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L`Illusione di Sciltian

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L`Illusione di Sciltian
Concept della mostra:
L’Illusione di Sciltian
Il simulacro dell’artista tra nostalgie caravaggesche
e rifiuto delle avanguardie
Una grande mostra antologica che celebra a trent’anni dalla scomparsa una
delle personalità artistiche più controverse e discusse del secolo scorso.
Gregorio Sciltian, di origini armena ma che in Italia trovò la sua “terra
promessa” non rinnegò mai il proprio credo estetico difendendo “L’illusione
della realtà” come fine supremo della pratica pittorica e opponendosi
strenuamente alla deriva morale del modernismo.
Premessa
Gregorio Sciltian (Rostow 1900- Roma 1985) fu artista di grande notorietà in vita; a partire dal
secondo dopoguerra la sua carriera fu costellata da considerevoli committenze private e da
significativi riconoscimenti istituzionali. Alcuni suoi lavori compaiono nelle collezioni dei più
importanti musei nazionali: dalla Galleria degli Uffizi alle Gallerie d’arte Moderna di Roma, Milano
e Bergamo mentre due suoi significativi lavori, dalle implicazioni religiose, sono custodite nella
Pinacoteca Vaticana. La collezione privata dell’artista, costituita da proprie opere e alcune rilevanti
testimonianze di arte antica tra cui spiccano i magnifici Ceruti e Cifrondi, è invece conservata al
Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS). A partire da Roberto Longhi e Ugo Ojetti, molti dei
più influenti critici e intellettuali nel periodo tra le due guerre si sono interessati apertamente al
suo lavoro mentre artisti del calibro di Lucio Fontana, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e Giò
Ponti si sono espressi in termini di grande encomio nei suoi confronti. Di altissimo prestigio fu, tra
gli anni 40 e 50, la rete del collezionismo privato e personalità come Galeazzo Ciano, Il conte
Grazzano Visconti, Giovanni Scheiwiller, Il principe Castelbarco Albani, Arnoldo Mondadori,
Eduardo e Peppino de Filippo, solo per citare i più conosciuti ancora adesso, ebbero modo di farsi
ritrarre da Gregorio Sciltian.
Eppure, oggi, a quasi trent’anni dalla scomparsa, fatta eccezione per qualche interessante ma
isolata battuta d’asta e per la presenza di alcuni suoi lavori anche in significative mostre collettive
(tra cui vanno sicuramente citate Novecento Sedotto al Museo Annigoni Villa Bardini di Firenze nel
2011 e Novecento a Forlì del 2013), la sua vicenda artistica sembra sprofondata in un mesto oblio
che ha progressivamente logorato la fama che Sciltian ebbe modo di guadagnarsi in vita.
Il rinnovato atteggiamento di questi ultimi anni nei confronti di movimenti, fasi ed espressioni
culturali e artistiche trascurate del periodo tra le due guerre fino agli anni 50, pone i presupposti
per un necessario, sereno e quanto mai definitivo recupero critico di questo singolare artista.
Il progetto di una mostra dedicata a Gregorio Sciltian può e deve essere il momento apicale e
culminante di un minuzioso e attento percorso di studio volto e ripercorrere e riscoprire la
straordinaria vicenda artistica e umana di una delle figure più controverse del panorama artistico
italiano del novecento, aggiungendo così un altro tassello all’importante opera di ricostruzione di
uno scenario culturale complesso e variegato della storia del nostro paese. Il tempo è maturo
dunque per approcciare, senza ingenue celebrazioni agiografiche, la complessità di questo
personaggio ponendosi a debita distanza dal fraintendimento che ne ha segnato l’ultimo
trentennio della carriera e che lo ha visto al centro di un’animata polemica, non del tutto
immotivata, che ancora oggi fatica a spegnersi e che di fatto ha causato quello stato di isolamento
e abbandono a cui ho prima accennato.
La mostra
L’impostazione cronologica delle mostre antologiche a lui dedicate in passato, tra cui cito le ultime
due, quella del 1980 alla Rotonda della Besana di Milano e la retrospettiva postuma del 1986 al
Palazzo dei Diamanti di Ferrara, è il primo scenario da scardinare nella strutturazione di un nuovo
progetto di allestimento espositivo. Più idonea appare una formulazione tematica mentre una
argomentazione narrativa e teatrale, sarebbe sicuramente più in linea con la natura istrionica del
personaggio. La suddivisione in sezioni dovrebbe articolarsi secondo un disegno unitario volto alla
valorizzazione di quell’aspetto “concettuale”, che la critica avversa non gli ha mai riconosciuto, e
che sta invece alla base del solido credo estetico e morale di Gregorio Sciltian. Proprio su questo
aspetto la riflessione sull’artista non si è mai correttamente sviluppata, facendo di fatto prevalere
l’immagine reazionaria e il carattere nostalgico della sua pittura a discapito di una complessità e
profondità che invece è bene analizzare e ricomporre.
In questa logica, il tentativo di registrare anno per anno i cambiamenti stilistici e gli sviluppi
formali in senso cronologico della pittura di Sciltian si dimostra un esercizio inutile e quanto mai
fine a se stesso in ragione della natura monolitica della sua produzione. La comparazione di una
natura morta, un trompe-l’oeil o un ritratto degli anni 30 con un soggetto analogo degli anni 80
non riserva grosse sorprese se non proprio quella di evidenziare una sostanziale immutabilità nello
stile che resta estraneo a qualsiasi pressione esercitata da fenomeni artistici esterni. Questo
aspetto diventa ancora più eccezionale in relazione alla violenza e l’impeto con cui si sono
avvicendati, senza soluzione di continuità, i principali fenomeni avanguardistici nel secolo scorso.
La totalità della produzione artistica di Gregorio Sciltian non si sviluppa dunque lungo un percorso
di ricerca lineare nel quale conseguire e manifestare una propria cifra stilistica da raggiungere per
gradi o scarti improvvisi, le opere che la compongono ci appaiono come un’infinita
argomentazione di una verità assiomatica, profondamente radicata nel credo dell’artista che non
può essere né corrotta né confutata. La pittura è fondamentalmente per Sciltian uno strumento di
contemplazione e sublimazione della natura, e solo attraverso la pratica e la tecnica è possibile
conseguire “l’illusione della realtà” quale fine supremo che alimenta l’enigma e il mistero
dell’arte. Ecco dunque la ragione per cui soggetti, temi e modalità espressive sembrano ad
un’analisi epidermica non riportare particolari scossoni sul piano della forma seppur distribuiti in
un arco temporale considerevole che abbraccia oltre mezzo secolo di storia a partire dagli anni
venti.
Solo successivamente aver ben focalizzato e chiarito la particolare concezione estetica di Gregorio
Sciltian, il progetto espositivo dovrebbe concentrarsi su un altro aspetto altrettanto determinante.
Il fenomeno delle “oscillazioni del gusto” ha avuto effetti rilevanti sulla carriera dell’artista
influenzandone profondamente la parabola e non tanto in termini di implicazioni stilistiche.
Mentre la sua pittura rimaneva coerentemente ancorata ai propri convincimenti, tutto il sistema
attorno a lui subiva profonde trasformazioni culturali che sul piano estetico modificarono
sensibilmente gli assetti e gli orientamenti nei suoi confronti. E’ quindi possibile identificare tre
periodizzazioni connotate da altrettanti scenari percettivi, che producono conseguenze misurabili
e significative sulla vicenda artistica e umana di Gregorio Sciltian.
La prima fase, è caratterizzata da un sovradimensionamento del giudizio critico viziato dagli effetti
della querelle sulla “Mania del Seicento” accesa da Giorgio de Chirico in seguito all’impatto
culturale che ebbe la monumentale mostra sulla pittura del 600 e 700 italiano tenuta nel 1922 a
Palazzo Pitti di Firenze. Questo periodo segna gli esordi italiani di Sciltian e si può far cominciare
con la mostra romana che il pittore fece alla Galleria Bragaglia del 1925. In quella occasione
l’introduzione in catalogo di Roberto Longhi, il cui fiuto era sempre alla ricerca di scenari
caravaggeschi, lo impone all’attenzione della critica del tempo e lo inserisce a pieno titolo nel
dibattito culturale del periodo. Le frequentazioni nell’ambiente intellettuale testimoniano
l’apprezzamento che il lavoro di Sciltian suscitava apertamente anche da parte di colleghi artisti a
partire da Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Lucio Fontana che di lui disse “Sciltian è un grande pittore
concettuale che i conformisti non riescono a capire”. Ma soprattutto con Giorgio de Chirico il
legame si rivela più interessante di quanto alcune dichiarazioni del “pictor optimus” lasciano
intendere “E’plastico per eccellenza, è plastico quando dipinge, e plastico quando parla, è plastico
quando gesticola”. Tra i due esiste un livello di subordinazione e rispecchiamento che non si
esaurisce semplicemente in dichiarazioni e attestati di stima; de Chirico considerava Sciltian trai
più talentuosi pittori del periodo assieme a Picasso, Derain e de Pisis. Non è un caso che Sciltian a
livello letterario segua l’esempio di de Chirico con la pubblicazione di un’autobiografia (pubblicata
tra l’altro dallo stesso editore Rizzoli), e un Trattato sulla Pittura nel quale entrambi si
preoccupano di come riportare al centro la tecnica, nel mestiere dell’artista nel pieno rispetto
della tradizione. Tutti e due, con toni analoghi, si scagliano contro il modernismo colpevole della
decadenza morale dei costumi e della degenerazione nichilista dell’arte contemporanea, ma
assolutamente dissimili furono le parabole delle rispettive carriere.
La fase culmina con la clamorosa recensione di Ugo Ojetti del 1942 che di fatto sancisce la
definitiva consacrazione dell’artista che ha così modo di allargare il consenso anche
guadagnandosi l’attenzione di un’ élite di collezionisti di grande prestigio.
Il secondo momento vede Sciltian proiettato verso un grande successo che fa di lui un artista “alla
moda” per quasi un ventennio. Le personalità più in vista del momento fanno a gara per avere una
sua opera: Galeazzo Ciano nel 1943 si fa ritrarre a Palazzo Chigi, in posa elegante e senza divisa,
nelle fasi drammatiche delle cadute del regime (il quadro non fu mai consegnato e della misteriosa
opera, che rimase per tutta la vita in possesso di Sciltian, non si fa menzione neanche nell’Opera
Omnia), il Duca Grazzano Visconti si sottopone a sfiancanti sessioni per la realizzazione di un
ritratto in divisa da fantino in una ricercatissima posa dal sapore caravaggesco all’interno della
propria scuderia. Nel 1947 insieme ad Annigoni, Serri, Acci, Guarienti e i fratelli Bueno viene
sottoscritto Il Manifesto dei Pittori Moderni della Realtà il cui incipit ben riassume lo spirito e lo
slancio bellicoso del gruppo che in realtà nasceva come alleanza strategica verso l’ostruzionismo
della critica che li vedeva come espressioni di un atteggiamento, anacronistico, reazionario e
conservatore.
Noi, "Pittori moderni della realtà", siamo riuniti in un gruppo fraterno per mostrare al pubblico
le nostre opere. La simpatia e la comprensione con le quali esso ha accompagnato e assecondato in
questi anni i nostri sforzi, la certezza di essere nel vero, di aver ragione noi e gli altri torto, ci hanno
convinto dell'opportunità e della necessità di questa mostra. Siamo compatti con la nostra forza, la
nostra fede, i nostri ideali e la nostra assoluta reciproca stima.
Il successo delle cinque mostre realizzate insieme in due anni (la mostra di Milano venne vista da
quasi ventimila persone e la rete di collezionisti si allargò ulteriormente) ebbe l’effetto di irritare
ulteriormente la critica, causando malumori all’interno del gruppo che portarono di fatto al suo
scioglimento. Dunque, il successo soprattutto commerciale di questo periodo non è
accompagnato da un analogo riconoscimento di carattere critico.
L’ultima e un po’ affannata fase, la meno conosciuta e studiata, occupa il periodo che va dagli
anni ‘60 fino alla scomparsa dell’artista avvenuta il 1° aprile 1985. Su questo momento, da
un’attenta e decisa indagine, è lecito attendersi le sorprese maggiori.
A partire dagli anni ‘50 la notorietà di Sciltian ebbe modo di raggiungere un riconoscimento
allargato ma di natura sempre più popolare, l’attività si fece febbrile e la produzione più
composita e variegata con una sensibilità che si avvicina in termini molto originali al sentire
comune. L’ambito di applicazione dei suo precetti estetici si estende e le solide basi pittoricofigurative gli consentono di avvicinarsi anche ad altre discipline.
Sono gli anni di importanti committenze istituzionali e intensa diventa la produzione di multipli in
serie numerata di vario genere, dalla litografia fino alle tecniche di fusione come bronzetti e
bassorilievi. Nel 1960 realizza un discusso e colossale intervento con diversi pannelli ora sistemato
nel battistero della Basilica del Cuore Immacolato di Maria a Roma, (precedentemente rifiutato
per la Chiesa dell’Autostrada del Sole di Michelucci a Firenze), ancora di grandi dimensioni sono gli
interventi sulla turbonave Raffaello nel 1965 e più contenuto sul transatlantico Angelina Lauro nel
1966. Collabora in qualità di scenografo per gli spettacoli al Teatro alla Scala di Milano con le
opere buffe: Mavra di Stravinsky del 1955, il Campanello dello Speziale di Donizetti, Abu Hassan Di
Weber e Guerra di Famiglia di Schubert del 1958. Cura anche i costumi oltre alla scenografia del
memorabile allestimento di Guerra e Pace di Prokofiev del 1953 al Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino, in prima esecuzione mondiale (come molte fonti riportano e che occorrerebbe meglio
verificare) e con la regia della Pavlova. Lo spettacolo assunse anche un particolare significato
politico e culturale in seguito alla morte avvenuta, lo stesso giorno, del grande musicista russo,
autore della colossale opera in cinque atti, e del dittatore Stalin proprio due mesi prima della
rappresentazione. Le opere di Sciltian vengono riprodotte anche su francobolli; è il caso de il
Filatelico del 1947 che diviene un’affrancatura cubana mentre la Madonna della Città del 1950 con
i due angeli dalle fattezze femminile delle tele del battistero di Roma diventano una serie da
collezione del 1982 per la Repubblica di San Marino. Nel 1981 il Ministero delle Poste italiane gli
commissiona una natura morta per il francobollo commemorativo realizzato in occasione della
Prima giornata dell’alimentazione (con la straordinaria tiratura di sei milioni di esemplari), poi
premiato come il più bello d’Europa nel 1982. Realizza inoltre il ritratto di personaggi famosi tra
cui Padre Pio, Paolo VI, Giovanni XXIII, Aldrin e JFK utilizzati per il conio di alcune monete da
collezione. Illustra il romanzo Anna Karenina di Tolstoy del 1967 e per l’Istituto Poligrafico d'Arte
di Roma I Vangeli nel 1985. La rete del collezionismo e la committenza privata si ridefinisce
assumendo contorni sicuramente meno prestigiosi rispetto a quanto avvenuto negli anni 50 e 60.
Sul piano più strettamente formale, è bene registrare inoltre quanto la pittura di Sciltian in questo
momento adotti dei registri espressivi mutuati dall’immaginario visivo popolare che si alimenta
dalla continua esposizione a cui è sottoposto dai nuovi mezzi di comunicazione di massa.
In molte sue opere sono evidenti i riferimenti presi in prestito dal linguaggio cinematografico;
il calligrafismo, il neorealismo e la commedia all’italiana gli suggeriscono un grottesco ponte con la
pittura di genere che va da Caravaggio al Pitocchetto.
L’ovattata sensualità e l’abbandono erotico che ritroviamo nelle figure femminili ritratte dagli anni
60 in avanti, specie nel nudo a figura intera, sembra invece far esplicito riferimento ad un gusto
che ritroviamo sulle copertine di alcune riviste assai diffuse in quegli anni.
Forse non è un caso che il settimanale di informazione Tempo, che l’editore Mondadori pensò sul
modello di Life, pubblichi nel 1967 a dispense il romanzo Anna Karenina illustrato da Gregorio
Sciltian, tra l’altro ottenendo un inaspettato successo in edicola. Le illustrazioni qui presenti, come
un po’ in tutta la produzione litografica di Sciltian, sono caratterizzate da un curioso modellato la
cui greve plasticità cromatica si combina ad un’impostazione narrativa che pare ispirarsi alla
didascalica rappresentazione adottata nell’illustrazione a fumetti e in particolar modo nel
sottogenere del fotoromanzo, che come è ben noto è invenzione tutta italiana attribuita a
Damiano Damiani, Cesare Zavattini sotto l’egida proprio di Arnoldo Mondadori (questi ultimi due
entrambi collezionisti di Sciltian). E’ dunque legittimo supporre quanto il boom di riviste e di
fotoromanzi come Bolero e Grand Hotel allora diffusissime, abbia in qualche maniera avuto uno
strano cortocircuito, molto più profondo di quanto possa in prima analisi sembrare, con le
modalità espressive di Gregorio Sciltian. Un atteggiamento che avrà contribuito ad alienargli
ancora di più i favori della critica dell’asfittico ed elitario mondo dell’arte contemporanea poco
propenso ad autorizzare slanci di questo tipo.
Non bisogna dimenticare come molta critica abbia preso a modello negativo l’arte di Sciltian
usandola in termini dispregiativi per attaccare quelle personalità artistiche di matrice figurativa
che indugiando sulla rappresentazione della realtà hanno fatto aperto riferimento a linguaggi
attinti dalla tradizione pittorica. Renato Barilli a proposito di Gianfranco Ferroni commenta “quasi
volesse riesumare le maniere infauste del verismo di Sciltian”.
Estraneo alle eredità delle avanguardie che comunque si stava sedimentando lungo il secolo
decennio dopo decennio, l’artista sviluppa dunque, la sua forma d’arte lungo le coordinate
cartesiane che in termini molto personali combinano da una parte il rispetto della tradizione
pittorica e dall’altra un contatto autentico e vitale con l’uomo del presente.
Il percorso della mostra
La struttura del percorso espositivo si organizza lungo una
divisione tematica in sette sezioni da argomentare a
seconda delle opere selezionate e reperite. La disposizione
interna alle sezioni è idealmente tripartita e asseconda le tre
fasi che caratterizzano la carriera di Gregorio Sciltian.
Se un ruolo di primo piano sarà ovviamente occupato dalla
pittura ad olio non verranno dimenticate espressioni
creative come il disegno, la stampa litografica e altri generi
in serie che abbondano nella produzione dell’artista. Inoltre,
fotografie, alcune delle quali d’autore, documenti, lettere e
testimonianze su giornali e riviste saranno naturale corredo
del progetto espositivo.
L’allestimento si caratterizza inoltre per la presenza degli
oggetti realmente appartenuti all’artista e raccolti nell’arco dell’intera esistenza. Si tratta delle
cose più disparate presenti nel suo atelier (nella foto quello della Giudecca a Venezia) e
protagoniste delle sue opere come: tavolozze, pennelli, cavalletti, libri, drappi, specchi, maschere,
fiori finti e frutti di cera e in alcuni casi, per esempio con i manichini appartenuti al Piazzetta e per
alcuni strumenti musicali antichi, di un certo valore antiquario. La loro disposizione offrirà uno
spunto scenografico e teatrale all’allestimento, ricreando filologicamente lo spazio di lavoro
dell’artista e offrendo un ulteriore elemento di riflessione sul rapporto tra realtà e sua
rappresentazione, chiave di volta dell’ estetica di Gregorio Sciltian. Questa eccezionale
testimonianza è resa possibile dall’interessamento di un collezionista privato, che ha salvato dallo
smembramento l’atelier e che è ora disposto a donare al Museo Annigoni di Villa Bardini qualora
si intendesse procedere all’istituzione di un fondo archivistico che preservi la memoria dell’artista.
L’allestimento si potrà integrare di altri elementi di trovarobato in uso comune nei teatri, per
questa ragione si necessita del coinvolgimento di uno scenografo nelle scelte espositive. Il
progetto di una così ambiziosa mostra antologica passa in primo luogo attraverso la necessità di
raccontare una storia con gli stessi colpi di scena, aneddoti e rivolgimenti epocali che hanno reso
così avventurosa la vita dell’artista così ben rievocata dall’autobiografia Mia Avventura.
Le sette sezioni sono: L’inganno (lo sguardo fuori da sè), Lo specchio (lo sguardo dentro di sé),
Riflessi (ritratti e rispecchiamenti), L’enigma dell’arte, Illusioni d’amore, cadenza d’inganno
(dedicato alla musica) e L’eredità di Sciltian.
I. L’Inganno
E’ la sezione che apre la mostra. Lo spettatore è subito immerso negli inganni
e nelle illusioni che Gregorio Sciltian attua con la sua pittura “arcifinita “ e
lenticolare. Qui ritroviamo i principali trompe-l’oeil e le nature morte che
l’artista ha dipinto ossessivamente per tutta la carriera. Gli oggetti dell’atelier
dell’artista saranno ricomposti in piccoli teatrini e, secondo un processo
inverso, ricalcheranno le strutture presenti nei dipinti.
L’obiettivo è rendere scenograficamente il rapporto enigmatico che
intercorre tra la realtà e la sublimazione di natura attuata dall’arte pittorica.
In questa sezione verrà esposto Il mobile dipinto del 1940 (se trasportabile) realizzato con il pittore
surrealista Fabrizio Clerici (medaglia d’oro alla Triennale di quell’anno, articoli dell’epoca
raccontano di come il Re Vittorio Emanuele III cercò di grattare una busta sul legno credendo che il
francobollo fosse reale e non dipinto). Lo sguardo è dunque rivolto al di fuori di sé ed è
circoscritto a uno spazio contemplativo raccolto e determinato dalla volontà dell’artista in calibrati
equilibri compositivi. Nella sezione sono passati in rassegna gli spazi che rivelano ambiti
d’interesse come nel caso del Tavolo del Critico d’arte del 1940 (collezione
Roberto Longhi), Il tavolo del filosofo del 1939 e curiose nature morte
come quelle della collezione Vanelli (colpito da un’ulcera commissionò a
Sciltian pietanze e alimenti dipinti che non gli era permesso mangiare).
Il francobollo del 1981 per la Prima giornata dell’alimentazione sarà
esposto con l’originale realizzato da Sciltian, ora conservato al Museo
delle Poste e Telecomunicazioni di Roma. La presenza umana in questa
sezione è soltanto allusa attraverso le sembianze di “metafisici” manichini
veri e dipinti.
II. Lo Specchio
La sezione si apre con una bella fotografia di Gregorio Sciltian che di
profilo ci osserva guardandoci attraverso uno specchio ovale che tiene
nella mano, continua con l’Arlecchino con la chitarra del 1960 per
chiudersi con l’autoritratto con specchio convesso del 1983.
Onnipresente nelle opere di Sciltian, lo specchio è uno dei simboli più
utilizzati nell’iconografia artistica; a partire dal
medioevo lo troviamo in opere celeberrime come i
coniugi Arnolfini di J.v.Eyck, in Parmigianino e ancora
in molti autori del novecento. Il suo valore simbolico è
fortissimo; consente la conoscenza di sé e l’accesso ad una realtà da esso rivelata. Diventa
metafora dell’arte, specie con lo specchio convesso, in quanto rappresentazione deformata e
sublimata della realtà. E’ anche sinonimo di vanità specie in mano a una donna come nel caso di
Risveglio del 1970 o in L’uomo che si pettina del 1925. Nell’allestimento si farà uso di varie
tipologie di specchi reali, tra cui quelli convessi e deformanti appartenuti all’artista, che
accompagneranno la visita dello spettatore offrendo particolari effetti catottrici con punti di vista
inaspettati e sguardi inediti sulle opere esposte, con lo scopo di far divertire e soprattutto
“riflettere” il pubblico.
III. Riflessi
In questa sezione viene presentata la straordinaria galleria dei
personaggi dipinti dal vero che anima l’importante produzione dei
ritratti. Il percorso incomincia dal Ritratto del pittore futurista Ivo
Pannaggi del 1926, per concludersi con il Ritratto del dottor Giordano
dell’Amore del 1980 (da sistemare però nella parte del museo dedicata
ad Annigoni, che avrebbe dovuto realizzare il ritratto. L’incarico passò a
Sciltian perché il noto banchiere si rifiutò di posare molte volte dal vero)
passando per quello enigmatico di Galeazzo Ciano del 1943 (non
consegnato e rimasto per tutta la vita nella collezione dell’artista e
inspiegabilmente mai pubblicato).
Sciltian, nelle tre fasi della sua carriera ci presenta uno spaccato della società italiana analizzata
nel suo mutare attraverso le sembianze di artisti, uomini di potere e gente comune. La sezione si
chiude con l’autoritratto degli Uffizi. Saranno presentati accanto alle
pitture ad olio su tela, anche disegni (tra cui quello dedicato a Giovanni
Agnelli e il commuovente Fanciulla con trecce – da esporre però, nel caso
di una sua presenza, accanto all’opera di Cerutti le due sorelle nella
sezione a seguire) e le monete da collezione con i ritratti di
JFK, Padre Pio, Giovanni XXIII e altri. Accanto al Ritratto di
Giovanni Migliocco del 1960 alla Galleria d’arte moderna di
Milano verrà sistemata la bella foto di Mario Mulas (accanto) che ne descrive una
sessione di posa
IV. L’enigma dell’arte
E’ la sezione più estesa nella mostra nella quale viene
presentata la particolare concezione estetica e il complesso
mondo di Sciltian nelle sue espressioni più spettacolari.
L’artista ci propone una realtà illusoria filtrata dal mistero
dell’arte. Il credo artistico viene sviluppato coerentemente
nell’arco di tutta la carriera ed elabora, adattandoli al suo
tempo, i moduli compositivi desunti dai fondamenti della
tradizione pittorica. Il realismo è il riferimento assoluto nella
pratica pittorica e l’arte di Caravaggio ne è la più alta
testimonianza. Sciltian si avvicina al Merisi, tralasciandone la
violenta e teatrale drammaticità, ma reinterpretandolo a livello
compositivo attraverso alcune geniali adattamenti e
attualizzazioni iconografiche. E’ il caso del Bacco in Osteria del 1936 e delle grandi
rappresentazioni collettive come L’eterna illusione del 1968 (dove Sciltian si autoritrae guardando
lo spettatore, alla maniera dei pittori del passato, alzando il dito in tono di ammonimento), La
scuola dei ladri del 1955 e La scuola dei modernisti del 1955.
In questa sezione trova anche posto la straordinaria gallerie
dei mestieri mutuata dagli esempi della pittura di genere che
guarda in special modo al modello del Pitocchetto, del quale
Sciltian fu anche abile collezionista riconoscendone la mano
e azzardando con successo le attribuzioni. L’eventuale
presenza in mostra delle Due sorelle e Il baro di Cerutti oltre
a L’indovino e Il ciabattino di Cifrondi dalla collezione Sciltian
(ora ai Musei di Santa Giulia di Brescia), deve essere
mimetizzata all’interno della sequenza che prevede
L’antiquario del 1944, Il bibliofilo del 1946, Il filatelico del
1947, I vagabondi del 1943 e Il navigatore del 1944. La presenza dei capolavori dei maestri del
700, consentirebbe un giusto accenno al collezionismo di Sciltian ma soprattutto a come
attraverso una conoscenza diretta delle opere del passato abbia formato il proprio bagaglio
tecnico e pittorico. Con questo obiettivo, si tenterà di recuperare e individuare due pannelli ovali
di notevoli dimensioni collocati a Palazzo Stroganoff di Roma, ora Biblioteca Hertziana, i due
dipinti sono copie che Sciltian realizzò sugli originali di Mario De Fiori, pittore del 600 romano
famoso per le composizioni floreali. Le opere sono tutt’ora esposte come originali del 600 ma che
in realtà furono perse al gioco dal principe Volkonskij e mai riscattate. La parte finale della sezione
propone tutte quelle opere in cui sono presenti cartoline, ritagli e fotografie di opere d’arte
realizzate dai grandi maestri del passato che lo spettatore potrà divertirsi a riconoscere (es
Leonardo con la Gioconda e Francesco Gaffurio, Monet, Modigliani e Van Gogh, Guido Reni con La
Beatrice Cenci, Piero di Cosimo, Michelangelo, Holbein, Durer con il San Gerolamo ecc.) magari
sotto forma di test a risposta multipla da consegnare all’ingresso, in caso di compilazione corretta
saranno offerti sconti sull’acquisto del catalogo e magari un piccolo gadget in regalo.
V. Illusioni d’amore
La rappresentazione dell’universo femminile muta profondamente
durante la carriera di Gregorio Sciltian. Se negli anni 20 l’attenzione al
dato reale si concentra principalmente su donne mature non
arretrando di fronte a difetti e eccessive rotondità, che invece ostenta
come nel caso di Messalina del 1926, a partire dagli anni 40 pare
invece concentrarsi maggiormente su un’ideale di bellezza più
codificato. L’incontro a Morgnaga con la modella Piera Facchini sua
musa per molti anni è in questo senso
risolutore. A partire dagli anni 60 invece i suoi
ritratti femminili si venano di un erotismo
ovattato che sembra ispirarsi al gusto diffuso
sulle copertine delle principali riviste e
fotoromanzi assai in auge in quegli anni. Marilena Possenti fu modella e
attrice che posò per Sciltian dando le sue sembianze anche ad una delle
“Angiolone” di quasi tre metri, presenti nel battistero della Chiesa del
Sacro Cuore Immacolato di Maria in Piazza Euclide a Roma. Nella sezione
alcune opere emblematiche come La Lettera d’amore del 1949 per poi
terminare con il Ritratto a Elena Boberman del 1966 sua compagna e moglie fedele per tutta la
vita.
VI.
Cadenza d’inganno*
Il rapporto di Gregorio Sciltian con la musica è documentato
non solo attraverso l’esposizione dei miracolosi trompel’oeil a soggetto musicale che richiamano subito alla
memoria i capolavori di Baschenis ma si arricchisce della
presenza dei bozzetti e dei figurini realizzati durante le
collaborazioni per gli allestimenti teatrali al Teatro alla Scala
di Milano e per la monumentale e storica rappresentazione
di Guerra e Pace di Prokofiev del 1953 al Teatro del Maggio
Musicale Fiorentino. Nella sezione, possibilmente, anche il
quadro La lezione di musica del 1930 opera recentemente battuta ad Amsterdam da Chistie’s.
*per cadenza d’inganno in musica si intende quel passaggio armonico che dal quinto grado risolve al sesto invece che al primo, non a caso sesta sezione del progetto
espositivo. Come nel sistema musicale tonale si è voluta dare maggiore importanza alla prima, quarta e quinta sezione della mostra.
VII. L’eredità di Sciltian
La mostra si chiude proponendo una serie di artisti che in
qualche maniera hanno raccolto in Italia il testimone lasciato da
Gregorio Sciltian. Si mostreranno non soltanto quegli autori che
fanno a lui esplicito riferimento ma si analizzeranno, per
passaggi generazionali, quelle figure che riconoscono il primato
della pittura nella rappresentazione illusoria della realtà
rifiutando, più o meno polemicamente, lo sperimentalismo e
l’avanguardismo dell’arte contemporanea. La proposta potrebbe orientarsi a partire dalla
generazione più giovane all’interno del gruppo dei Pittori Moderni della Realtà fino alle
testimonianze di artisti come Mario Donizetti, specie per il sensuale abbandono
nelle rappresentazione della figura femminile, Maurizio Bottoni, Gianluca Corona,
Luigi Benedicenti e Luciano Ventrone per le cristallizzate e infallibili
rappresentazioni di nature morte, tralasciando gli esempi della loro produzione
più confinanti con il fenomeno dell’iperrelismo. Con cautela, viste le implicazioni
esistenziali, si potrebbero proporre alcune aspetti della produzione di Gianfranco
Ferroni e Andrea Boyer, per poi chiudere con Gino Colapietro (su cui lo stesso
Sciltian ebbe modo di scrivere) e le ultime generazioni ben rappresentare dal
virtuosismo di Andrea Dascanio e dai trompe-l’oeil di Fabio Inverni.
Fabio Inverni dalla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer
Sopra Luciano Ventrone Natura Morta
A destra Gino Colapietro dittico di Piero della Francesca
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