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L`Illusione di Sciltian
Concept della mostra: L’Illusione di Sciltian Il simulacro dell’artista tra nostalgie caravaggesche e rifiuto delle avanguardie Una grande mostra antologica che celebra a trent’anni dalla scomparsa una delle personalità artistiche più controverse e discusse del secolo scorso. Gregorio Sciltian, di origini armena ma che in Italia trovò la sua “terra promessa” non rinnegò mai il proprio credo estetico difendendo “L’illusione della realtà” come fine supremo della pratica pittorica e opponendosi strenuamente alla deriva morale del modernismo. Premessa Gregorio Sciltian (Rostow 1900- Roma 1985) fu artista di grande notorietà in vita; a partire dal secondo dopoguerra la sua carriera fu costellata da considerevoli committenze private e da significativi riconoscimenti istituzionali. Alcuni suoi lavori compaiono nelle collezioni dei più importanti musei nazionali: dalla Galleria degli Uffizi alle Gallerie d’arte Moderna di Roma, Milano e Bergamo mentre due suoi significativi lavori, dalle implicazioni religiose, sono custodite nella Pinacoteca Vaticana. La collezione privata dell’artista, costituita da proprie opere e alcune rilevanti testimonianze di arte antica tra cui spiccano i magnifici Ceruti e Cifrondi, è invece conservata al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS). A partire da Roberto Longhi e Ugo Ojetti, molti dei più influenti critici e intellettuali nel periodo tra le due guerre si sono interessati apertamente al suo lavoro mentre artisti del calibro di Lucio Fontana, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e Giò Ponti si sono espressi in termini di grande encomio nei suoi confronti. Di altissimo prestigio fu, tra gli anni 40 e 50, la rete del collezionismo privato e personalità come Galeazzo Ciano, Il conte Grazzano Visconti, Giovanni Scheiwiller, Il principe Castelbarco Albani, Arnoldo Mondadori, Eduardo e Peppino de Filippo, solo per citare i più conosciuti ancora adesso, ebbero modo di farsi ritrarre da Gregorio Sciltian. Eppure, oggi, a quasi trent’anni dalla scomparsa, fatta eccezione per qualche interessante ma isolata battuta d’asta e per la presenza di alcuni suoi lavori anche in significative mostre collettive (tra cui vanno sicuramente citate Novecento Sedotto al Museo Annigoni Villa Bardini di Firenze nel 2011 e Novecento a Forlì del 2013), la sua vicenda artistica sembra sprofondata in un mesto oblio che ha progressivamente logorato la fama che Sciltian ebbe modo di guadagnarsi in vita. Il rinnovato atteggiamento di questi ultimi anni nei confronti di movimenti, fasi ed espressioni culturali e artistiche trascurate del periodo tra le due guerre fino agli anni 50, pone i presupposti per un necessario, sereno e quanto mai definitivo recupero critico di questo singolare artista. Il progetto di una mostra dedicata a Gregorio Sciltian può e deve essere il momento apicale e culminante di un minuzioso e attento percorso di studio volto e ripercorrere e riscoprire la straordinaria vicenda artistica e umana di una delle figure più controverse del panorama artistico italiano del novecento, aggiungendo così un altro tassello all’importante opera di ricostruzione di uno scenario culturale complesso e variegato della storia del nostro paese. Il tempo è maturo dunque per approcciare, senza ingenue celebrazioni agiografiche, la complessità di questo personaggio ponendosi a debita distanza dal fraintendimento che ne ha segnato l’ultimo trentennio della carriera e che lo ha visto al centro di un’animata polemica, non del tutto immotivata, che ancora oggi fatica a spegnersi e che di fatto ha causato quello stato di isolamento e abbandono a cui ho prima accennato. La mostra L’impostazione cronologica delle mostre antologiche a lui dedicate in passato, tra cui cito le ultime due, quella del 1980 alla Rotonda della Besana di Milano e la retrospettiva postuma del 1986 al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, è il primo scenario da scardinare nella strutturazione di un nuovo progetto di allestimento espositivo. Più idonea appare una formulazione tematica mentre una argomentazione narrativa e teatrale, sarebbe sicuramente più in linea con la natura istrionica del personaggio. La suddivisione in sezioni dovrebbe articolarsi secondo un disegno unitario volto alla valorizzazione di quell’aspetto “concettuale”, che la critica avversa non gli ha mai riconosciuto, e che sta invece alla base del solido credo estetico e morale di Gregorio Sciltian. Proprio su questo aspetto la riflessione sull’artista non si è mai correttamente sviluppata, facendo di fatto prevalere l’immagine reazionaria e il carattere nostalgico della sua pittura a discapito di una complessità e profondità che invece è bene analizzare e ricomporre. In questa logica, il tentativo di registrare anno per anno i cambiamenti stilistici e gli sviluppi formali in senso cronologico della pittura di Sciltian si dimostra un esercizio inutile e quanto mai fine a se stesso in ragione della natura monolitica della sua produzione. La comparazione di una natura morta, un trompe-l’oeil o un ritratto degli anni 30 con un soggetto analogo degli anni 80 non riserva grosse sorprese se non proprio quella di evidenziare una sostanziale immutabilità nello stile che resta estraneo a qualsiasi pressione esercitata da fenomeni artistici esterni. Questo aspetto diventa ancora più eccezionale in relazione alla violenza e l’impeto con cui si sono avvicendati, senza soluzione di continuità, i principali fenomeni avanguardistici nel secolo scorso. La totalità della produzione artistica di Gregorio Sciltian non si sviluppa dunque lungo un percorso di ricerca lineare nel quale conseguire e manifestare una propria cifra stilistica da raggiungere per gradi o scarti improvvisi, le opere che la compongono ci appaiono come un’infinita argomentazione di una verità assiomatica, profondamente radicata nel credo dell’artista che non può essere né corrotta né confutata. La pittura è fondamentalmente per Sciltian uno strumento di contemplazione e sublimazione della natura, e solo attraverso la pratica e la tecnica è possibile conseguire “l’illusione della realtà” quale fine supremo che alimenta l’enigma e il mistero dell’arte. Ecco dunque la ragione per cui soggetti, temi e modalità espressive sembrano ad un’analisi epidermica non riportare particolari scossoni sul piano della forma seppur distribuiti in un arco temporale considerevole che abbraccia oltre mezzo secolo di storia a partire dagli anni venti. Solo successivamente aver ben focalizzato e chiarito la particolare concezione estetica di Gregorio Sciltian, il progetto espositivo dovrebbe concentrarsi su un altro aspetto altrettanto determinante. Il fenomeno delle “oscillazioni del gusto” ha avuto effetti rilevanti sulla carriera dell’artista influenzandone profondamente la parabola e non tanto in termini di implicazioni stilistiche. Mentre la sua pittura rimaneva coerentemente ancorata ai propri convincimenti, tutto il sistema attorno a lui subiva profonde trasformazioni culturali che sul piano estetico modificarono sensibilmente gli assetti e gli orientamenti nei suoi confronti. E’ quindi possibile identificare tre periodizzazioni connotate da altrettanti scenari percettivi, che producono conseguenze misurabili e significative sulla vicenda artistica e umana di Gregorio Sciltian. La prima fase, è caratterizzata da un sovradimensionamento del giudizio critico viziato dagli effetti della querelle sulla “Mania del Seicento” accesa da Giorgio de Chirico in seguito all’impatto culturale che ebbe la monumentale mostra sulla pittura del 600 e 700 italiano tenuta nel 1922 a Palazzo Pitti di Firenze. Questo periodo segna gli esordi italiani di Sciltian e si può far cominciare con la mostra romana che il pittore fece alla Galleria Bragaglia del 1925. In quella occasione l’introduzione in catalogo di Roberto Longhi, il cui fiuto era sempre alla ricerca di scenari caravaggeschi, lo impone all’attenzione della critica del tempo e lo inserisce a pieno titolo nel dibattito culturale del periodo. Le frequentazioni nell’ambiente intellettuale testimoniano l’apprezzamento che il lavoro di Sciltian suscitava apertamente anche da parte di colleghi artisti a partire da Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Lucio Fontana che di lui disse “Sciltian è un grande pittore concettuale che i conformisti non riescono a capire”. Ma soprattutto con Giorgio de Chirico il legame si rivela più interessante di quanto alcune dichiarazioni del “pictor optimus” lasciano intendere “E’plastico per eccellenza, è plastico quando dipinge, e plastico quando parla, è plastico quando gesticola”. Tra i due esiste un livello di subordinazione e rispecchiamento che non si esaurisce semplicemente in dichiarazioni e attestati di stima; de Chirico considerava Sciltian trai più talentuosi pittori del periodo assieme a Picasso, Derain e de Pisis. Non è un caso che Sciltian a livello letterario segua l’esempio di de Chirico con la pubblicazione di un’autobiografia (pubblicata tra l’altro dallo stesso editore Rizzoli), e un Trattato sulla Pittura nel quale entrambi si preoccupano di come riportare al centro la tecnica, nel mestiere dell’artista nel pieno rispetto della tradizione. Tutti e due, con toni analoghi, si scagliano contro il modernismo colpevole della decadenza morale dei costumi e della degenerazione nichilista dell’arte contemporanea, ma assolutamente dissimili furono le parabole delle rispettive carriere. La fase culmina con la clamorosa recensione di Ugo Ojetti del 1942 che di fatto sancisce la definitiva consacrazione dell’artista che ha così modo di allargare il consenso anche guadagnandosi l’attenzione di un’ élite di collezionisti di grande prestigio. Il secondo momento vede Sciltian proiettato verso un grande successo che fa di lui un artista “alla moda” per quasi un ventennio. Le personalità più in vista del momento fanno a gara per avere una sua opera: Galeazzo Ciano nel 1943 si fa ritrarre a Palazzo Chigi, in posa elegante e senza divisa, nelle fasi drammatiche delle cadute del regime (il quadro non fu mai consegnato e della misteriosa opera, che rimase per tutta la vita in possesso di Sciltian, non si fa menzione neanche nell’Opera Omnia), il Duca Grazzano Visconti si sottopone a sfiancanti sessioni per la realizzazione di un ritratto in divisa da fantino in una ricercatissima posa dal sapore caravaggesco all’interno della propria scuderia. Nel 1947 insieme ad Annigoni, Serri, Acci, Guarienti e i fratelli Bueno viene sottoscritto Il Manifesto dei Pittori Moderni della Realtà il cui incipit ben riassume lo spirito e lo slancio bellicoso del gruppo che in realtà nasceva come alleanza strategica verso l’ostruzionismo della critica che li vedeva come espressioni di un atteggiamento, anacronistico, reazionario e conservatore. Noi, "Pittori moderni della realtà", siamo riuniti in un gruppo fraterno per mostrare al pubblico le nostre opere. La simpatia e la comprensione con le quali esso ha accompagnato e assecondato in questi anni i nostri sforzi, la certezza di essere nel vero, di aver ragione noi e gli altri torto, ci hanno convinto dell'opportunità e della necessità di questa mostra. Siamo compatti con la nostra forza, la nostra fede, i nostri ideali e la nostra assoluta reciproca stima. Il successo delle cinque mostre realizzate insieme in due anni (la mostra di Milano venne vista da quasi ventimila persone e la rete di collezionisti si allargò ulteriormente) ebbe l’effetto di irritare ulteriormente la critica, causando malumori all’interno del gruppo che portarono di fatto al suo scioglimento. Dunque, il successo soprattutto commerciale di questo periodo non è accompagnato da un analogo riconoscimento di carattere critico. L’ultima e un po’ affannata fase, la meno conosciuta e studiata, occupa il periodo che va dagli anni ‘60 fino alla scomparsa dell’artista avvenuta il 1° aprile 1985. Su questo momento, da un’attenta e decisa indagine, è lecito attendersi le sorprese maggiori. A partire dagli anni ‘50 la notorietà di Sciltian ebbe modo di raggiungere un riconoscimento allargato ma di natura sempre più popolare, l’attività si fece febbrile e la produzione più composita e variegata con una sensibilità che si avvicina in termini molto originali al sentire comune. L’ambito di applicazione dei suo precetti estetici si estende e le solide basi pittoricofigurative gli consentono di avvicinarsi anche ad altre discipline. Sono gli anni di importanti committenze istituzionali e intensa diventa la produzione di multipli in serie numerata di vario genere, dalla litografia fino alle tecniche di fusione come bronzetti e bassorilievi. Nel 1960 realizza un discusso e colossale intervento con diversi pannelli ora sistemato nel battistero della Basilica del Cuore Immacolato di Maria a Roma, (precedentemente rifiutato per la Chiesa dell’Autostrada del Sole di Michelucci a Firenze), ancora di grandi dimensioni sono gli interventi sulla turbonave Raffaello nel 1965 e più contenuto sul transatlantico Angelina Lauro nel 1966. Collabora in qualità di scenografo per gli spettacoli al Teatro alla Scala di Milano con le opere buffe: Mavra di Stravinsky del 1955, il Campanello dello Speziale di Donizetti, Abu Hassan Di Weber e Guerra di Famiglia di Schubert del 1958. Cura anche i costumi oltre alla scenografia del memorabile allestimento di Guerra e Pace di Prokofiev del 1953 al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, in prima esecuzione mondiale (come molte fonti riportano e che occorrerebbe meglio verificare) e con la regia della Pavlova. Lo spettacolo assunse anche un particolare significato politico e culturale in seguito alla morte avvenuta, lo stesso giorno, del grande musicista russo, autore della colossale opera in cinque atti, e del dittatore Stalin proprio due mesi prima della rappresentazione. Le opere di Sciltian vengono riprodotte anche su francobolli; è il caso de il Filatelico del 1947 che diviene un’affrancatura cubana mentre la Madonna della Città del 1950 con i due angeli dalle fattezze femminile delle tele del battistero di Roma diventano una serie da collezione del 1982 per la Repubblica di San Marino. Nel 1981 il Ministero delle Poste italiane gli commissiona una natura morta per il francobollo commemorativo realizzato in occasione della Prima giornata dell’alimentazione (con la straordinaria tiratura di sei milioni di esemplari), poi premiato come il più bello d’Europa nel 1982. Realizza inoltre il ritratto di personaggi famosi tra cui Padre Pio, Paolo VI, Giovanni XXIII, Aldrin e JFK utilizzati per il conio di alcune monete da collezione. Illustra il romanzo Anna Karenina di Tolstoy del 1967 e per l’Istituto Poligrafico d'Arte di Roma I Vangeli nel 1985. La rete del collezionismo e la committenza privata si ridefinisce assumendo contorni sicuramente meno prestigiosi rispetto a quanto avvenuto negli anni 50 e 60. Sul piano più strettamente formale, è bene registrare inoltre quanto la pittura di Sciltian in questo momento adotti dei registri espressivi mutuati dall’immaginario visivo popolare che si alimenta dalla continua esposizione a cui è sottoposto dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. In molte sue opere sono evidenti i riferimenti presi in prestito dal linguaggio cinematografico; il calligrafismo, il neorealismo e la commedia all’italiana gli suggeriscono un grottesco ponte con la pittura di genere che va da Caravaggio al Pitocchetto. L’ovattata sensualità e l’abbandono erotico che ritroviamo nelle figure femminili ritratte dagli anni 60 in avanti, specie nel nudo a figura intera, sembra invece far esplicito riferimento ad un gusto che ritroviamo sulle copertine di alcune riviste assai diffuse in quegli anni. Forse non è un caso che il settimanale di informazione Tempo, che l’editore Mondadori pensò sul modello di Life, pubblichi nel 1967 a dispense il romanzo Anna Karenina illustrato da Gregorio Sciltian, tra l’altro ottenendo un inaspettato successo in edicola. Le illustrazioni qui presenti, come un po’ in tutta la produzione litografica di Sciltian, sono caratterizzate da un curioso modellato la cui greve plasticità cromatica si combina ad un’impostazione narrativa che pare ispirarsi alla didascalica rappresentazione adottata nell’illustrazione a fumetti e in particolar modo nel sottogenere del fotoromanzo, che come è ben noto è invenzione tutta italiana attribuita a Damiano Damiani, Cesare Zavattini sotto l’egida proprio di Arnoldo Mondadori (questi ultimi due entrambi collezionisti di Sciltian). E’ dunque legittimo supporre quanto il boom di riviste e di fotoromanzi come Bolero e Grand Hotel allora diffusissime, abbia in qualche maniera avuto uno strano cortocircuito, molto più profondo di quanto possa in prima analisi sembrare, con le modalità espressive di Gregorio Sciltian. Un atteggiamento che avrà contribuito ad alienargli ancora di più i favori della critica dell’asfittico ed elitario mondo dell’arte contemporanea poco propenso ad autorizzare slanci di questo tipo. Non bisogna dimenticare come molta critica abbia preso a modello negativo l’arte di Sciltian usandola in termini dispregiativi per attaccare quelle personalità artistiche di matrice figurativa che indugiando sulla rappresentazione della realtà hanno fatto aperto riferimento a linguaggi attinti dalla tradizione pittorica. Renato Barilli a proposito di Gianfranco Ferroni commenta “quasi volesse riesumare le maniere infauste del verismo di Sciltian”. Estraneo alle eredità delle avanguardie che comunque si stava sedimentando lungo il secolo decennio dopo decennio, l’artista sviluppa dunque, la sua forma d’arte lungo le coordinate cartesiane che in termini molto personali combinano da una parte il rispetto della tradizione pittorica e dall’altra un contatto autentico e vitale con l’uomo del presente. Il percorso della mostra La struttura del percorso espositivo si organizza lungo una divisione tematica in sette sezioni da argomentare a seconda delle opere selezionate e reperite. La disposizione interna alle sezioni è idealmente tripartita e asseconda le tre fasi che caratterizzano la carriera di Gregorio Sciltian. Se un ruolo di primo piano sarà ovviamente occupato dalla pittura ad olio non verranno dimenticate espressioni creative come il disegno, la stampa litografica e altri generi in serie che abbondano nella produzione dell’artista. Inoltre, fotografie, alcune delle quali d’autore, documenti, lettere e testimonianze su giornali e riviste saranno naturale corredo del progetto espositivo. L’allestimento si caratterizza inoltre per la presenza degli oggetti realmente appartenuti all’artista e raccolti nell’arco dell’intera esistenza. Si tratta delle cose più disparate presenti nel suo atelier (nella foto quello della Giudecca a Venezia) e protagoniste delle sue opere come: tavolozze, pennelli, cavalletti, libri, drappi, specchi, maschere, fiori finti e frutti di cera e in alcuni casi, per esempio con i manichini appartenuti al Piazzetta e per alcuni strumenti musicali antichi, di un certo valore antiquario. La loro disposizione offrirà uno spunto scenografico e teatrale all’allestimento, ricreando filologicamente lo spazio di lavoro dell’artista e offrendo un ulteriore elemento di riflessione sul rapporto tra realtà e sua rappresentazione, chiave di volta dell’ estetica di Gregorio Sciltian. Questa eccezionale testimonianza è resa possibile dall’interessamento di un collezionista privato, che ha salvato dallo smembramento l’atelier e che è ora disposto a donare al Museo Annigoni di Villa Bardini qualora si intendesse procedere all’istituzione di un fondo archivistico che preservi la memoria dell’artista. L’allestimento si potrà integrare di altri elementi di trovarobato in uso comune nei teatri, per questa ragione si necessita del coinvolgimento di uno scenografo nelle scelte espositive. Il progetto di una così ambiziosa mostra antologica passa in primo luogo attraverso la necessità di raccontare una storia con gli stessi colpi di scena, aneddoti e rivolgimenti epocali che hanno reso così avventurosa la vita dell’artista così ben rievocata dall’autobiografia Mia Avventura. Le sette sezioni sono: L’inganno (lo sguardo fuori da sè), Lo specchio (lo sguardo dentro di sé), Riflessi (ritratti e rispecchiamenti), L’enigma dell’arte, Illusioni d’amore, cadenza d’inganno (dedicato alla musica) e L’eredità di Sciltian. I. L’Inganno E’ la sezione che apre la mostra. Lo spettatore è subito immerso negli inganni e nelle illusioni che Gregorio Sciltian attua con la sua pittura “arcifinita “ e lenticolare. Qui ritroviamo i principali trompe-l’oeil e le nature morte che l’artista ha dipinto ossessivamente per tutta la carriera. Gli oggetti dell’atelier dell’artista saranno ricomposti in piccoli teatrini e, secondo un processo inverso, ricalcheranno le strutture presenti nei dipinti. L’obiettivo è rendere scenograficamente il rapporto enigmatico che intercorre tra la realtà e la sublimazione di natura attuata dall’arte pittorica. In questa sezione verrà esposto Il mobile dipinto del 1940 (se trasportabile) realizzato con il pittore surrealista Fabrizio Clerici (medaglia d’oro alla Triennale di quell’anno, articoli dell’epoca raccontano di come il Re Vittorio Emanuele III cercò di grattare una busta sul legno credendo che il francobollo fosse reale e non dipinto). Lo sguardo è dunque rivolto al di fuori di sé ed è circoscritto a uno spazio contemplativo raccolto e determinato dalla volontà dell’artista in calibrati equilibri compositivi. Nella sezione sono passati in rassegna gli spazi che rivelano ambiti d’interesse come nel caso del Tavolo del Critico d’arte del 1940 (collezione Roberto Longhi), Il tavolo del filosofo del 1939 e curiose nature morte come quelle della collezione Vanelli (colpito da un’ulcera commissionò a Sciltian pietanze e alimenti dipinti che non gli era permesso mangiare). Il francobollo del 1981 per la Prima giornata dell’alimentazione sarà esposto con l’originale realizzato da Sciltian, ora conservato al Museo delle Poste e Telecomunicazioni di Roma. La presenza umana in questa sezione è soltanto allusa attraverso le sembianze di “metafisici” manichini veri e dipinti. II. Lo Specchio La sezione si apre con una bella fotografia di Gregorio Sciltian che di profilo ci osserva guardandoci attraverso uno specchio ovale che tiene nella mano, continua con l’Arlecchino con la chitarra del 1960 per chiudersi con l’autoritratto con specchio convesso del 1983. Onnipresente nelle opere di Sciltian, lo specchio è uno dei simboli più utilizzati nell’iconografia artistica; a partire dal medioevo lo troviamo in opere celeberrime come i coniugi Arnolfini di J.v.Eyck, in Parmigianino e ancora in molti autori del novecento. Il suo valore simbolico è fortissimo; consente la conoscenza di sé e l’accesso ad una realtà da esso rivelata. Diventa metafora dell’arte, specie con lo specchio convesso, in quanto rappresentazione deformata e sublimata della realtà. E’ anche sinonimo di vanità specie in mano a una donna come nel caso di Risveglio del 1970 o in L’uomo che si pettina del 1925. Nell’allestimento si farà uso di varie tipologie di specchi reali, tra cui quelli convessi e deformanti appartenuti all’artista, che accompagneranno la visita dello spettatore offrendo particolari effetti catottrici con punti di vista inaspettati e sguardi inediti sulle opere esposte, con lo scopo di far divertire e soprattutto “riflettere” il pubblico. III. Riflessi In questa sezione viene presentata la straordinaria galleria dei personaggi dipinti dal vero che anima l’importante produzione dei ritratti. Il percorso incomincia dal Ritratto del pittore futurista Ivo Pannaggi del 1926, per concludersi con il Ritratto del dottor Giordano dell’Amore del 1980 (da sistemare però nella parte del museo dedicata ad Annigoni, che avrebbe dovuto realizzare il ritratto. L’incarico passò a Sciltian perché il noto banchiere si rifiutò di posare molte volte dal vero) passando per quello enigmatico di Galeazzo Ciano del 1943 (non consegnato e rimasto per tutta la vita nella collezione dell’artista e inspiegabilmente mai pubblicato). Sciltian, nelle tre fasi della sua carriera ci presenta uno spaccato della società italiana analizzata nel suo mutare attraverso le sembianze di artisti, uomini di potere e gente comune. La sezione si chiude con l’autoritratto degli Uffizi. Saranno presentati accanto alle pitture ad olio su tela, anche disegni (tra cui quello dedicato a Giovanni Agnelli e il commuovente Fanciulla con trecce – da esporre però, nel caso di una sua presenza, accanto all’opera di Cerutti le due sorelle nella sezione a seguire) e le monete da collezione con i ritratti di JFK, Padre Pio, Giovanni XXIII e altri. Accanto al Ritratto di Giovanni Migliocco del 1960 alla Galleria d’arte moderna di Milano verrà sistemata la bella foto di Mario Mulas (accanto) che ne descrive una sessione di posa IV. L’enigma dell’arte E’ la sezione più estesa nella mostra nella quale viene presentata la particolare concezione estetica e il complesso mondo di Sciltian nelle sue espressioni più spettacolari. L’artista ci propone una realtà illusoria filtrata dal mistero dell’arte. Il credo artistico viene sviluppato coerentemente nell’arco di tutta la carriera ed elabora, adattandoli al suo tempo, i moduli compositivi desunti dai fondamenti della tradizione pittorica. Il realismo è il riferimento assoluto nella pratica pittorica e l’arte di Caravaggio ne è la più alta testimonianza. Sciltian si avvicina al Merisi, tralasciandone la violenta e teatrale drammaticità, ma reinterpretandolo a livello compositivo attraverso alcune geniali adattamenti e attualizzazioni iconografiche. E’ il caso del Bacco in Osteria del 1936 e delle grandi rappresentazioni collettive come L’eterna illusione del 1968 (dove Sciltian si autoritrae guardando lo spettatore, alla maniera dei pittori del passato, alzando il dito in tono di ammonimento), La scuola dei ladri del 1955 e La scuola dei modernisti del 1955. In questa sezione trova anche posto la straordinaria gallerie dei mestieri mutuata dagli esempi della pittura di genere che guarda in special modo al modello del Pitocchetto, del quale Sciltian fu anche abile collezionista riconoscendone la mano e azzardando con successo le attribuzioni. L’eventuale presenza in mostra delle Due sorelle e Il baro di Cerutti oltre a L’indovino e Il ciabattino di Cifrondi dalla collezione Sciltian (ora ai Musei di Santa Giulia di Brescia), deve essere mimetizzata all’interno della sequenza che prevede L’antiquario del 1944, Il bibliofilo del 1946, Il filatelico del 1947, I vagabondi del 1943 e Il navigatore del 1944. La presenza dei capolavori dei maestri del 700, consentirebbe un giusto accenno al collezionismo di Sciltian ma soprattutto a come attraverso una conoscenza diretta delle opere del passato abbia formato il proprio bagaglio tecnico e pittorico. Con questo obiettivo, si tenterà di recuperare e individuare due pannelli ovali di notevoli dimensioni collocati a Palazzo Stroganoff di Roma, ora Biblioteca Hertziana, i due dipinti sono copie che Sciltian realizzò sugli originali di Mario De Fiori, pittore del 600 romano famoso per le composizioni floreali. Le opere sono tutt’ora esposte come originali del 600 ma che in realtà furono perse al gioco dal principe Volkonskij e mai riscattate. La parte finale della sezione propone tutte quelle opere in cui sono presenti cartoline, ritagli e fotografie di opere d’arte realizzate dai grandi maestri del passato che lo spettatore potrà divertirsi a riconoscere (es Leonardo con la Gioconda e Francesco Gaffurio, Monet, Modigliani e Van Gogh, Guido Reni con La Beatrice Cenci, Piero di Cosimo, Michelangelo, Holbein, Durer con il San Gerolamo ecc.) magari sotto forma di test a risposta multipla da consegnare all’ingresso, in caso di compilazione corretta saranno offerti sconti sull’acquisto del catalogo e magari un piccolo gadget in regalo. V. Illusioni d’amore La rappresentazione dell’universo femminile muta profondamente durante la carriera di Gregorio Sciltian. Se negli anni 20 l’attenzione al dato reale si concentra principalmente su donne mature non arretrando di fronte a difetti e eccessive rotondità, che invece ostenta come nel caso di Messalina del 1926, a partire dagli anni 40 pare invece concentrarsi maggiormente su un’ideale di bellezza più codificato. L’incontro a Morgnaga con la modella Piera Facchini sua musa per molti anni è in questo senso risolutore. A partire dagli anni 60 invece i suoi ritratti femminili si venano di un erotismo ovattato che sembra ispirarsi al gusto diffuso sulle copertine delle principali riviste e fotoromanzi assai in auge in quegli anni. Marilena Possenti fu modella e attrice che posò per Sciltian dando le sue sembianze anche ad una delle “Angiolone” di quasi tre metri, presenti nel battistero della Chiesa del Sacro Cuore Immacolato di Maria in Piazza Euclide a Roma. Nella sezione alcune opere emblematiche come La Lettera d’amore del 1949 per poi terminare con il Ritratto a Elena Boberman del 1966 sua compagna e moglie fedele per tutta la vita. VI. Cadenza d’inganno* Il rapporto di Gregorio Sciltian con la musica è documentato non solo attraverso l’esposizione dei miracolosi trompel’oeil a soggetto musicale che richiamano subito alla memoria i capolavori di Baschenis ma si arricchisce della presenza dei bozzetti e dei figurini realizzati durante le collaborazioni per gli allestimenti teatrali al Teatro alla Scala di Milano e per la monumentale e storica rappresentazione di Guerra e Pace di Prokofiev del 1953 al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Nella sezione, possibilmente, anche il quadro La lezione di musica del 1930 opera recentemente battuta ad Amsterdam da Chistie’s. *per cadenza d’inganno in musica si intende quel passaggio armonico che dal quinto grado risolve al sesto invece che al primo, non a caso sesta sezione del progetto espositivo. Come nel sistema musicale tonale si è voluta dare maggiore importanza alla prima, quarta e quinta sezione della mostra. VII. L’eredità di Sciltian La mostra si chiude proponendo una serie di artisti che in qualche maniera hanno raccolto in Italia il testimone lasciato da Gregorio Sciltian. Si mostreranno non soltanto quegli autori che fanno a lui esplicito riferimento ma si analizzeranno, per passaggi generazionali, quelle figure che riconoscono il primato della pittura nella rappresentazione illusoria della realtà rifiutando, più o meno polemicamente, lo sperimentalismo e l’avanguardismo dell’arte contemporanea. La proposta potrebbe orientarsi a partire dalla generazione più giovane all’interno del gruppo dei Pittori Moderni della Realtà fino alle testimonianze di artisti come Mario Donizetti, specie per il sensuale abbandono nelle rappresentazione della figura femminile, Maurizio Bottoni, Gianluca Corona, Luigi Benedicenti e Luciano Ventrone per le cristallizzate e infallibili rappresentazioni di nature morte, tralasciando gli esempi della loro produzione più confinanti con il fenomeno dell’iperrelismo. Con cautela, viste le implicazioni esistenziali, si potrebbero proporre alcune aspetti della produzione di Gianfranco Ferroni e Andrea Boyer, per poi chiudere con Gino Colapietro (su cui lo stesso Sciltian ebbe modo di scrivere) e le ultime generazioni ben rappresentare dal virtuosismo di Andrea Dascanio e dai trompe-l’oeil di Fabio Inverni. Fabio Inverni dalla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer Sopra Luciano Ventrone Natura Morta A destra Gino Colapietro dittico di Piero della Francesca