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il movente della strage

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il movente della strage
IL MOVENTE DELLA STRAGE
Come già detto, il complesso ed articolato sforzo investigativo posto in essere dagli inquirenti
consentì di assicurare alla giustizia non solo gli esecutori materiali della strage di Capaci, ma anche
di individuare i mandanti di tale atroce delitto nei componenti dell’organo di vertice di Cosa Nostra
e, segnatamente, nei membri della c.d. Commissione provinciale e regionale. Difatti, era rimasto
acclarato che vari componenti del gruppo operativo, che avevano aderito e portato a compimento il
progetto delittuoso varato dal Riina, che svolse un ruolo propositivo anche in seno alla
Commissione regionale, erano esponenti della Commissione provinciale di Palermo, come
Salvatore Cancemi, Raffaele Ganci e Giovanni Brusca.
Le risultanze processuali, in particolare, consentirono ai primi giudici di individuare i membri
dell’organismo provinciale di Cosa Nostra nelle persone di Aglieri Pietro, Brusca Bernardo,
Buscemi Salvatore, Calò Giuseppe, Farinella Giuseppe, Gambino Giacomo Giuseppe, Geraci
Antonino, Giuffré Antonino, Graviano Filippo, Graviano Giuseppe, Greco Carlo, La Barbera
Michelangelo, Lucchese Giuseppe, Madonia Francesco, Montalto Giuseppe, Montalto Salvatore,
Motisi Matteo, Provenzano Bernardo, Spera Benedetto.
I predetti, infatti, nel maggio 1992, facevano parte della Commissione provinciale di Palermo di
Cosa Nostra, che notoriamente è un’organizzazione monolitica di tipo unitario e verticistico,
governata da rigide regole di condotta, alla stregua delle quali nessun omicidio eccellente può
essere commesso senza la preventiva autorizzazione del predetto organo direttivo e senza il
consenso del capo della famiglia nel cui territorio deve essere perpetrato il delitto, per come
affermato dalla sentenza del 30 gennaio 1992 (Abbate) della Suprema Corte di Cassazione in esito
al maxiprocesso istruito proprio dal dr Giovanni Falcone.
In tale decisione, assai negativa per i vertici di Cosa Nostra, si individuava, alla stregua dell'apporto
dei collaboratori di giustizia, uno dei possibili moventi della strage, fortemente voluta soprattutto
dal gruppo egemone dei corleonesi, in quanto il dr Falcone era stato ritenuto il regista occulto di tale
statuizione, adottata dalla Corte Suprema di Cassazione, essendo riuscito, per il tramite delle
inziative istituzionali intraprese dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia, on. Martelli, a sottrarre la
cognizione del processo al presidente Carnevale che venne sostituito dal presidente Valente.
Il contenuto pregiudizievole di tale sentenza per i vertici di Cosa Nostra, ivi compresi i soggetti in
stato di detenzione, ne aveva determinato la rabbiosa reazione tradottasi nella strage per cui è
processo che andava inserita in un contesto più ampio, così come dichiarato dai collaboratori di
giustizia: vale a dire in una strategia tesa a fare la guerra allo Stato, attraverso l'eliminazione, da un
lato, di coloro che nell’ambito dei rispettivi compiti istituzionali avevano cagionato, con la loro
azione investigativa e di contrasto, un nocumento esiziale al sodalizio, e, dall'altro, degli esponenti
politici, contigui e collusi con l'organizzazione, che poi l’avevano abbandonata, non avendo più
potuto o voluto garantire le copertura e le connivenze promesse.
Tale disegno era stato varato in epoca immediatamente successiva alla citata sentenza della Corte di
Cassazione e aveva trovato evidenti conferme nell'uccisione dell'on. Salvatore Lima, assassinato il
12 marzo 1992, a poche settimane dalle consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento della
Repubblica.
A tale delitto erano seguiti, il 23 maggio 1992, l’eccidio in cui perse la vita il dr Falcone e quello, in
data 19 luglio 1992, in cui perì il dr Paolo Borsellino; ancora, il 17 settembre 1992, era stato
assassinato l’esattore Ignazio Salvo.
Erano seguiti, il 14 maggio 1993, il fallito attentato di Via Fauro, in Roma, nei confronti del
giornalista Maurizio Costanzo, nonché quelli di Via dei Georgofili di Firenze, del 27 maggio 1993,
di Via Palestro in Milano, del 27 luglio 1993, di Via del Velabro e di Piazza San Giovanni in Roma,
del 28 luglio 1993.
Tale strategia eversiva di attacco nei confronti dello Stato, mirante anche ad un temperamento del
rigore del regime penitenziario introdotto con l’art. 41 bis, si era articolata in una prima fase, con
azioni delittuose realizzate in Sicilia, mentre, in una seconda fase, l’azione terroristica e
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destabilizzante si era indirizzata contro particolari obiettivi di riconosciuto valore architettonico
individuati nel Continente, anche al fine di spostare l’attenzione e la pressione delle forze
dell’ordine dall’Isola.
Altro movente ipotizzabile, sotteso all’eliminazione del dr Falcone, già deliberata svariati anni
prima, era da rinvenirsi nel ruolo propulsivo svolto dal magistrato nella qualità di direttore generale
degli Affari Penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Andavano, infatti, ricondotte alla sua
attività una serie di iniziative assai pregiudizievoli per Cosa Nostra. Ci si riferisce alla creazione
delle strutture antimafia, rappresentate sul versante giudiziario dalla D.D.A. e su quello
investigativo dalla D.I.A., nonché alla predisposizione di una legislazione premiale per coloro che si
dissociavano dalle organizzazioni di stampo mafioso, quali Cosa Nostra. Inoltre, il dr Falcone
aspirava a lasciare l’alto incarico ministeriale per assumere quello di Procuratore presso la
Direzione Nazionale Antimafia, ufficio che gli avrebbe consentito di coordinare le indagini di mafia
su scala nazionale.
A tali conclusioni i primi giudici pervennero anche grazie al fattivo apporto fornito da diversi
collaboratori di giustizia, derivato dalle dirette esperienze vissute all'interno di Cosa Nostra.
Tale patrimonio di conoscenze aveva consentito di individuare la struttura interna
dell'organizzazione, le regole ed il modus operandi, nonché la composizione dell’organo di governo
(la c.d. Commissione provinciale) del sodalizio nel 1992, e le sue competenze specifiche.
In particolare, avevano fornito un rilevante contributo conoscitivo su tale specifico tema Tommaso
Buscetta, Salvatore Contorno, Giuseppe Calderone, Vincenzo Marsala, Francesco Marino Mannoia,
che si erano dissociati da diverso tempo, mentre altri collaboranti come Gaspare Mutolo, Giuseppe
Marchese, Leonardo Messina, Giovanni Drago, Baldassare Di Maggio, oltre ai già citati Di Matteo,
Cancemi e La Barbera, avevano iniziato a collaborare con la giustizia dopo i tragici eventi di
Capaci.
Le propalazioni dei predetti affiliati alla mafia siciliana avevano consentito di meglio approfondire
le conoscenze sull’evoluzione e la struttura di Cosa Nostra, su cui i primi giudici si soffermavano
tratteggiandone gli aspetti più salienti.
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