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filiera latte e formaggi di capra

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filiera latte e formaggi di capra
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F.E.S.R.
PROGRAMMA OPERATIVO DI COOPERAZIONE
TRANFRONTALIERA ITALIA-SVIZZERA 2007/2013
FILIERA LATTE
E FORMAGGI
DI CAPRA
PROGETTO
“VALORI
E
SAPORI
PROALPI
DELLE PRODUZIONI TRADIZIONALI ALPINE ”
Le opportunità non hanno confini
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DISPENSA DI TECNOLOGIA CASEARIA
COORDINAMENTO REDAZIONALE:
DOTT. GIUSEPPE PALTANI
CONTRIBUTI DI:
GIUSEPPE PALTANI - Tecnologo Alimentare Nutrizionista,
Provincia Verbano-Cusio-Ossola
LISA PIROVANO - Dottore Agronomo libera professionista
AA.VV. - Centro Interdipartimentale per la Gestione Sostenibile e la Difesa della
Montagna – GeSDiMont, Università degli Studi di Milano
GUIDO LEGNANI - Fotocomposizione Press Grafica - Gravellona Toce
(per impaginazione grafica e immagine di copertina)
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SOMMARIO
INTRODUZIONE
IL LATTE
IL LATTE DI CAPRA
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALE
GLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINO
I PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRA
L’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA CASEARIA
LA FERMENTAZIONE LATTICA
I BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPO
L’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICI
LE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIO
L’UTILIZZO DEI CITRATI
EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
I BATTERI LATTICI MESOFILI
I BATTERI LATTICI TERMOFILI
EFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
EFFETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
EFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
ESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICI
SENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICI
CARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIO
LA MICROFLORA ALTERATIVA E PATOGENA
GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO DI MISURARE
E DI SEGUIRE L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ
RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA
DI CASEIFICAZIONE
RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE
DI
UN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICA
IL PROFILO DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE DI UN FORMAGGIO A PASTA PRESSATA NON COTTA
I
PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO D’ACIDIFICAZIONE E DI
COAGULAZIONE DEL LATTE
CARATTERISTICHE
DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGU-
LAZIONE
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ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE
STRUMENTI E TEST PRATICI PER IL MONITORAGGIO
DELLA QUALITÀ DEL LATTE
I SISTEMI DI GESTIONE DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO
DAL LATTE AL FORMAGGIO: LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE
LA MATERIA PRIMA
RISCALDAMENTO
INNESTO DEI FERMENTI LATTICI
AGGIUNTA DEL CAGLIO
COAGULAZIONE
LAVORI IN CALDAIA
ESTRAZIONE E FORMATURA
PRESSATURA
SALATURA
STAGIONATURA
ASCIUGATURA
CONFEZIONAMENTO
ETICHETTATURA
SCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINI PRODOTTI NEL TERRITORIO DEL VCO
I DIFETTI DEI FORMAGGI
IGIENE E BUONE PRATICHE DI LAVORAZIONE
LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE
COME EVITARE LA CONTAMINAZIONE
NORME INGIENICHE DEL PERSONALE
EDIFICI LOCALI
ATTREZZATURE UTENSILI
PULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATURE
FASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONE
STOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONE
BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONE
QUESITI FREQUENTI SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE
BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE
PROALPI “Valori e sapori delle produzioni tradizionali alpine” è un progetto voluto
dall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia del Verbano Cusio Ossola, cofinanziato
dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (F.E.S.R.) a valere sulla Misura 1.3 del
Programma Operativo di Cooperazione Transfrontaliera INTERREG Italia-Svizzera
2007/2013.
Partner della Provincia nella realizzazione del progetto sono l’Università degli Studi di
Milano (Ge.S.Di.Mont Centro Interdipartimentale di Studi Applicati per la Gestione
Sostenibile e la Difesa della Montagna e V.S.A. Dipartimento di Scienze e Tecnologie
Veterinarie per la Sicurezza Alimentare), l’Ente Gestione Parco Nazionale Val Grande,
la Società svizzera Bioethica Food Safety Engineering Sagl ed il Laboratorio cantonale
ticinese.
Il progetto, partito il 15 luglio 2009, ha riguardato i seguenti settori e comparti produttivi: miele, erbe officinali, prodotti derivati dalla trasformazione della carne e formaggi di
capra, nell’ambito dei quali numerose sono state le azioni realizzate, nell’ottica della
valorizzazione delle produzioni tradizionali locali.
Proprio con riferimento alla filiera ‘latte di capra’ si è pensato di ideare questa dispensa
per divulgare le conoscenze del processo produttivo nella produzione del formaggio, con
particolare risalto alle caratteristiche nutrizionali degli alimenti, aspetto sempre molto
considerato dal consumatore e quindi necessaria chiave informativa per comunicare con
il mercato.
La dispensa è strutturata sulle fasi unitarie che, in sequenza, servono a produrre il formaggio descrivendone le peculiarità, gli aspetti igienico-sanitari e le buona prassi di
lavorazione, con altresì un corollario ‘domande e risposte’ che si propone di descrivere
in maniera esauriente le caratteristiche nutrizionali dei formaggi.
Ad uso di operatori del comparto ma anche per neofiti e cosiddetti consumatori di formaggio caprino, questa dispensa fornisce un piccolo contributo anche rispetto all’obiettivo dell’educazione agroalimentare, campo fondamentale per la divulgazione delle
conoscenze delle filiere produttive.
Augurandoci di aver contribuito a compiere un passo in più nella conoscenza di un prodotto di qualità, auspichiamo che il cammino di un consumo consapevole venga intrapreso con sempre maggiore determinazione da produttori e consumatori.
L’Assessore all’Agricoltura
della Provincia del Verbano Cusio Ossola
GERMANO BENDOTTI
Il Dirigente del III Settore della Provincia
Responsabile del progetto Interreg
DOTT. MARIO VENTRELLA
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IL LATTE
Il latte è il prodotto della mungitura regolare ed ininterrotta di mammiferi in buono
stato di salute, di alimentazione ed in corretta lattazione. La parola “latte” identifica il
latte di provenienza vaccina, mentre il latte prodotto da altri mammiferi deve indicare
in etichetta la specie animale di provenienza.
Nel latte di ciascuna specie animale sono presenti sia sostanze di sintesi che di filtrazione, per cui può essere definito un liquido fisiologico di secrezione ed escrezione della
ghiandola mammaria.
Il latte è un sistema eterogeneo sia chimicamente che fisicamente: l’eterogeneità chimica è dovuta alla pluralità di componenti che presentano caratteristiche differenti; l’eterogeneità fisica è dovuta, invece, alla presenza di diverse fasi, ovvero di ogni parte che
costituisce una parte omogenea in un ambiente eterogeneo. Le fasi si differenziano in
base all’omogeneità e alle dimensioni delle particelle.
Fase di emulsione: è la fase in cui si trova il grasso che si presenta in forma di globuli di
0,5 – 10 μm di diametro;
Fase di sospensione colloidale: è la fase caratteristica della caseina, la proteina caratteristica del latte. Essa è presente in forma di micelle (diametro 100-300 nm) costituite da
subunità di dimensioni minori (diametro di 5-10 nm).
Fase di soluzione vera e propria: è la fase in cui si presentano i sali, gli zuccheri e le proteine a basso peso molecolare, particelle che hanno un diametro di Å.
Più propriamente si può definire il latte come una emulsione di sostanze grasse in un plasma latteo, che a sua volta è una dispersione colloidale di proteine (caseina) in una soluzione vera e propria (siero) di altre proteine, sali, zuccheri, vitamine ed enzimi in acqua.
Inoltre, il latte contiene anche ormoni, fattori di crescita e altri composti presenti in tracce, e gas disciolti. Altre caratteristiche del latte sono: la variabilità della composizione, la
complessità (legata al grado di elaborazione dei componenti), l’instabilità delle fasi e dei
componenti, l’equilibrio tra i differenti componenti.
La composizione media delle diverse componenti del latte varia a seconda della specie
animale di provenienza:
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Residuosecco
Acqua
Lattosio
Lipidi
Sostanze azotate
Sali
Asina
10,0
90,0
6,2
1,5
1,8
0,5
Donna
11,7
88,3
6,5
3,5
1,5
0,2
Vacca
12,7
87,3
4,8
3,8
3,3
0,8
Capra
12,8
87,2
4,5
3,8
3,6
0,8
Pecora
19,1
80,9
4,5
7,5
6,0
1,1
Bufala
17,8
82,2
4,7
7,5
4,8
0,8
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IL LATTE DI CAPRA
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALE
Il latte caprino, dal punto di vista nutrizionale, rappresenta una valida alternativa al latte
vaccino. Infatti, il latte di capra possiede un valore calorico pari a 620 kcal/l che risulta
lievemente inferiore a quello di vacca e a quello umano (680 kcal/l).
La composizione del latte di capra varia lievemente in relazione alla genetica dell’animale e alle differenti condizioni climatiche e ambientali dell’allevamento. Le differenze tra
il latte prodotto dalle diverse razze caprine non consistono solo nel contenuto in grasso e
proteine, ma anche nelle percentuali di lattosio e ceneri presenti rispetto al volume totale del latte stesso. Anche all’interno di una medesima razza si possono evidenziare differenze quali-quantitative nel latte prodotto da singoli individui: in genere gli individui più
rustici producono quantitativi modesti, ma forniscono un latte qualitativamente migliore.
Il contenuto medio di sostanza secca nel latte caprino, simile a quello del latte vaccino,
è pari al 12,5 – 13,0 %; le sue variazioni riflettono quelle dei principali costituenti organici del latte quali, proteine, grasso e lattosio che, seppur in diversa misura, sono responsabili della diminuzione del contenuto di sostanza secca nel periodo estivo.
COMPOSIZIONE MEDIA (% P/V) LATTE DI CAPRA
RESIDUO SECCO TOTALE 12,5 - 13,0
RESIDUO SECCO MAGRO 8,0 - 9,0
Acqua
87,0 -87,5
Lipidi
2,4 - 4,0
Lattosio
4,5 - 5,0
sost. azotate
2,9 - 3,6
sost. minerali
0,7 - 0,8
Il contenuto in proteina grezza oscilla tra il 2,6% e il 3,6% con un valore medio pari al
3,0%. In presenza di cicli naturali, durante il periodo di maggior produzione (aprile-maggio) la percentuale di proteina grezza diminuisce fino a raggiungere il valore minimo nel
mese di luglio, per poi aumentare fino al valore massimo nel mese di novembre, che
coincide con la fase di messa in asciutta delle capre.
La caseina, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, è la proteina più importante del latte. Nel latte di capra la caseina rappresenta il 70 – 76% delle proteine totali e il
suo contenuto varia tra l’1,8 e il 2,8%; i valori più bassi si riscontrano in corrispondenza
sia del picco di produzione che del caldo estivo. Nel latte vaccino, invece, oltre a essere
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differenti le percentuali delle diverse frazioni caseiniche, la caseina costituisce il 74 –
78% delle proteine totali; questi fattori contribuiscono parzialmente a spiegare il minor
rendimento caseario del latte caprino rispetto a quello vaccino.
In particolare, la caseina caprina, rispetto a quella vaccina, ha un minor contenuto in ∂s1caseina ed è invece maggiormente ricca di k-caseina. Queste caratteristiche determinano,
nel complesso, una più veloce formazione del coagulo, ma anche un minor indice di solvatazione e quindi una minor stabilità della micella caseinica nel mezzo acquoso. Inoltre,
nel latte di capra, le dimensioni delle micelle caseiniche sono minori e si avvicinano a
quelle della caseina del latte umano, garantendo quindi una migliore digeribilità.
Nel latte di capra il contenuto in sieroproteine è lievemente superiore a quello del latte
vaccino, in particolar modo per quanto concerne il livello dei proteso-peptoni e della globulina. Il latte di capra ha un elevato contenuto di azoto non proteico (sostanza azotate
minori e azoto non proteico) pari a 32 mg/100 ml, che costituisce circa l’8-9% dell’azoto totale. Le variazioni del contenuto di azoto non proteico nel latte caprino risultano
limitate durante l’intero ciclo di lattazione. Il quantitativo di azoto non proteico del latte
caprino, è superiore a quello del latte vaccino, mentre si trova in quantità identiche a
quelle del latte umano.
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Il contenuto lipidico del latte di capra, che mediamente equivale al 3,0-3,5%, oscilla tra
il valore minimo pari a al 2,4% ed il valore massimo corrispondente al 4,0%. Nel latte
caprino il contenuto lipidico è, pertanto, leggermente inferiore rispetto al latte vaccino ed
è inoltre soggetto a maggiori variazioni nel corso della lattazione. Rispetto al latte di
vacca, nel latte di capra sono presenti in maggior proporzione (20% contro il 13% del
latte vaccino) gli acidi grassi a corta e media catena. Gli acidi grassi a corta catena, dal
punto di vista nutrizionale, sono migliori rispetto a quelli a lunga catena in quanto sono
più facilmente digeribili e metabolizzabili, ma contemporaneamente possono provocare
alcuni problemi organolettici, in quanto sono i responsabili del cosiddetto gusto “ircino”,
in genere considerato un difetto. Questo sapore-odore caratteristico del latte di capra e
dei prodotti da esso derivati si manifesta unicamente quando il latte è ricco di grasso,
mentre è quasi assente in corrispondenza del picco di lattazione. La composizione in
acidi grassi, tuttavia, varia principalmente in funzione dell’alimentazione.
Oltre alla differente composizione in acidi grassi, nel latte di capra, come nel latte umano,
i globuli di grasso sono presenti in maggior numero ma presentano dimensioni inferiori
rispetto a quelli presenti nel latte di vacca; infatti il diametro medio dei globuli di grasso
del latte caprino è pari a 2 μm, a differenza di quelli del latte di vacca che presentano un
diametro pari a 3-3,5 μm. Questa caratteristica, dal punto di vista nutrizionale, comporta
la miglior digeribilità per l’uomo del latte di capra rispetto a quello vaccino.
Dal punto di vista tecnologico, però, la suddetta peculiarità comporta un difficile imbrigliamento del globulo di grasso nelle maglie del reticolo caseoso della cagliata che quindi “slatta” facilmente nel corso della lavorazione. Tuttavia, le piccole dimensioni dei globuli di grasso consentono di ottenere una miglior dispersione e quindi una miscela più
omogenea di questi nel latte e nella pasta del formaggio.
Nel latte di capra, inoltre, la scarsezza di agglutinine determina una modesta separazione della crema del latte per affioramento, in particolar modo alle basse temperature.
Il colesterolo è presente, nel latte di capra come in quello vaccino, in forma libera e solo
in minima parte esterificato in concentrazione pari a 10-20 mg/100 ml.
Il lattosio, contenuto in percentuali medie pari al 4,5%, presenta minime fluttuazioni
nella sua composizione. I valori più bassi si osservano nei mesi estivi, anche se la tendenza è quella di diminuire nel corso dell’intero ciclo produttivo.
Nel latte caprino gli oligosaccaridi sono presenti in quantità superiori rispetto al latte vaccino (rispettivamente 0,5% e 0,1%); ciò è rilevante dal punto di vista dietetico-nutrizionale poiché tali zuccheri sono riconosciuti come fattore di crescita del Bifidobacterium,
microrganismo che svolge un’azione di salvaguardia e difesa della mucosa intestinale,
ostacolando la crescita di germi patogeni e favorendo la risoluzione di affezioni gastrointestinali.
Il contenuto medio in ceneri nel latte caprino è pari allo 0,8% ed i valori più elevati si
riscontrano nei mesi autunnali, in corrispondenza del periodo finale della lattazione,
mentre i valori minimi, come per il grasso e le proteine, si presentano nel periodo di mag11
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gior produzione.
Rispetto al latte vaccino, il latte di capra possiede una minor quantità di Sodio e una più
elevata concentrazione di cloruri e ioni Potassio. Questi ultimi possono determinare fenomeni di acidosi o un aumento eccessivo del carico renale, soprattutto nei neonati. Il contenuto in Ferro è buono e, principalmente nei primi giorni della lattazione, il latte caprino può presentare discrete quantità di oligoelementi come Rame e Zinco.
Per quanto concerne il contenuto totale di Calcio e Fosforo, ovvero dei costituenti più
importanti dal punto di vista tecnologico e nutrizionale, il latte caprino e quello vaccino
sono approssimativamente affini. Il latte di capra, però, è più povero in sali di Calcio
solubili rispetto al latte vaccino, ma è più ricco in fosfati; ciò rende sfavorevole per la
caseificazione il rapporto Calcio solubile/Calcio colloidale che sommato allo scarso contenuto in caseina del latte caprino favorisce la formazione di formaggi teneri e poco consistenti che non tollerano tecnologie che implicano elevati riscaldamenti del latte e della
cagliata.
Nel latte caprino, rispetto al latte vaccino, sono presenti in maggior quantità la vitamina
B12, la vitamina E e la nicotinamide, mentre il contenuto in vitamina B6 e acido folico
(la carenza di quest’ultimo può determinare l’anemia del lattante) è minore. Il contenuto
in vitamina B1 e vitamina B2 è pressoché simile in entrambe le tipologie di latte. È utile
sottolineare che i pigmenti carotenoidi, nella capra subiscono una completa trasformazione in vitamina A, mentre nella bovina, una buona parte di questi si ritrova intatta nel
latte, determinando il colore particolarmente bianco del latte e dei prodotti caprini.
GLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINO
Nel latte caprino la densità, ovvero il rapporto tra la massa del latte (grammi) ed il volume (litri o ml), presenta ampie oscillazioni (1,026-1,042 g/l) dovute alla variabilità di
composizione.
Il punto di congelamento del latte di capra è pari a -0,580°C e risulta più elevato rispetto al latte vaccino (-0,540°C) in quanto è un latte caratterizzato da un più elevato tenore
salino.
Il pH del latte caprino, come quello del latte vaccino, è pari a 6,5-6,7, mentre l’acidità di
titolazione è inferiore ed equivale a 3,15 -3,40 °SH /50 ml.
I PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRA
Per quanto concerne il latte di capra due sono i parametri che devono sottostare a limiti
legislativi imposti da regolamenti comunitari: la carica batterica standard e il contenuto
in aflatossine.
Infatti, il regolamento CE n°853/2004 impone i seguenti limiti legislativi (da intendersi
come media geometrica calcolata per un periodo di due mesi con almeno due prelievi al
mese) relativi alla carica batterica standard:
Il contenuto massimo di aflatossina M1 nel latte di capra è invece normato dal regola12
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Latte Crudo destinato alla produzione di prodotti a base di latte trattato termicamente
Latte Crudo destinato alla produzione di prodotti a base di latte crudo
< 1.500.000
< 500.000
mento CE 1881/2006 che impone che tale parametro sia inferiore a 50 ppt.
Nel latte caprino il contenuto in cellule somatiche non è regolamentato da nessuna legge.
È comunque consigliato di mantenere il livello di questo parametro al di sotto di
1.500.000 cellule/ml di latte.
Il contenuto in Coliformi totali e in Stafilococchi coagulasi positivi, indici rispettivamente di qualità igienica dell’ambiente e dello stato sanitario della mammella, non è definito da alcun regolamento. È comunque consigliabile di mantenere il livello di tali batteri
nel latte il più basso possibile.
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L’ACIDIFICAZIONE
NELLA TECNOLOGIA CASEARIA
Tutte le tipologie di formaggi sono prodotte a partire dalla combinazione della fermentazione lattica con la coagulazione presamica. La combinazione di questi due fattori associata alle differenti tecniche casearie determina la riuscita del formaggio.
Dall’andamento dell’acidificazione infatti dipendono le caratteristiche della pasta ricercata. Un’attenzione particolare dovrà dunque essere dedicata alla qualità microbiologica
del latte ed alla sua preparazione, così come alla scelta dei fermenti lattici e delle condizioni di coagulazione.
LA FERMENTAZIONE LATTICA
L’acidificazione è il risultato della fermentazione del latte ad opera dei batteri lattici.
Questo processo implica la degradazione del lattosio con conseguente produzione di
acido lattico e determina, quindi, un abbassamento del valore di pH.
In tecnologia casearia il processo di acidificazione gioca tre ruoli fondamentali:
• permette di operare le trasformazioni chimico-fisiche necessarie alla coagulazione del latte; i batteri lattici infatti partecipano alle caratteristiche reologiche del
gel prima, e della cagliata poi, al termine del processo di sgocciolatura;
• determinazione le caratteristiche sensorilai tipiche dei formaggi per mezzo delle
attitudini metaboliche dei batteri lattici (proteolisi, produzione di composti aromatici , effetti sulla tessitura della cagliata e del formaggio);
• inibizione delle flore d’alterazione acido-sensibili e di certe flore potenzialmente patogene.
Il processo di acidificazione e, quindi, la formazione di acido lattico è favorito dalla qua-
LATTE
+
BATTERI
LATTICI
=
ACIDO
LATTICO
lità del latte, considerata come substrato fermentativo idoneo alla crescita dei batteri lattici, e dall’attività di quest’ultimi. In azienda possono essere utilizzate due tipologie di
batteri lattici differenti tra loro per composizione microbica: i “fermenti autoctoni” (sieroinnesto, lattoinnesto) e gli “starter del commercio”.
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I BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPO
Il termine “batteri lattici” include l’insieme dei germi Gram positivi, siano essi sottoforma di cocchi o di bastoncini, anaerobi facoltativi, capaci di produrre acido lattico a partire dalla degradazione dei glucidi del latte. Tra essi si distinguono due gruppi con un
metabolismo fermentativo differente: i batteri lattici omofermentanti e i batteri lattici eterofermentanti.
In caseificio i batteri lattici sono importanti non solo nel processo di acidificazione propriamente detto ma, come detto, contribuiscono anche a conferire al prodotto le sue caratteristiche sensoriali. Inoltre è molto studiato il loro ruolo nell’inibizione di altri germi
potenzialmente patogeni (attraverso la produzione di acido lattico, altri acidi, batteriocine) e alcuni tra essi sono valorizzati nel settore sanitario per quanto concerne gli effetti
benefici sulla salute umana.
Nel formaggio si ritrovano 6 dei 12 generi della famiglia dei batteri lattici, ovvero:
Lactococcus,
Streptococcus, Lactobacillus, Leuconostoc, Enterococcus e Pediococcus. Ciascuno di
questi generi, o ceppo all’interno dello stesso genere di batteri, possiede caratteristiche di
crescita proprie (temperatura, acidità del latte, velocità di produzione dell’acido lattico,
configurazione dell’acido lattico, fermentazione, attività proteolitica, dosi di sale e cloro
inibitrici, CO2 prodotta a partire dal glucosio, NH3 prodotta a partire dall’arginina, sensibilità alle Penicilline).
Lo schema di seguito rappresentato presenta in maniera semplificata il principio di classificazione dei microrganismi, fornendo un esempio per i batteri lattici del formaggio.
FAMIGLIA
Batteri lattici
GENERE
Lactococcus
SPECIE
Lactococcus lactis
CEPPO
Lactococcus lactis ceppo X
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L’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICI
Gli habitat originali dei batteri lattici sono i vegetali e gli intestini degli animali. I generi Lactobacillus, Streptococcus, Lactococcus e Leuconostoc sono molto presenti nell’ambiente: essi sono stati isolati dalla pelle degli animali, dal materiale fecale, dalle polveri,
dall’insilato, dal fieno o dalle granaglie e sicuramente si ritrovano in quantità considerevoli nell’ambiente del caseificio.
Il latte stoccato in mammella è sterile: non contiene né germi utili, né germi patogeni,
tranne in caso d’infezione. L’apporto di microflore nel latte avviene in corrispondenza
della mungitura, attraverso il contatto con:
• la pelle dei capezzoli:
• il materiale di mungitura: le varie canalizzazioni dell’impianto comportano la
formazione di biofilm residenti e relativamente stabili:
• l’aria (aerocontaminazione), il contatto aria/latte avviene al momento della mungitura, particolarmente durante l’attacco/stacco dei gruppi prendicapezzoli, ma
anche attraverso l’aria aspirata in continuo dall’impianto (perdite calibrate,
lavoro del regolatore del vuoto e perdite diverse). La quantità di aria che rientra
nell’impianto di mungitura è molto variabile e può essere contaminata da polvere di paglia, fieno, cereali, peli, ecc. che sono supporti batterici. Questa forma di
contaminazione dipende totalmente dall’ambiente dell’azienda: ventilazione
della strutture, orientamento, tipo di foraggi, etc..
Questa “contaminazione” del latte è complessivamente positiva e massiva e partecipa
alla conservazione dell’ecosistema microbico proprio di ciascuna azienda.
LE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIO
La conversione degli zuccheri ad opera dei batteri lattici può avvenire attraverso due
vie metaboliche differenti:
la via omofermentante (o omolattica o glicolisi), i batteri lattici omofermentanti fermentano il lattosio producendo fino al 90-95% di acido lattico. L’idrolisi del lattosio comporta la scissione di quest’ultimo in glucosio e galattosio. Il glucosio a sua volta idrolizzato
porta alla formazione di acido lattico.
LATTOSIO
glucosio
galattosio
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ACIDO LATTICO
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I generi appartenenti ai batteri lattici omofermentanti sono: Lactococcus, Streptococcus,
Enterococcus, Pediococcus e certe specie di Lactobacillus (Lb. casei e Lb. plantarum);
• la via eterofermentante (o eterolattica), i batteri lattici eterofermentanti fermentano il glucosio producendo dell’acido lattico, dell’etanolo, dell’acetato e dell’anidride carbonica. Questa particolarità può favorire la formazione di bolle di
gas imprigionate nel coagulo, responsabili della formazione di buchi visibili
nella cagliata o nel formaggio. I gruppi principali dei batteri appartenenti a questa classe sono dei Leuconostoc e certi lattobacilli eterofermentanti stretti. A
questa categoria appartengono anche i lattobacilli etero fermentanti facoltativi
capaci di produrre acido lattico e acido acetico per via etero lattica quando il
mezzo è povero o privo di zuccheri.
L’UTILIZZO DEI CITRATI
Il citrato è un sale dell’acido citrico. Il metabolismo dei citrati gioca un ruolo importante nel sapore e nella tessitura di numerosi prodotti caseari fermentati. I batteri lattici che
fermentano i citrati sono Lactococcus lactis ssp diacetylactis Leuconostoc spp e
Pediococcus.
EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
La temperatura è uno dei fattori con maggiormente influenza la crescita microbica.
Ciascun microrganismo presenta delle temperature di sviluppo minime (al di sotto delle
quali non c’è più la crescita), massime (oltre le quali non vi è più la crescita) e ottimali
(in corrispondenza delle quali la crescita è la più rapida). Più ci si avvicina alle temperature di crescita minime e massime, più la moltiplicazione batterica sarà lenta. A seconda
del loro range di sviluppo, i microrganismi possono essere classificati come:
• mesofili, microrganismi la cui temperatura ottimale di crescita è compresa tra la
temperatura ambiente del caseificio (20°C) e quella del corpo umano (37°C) (De
Roissart et Luquet, 1994);
• termofili, microrganismi con una temperatura ottimale di crescita superiore a
40°C (De Roissart et Luquet, 1994);
• psicrotrofi, microrganismi che si sviluppano in maniera significativa a temperature inferiori a 7-10°C (Hemsdorf et Simmonds, 1980).
Questa classificazione tuttavia nasconde le disparità secondo il genere, la specie
e il ceppo batterico stesso.
I batteri lattici sono esclusivamente mesofili o termofili e sono distrutti in seguito a un ciclo di pastorizzazione con temperature al di sopra di 72°C per 15
secondi.
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I BATTERI LATTICI MESOFILI
Per definizione, la temperatura ottimale di crescita di questi microrganismi si situa tra 20
e 37°C, ma la loro crescita è possibile tra i 10 e i 37°C. I batteri lattici mesofili potranno
dunque essere impiegati in tecnologie lattiche, ma anche in tecnologie pasta molle e pasta
pressata non cotta innestando dosi differenti a seconda dell’obiettivo tecnologico preposto. Difatti, determinate tecniche di preparazione del latte quali la prematurazione o la
maturazione, se gestite correttamente, favoriscono l’avvio dell’attività dei batteri lattici
allo scopo di gestire correttamente l’acidità del latte al momento della coagulazione.
I BATTERI LATTICI TERMOFILI
La loro temperatura ottimale di moltiplicazione si situa globalmente tra 40 e 45°C, ma il
loro sviluppo è possibile tra 25 e 60°C. In tecnologie a pasta molle e a pasta pressata,
spesso dei batteri mesofili sono associati ai termofili. Nella fabbricazione dello yoghurt
possono essere utilizzati esclusivamente due batteri termofili: Streptococcus salivarius
subs thermophilus et Lactobacillus delbruckii ssp bulgaricus.
EFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
Come la temperatura, anche il pH è uno dei fattori ambientali che maggiormente influenza la crescita e le attività enzimatiche dei batteri lattici. La particolare sensibilità di ciascuna specie batterica al pH del mezzo è un elemento determinante per la competizione
tra la flora lattica e la flora di contaminazione. Il valore di pH così come l’acidità sono
due misurazioni dell’acidità del latte e/o del formaggio (cf. paragrafo “Gli strumenti che
permettono di seguire l’evoluzione dell’acidità”).
EFFETTO
DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEI
BATTERI LATTICI
In un prodotto come il formaggio l’acqua esiste sotto due forme: libera e legata. L’unica
forma di acqua disponibile per lo sviluppo microrganismi è quella libera. L’attività dell’acqua (aw), il cui valore è compreso tra 0 e 1, esprime la quantità di acqua libera ovvero disponibile per rezioni chimiche ed enzimatiche. L’attività dell’acqua è tanto più bassa
quanto la concentrazione di sostanza secca è elevata. Se il valore dell’aw è inferiore a
0,92 il metabolismo batterico si arresta ma molte delle reazioni enzimatiche proseguono
fino a valori pari a 0,7. L’attività dell’acqua del latte permette lo sviluppo di tutti i
microrganismi. Solamente le fasi di lavorazione (sgocciolatura, salatura, asciugatura) e
di stagionatura orientano lo sviluppo dei microrganismi facendo abbassare l’aw.
EFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
Il potenziale di ossidoriduzione (Eh) è un parametro intrinseco in tutto il mondo biologico. Esso ne definisce le capacità ossidanti (accettore di elettroni) o riduttrici (donatore di
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elettroni). Il Eh del latte dipende da un certo numero di composti ossidanti, quali: ossigeno, acido ascorbico, ferro, rame, acido lattico (Aubert et al., 2002). Il Eh è un parametro selettivo della crescita batterica, potendo intervenire a differenti livelli sulla cellula
microbica: espressione dei geni, metabolismo, fisiologia e dunque modificare potenzialmente la sua attitudine alla crescita e alla produzione di molecole partecipanti alle caratteristiche finali dei prodotti fermentati.
I prodotti prima della trasformazione possiedono un determinato potenziale ossidante.
L’attività dei batteri lattici e delle flore microbiche associate diminuisce il Eh fino a valori riduttori.In funzione della tipologia di prodotto, esisterà un Eh ottimale per lo sviluppo delle flore microbiche e di un bilancio aromatico equilibrato. Per esempio, un latte
contenente una forte percentuale di ossigeno disciolto potrà presentare un ritardo nell’avvio del processo di acidificazione. La misura del Eh in un mezzo quale il latte è realizzata mediante elettrodi combinati. Tuttavia, nei caseifici aziendali non si hanno strumenti
che permettono di modificare questo parametro, a differenza dell’industria lattiera dove
viene utilizzato un degasatore.
ESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICI
I batteri lattici sono uno dei gruppi più esigenti dal punto di vista nutrizionale. Essi sono
auxotrofi nei confronti di numerosi composti nutrizionali, vale a dire che essi devono
imperativamente trovarli nel mezzo ambientale, in quanto non possono sintetizzarli.
• Amminoacidi: i batteri lattici sono in principio incapaci di sintetizzare degli
amminoacidi e devono dunque affidarsi a delle fonti esogene per assicurare il
corretto funzionamento del loro metabolismo. Le esigenze in amminoacidi sono
a volte differenti da un genere all’altro. Le concentrazioni di amminoacidi liberi e di peptidi a corta catena (azoto non proteico) nel latte sono insufficienti per
permettere una crescita ottimale, almeno a livello tecnologico. Dopo l’esaurimento dell’azoto non proteico i batteri lattici che dispongono di enzimi appropriati devono degradare le proteine del latte per soddisfare i loro fabbisogni in
amminoacidi.
• Vitamine: i fattori di crescita (o vitamine), la cui concentrazione nel latte varia
secondo la stagione, possono a volte essere limitanti e potrebbero dunque causare delle variazioni nello sviluppo dei batteri lattici e, quindi, dell’acidificazione. Le esigenze in vitamine e, in particolar modo vitamine del gruppo B, sono
molto importanti.
• Minerali: il principale catione bivalente delle cellule viventi è il Magnesio.
Questo componente ha un ruolo di attivazione di differenti reazioni metaboliche
e, inoltre, stabilizza gli organuli cellulari. Il Magnesio ha anche un’influenza
importante sulla biologia dei batteri lattici e, per alcuni è indispensabile alla crescita (ad esempio tutti i lattobacilli). I fabbisogni in ferro sono molto variabili a
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seconda delle specie. Il calcio è un elemento importante per la crescita dei lattococchi. Il Potassio gioca un ruolo nel controllo del pH intracellulare e può
essere necessario per la crescita di certe specie di lattobacilli ed enterococchi.
Infine, il Sodio ha un effetto selettivo nei confronti dei batteri lattici e può stimolare (streptococchi) o inibire (lattococchi) la produzione di acido lattico.
SENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICI
L’attività dei batteri lattici può essere ostacolata o totalmente inibita da diversi fattori.
• I residui dei trattamenti antibiotici degli animali: la maggior parte dei batteri lattici sono sensibili alla maggioranza degli antibiotici utilizzati in medicina veterinaria, suscettibili di dare origine ai residui, in particolare ai beta-lattamici, tra
cui le Penicilline. È necessario dunque rispettare i tempi di sospensione dei farmaci, marcare gli animali trattati, compilare il registro sanitario.
• I residui dei detergenti/disinfettanti derivanti da un risciacquo insufficiente degli
impianti di mungitura, dei tank del latte e del materiale. Una differenza di pH (a
partire da 1 unità di pH) molto marcata tra l’acqua di fine risciacquo e l’acqua
dell’acquedotto indica un risciacquo insufficiente. Ciò può alterare la fermentazione lattica causando un rallentamento o un arresto della crescita dei batteri lattici.
• I residui degli erbicidi, diserbanti, pesticidi risultanti in seguito a un pascolo su
terreni trattati pochi giorni prima. Tuttavia, i tempi di attesa per evitare di perturbare la fermentazione lattica sono molto lunghi, e nella pratica è realmente
impossibile rispettarli.
• Gli inibitori naturali del latte: il latte crudo contiene differenti sostanze antibatteriche. La lattoferrina interviene nella fissazione del Ferro e può parzialmente
inibire la fermentazione per “ferro-privazione”. La sua attività è più elevata nel
colostro e nel latte mastitico (Mahaut et al.,2000). Il lisozima idrolizza la parete delle cellule batteriche. Tuttavia, questi due composti interverranno solamente allo scopo di limitare la crescita dei batteri lattici (Boyaval, 1989 ; Carini et
al., 1985). All’opposto, i batteri lattici hanno la proprietà di produrre del perossido d’idrogeno. Deboli concentrazioni di perossido d’idrogeno che non sono
inizialmente inibitrici possono divenirlo in presenza di una lattoperossidasi e del
tiocianato (sistema LPS). La lattoperossidasi è un enzima naturalmente presente nel latte e che presa da sola non provoca effetti inibitori ma, in presenza di
perossido d’idrogeno scatena una reazione di ossidazione del tiocianato, nel
corso della quale sono prodotti alcuni metaboliti inibitori della produzione di
acido lattico. La lattoperossidasi ha un effetto batteriostatico (arresto della crescita microbica) sui microrganismi Gram + e battericida (distruzione dei batteri) sui microrganismi Gram -. È stato dimostrato (Fonteh et al., 2002) che la
quantità di lattoperossidasi è in funzione di diversi fattori e notoriamente dal20
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l’alimentazione. Alcuni periodi del ciclo produttivo, anche in relazione alle differenti pratiche alimentari, saranno dunque più a rischio di altri.
• I batteriofagi: sono dei virus specifici dei batteri lattici che possono provocare
infezioni violente fino a distruggere in qualche ora la quasi totalità di una coltura batterica e quindi rallentare o addirittura inibire l’acidificazione.
• Le batteriocine: sono sostanze prodotte dai batteri lattici che possono inibire la
crescita di altri batteri lattici. Generalmente l’attività battericida riguarda delle
specie molto simili a quella de ceppo produttore. Le conseguenze possono essere l’arresto dello sviluppo batterico o la morte delle cellule.
• Alcuni residui volatili: prodotti per l’azione delle lipasi dei batteri psicrotrofi
(acidi grassi, acido formico,…) o apportati attraverso l’alimentazione (alimenti
fermentati, insilati conservati con acidi) possono ugualmente inibire lo sviluppo
dei batteri lattici. Questa inibizione è più marcata quando l’agitazione del latte
è accompagnata dall’inclusione d’aria che altera la membrana dei globuli di
grasso.
• Colostro: il latte non può essere commercializzato o trasformato prima dei 7
giorni seguenti il parto. La ricchezza del colostro in proteina solubile lo rende di
fatto un latte non caseificabile, che può anche essere considerato come un latte
inibitore. Questo poiché le immunoglobuline, che costituiscono il gruppo proteico maggiore del colostro, sono degli anticorpi attivi contro alcuni batteri lattici. Inoltre, la quantità di lattosio nella fase iniziale di escrezione del latte è
scarsa; ciò può rappresentare un ulteriore limite alla capacità d’acidificazione
del suddetto latte per mancanza del substrato necessario al metabolismo dei batteri lattici.
Non sempre è possibile riconoscere il fattore che comporta un’inibizione dell’attività dei
batteri lattici poiché essa può essere favorita da una somma di fattori concomitanti.
CARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIO
I fermenti utilizzati nel processo di caseificazione possono essere di diversa natura: starter del commercio (diretti o semidiretti) o colture di fermenti autoctoni (sieroinnesto, lattoinnesto, fondo della caldaia di lavorazione). Le colture di fermenti autoctoni, costituiti
principalmente dal sieroinnesto, o dal lattoinnesto, o dal fondo della caldaia di lavorazione (cagliata e siero) sono caratterizzate da flore microbiche variegate, la cui origine è
l’ambiente aziendale. I batteri componenti queste colture derivano dai foraggi, siano essi
verdi o secchi, dai cereali, dai mangimi pellettati, dagli animali stessi (feci, peli), dai biofilm dell’impianto di mungitura, dalle polveri dell’aria.
La validità tecnologica del lattoinnesto e, più in generale delle colture di fermenti autoctoni non è più da dimostrare. La loro flora dominante è una flora lattica costituita principalmente da Lactococcus (106 à 109 ufc/ml) e secondariamente da Leuconostocs,
Enterococcus e Lactobacillus presenti in concentrazioni variabili. Questa varietà di flore
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conferisce all’innesto autoctono una capacità acidificante comparabile agli starter del
commercio (Tormo et Spinnato, 1994 ; Weerkamp et al., 1996 ; Tormo et Tailliez, 2000).
Queste colture di fermenti autoctoni hanno anche la particolarità di contenere numerosi
fattori di crescita quali, peptidi, amminoacidi, oligoelementi (Carrasco et al., 1992).
L’elevato tenore in muffe e lieviti permette loro di giocare un ruolo fondamentale nel processo di stagionatura del formaggio. Inoltre, grazie alla loro ricchezza floristica, resistono più facilmente agli attacchi dei fagi e si adattano meglio alle differenti pressioni selettive del mezzo in cui vivono, in particolar modo alle pressioni dell’ambiente (Massoni et
al., 1982 ; Coppolas et al., 1990 ; Accolas et al., 1994 ; Neviani et al., 1992 ; Neviani et
al., 1998). Studi recenti mostrano inoltre che le colture di fermenti autoctoni sono specifiche per ciascuna azienda e che esse consentono di mantenere una certa diversità floristica nelle diverse aziende (Weerkamp et al., 1996 ; Gueguen et al., 1997 ; Tormo et
Tailliez, 2000).
Il sieroinnesto è composto da batteri dell’azienda ed è dimostrato che l’ecosistema microbico è specifico per ciascuna azienda (Tormo, 1999). Le proporzioni delle differenti specie e soprattutto la loro attività biologica, in particolare enzimatica, comporta la biogenesi dei composti aromatici partecipanti alla tipicità dei formaggi.
Gli starter del commercio sono costituiti da composizioni batteriche note e presentano
delle caratteristiche fermentative più standardizzate. La loro composizione può essere
variabile secondo la loro utilizzazione (acidificante, acidificante e aromatizzante). La
tabella di seguito riportata presenta le caratteristiche principali dei due metodi di innesto
sopra descritti.
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Tipo di coltura
AUTOCTONA
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Vantaggi
Limiti
• ridotta sensibilità ai
fagi
• migliore adattabilità al
latte in caldaia
• effetto simbiosi tra i
microrganismi
• produzione di una più
vasta gamma di sostanze potenzialmente inibitrici di germi patogeni
• maggior tipicità sensoriale del prodotto
• costi di produzione
bassi o nulli
difficoltà in caso di
ceppi poco competitivi
• difficoltà tecniche e
finanziarie a caratterizzare la composizione
precisa (a livello di
ceppo) e la variabilità
temporale di questo
tipo di colture
• la variabilità di questa
modalità d’innesto può
necessitare di calibrazioni tecnologiche che
possono richiedere del
tempo e rappresentare
un costo a livello economico
• rischio d’introduzione
di flore indesiderate
• facile preparazione
• facile controllo della
purezza e dell’attività
• standardizzazione dell’attività
• elevata sensibilità ai
fagi (è necessaria la
rotazione degli starter)
•
omogeneizzazione
delle caratteristiche
organolettiche dei prodotti
• costo non irrilevante
• dosi a volte inappropriate per i piccoli
volumi aziendali
• utilizzazione standardizzata
SELEZIONATA
LA MICROFLORA ALTERNATIVA E PATOGENA
Nel latte sono presenti anche dei microrganismi denominati batteri lattici non starter, i
quali sono inizialmente presenti in basse concentrazioni (10 – 1000 ufc/g di cagliata) ma,
successivamente possono prendere il sopravvento più o meno rapidamente sui batteri lattici starter, raggiungendo entro due mesi una dimensione di popolazione ben superiore a
108 ufc/g di cagliata. A questo gruppo di microrganismi appartengono lattobacilli mesofili omofermententi (Lactobacillus casei, L. paracasei, L. plantarum,...) ed eterofermentanti (Lactobacillus brevis, L. fermentum,…) enterococchi e pedicocchi.
I fermenti lattici non starter, benché svolgano un ruolo essenziale nella proteolisi, se presenti nel formaggio eccessivo all’inizio della maturazione in concentrazioni elevate pos23
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sono utilizzare il lattosio come substrato di fermentazioni che comportano la produzione di composti sgraditi, quali acido acetico o anidride carbonica.
Oltre ai gruppi di batteri sopra descritti, nel latte sono presenti anche microrganismi patogeni (es. Salmonella spp., Listeria monocytogenes, Campilobacter jejuni), germi indicatori di carenza di igiene (es. coliformi), germi testimoni di carenza di igiene (Escherichia
coli e stafilococchi coagulasi positivi) e altri gruppi microbici, in alcuni casi classificabili come microflora protecnologica (propionici, micrococchi, lieviti, muffe), in altri come
flora microbica alterante (clostridi) che comporta un peggioramento delle caratteristiche
organolettiche del prodotto.
Uno dei principali microrganismi patogeni riscontrabili durante i processi di caseificazione del latte crudo è Listeria monocytogenes, un microrganismo ubiquitario che si ritrova
soprattutto nel terreno, nell’acqua, nei vegetali, negli alimenti di origine animale e nei
luoghi della loro produzione. La trasmissione del microrganismo avviene soprattutto per
via alimentare, ma anche per contatto diretto tra l’uomo e una delle fonti di origine del
microrganismo e causa meningite e, nelle donne in gravidanza è ancor più pericolosa in
quanto può provocare aborti o effetti teratogeni.
Listeria monocytogenes è un batterio Gram-positivo, non sporigeno, aerobio-anaerobio
facoltativo e psicotrofo (cresce anche a +1°C), caratteristica quest’ultima che gli consente di accrescersi anche nel corso della refrigerazione degli alimenti, causando così un
aumento della contaminazione, anche in presenza di basse concentrazioni microbiche iniziali. Non resiste al trattamento di pastorizzazione del latte in quanto non è un microrganismo termodurico. Ciò nonostante è in grado di accrescersi in un ampio range di condizioni colturali: temperature comprese tra 0 e +45 °C, pH ottimale neutro o subalcalino,
ma è in grado di svilupparsi anche a intervalli di pH compresi tra 5,4 e 9; sopravvive
anche in presenza di un’attività dell’acqua piuttosto bassa, fino a valori di aw di 0,93 e
con il 15% di cloruro di Sodio.
Nel latte crudo è quasi sempre rilevabile in cariche basse (<10 ufc/ml), mentre la concentrazione maggiore si riscontra nella cagliata; nelle successive fasi di lavorazione la carica batterica di Listeria monocytoges si riduce in rapporto alla tecnologia produttiva
impiegata: si moltiplica e persiste nei formaggi molli o semiduri con pH subacido mentre nei formaggi a pasta cotta cresce durante la fase di produzione del formaggio ma si
riduce durante il processo di stagionatura.
Le Salmonelle, invece, sono i batteri patogeni più diffusi, che trovano il loro habitat
ideale nell’ambiente e tra gli animali. L’habitat primario delle Salmonelle è costituito dal
tratto intestinale, da cui possono essere facilmente escrete con le feci e diffondersi nell’ambiente, con conseguente contaminazione delle acque, degli alimenti e del foraggio.
Tutto ciò spiega il perchè le Salmonelle possono spostarsi dall’animale all’uomo, organismi ospiti che di conseguenza diventano portatori.
Al gruppo delle Salmonelle appartengono circa 2000 ceppi batterici aventi caratteristiche
biochimiche e sierologiche simili che possono causare però differenti malattie nell’uo24
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mo: febbre tifoide, gastroenterite acuta o, nel caso delle Salmonelle minori, infezioni
intestinali che in genere si risolvono spontaneamente 7-10 giorni.
La temperatura ottimale di crescita delle Salmonelle è pari a 35-37 °C, ma possono
sopravvivere anche a temperature comprese tra i +5 ed i +47 °C. Questi batteri vivono in
range di pH compresi tra 4 e 9 ma prediligono un pH neutro, compreso tra 6,5 e 7,5. Nel
latte crudo esiste un effettivo rischio di contaminazione da Salmonelle, che viceversa è
molto ridotto nel latte pastorizzato. Nei formaggi, invece, il rischio di proliferazione delle
Salmonelle è più o meno elevato in funzione della tecnologia di caseificazione adottata:
è maggiormente elevato nei formaggi poco stagionati in cui la cottura della cagliata è
blanda o assente e l’acidificazione non è molto intensa, mentre minimo nei formaggi a
pasta cotta o che hanno subito una fermentazione lattica che comporta una acidificazione spinta (pH < 4,95).
Tra i coliformi, le colonie batteriche più importanti sono Escherichia, Citrobacter,
Klebsiella ed Enterobacter. I coliformi sono batteri batteri ubiquitari che si riscontrano,
ad esempio, nei vegetali e negli alimenti di origine animale, mentre Escherichia coli, che
è il principale indice di contaminazione fecale di un alimento, è un abitante inoffensivo
dell’intestino. Uno dei motivi per procedere alla ricerca dei coliformi nei prodotti caseari è la possibilità di dedurre dalla loro presenza informazioni sull’igiene delle materie
prime e di quella operata durante i processi produttivi, utilizzando questi microrganismi
come semplici indicatori.
Gli Stafilococchi sono anch’essi microrganismi ubiquitari di cui sia l’uomo (mucose del
naso, faringe, tratto gastro-intestinale, cute, feci,…) che gli animali rappresentano un
importante serbatoio che può facilmente essere causa dell’inquinamento alimentare. Questi
microrganismi, inoltre, possono penetrare nella ghiandola mammaria e riprodursi in essa
determinando una infiammazione che contamina anche il latte, denominata mastite.
Alla flora batterica protecnologica appartengono i micrococchi, un gruppo di batteri che
origina colonie di colore giallo-arancio che pigmentano la crosta di alcuni formaggi (es.
Taleggio). Questi microrganismi intervengono, inoltre, nei processi di formazione del
gusto e dell’aroma dei formaggi, svolgendo un’attività lipolitica e proteolitica e metabolizzando acidi grassi e aminoacidi.
I lieviti, invece, consumando l’acido lattico, esercitano un’azione neutralizzante che facilita l’installazione di una microflora meno acidofila e producono sostanze stimolanti per
altri organismi, quali ad esempio le muffe dei formaggi erborinati. La presenza delle
muffe è più o meno gradita a seconda della tipologia di formaggio; infatti, nei formaggi
freschi, le muffe sono indice di non perfette condizioni igieniche o di cattiva conservazione; nei formaggi tipo Taleggio provengono dall’ambiente di maturazione e conferiscono caratteristiche tipiche mentre negli erborinati, come ad esempio il gorgonzola, vengono addirittura inoculate.
Nei processi di caseificazione, l’intervento dei propionobatteri, oltre alla produzione di
acido propionico ed acido acetico, grazie al loro notevole potere lipolitico liberano, a par25
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tire dal grasso del latte, notevoli quantità di acidi grassi. Inoltre, attraverso metabolismi
collaterali modificano gli acidi grassi stessi in acidi grassi volatili e composti minori che
impartiscono tipici aromi ai prodotti caseari.
I clostridi del latte, infine, possono essere saccarolitici (Clostridium butyricum e C. tyrobtutyricum) quelli che fermentano zuccheri e acidi organici e producono acido butirrico,
anidride carbonica e idrogeno, oppure putrefattivi (Clostridium sporogenes e C. bifermentans), che sono molto attivi sulle proteine e meno sui carboidrati. Tra i sopra citati,
il Clostridium tyrobutyricum è quello che causa più frequentemente il “gonfiore tardivo”
del formaggio.
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GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO
DI MISURARE E DI SEGUIRE
L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ
,
In caseificio, due tipologie di misurazione sono necessarie per valutare determinati aspetti della qualità del latte e seguire l’evoluzione dell’acidificazione durante il processo di
caseificazione: l’acidità di titolazione (espressa in gradi Soxhlet-Henckel, °SH) e il valore di pH. Queste misurazioni consentono di individuare eventuali derive nel processo
produttivo, di creare uno storico delle fabbricazioni e di operare nel senso della regolarità dei propri prodotti. Inoltre, esse permettono al casaro di discutere con differenti interlocutori tecnici (tecnici e tecnologi caseari, stagisti,…) e assicurano anche il corretto
andamento delle proprie lavorazioni.
Per ben conoscere le caratteristiche di un latte, l’ideale sarebbe poter disporre di entrambi i valori (pH e acidità): ciò consente di avere un’idea della ricchezza in diverse sostanze (almeno il tasso proteico), di apprezzare lo stato di “freschezza” e il potere tampone
di un latte.
• Acidità di titolazione. Il latte possiede un’acidità definita “naturale”, legata alla
sua ricchezza in proteine (caseine) e minerali. Per questo motivo i latti di capra,
vacca e pecora possiedono valori di acidità differenti. Per quanto concerne la
fermentazione lattica, il sieroinnesto presenterà un valore corrispondente alla
somma dell’acidità “naturale” del latte + l’acidità “sviluppata” grazie alla fermentazione lattica. Il guadagno di acidità è ciò che interessa per verificare la riuscita del processo di acidificazione in quanto permette di annullare la variabilità del latte di partenza legata a diversi fattori quali, la ricchezza legata alla stagione, lo stadio di lattazione, la razza,..). Quando si verifica un aumento del
tenore proteico di un latte, l’acidità “naturale” di quel latte aumenta in seguito
all’aumento del potere tampone (2 grammi di proteina in più circa 0,22°SH/50
ml in più). La misura dell’acidità Soxhlet-Henckel è relativamente facile: essa
necessita di poco materiale, di un investimento non eccessivo, e la realizzazione
della misura è rapida. È tuttavia necessario utilizzare della soda acquistata entro
l’anno e conservarla in frigorifero e comunque rispettare le raccomandazioni del
fornitore.
• pH. Il valore di pH rappresenta la concentrazione degli ioni H+ di un prodotto.
Il suo valore è variabile entro 0 (estremo acido) e 14 (estremo basico). Il pH del
latte è prossimo alla neutralità e, per il latte di capra valori normali di pH sono
compresi tra 6,40 e 6,80. Tuttavia il pH varia in funzione del tenore in fosfati,
citrati e caseine, e ciò ha per conseguenza un’evoluzione nel corso della latta27
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zione. Il pH varia anche in funzione dello stato sanitario della mammella e può
anche oltrepassare il valore 7 in caso di mastite. Nel corso della fermentazione
lattica, la produzione di acidi (ovvero di ioni H+) comporta una diminuzione del
pH del mezzo.
Questo parametro può essere misurato per mezzo di cartine tornasole (ma i risultati sono poco precisi) oppure attraverso un pHmetro (materiale costoso ma
misurazione precisa e affidabile se il protocollo è applicato correttamente).
L’utilizzo di un pHmetro è raccomandato per le tecnologie paste molli e paste
pressate non cotte, tanto più che esistono delle sonde di penetrazione che permettono di realizzare la misura del pH anche nel formaggio.
Una soluzione è definita “tampone” quando, in seguito alla sua diluizione o all’aggiunta
di piccole quantità di un acido o di una base, il suo pH rimane invariato. L’aumento del
tenore proteico e dunque del tenore in fosfato di Calcio colloidale del latte accresce il
potere tampone di un latte, fattore che induce un rallentamento dell’evoluzione della
curva del pH. Effettivamente, per una medesima quantità di acido apportato nel latte, la
diminuzione del valore di pH è meno marcata in un latte con un più elevato tenore proteico rispetto ad un latte con un basso contenuto in proteine.
Il differente comportamento all’acidificazione dei latti di capra, vacca e pecora trova una
parziale spiegazione nelle loro differenze di composizione proteica e minerale.
Circa il 60% del potere tampone di un latte è rappresentato dalle micelle caseiniche, circa
il 30% dai minerali solubili e circa il 10% dalle proteine solubili. Le irregolarità stagionali constatate nell’evoluzione delle curve di pH e acidità Soxhlet-Henckel sono spesso
una traduzione della variabilità del tasso proteico nel corso della lattazione.
La capacità tampone di un latte è generalmente espressa come la quantità di un acido o
di una base (in moli) necessari a far variare il pH di un’unità.
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RUOLO E SVILUPPO
DELL’ACIDIFICAZIONE
NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE
RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI
CASEIFICAZIONE DI UN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICA
La riuscita dell’acidificazione è imperativa poiché le tappe ulteriori (sgocciolatura e stagionatura) e la qualità dei formaggi dipendono dalla qualità del coagulo ottenuto (Masle
et Gobin, 2001). La velocità alla quale si sviluppa l’acidificazione (che dipende dalla
natura dei fermenti, dalla temperatura di acidificazione e dalla composizione del latte), il
pH ottenuto al termine della coagulazione e della sgocciolatura hanno un’importanza
fondamentale, non solo sulla coesione del gel e la sua propensione alla sgocciolatura
(Mietton et al., 1994), ma anche sull’aroma e sulla tessitura dei prodotti ottenuti e sullo
sviluppo di flore indesiderate.
Allo scopo di ottenere un coagulo omogeneo, compatto, fermo e permeabile con una risalita del siero in superficie, è necessario ricercare un’acidificazione che parta rapidamente e poi prosegua lentamente (Mietton et al., 1994 ; Gobin, 1995).
Nella produzione casearia, in particolar modo in quella artigianale, numerosi sono i parametri che intervengono sul processo di acidificazione, cosa che rende difficoltosa la sua
conduzione e la sua gestione. Tutte le perturbazioni della flora lattica e del suo sviluppo,
determinate dalle condizioni del mezzo (temperatura, pH,…), hanno delle conseguenze
sulla cinetica di acidificazione. Queste perturbazioni, derivanti in genere dallo sviluppo
insufficiente o eccessivo di una o più popolazioni batteriche, daranno luogo a delle
modificazioni delle caratteristiche abituali di un prodotto (Weber, 1992):
• consistenza del coagulo (consistenza, superficie, ripartizione)
• aspetto del sieroinnesto (quantità, colore, acidità)
• sgocciolatura nelle forme
• consistenza del formaggio
• installazione della flora di superficie.
Inoltre, il latte e i prodotti da esso derivati possono essere contaminati da microrganismi
che, moltiplicandosi, degradano i costituenti del latte o liberano dei composti indesiderati. Questo si traduce in difetti o alterazioni nocive alla qualità finale dei prodotti: difetti
di gusto, di odore, di tessitura di aspetto, ecc. (Bergère et Tourneur, 1992).
• Lo sviluppo dei batteri psicrotrofi (ad es. Pseudomonas) può favorire la liberazione di lipasi e di proteasi extracellulari che sono all’origine di difetti del gusto
e/o del colore dei formaggi.
• Il difetto del gonfiore precoce o semi-precoce corrisponde all’apparizione rapida (24/48 ore) di una moltitudine di buchi nella pasta. Alla fine della coagulazione il gel galleggia sopra al siero e può fuoriuscire dal contenitore. Questi gon29
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fiori risultano dallo sviluppo eccessivo di germi produttori di gas (lieviti, coliformi, batteri etero fermentanti) a partire dalla fermentazione del lattosio. I gonfiori possono anche essere dovuti alla produzione di anidride carbonica a partire dai citrati ad opera degli starter innestati (Lactococcus lactis spp. Lactis biovar. diacetylis, Ln mesenteroides subsp. cremoris). Affinché si sviluppi il gonfiore è necessario che i batteri responsabili siano presenti in quantità molto elevate (>105) per millilitro di latte. Nel caso dei coliformi la causa potrebbe anche
essere un’acidificazione troppo lenta (Mahaut et al., 2000).
Oltre allo sviluppo possibile di germi di alterazione o potenzialmente patogeni (Listeria
monocytogenes, Salmonella, Staphylococcus aureus et certains Escherichia coli), un’acidificazione troppo lenta favorisce una sgocciolatura insufficiente che può avere un impatto
sull’umidità del formaggio, lo sviluppo eccessivo dei batteri caseolitici o della flora fungina o anche un eccesso di lattosio nella pasta e un rischio di post-acidificazione.
Un’acidificazione insufficiente può dunque favorire la formazione di una cagliata molle,
d’una cagliata flaccida, d’una cagliata flocculosa, o d’una cagliata digerita. Viceversa,
un’acidificazione eccessiva può generare un gel friabile, fessurato, contratto o digerito.
IL PROFILO
DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE DI UN FORMAGGIO A PASTA PRESSATA NON COTTA
Per pasta pressata non cotta si intende un formaggio ottenuto con temperature di riscaldamento inferiori ai 42°C e con un estratto secco totale del formaggio al termine dell’asciugatura compreso tra 48 e 52%. Lo svolgimento dell’acidificazione nella tecnologia pasta pressata non cotta è, per natura, molto differente da quello presentato precedentemente per le lattiche. In questa tecnologia casearia, l’azione del caglio è dominante sull’acidificazione, contrariamente alle cagliate lattiche. Nell’ottenimento di una cagliata
lattica, l’acidificazione precede la sgocciolatura, mentre nel caso di una cagliata presamica è a sgocciolatura che precede l’acidificazione, come mostrato nello schema di pagina seguente.
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MODELLO LATTICO
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LATTE (liquido)
Batteri lattici
(agente coagulante: dosi scarse)
MODELLO PRESAMICO
Agente coagulante
(+batteri lattici)
Acidificazione
Gel presamico
Gel lattico
Sgocciolatura in caldaia
Rottura del coagulo
Agitazione
Riscaldamento, estrazione
Sgocciolatura (fino a pH- 4,6)
• negli stampi
• nel sacco
Sgocciolatura negli stampi
• Acidificazione
• Pressatura
Cagliata lattica
Cagliata presamica
Salatura
Asciugatura
Stagionatura
Salatura
Stagionatura
(Gaüzere e Roustel, 2007)
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Gestione dell’acidificazione attraverso la sgocciolatura:
la sgocciolatura delle cagliate miste, come le paste pressate non cotte, è ottenuta attraverso una prima sineresi in caldaia e una successiva sgocciolatura negli stampi. Il livello di
sineresi in caldaia predetermina in gran parte il pH finale del formaggio all’estrazione
dagli stampi modificandone il tenore in lattosio, fattore limitante della fermentescibilità
della cagliata in corrispondenza della messa in forma. Il livello di sgocciolatura in caldaia determina dunque fortemente l’intensità di acidificazione (pH finale). Questa acidificazione regola la mineralizzazione delle cagliate tanto a livello quantitativo (tenore in
Calcio e Fosforo totale) che qualitativo (tenore in Calcio e Fosforo ancora legati alle
caseine e solubilizzati nella fase acquosa del formaggio) in stretto rapporto con la dinamica di eliminazione del sieroinnesto nel corso della sgocciolatura negli stampi.
I PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO DI ACIDIFICAZIONE E DI COAGULAZIONE DEL LATTE
• Temperatura
Il valore della temperatura così come la sua regolarità sono fondamentali dalla
preparazione del latte al termine del processo di maturazione e/o prematurazione e conseguentemente alla coagulazione. La temperatura interviene sullo sviluppo dei batteri lattici e dunque sulla velocità di acidificazione e conseguentemente influisce sul tempo di preparazione del latte e la durata della coagulazione. Indipendentemente dalla dose di inoculazione e dall’eventuale preparazione
del latte, una temperatura di 18 °C favorirà una velocità di acidificazione più
lenta e degli abbassamenti di pH minori rispetto a una temperatura di 22 °C.
• Dose e modalità di innesto
L’aumento della dose dell’innesto permette di ridurre il tempo di latenza (tempo
intercorrente tra l’inoculo degli starter e l’avvio dell’acidificazione). Lo stato
fisiologico dei batteri al momento dell’innesto ha un’incidenza fondamentale
sulla fase di latenza. L’utilizzo di una coltura di fermenti autoctoni come il siero
innesto consente un avvio più rapido dell’acidificazione in rapporto a un innesto con starter del commercio congelati o liofilizzati.
• Tipo di fermenti lattici
Il lattoinnesto e il siero innesto contengono naturalmente dei batteri lattici omofermentanti ed etero fermentanti, ma con proporzioni e livelli variabili nelle
diverse azienda ma anche all’interno della stessa azienda, in funzione di cambiamenti di pratiche dei produttori, dell’evoluzione stagionale della composizione del latte,…
Gli starter del commercio più utilizzati nei processi di produzione dei formaggi
a pasta lattica contengono una miscela di batteri omofermentanti ed eterofer32
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mentanti. Le proporzioni di queste due categorie di batteri, così come il tipo di
ceppo impiegato, possono avere delle conseguenze sullo sviluppo dell’acidificazione e sulla produzione di composti aromatici.
• Preparazione del latte
Nella trasformazione casearia a pasta lattica, due sono le pratiche principali per preparare il latte alla coagulazione: la prematurazione e la maturazione.
• La prematurazione o “maturazione lunga e fredda” consiste nel raffreddare e
mantenere il latte della mungitura della sera per tutta la notte a una temperatura
compresa tra 10 e 12 °C con un apporto di fermenti lattici (autoctoni o starter
commerciali). L’obiettivo è guadagnare 2,22°SH/50 ml sul latte della mungitura della sera. La mattina, la miscela dei due latti è così pronta per essere cagliata sia in termini di acidità che di temperatura. Questa pratica viene scelta dai
produttori per i suoi vantaggi organizzativi e tecnologici (preparazione del latte
alla coagulazione, inibizione precoce dei germi indesiderati). Tuttavia, essa può
essere fonte di problemi (sviluppo di batteri lattici eterofermentanti, di
Pseudomonas, …) in particolare quando non si ha la padronanza della temperatura (Laithier et al., 2007). La difficoltà principale consiste nell’adattare questa
pratica alla qualità microbiologica del latte.
• La maturazione è una preparazione di corta durata e ad una temperatura più elevata rispetto alla prematurazione, realizzata in generale alla stessa temperatura
a cui avverrà la coagulazione, tra 18 e 25 °C. Dopo l’innesto, il latte lavora dunque per qualche ora. Il tempo di maturazione non è standard e deve essere regolato su un obiettivo di guadagno di acidità che nel latte di capra è compreso tra
+0,67 e +1,11°SH/50 ml. Al termine della maturazione il latte è pronto per essere cagliato.
La messa in opera di una preparazione del latte, qualunque essa sia, necessita di misure
dell’acidità e/o pH e della temperatura, al fine di poter essere controllate, modificate se
necessario e soprattutto per evitare tutte le derive che possono comportare dei problemi
di fabbricazione in seguito.
CARATTERISTICHE DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE
• Il tenore proteico del latte ed in particolare il tenore in caseine gioca un ruolo
essenziale sulla consistenza del coagulo e la resa casearia (bassa a maggio-giugno, più elevata a inizio e fine lattazione). È comunque possibile riscontrare
distorsioni tra il tenore proteico del latte e la resa casearia nel caso in cui il livello di sieroproteine aumenta rispetto al livello di proteine totali.
• Il rapporto tasso lipidico/tasso proteico, un rapporto elevato penalizza l’indurimento così come la sgocciolatura della cagliata.
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• Il tenore in urea: l’urea è un componente della frazione non proteica del latte
ed è presente nel mezzo in quantità non trascurabili (nel latte di capra sono considerati “ottimali” valori compresi tra 28e 40 mg/dl). L’aumento del tenore in
urea ha un effetto disperdente sulle caseine (solubilizzazione) che passano quindi nel siero. Il risultato sono tempi di presa più lunghi, coaguli più molli e decrementi della resa casearia. Ciò si verifica in maniera particolarmente marcata
nelle tecnologie a coagulazione prevalentemente presamiche.
• Il tenore in sieroproteine: l’aumento del contenuto in sieroproteine rende la
coagulazione del latte più complicata e comporta l’ottenimento di cagliate più
umide in seguito a una maggiore ritenzione dell’acqua. L’aumento del tasso di
azoto non proteico comporta tempi di presa più lunghi e delle minori consistenze della cagliata.
• Il potere tampone: è la capacità del mezzo di opporsi a una variazione di pH.
Per il latte un potere tampone elevato è generalmente attribuito a dei forti tenori in proteine e minerali.
ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE
Alimentazione
Un’alimentazione ricca è utile per mantenere una produzione importante lungo tutto il
ciclo produttivo della capra. La presenza di elementi grossolani (ricchi in cellulosa) nella
razione è necessaria per permettere una buona attività ruminale. Questi elementi, apportati attraverso i foraggi, permettono inoltre di mantenere il tenore di grasso ad un livello
idoneo alla trasformazione casearia. Una razione essenzialmente composta da leguminose, invece, comporta la produzione di un latte più ricco in azoto solubile non proteico .
Un eccesso di azoto o di azoto solubile nell’alimentazione tende a far accrescere l’escrezione di azoto sottoforma di urea nel latte. Ciò provoca un aumento della solubilizzazione delle caseine, del fosforo e del calcio con conseguente innalzamento dei valori di pH
e la formazione di un coagulo con scarsa consistenza.
Stato sanitario dell’animale
Le infezioni mammarie, siano esse acute o croniche, sono generalmente accompagnate
dalla diminuzione del contenuto dei componenti sintetizzati dalla mammella e da un
aumento dei composti di filtrazione (provenienti dal sangue).
Una cattiva igiene corporea dell’animale è un vettore di contaminazione a livello mammario. I capezzoli infatti costituiscono un serbatoio primario di microorganismi, utili ma
anche di quelli di alterazione e di batteri potenzialmente patogene (ad es. S. aureus).
I germi che possono infettare la mammella e provocare mastiti possono essere molto differenti tra loro: Streptococchi, Staffilococchi, e secondariamente dei generi di
Escherichia, Corynebacterium e Pseudomonas.
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Le mastiti, anche se subcliniche, alterano in maniera importante la composizione del
latte. In effetti, l’infezione mammaria si traduce in una riduzione della produzione di latte
e una modificazione della sua composizione dovuta ad un accrescimento dei componenti di origine sanguinea. Il tenore in caseine diminuisce, mentre aumenta quello in proteine solubili. Allo stesso modo, il tenore in calcio tende a diminuire, mentre la quantità di
cloruri e di sodio aumenta considerevolmente. Il pH di un latte mastitico è compreso tra
7 e 7,2.
Stadio di lattazione
La variazione del rapporto tasso lipidico/tasso proteico, generalmente costante durante
tutta la lattazione, è evidenziata da difficoltà di coagulazione del latte e di sgocciolatura
della cagliata durante il processo di caseificazione.
Il picco di lattazione si verifica in genere un mese e mezzo dopo il parto. In seguito la
produzione diminuisce progressivamente fino all’asciutta. Lo stadio di lattazione ha un
effetto noto sui tassi lipidico e proteico. In presenza di cicli naturali, i tenori in materia
grassa e materia proteica sono elevati dal parto al picco di lattazione, poi diminuiscono
gradualmente fino a raggiungere i valori più bassi nei mesi di maggio, giugno e luglio;
in seguito questi valori aumentano progressivamente fino all’ultimo mese di produzione.
La concentrazione dei minerali cambia ugualmente con lo stadio di lattazione e i cambiamenti più importanti si verificano in corrispondenza del parto (utilizzazione più importante delle riserve dovuta allo stadio fisiologico dell’animale). Per questo motivo la concentrazione di calcio nel latte è molto più bassa a inizio lattazione. Nel corso della lattazione il tenore in calcio rimane praticamente invariato: se infatti si verifica una carenza
di questo elemento nell’alimentazione, l’animale tende a compensarla utilizzando le
riserve corporee.
Fattori genetici
Per quanto concerne le razze cosmopolite, Camosciata delle Alpi e Saanen, il tasso lipidico e quello proteico sono leggermente maggiori per la razza Camosciata delle Alpi
rispetto alla razza Saanen, anche se la prima ha una produzione leggermente inferiore.
La stagione
Il rapporto tra il tasso proteico e quello lipidico è significativamente più elevato in estate, in rapporto alle altre stagioni. In effetti, è possibile che il tasso proteico sia superiore
al tasso lipidico. Questo fenomeno è conosciuto con il nome “inversione dei tassi”. La
causa di questo fenomeno è da ricercarsi nel comportamento alimentare dell’animale nel
periodo estivo, quando diminuisce il consumo di foraggi allo scopo di limitare la produzione di calore dovuta alla fermentazione ruminale. Ciò comporta una diminuzione del
rapporto foraggi/concentrati e quindi la variazione del rapporto tra il tenore lipidico e
proteico del latte.
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STRUMENTI E TEST PRATICI
PER IL MONITORAGGIO
DELLA QUALITÀ DEL LATTE
Diversi strumenti e test realizzabili in azienda permettono di controllare il corretto sviluppo della fase di acidificazione del latte in corrispondenza di fasi ben precise del processo di caseificazione.
Oltre alle misurazioni dirette di acidità e pH è possibile valutare la qualità microbiologica del proprio latte attraverso i diversi test di seguito descritti:
• Lattofermentazione: un utilizzo regolare di questo test permette di individuare la presenza nel latte di alcuni germi indesiderati che hanno un’incidenza sulla
qualità della cagliata (presenza di bolle, gas, crateri). In particolar modo questo
test permette di evidenziare i problemi a differenti livelli della filiera produttivo, ad esempio scarsa igiene dell’impianto di mungitura, conservazione del latte
a temperature non corrette,…). Il test consiste in un’incubazione del latte in provette sterili per 24 h a 37°C, temperatura che favorisce lo sviluppo di alcuni batteri non desiderati. Se uno di questi germi è presente nel latte, la sua moltiplicazione provoca una modificazione dell’aspetto della cagliata. Se all’opposto, la
cagliata ottenuta è ben liscia, ciò testimonia la corretta attitudine all’acidificazione del latte e l’assenza di germi indesiderati in quantità sufficienti per avere
delle conseguenze di ordine tecnologico.
• Blu di metilene: allo scopo di mettere in evidenza la presenza di una quantità
importante di germi indesiderabili, questo test fornisce un’idea della quantità di
batteri presenti nel latte, della loro attività e della loro velocità di moltiplicazione. Il test consente di evidenziare le differenze del livello di contaminazione del
latte e gli eventuali problemi d’igiene, spesso provenienti dall’impianto di mungitura. Il principio di funzionamento di questo test è legato al concetto che i batteri presenti nel latte e attivi a 37 °C consumano l’ossigeno disciolto nel latte.
Di conseguenza il blu di metilene si decolora quando il mezzo s’impoverisce di
ossigeno. Il tempo impiegato dal blu di metilene a decolorarsi indica una misura del livello di contaminazione del latte unicamente in flora mesofila (poiché
solamente questi batteri sono in grado di modificare la colorazione blu attraverso il loro metabolismo). Questo test è interessante soprattutto se utilizzato quotidianamente per un’interpretazione comparativa tra due giorni successivi.
Questo test è poco adatto per valutare la qualità microbiologica del latte odierno, in quanto quest’ultimo presenta cariche batteriche molto basse (< 50000
ufc/ml) per poter essere evidenziate con il test.
• Il test alla resazzurina: permette di stimare la carica microbica di un latte per
osservazione della durata di decolorazione. Il principio di funzionamento è quel36
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lo secondo cui, moltiplicandosi, i batteri diminuiscono il potenziale di ossidoriduzione del latte provocando la perdita di colore dell’indicatore blu. Questo
test può essere realizzato durante la mungitura e al momento della caseificazione; la comparazione dei risultati di questi due test alla resazurina permetterà di
valutare se esistono delle buone condizioni di conservazione e maturazione del
latte.
Per valutare invece lo stato sanitario delle mammelle e, quindi, la presenza di mastiti causate da batteri indesiderati, è possibile stimare la quantità di cellule somatiche presenti
nel latte derivante da ciascuna emimammella attraverso il Test CMT (California Mastitis
Test). Questo test è basato su un apprezzamento visivo ed è dunque meno preciso del
conteggio cellulare elettronico. Ciononostante, un’esperienza di utilizzo regolare permette di apprezzare il livello di infiammazione della mammella. Il principio di funzionamento di questo test si basa sulla valutazione della formazione di un gel a partire dal latte: più
il numero di cellule nel latte è elevato, più il precipitato ottenuto è viscoso.
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I SISTEMI DI GESTIONE
DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO
Il controllo della temperatura gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione casearia,
dallo stoccaggio del latte, durante le fasi di coagulazione, sgocciolatura, asciugatura,
salatura e stagionatura fino al prodotto finito.
A questo riguardo, ogni caseificio possiede una propria configurazione e propri materiali, e le scelte effettuate per quanto concerne le attrezzature che permettono di stoccare e
trasformare il latte sono le più svariate.
Di seguito si è cercato di descrivere le principali caratteristiche dei sistemi di gestione
della temperatura che più frequentemente si incontrano nei caseifici.
Riguardo al raffreddamento e alla preparazione del latte prima dell’aggiunta del caglio,
in relazione all’organizzazione del lavoro in caseificio si distinguono i passaggi di seguito descritti.
• Stoccaggio, per definizione consiste nel conservare il latte ad una temperatura
massima di + 6°C. Il regolamento CE 853/2004 precisa che:
• la temperatura di stoccaggio può essere di +8°C solamente qualora il
latte venga trasformato in giornata;
• non esistono esigenze regolamentate sulla temperatura se il latte viene
lavorato nelle due ore successive alla mungitura;
• il rispetto delle esigenze in materia di temperatura non è obbligatorio se
per ragioni tecnologiche legate alla fabbricazione è necessaria una temperatura più elevata (queste eccezioni devono essere autorizzate dalle
autorità sanitarie).
• Riporto: consiste nel mantenere il latte a temperature più elevate rispetto allo
stoccaggio (generalmente tra 8 e 12°C) senza inoculo di fermenti lattici. Se si
verifica un’acidificazione durante il tempo di riporto essa è dovuta unicamente
ai batteri inizialmente presenti nel latte.
• Prematurazione: si distingue dal riporto per l’aggiunta di colture di batteri lattici (sieroinnesto, lattoinnesto, starter commerciali) che si sviluppano durante
tutto il tempo della prematurazione (in genere 12 ore) e preparano così il latte
alla fase di coagulazione, acidificandolo. Questa pratica in genere viene attuata
a temperature comprese tra 8 e 16 °C.
Per il raffreddamento del latte possono essere utilizzati diversi sistemi, quali i tank refrigerati, i contenitori di raffreddamento dei bidoni, le serpentine, i raffreddatori da appoggiare sopra ai bidoni, il posizionamento dei bidoni nella cella frigorifera. La soluzione
più efficace per la gestione delle temperature di stoccaggio è quella del tank. Nelle aziende dove non è possibile adottare questa soluzione, l’alternativa migliore è il contenitore
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di raffreddamento dei bidoni. Per quanto possibile è meglio evitare di raffreddare il latte
nei bidoni posizionati nella cella frigorifera poiché la cinetica di diminuzione della temperatura sarà troppo lenta. Per quanto concerne gli altri sistemi di raffreddamento sopra
elencati non esistono dati che permettano di giudicare la loro efficacia.
Per quanto riguarda invece il controllo della temperatura in caseificio, aspetto fondamentale per il corretto svolgimento di ciascuna fase di lavorazione, dalla fabbricazione alla
stagionatura, è necessario ricordare che l’isolamento del caseificio va pianificato fin dalla
progettazione di quest’ultimo. Più un caseificio sarà isolato, più sarà facile gestirne i
parametri ambientali (temperatura, umidità, …) per ottenere una buona qualità dei prodotti.
Concretamente, i materiali isolanti evitano le perdite di calore verso l’esterno in inverno
e le temperature eccessivamente elevate all’interno del caseificio durante l’estate. Le
pareti, i pavimenti e i soffitti devono essere isolati; le porte e le finestre devono essere
isolanti.
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DAL LATTE AL FORMAGGIO:
LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE
LA MATERIA PRIMA
Nel territorio del Verbano Cusio Ossola la maggior parte delle trasformazioni casearie
prende avvio, salvo le rare volte in cui la qualità igienica del latte non lo consente, dal
latte crudo e intero di capra che viene munto nella maggior parte delle stalle due volte al
giorno rispettando il ciclo stagionale degli animali (da febbraio a novembre).
Il latte crudo utilizzato, una volta filtrato, prima di essere trasformato, viene generalmente conservato a una temperatura non superiore ai +4 °C per al massimo per 30 ore dalla
prima mungitura.
A volte, in seguito a problemi di cariche batteriche elevate o alla presenza di microflore alterative o patogene nel latte di massa (verificate mediante analisi effettuate in laboratori accreditati),
o nel caso di tempi di stoccaggio troppo lungo, il latte subisce uno dei seguenti trattamenti termici:
• pastorizzazione: applicazione di un trattamento termico mediante il quale si eliminano tutti i batteri patogeni eventualmente presenti nel latte crudo. Il trattamento termico può essere eseguito nei seguenti modi:
• pastorizzazione continua: il latte viene fatto passare attraverso uno scambiatore
di calore a piastre all’interno del quale scorre formando uno strato sottile, questo consente di ridurre sensibilmente la durata del trattamento; avremo quindi
una maggiore velocità nelle operazioni e, a parità di percentuale di abbattimento della carica microbica, una minore alterazione delle proprietà tecnologiche,
sensoriali e nutrizionali del latte. Le condizioni minime di pastorizzazione sono
di 72 °C per 15 secondi.
• pastorizzazione discontinua: viene generalmente effettuata nella stessa vasca
dove avverrà in seguito la coagulazione; la temperatura del trattamento é inferiore rispetto alla pastorizzazione continua, ma la durata dello stesso é notevolmente maggiore (per esempio 63 °C per 30 minuti oppure 68 °C per 20 minuti).
Qualunque sia la soluzione tecnologica adottata per la pastorizzazione, vale la regola che
al diminuire della temperatura di pastorizzazione dovrà corrispondere un aumento della
durata del trattamento tale da comportare comunque un’inattivazione della fosfatasi alcalina, enzima naturalmente presente in forma attiva nel latte crudo.
• termizzazione: trattamento termico mediante il quale si abbatte parzialmente la
Carica Batterica Totale del latte, eliminando o inattivando una buona parte dei
batteri patogeni (es. Stafilococchi) ed anticaseari. Si effettua per mezzo di un
pastorizzatore o di una caldaia. Si esegue con tempi non inferiori ai 15 secondi
e temperature comprese tra i 57° e 68°C. E’ da tenere presente che, per tempi
così brevi, non si ha l’eliminazione completa dei patogeni presenti nel latte, si
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tratta quindi di un trattamento di risanamento solo parziale non tale da comportare l’inattivazione totale della fosfatasi alcalina.
RISCALDAMENTO
Il riscaldamento del latte può avvenire a gas, a vapore o per scambio di calore con l’acqua circolante nella serpentina o nella doppia intercapedine della caldaia di lavorazione.
Lo scopo di questa fase è quello di creare le condizioni ottimali di sviluppo della microflora contenuta nell’innesto che generalmente sono comprese tra i 34 e 38 °C per gli
innesti termofili e tra i 18 e i 26 °C per innesti mesofili.
INNESTO DEI FERMENTI LATTICI
Generalmente per i formaggi a latte crudo a coagulazione presamica si utilizza un innesto naturale o selezionato, costituito in prevalenza da batteri lattici termofili
(Streptococchi, Lattobacilli), con l’aggiunta a volte di piccole dosi di ceppi di batteri
mesofili (Lattococchi). Per i formaggi a prevalente coagulazione acida si utilizzano invece ceppi di batteri lattici esclusivamente mesofili, siano essi omofermentanti o eterofementanti.
L’utilizzo dei fermenti è considerato dalla maggior parte dei produttori una fase essenziale della lavorazione poiché consente lo svolgimento di fermentazioni “guidate” e contrasta lo sviluppo della microflora anticasearia.
La maggior parte dei casari ossolani innestano i fermenti attraverso un inoculo diretto in
caldaia costituito da microflora lattica selezionata e liofilizzata, mentre altri utilizzano
un inoculo semidiretto, ovvero delle colture selezionate e liofilizzate che vengono utilizzate per la produzione di un innesto liquido. Quest’ultimo è ottenuto dalla solubilizzazione della microflora lattica liofilizzata in una piccola quantità di latte di capra sterile che
consente, quindi, l’ottenimento di un inoculo più uniforme e omogeneo rispetto a un inoculo diretto.
AGGIUNTA DEL CAGLIO
Con il termine caglio o presame intendiamo l’estratto enzimatico dell’abomaso di ruminanti; esso é il responsabile principale del processo di coagulazione del latte.
I componenti principali del caglio sono due enzimi proteolitici, che hanno quindi
un’azione degradativa nei confronti delle proteine: la chimosina che ha un’azione proteolitica specifica nei confronti della k-caseina e la pepsina che ha invece un’azione proteolitica aspecifica; il contenuto in pepsina aumenta all’aumentare dell’età dell’animale,
cagli che hanno un contenuto in chimosina più elevato sono anche più pregiati. In commercio si ritrovano cagli a differente contenuto di chimosina ed a diverso potere coagulante (titolo del caglio).
Il caglio si può trovare in vendita sotto forma di polvere, liquido e in pasta.
Rispetto agli altri due tipi di caglio, il caglio in pasta presenta, grazie alla particolare tec41
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nologia di produzione, un’altra tipologia di enzimi: le lipasi, enzimi che hanno un’azione idrolitica nei confronti dei grassi, sono responsabili quindi della formazione di un
sapore piccante in alcuni formaggi a lunga stagionatura.
Perché si abbia la coagulazione del latte non é necessario ricorrere al caglio, altri enzimi
ad azione proteolitica aspecifica provocano comunque una coagulazione; esistono allora
in commercio prodotti alternativi al caglio animale:
• coagulanti microbici: enzimi proteolitici ad azione aspecifica prodotti da specie
microbiche (es. Mucor miehi);
• chimosina genetica: attraverso la tecnologia del DNA ricombinante é possibile
indurre determinati batteri (generalmente Escherichia coli) a sintetizzare un’enzima praticamente identico alla chimosina e quindi con la sua stessa attività;
• coagulanti vegetali: anche da alcune piante è possibile estrarre enzimi proteolitici (per esempio dal fico). L’utilizzo di questi cagli è limitato ad alcune produzioni di nicchia.
COAGULAZIONE
L’80% circa delle proteine del latte é costituito dalla caseina, presente in forma colloidale sotto forma di micelle; le micelle caseiniche sono a loro volta formate da sub-micelle
che interagiscono tra loro grazie alla presenza di molecole di fosfato di calcio.
Ritroviamo tre diversi tipi (frazioni) di caseina: alfa, beta e gamma; per ciascuno di questi tipi riconosciamo più varianti genetiche. La stabilità di questo sistema colloidale é
dovuta allo stato di idratazione delle micelle, che dipende dovuta sostanzialmente da due
fattori:
1) il posizionamento della k-caseina nella parte più esterna della micella; la kcaseina é infatti fra le diverse frazioni caseiniche quella che presenta il maggior
numero di legami con molecole di zuccheri. Essendo gli zuccheri idrofili ciò
favorisce l’idratazione.
2) la presenza sulla superficie delle micelle, al pH naturale del latte, di una carica
netta negativa; la presenza di queste carica favorisce l’interazione con le molecole d’acqua e la repulsione con le altre micelle che quindi non andranno ad
aggregarsi.
Quando una di queste due condizioni viene a mancare allora si ha la destabilizzazione del
sistema colloidale con conseguente coagulazione del latte.
Coagulazione acida o lattica
La densità di carica di una molecola é funzione del pH del mezzo nel quale essa si trova;
si definisce come punto isoelettrico (pHi) di una molecola il valore di pH in corrispondenza del quale questa si presenta in forma neutra, se il pH del mezzo é superiore al pHi
allora la molecola carica netta negativa, se invece il pH é inferiore al pHi allora la molecola avrà carica positiva. La caseina ha pHi = 4.75, se allora il latte va incontro ad un processo di acidificazione, naturale od indotto dall’aggiunta di fermenti, si avrà una progres42
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siva diminuzione della densità di carica sulle micelle, con conseguente graduale disidratazione e demineralizzazione delle micelle che contemporaneamente andranno ad aggregarsi determinando la coagulazione del latte.
Coagulazione presamica
Responsabile principale della coagulazione presamica é la chimosina, enzima capace di
rompere esclusivamente il legame tra la fenilalanina 105 e la metionina 106 caratteristico della sola k-caseina; l’azione di questo enzima porta quindi alla formazione di due
molecole: la parafosfocaseina ed il così denominato perché contiene la componente glucidica della k-caseina; la perdita del caseinoglicomacropeptide riduce sensibilmente lo
stato di idratazione delle micelle che interagendo determinano la coagulazione del latte.
Possiamo dividere la coagulazione in tre diverse fasi:
fase primaria: consiste nella reazione enzimatica vera e propria, cioè nel distacco del glicopeptide dalla k-caseina.
fase secondaria: consiste nell’interazione tra le singole micelle con passaggio del latte
dallo stato di sol a quello di gel. La velocità di formazione del gel e la sua compattezza
dipendono strettamente dalla quantità di fosfato di calcio e di calcio presente nel latte.
fase terziaria: il gel assume una consistenza sempre maggiore perché aumenta il numero
dei legami intermicellari; le micelle si avvicinano tra loro ed il coagulo si contrae espellendo siero. E’ la cosiddetta fase di spurgo spontaneo o sineresi; il processo spontaneo é
lentissimo, nella tecnica casearia si accelera la sineresi con il taglio della cagliata ed un
eventuale riscaldamento. In questa fase inizia anche un’azione proteolitica aspecifica del
caglio, che interessa tutte le frazioni caseiniche.
Se invece del caglio si utilizza un coagulante ad azione proteolitica aspecifica allora la
destabilizzazione del sistema colloidale sarà dovuta ad una generale degradazione delle
micelle.
Interagendo tra loro le micelle caseiniche oltre a trattenere parte dell’acqua presente nel
latte ingloberanno nel loro reticolo gran parte del grasso; le sieroproteine, il lattosio ed i
sali minerali si ritroveranno invece per la maggior parte nel siero.
Coagulazione acido-presamica
E’ una tecnica di coagulazione che porta alla formazione di cagliate con caratteristiche
prevalentemente lattiche. In pratica si ha l’aggiunta di quantità relativamente ridotte di
caglio e quindi la coagulazione sarà principalmente dovuta all’acidificazione del latte;
utilizzata originariamente per la produzione di caprini (es. Robiola di Roccaverano) tale
tecnologia si è poi estesa anche alle lavorazioni vaccine.
La fase di coagulazione ha inizio con l’aggiunta del caglio, e si divide in:
• fase di presa: fase in cui il latte passa dalla fase liquida a quella gelatinosa;
• fase di indurimento: tempo necessario per arrivare alla consistenza del coagulo
prevista per il tipo di lavorazione.
Il tempo di coagulazione è il tempo che intercorre tra l’aggiunta del caglio e il raggiun43
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gimento della giusta consistenza della cagliata, esso varia sensibilmente in funzione della
tipologia di formaggio che si vuole ottenere; in generale possiamo dire che per formaggi a lunga stagionatura, dove é richiesta una notevole perdita di umidità, il tempo di coagulazione sarà breve, mentre nel caso di formaggi freschi, caratterizzati da un più alto
contenuto di umidità, il tempo di coagulazione sarà più lungo, proprio perché ciò favorisce il trattenimento dell’acqua all’interno della cagliata.
LAVORAZIONE IN CALDAIA
Non tutte le varie fasi della lavorazione della cagliata in caldaia di seguito elencate sono
presenti nei processi di caseificazione e la loro attuazione varia sensibilmente in funzione del tipo di formaggio che si vuole ottenere; in generale possiamo dire che la tecnologia di produzione di formaggi freschi prevede una rottura della cagliata abbastanza grossolana per favorire il mantenimento dell’acqua all’interno della stessa, la produzione di
formaggi a lunga stagionatura prevede, invece, una rottura più spinta fino alla formazione di granuli molto fini proprio per favorire lo spurgo del siero.
Rivoltamento strati superiori cagliata
Si effettua con uno strumento detto “piatto”, normalmente in acciaio inox. L’operazione,
che è finalizzata a mantenere uniforme la temperatura, va eseguita precocemente, a
cagliata molto tenera.
Taglio della cagliata
Le attrezzature utilizzate sono il coltello o spada, la lira, il piatto, lo spino. In alcuni
casi viene effettuato un solo taglio, arrivando alla dimensione desiderata dei granuli di
cagliata.
Sosta
Questa fase serve per rassodare la cagliata; nei formaggi più morbidi deve essere più prolungata.
Successivi tagli e soste
Alcune tecnologie prevedono diversi tagli e conseguenti soste finalizzate a migliorare le
caratteristiche di consistenza della cagliata; gli strumenti utilizzati sono la lira e lo spino.
Lavaggio della cagliata
Consiste nella sostituzione di parte del siero in caldaia con acqua e sale a una temperatura inferiore, pari o maggiore di quella della cagliata.
Serve a disacidificare la cagliata, ad effettuare una cottura con acqua calda e/o a rallentare il processo di acidificazione.
Cottura
Riscaldamento della cagliata; può essere effettuata in più riprese.
Serve ad asciugare il granulo e rendere la cagliata più elastica e il formaggio più consistente. Se la cottura avviene troppo velocemente, si ha la formazione di una pellicola proteica intorno al granulo con conseguente difficoltà di spurgo.
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Agitazione e spinatura
Consiste nel mantenere in agitazione la cagliata; viene effettuata sia per la produzione di
formaggi cotti sia per quelli crudi.
Serve a proseguire la fase di asciugatura della cagliata.
Sosta dopo spinatura
Si lascia affondare e compattare sul fondo della caldaia la cagliata; è un’operazione particolarmente consigliata in caso di scarso incremento di acidità in lavorazione.
Serve ad aumentare l’acidificazione della cagliata, a far depositare sul fondo della caldaia i granuli di cagliata e farla così compattare.
ESTRAZIONE E FORMATURA
L’estrazione può essere fatta in diversi modi:
• direttamente in forma;
• su tavoli spersoi o contenitori sotto siero, per acidificare la cagliata;
• su tavoli spersoi o contenitori senza siero, per pressare la massa caseosa al fine
di tagliarla e porzionarla per metterla in forma;
• in tela e poi in forma;
In questa fase si possono aggiungere al formaggio diversi ingredienti quali ad esempio
erbe aromatiche, spezie, oli, aceto, tartufo, salmone ed altri ancora.
Durante questa fase hanno luogo la graduale acidificazione della cagliata e lo spurgo del
siero, fenomeni necessari per l’ottenimento di un prodotto finito con le caratteristiche
organolettiche desiderate; una buona acidificazione, nelle 3-4 ore che seguono l’estrazione, inoltre ostacola lo sviluppo di microrganismi anticaseari. E’ importante un attento
monitoraggio dell’acidificazione della pasta attraverso misurazioni del pH della pasta o
dell’acidità titolabile del siero. Si effettuano inoltre periodici rivoltamenti del formaggio
per ottenere un uguale spurgo sulle due facce della forma.
L’azione combinata di acidificazione e spurgo può essere realizzata in vari modi:
• mediante stufatura, quando la tipologia del prodotto richiede una forte spinta di
acidificazione (ad es. nei formaggi con batteri termofili);
• durante la pressatura (anticipata alcune volte dalla seconda rottura o frisatura);
• mediante riposo del formaggio a temperatura ambiente (specie nei formaggi non
pressati ottenuti da batteri mesofili).
I valori di acidità finale variano da formaggio a formaggio.
PRESSATURA
Si tratta dell’applicazione di una pressione sul formaggio.
Serve a far fuoriuscire (spurgare) più velocemente il siero e a rallentare e bloccare l’acidificazione.
Si può effettuare subito dopo l’estrazione oppure dopo una prima fase di acidificazione.
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SALATURA
Consiste nel distribuire sale o una soluzione di acqua e sale sulla superficie del formaggio dopo che il valore di acidità richiesto dal tipo di tecnologia di caseificazione è stato
raggiunto.
La salatura rallenta il ciclo di acidificazione, dà sapidità al formaggio, ne aumenta la conservabilità (rallentando il ciclo di acidificazione e lo sviluppo di tutti i microrganismi).
Modalità di esecuzione:
• a secco;
• in salamoia;
• mista (prima fase in salamoia e seconda fase a secco, per irrobustire la parte
esterna del formaggio);
• in pasta.
La tecnica di salatura più utilizzata é ormai quella in salamoia; il tempo di permanenza
dei formaggi in salamoia dipende da:
• dimensione del formaggio (a maggiori dimensioni deve corrispondere un prolungamento del tempo di mantenimento in salamoia);
• consistenza (umidità) del formaggio (i formaggi pressati e più asciutti si salano
più lentamente);
• grado di salinità della salamoia (che influisce anche sulla crosta, indurendo la
parte esterna).
STAGIONATURA
E’ una fase molto importante, durante la quale si hanno le trasformazioni a carico delle
proteine, dei grassi e degli zuccheri presenti nel formaggio conferendo in tal modo le
caratteristiche di consistenza, gusto ed aroma del prodotto. Di queste reazioni sono
responsabili:
• i fermenti lattici, le muffe ed i lieviti presenti nel formaggio, provenienti dal latte
crudo e dagli starter aggiunti;
• il coagulante aggiunto in lavorazione che rimane in parte nel formaggio ancora
in forma attiva.
• gli enzimi (proteasi e elipasi) endogeni del latte
Esempi di trasformazioni che avvengono durante la stagionatura sono:
• sviluppo di muffe all’interno del formaggio nella produzione di formaggi erborinati (es. Gorgonzola);
• sviluppo di muffe sulla superficie esterna nella produzione di formaggi a crosta
fiorita (es. Brie);
• formazione di un sapore piccante derivante da composti di degradazione dei
grassi;
• liberazione di amminoacidi e di ammoniaca derivanti dalla proteolisi.
I parametri che influenzano queste trasformazioni sono:
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• il tempo;
• la temperatura;
• l’umidità.
Questi parametri variano sensibilmente a seconda del tipo di formaggio: per esempio la
crescenza viene mantenuta per 4 - 5 giorni a 4 °C con un’umidità relativa del 95 % circa;
il Parmigiano Reggiano può essere stagionato anche per alcuni anni a temperature di
circa 15 °C e valori di umidità dell’85 % . Alcuni formaggi (es. mozzarella) non hanno
bisogno di alcuna stagionatura, appena prodotti possono essere direttamente consumati.
ASCIUGATURA
L’operazione, normalmente effettuata per formaggi di piccola pezzatura, deve far sì che
l’umidità si abbassi velocemente fino ad indurire la pasta. Normalmente si raggiunge
questo risultato ponendo i formaggi in un apposito locale o armadio dove vi sia un forte
ricambio di aria calda, meglio se deumidificata, con una temperatura ambiente che varia
dai 20 ai 30 °C ed un’umidità relativa di circa 60 - 70 %. Di norma il procedimento dura
12 - 24 ore a seconda della pezzatura del prodotto. Questi formaggi, in seguito, saranno
venduti confezionati in carta o posti in barattoli di vetro sott’olio con eventuali aggiunte
di spezie e aromi.
CONFEZIONAMENTO
E’ l’operazione destinata a proteggere il prodotto mediante un involucro o contenitore.
Nel caso di formaggi a lunga stagionatura é la crosta stessa che protegge il formaggio
dall’esterno.
ETICHETTATURA
Sopra ogni formaggio o ogni confezione di formaggi deve essere applicata un’etichetta
realizzata con carta alimentare autoadesiva oppure no (in questo l’etichetta si può applicare sulla crosta del formaggio dopo averla imbevuta con acqua). In etichetta deve essere riportata la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda, gli ingredienti utilizzati per fabbricare il prodotto, il metodo di conservazione e la data di scadenza.
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SCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINI
PRODOTTI NEL VCO
FORMAGGI A PASTA MOLLE E SEMIDURA
L’Italia e la Francia sono i paesi per eccellenza produttori di formaggi a pasta molle. Ci
sono infatti circa 400 formaggi differenti. Il numero elevato di questi differenti tipi sta
nel fatto che ciascun produttore ha cercato di creare un prodotto appropriato alle proprie
esigenze di mercato e a ottenere un prodotto “durevole”. Il clima, gli impianti di trasformazione, lo stato dei locali, la razza degli animali, le ricette che sono poi state trasmesse hanno portato a questa diversità di formaggi.
Il termine “formaggio a pasta molle” identifica un gruppo di formaggi molto importante
che si caratterizza per la pasta con elevato tenore di acqua e per l’aroma particolare. Sono
dei piccoli formaggi ( raramente oltre il kg ) e di differenti forme. Proporzionalmente,
questi formaggi hanno una grande superficie di scambio con l’ambiente, si comprende
che la loro maturazione è fortemente influenzata dalla parte esterna, cioè dalla crosta. La
consistenza molle della pasta è il risultato di una tecnologia particolare.
Le esigenze di fabbricazione per questa tipologia di formaggi, e per i formaggi a pasta
semidura è sempre la stessa che per i formaggi a pasta dura: il latte deve avere una bassa
carica microbica anticasearia ed adatto alla caseificazione come prescrivono le norme.
E’ consigliabile per i formaggi con elevato contenuto di acqua , poco salati , poco acidi ,
e di veloce consumo la termizzazione del latte e l’utilizzo di una buona coltura, per favorire una corretta acidificazione e una protezione lattica.
CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI SECONDO IL TENORE DI ACQUA
Molle
> 45%
Dura
tra il 40%-45%
Semidura
< 45%
CLASSIFICAZIONE SECONDO LA TIPOLOGIA DI STAGIONATURA
Formaggi a superficie liscia e secca
Formaggi a crosta grassa e umida (crosta lavata)
Formaggi a crosta fiorita
Formaggi a muffe interne
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SCHEDA TECNOLOGICA DI LAVORAZIONE
Di seguito si riportano i diagrammi di flusso di tecnologia casearie a coagulazione presamica (caciotta, stagionato e primosale) e a coagulazione lattica.
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I DIFETTI DEI FORMAGGI
Gonfiore precoce
Questo difetto compare già sotto pressa o nel locale di stagionatura. Più raramente si nota
dopo 2 -3 giorni, in maniera più o meno visibile, per la formazione progressiva di buchi
o per gonfiore. Le cause del problema sono da ricercarsi in una crescita inusuale di
microorganismi produttori di gas; i responsabili più frequenti sono i batteri coliformi che
possono determinare diffusa occhiatura nel formaggio a causa della formazione di gas
quali anidride carbonica e anche idrogeno. Nei formaggi a pasta dura, questo gonfiore
precoce interviene per la maggior parte delle volte solamente in presenza di sostanze inibitrici nel latte (antibiotici). Lavorando latte pastorizzato, la causa del difetto può derivare da una contaminazione successiva, non essendoci microrganismi che antagonizzano lo
sviluppo dei dei batteri anticaseari oppure da un lattoinnesto o sieroinnesto inquinati o
poco vitali.
Gonfiore precoce dovuto a infezione da coliformi del formaggio
Altri microrganismi possono provocare dei gonfiori precoci. Ad esempio i lieviti, alcuni
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tipi di lattobacilli. I lieviti causano sovente dei difetti nei formaggi a pasta molle e semidura, infatti resistono alle basse temperature di fabbricazione di questi formaggi. Per
prevvinre il gonfiore precoce è necessario: controllare l’attività dei batteri lattici e l’acidificazione dei formaggi; migliorare la qualità microbiologica del latte; evitare la presenza di sostanze inibitrici; eliminare l’infezione causata dai coliformi pastorizzando o termizzando il latte.
Amaro
E’ un difetto che si verifica nei formaggi soprattutto in quelli a pasta molle. Le cause possono derivare dal latte, da un’inadatta lavorazione o da incuria durante la fase di stagionatura. ln ogni caso si tratta sempre o quasi sempre dell’intervento di alcune forme
microbiche indesiderate. Altri fattori sono da imputare a: lattazione troppo avanzata,
malattie a carico della bovina, cloruro di sodio impuro. L’amaro può anche essere dovuto ad una alimentazione scorretta (foglie di barbabietola, sedano, porro, rape, foglie
ammuffite, rabarbaro). Anche la cattiva qualità del caglio, specialmente se il prodotto è
in pasta, può influire; infatti, il contenuto di pepsina elevato può portare alla formazione
di peptidi amari così come dosi eccessive di caglio. II limitato spurgo della cagliata, spesso voluto per ottenere una maggior resa, determina un ambiente adatto allo sviluppo di
microorganismi che portano all’amaro.
Gli accorgimenti necessari per la prevenzione dell’amaro sono molti essendo molte le
cause che portano a questo problema. Una prima azione è quella di eliminare le sostanze sia alimentari che farmacologiche che possono determinarlo. Nel caseificio è bene
sostituire il caglio in pasta con quello liquido e controllare la sua buona qualità.
Controllare il sale e la salamoia, provvedendo alla sua sostituzione quando si verificasse il
problema. Procedere ad un’accurata pulizia dei locali di trasformazione e degli utensili
usati, verificando la corretta tecnologia produttiva e la fase di stagionatura dei formaggi.
Fermentazione butirrica
Questa fermentazione anomala si verifica nei formaggi a pasta dura e semidura. l formaggi a pasta molle non vanno incontro a questo inconveniente in quanto hanno una maturazione più breve ed un locale di stagionatura a temperatura più bassa; inoltre, il pH del
formaggio è più acido e la pasta ancora fresca lo protegge da questo difetto. Il gonfiore
tardivo è causato dallo sviluppo di Clostridi (ad es. Clostridium tyrobutiricum) che possono fermentare l’acido lattico con formazione di gas responsabile della modificazione
della pasta del formaggio. Gli insilati e alimenti simili, gli abbeveratoi sporchi, le mangiatoie rotte e sporche di terra, le tavole delle presse, le apparecchiature sporche di terra
sono causa di contaminazione da Clostridi. Risulat quindi necessario rispettare adeguate
condizioni di produzione degli insilati e di tecniche di insilaggio.
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Gonfiore tardivo dovuto a fermentazione butirrica
Fermentazione propionica
Questo tipo di fermentazione importante per alcuni tipi di formaggi (Emmental) è indesiderabile per altri. I propionici iniziano il loro sviluppo quando gli altri microrganismi
hanno già metabolizzato il lattosio, avviano la loro moltiplicazione quando il pH nel formaggio si è già elevato (6-7). Si è notata invece una inibizione dei propionici a pH 5,55,2. E’ necessario evitare le contaminazioni (tavole di pressatura e utensili sporchi) e eliminare i fattori che possono creare proteolisi e favorire l’aumento del pH.
Sfoglia
Questo difetto si verifica nei formaggi a pasta dura e semidura. Tali spaccature possono
essere di tipo diverso, a volte sono appena percettibili e localizzate verso il centro, molto
spesso sono più marcate, numerose e distribuite in diversi punti della pasta. Nei casi più
gravi risultano molto ampie, causando il distacco della pasta. In questo caso il formaggio
matura più rapidamente, creando sapori e odori anomali passando dal piccante all’amaro. Le cause sono da ricercarsi nel latte eccessivamente acido o molto inquinato e da una
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errata tecnica di lavorazione (cagliata troppo dura, grani di cagliata legati).
Risulta quindi necessario controllare l’acidificazione del latte e il lavoro in caldaia assicurando una adeguata rottura della cagliata.
Colorazioni anomale
Queste anomalia si riscontra sia nei formaggi a pasta dura come in quelli a pasta molle;
manifestandosi con punti o macchie più o meno estese sulla crosta, nello strato sotto crosta o all’interno della pasta. Il difetto svaluta commercialmente il prodotto anche perché
solitamente porta come conseguenza odori e sapori anormali. Nella maggior parte dei
casi il difetto è di origine microbica, ma può essere anche di origine chimica. I microbi
capaci di creare il difetto possono essere: il Cladosporium herbarum, che si sviluppa
sulla superficie dei formaggi e il Bacterium denigrans che causa la colorazione nerastra
della superficie dei formaggi.
Calcinazione o gessosità
Questo difetto si riscontra nei formaggi molli e soprattutto nel taleggio e nel gorgonzola.
A volte il difetto si verifica in alcune zone della pasta, quasi sempre nella parte centrale
della forma. La gessosità è causata dalla eccessiva acidità della cagliata per un errato
apporto di fermenti o per uno sviluppo troppo elevato di questi batteri acidificanti. La
pasta assume un aspetto gessoso, friabile, di colore troppo chiaro e di sapore acido.
Gessosità
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Cagliata polverizzata
Si intende quella parte di cagliata che, durante la rottura si riduce in granuli tanto piccoli che dopo la cottura si presentano come polvere, più asciutti e più duri degli altri granuli. Questo tipo di inconveniente, dipende generalmente da rottura affrettata o da imperizia, quando la cagliata, non avendo ancora buona consistenza risponde male al taglio.
Un altro problema può essere dovuto ad un latte troppo maturo con uno spurgo ed una
cottura eccessivi. Per evitare la formazione di polvere, si consiglia di rompere la cagliata quando presenta la giusta consistenza, tenere i granuli di cagliata più grossi, spurgare
lentamente, cuocere ad un grado non troppo elevato, lavorare un latte non agitato in
maniera energica. l granuli di cagliata essendo più leggeri, si depongono per ultimi sulla
massa della cagliata con tendenza a localizzarsi verso il centro, si può ovviare a ciò effettuando un movimento del siero dopo pochi minuti dalla cottura, comprimendo leggermente la cagliata e massaggiandola appena estratta.
Cagliata molle
E’ attribuita al grado di acidità del siero:
NORMALE
• Mancanza di azione del caglio per temperatura troppo bassa.
• Mancanza di calcio.
• Mancanza di proteine coagulabili (cambio di alimentazione, con il latte di capra
si nota questo difetto).
INSUFFICIENTE
• Acidità del siero bassa 2,4-2,8 SH/50, questo può verificarsi in caso di presenza
di antibiotico.
• Acidità a 6,8-9 SH/50 controllando se aumenta, la causa può essere legata ad un
problema di temperatura o ad una carenza di fermenti, fermenti scaduti, oppure
a presenza di fagi.
La cagliata non dovrà essere messa in forma, si potrà intervenire dopo 7/8 ore dalla coagulazione effettuando dei tagli con una spada, per favorire I’indurimento.
Cagliata friabile
Osservando la cagliata noteremo un distacco dal bordo con del siero e con presenza di
“sacche” contenenti siero sulla superficie.
Le cause possono essere dovute ad un eccesso di acidificazione dovute ad una temperatura elevata di coagulazione o ad una dose eccessiva di fermento
Cagliata gonfia
Questo problema è causato da una produzione di gas ad opera di microrganismi:
• coliformi, provenienti da una cattiva igiene e da un carente numero di batteri lat58
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tici antagonisti.
• eterofermentanti in numero elevato, presenti nel latte di partenza oppure aggiunti come innesto.
Sviluppo di Mucor o “pelo di gatto”
E’ legato ad una asciugatura insufficiente del formaggio per una cattiva acidificazione,
quindi utilizzare correttamente i fermenti lattici e lavorare in ambiente più caldo.
Sviluppo di Geotrichum lactis o candidum detta anche “PELLE DI ROSPO” determina una
crosta corrugata, cremosa nel sottocrosta, di colore giallo pallido virante all’arancione. Il
suo sviluppo è dovuto ad una cattiva asciugatura, ad una salatura irregolare, ad una acidificazione ritardata, ad una maturazione in ambiente caldo e ad una mancanza di aereazione. Il formaggio si presenta in mezzo bianco e gessoso, questo può iniziare dopo 8/10 giorni dalla produzione, il difetto può apparire anche più tardi. provocando “amarore”.
Quando si toglie dalla carta un formaggio lattico e si sente un odore di lievito di birra, la
pasta si presenta granulosa, significa che l’acidificazione è stata troppo rapida.
Se si sente un gusto piccante, può essere che il latte è stato troppo raffreddato o si è a fine
lattazione.
Bordo molle corrugato
Cause. Temperatura di coagulazione troppo bassa. Raffreddamento della cagliata durante la coagulazione. Sgocciolatura difettosa in stufatura dovuta ad una temperatura troppo
bassa o troppo elevata.
Muffe insufficienti
Cause. Colture poco attive. Acidificazione iniziale rallentata (troppo bassa), prima di
mettere il formaggio in salamoia il pH deve circa arrivare a 5
Muffe eccessive
Uno sviluppo troppo rapido ed elevato delle muffe porta ad avere un “tappeto” spesso
che facilmente si può staccare dal formaggio: questo è la conseguenza di una dissoluzione locale della caseina nel sottocrosta (liquefazione del bordo ). Cause. Troppe muffe
inoculate al latte o presenti nell’ambiente di stagionatura, sgocciolatura insufficiente.
Pelo di gatto- Cause. Raffreddamento troppo basso della parte esterna, causato da un elevato quantitativo di acqua nella superficie esterna del formaggio. Spurgo insufficiente.
Inquinamento da vapore acqueo durante la formazione delle muffe.
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IGIENE E BUONE PRATICHE
DI LAVORAZIONE
La sicurezza è la priorità in ogni stadio della filiera di produzione degli alimenti, il cibo
disponibile per i consumatori Europei è generalmente severamente controllato, quindi
sicuro da mangiare. Comunque, possono esserci occasionalmente delle malattie causate
dalla contaminazione biologica oppure chimica, in ogni punto della produzione di alimenti dal campo alla tavola. La responsabilità per assicurare le condizioni perfette di ciascun cibo deve essere condivisa da ogni individuo operante nella filiera agroalimentare.
Severi controlli legali hanno luogo per garantire alti livelli di sicurezza, igiene, qualità,
nella produzione commercializzazione e manipolazione dei prodotti alimentari.
Raramente gli alimenti sono sterili quando vengono consumati, la maggior parte contengono microbi che sono del tutto inoffensivi e spesso ne caratterizzano e determinano il
processo di produzione, si pensi ai batteri lattici dei formaggi. Capita occasionalmente,
che i cibi possano contenere microbi patogeni ed essere quindi dannosi per la salute
umana, non possedendo i requisiti di sicurezza fondamentali. I tessuti interni di piante e
animali possiedono le necessarie difese per tenere a bada i microrganismi, con il risultato che generalmente parti vegetali o tagli di carne di animale in salute consumati freschi,
possiedono una carica microbica che rasenta la sterilità. Comunque sia le condizioni di
stoccaggio, macellazione, insomma durante le varie operazioni unitarie che caratterizzano il processo di produzione, può accadere che i microbi entrino nei cibi e trovino le condizioni necessarie al loro sviluppo. Le contaminazioni possono originarsi dalle materie
prime stesse, dall’ambiente in cui avviene il processo di produzione, da veicoli quali
insetti o roditori, oppure da fonti di contaminazione umana.
Molte alterazioni di alimenti sono imputabili all’attività microbica, che anche se non rendono necessariamente l’alimento stesso pericoloso, ne possono cagionare le peculiarità
sensoriali.
LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE
Alimenti di origine animale rappresentano la principale fonte di microrganismi patogeni,
spesso si trovano sull’animale vivo e rimangono ad esempio sulla carne dopo la macellazione, oppure perché quest’ultima è avvenuta senza eseguire le buone norme pratiche
di processo. Senza appropriati trattamenti atti alla distruzione dei microbi, oppure se le
condizioni di igiene e temperatura non sono idonee, essi possono occasionalmente essere presenti sul prodotto finale. Esistono degli alimenti in cui si è constatato un elevato
rischio di contrarre malattie di origine alimentare, proprio per un elevata frequenza di
isolamento di patogeni dagli stessi e per dati epidemiologici risultati da notifiche, in cui
si è verificato il binomio alimento-microrganismo incriminato.
Il latte crudo è quasi in totale abbandono proprio perché veicolo di numerosi patogeni.
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Formaggi stagionati, yogurt e burro sono prodotti sicuri grazie alle loro caratteristiche di
acidità e di bassa attività dell’acqua. Casi di malattie alimentari si sono verificati su formaggi freschi, una pastorizzazione idonea del latte, o dove, se non prevista tale operazione unitaria nei disciplinari di produzione, un adeguato innesto di batteri lattici acidificanti e competitivi con i patogeni, possono insieme alle GMP (good manufactiring practice)
tranquillizzare i sostenitori dell’obbligatorietà della pastorizzazione del latte da trasformare in formaggio.
Alimenti sottoposti prima della somministrazione a notevole manipolazione sono tra i
principali incriminati a casi di infezioni intossicazioni e tossinfezioni alimentari. Nella
maggior parte dei casi la contaminazione è provocata dall’operatore che agisce da veicolo inconsapevole per l’inoculazione di un determinato patogeno; periodi di terapia e profilassi per i soggetti portatori sani, rispetto delle norme igieniche fondamentali, particolare attenzione ad evitare la contaminazioni crociate nel luogo di preparazione ed infine,
rispetto delle condizioni di tempo e temperatura tesi rispettivamente a limitare e a
distruggere le polluzioni microbiche, garantiscono la salubrità del prodotto finito.
COME EVITARE LA CONTAMINAZIONE
La responsabilità riguardo la sicurezza degli alimenti è condivisa da ognuno implicato
nella filiera agroalimentare, ovvero in tutto il percorso esistente dal campo alla forchetta, coinvolgendo il settore primario, le industrie alimentari, i distributori e i consumatori
compresi.
A livello della produzione sul campo, si possono ottenere prodotti con le specifiche
opportune, adottando anche qui un sistema di controllo dei punti critici; pratiche di
miglioramento fondiario e investimenti verso tecnologie innovative, mirano ad ottenere
prodotti di qualità superiore.
Allevamenti di bestiame gestiti in condizioni non idonee trasmettono al prodotto finito
caratteristiche che ne compromettono la qualità, si pensi al contenuto in cellule somatiche e alla carica batterica del latte per fare un esempio, dove tali valori superano i limiti
di accettabilità, il prodotto diventa irrimediabilmente compromesso.
A livello di industria alimentare, nel senso lato del termine recepito su Direttive CE riferibili al pacchetto igiene 2004, viene responsabilizzata essa stessa, con l’obbligo di
gestione delle non conformità e la redazione del manuale di autocontrollo igienico aziendale.
Misure correnti adottate per prevenire la contaminazione dei cibi includono:
• usare materie prime di qualità da fornitori sicuri con specifiche di prodotto conformi al capitolato di acquisto
• seguire le Buone Pratiche di Produzione, le cosiddette GMP
• adottare sistemi di gestione che permettano di identificare, monitorare e controllare i rischi durante tutto l’iter del prodotto
• provvedere a programmi di aggiornamento per gli impiegati nella filiera
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• sviluppare la ricerca sui patogeni per conoscerli e controllarli meglio
scambio di informazioni sulla sicurezza degli alimenti
Il livello finale della catena dal campo alla tavola, coinvolge le ditte impiegate nel catering, nella ristorazione collettiva e le cucine stesse di casa, proprio perché numerosi casi
di malattie di origine alimentare sono collegate con la manipolazione antecedente la somministrazione del cibo.
Un numero semplice di regole, alcune raccomandate anche dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, per garantire la sicurezza durante questa fase di preparazione del
cibo sono:
• Evitare il contatto tra alimenti ritenuti “sporchi” e alimenti già cucinati, ciò per
ridurre il rischio di contaminazioni crociate.
• Lavarsi le mani prima di manipolare i cibi e dopo aver toccato prodotti cosiddetti “sporchi”, in modo da minimizzare le contaminazioni.
• Utilizzare strumenti e utensili per specifiche operazioni unitarie, lavandoli sempre accuratamente dopo l’uso. In caso di carenze spazio temporali, vincolare per
ultime le operazioni su prodotti alimentari e superfici maggiormente contaminati.
• Tenere il locale di lavorazione in condizioni igieniche perfette, con speciale
riguardo alle superfici di contatto con i formaggi, per prevenire le contaminazioni crociate.
• Proteggere gli alimenti da insetti, roditori e altri animali che possono veicolare
agenti patogeni.
• Nella conservazione degli alimenti osservare rigorosamente le temperature idonee di stoccaggio per tipologia di prodotto. Controllare integrità delle confezioni e stato della merce al ricevimento, per poi immagazzinarla in modo tale da
facilitarne il turn-over (il primo che entra è il primo che esce). Prodotti non completamente utilizzati, se possibile conservarli, devono essere riposti integri di
etichettatura con adeguata protezione.
I principali riferimenti normativi sono:
• REG.178/02 CE, del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza
alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in GUUE L
31 del 1.2.2002.
• REG. (CE) N. 852/2004 del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari,
versione rettificata in GUUE L 226 DEL 25.6.2004; norma base che ridefinisce
la disciplina igienico-sanitaria delle produzioni alimentari in senso orizzontale,
abroga la direttiva 93/43 CEE (recepita in Italia con D.Lgs 155/97) e detta criteri armonizzati per la sicurezza dei processi produttivi alimentari. La norma
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estende la propria efficacia anche alle produzioni primarie (all’agricoltura).
• REG. (CE) N. 853/2004 del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in
materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
Questi regolamenti sono il cosiddetto “pacchetto igiene”, esso costituisce il presupposto
normativo nell’ambito del quale è stata strutturata la riforma della disciplina comunitaria
in materia di igiene delle produzioni alimentari e controllo ufficiale., si obbliga gli operatori dei comparti che attuano la produzione, preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione,
la vendita, la fornitura o la somministrazione al consumatore ad attuare delle procedure
di autocontrollo che consentono di effettuare, in ogni fase del processo produttivo alimentare, la sorveglianza delle condizioni di lavorazione e la prevenzione di accidentali
contaminazioni degli alimenti.
Lo strumento per individuare le fasi critiche e mantenere aggiornate le opportune procedure di sicurezza attuate in azienda, anche quelle agricole, è il Manuale Aziendale
dell’Autocontrollo Igienico. Esso costituisce un approccio di tipo preventivo, sistematico e documentato della sicurezza alimentare. Procedendo da un’analisi dei potenziali
pericoli insiti nelle trasformazioni alimentari per la salute dei consumatori, si identificano i punti critici di processo in cui tali pericoli, ed i relativi danni, possono essere tenuti
sotto controllo, al fine di garantire salubrità degli alimenti e sicurezza per i consumatori.
Per ciascun punto critico vengono evidenziati i pericoli e le azioni preventive adottate, i
limiti critici, le modalità di monitoraggio, gli interventi correttivi che vengono attivati in
caso di violazione dei limiti critici e le relative registrazioni. Sono infine illustrate nel
Manuale Aziendale di Autocontrollo Igienico le modalità che rendono dimostrabile ad
ispezioni da parte di enti di controllo l’attivazione dell’intero sistema HACCP (Hazard
Analytical Critical Control Point), stabilendo chi è il responsabile dell’applicazione del
sistema. Il piano di autocontrollo verrà revisionato qualora si verificassero significative
variazioni nella tipologia del prodotto o nell’organizzazione del flusso produttivo.
Periodicamente esso verrà aggiornato coi calendari di intervento (ispezioni, corsi di formazione, etc.). Chi lavora nel caseificio deve badare all’insieme dei comportamenti che
riguardano la pulizia e la cura delle persone, degli ambienti, delle attrezzature e dei preparazioni casearie ivi prodotte.
NORME INGIENICHE DEL PERSONALE
In base a quanto previsto dall’articolo 37 del D.P.R. del 26 Marzo 1980 n. 327, tutto il
personale destinato a venire a contatto diretto o indiretto con gli alimenti deve essere in
possesso del libretto di idoneità sanitaria (articolo 14). Inoltre si prevede che ogni persona che lavora in locali produzione alimentare deve mantenere uno standard elevato di
pulizia ed indossare indumenti adeguati, puliti e, se del caso, protettivi (es. guanti). La
conseguenza di una scarsa igiene personale è la contaminazione dei cibi. I batteri possono trasferirsi dagli operatori agli alimenti durante la preparazione e divenire causa del
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manifestarsi di contaminazioni. Occorre quindi agire sull’igiene del personale, sul suo
abbigliamento, sul suo comportamento e sulla sua formazione ed è necessario, inoltre,
che tali azioni vengano comprese ed accettate dal personale stesso che deve essere consapevole del rischio di contaminazione che rappresenta.
Il controllo dei rischi può essere ottenuto seguendo le istruzioni di questa sezione in relazione all’igiene del personale ed alle modalità che si conducono durante il processo di
preparazione.
Vengono riportate le fondamentali norme igieniche che il personale addetto deve osservare; a queste fa seguito il buon senso di ogni operatore che si trovi a contatto con sostanze alimentari.
• Lavarsi le mani accuratamente e frequentemente, utilizzando acqua calda, sapone liquido (o in polvere) ed asciugamani monouso e non riutilizzabili, ed in particolare:
• prima di iniziare ogni lavorazione
• dopo aver usato i servizi igienici
• prima di manipolare alimenti
• dopo aver manipolato oggetti o alimenti nelle varie fasi di processo
• dopo essersi soffiati il naso
• dopo aver toccato i rifiuti o i contenitori della spazzatura.
• Proteggere ferite ed abrasioni della pelle con cerotti resistenti all’acqua.
• Tenere le unghie pulite e corte, evitandone la laccatura.
• Utilizzare una divisa pulita, bianca ed idonea ad ogni operazione.
• Indossare la cuffia protettiva, prestando attenzione a ricoprire l’intera capigliatura.
• Indossare calzature idonee e utilizzarle solo in caseificio
• Evitare di compiere contemporaneamente più operazioni che possano favorire
possibili contaminazioni crociate, rispettando le mansioni assegnate.
• Evitare di utilizzare prodotti detergenti durante le lavorazioni.
• Non fumare nei luoghi di lavoro.
• Rivolgersi al medico in qualsiasi caso di malattia, anche la più elementare.
EDIFICI LOCALI
Gli edifici e i locali devono essere tenuti in buono stato e sottoposti a manutenzione ogni
qual volta se ne rileva la necessità. I vari locali di un caseificio sono: ricevimento/deposito latte, locale di caseificazione, stagionatura, confezionamento, vendita, i quali devono essere puliti, costruiti in modo tale da consentire un’adeguata pulizia e impedire l’accumulo di sporcizia. Per quanto possibile, devono essere esenti da vapore, umidità e
acque residue, onde evitare la formazione di condensa e muffe indesiderate sulle superfici. Le porte e le finestre devono avere una superficie facilmente pulibile e disinfettabile; le finestre devono essere costruite in modo da impedire qualsiasi accumulo di sporci64
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zia e nel caso di apertura verso l’esterno devono essere munite di reti antinsetti facilmente amovibili per la pulizia.
ATTREZZATURE UTENSILI
L’insieme delle attrezzature e degli utensili destinati a venire in contatto con gli alimenti devono essere conformi ai regolamenti vigenti, e in mancanza di regolamenti devono
essere fabbricati con materiali non assorbenti, resistenti alla corrosione e in grado di resistere a tutte le operazioni di lavaggio e disinfezione senza trasmettere ai prodotti sostanze tossiche o odori e sapori non desiderati. Le superfici devono essere lisce ed esenti da
fessure o cavità.
PULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATURE
La sanificazione dei locali e di tutte le attrezzature ed utensili assumono una particolare
importanza in quanto volte a garantire la salubrità dei prodotti e ad assicurare un adeguato livello di sicurezza igienica. Allo scopo di impedire la contaminazione degli alimenti, l’insieme delle attrezzature e utensili deve essere pulito spesso e disinfettato. E’
necessario smontarli e pulirli ad intervalli frequenti nel corso della giornata e, comunque
al termine della giornata di lavoro: è conveniente controllare con ispezioni periodiche
l’efficacia di tali tecniche. I detergenti e disinfettanti devono essere utilizzati per lo scopo
al quale sono destinati ed essere autorizzati dall’autorità competente.
Necessarie precauzioni devono essere adottate in tali operazioni per evitare che gli alimenti vengano contaminati dall’acqua di lavaggio, dai detergenti e dai disinfettanti; ogni residuo lasciato da queste sostanze su di una superficie suscettibile di entrare in contatto con
gli alimenti deve essere eliminato attraverso una risciacquatura con grandi quantità di acqua
potabile prima che i locali o le attrezzature siano nuovamente utilizzati. Il materiale di
manutenzione e di pulizia deve essere mantenuto pulito e sistemato in apposito luogo o
locale. Gli spogliatoi e i bagni devono essere mantenuti permanentemente puliti.
FASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONE
Le fasi di sanificazione sono:
1. Rimozione dei residui grossolani
2. Detersione
3. Risciacquo
4. Disinfezione
5. Risciacquo
1. La rimozione dei residui grossolani è la prima operazione da effettuare nel corso della
sanificazione. Viene effettuata ad ogni fine lavorazione e consiste nell’allontanamento
dalle aree di lavoro di tutti quei residui originati nel corso della lavorazione che ostacolerebbero i successivi processi di pulizia.
2. La detersione è l’operazione che consente di eliminare lo sporco dalle superfici tanto
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da renderle visibilmente pulite. Ci si avvale di prodotti detergenti.
4. La disinfezione è un processo finalizzato alla distruzione dei germi patogeni e alla
riduzione del numero degli altri microrganismi.
3. - 5. Dopo la detersione e dopo la disinfezione, le superfici e le attrezzature di lavorazione devono essere risciacquate fino alla completa eliminazione dei residui di detergente e disinfettante con acqua corrente. La presenza di residui di prodotti detergenti o disinfettanti potrebbe, infatti, costituire un fattore di rischio.
Le diverse superfici devono essere sanificate seguendo un ordine preciso al fine di evitare di contaminare parti già pulite. In ogni locale devono essere sanificate prima le pareti, poi le attrezzature ed infine i pavimenti.
Prima di effettuare le diverse fasi di sanificazione è necessario rimuovere i residui di origine alimentare, le polveri, parti di confezioni, liquidi ed altri materiali, che potrebbero
ostacolare le successive operazioni di sanificazione.
Le procedure di pulizia e sanificazione sono un cosiddetto punto di controllo da registrare. Il responsabile, in base al piano di sanificazione prestabilito, coordina l’attività degli
operatori addetti alle operazioni di pulizia e sanificazione. Le verifiche della corretta esecuzione di tutte le operazioni di pulizia e sanificazione vengono effettuate dal responsabile all’autocontrollo. Tutte le operazioni di pulizia e sanificazione vengono registrate su
apposite schede di verifica dell’applicazione in oggetto. Si propongono schede di registrazione (SR) giornaliere, settimanali, quindicinali e mensili (Schede da consultare in
appendice).
STOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONE
I prodotti usati per la detersione e sanificazione sono conservati in un ambiente separato
dalla zona di produzione al fine di evitare il contatto accidentale con il prodotto. Inoltre
lo stoccaggio dei prodotti avviene in uno spazio riservato a tale scopo. Si ricorda l’inutilità dell’utilizzo di svariati prodotti per la detersione e la disinfezione, per non gravare in
inutili spese, si consiglia quindi un detergente basico e uno acido saltuario per rimuovere la pietra lattea e un sanificante a base di sali quaternari d’ammonio per superfici e
attrezzature che vengono a contatto con gli alimenti, ricordandosi di richiedere al fornitore la scheda tecnica del presidio in questione.
BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONE
Ciascuna operazione unitaria all’interno del processo di caseificazione presenta delle
procedure, chiamate buone pratiche di lavorazione, che riducono al minimo i rischi ed i
pericoli associati alla produzione. Si rimanda quindi per osservare tali pratiche al capitolo della tecnologia produttiva dove ogni fase è descritta nel complesso. Qui riportiamo
un elenco delle buone pratiche di lavorazione da adottare, compatibilmente con il diagramma di flusso delle operazioni.
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MUNGITURA
Prima della mungitura pulire la mammella e i capezzoli usando un differente panno umido
per ogni vacca, mammelle molto sporche necessitano di un lavaggio completo e, una volta
finito i capezzoli vanno asciugati bene prima di attaccare il gruppo di mungitura.
E’ bene separare, in bovine sospette, i primi spruzzi di latte, verificando in esso dei cambiamenti visibili. La concentrazione maggiore di batteri e cellule somatiche è presente
nei primi millilitri di latte munto. Dopo la mungitura esercitare eventualmente cure
all’apparato mammario, ricordandosi che se un animale è stato sottoposto a trattamento
terapeutico, il latte prodotto non deve essere utilizzato per tutto il tempo di sospensione
indicato. Le prescrizioni veterinarie devono essere conservate in azienda.
CONSERVAZIONE DEL LATTE
Se il latte non è refrigerato deve essere lavorato subito, può venire conservato per 48 ore
solo se portato a 4 °C, il latte di capra può rimanere conservato a 4 °C per 72 ore.
FILTRAZIONE
Quando il latte arriva in caseificio, tramite tubazione o bidoni, è consigliabile filtrarlo
nuovamente, verificando l’integrità del filtro e le sue condizioni igieniche.
SCREMATURA
Se si impiega una centrifuga smontare e pulire la macchina tutte le volte che viene utilizzata. Per la scrematura fatta per affioramento coprire le bacinelle e in alcuni casi compatibilmente con il prodotto da ottenere, acidificare il latte con l’aggiunta di fermenti lattici così da competere con sviluppi microbici anomali, aumentare la resa del coagulo e
facilitarne lo spurgo.
RISCALDAMENTO e TERMIZZAZIONE
Controllare in queste operazioni la temperatura e il tempo con termometro (non a mercurio).
AGGIUNTA di FERMENTI e CAGLIO
Quando si utilizzano fermenti (termofili 40-42 °C e mesofili 25-30 °C) occorre dosarli in
base ad acidità e attività del latte, alla tecnologia di produzione e al tipo di fermento utilizzato. Nel caso di lattoinnesti o sieroinnesti prodotti in caseificio bisogna porre estrema
cura alla pulizia di tutta l’apparecchiatura, controllando temperature, tempi e acidità da
raggiungere. Badare all’infezione da fagi praticando un adeguato turn-over dei fermenti
utilizzati, rispettando tempi di scadenza e modalità di conservazione degli stessi.
LAVORAZIONE in CALDAIA
Si ricorda che il pericolo maggiore in cui si può andare in contro in queste fasi è una contaminazione da insufficiente igiene di attrezzature e personale. Tra i tagli e le soste è
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opportuno misurare l’acidità del siero per assicurarsi che i lattici , nativi o aggiunti stiano sviluppandosi regolarmente. Ogni tipologia di formaggio ha parametri diversi, per
questo motivo è importante fare riferimento ad una scheda di lavorazione (in appendice
al capitolo) che sarà utile come guida.
ESTRAZIONE della CAGLIATA
Nelle operazioni relative a questa fase è importante individuare precisamente il lotto di
produzione, marchiando il preparato con numero aziendale, data di fabbricazione, numero progressivo che individua il lotto; questa pratica è prevista dalla normativa e può rappresentare una facile operazione che consente la rintracciabilità del prodotto e la separazione di prodotti non conformi.
SALATURA e STAGIONATURA
La salatura a secco è svolta utilizzando sale grosso e calcolata in base al tipo di prodotto, al peso, alla forma (mediamente 2-3%). Per la salamoia si consiglia di bollire l’acqua
con il sale, controllare acidità e concentrazione di NaCl. Separare residui di sostanza
organica (pezzi di formaggio, ecc.) periodicamente.
Nella stagionatura sono indispensabili cure di manutenzione e rivoltamento effettuati con
scadenza caratteristica per ciascun tipo di formaggio. Per i formaggi freschi si raccomanda la pulizia costante delle superfici di stagionatura
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S.R.N°
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QUESITI FREQUENTI
SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE
Come è classificabile nutrizionalmente un formaggio?
Il formaggio è un alimento ricco di proteine e di lipidi, inoltre può ritenersi la principale
fonte di calcio e fosforo, componenti fondamentali dell’apparato scheletrico; grazie all’elevata biodisponibilità dei suoi nutrienti, ovvero la capacità di essere assorbiti e utilizzati dall’organismo umano, il formaggio è un prodotto alimentare nobile di elevatissimo valore
nutrizionale.
Situazioni dietetiche particolari e raccomandazioni sul consumo di
formaggi. Che cosa consigliare?
I formaggi a stagionatura media/lunga sono consigliati in tutti quei casi in cui la loro elevata appetibilità e densità energetica sia di ausilio nell’aumentare e nel favorire i processi
digestivi (dietetica sportiva, ipocinesi e iposecrezione gastrica, anoressia, ecc.).
Viceversa in situazioni dietetiche caratterizzate da insufficienza epatica, gastrite, stati
irritativi dei tessuti epiteliali, sono da sconsigliare i formaggi in cui si riscontrano elevate concentrazioni di prodotti di degradazione contenuti soprattutto in quelli a stagionatura prolungata dove si riscontra elevata lipolisi e proteolisi. Tutti questi formaggi sono senz’altro da
evitare in presenza di cefalee, allergie scatenate dalla presenza di ammine, terapie con farmaci anti-MAO (psicofarmaci). In queste situazioni sono da consigliare invece i “non stagionati” o “a pasta fresca”.
È più digeribile un formaggio fresco o un formaggio stagionato?
Un formaggio stagionato, proprio perché ha subito un processo di maturazione. Durante
la stagionatura le molecole di caseina, la principale proteina del latte, ed i trigliceridi, subiscono modificazioni, in particolare una riduzione delle loro dimensioni, determinando una
maggior capacità di assorbimento.
Il contenuto di grassi nei formaggi li rende dannosi per i soggetti a cui
è stata consigliata una dieta equilibrata?
L’importante con un alimento così concentrato è non eccedere; mediamente l’introduzione di 3-5 razioni settimanali di circa 40-50 g giornalieri per un prodotto stagionato e di circa
80/100 g di un formaggio fresco, sono compatibili con qualsiasi tipo di comportamento alimentare che non abbia serie complicanze cliniche.
Cosa significa percentuale di grasso sulla sostanza secca (%s.s.) di un
formaggio?
La sostanza secca di un formaggio rappresenta tutti i costituenti del formaggio, una volta
estratta tutta l’acqua. Quindi, se viene indicato che un formaggio ha il 50 % di grasso sulla
s.s., non significa che sia composto per metà da grasso, bensì che, una volta eliminata l’acqua, metà di quel che rimane è grasso.
È più calorico un formaggio fresco o uno stagionato?
Un formaggio fresco è più ricco d’acqua di uno stagionato; a parità di peso un formaggio
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fresco fornisce circa 1/3 di Kilocalorie in meno. Occorre però dire che a parità di apporto calorico, una porzione di formaggio stagionato è pari alla metà di formaggio fresco, fornendo
quindi un apporto di nutrienti maggiore.
Fornisce più “grasso” in un pasto un formaggio fresco o un formaggio
stagionato?
Confrontando due formaggi di caratteristiche opposte, un formaggio fresco a latte intero (mozzarella) e un formaggio stagionato a latte parzialmente scremato (tipo grana), si
possono fare alcune considerazioni.
Cento grammi di formaggio fresco contengono: 50g di acqua e 20g di grasso.
Cento grammi di formaggio stagionato contengono: 30g di acqua e 25g di grasso.
Valutiamo che mangiare 100 g di formaggio fresco è normale, mangiare 100 g di formaggio stagionato corrisponde a circa 2 porzioni e mezzo; il formaggio stagionato fornisce, proporzionalmente alla sua giusta quantità introdotta (50g), circa la metà del grasso.
La ricotta è sempre un latticino con basso tenore di grasso?
La ricotta è ottenuta dalla cottura del siero a 85-90 °C e rappresenta un coagulo di sieroproteine. Essa è più magra della cagliata nella quale la rete caseinica imprigiona i globuli di
grasso trattenendoli; a molte ricotte però di consistenza cremosa e spalmabile è stata
aggiunta latte o crema di latte o panna, conseguentemente il contenuto lipidico e calorico
aumenta.
Il contenuto di colesterolo determina l’impossibilità di introdurre formaggi nella dieta?
Per superare la soglia critica di 300 mg/die di colesterolo, un soggetto dovrebbe mangiare quantitativi di formaggio superiori a 300 g al giorno; ricordandosi che questo componente (ritenuto pericoloso per individui con problematiche cardiovascolari) è presente in quantità significative anche in altri alimenti di origine animale, questi non dovranno essere abbinati nei giorni in cui si introducono porzioni abbondanti di formaggi e latticini in genere.
In che cosa può eccellere sotto l’aspetto nutrizionale un formaggio
derivato da animali allevati al pascolo?
Recenti studi hanno confermato elevati livelli di acidi grassi polinsaturi e acidi linoleici
coniugati in formaggi derivati da animali allevati al pascolo; questi grassi sono generalmente carenti nel latte e nella dieta delle popolazioni europee e americane, con conseguenti problemi metabolici e ripercussioni a livello cardiovascolare.
I formaggi d’alpeggio dove la razione animale è basata sul pascolo, posseggono una
cosiddetta elevata capacità antiossidante, in grado di proteggere dall’ossidazione il colesterolo e renderlo meno pericoloso.
Sperimentazioni effettuate hanno evidenziato che acidi grassi polinsaturi e coniugati
contenuti nei latticini svolgerebbero una azione di prevenzione dell’aterosclerosi, di aumento della massa ossea e di modulazione immunitaria.
Esistono formaggi a “basso contenuto calorico”?
Dal marzo 1992, è finalmente consentita, anche dalla legge italiana, la produzione di quei
formaggi prodotti da latte scremato o parzialmente scremato con la dicitura di "magri" o
"leggeri". I problemi di equilibrio nutrizionale imputabili al notevole contributo di lipidi possono comunque essere agevolmente superati limitando oculatamente le quantità consumate.
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Qual è la giusta quantità di formaggio da consumare?
Per un alimento così ricco di nutrienti è opportuno consigliare una porzione di riferimento, essa è condizionata dal livello di attività fisica individuale, dall’abbinamento con altre
vivande, dalla frequenza di consumo giornaliera e settimanale.
Una porzione di un formaggio a pasta dura varia da 40 a 80 g (vedi foto 1), per un formaggio fresco a pasta molle si passa da 80 a 130 g.
Queste porzioni, se affiancate a derivati di cereali e a vegetali freschi nelle opportune
quantità, diventano un pasto completo capace di soddisfare il “Livello di Assunzione
Raccomandato di Nutrienti” consigliato.
Quali sono le peculiarità nutrizionali del formaggio di capra?
Il latte caprino possiede caratteristiche proprie che si manifestano anche sulle preparazioni casearie, soprattutto sono diverse la componente lipidica e proteica, i globuli di grasso
e le micelle (aggregati di caseina) hanno dimensioni ridotte rispetto al latte vaccino.
Alcune sperimentazioni dimostrano che individui intolleranti ai prodotti vaccini, tollerino
prodotti di origine caprina, risultando questi ultimi più digeribili e assimilabili.
Esistono controindicazioni al consumo di formaggi per soggetti affetti da celiachia detta anche intolleranza al glutine?
Il glutine è un artefatto derivato da proteine dei cereali la cui formazione è legata alle
operazioni di impasto delle farine usate per prodotti da forno o per la produzione di pasta alimentare. Questo tipo di sostanza non è assolutamente contenuta nei prodotti a base di
latte, di conseguenza le persone affette da celiachia sono libere di nutrirsi con formaggio.
È possibile mangiare la crosta del formaggio?
Essa rappresenta nei formaggi una sorta di involucro la quale può presentarsi sotto svariate forme. Tendenzialmente è da scartare la parte di pasta che ha un contatto prolungato
con l’aria perchè si verificano delle reazioni di ossidazione e di irrancidimento soprattutto a
carico di grassi e steroli che li trasformano in sostanze antinutrizionali. Le croste in genere
hanno un’elevata carica microbica; formaggi con croste putride o pigmentate di colori quali
il giallo e il rosso presentano croste non edibili, come pure formaggi completamente privi di
fioritura è probabile siano rivestiti di additivi antimicrobici per la conservazione.
Alcuni individui hanno manifestato disturbi generalizzati, mal di testa
e nausea in seguito al consumo di formaggi. Sono individui allergici
che non possono permettersi di mangiarli?
L’attività microbica provoca nel corso della maturazione una degradazione dei grassi e
delle proteine del formaggio che, a seconda della lavorazione, può essere limitata o raggiungere valori percentualmente anche molto elevati. La proteolisi spinta fornisce amminoacidi
liberi che possono essere decarbossilati ad ammine biogene (istamina, tiramina,etc.) dalla
flora microbica del formaggio. In alcuni soggetti queste sostanze provocano: sbalzi pressori,
rossori al viso ed al corpo, mal di testa ed anche nausea . Tali ammine sono particolarmente
presenti in alcune tipologie di formaggi a lunga maturazione. Tutti questi formaggi sono
senz’altro da evitare agli individui soggetti ad emicranie, intolleranza ad altri alimenti fermentati (vino, cioccolato, salsa di soia) scatenata dalla presenza di ammine, terapie con farmaci anti-MAO (alcuni antidepressivi). In tali situazioni i formaggi da consigliare appartengono alla tipologia “non stagionati” o “a pasta fresca”.
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Esistono allergie e intolleranze ai prodotti lattiero caseari?
Sì, alcuni individui, in particolare bambini, ma anche adulti in cui l’allergia o l’intolleranza
a volte perdura per tutta la vita, risultano allergici alle proteine del latte. In questo caso, il
consumo dei formaggi (come di tutti i derivati del latte) deve essere evitato.
Fortunatamente sono casi rarissimi che riguardano pochi soggetti; è invece diffusa la cattiva abitudine di raccomandare la proibizione di alcuni alimenti, tra cui anche i latticini, senza
avere fondate prove medico scientifiche. In questo modo si mette a repentaglio il dogma
fondamentale di una sana e corretta alimentazione basata su una dieta il più possibile variegata, come consigliava la nonna: mangiare di tutto.
Qual è il metodo di conservazione che permette di preservare le caratteristiche organolettiche, nutrizionali e di salubrità del formaggio?
Il frigorifero è sicuramente il luogo migliore per i formaggi freschi, dove è possibile conservarli per qualche giorno nel medesimo contenitore in cui si trovavano all’atto della vendita.
I formaggi stagionati possono essere conservati in un contenitore ermetico a temperature non superiori ai 10-12°C e mantenuto al buio. La pellicola alimentare permette una conservazione migliore di piccoli pezzi singoli, ma deve essere cambiata dopo qualche giorno
dal porzionamento.
Ci sono delle situazioni alimentari in cui i latticini ed i formaggi sono
particolarmente indicati?
Il calcio è il nutriente che caratterizza tutti i latticini, dove è presente nella forma più biodisponibile per l’assorbimento e l’utilizzazione a favore dell’organismo umano, quindi tutti i formaggi sono particolarmente utili in situazioni dietetiche che richiedano elevati apporti di calcio
(gravidanza, allattamento, rachitismo, prevenzione precoce dell’osteoporosi). Dovrebbero
quindi essere inseriti stabilmente nei protocolli dietetici che prevedono elevati apporti di fibra
alimentare e prodotti alimentari contenenti fitati (questi ultimi sono presenti in alta concentrazione in molti alimenti di origine vegetale e sono in grado di chelare il calcio diminuendone così
la sua biodisponibilità), come ad esempio in quelli per il trattamento della stipsi cronica.
Esistono formaggi che forniscono un maggior apporto di calcio?
Particolarmente ricchi di calcio sono i formaggi a pasta “semiduri” e “duri”, che grazie al
tipo di lavorazione della cagliata, a coagulazione presamica, che evita perdite di calcio iniziali ed al caratteristico ridotto contenuto in acqua, contengono sino a 1200 mg di calcio su
100 g di prodotto tal quale, corrispondenti a 1-1,5 volte il fabbisogno giornaliero di calcio (ad
esempio, formaggi tipo grana).
Esistono dei formaggi biologici, le cui caratteristiche nutrizionali sono
da preferire nei confronti di quelli prodotti con metodo convenzionale?
Dal 1999 anche i prodotti lattiero-caseari possono essere garantiti come biologici, perché
derivati da latte di allevamenti che adottano condizioni produttive certificate e compatibili con
il metodo “bio”. Queste produzioni garantiscono un miglior utilizzo delle risorse aziendali,
ridotto impiego di fertilizzanti e presidi sanitari, grazie a idonee pratiche agronomiche e allevamenti rispettosi della salute animale; la conduzione biologica si traduce in un valore aggiunto determinato dalla compatibilità ambientale e dal miglior sfruttamento delle fonti naturali.
A tutt’oggi nessuna testimonianza scientifica fondata permette di dichiarare che un formaggio “bio” è nutrizionalmente più pregiato per la presenza di principi nutritivi e nutrienti
rispetto ad uno convenzionale.
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BIBLIOGRAFIA
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Paltani G. Informaggio. Valore alimentare del Formaggio e suoi aspetti nutrizionali.
Provincia di Verbania Servizio agricoltura. 2005
Corso di caseificazione in azienda agricola AGENFORM. Consorzio Servizi Formativi
della Provincia di Cuneo
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Technology Task Force. Report N° 122.
“Igiene degli Alimenti” A.Galli Volonterio; Ed. DISTAM Milano (1992).
Institut de l’elevage: Perfectionnement des techniciens produits laitiers fermiers
Ottogalli G. : A global comparative method for the classification of world cheeses, with
specific reference to microbiological criteria. Annali di microbiologia ed enzimologia,
48, 31-57 1998
Ottogalli G., Brighenti F.: Classificazione dei formaggi ai fini di un corretto impiego
nella dieta.
La rivista della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, anno 20, N.6 1991
Pirovano L., Tamburini A., Lodi R.: caratterizzazione tecnologica, microbiologica e sensoriale nella Formaggella del Luinese D.O.P.
Souci S. W., Sachmann W., Kraut H. : Food composition and nutritions tables 1989-1990
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Comunità Montana del Luinese dispense dei corsi di tecnologia casearia. 1990-1994
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INDICE
INTRODUZIONE
pag. 7
IL LATTE
“ 8
IL LATTE DI CAPRA
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRIZIONALE
GLI INDICI CHIMICO-FISICI DEL LATTE CAPRINO
I PARAMETRI IGIENICO-SANITARI DEL LATTE DI CAPRA
“ 9
“ 9
“ 12
“ 12
“ 14
“ 14
“ 15
“ 16
LE VIE DEL METABOLISMO DEL LATTOSIO
“ 16
“ 17
L’UTILIZZO DEI CITRATI
EFFETTO DELLA TEMPERATURA SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
“ 17
I BATTERI LATTICI MESOFILI
“ 18
“ 18
I BATTERI LATTICI TERMOFILI
EFFETTO DEL PH SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
“ 18
EFFETTO DELL’ATTIVITÀ DELL’ACQUA (AW) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI
“ 18
EFFETTO DEL POTENZIALE DI OSSIDORIDUZIONE (EH) SULLO SVILUPPO DEI BATTERI LATTICI “ 18
ESIGENZE NUTRIZIONALI DEI BATTERI LATTICI
“ 19
“ 20
SENSIBILITÀ DEI BATTERI LATTICI AD ALCUNE SOSTANZE INIBITRICI
CARATTERISTICHE DEI FERMENTI LATTICI UTILIZZATI IN CASEIFICIO
“ 21
LA MICROFLORA ALTERATIVA E PATOGENA
“ 23
L’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA CASEARIA
LA FERMENTAZIONE LATTICA
I BATTERI LATTICI: ORIGINI, RUOLI E CONDIZIONI DI SVILUPPO
L’HABITAT E L’ORIGINE DEI BATTERI LATTICI
GLI STRUMENTI CHE PERMETTONO DI MISURARE
E DI SEGUIRE L’EVOLUZIONE DELL’ACIDITÀ
“ 27
RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE
NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE
RUOLO E SVILUPPO DELL’ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE
“ 29
DI UN FORMAGGIO A COAGULAZIONE LATTICA
“ 29
IL PROFILO DI ACIDIFICAZIONE NELLA TECNOLOGIA DI CASEIFICAZIONE
DI UN FORMAGGIO A PASTA PRESSATA NON COTTA
“ 30
I PARAMETRI TECNOLOGICI CHE INFLUENZANO IL PROCESSO
D’ACIDIFICAZIONE E DI COAGULAZIONE DEL LATTE
CARATTERISTICHE DEL LATTE CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE
“ 32
E SULLA COAGULAZIONE
“ 33
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ALTRI FATTORI CHE AGISCONO SULL’ACIDIFICAZIONE E SULLA COAGULAZIONE
“ 34
STRUMENTI E TEST PRATICI PER IL MONITORAGGIO
DELLA QUALITÀ DEL LATTE
“ 36
I SISTEMI DI GESTIONE DELLA TEMPERATURA IN CASEIFICIO
“ 38
DAL LATTE AL FORMAGGIO: LE FASI DELLA CASEIFICAZIONE
LA MATERIA PRIMA
RISCALDAMENTO
INNESTO DEI FERMENTI LATTICI
AGGIUNTA DEL CAGLIO
COAGULAZIONE
LAVORI IN CALDAIA
ESTRAZIONE E FORMATURA
PRESSATURA
SALATURA
STAGIONATURA
ASCIUGATURA
CONFEZIONAMENTO
ETICHETTATURA
SCHEDE DI LAVORAZIONE DEI FORMAGGI CAPRINI PRODOTTI NEL TERRITORIO DEL VCO
“ 40
“ 40
“ 41
“ 41
“ 41
“ 42
“ 44
“ 45
“ 45
“ 46
“ 46
“ 47
“ 47
“ 47
“ 48
I DIFETTI DEI FORMAGGI
“ 54
IGIENE E BUONE PRATICHE DI LAVORAZIONE
LE BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE
COME EVITARE LA CONTAMINAZIONE
NORME INGIENICHE DEL PERSONALE
EDIFICI LOCALI
ATTREZZATURE UTENSILI
PULIZIA E SANIFICAZIONE DI LOCALI ED ATTREZZATURE
FASI E MODALITÀ DI SANIFICAZIONE
STOCCAGGIO DEI PRODOTTI USATI PER LA SANIFICAZIONE
BUONE REGOLE DI LAVORAZIONE NEL PROCESSO DI CASEIFICAZIONE
“ 60
“ 60
“ 61
“ 63
“ 64
“ 65
“ 65
“ 65
“ 66
“ 66
QUESITI FREQUENTI SU FORMAGGI ED ALIMENTAZIONE
“ 73
BIBLIOGRAFIA
“ 77
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Pagina 80
Stampa Press Grafica - Gravellona Toce
Giugno 2012
80
Fly UP