apriva un largo canale di accesso che lo collegava all’invaso del porto di Claudio. Un molo trasversale (Nord-Sud), con faro all’estremità, ne serrava l’imbocco riparando l’esagono. Il porto comprendeva un secondo bacino rettangolare, la c.d. darsena, ed un breve braccio di collegamento con il canale artificiale (la Fossa Traiana, oggi Canale di Fiumicino) che raggiungeva il corso del Tevere. porto di claudio L’ingresso nell’area archeologica del Porto di Claudio è gratuito. Se ne consiglia, comunque, la visita unitamente al contiguo Museo delle Navi, all’interno del quale sono illustrati anche i resti monumentali del porto. Su richiesta telefonica è possibile visitare l’area archeologica di Monte Giulio e la c.d. Capitaneria. porto di traiano Prenotazioni telefoniche presso il Museo delle Navi, da martedì a domenica dalle 9.00 alle 13.30; martedì e giovedì anche dalle 14.30 alle16.30. Biglietto: il pagamento del biglietto è attualmente sospeso. Le visite al Porto di Traiano sono pertanto gratuite, ma sono ammesse solo con l’accompagnamento del personale di custodia. Durata della visita: 2-4 ore, a seconda degli itinerari. Il porto fluviale di Ostia PARCO ARCHEOLOGICO DI OSTIA ANTICA Foto aerea di Ostia. Ostia deriva il suo nome dalla sua posizione alla foce (ostium) del Tevere la più importante via di comunicazione tra la costa tirrenica e Roma. Il suo ruolo quale avamporto di questa città è oggi difficilmente apprezzabile a causa di due fattori: il mutato percorso del fiume che, dopo l’inondazione del 1557, ha abbandonato il meandro in corrispondenza dell’odierno Borgo di Ostia Antica e il progressivo avanzamento della linea di costa, dalla quale la città antica dista ora più di 3 km. L’abitato, sin dalle sue origini, era dotato di un importante affaccio marittimo e gravitava sul Tevere, lungo il quale era collocato il porto. Secondo la tradizione, Ostia fu fondata in epoca regia da Anco Marcio (vii sec. a.C.) per il controllo del territorio costiero e, soprattutto, della foce del Tevere. Il primo insediamento noto da indagini archeologiche è la cittadella fortificata, il castrum (iv sec. a.C.), munita di una cinta di mura in blocchi di tufo nella quale si aprivano quattro porte. L’insediamento era attraversato da due assi stradali: il Cardine, con andamento nord-sud, ed il Decumano, che correva in senso est-ovest proseguendo all’interno del castrum il tracciato della Via Ostiense. Al ruolo primitivo di “colonia” marittima, posta a difesa di Roma contro gli attacchi provenienti dal mare, si sostituì ben presto una funzione prevalentemente commerciale legata alla presenza del porto fluviale. Per il suo funzionamento venne attivata una complessa organizzazione sotto la sorveglianza dei funzionari statali addetti all’annona (termine che indicava le attività connesse all’approvvigionamento di derrate alimentari). Le merci scaricate dalle navi da carico (le naves onerariae), dopo una sosta nei magazzini, venivano ricaricate su chiatte fluviali (le naves caudicariae) in grado di risalire il Tevere sino a Roma. Le grandi navi onerarie, tuttavia, non potevano penetrare nel porto fluviale a causa delle barre costiere presenti alla foce ed erano spesso costrette a trasferire il carico, mentre si trovavano in mare, su imbarcazioni più piccole. Dall’inizio del ii sec. a.C., quindi, il sistema portuale di Roma si allargherà a comprendere il più lontano porto di Pozzuoli, struttura in grado di accogliere navi più grandi. Una flottiglia di navi di medio tonnellaggio era addetta al trasporto delle merci da Pozzuoli fino ad Ostia, mentre le chiatte fluviali coprivano gli ultimi 35 km sino a Roma. Questa complessa organizzazione conti- Pianta di Ostia. Ufficio di rappresentanza degli armatori di Cagliari (navicularii Karalitanis), mosaico della Statio 21 del Piazzale della Corporazioni (fine ii sec. d.C.). con quella del faro che in epoca romana doveva guidare le imbarcazioni all’imbocco del fiume. Tra questa torre e i resti monumentali del Palazzo Imperiale, recenti indagini hanno confermato l’ubicazione di un bacino portuale, scavato nella sponda fluviale e di strutture per il ricovero delle navi da guerra, i c.d. Navalia. nuerà a soddisfare le esigenze della capitale anche dopo la costruzione del porto, voluta dall’imperatore Claudio. Solo nel ii sec. d.C., quando l’imperatore Traiano trasformò il porto di Claudio costruendo un nuovo bacino più funzionale, Ostia vedrà via via scemare la sua importanza. Nel visitare gli scavi, si percepisce facilmente la funzione portuale e commerciale della città a causa del grande numero di edifici adibiti a magazzini (horrea) presenti nell’impianto urbano, molti dei quali collocati presso la sponda del Tevere. Il Piazzale delle Corporazioni offre una vivida immagine dell’attività che ferveva nella città nel ii sec. d.C. Attorno ad una piazza circondata da un colonnato, si aprivano sessantuno ambienti, identificabili come “uffici di rappresentanza” di armatori e commercianti attivi nel porto ostiense. Le evidenze archeologiche relative al porto fluviale invece non sono molto numerose. La posizione della medievale Torre Boacciana probabilmente corrispondeva area archeologica di ostia antica Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Via dei Romagnoli 717 00119 Ostia Antica (rm) Tel. +39 06 5635.8099 Fax +39 06 565.1500. Durata della visita: 2-6 ore, a seconda degli itinerari. Orario d’apertura: periodo ora legale, h. 9,00 -18,00 (uscita del pubblico entro le 19,00); periodo ora solare, h. 9,00 - 16,00 (uscita del pubblico entro le 17,00). Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre. Biglietto (comprensivo dell’ingresso al Museo): € 4,00; gratuito per i cittadini membri dell’Unione europea sotto i 18 anni e sopra i 65 anni d’età; ridotto per la fascia 18-25 anni. Il Museo delle Navi di Fiumicino Il Museo delle Navi di Fiumicino. All’interno del Museo delle Navi sono esposti i resti di cinque imbarcazioni (più frammenti di fiancata di altre due) databili dal ii al v secolo d.C. I relitti furono riportati in luce tra il 1958 ed il 1965 in occasione di lavori connessi con la costruzione dell’Aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci” di Fiumicino. Le navi furono recuperate in un’area compresa tra il luogo di costruzione del museo che attualmente le ospita e i resti del molo settentrionale del porto fatto costruire dall’imperatore Claudio nel i sec. d.C. Nel sito del ritrovamento, marginale rispetto all’ampio bacino portuale e soggetto ad insabbiamento, doveva trovarsi un vero e proprio “cimitero navale” dove venivano abbandonati i natanti non più adatti a prestare ancora servizio. Delle navi si conservano soltanto le strut- ture del fondo che, ricoperte dai sedimenti e dalle sabbie, hanno resistito all’azione distruttrice dell’acqua, della flora e della fauna marine. Delle cinque imbarcazioni meglio conservate, due (Fiumicino 1 e 2) sono identificabili con le naves caudicariae note dalle fonti antiche. Le caudicarie, sorta di grosse chiatte fluviali, erano impiegate per il trasporto delle merci dal porto marittimo ai porti fluviali di Roma. Queste chiatte, prive di vele, erano trainate mediante funi da uomini (gli helciarii citati dalle fonti classiche) o da buoi che procedevano sulla riva del Tevere. Questo sistema di propulsione, chiamato alaggio, fu utilizzato fino alla fine del xix secolo. Anche Fiumicino 3 è un natante di tipo fluviale ma di dimensioni più piccole rispetto ai precedenti. Il luogo di rinvenimento dei relitti. numerosi oggetti legati alla vita e alle attrezzature di bordo nonché alle tipologie dei materiali (anfore, marmi, ecc.) che, trasportati via mare, giungevano al porto di Roma. museo delle navi romane Via A. Guidoni, 35 - 00050 Fiumicino Aeroporto (rm) Tel. +39 06 652.9192 Fax +39 06 6501.0089 Durata della visita al museo: 45 min. Il relitto Fiumicino 5 durante lo scavo. Fiumicino 4, attrezzata in origine con una vela quadra, è invece un’imbarcazione adatta ad una navigazione marittima di cabotaggio oppure ad un’attività di pesca costiera. A quest’ultima attività era anche adibita la piccola “Barca del Pescatore” (Fiumicino 5) equipaggiata con un vivaio centrale per il trasporto del pesce. Il fondo dello scafo era, infatti, forato in corrispondenza del vivaio, in modo da permettere la circolazione interna dell’acqua e conservare così vivo il pescato. All’interno del museo sono esposti anche Biglietto: € 2,00; gratuito per i cittadini membri di Paesi dell’Unione europea sotto i 18 anni e sopra i 65 anni d’età; ridotto per la fascia 18-25 anni. Orario d’apertura: da martedì a domenica dalle 9.00 alle 13.30; martedì e giovedì anche dalle 14.30 alle 16.30; Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre. Note: Il 1° Sabato e l’ultima Domenica di ogni mese appuntamento alle 9.30 al Museo per la visita guidata, che comprende anche l’area archeologica del Porto di Traiano. Su richiesta telefonica è possibile visitare l’area archeologica di Monte Giulio e la c.d. Capitaneria.