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PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA La Prospettiva Sistemico
PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA La Prospettiva Sistemico-Relazionale Paolo Gambini PARTE PRIMA FAMIGLIA, IDENTITA' E DINAMICHE CAPITOLO 1 - LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA A Partire dagli Sviluppi della Psicoanalisi Il primo interesse della psicologia per la famiglia è stato in ambito clinico ed è la psicoanalisi ad averne costituito il terreno. Sebbene oggi siano pochi i terapeuti familiari che si ritengono vicini alla psicoanalisi, è stato pur sempre Freud a battere il terreno per la nascita della psicologia. Inoltre la psicoanalisi, con il tempo, ha portato ad un radicale cambiamento, ossia lo spostamento dalla dimensione pulsionale a quella relazionale e questo ha permesso di allargare il campo d’osservazione dalle dinamiche intrapsichiche a quelle interpersonali. La psicologia della famiglia deve quindi la sua nascita ad una serie di contributi che illustreremo qui di seguito: 1. Psicoanalisi Classica (Freud): nella psicoanalisi classica si rileva la presenza di un nucleo relazionale all’interno del concetto del complesso di Edipo, il quale si compone di uno stretto legame che permette la formazione della personalità in base anche alle vicende familiari. Nonostante la presenza di tale tema, Freud non se ne occupò mai più di tanto, concentrandosi invece sugli aspetti intrapsichici. Successivamente a Freud, nacque l’interesse per lo studio delle modalità con cui il bambino interiorizza le relazioni familiari, non guardando ancora non alla dinamica relazionale vera e propria ma iniziando a considerare la famiglia come un’entità alle spalle del bambino. Solo negli anni '50 e '60 l'interazione e le relazioni assumeranno interesse nelle considerazioni psicoanalitiche; 2. Psicologia dell'Io (Hartmann): alla fine degli anni '30 lo psicoanalista americano Hartmann si distacca dal pensiero di Freud e compie un movimento verso l’ambiente. Egli afferma che l’Io non sia il risultato dell’adattamento dell’Es alla realtà, ma che tale istanza abbia una propria natura ed origine e che possiede un insieme di funzioni psichiche, quali la percezione, il linguaggio o la memoria, che sono libere delle forze delle pulsioni dell’Es. Hartmann, quindi, pur affermando l’esistenza del conflitto tra Io ed Es e la forza delle pulsioni, sposta l’attenzione sul conflitto tra l’Io e il mondo esterno, ossia la relazione tra i bisogni dell’Io, non per forza inconsci, e le richieste dell’ambiente. Tale spostamento apre le porta ad una concezione diversa delle patologia, che ora può anche avere una causa ambientale e nascere dal mancato adattamento all’ambiente o dalle relazioni con gli altri e dal confronto con i ruoli sociali; 3. Teoria delle Relazioni Oggettuali (Klein): dopo Hartmann, il quale continuava a porre al centro dell'attenzione il modello pulsionale basato sul conflitto, Melanie Klein crea la Teoria delle Relazioni Oggettuali grazie al suo lavoro con i bambini. La Klein pone definitivamente al centro dell’attenzione il concetto di relazione, dato che nella sua teoria il bambino non interiorizza più un oggetto o una persona ma l’intera situazione relazionale, caratterizzata da un vissuto emotivo, un modo di sentire se stessi e un modo di sentire l’altro. Questi tre aspetti possono essere connotati positivamente, e costituire un oggetto buono, o negativamente, e costituire un oggetto cattivo. Tali interiorizzazioni, poi, saranno influenzate dalle fantasie del bambino, e quindi non sempre la rappresentazione corrisponde ala realtà della relazione. Un maggiore contributo è però dato dagli Indipendenti, tra cui: - Fairbairn: spiega come i disturbi possono essere legati situazioni ambientali e come l’incapacità della madre di far sentire il bimbo amato genera nell’individuo una paura ad amare con una conseguente chiusura affettiva verso il mondo esterno; - Winnicott: con il concetto di madre sufficientemente buona individua le condizioni elementari per un normale sviluppo del bambino; - Balint: parla di come le cure insufficienti della madre cerino un difetto di base che consiste in una fragilità dell’Io. 4. Teoria dell'Attaccamento (Bowlby): Bowlby elabora la teoria dell’attaccamento che riguarda la separazione del bambino dalla madre. Se il rapporto tra i due subisce una qualche lesione, tutto ciò avrà delle conseguenze sulla formazione del carattere dell’adulto. Se invece la relazione di attaccamento risulta essere positiva, sarà per il bambino una solida base che gli permetterà di sperimentare il mondo esterno, e di tornare ad essa nei momenti di difficoltà. Il comportamento di attaccamento rimane attivo lungo tutto il ciclo di vita ma le figure di attaccamento cambiano e si diventa sempre più indipendenti rispetto ad esse. Il matrimonio può essere letto come una relazione di attaccamento. La qualità della relazione di attaccamento funge da stampo per le relazioni affettive future. Bowlby inoltre specifica che l’attaccamento nasce da un istinto primario relativo alla sopravvivenza, dato che il neonato non è in grado di diventare autonomo per un certo numero di anni e quindi cerca istintivamente la vicinanza con una figura che può invece prendersi cura di lui. 5. Modello Interpersonale (Sullivan): i maggiori neofreudiani sono Sullivan e Fromm che, più di tutti gli altri, si sono occupati dell’universo relazionale. Influenzati dalla sociologia e dall’antropologia, affermano che l’uomo è un essere sociale che cresce in interazione con la comunità con cui vive e, per questo, la sua personalità non può essere studiata e conosciuta se estrapolata dal suo contesto sociale. In particolare Sullivan afferma che lo sviluppo del bambino dipenda sostanzialmente dal suo bisogno di essere approvato dalle persone per lui significative che lo circondano, in modo da interiorizzare un senso di sicurezza. Se tale approvazione non c’è, il bambino prova un malessere che lo porta a costruire un sistema del Sé caratterizzato dall’angoscia di base e ad attuare un sistema difensivo evitante. Le Ricerche sulla Famiglia in Psicologia Sociale In psicologia sociale la famiglia è stata studiata come modello paradigmatico del piccolo gruppo, concetto che nasce dalle teorie di Lewin. Egli parlava della Teoria di Campo affermando che l’individuo è collocato al centro di un campo di forze ambientali che lo modificano e che, contemporaneamente, egli modifica. Il comportamento del soggetto è quindi il risultato dell’interazione tra fattori personali e fattori ambientali. Il gruppo è un’entità fondata sull’interdipendenza dei suoi membri e non sulla somiglianza di caratteristiche comuni, ed è di più della somma delle parti, in quanto rappresenta una totalità dinamica, in cui il cambiamento di una parte modifica l’intera totalità. In questo modo, però, alla famiglia non veniva riconosciuta la sua specifica entità, i suoi comportamenti abituali e la caratteristica che tutti i membri condividono una storia comune. E' quindi stato Asch (1955) a cominciare a parlare delle specifiche caratteristiche della famiglia, menzionando l’interazione basata sulla reciprocità e il tipo di rapporti face-to-face, e da quel momento la famiglia è stata considerata come l’emblema del gruppo naturale o primario, con una sua storia, una sua struttura e dei suoi fini specifici. L'Incontro della Famiglia con la Teoria dei Sistemi Rispetto alla Teoria dei Sistemi bisogna considerare alcuni elementi: 1. Teoria Generale dei Sistemi di Von Bertalanffy: secondo tale teoria ogni organismo è un Sistema, inteso come una totalità composta di parti interagenti tra di loro e tendenti all’equilibrio. Tra le parti c’è un rapporto circolare cosicché il cambiamento di una influenza tutte le altre. Si passa così dal vecchio modello causale lineare, basato su causa-effetto, a quello circolare. Per comprendere ogni organismo bisogna quindi guardare alla sua complessità, alla sua totalità e alla sua organizzazione; 2. Cibernetica (Wiener): principio cardine della cibernetica è quello di feedback e retroazione, secondo il quale una parte dei dati in uscita da un sistema aperto rientrano nel sistema sotto forma di informazioni riguardo all’uscita dallo stesso sistema. Tale retroazione sarà negativa quando tende a mantenere l’equilibrio interno del sistema e positiva quando tenderà a modificare l’equilibrio portando cambiamento e sviluppo. La famiglia può essere considerata un sistema aperto in continuo scambio con l’ambiente. Il concetto di retroazione si ritrova anche nella comunicazione tra i membri della famiglia dove, a ciò che viene comunicato da parte dei un membro, corrisponde sempre un messaggio di ritorno da parte degli altri che tende a modificare il comportamento dell’emittente; 3. Bateson e il Gruppo di Palo Alto: è stato il gruppo di Paolo Alto, capeggiato da Bateson, ad introdurre nella psicologia della famiglia i principi della cibernetica. Bateson afferma che quando gli individuo si mettono in comunicazione rivelano informazioni su se stessi, sulla propria identità e sul proprio modo di vedere quella relazione. Il problema nascerebbe però dalle Comunicazioni a Doppio Legame, in cui il contenuto della comunicazione è paradossale e contradditorio, le quali sarebbero responsabili di disturbi psicologici più o meno gravi. Verso un Approccio Sistemico-Relazionale alla Famiglia Verso gli anni '60 si delinea un vero e proprio movimento di ricerca e terapia familiare che però si compone di due Filoni Separati: 1. Sistemici (o puristi del sistema): concentrano la loro attenzione sulle interazioni familiari nel qui ed ora e, in particolare, si occupano delle famiglie a transazione schizofrenica, ossia quelle con uno stile di interazione rigido, basato su una retroazione negativa e quindi su un’assenza di cambiamento. Guardano esclusivamente al qui ed ora delle relazioni, in modo meccanicistico, senza prestare attenzione ai processi mentali, al loro sviluppo e alle storie individuali che hanno portato a quelle relazione. Sostanzialmente guardano alla relazione del presente nel suo manifestarsi, senza coglierne il fattore evolutivo, il suo sviluppo e quindi la sua proiezione verso il futuro. Il lavoro di ricerca si basa su un osservatore assolutamente esterno al sistema proprio per non interferire con le relazioni e poterne avere una visione più chiara; 2. Sistemico-Relazionali: incentrano la loro attenzione sulle relazioni familiari, ossia su ciò che emerge dal presente ma è legato alla soggettività degli individui e della storia che hanno condiviso. Si guarda ai legami familiari come costituitisi dalla messa in comune di significati nati dall’interazione. Si guarda quindi al qui ed ora ma come risultato di ciò che è stato in passato. L’osservatore è assolutamente partecipane in questo scambio relazione, e questa è una scelta ma anche un’opzione obbligata. L’osservatore, infatti, per il solo fatto di osservare influenza il sistema. Tale considerazione nasce dalla Cibernetica di Secondo Ordine teorizzata da Von Foerster (1982). Va infine notato che il primo psicoanalista aderente a questa corrente, il quale stabilirà le basi per la terapia familiare, fu Nathan Ackerman con il suo testo "Psicodinamica della Vita Familiare" (1958). L'Attenzione ai Processi Evolutivi della Famiglia Da tutti gli approcci prima descritti nasce la Prospettiva Sistemico-Relazionale che guarda alla famiglia con una concezione evolutiva allo scopo di definire le capacità trasformative della famiglia stessa. Centro di interesse, infatti, non è più la famiglia disfunzionale ma quella normale. L’obiettivo è quindi quello di individuare gli indici di normalità, in modo da lavorare anche ad un aspetto preventivo e promozionale per il benessere della famiglia. La comprensione di cos’è che favorisce o interferisce nelle capacità della famiglia di modificarsi sta alla base degli studi di due Orientamenti Diversi, che partono da punti di vista differenti e poi finiscono per convergere in un ulteriore modello: 1. Family Stress: si basa sullo studio dei cambiamenti imprevisti. Il primo modello fu il “ABCX” elaborato da Hill (1949) dove per X si intende la crisi, per A l’elemento stressante causa della crisi, per B la capacità della famiglia di trovare risorse e per C la definizione che la famiglia dà all’evento stressante. La famiglia quindi reagisce alla crisi cercando un nuovo adattamento che consiste in una fase di disorganizzazione prima e di riorganizzazione dopo che porta al nuovo equilibrio. Tale evento critico non deve però essere sempre visto come negativo, dato che se la famiglia ha delle buone risorse, il mettere in atto strategie per superare la crisi può aiutarla a raggiungere un grado di equilibrio migliore superiore e quindi aiutare la sua evoluzione. McUbbin e Patterson (1981), partendo da queste basi, crearono il FAAR Model, secondo cui la famiglia attraversa tempi di funzionamento ed adattamento diversi intervallati da periodi di crisi funzionale al suo sviluppo. In questo modello le modalità per far fronte alla crisi sono: - assimilazione; - evitamento; - eliminazione. La vera crisi si ha invece quando le risorse della famiglia non sono sufficienti per superarla; 2. Approccio dello Sviluppo: è un approccio evolutivo e si basa sui principali eventi prevedibili, come ad esempio la nascita di un figlio. Si guarda quindi al Ciclo di Vita della Famiglia che viene intesa come un’entità unitaria ma composta da personalità differenti interagenti tra di loro. Inizialmente ci si concentra su compiti individuali di genitori e figli, poi Duvall e Hill (1950) cominciarono ad individuare dei precisi stadi evolutivi appartenenti all’intera famiglia; 3. Modello di Olson (1990): nel tentativo di integrare i due modelli prima proposti, Olson crea il MASCH Modell (Multisystem Assessment of Stress and Health), il quale si basa sui costrutti di stress, risorse di coping ed adattamento della famiglia, prendendo in esame l’individuo, la coppia e la famiglia intera. Lo scopo è quello di osservare le varie situazioni, eventualmente stressanti, da tutti i punti di vista e dimostrare come un evento stressante può essere più facilmente superato grazie alla vicinanza emotiva, alla flessibilità delle regole e alla capacità comunicativa. CAPITOLO 2 - L'IDENTITA' DELLA FAMIGLIA Famiglia e Forme di Vita Familiari Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è affatto semplice dare una definizione di Famiglia e quindi individuarne una specifica identità. Essa è infatti imprescindibile dal contesto geografico e storico in cui è inserita, poiché si modifica di pari passo con le trasformazioni economiche, sociali e culturali. Per comprendere cosa sia la famiglia oggi bisogna considerare: 1. Famiglia Postmoderna: se la famiglia moderna si basava sul perfetto connubio tra amore e matrimonio, con una forte attenzione e cura per i figli, dagli anni '70 si assiste ad una diminuzione del numero di matrimonio e ad un innalzamento di quello dei divorzi. Nascono quindi nuove forme di famiglie non basate sul matrimonio, dove il sentimento amoroso e la qualità della relazione, al contrario, giustificano la separazione della coppia in assenza di requisiti essenziali. Tale famiglia nasce in base ad alcuni cambiamenti: - Cambiamenti Socio-Economici: l’industrializzazione avanzata, lo stile di vita nelle città e l’ingresso della donna nel mondo del lavoro; - Cambiamenti Culturali: declino dei valori religiosi tradizionali, pluralità ideologica e affermazione dell’ideale romantico dell’amore. In Italia questi cambiamenti sono arrivati ma in maniera pacata e ridotta anche a causa di una maggior presenza e forza del modello religioso tradizionale. Si assiste quindi ad una diminuzione dei matrimoni anche se le coppie sposate rimangono comunque il modello di riferimento, diminuisce il numero dei figli ma le coppia ne hanno almeno uno, i figli rimangono più a lungo in casa dei genitori e dopo la separazione non si ricreano sempre nuove famiglie. 2. Pluralità delle Forme Familiari: basandosi sulla categorizzazione usata in sociologia e sul concetto di Household (aggregato domestico), le famiglie possono essere distinte in: - Famiglia Allargata: composta da più generazioni, essa corrisponde alla famiglia tradizionale che però è sempre più in diminuzione. Oggi si assiste piuttosto al fato di vivere in case separate ma vicine tra di loro in modo da non perdere i legami; - Famiglia Nucleare: composta dai coniugi e dai loro figli. E' la più diffusa; - Famiglia con Coniugi senza Figli: composta dai soli coniugi. I tre casi possibili sono una coppia anziana i cui figli sono andati via, una coppia giovane ancora senza figli o una coppia che non vuole o non può avere figli; - Famiglia di Fatto: si basa solo sull’unione civile e non sul matrimonio. La loro legittimazione si basa quindi solo sulla convivenza. Legislativamente solo recentemente tale unione è stata presa in esame e il figlio naturale viene riconosciuto alla pari di un figlio legittimo; - Famiglia Monogenitoriale: composta da un solo genitore e i figli. Le cause possono essere diverse, ma oggi la principale è il divorzio; - Famiglia Ricomposta: caratterizzata dalla presenza di figli nati da una precendente unione. Caratteristica principale è quindi il fatto che la coppia coniugale non coincide con la coppia genitoriale; - Famiglia Multietnica: nata dall’unione di due individui di culture differenti; - Famiglia Immigrata: famiglia che vive in un paese diverso rispetto a quello delle proprie origini e caratterizzata da un particolare modo di adattarsi alla nuova cultura; - Famiglia Adottiva: presenza di uno o più figli adottivi. Si parla di famiglia adottiva poiché l’adozione riguarda l’intero sistema familiare; - Coppie Omosessuali: caratterizzate dalla convivenza di due soggetti dello stesso sesso. Legalmente vengono riconosciuti ancora meno delle famiglie di fatto poiché non corrispondono al modello ideale della famiglia procreativa; - Famiglia Unipersonale: è un concetto paradossale di famiglia poiché comprende un singolo individuo che evidentemente non condivide il proprio tetto con nessuno. Lo Specifico della Famiglia Nonostante l’eterogeneità dei tipi di famiglia è necessario, in ambito scientifico, individuare gli elementi che caratterizzano il concetto di Famiglia per non rischiare che esso rimanga un qualcosa di vago e quindi non indagabile scientificamente. Oggi si tende quindi a pensare che gli elementi costitutivi della famiglia interagiscono con l’ambiente e che da tale relazione possano nascere poi i diversi tipi di famiglia. L’obiettivo è quindi capire cosa ci sia alla base. Una prima importante definizione del concetto di famiglia viene data all’interno del modello relazionale-simbolico proposto dalla Scabini (1995) che considera la famiglia come quella specifica e unica organizzazione che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano, quella tra i generi, tra le generazioni e tra le stirpi e che ha come obiettivo e progetto intrinseco la generatività. Rispetto a questa definizione bisogna quindi considerare: 1. Spazio di Incontro delle Differenze: le differenze, secondo Scabini, sono rilevabili in: - Tra i Generi: la famiglia si basa sula coppia che è composta da individui di genere differente e per questo complementare. Tale differenziazione riguarda anche i figli che all’interno della famiglia sviluppano la propria identità di genere, imparano i ruoli e le rappresentazioni sociale legate al proprio sesso; - Tra le Generazioni: nella famiglia convivono almeno due generazioni, quella dei genitori e quella dei figli, che sono inevitabilmente in comunicazione e continuo confronto. Il divieto dell’incesto pone questo confine netto ed invalicabile tra le generazioni che non devono mai essere confuse; - Tra le Stirpi: nella famiglia si uniscono la stirpe materna con quella paterna e le loro relative caratteristiche. Il riconoscimento di tali differenze è importante soprattutto nelle famiglie multietniche. 2. Generatività: con questo termine non si intende soltanto la procreazione vera è propria ma anche la produttività e creatività spirituale. Una famiglia può essere quindi procreativa anche se adotta un figlio o lo prende in affidamento. I Livelli di Scambio Lo scambio della famiglia, prima citato, avviene su tre Livelli: 1. Livello Interattivo: per interazione si intende l’azione reciproca che si stabilisce tra due o più persone in una precisa sequenza. Riguarda la dimensione spaziale del qui ed ora ed è caratterizzata dal’influenza che ogni interlocutore esercita sugli altri. Attraverso la dimensione interattiva la famiglia determina la sua struttura, fatta di ruoli, gerarchie e confini. Il vantaggio consiste nell’osservare le condotte dei familiari mentre lo svantaggio riguarda l’impossibilità di valutare la qualità dei legami tra di essi; 2. Livello Relazionale: riguarda la dimensione temporale. Per relazione si intende tutto ciò che fa parte della famiglia, del suo vissuto, della sua storia e di tutto ciò che ha acquisito e sviluppato con il tempo. La famiglia, infondo, si regge soprattutto sulla comunanza di una storia che ne stabilisce l’identità. Ogni soggetto, anche inconsciamente, è influenzato dalla storia della propria famiglia e l’interesse è quindi quello di ricostruire tale storia per individuare i tipi di relazione. I legami che caratterizzano la famiglia a livello relazionale sono: - Legame Coniugale: è il legame fondamentale su cui si fonda e viene creata la famiglia, dato che costituisce l’unione delle due stirpi dei coniugi; - Legame tra Fratelli: è un legame importante è indissolubile. Prevede sempre e comunque una gerarchia legata all’ordine di nascita, al sesso e alla rappresentazione culturale legata a questi aspetti. L’importante è che tali distanze non diventino troppo rigide. Tale legame può essere vissuto sia come competizione che come collaborazione; - Legame Intergenerazionale: è il legame con le generazioni passate e future. In realtà tale legame va anche oltre e lega a generazioni passate che inconsciamente ci si porta dentro; - Legame tra Famiglia e Comunità. 3. Livello Simbolico: la dimensione simbolica è la struttura invariante che attraversa le diverse forme storiche di famiglia ed è specie-specifica, cioè tipica della specie umana e della sua cultura. In sostanza la dimensione simbolica riguarda la matrice culturale del concetto di famiglia e quelle rappresentazioni mentali universali attribuite a tale costrutto. La dimensione simbolica recupera, quindi, i significati attribuiti alla dimensione familiare, e i figli ricevono tali matrici simboliche sotto forma di dono da parte dei loro genitori. Tra essi si trovano: - Matris Munus: è il dono materno, il dare la vita e garantirla. La madre garantisce la qualità affettiva sotto forma di speranza e fiducia; - Patris Munus: dono paterno, relativo ad un compito, alla sua responsabilità della trasmissione dei beni, del riconoscimento e del senso di appartenenza. In questo modo il padre dona la qualità etica sotto forma di giustizia e lealtà. CAPITOLO 3 - PROCESSI INTERATTIVI E RELAZIONALI NELLA FAMIGLIA La Famiglia come Sistema Dato che secondo la Prospettiva Sistemica la famiglia è un Sistema Aperto in constante interazione con l'ambiente, bisogna analizzare le principali Proprietà dei Sistemi Aperti: - Totalità e non-Sommatività: il cambiamento di un membro modifica ed investe tutti gli altri. La famiglia non è semplicemente la somma dei sui componenti ma riguarda soprattutto la loro interazione, quindi non basata studiare singolarmente le caratteristiche di ogn'uno; - Causalità Circolare: la comunicazione all’interno della famiglia non è mai univoca ma reciproca. Ogni comportamento è causa ed effetto di qualcos’altro. Non si sta però parlando di una causalità lineare ma di una circolare dove le cause e gli effetti di un comportamento possono essere varie e diverse; - Equifinalità: se nei sistemi chiusi le condizioni finali sono dettate dalle condizioni iniziali, nei sistemi aperti le condizioni iniziali non per forza determinano una specifica condizione finale. Possono esserci famiglie con condizioni diverse che arrivano a conclusioni uguali e viceversa; - Omeostasi: tendenza del sistema familiare a mantenere la sua coesione e stabilità. Nasce da una retroazione negativa in cui le informazioni contribuiscono a mantenere saldo l’equilibrio e la stabilità della famiglia senza creare cambiamento; - Morfogenesi: nasce da una retroazione positiva dove i dati che ritornano spingono il sistema a creare un nuovo equilibrio adattivo che però porta la famiglia ad un livello organizzativo superiore e più evoluto. La Struttura Familiare Minuchin (1974), uno dei pionieri della terapia familiare, afferma che la famiglia è un sistema con una propria struttura. La Struttura Familiare è considerata come l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono. Tra i membri si vengono a creare dei modelli transazionali stabili che servono al sistema per conservare la propria identità e resistere al cambiamento non funzionale. L’osservazione delle transazioni permette l’individuazione della Mappa della Struttura Familiare composta da: 1. Sottosistemi: hanno specifiche funzioni e nascono in base a specifiche caratteristiche come l’età e il sesso. I sottosistemi specifici di ogni sistema familiare sono: - Sottosistema Coppia: composto da due adulti di sesso opposto che si uniscono allo scopo di formare una famiglia. La sua funzione riguarda lo stabilire un rapporto complementare di reciproco accomodamento e sostegno, nonché la creazione di difese per proteggersi dalle intrusioni di figli, suoceri o amici. Un buon funzionamento del sottosistema coppia e della loro non intrusione serve ai figli per costituire un proprio modello di interazione uomo-donna, di rapporti intimi, di espressione di affetto e di gestione del conflitto; - Sottosistema Genitoriale: si costituisce nel momento in cui nasce il primo figlio e svolge la funzione di nutrizione, accudimento e socializzazione del bambino. Ovviamente i compiti cambieranno in base all’età dei figli e delle loro richieste. Grazie a tale sottosistema i bambini impareranno a gestire la negoziazione in una situazione di potere sbilanciato; - Sottosistema Fratelli o Sorelle: i figli sviluppano un legame orizzontale che deve essere protetto dall’intrusione di altri, soprattutto dei genitori. Serve ad accrescere la prioria autonomia e ad individuare i propri interessi. E’ una palestra per sperimentare la negoziazione, la cooperazione e la competizione. 2. Gerarchie e Confini: in ogni sistema familiare esistono specifiche gerarchie che in terapia devono essere assolutamente individuate. La gerarchia nasce dalla differenziazione delle funzioni e dal riconoscimento reciproco delle personali competenze specifiche che facilitano il buon funzionamento familiare. Importanti è la definizione chiara dei confini e quindi dei ruoli, che fanno parte del sistema gerarchico, dato che permette un buon funzionamento perché ogn'uno sa esattamente cosa e come deve svolgere il proprio compito. I confini possono essere rappresentai lungo un continuum che va da quelli Rigidi a quelli Diffusi, dove al centro si individuano i confini Chiari. Minuchin, giungendo ad affermare che uno dei parametri per valutare la funzionalità di una famiglia stia nella chiarezza dei suoi confini, individua quindi tre Tipologie Strutturali di Famiglia: - Funzionale: i confini dei sottosistemi sono chiari, non ci sono interferenze ma c’è comunque un certo scambio tra i sottosistemi a seconda del ruolo che si svolge in quel preciso momento; - Invischiate: confini molto diffusi, con le differenziazioni tendono a scomparire. Non ci sono segreti, l’emozione provata da uno è provata da tutti e i legami sono molto stretti. I membri non hanno una visione differenziata di sé rispetto agli altri e tendono ad evitare il cambiamento e rimanere in una condizione di stasi; - Disimpegnate: confini molto rigidi che non permettono un passaggio di comunicazione o emotività. Apparentemente i membri sembrano molto autonomi ed indipendenti ma in realtà non possono esserli perché non hanno potuto sperimentare la dipendenza da cui si genera l’indipendenza. Un altro elemento per definire la struttura familiare sono gli Schieramenti, ossia come le persone si posizionano rispetto agli altri nel momento in cui si presenta un conflitto. Minuchin ha individuato tre tipologie di Schieramento Disfunzionale: - Coalizione: due o più persone che creano un rapporto di solidarietà per andare contro una terza. Differente dall’alleanza che si basa sull’affinità ed un rapporto funzionale. Un esempio è il genitore che coalizza con il figlio contro l’altro genitore; - Triangolazione: una persona viene messa in mezzo da altre due che sono in conflitto e che chiedono di essere appoggiate. E’ il classico caso dei genitore che litigano e che pretendano che il figlio prenda una posizione; - Deviazione: due persone in disaccordo che orientano il loro conflitto verso un terzo. L’esempio è quello che genitori in conflitto che per salvaguardare il loro rapporto di coppia deviano la loro rabbia nei confronti del figlio che viene ritenuto la causa della crisi. Modelli di Funzionamento Familiare Negli anni ’80 nacquero i primi modelli di funzionamento della famiglia proprio alla scopo di creare una base comune per creare progetto di ricerca o interventi veri e propri. Tali modelli nascono dall’interesse per la famiglia normale e non quella disfunzionale. I due principali Modelli Multidimensionali sono: 1. Modello circonflesso di Olson (1983): si basa su tre dimensioni: - Coesione (asse orizzontale): basata sul legame emotivo, segue un continuum che va dal disimpegno, alla separatezza, alla connessione e fino all'invischiamento; - Adattabilità (asse verticale): riguarda la capacità di essere flessibile rispetto a regole, ruolo e compiti evolutivi. Può essere rigida, strutturata, flessibile o caotica; - Comunicazione (dimensione facilitante della coesione): può essere positiva o negativa. L’intreccio delle due dimensioni da vita a sedici tipologie di famiglia di cui: - 4 Famiglie Estreme: risultato dell’incrocio dei due poli estremi delle due rispettive dimensioni di coesione e adattabilità. Sono tipologie di famiglia disfunzionale, carenti sia nell’autonomia che nelle capacità organizzative; - 4 Famiglie Bilanciate: risultano dall’incrocio dei punti medi o comunque più vicini alla media delle due rispettive dimensioni. Sono tipologie funzionali poiché presentano differenziazione ma senso di appartenenza e legame affettivo forte; - 8 Famiglie Intermedie: occupano le posizioni intermedie rimaste e per questo motivo sono famiglie più o meno funzionali, con qualche carenza o sofferenza ma superabile e comunque non grave. Barnes e Olson (1984) hanno anche creato uno strumento, il PACS, per valutare la comunicazione tra adolescente e genitori; 2. Modello di Beavers (1977): è un modello bidimensionale che classifica le famiglie in relazione a: - Stile (asse verticale): stimato in base ad un continuum che va dalla stile centripeto a quello centrifugo. In mezzo si trova lo stile Misto che, proprio perché si distanzia dagli estremi, appare come il più funzionale; - Competenza Familiare (asse orizzontale): si riferisce alla capacità della famiglia di adattare flessibilmente la propria organizzazione in base alle esigenze che si presentano di volta in volta. Dall’incrocio di queste dimensione vengono fuori nove tipologie di famiglia. Processi Comunicativi in Famiglia Il Gruppo di Palo Alto, nel tentativo di analizzare la Pragmatica della Comunicazione, ha individuato i Cinque Assiomi fondamentali (Watzawick, Beavin e Jackson, 1967): - Non si può Non Comunicare; - Nella Comunicazione umana esistono due livelli, Contenuto e Relazione; - La Natura di una Relazione dipende dalla Punteggiatura delle Sequenze di Comunicazione; - Gli essere umani comunicano sia in modalità verbale che in modalità non verbale; - Lo scambio comunicativo può essere Simmetrico o Complementare. Gli autori hanno anche individuato le Modalità di Comunicazione Disfunzionale e Patologica: - Squalifica: rispondere ad un messaggio in modo tale da ridurne o annullarne il valore. Per esempio rispondere ma senza rispondere alla domanda; - Disconferma: confermando o rifiutando il messaggio, comunque si dà una risposta. Con la disconferma non si risponde e si manda il messaggio “per me tu non esisti”; - Problemi di punteggiatura: i due hanno punto di vista diversi e creazione di punteggiatura differenti tanto che danno l’uno la colpa all’altro; - Difficoltà di Decodifica: spesso a causa dell’incoerenza tra comunicazione verbale e non verbale; - Escalation Simmetrica e Complementarietà Rigida: portare all’estremo questi due atteggiamenti, tanto che la simmetria diventa competizione e la complementarietà subordinazione di uno all’altro. La Prospettiva Trigenerazionale Tale Prospettiva Trigenerazionale osserva la famiglia sotto la dimensione storico-evolutiva, considerando: - generazione di figli e genitori (livello orizzontale); - relazione con la propria famiglia d'origine (livello verticale). Rispetto a questo approccio che considera più generazioni bisogna considerare: 1. Trasmissione Intergenerazionale: ogni famiglia scrive con il tempo una propria storia che verrà trasmessa alle generazioni future tanto da influenzare nel presente, anche se inconsciamente, i membri della famiglia. La trasmissione avviene per mezzo del linguaggio sotto tutte le sue forme possibili. Se la famiglia d’origine ha superato in maniera funzionale i suoi problemi e i compiti evolutivi incontrati, trasmetterà alle generazioni future il proprio sapere sotto forma di risorsa. Se invece non è riuscita nel suo compito evolutivo di adattamento trasmetterà un vincolo, che si spera sia rivolto dalla generazione successiva. In terapia è quindi essenziale ricostruire la storia familiare e rendere consapevoli i pazienti dei vincoli inconsci che li influenzano, in modo da poter risolvere da soli tale ostacolo. Di per sé, il concetto di trasmissione implica la risoluzione del problema dovuta alla rielaborazione insita in tale termine mentre, al contrario, il termine Passaggio indica un semplice spostamento. 2. Miti, Storie e Rituali Familiari: bisogna considerare: - Miti: sono delle credenze condivise da tutti i membri della famiglia che, tramandati insieme alle storie e ai rituali, vanno a formare la specifica cultura di una famiglia. I miti riguardano i ruoli familiari e le relazioni tra parenti, e rappresentano una chiave di lettura e di interpretazione di tutta quella che è la realtà familiare. Costituiscono una sorta di linea guida per tutte le situazioni più importanti, soprattutto quelle ambigue e problematiche come l’abbandono, la separazione e il lutto. Si parla di mito e non appunto di credenze perché non vengono discusse o sottoposte a verifiche; - Storie Familiari: sono l’insieme dei racconti, delle memorie e dei valori condivisi e trasmessi che permettono di riconoscere l’identità della famiglia. Il valore delle storie consiste nel connettere tempi, eventi e persone differenti, riportandoli ad un’unica identità, quella della famiglia. Le dinamiche relazioni presenti nelle storie sono poi quelle che si verificano nella realtà, proprio perché inconsciamente tramandate e messe in atto; - Rituali Familiari: sono azoni che ricorrono in tempi e luoghi prevedibili, legati a determinati eventi speciali (ad es. matrimoni, lutti, nascite e festività) oppure a situazioni di vita quotidiana (ad es. i pasti e il modo di salutarsi). Più che in altri aspetti è proprio nei rituali che si individua l’identità familiare, proprio per il fatto di avere un’immagine viva e diretta di una tradizione familiare. 3. Genogramma Familiare. Le Relazioni Familiari e il Contesto Socioculturale La famiglia viene influenzata dal contesto socioculturale in cui è inserita, e a sua volta influenza l’ambiente. Non è dunque possibile studiare le relazioni familiari a prescindere dal contesto. In tal senso, i modello di Olson e Beavers risultano riduttivi poiché si relazionano con un contesto generico e non con quello reale della famiglia. I Modelli che sembrano invece considerare meglio questi aspetti sono: 1. Modello Ecologico dello Sviluppo (Bronfenbrenner, 1979): l’individuo viene posto al centro di una figura composta a cerchi concentrici che rappresentano i vari sistemi relazioni del soggetto. I cerchi sono: - Mircosistema: è il sistema in cui il soggetto sviluppa legami intimi, come la famiglia; - Mesosistema: altri ambienti in cui il soggetto entra in contatto (ad es. scuola); - Esosistema: fatto da ambienti in cui l’individuo entra indirettamente in contatto; - Macrosistema: contiene tutti i sistemi relazioni. 2. Ecomappa (Hartman, 1978): si fornisce al soggetto un foglio bianco dove sono disegnati vari cerci vuoti. Quello grande e centrale corrisponde alla famiglia mentre gli altri sono altri sistemi in relazione con il soggetto. Si chiede quindi di inserire simboli, nomi e linee specifiche che chiariscono gli individui che fanno parte di tali sistemi e il tipo di relazione che si ha con essi. PARTE SECONDA FAMIGLIA, CICLO DI VITA E COMPITI DI SVILUPPO CAPITOLO 4 - IL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA Le Caratteristiche del Ciclo di Vita Familiare Il concetto di Ciclo di Vita è nato all’interno della ricerca e dello studio sull’individuo. In particolare, fu Erikson (1950) che suddivise l’intero arco di vita in otto stadi, caratterizzati ogn'uno da un conflitto o evento critico che deve essere superato per poter passare alla fase successiva. Ogni fase, quindi, è caratterizzata da un certo numero di compiti evolutivi che devono essere risolti per proseguire nel proprio sviluppo. Ogni fase prevede un cambiamento e in questo senso l’evento critico è una risorsa positiva e funzionale perché permette lo sviluppo del soggetto. Ad ogni stadio evolutivo corrisponde un bisogno emotivo individuale collegato ad una relazione significativa ed è interessante notare come nelle prime tre fasi del ciclo di vita dell’individuo sia la famiglia a rappresentare la relazione significativa. Con il tempo si è arrivati ad individuare anche un ciclo di vita della famiglia e ci si è resi conto di come quest’ultimo sia indissolubilmente legato al ciclo di vita individuale dei suoi membri. I cambiamenti che durante le fasi coinvolgono la famiglia sono: - Livello Individuale (cambiano i singoli membri); - Livello Interpersonale (cambiano le modalità di relazione); - Livello Gruppale (la famiglia può modificare il suo numero e la sua composizione); - Livello Sociale (cambiamenti economici e sociali dell’ambiente). Rispetto al ciclo di vita bisogna analizzare tre concetti interconnessi: 1. Fasi Evolutive: il ciclo di vita è scandito da un susseguirsi di fasi che la famiglia deve attraversare dalla sua formazione alla sua dissoluzione. Ogni fase è avviata da un evento critico che, se superato, porta la famiglia nella nuova fase caratterizzata da un determinato numero di compiti evolutivi, che devono essere anch’essi superati per poter continuare il percorso. Ciò che segna il passaggio da una fase all’altra è stato individuato in due fattori: - Ingresso/uscita di un membro della famiglia; - Età dei figli. 2. Eventi Critici: sono rappresentati dalle situazioni problematiche che, se superate, permettono il passaggio alla fase successiva. Essi richiedono una ristrutturazione della famiglia e delle sue relazioni. Tale crisi ha un valore positivo quando viene superata poiché crea sviluppo ed evoluzione della famiglia e ha valore negativo quando la famiglia non ha le risorse necessarie per superarla e quindi rimane bloccata nella situazione problematica con relativo mal funzionamento relazionale. Gli eventi critici possono essere suddivisi in due categorie: - Eventi Critici Normativi: sono quelli prevedibili, quindi quelle situazioni che la maggior parte delle famigli si aspetta di incontrare ed effettivamente attraversa(ad es. nascita dei figli, crescita e matrimonio); - Eventi Critici Paranormativi: sono quelli non prevedibili, gli imprevisti, come una malattia, una morte prematura o la vincita all’enalotto. Sono delle situazioni di forte stress sia perché sono appunto impreviste che perché si aggiungono allo stress provocato dagli eventi critici normativi. 3. Compiti di Sviluppo: sono i compiti evolutivi che l’intera famiglia deve svolgere per raggiungere la fase successiva. Anche se alcuni compiti evolutivi sono e devono essere svolti solo da un membro della famiglia, viene comunque coinvolta l’intera famiglia che comunque entra in relazione con quel membro che in quel momento si trova in difficoltà proprio perché sta cercando di risolvere il suo compito evolutivo. In generale, i compiti di sviluppo si riferiscono all’individuazione di ogni membro della famiglia e alla realizzazione di legami tra i membri sulla base di un reciproco riconoscimento e sostegno, soprattutto nei confronti dei più piccoli e deboli. Essi dipendono inoltre da tre ordini di Risorse: - Personali; - della Famiglia; - Sociali. L'Origine Storica del Concetto "Ciclo di Vita" Il concetto di Ciclo di Vita della Famiglia nasce all’interno dell’Approccio Evolutivo, interessato a definire i processi attraverso i quali la famiglia si sviluppa dalla sua nascita alla sua morte, con particolare attenzione ai cambiamenti prevedibili. Ogni autore propone la propria suddivisione instati. Le più importanti e conosciute sono: - Duvall (1957): individua 8 stadi suddivisi in base a 4 variabili: - presenza e assenza dei figli; - età del figlio maggiore; - grado di scolarità del figlio maggiore; - combinazione di età e status della coppia sposata. In ogni stadio è possibile individuare una particolare conformazione rispetto a tre dimensioni: - compiti e aspettative di ruoli dei genitori; - compiti e aspettative di ruolo dei figli; - compiti della famiglia in base alle norme culturali e al suo grado di crescita. - Hill (1977): tiene in considerazione un’ulteriore variabile, quella dell’interdipendenza tra le varie generazioni che compongono la famiglia. Ogni membro, infatti, è contemporaneamente impegnato in una relazione sull’asse orizzontale (come coniuge, fratello...) e in una sull’asse verticale (come figlio, genitore, nipote...). Gli stadi individuati sono 9, con l'inserimento della fase della Famiglia con Giovane Adulto. Il Modello di McGoldrick e Carter McGoldrick e Carter (1982) focalizzano il loro interesse nell’interazione tra individuo, famiglia e società. Affermano che il ciclo di vita familiare non può essere compreso se non inserito all’interno del proprio contesto sociale e culturale e in particolar modo lungo un asse temporale relativa sia al passato che al presente. Il passato rappresenta tute quelle caratteristiche ereditate dall’ambiente familiare, mentre il presente è il proprio modo di vivere la realtà e la famiglia. Gli assi di presente e passato, dunque, attraversano e possono essere studiate a livello individuale, familiare e sociale. I 6 Stadi di Sviluppo della Famiglia sono: - Giovane Adulto; - Formazione della Coppia; - Famiglia con Bambini Piccoli; - Famiglia con Adolescenti; - Famiglia in cui i Figli Adulti sono Usciti di Casa; - Famiglia Anziana. E' inoltre importante modificare il ciclo di vita familiare in base ai mutamenti storico-sociali. Le Microtransazioni di Breunlin Breunlin (1988) si oppone al modello del ciclo di vita familiare ritenendolo troppo riduttivo poiché riduce le possibilità di cambiamento alle sole situazioni di eventi critici. Breunlin afferma, invece, che i cambiamenti avvengono costantemente nella vita quotidiana e nei semplici scambi comunicativi. Per esempio, il bambino non passa dal gattonare al camminare, ma tale passaggio avviene gradualmente e per oscillazioni. Ogni tipo di comportamento di un membro della famiglia ottiene inevitabilmente una risposta, una risposta che rappresenta una precisa sequenza interattiva. Le Microtransizioni si sviluppano quindi secondo la Teoria dell'Oscillazione. Breunlin afferma, dunque, di non contestare totalmente il concetto di ciclo di vita, ma che il passaggio da una fase all’altra è più continuo di quanto possa sembrare. Disfunzioni e Sintomi nel Ciclo di Vita Non tutte le famiglie riescono ad affrontare i compiti evolutiti e gli eventi critici, tanto da poter superare solo in parte la fase o avere un vero proprio blocca evolutivo. Nel primo caso si andrà incontro ad una disfunzione dell’organizzazione familiare, nel secondo caso si andrà incontro ad un vero e proprio sintomo. In terapia familiare, di solito, si osserva la famiglia proprio nel momento di passaggio da una fase all’altra, ossia nei momenti più critici di riorganizzazione. Scopo del terapeuta è aiutare la famiglia ha completare i propri compiti, in modo che la disfunzione e il sintomo possano definitivamente abbandonarli poiché non esiste più la causa dello stress. Aspetti Critici nell’Attuale Contesto Socioculturale Rispetto all'Attuale Contesto Socioculturale si nota una certa confusione e insicurezza nell’individuarsi e costruire la propria vita. La famiglia di oggi è una famiglia maggiormente slegata dalle tradizioni e alle norme imposte dai genitori: ossia si è più liberi di scegliere alcuni aspetti della propria vita come e tale libertà di scelta, però, corrisponde anche ad un certo grado di insicurezza e responsabilità da assumersi, che non tutti riescono a gestire. Inoltre, si assiste sempre di più ad un impoverimento spirituale. Ci sono poi alcuni Aspetti Critici delle Fasi Evolutive: - Formazione della Coppia: progressiva fragilità della vita di coppia, aumento delle separazione e delle unioni di fatto; - Famiglia con Figli Piccoli: significativo calo delle nascite e moltiplicarsi del significati attribuito alla genitorialità che può essere desiderata, interrotta, negata e adottiva; - Famiglia con Figli Adolescenti: rilevanza della sfera materna ed affettiva rispetto alla sfera paterna normativa. In tal modo però, si impedisce una buona individuazione ed autonomia, anche emotiva, dei figli; - Famiglia con Figli Giovani Adulti: i tempi si allungano, per svariati motivi i figli rimangono a casa e si rallenta il momento in cui si caricano delle responsabilità da adulti; - Famiglia nell’Età Anziana: allungamento della vita con conseguente predominanza di soggetti anziani rispetto alle nascite. Tale fenomeno può modificare le dinamiche familiari in base a due fattori: - essere anziani ma costituire ancora una risorsa per la famiglia; - costituire una maggiore responsabilità per i figli a causa delle cure richieste. CAPITOLO 5 - LA FORMAZIONE DELLA COPPIA I Significati dello Sposarsi Lungo la Storia La storia della famiglia può permettere di individuare alcune fasi, legate ai significati attribuiti al matrimonio: - Matrimonio come Alleanza tra Gruppi: prima dell’età moderna il matrimonio era sostanzialmente un affare, una strategia per assicurarsi alleanze politiche ed economiche. Era soprattutto un fenomeno presente nei ceti aristocratici, ossia coloro che potevano permettersi di fare affari. Il matrimonio si basava esclusivamente sull’assicurazione l’eredità da parte del marito e la disponibilità della dote della moglie. I matrimoni venivano quindi stabiliti dal padre/padrone. Il matrimonio discriminava sia i differenti ceti sociali, che non potevano permettersi di fare affari visto il dislivello, ma anche i figli e le figlie all’interno di una stessa famiglia. La famiglia poteva permettersi di far sposare i figli o le figlie solo fino a quando aveva la disponibilità di un eredità o di una dota. Quando questa finiva, non poteva più sposare nessuno e la vita migliore che rimaneva era la vocazione sacerdotale; - Matrimonio nella “Famiglia Acquisitiva”: all’inizio dell’epoca moderna la famiglia era un’impresa, univa gli interessi dell’economia domestica con quelli della produttività dell’azienda vera e propria. Si trattava di famiglie allargate, numerose proprio perché ricoprivano tutti coloro che si occupavano dell’attività lavorativa. Il padre era l’amministratore assoluto. Progressivamente però, all’interno della società borghese si fa strada il concetto di Famiglia Acquisitiva che nasce proprio dalla separazione dell’economia domestica da quella dell’impresa familiare. La famiglia borghese diventa sempre di più una famiglia privata senza alcun interesse nel sociale. Si ridimensiona anche il numero dei familiari, fino ad arrivare ad una composizione nucleare dove ogni nuovo matrimonio dà luogo ad una nuova convivenza al di fuori della famiglia d’origine; - Matrimonio e Famiglia come Luogo degli Affetti e delle Relazioni Primarie: nella società postmoderna e postindustriale la famiglia diventa sempre di più un fatto privato. Inoltre, il maggiore accento sociale e culturale sulla soggettività fa si che la famiglia e il matrimonio diventino prima di tutto una fattore di realizzazione personale, per cui il partner si sceglie autonomamente e non in base alla fedeltà verso la famiglia d’origine ma verso se stessi e verso la propria felicità. La famiglia diventa il luogo della socializzazione e delle relazioni affettive primarie. L’amore come Legittimazione dell’Attuale Matrimonio La formazione della coppia si basa oggi sull’Ideale dell’Amore Romantico. Ciò significa che la coppia ha una sua autonomia rispetto ai parenti. La coppia deve quindi rispondere solo a se stessa e deve essere basata sulla parità dei coniugi e sulla reciprocità, soprattutto nel caso della fiducia. Il matrimonio è quindi legittimato dall’amore ma, proprio per questo, diventa molto più debole rispetto al passato. La coppia coniugale di oggi è inevitabilmente più fragile di quella di prima, proprio perché poggia di presupposti diversi che portano all’insicurezza: - ci si riferisce al proprio amore e alla propria felicità, che in passato non veniva presa in considerazione; - l’amore viene involontariamente idealizzato, così come la coppia che finisce per essere ricoperta di aspettative irreali, poi spesso disattese; - l’accresciuto bisogno di autoaffermazione è un punto cardine della cultura attuale, e porta a pensare al bene individuale e non a quello della famiglia; - la relazione è sbilanciata sul polo affettivo e non su quello etico. A tale fragilità i giovani rispondono con tanta paura che li porta ad evitare o a ritardare il matrimonio. Si tende quindi sempre di più a creare prima delle coppie di fatto, in modo che la convivenza possa testare la solidità della coppia o meno. Costruire l’Identità di Coppia L'obiettivo principale della prima fase del ciclo di vita della famiglia è costruire l’identità di coppia. I compiti evolutivi da portare a termine riguardano la relazione di coppia, la definizione dei confini con le famiglie d’origine e la relazione con l’ambiente esterno. Tale strutturazione dell'identità si basa su due prerequisiti fondamentali: 1. Scelta Inconsapevole del Partner: è la prima scelta del partner ed è legata alle proprie esperienze individuali e familiari, più specificatamente alla relazione vissuta con il proprio genitore di sesso opposto. Dicks (1967) individua due Modalità di Scelta: - Complementare: avviene per somiglianza rispetto al genitore di sesso opposto. Si è portati a preferire il partner in base alle proprie identificazioni originarie, proiettando su di lui la capacità di soddisfare i propri bisogni; - Per Contrasto: avviene per le differenze. E' comunque facile che tutte e due le modalità si integrino nella stessa persona, ed il messaggio è che si è portati a formare coppie in continuità con le esperienze vissute con i genitori, sopratutto nel soddisfare quei bisogni profondi a cui i genitori non hanno risposto. La scelta inconsapevole fa parte del processo di innamoramento e si fonda sull’idealizzazione di sé e dell’altro. Nell’innamoramento la coppia realizza il suo primo contratto o Patto Segreto, su basi inconsce e narcisistiche. Togliatti (2000) ricorre all’immagine dell’iceberg, in cui la parte emersa è costituita da norme esplicite e accordi consapevoli mentre la parte sommersa è fatta di vincoli non consapevoli di natura affettiva-emotiva; 2. Scelta Consapevole del Patner: la fase di innamoramento nel tempo perde la sua intensità, e la quotidianità svela l’illusione sottesa alla parte sommersa del primo contratto, mettendo in evidenza i limiti della coppia. All’illusione segue quindi la disillusione. Questa fase permette il passaggio dall’innamoramento all’amore. Una coppia funzionale gestisce tale situazione creando un nuovo patto, il secondo contratto funzionale o Patto Dichiarato, così chiamato poiché coincide con una scelta consapevole del partner in base alle sue vere caratteristiche. Questo patto è quindi intenzionale e interiorizzato da un punto di vista emotivo e cognitivo. Il matrimonio, quindi, è la testimonianza di tale unione e decisione davanti alla comunità. Inoltre, si basa anche su una precisa promessa e quindi introduce nella coppia quella componente etica e normativa che deve bilanciarsi con la polarità affettiva. Il nuovo patto dichiarato non sostituisce il primo, poiché la dimensione affettiva sottesa al patto segreto rimane fondamentale. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Coppia La relazione di coppia è il luogo di elaborazione ed integrazione dei diversi modelli di coppia appartenenti ai due partner tramandati dalle loro rispettive famiglie d’origine. Tutto ciò non viene fatto a tavolino, ma necessita di una lunga negoziazione e contrattazione che viene fatta pian piano nel quotidiano attraverso i problemi che sorgono. Gli Aspetti Principali riguardano: 1. Accordarsi sui Reciproci Ruoli e Funzioni: se in passato era più semplice perché ci si adattava ai ruoli imposti dalla cultura o dalla religione, oggi le cose sono più complicate, dato che la parità dei sessi e la sempre maggiore autonomia della donna, anche economicamente, portano la coppia a negoziare aspetti che prima non venivano neanche toccati. In realtà le ricerche dimostrano come le famiglie tradizionali abbiano una maggiore qualità nella relazione di coppia, proprio perché non devono affrontare determinate questioni e perché ognuno ha ben chiaro il proprio ruolo; 2. Comunicare Efficacemente: la continua contrattazione inevitabilmente diventa produttiva e funzionale se passa da una buona comunicazione. Per buona comunicazione non si intende soltanto il passaggio chiaro e non ambiguo del messaggio, ma anche la capacità dei coniugi di esprimere i propri sentimenti, pensieri e bisogni in modo che l’altro possa comprendere ed essere un sostegno ed un riconoscimento; 3. Gestire la Conflittualità: la coppia deve arrendersi all'idea che la conflittualità è un fattore assolutamente irriducibile della loro convivenza quotidiana, e che evitarla non è una buona strategia. Evitare il conflitto porta a tenersi tutto dentro, frenarsi fino a quando si può, solo che durerà poco e poi si esploderà e tutto sembrerà più ingigantito. La soluzione migliore è affrontare il conflitto in maniera costruttiva, non per avere ragione ma per trovare una soluzione, e soprattutto approntare un problema alla volta. Pensandoci bene, il conflitto è anche un modo per conoscersi meglio, conoscere i bisogni e le aspettative dell’altro e trovare una soluzione che porti benefico ad entrambi; 4. Elaborare un Progetto di Coppia: una coppia si sente veramente tale se ha un progetto e se si sente unita nella realizzazione e nell’apertura verso un terzo, che può essere un figlio o un progetto più ampio. Compiti di Sviluppo in Riferimento alle Famiglie d’Origine La formazione della coppia coinvolge anche le famiglia d’origine. Rispetto a questo bisogna considerare alcuni Aspetti Principali: 1. Integrare le Proprie Storie Familiari: per fondere due culture in una, come evidenziato da Whitaker (1999), le Modalità sono tre: - Negative: - negare la propria storia; - affermare la validità esclusiva della propria storia; - Positiva: continuare una narrazione iniziata a partire dalle proprie famiglie in modo creativo. Tener conto delle proprie storie serve alla coppia per rimanere legati alle proprie radici ma avere la possibilità di differenziarsi rispetto ad esse ed andare aventi nel proprio percorso di sviluppo; 2. Stabilire dei Confini con le Famiglie d'Origine: è importante che si crei un rispetto paritario e di reciproco rispetto, in modo che i legami intergenerazionali possano essere visti come delle risorse e non come dei limiti. In Italia tutto ciò è molto difficile, dato che esistono forti tradizioni familiari che legano stretti a sé i figli, la suocera che si intromette nella relazione di coppia e le eccessive ricorrenze che vedono riunita la famiglia. E’ importante che le due famiglie d’origine vengano trattate alla stessa maniera; 3. Costruire un Legame tra le Famiglie d'Origine: le famiglie d’origine dovranno costruire nuovi legami con nuore e generi, dato che tale relazione delle essere creata per riconoscere l’unione della coppia e darvi sostegno. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Comunità Sociale La coppia è inserita in un ambiente, in un contesto sociale e quindi è inevitabilmente portata a creare relazioni con esso. Gli Aspetti Principali sono: 1. Condividere tra i Coniugi le Reciproche Reti Sociali: prima di creare la coppia i due partner avevano sviluppato una rete relazionale. E’ importante che un buon numero di amicizie vengano condivise in modo da poter essere frequentate insieme poiché costituiscono un ulteriore sostegno e riconoscimento della coppia. E’ anche necessario, però, che alcune amicizie, come quelle di vecchia data, vengano conosciute ma non tanto condivise, in modo da rimanere una spazio privato di sfogo rispetto alla coppia, e quindi ad essa funzionale; 2. Definire dei Confini tra la Coppia e la Realtà Sociale: è altrettanto importante che la coppia crei una membrana protettiva, benché permeabile, per evitare che le attività esterne invadano, anche in termini di quantità di tempo, l’intimità e lo spazio della coppia. CAPITOLO 6 - LA FAMIGLIA CON FIGLI PICCOLI Il Significato dell'Avere Figli Lungo La Storia Rispetto al significato dell'avere figli esso è cambiato spesso nella storia della famiglia: - Figli nella Società Tradizionale: per molti secoli nelle famiglie il numero dei figli è stato legato all’alta mortalità infantile e delle donne durante il parto. Il numero dei figli nati e cresciuti non corrisponde sempre al numero dei figli che la donna ha voluto generare. Inoltre i figli rappresentavano una grande risorsa come forza lavoro da impiegare nell’azienda di famiglia, soprattutto per quelle famiglie molto povere. Per le famiglie aristocratiche invece i figli rappresentavano un ulteriore anello per creare alleanze economiche e politiche oltre alla perpetuazione del lignaggio; - Figli nella Società Moderna: con la sempre maggiore privatizzazione della famiglia, più basata sugli affetti che non sulle alleanze, la coppia genitoriale assume il ruolo di educatrice. Nasce la distinzione tra infanzia ed età adulta e il bambino viene ancora considerato una risorsa che però potrà essere sfruttata solo in futuro, dopo essere stata educata e istruita alla vita. L’infanzia, quindi diventa il luogo dell’educazione ma anche dell’affetto, ruoli svolti principalmente dalla madre che quindi viene già da giovane educata da sacerdoti e moralisti per assolvere tale compito una volta diventata madre. Nasca una maggiore responsabilità materna e diminuisce l’uso delle balie sia per l’allattamento che per l’affido dei figli. Nasce il senso di colpevolizzazione per non avere dato la giusta dose di attenzione e affetto. A questo si accompagna anche il periodo della Prima Rivoluzione Contraccettiva (coito interrotto); - Figli nella Società Contemporanea: i figli diventano sempre più una scelta. La procreazione viene volutamente ritardata per accogliere il nascituro in una situazione di coppia più stabile e genitorialmente più competente. E’ il periodo dell’attenzione ai bisogni e ai diritti del minore e dell’infanzia in generale, e quindi della procreazione responsabile. Poi c’è la procreazione come scelta pattuita che apre però anche un nuovo capitolo con le scoperte della medicina che hanno dato la possibilità di procreare anche a coppie in gravi difficoltà, facendo in modo che il figlio fosse veramente desiderato e che si mettessero in moto specifiche strategie per ottenerlo. Tale desiderio di avere un figlio porta con sé anche aspettative idealizzate, in cui il figlio è visto come una possibilità di autorealizzazione, tanto che spesso se ne rimane delusi. In una società in cui il rapporto di coppia e il matrimonio è così fragile l’investimento affettivo su un figlio sembra la soluzione più sensata e infallibile. Tipi di Genitorialità I due modelli interni alla cultura di Procreazione Responsabile e di Procreazione Scelta si intersecano dando vita a differenti equilibri individuabili in diverse Tipologie di Genitorialità: - Differita: consiste nel rimandare la nascita. Si ricollega all’idea del figlio come desiderio e realizzazione. La differita è spesso motivata dalla consapevolezza delle richieste qualitative e quantitative portate da una nascita e della necessità di essere abbastanza maturi, come coppia e come individui, per accogliere il nascituro. Spesso, però, nascondo anche una profonda paura di assumersi le responsabilità genitoriali; - A Tutti i Costi: in base al principio del desiderio, se un figlio è desiderato deve assolutamente nascere, anche se la coppia è sterile. Ecco che nascono e si diffondono sempre più le pratiche mediche di riproduzione e di fecondazione assistita. Spesso però sorge il doloroso scoglio del terzo incomodo, del donatore anonimo che comunque si sostituisce nella procreazione ad uno dei coniugi. La famiglia dovrà quindi vivere o con il peso o anche con il segreto di questo fattore nascosto; - Interrotta: l’aborto è comunque una manifestazione di scelta e desiderio. Esso è legato a dolorose situazioni problematiche affettivo-relazionali o di condizioni di vita disagiate. Sembrerà strano, ma sono in maggior numero gli aborti in famiglie che hanno già alcuni figli rispetto ai casi di nascite dovute ad una cattiva contraccezione. Il rischio consiste in un duro colpo per la coppia e per la famiglia che sembra essere appunto interrotta, per cui viene bloccato il mandato generazionale. Questo indebolisce molto la coppia; - Negata: altra scelta è quella di negarsi la genitorialità poiché in figlio non è visto come propria realizzazione ma come un limite alla propria libertà. Di solito la coppia non prende mai espressamente la decisione di non avere figli ma semplicemente rimanda all’infinito. Di solito sono famiglie in cui almeno uno dei partner è occupato in dalla propria attività lavorativa e non trova spazio per gli oneri della genitorialità. Il rischio per la coppia consiste nel chiudersi al suo interno; - Adottiva: oltre a includere il desiderio egoistico di un figlio, la genitorialità racchiude anche un desiderio altruistico. Adottare deriva dal latino desiderare per qualcuno. Il bambino viene preso in carico come bene di per sé, come un dono che viene fatto alla famiglia non creato dalla famiglia. I rischi sono legati al lungo iter che la coppia deve attraversare per ottenere l’idoneità, nonché l’ottenere il supporto delle famiglie d’origine e della comunità. Accogliere la Nascita del Primo Figlio Obiettivo principale di questa fase è il passaggio dalla diade alla triade familiare. La nascita del primo figlio implica una ridefinizione dell’identità di coppia per il passaggio dalla coppia coniugale a quella genitoriale. La nascita del primo figlio ridefinisce anche i legami e i ruoli, dato che mentre il matrimonio può permettere di sciogliere la coppia coniugale, la coppia genitoriale non potrà ma i essere sciolta, rimarrà tale per sempre, almeno in relazione al figlio. E’ logico che anche in questo caso, l’evento non riguarda solo la coppia ma anche le famiglie d’origine e la comunità. Rispetto alla Fase della Gravidanza bisogna considerare: - Relazione di Coppia: la gravidanza cambia la relazione di coppia per il semplice fatto che bisogna creare uno spazio fisico ed affettivo per accogliere un terzo. Tutto ciò porta ad una difficile riorganizzazione sia della relazione coniugale ma anche di se stessi. Innanzitutto a livello inconscio avvengono una serie di cambiamenti legati al fatto che bisogna spostare una parte delle cariche libidiche ed affettive dal partner al bambino. Inoltre, durante l’attesa, ogni genitore ripercorre la propria infanzia cercando di creare e rintracciare la propria identità come genitore. Se nella fase precedente si recuperava la relazione con il genitore di sesso opposto, ora si recupera l’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Anche in questo caso l’identificazione può essere comparativa o per contrasto. Questo processo permette ai due coniugi di differenziarsi ancora di più dalla propria famiglia d’origine e rintracciare il proprio modo di vivere la genitorialità. Le trasformazioni corporee permettono alla donna di partecipare immediatamente all’evento e a sviluppare il senso materno. L’uomo impegna più tempo anche perché l’unico modo che ha per mettersi in contatto con il bambino è attraverso una buona relazione affettiva e psicologica con la moglie. La donna subisce una vera e propria regressione nel momento in cui deve recuperare il ruolo materno, e all’uomo spetta un ruolo genitoriale nei suoi confronti, che però lo aiuta a rafforzare quello per il bambino. Gli uomini, inconsciamente, provano dei sentimenti non molto piacevoli nei confronti dell’unione profonda fra madre e bambino, per cui si sentono esclusi dalla moglie, inutili per il bambino o gelosi dell’amore che quest’ultimo riceve. E’ pur vero che bisogna stare attenti proprio a non intaccare lo spazio coniugale che deve comunque essere salvaguardato proprio perché funzionale e complementare a quello genitoriale. La famiglia nasce, quindi, da un complesso reciproco adattamento basato su una solida alleanza genitoriale. I risvolti psicologia della gravidanza possono, però, essere anche molto negativi, dato che l’uomo può sfogare la sua frustrazione e gelosia in una relazione extraconiugale e le donna può reagire a tali sentimenti negativi chiudendosi sempre di più nella relazione madre-bambino. La gravidanza potrebbe anche portare i coniugi in una relazione fusionale che viene però spezzata dal parto, per cui il bambino non viene riconosciuto perché è un terzo non desiderato all’interno della fusione di coppia, e comunque se ne accettano soltanto le parti che i coniugi hanno proiettato in lui. Per tutti questi motivi, è necessario che la gravidanza poggi su una base sicura, su un effettivo patto dichiarato, sul superamento dei compiti evolutivi della fase precedente e su una maturità personale. Coppie a rischio sono per esempio quelle che si sposano già in attesa di un figlio, proprio perché non hanno potuto superare la prima fase del ciclo di vita familiare. - Relazioni con le Famiglie d'Origine: la gravidanza porta in famiglia un clima di assoluta positività. E’ come se si creasse una sorta di tregua, come se si dimenticasse il passato in vista della bontà dell’evento atteso. Questo clima di pace è funzionale per la preparazione della ridefinizione di ruoli e legami che avverrà con la nascita. Di solito è la famiglia d’origine della moglie, e soprattutto la futura nonna, ad aiutare la coppia ad affrontare i compiti organizzati e a dare supporto emotivo. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Coppia I principali Compiti di Sviluppo della Coppia sono: 1. Ridefinire la Relazione Coniugale: al momento della nascita la coppia deve concretizzare quello spazio fisico ed affettivo preparato durante la gravidanza. E’ il momento di riorganizzare anche nella pratica la quotidianità della relazione, nella suddivisione dei ruoli e dei compiti. Inevitabilmente l’arrivo del figlio riaccende una serie di tensioni e conflitti nella coppia legati all’ansia dello svolgere il ruolo genitoriale, ma il bambino è anche una grossa risorsa per i coniugi, sia come individui che come coppia. Le coppie più in grado di superare i compiti evolutivi sono quelle in grado di dividersi equamente le cure del figlio. I maggiori conflitti derivano, infatti, dalle lamentele delle mogli che si occupano per la maggior parte del loro tempo dei figli senza avere spazio per se stesse o per il proprio lavoro; 2. Stabilire dei Confini tra il Sottosistema Coniugale e Genitoriale: altro importante compito di sviluppo è creare chiari confini tra la relazione coniugale e quella genitoriale. Tale distinzione è essenziale poiché un buon funzionamento della coppia coniugale porta benefico al bambino. Il problema sta nel fatto che la famiglia deriva da una lunga tradizione in cui la coppia è stata soprattutto una coppia educativa e genitoriale. Oggi, quindi, le giovani coppie devono conciliare il modello della coppia educativa con il contemporaneo modello della coppia basata sull’amore romantico. Importante è il concetto di Triangolo Perverso creato da Haley (1973), in cui un membro di una generazione forma una coalizione segreta con una persona di un'altra generazione (ad es. figlio che viene usato per screditare l'altro genitore); 3. Acquisire il Ruolo di Genitore: consiste nel prendersi cura delle generazioni più giovani. La funziona genitoriale comporta, sul versante materno, il dare affetto e contenimento e, sul versante paterno, l’offrire un orientamento alla crescita e il rispetto delle norme. E’ importante che ci sia un buon equilibrio tra queste funzioni così da non cadere nei casi estremi di iperprotettività o autoritarismo. Acquisire il ruolo genitoriale significare ridefinire la propria identità aggiungendo un nuovo aspetto. Il rapporto che il genitore instaura con il figlio è sempre influenzato dalla personalità del bambino e dal legame di quest’ultimo con l’altro genitore. Inoltre la relazione di attaccamento che il genitore crea con il figlio è influenzata dalla propria relazione d’attaccamento vissuta in infanzia che crea un modello operativo interno che guida il proprio modo di essere genitore. Di certo non si parla di assoluto determinismo anche perché le successive relazioni di attaccamento possono avere ambiato il modello interno relazionale della persona che può quindi essere molto diverso da quello infantile; 4. Contrattare uno Stile Genitoriale Comune: i genitori devono sempre e comunque contrattare uno stile genitoriale comune affinché le regole educative siano chiare e non ambigue. Sono tre i possibili stili educativi distribuiti lungo un continuum: - Autoritario: si danno regole e punizioni senza motivarle, una semplice imposizione. Il figlio cresce insicuro e incapace di scegliere autonomamente proprio perché non hanno avuto la possibilità di sperimentare, sbagliare ed imparare dalle proprie esperienze; - Permissivo: non si danno regole e punizioni, e quando lo si fa sono non chiare ed ambigue. Il bambino cresce ugualmente insicuro e incapace di scegliere cosa sia bene per lui; - Autorevole: si danno regole e punizioni ma con chiare motivazioni. Il bambino cresce sicuro e capace di gestirsi autonomamente e di riconoscere il valore delle regole. Compiti di Sviluppo in Riferimento alle Famiglie d’Origine Dovranno essere riorganizzate anche le relazioni con le famiglie d’origine perché anche loro costruiranno un legame affettivo con il bambino e acquisiranno un nuovo ruolo, quello di nonni. I due Compiti principali saranno: 1. Maggiore Reciprocità tra Neogenitori e Nonni: si deve realizzare un reciproco rispetto e comprensione tra neogenitori e nonni. Il ruolo svolto dai nonni nella vita del nipote deve però essere adeguatamente contrattato in modo che possa essere una risorsa positiva per la coppia a livello organizzativo e di sostegno, ma che non si sovrapponga al ruolo genitoriale; 2. Riconoscere i Reciproci Ruoli: altro aspetto importante è il riconoscimento reciproco del ruolo di nonno e di genitore. I nonni sono un supporto alla genitorialità dei figli, quindi è essenziale che innanzitutto riconoscano i propri figli come dei bravi genitori. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Comunità Sociale Rispetto alla Comunità Sociale il principale Compito è quello di Ridefinire i Rapporti di Amicizia e di Lavoro, dato che le reti sociali inevitabilmente si restringono riducendosi alle amicizie più intime che sono quelle che poi danno maggiore sostegno alla coppia anche dopo il parto. Il lavoro viene addirittura abbandonato per un certo periodo dalla donna e quindi deve essere assolutamente riorganizzato poi al suo rientro, così come si modificano le relazioni con i colleghi che potrebbero essere temporaneamente sospese. Le ricerche fanno notare come: - nelle coppie in cui entrambi i coniugi lavorano full-time ci sia un elevato supporto offerto sia dalle reti primarie che da quelle amicali; - nelle coppie monoreddito tale supporto diminuisce notevolmente poiché si pensa che la continua presenza della madre a casa basti per gestire la situazione; - nelle coppie in cui la donna lavora part-time si osserva un elevato supporto amicale legato al fatto che la madre si circonda delle amiche più intime; In tutti e tre i casi è la situazione della donna che stabilisce la tipologia di relazione familiare. In generale le reti sociali si restringono fino all’ingresso dei figli a scuola, quando invece si recupererà la vita sociale. Le Relazioni nella Famiglia con Bambini Rispetto alle Relazioni risulta necessaria una ridefinizione che riguarda vari aspetti: 1. Relazione Padre, Madre e Figli: il compito dei genitori è quello di educare i figli permettergli di diventare autonome capaci di gestire la propria vita, così come devono essere seguiti nel percorso di socializzazione. Anche se oggi si assiste alla presenza di una nuova figura paterna, sempre più presente e capace di essere un riferimento affettivo ed empatico, rimane comunque la madre la detentrice del ruolo relativo alle cure dei figli, ed è ancora lei a dedicare la maggior parte del suo tempo ai figli e a gestire la loro vita quotidiana. Nuove pratiche e nuove leggi hanno però aiutato i padri ad essere più presenti, sin dalla gravidanza (ad es. introduzione dei permessi di paternità); 2. Relazione della Coppia Genitoriale: è importante che la relazione coniugale sia buona affinché anche il rapporto dei genitori con i figli risulti positivo e il clima familiare accogliente. Vari studi mettono in evidenza come siano i padri ad essere maggiormente dipendenti dalla qualità della relazione di coppia; 3. Relazione tra Fratelli: è considerata il primo laboratorio delle relazioni con i coetanei, in cui si possono sperimentare differenti tipologie relazionali tra cui cooperazione, competizione e negoziazione. Ogni figlio, e quindi ogni fratello, assume un ruolo preciso all’interno della famiglia, caratterizzato anche dal’ordine di nascita, dato che lo spazio psicologico concesso e attribuito al primo figlio non sarà di certo uguale a quello del secondo, senza per questo creare una gerarchia affettiva decrescente. La famiglia, poi, può inconsciamente attribuire alcuni ruoli. E’ importante che tali ruoli siano flessibili e non rigidi, altrimenti potrebbero influenzare, anche in negativo, la formazione della personalità del figlio in base al ruolo che gli è stato attribuito. Il legame affettivo tra fratelli è caratterizzato da una forte intensità legata alla condivisione di esperienze di vita comune. Spesso ai fratelli maggiore viene assegnato un ruolo di aiuto-genitore, definibile come un ruolo adultizzante che, se ben gestito, più essere funzionale anche per il ragazzo. Quindi, se la famiglia è in grado di delegare al figlio solo aspetti organizzativi relativi alla cura dei fratelli minori e non quelli relativi alla loro educazione, il figlio adultizzato può sviluppare una positiva responsabilità ed autonomia utile per la sua crescita. Adler (1929) ha anche analizzato le Posizioni più significative dei figli: - Primogenito: dopo un periodo di in cui era figlio unico, tale bambino viene detronizzato dall'arrivo di un fratello. Cercherà quindi di attirare l'attenzione dei genitori per riprendere il suo posto, sviluppando sentimenti di rivalsa; - Secondogenito: non ha mai sperimentato la condizione di figlio unico, quindi cercherà costantemente di superare il fratello maggiore. Se vi riesce, il primogenito entrerà ancora di più in crisi; - Più Piccolo: se ha il vantaggio di non sentire la pressione di un fratello più piccolo di lui con cui confrontarsi, il rischio è però che non sviluppi un adeguata autonomia; - Figlio Unico: svilupperà meno capacità di cooperare con i pari, vista l'assenza di socializzazione con fratelli e sorelle all'interno della famiglia. Essendo l'unico in mezzo ad adulti rischierà inoltre di maturare troppo precocemente e di essere deluso nella vita, in quanto pensa che tutti si occuperanno solo di lui come i genitori. La Socializzazione del Bambino L'Itinerario di Socializzazione, il quale inizia in famiglia, segue alcune tappe: 1. Famiglia come Primo "Mondo Sociale": sin dalla nascita il bambino, secondo Bowlby, nasce predisposto ad interagisce con l’ambiente sociale in cui nasce e quindi, in primis, con la madre. La relazione di attaccamento è una strategia di sopravvivenza legata la ricerca della vicinanza di un adulto che si prenda cura di lui. Sin dalla nascita, quindi, il bambino sperimenta modalità relazionali che con il tempo affinerà. Molto importante è la capacità dei genitori, ma della madre in particolar modo, di decifrare i segnali del bambino, dato che il bambino interiorizzerà la ciclicità di tali risposte diverse e imparerà a modulare le sue forme di richiesta in base al bisogno che vuole realmente soddisfare. Il bambino diventa quindi capaci di autoregolare i suoi comportamenti in base ai feedback che riceve dal propri contesto. Inoltre, egli non impara solo a comunicare, ma anche sviluppare un senso si sicurezza e stima di sé legato al sentirsi accettato e sostenuto dal genitore. La famiglia assume un ruolo centrale nella socializzazione primaria, dato che permette al bambino di osservare ed interiorizzare quei comportamenti e quelle norme che regolano l’interazione tra i soggetti. Inizialmente, infatti, la famiglia funziona da filtro tra il bambino e il mondo esterno; 2. Mondo della Scuola: entrando nel mondo della scuola il bambino inizia la Socializzazione Secondaria dato che ha la possibilità di interagire con adulti diversi dai propri familiari e con coetanei diversi dai propri fratelli. La scuola è comunque un mondo protetto, un mondo intermedio rispetto alla comunità. Nella scuola il bambino sperimenta tipi di relazione, a livello affettivo e di sostegno, simili a quelli della famiglia ma con soggetti diversi. Compito della famiglia è quello di collaborare con la scuola, all’interno di un reciproco rispetto dei ruoli, per il benessere del bambino. Spesso, però, si creano Situazioni Disfunzionali legate ad alleanza tra due soggetti: - Genitore-Insegnante: si alleano nel punirlo per i suoi insuccessi, e il bambino si sente ancora più umiliato e solo; - Genitore-Bambino: il genitore non convalida le punizioni e le note delle maestre attribuendo a loro gli insuccessi del figlio, e quindi non rimproverando il figlio per la sua condotta poco seria; - Bambino-Insegnante: si alleano nel pensare che il figlio non sia abbastanza seguito dai genitori che sono la causa dei suoi insuccessi; 3. Relazioni con i Pari: per relazione con i pari si intendono tanti tipi di relazione. La caratteristica comune è che queste relazioni sono molto importanti perché gli permettono di acquisire la capacità di interagire con l’ambiente contrattando e sentendosi riconosciuto e accettato dagli altri. Le ricerche dimostrano che i bambini Popolari sono quelli socievoli, estroversi e non aggressivi, quelli Rifiutati non sanno interagire adeguatamente con gli altri e sono aggressivi e quelli Ignorati sono timidi, insicuri e poco assertivi. Esiste poi il fenomeno del Bullismo. Il bullo è un ragazzo che, per caratteristiche individuali e per uno sbagliato sistema d’interazione sociale, si comporta in modo prepotente mettendo in atto delle vere e proprie violenze nei confronti di un compagno-vittima che non sa ribellarsi e difendersi. Non è detto che il bullo abbia una patologia psicologica, spesso può solo essere un modo di reagire ad una situazione familiare poco accogliente dal punto di vista affettivo e caratterizzata da uno stile educativo permissivo o da un uso del potere coercitivo con scatti di ira e punizioni fisiche. Il problema è che si è provato come le vittime dei bulli sviluppino nella maggior parte dei casi dei problemi relazionali o dei veri e propri sintomi. Un altro aspetto di preoccupazione delle famiglie è il fenomeno del Ritiro Sociale, caratterizzato da ragazzi che si sentono rifiutati dagli amici, che hanno un maggiore interesse per gli oggetti che non per le persone, amano giocare da soli e utilizzano modalità relazionali maldestre. In base a tutti questi aspetti, risulta quindi evidente quanto sia importante il ruolo di sostegno della famiglia. CAPITOLO 7 - LA FAMIGLIA CON FIGLI ADOLESCENTI L'Adolescenza: Età Sospesa Il processo di industrializzazione dei paesi occidentali ha portato, nella prima metà del '900, ad intendere l’Adolescenza come la fase del ciclo di vita individuale in cui il ragazzo si prepara per passare all’età adulta. Non è facile individuare i limiti temporali dell’adolescenza. Di solito si fa cominciare con gli sviluppo biologici legati alla pubertà, nella fascia 9-14 anni, ma è importante che tale passaggio non sia vissuto solo in base ai cambiamenti ormonali ma soprattutto in base ai cambiamenti relazioni avvenuti nel proprio mondo esterno, sia con la famiglia che con gli altri adulti in generale e delle nuove aspettative di cui sono investiti. Rispetto alla sua fine, Freud parlava del passaggio all’età adulta nel momento in cu si diventava capaci di amare e di lavorare. Effettivamente nella nostra società il passaggio all’età adulta è segnato all’età di 18 anni, proprio il periodo in cui il ragazzo comincia a mantenere relazioni intime più stabili e significative ed entra i contatto con il mondo del lavoro. Il problema è che se a 18-20 anni si è psicologicamente maturi, tanto da assumersi impegni affettivi e lavorativi, non lo si è sicuramente da un punto di vista sociale. La maturità sociale si acquisisce con il tempo in base alle proprie esperienze che permettono di creare una propria identità. Per creare l’identità, quindi, l’adolescente dovrebbe sperimentarsi in ogni campo possibile per capire per cosa è più portato e dotato. Nella realtà dei fatti questo non avviene, e il suo unico luogo di sperimentazione è la scuola, che purtroppo fa ben poco. Gli adolescenti di oggi si trovano in una via di mezzo, ad avere un'identità imperfetta perché incompiuta, sospesi tra ciò che non sono più e ciò che non sono ancora. L’unico ambito che gli adolescenti possono sperimentare è il contesto delle relazioni primarie, ed è proprio per questo che aumenta la consapevolezza e la maturità rispetto al proprio futuro ruolo di partner e genitore. L'Attuale Famiglia Affettiva La marginalità sociale dell’adolescente è compensata da una famiglia che tende a proteggerlo al suo interno, fortemente sbilanciata vero la dimensione affettiva, ed è per questo che viene definita Famiglia Affettiva. Con il passare del tempo la famiglia è passata da un clima decisamente autoritario degli anni ’50, in cui la coppia genitoriale sentiva di detenere il potere, ad una maggiore apertura negli anni ’70 in cui il ragazzi hanno cominciato ad essere presi in considerazione come soggetti politici, soggetti pensati, capaci di esprimere la propria opinione e di criticare le istituzioni, smantellando il sistema gerarchico familiare. La famiglia affettiva di oggi è una famiglia che impone le sue regole in base al proprio amore e non alla paura della punizione. I genitori cercano di essere più comprensivi e attenti alle sensibilità dei ragazzi e i ragazzi cercano di comprendere le preoccupazioni dei genitori cercando di rispettare le loro esigenze, creando un rapporto maggiormente paritario. L’obiettivo è quello i fare i propri figli felici e fare in modo che la famiglia possa essere un’utile risorsa per le sfide evolutive dell’adolescenza. In questa tipologia di famiglia, la madre è la figura educativa centrale e quella che detiene un maggiore contatto con i figli. Il padre, invece, rimane una figura marginale, spesso vissuta come lontana e distaccata. La madre media la relazione tra figlio e padre soprattutto in presenza di conflitto. Le ricerca hanno dimostrato come i sentimenti provati dalla madre nella relazione con il marito sono molto simili ai sentimenti provati dal figlio nella relazione con il padre. La realtà, però, è che il padre, benché una figura periferica, è una figura spesso profondamente insicura, che vorrebbe un contatto con i figli ma non riesce a trovarlo, che dovrebbe essere simbolo di autorità e che invece cerca di diventare amico dei figli proprio per sentirsi da loro riconosciuto e voluto bene, in quanto ha bisogno dell’approvazione dei figli per sentirsi utile. Il padre è comunque una figura cruciale per il funzionamento della famiglia. Proprio per il suo essere distaccato e non eccessivamente coinvolto nella relazione con il figlio, può avere una visione più chiara e oggettiva degli eventi e di eventuali problemi dell’adolescente. I problema è ora capire quanto la famiglia affettiva faciliti il compito evolutivo dell’adolescenza di emanciparsi emotivamente dai propri genitori. Si parla di un’emancipazione emotiva identificabile con la capacità dell’individuo di prendere decisioni personali senza dipendere troppo dagli altri. L’adolescente può però emanciparsi solo se supera quella fase di trasgressione e opposizione ai principi dei genitori che lo portano a pensare ed agire con la propria testa. Il problema è che tale tipo di famiglia non permette questo tipo di esperienze perché troppo accogliente, portando il figlio a chiedersi perché opporsi ai genitori o andare via di casa se si è perfettamente capiti e compresi. La Costruzione dell'Identità nell'Adolescenza Obiettivo principale della famiglia nella terza fase del suo ciclo di vita è accompagnare l’adolescente nella costruzione della propria Identità Personale. L’adolescenza è vissuta sia come una sfida che come una risorsa: è una sfida a causa degli innumerevoli cambiamenti relazionale, una risorsa perché corrisponde ad una “verifica” del funzionamento familiare. Costruire la propria identità personale significa innanzitutto individuarsi rispetto ai propri genitori. Per raggiungere questi obietti, l’adolescente deve affrontare e superare con successo tre Compiti di Sviluppo: - Fisico: deve accettare il proprio corpo e riorganizzare la propria identità fisica. Inoltre deve fare i conti con l’emergere della sua sessualità che deve imparare a conoscere ed integrare in modo funzionale per individuare la propria identità di genere; - Cognitivo: passare dal pensiero concreto a quello ipotetico-deduttivo. L’adolescente scopre le potenzialità e il piacere del poter pensare, del riflettere e analizzare autonomamente i dati, così come il piacere del discutere e confrontarsi in maniera critica ma costruttiva. Tutto ciò lo porterà ad elaborare un adeguato concetto di sé e a sviluppare la capacità critica; - Sociale: bisogno di ridefinire alcune relazioni e di passare da un orientamento verso i genitori ad un orientamento verso i pari. L’adolescente sperimenterà quindi il bisogno di stabilire relazioni amicali più profonde, avere un gruppo di amici e provare l’innamoramento. Tutto ciò lo porterà a costruire la propria identità personale. In realtà, un’identità l’ha sempre avuta, sin bambino, ma era un’identità riflessa, basata sui giudizi altrui, mentre ora riesce a costruire un’Identità Autoriflessa. La costruzione dell’identità non finirà qui ma continuerà per tutta la propria vita in una continua ricerca di crescita. Un'Impresa Evolutiva Congiunta Il Processo di Individuazione è un processo congiunto che coinvolge sia il figlio che i genitori. Rispetto a questo bisogna considerare tre elementi: 1. Emancipazione del Figlio dai Genitori: l’uscita dall’adolescenza non coincide con l’entrata nell’età adulta, ma piuttosto sfocia nella giovinezza ed è durante questa fase che l’individuo acquista una piena autonomia. Il contesto italiano, differentemente da quello anglosassone che propone la necessità di Svincolarsi dalla Famiglia, prevede un’indipendenza nella famiglia attraverso la negoziazione di sempre maggiori spazi di libertà. Quindi nella famiglia con adolescenti si consolida l’autonomia interna del figlio, mentre nella famiglia "trampolino di lancio" si prepara la reale uscita del figlio. La difficoltà maggiore sta nel fatto che non si tratta di compiere una rottura dei rapporti, ma di trasformarli conservandone gli aspetti positivi di fiducia e affetto: Questo processo sarà quindi sottoposto a continue regressioni per un congiunto bisogno di autonomia e protezione; 2. Emancipazione dei Genitori dal Figlio: anche i genitori sono chiamati a ridefinire la propria identità, non solo in relazione alla loro età ma anche al ruolo genitoriale e coniugale. Stierlin (1974) parla quindi di Emancipazione Correlata, che ha effetti perfino a livello trigenerazionale coi nonni e che dipende dal livello di differenziazione interno alla famiglia e alle famiglie di origine. Questa fase prevede quindi la convivenza di forze centripete, votate al mantenimento dei legami, e centrifughe, basate sulla differenzazione e sullo svincolo. 3. Anoressia Nervosa: è una malattia ad insorgenza adolescenziale, legata allo sviluppo sessuale e sociale presente nella pubertà. La ragazza anoressica, dotata di uno scarso senso di autonomia e individualità, vede il proprio corpo come se fosse sotto il controllo dei propri genitori e quindi lo utilizza come strumento per rendersi autonoma e come rivalsa. Può esserci inoltre in lei il desiderio inconscio di non voler diventare adulta. Secondo Bruch (1973) la causa è la madre, che sembra prendersi cura della figlia per rispondere ai propri bisogni più che a quelli della figlia, così che la ragazza si sperimenta come un’estensione della madre e non come individuo autonomo. Minuchin (1978) teorizza la presenza di una famiglia molto invischiata, con assenza di confini generazionali e personali, per cui ogni membro è ipercoinvolto nel vissuto degli altri e nessuno ha un’esperienza separata dalla matrice familiare. Secondo Selvini Palazzoli (1963) i due genitori sono totalmente dediti alla famiglia e in particolare alla figlia, ma profondamente insoddisfatti di sé e della relazione di coppia. Ogn'uno pensa di sacrificarsi più dell’altro e giudica l’altro come causa dei problemi familiari, facendo a gara per conquistarsi l’amore della figlia, che così rimane triangolata. Questa autrice elabora un percorso a sei Fasi del Processo Anoressico: - situazione di stallo della coppia coniugale; - l’anoressica rimane triangolata; - per i processi adolescenziali la figlia si avvicina di più al padre; - insorgono problematiche relative al proprio peso e conseguente stress; - la figlia subisce il voltafaccia del padre e si sente abbandonata; - strategie del sintomo in cui la figlia risulta coinvolta in un imbroglio relazionale e vive separatamente una relazione privilegiata con ciascuno dei genitori. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Coppia A livello coniugale si assiste a una crisi di mezza età dei coniugi, che comporta la loro accettazione della perdita della giovinezza e l’accesso all’età adulta. In questa fase si combinano due Crisi d’Identità: - Dei Genitori in Senso Involutivo: capacità di accettare un corpo non più giovane che inizia a invecchiare; - Del Figlio in Senso Evolutivo: il corpo che cresce. Dal punto di vista genitoriale i partner sono chiamati a modulare il proprio stile genitoriale per andare incontro alle necessità evolutive del figlio. I Compiti principali sono: 1. Elaborare la Crisi dell'Età di Mezzo: i cambiamenti corporei del figlio, rappresentati dall'adolescente che esibisce il proprio corpo giovane e sessuato, non può che rappresentare una provocazione per la coppia di genitori che deve confrontarsi con la futura perdita di creatività biologica e quindi con una diversa qualità di relazione di coppia. I genitori devono quindi confrontarsi con un Duplice Lutto: - separazione dal figlio; - perdita della generatività biologica. In questa fase vengono anche messi in discussione i motivi che hanno portato alla scelta del partner. Se i genitori non si rivelano capaci di elaborare tale depressione, la sofferenza viene evacuata in forme di acting out esterno alla coppia o con l’emergere di sintomi (ad es. uomini che vanno con donne di età compresa tra quella della moglie e quella della figlia). Capita anche che si instaurino comportamenti immaturi in concorrenza di quelli dei figli (ad es. la madre che seduce il ragazzo della propria figlia); 2. Curare lo Spazio di Coppia: i coniugi hanno ora bisogno di intensificare il proprio dialogo e di riorganizzare la propria relazione, in modo da poter superare più facilmente poi l’uscita di casa del figlio. Questo compito è più difficile per la donna, visto che più del marito si è occupata della crescita del figlio. Il reinvestimento nella relazione di coppia, intesa come sessuata e non solo genitoriale, è d’aiuto anche per l’adolescente che cerca in loro un modello; 3. Rinegoziare la Relazione con il Figlio: è necessario passare da una relazione basata sull’autorità unilaterale ad una basata sulla negoziazione cooperativa. Ciò comporta per i genitori la perdita di una certa quota di potere e accettare di diventare bersaglio delle critiche dei figli, oltre che questi abbiano amici ai quali chiedere aiuto. Il Modello di Rinegoziazione della Relazione Genitori-Figli, elaborato da Cooper, Grotevant e Condon (1983), prevede quattro fattori relativi a due costrutti: - Individualità: i fattori sono: - affermazione di sé (avere un punto di vista e comunicarlo); - separazione (capacità di esprimere le proprie differenze); - Coesione: i fattori sono: - permeabilità (apertura alla visione degli altri); - reciprocità (rispetto per gli altri). La compresenza di questi fattori permette la formazione di identità e autonomia, oltre all'acquisizione di competenze di negoziazione. 4. Gestire la Conflittualità con il Figlio: oggi l’emancipazione dell’adolescente passa attraverso richieste di una sempre maggiore indipendenza. Le opposizione e le contestazioni dell’adolescente sono utili come valore adattivo, dato che il conflitto genitore-figlio è funzionale all’emancipazione piuttosto che una manifestazione di ostilità verso i genitori. I genitori non devono comunque rinunciare all’esercizio dell’autorità e non devono avere atteggiamenti amicali, dato che ciò provoca due Danni: - la perdita di sicuri, anche se sgradevoli, punti di riferimento per valutare la realtà; - la perdita dei genitori, diventati inspiegabilmente amici. La contrattazione è un bene perché permette l’instaurazione di una reciprocità, ma diventa un male se è conseguenza della debolezza dei genitori. 5. Offrire una Protezione Flessibile al Figlio: i genitori devono offrire una Protezione Flessibile, ossia essere una base di sostegno per i momenti di bisogno. Hanno quindi il ruolo di agente di promozione orientato all’agevolazione del progressivo distacco. Le rappresentazioni che i genitori hanno del figlio hanno un forte potere su di lui fino a determinarne lo stile di vita, dato che la rappresentazione dell’autonomia del figlio e della sua capacità di crearsi legami stabili influenzano la sua autostima, mentre il sentimento di essere fedele o cattivo nei confronti dei genitori può strutturare alcuni sensi di colpa; 6. Garantire una Mediazione con il Sociale: la famiglia rimane comunque un punto di riferimento su cui contare, il che incide sulla capacità di socializzazione, dato che maggiore è il supporto e maggiore sarà la competenza sociale, con una minore insorgenza di situazioni a rischio o devianza; 7. Mantenere una Comunicazione Aperta con il Figlio: la comunicazione svolge il ruolo di promozione nei confronti dell’identità e di protezione di situazioni a rischio, sopratutto se vengono usati messaggi chiari e congrui. Essa funziona anche da contenitore delle paure, aiutando l'adolescente a riflettere. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Famiglia d’Origine I principali Compiti relativi alla famiglia d'origine sono: 1. Portare a Compimento il Processo di Differenziazione Senza Nostalgie: se i genitori hanno portato a compimento la propria esperienza di adolescenti, non cercheranno di recuperare con il figlio i compiti che loro non sono riusciti a svolgere (ad es. adultizzazione precoce del figlio); 2. Accettare e Occuparsi dei Propri Genitori che Invecchiano: mentre la generazione di mezzo deve separarsi dai figli, allo stesso tempo deve avvicinarsi ai propri genitori che invecchiano e ciò comporta un surplus di compiti. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Comunità Sociale Dovendosi separare dalla famiglia, gli adolescenti cercano sostegno e conforto affettivo in un altro sistema, quello del gruppo dei pari, al fine di non sentirsi troppo diversi. Il gruppo è il luogo in cui si può essere accettati per quello che si è ed il luogo in cui si può essere immaturi come gli altri. Oggi tali gruppi sono di numero ristretto, con un altro grado di intimità ma con aggregazione fragile e senza una leadership. Anche in questi casi, come nella famiglia, tende a prevalere l’affettività sulla progettualità e l’obiettivo è lo stare ed il parlare insieme, e non il fare o l’agire. Oggi inoltre gli adolescenti frequentano e sperimentano un altro importantissimo sistema, quello della coppia. Se in passato l’adolescenza era caratterizzata da critica e opposizione sociale e politica, ora gli adolescenti svolgono una profonda ricerca verso l’interno e verso i propri sentimenti profondi. La coppia viene intesa come uno spazio sicuro, paritario, di condivisione di sentimenti, dove vige il valore della profonda amicizia duratura e dove la componente sessuale viene ricondotta ad un atto d’amore. I luoghi frequentati dagli adolescenti sono le piazze e le strade, luoghi che rievocano la libertà, l’indipendenza, la ricerca di se stessi e del proprio cammino. E’ pur vero che i giovani scelgono spazi aperti perché non trovano spazi chiusi in cui sentirsi veramente liberi, dato che ogni spazio chiuso organizzato inevitabilmente presuppone delle regole, regole stabilite dagli adulti che quindi indirettamente li controllano. Quindi la partecipazione a gruppi strutturati cala sempre più in favore di aggregazioni spontanee e senza un obiettivo predeterminato. CAPITOLO 8 - LA FAMIGLIA CON FIGLI GIOVANI ADULTI Diventare Adulti Oggi Rispetto al passato, il passaggio all’età adulta ha subito una forte decelerazione, dando luogo a novi stadi evolutivi del ciclo di vita individuale. Così, se l’adolescente a 18-19 anni non è ancora riuscito a costruire la propria identità personale, non passerà all’età adulta ma a quella della giovinezza. I giovani, a differenza degli adolescenti, hanno già fatto delle proprie scelte di significato e sono capaci di impegnarsi in compiti precisi e duraturi anche in ambito amoroso, avendo una relazione considerata definitiva, ma non riescono a trovare le condizioni adatte per poter ottenere tutto ciò. A volte, però, neanche la giovinezza è sufficiente a raggiungere l’età adulta ed alcuni soggetti entrano anche nella fase del Giovane Adulto, in cui quest’ultimo è un soggetto di circa 30-32 anni, che abita nella famiglia d’origine oltre l’età media del matrimonio della popolazione in Italia. E’ particolare vedere come la definizione di tale condizione viene data in base al concetto di matrimonio. In Italia, infatti, il matrimonio rappresenta il passaggio all’età adulta poiché è il modo in cui i figli vanno via di casa, mentre in altri paesi si trovano anche altri modi. La condizione di giovane adulto non condiziona solo il soggetto ma anche la famiglia che inevitabilmente continua ad accoglierlo, modificandosi in Famiglia Lunga del Giovane Adulto. Ai genitori fa piacere avere ancora attorno i figli e i figli trovano comodo e rassicurante stare a casa pur avendo molte libertà, servizi e poche responsabilità. Il motivo più diffuso per il quale i figli rimangono a casa è il fatto di aspettare di avere una posizione sociale e lavorativa maggiormente sicura ed affermata. Si osserva, quindi, come nella nostra cultura l’età adulta sia rappresentata dall’acquisizione di una posizione sociale e lavorativa di un certo livello di stabilità e riconoscimento. Il Fenomeno della "Famiglia Lunga" Il fenomeno della Famiglia Lunga si è sviluppato in tutto il mondo secondo differenti Modelli: - Modello Mediterraneo: prolungamento della fase giovanile e di tutte quelle tappe di transizione all’età adulta come la conclusione degli studi, l’inserimento nel mondo del lavoro e il matrimonio; - Modello Nordeuropeo: le fasi possono soprapporsi ed avere durata provvisoria. I figli possono uscire di casa e poi rientrare per esempio alla fine di un ciclo di studi o a causa di una temporanea disoccupazione. Se però ad una certo punto non si realizza la propria autonomia economica tutto ciò diventa un problema per il soggetto che viene anche biasimato a livello sociale, cosa che in Italia non accade. Le ricerche dimostrano come le famiglie prolungate siano maggiormente rappresentate da famiglia con pochi figli, a reddito elevato e con una buona stabilità di coppia. Le ragioni che portano i giovani a rimanere in caso sono varie, in quanto possono essere di carattere strutturale e quindi relative al prolungamento dell’iter di studi e della difficoltà di trovare lavoro, oppure essere di tipo culturale ed essere legate alla paura di affrontare la nostra realtà sociale fatta di incertezza e precarie, oppure cause psicologiche di insicurezza di personalità. Il problema è che tali famiglia hanno dei vantaggi ma anche degli svantaggi. Se da un lato i genitori sono felici di avere i figli adulti in casa poiché possono sviluppare con loro una relazione più gradevole e ai figli la situazione fa comodo e quindi si chiedono perché cambiarla, è pur vero che questo sistema famigliare apparentemente funzionale può portare a creare legami talmente vicini da inibire la spinta propulsiva del figlio al raggiungimento, ma anche alla creazione, di un proprio progetto di vita autonomo. Si assiste quindi ad uno stallo generazionale invece che ad un salto generazionale. I figli dovrebbero invece apprezzare gli sforzi fatti dai propri genitori per garantirgli la posizione di privilegio di cui gode e responsabilizzarsi per ripagarli realizzando il proprio progetto di vita che diventa anche la realizzazione della prosecuzione generazionale. I genitori dovrebbero inoltre capire che i loro figli sono già adulti e che sono o devono essere in grado di assumersi le proprie responsabilità, e che quindi continuare a proteggerli e giustificarli non li aiuta. Lo Svincolo del Giovane dalla Propria Famiglia Obiettivo principale di questa fase di sviluppo è lo svincolo dei figli dal nucleo familiare. I Compiti principali sono: 1. Costruire le Premesse per la Realizzazione di un Progetto di Vita: affinché un giovane adulto possa uscire dalla famiglia d’origine deve avere prima creato un proprio progetto e la convivenza a casa e quindi funzionale a trovare lo spazio e le risorse per tale costruzione, anche perché ricordiamo che in Italia lo svincolo del giovane dalla famiglia coincide con la creazione di una nuova famiglia con un nuovo ciclo di vita, e che quindi tutto deve essere abbastanza pianificato; 2. Completare il Processo di Individuazione: se l’adolescenza era il periodo del primo tipo di autonomia, di carattere soprattutto emotivo legato alle scelte personali, la fase del giovane adulto è il periodo del secondo tipo di autonomia quello relativo alla possibilità di realizzare con le proprie forze i progetti personali, quindi avere fiducia in se stessi e compiere una separazione materiale dalla famiglia d’origine. Bowen (1972) spiega come ci possano essere due tipi di Modalità Disfunzionale di Separazione: - Taglio Emotivo: il giovane adulto e la famiglia non sono ancora maturi per la separazione anche se questa avviene nella pratica portando, però, ad un tagli affettivo ed emotivo, alla mancanza del senso di appartenenza alla famiglia e alla sua storia, tagliando nettamente i legami con i genitori. In questo caso il giovane adulto è solo apparentemente autonomo agli occhi degli altri, ma nasconde una rande fragilità che probabilmente si porterà nel suo ruolo di genitore; - Figlio Cronico: sono quei giovani che al momento del salto generazionale rimangono bloccati alo stadio di figlio e non riescono, a volte anche per lealtà verso i propri genitori, a separarsene. Compiti di Sviluppo della Coppia In questa fase, la coppia è chiamata a mediare tra tre generazioni: - la coppia e la crisi di mezz’età; - aiutare i figli ad assolvere i loro compiti di sviluppo; - aiutare propri genitori che diventano anziani e richiedono molte cure. I Compiti principali sono: 1. Reinvestire sulla Relazione di Coppia: bisogna che la coppia impari di nuovo a conoscersi, a comunicare, a diventare un sostegno l’uno per l’altra e a trovare interesse ed amicizie in comune in modo da non esplodere a causa dell’isolamento e di un legame talmente esclusivo da non potere essere retto. Di certo non è difficile anche perché spesso alla conflittualità specifica di questo periodo si somma la conflittualità che in fasi precedenti non era stata affrontata e risolta proprio a causa dell’attenzione totalmente concentrata sui figli. A soffrire di più sono le donne che si occupano maggiormente dei figli e che spesso abbandonano il proprio lavoro. E’ proprio in queste difficoltà che la coppia deve essere un sostegno per entrambi. 2. Favorire lo Svincolo del Figlio: riconoscendo l’autorità personale del figlio, la sua maturità e instaurando con lui un rapporto paritario e interdipendente; 3. Accogliere il Partner del Figlio: tale riconoscimento coincide con l’avvenuta separazione del figlio dalla famiglia, anche perché gli viene riconosciuta la scelta autonoma del partner. E’ importante la qualità e la modalità dell’inserimento del nuovo partner nella famiglia, dato che esso è inizialmente vissuto come una minaccia poiché sarà colui che porterà via di casa il proprio figlio e quindi è caricato di tutte le paure e le aspettative riguardo al futuro e alla felicità del proprio figlio; 4. Aiutare i Figli nella Cura dei Nipoti: dovendo abbandonare la propria generatività a causa dell’età che avanza, si passa ad una generatività indiretta legata all’accudimento responsabile dei nipoti che, per i nonni, rappresentano il segno tangibile della loro famiglia che prosegue nel tempo. Ovviamente questa predisposizione all’accudimento dei nipoti aiutai i giovani genitori che devono fare i conti con le proprie sfide evolutive ed eventi critici. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Famiglia d'Origine I principali Compiti riguardano: 1. Curare i Propri Genitori Anziani: prevede un forte investimento economico ed emotivo; 2. Riconoscere e Valorizzare i Reciproci Ruoli: necessario affrontare i conflitti irrisolti e esprimere un senso di riconoscimento reciproco. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Comunità Sociale I principali Compiti riguardano: 1. Sostenere l'Inserimento Sociale del Figlio: in Italia è presente una Disequità Generazionale con uno scarso investimento in termini di politiche sociali a favore dei giovani e del loro inserimento nel mondo del lavoro; 2. Acquisire una Genitorialità Sociale verso i Coetanei del Proprio Figlio: necessario che gli adulti sviluppino una genitorialità sociale più generale, non solo nei confronti del proprio figlio, ma in quelli delle nuove generazioni. CAPITOLO 9 - LA FAMIGLIA CON GENITORI ANZIANI L'Invecchiamento della Popolazione Uno dei tratti caratteristici della società occidentale è ormai l’invecchiamento della popolazione legato al prolungarsi della vita media. Tutto ciò porta delle inevitabili trasformazioni nella struttura ma anche nei ruoli di cura nella famiglia. Rispetto ai Cambiamenti della Struttura Familiare si può osservare come nascano sempre di più famiglie con quattro generazioni (bisnonni, nonni, genitori e figli) e famiglia unipersonali. Una particolarità dell’era contemporanea è l’essere figli per un tempo molto lungo, tanto che contemporaneamente si è figli, genitori e nonni. In realtà, però, le quattro generazioni raramente vivono insieme ed è per questo che si creano molte famiglie unipersonali, dato che sono gli anziani stessi che preferiscono mantenere una propria autonomia economica ed abitativa anche dopo la morte del partner, proprio perché affezionati alla propria casa e alle reti relazionali fino ad allora costruite. E' inoltre da ricordare che in Italia esiste il fenomeno della prossimità residenziale e quindi, pur non abitando insieme, è semplice prestare soccorso agli anziani. Rispetto alla Cura degli Anziani di solito sono le donne, anche a livello internazionale, ad occuparsi delle cure e del sostegno emotivo degli anziani. Il problema è che invecchiando la popolazione e diminuendo il numero delle nascite, parallelamente diminuisce anche il numero di caregivers disponibili, ossia della nascita di nuove figlie e nuore che potranno poi prendersi cura degli anziani. In generale in Italia la maggior parte di soggetti crede sia giusto che siano i figli a prendersi cura dei genitori anziani, ed effettivamente è così che funziona, pur non essendo affatto facile. La generazione di mezzo, infatti, deve pensare ai problemi dei genitori anziani, ai propri compiti di sviluppo legati alla propria età e alla propria famiglia e a sostenere i propri figli nella gestione della propria famiglia e dei propri figli. Un aspetto positivo, però, è che oggi gli anziani non sono considerati solo come un peso ma anche come una ricchissima risorsa. Le nuove scoperte scientifiche hanno rivalutato le potenzialità degli anziani e hanno inventato strumenti che migliorano decisamente la qualità della vita. Anche in età avanzata, quindi, i genitori anziani possono dare una mano alla famiglia. La Trasmissione dell’Eredità Materiale e Spirituale Obiettivo principale dell’ultima fase del ciclo di vita della famiglia è la trasmissione dell’eredità materiale e spirituale dalla generazione più anziana a quella più giovane, lasciandogli il testimone della nella conduzione generazionale L’evento critico che riassume i difficili momenti che si attraverso in questa fase è la morte. Quest’ultima non deve solo essere affrontata dalla coppia anziana ma viene vissuta da tutta la famiglia. L’essere prossimi alla morte porta a recuperare la propria storia e fare il bilancio dei successi e degli insuccessi per attribuirgli un significato, per essere una storia di senso compiuto. Come evidenziato da Erikson (1950) l’approccio che può essere adottato a tale auto giudizio può essere di due tipi: - Integrità dell’Io: si accettano i successi e gli insuccessi e si pensa che la propria vita non poteva andare in modo diverso e che quindi la si accetta per quello che si è. La morte allora non è più minacciosa e anzi porta la saggezza del giudizio maturo riguardo la condizione umana; - Disperazione: non si è soddisfatti della propria vita ma ci si rende conto che non si ha più abbastanza tempo per ricominciare e trovare un’altra via per raggiungere l’integrità dell’Io. Tale processo di auto giudizio viene fatto anche dalla generazione di mezzo che, di fronte alla morte dei genitori, ripensa alla propria di mezza età, il fatto che il tempo non sia più illimitato come sembrava in passato e che adesso bisogna cominciare a tirare le somme e cercare eventualmente di rimediare. Al momento della morte i genitori, se hanno trovato la loro integrità dell’Io, passeranno la loro generatività, ancora presente, sotto forma di trasmissione di saggezza e responsabilità di guida delle generazioni future. I figli, a loro volta, sentono la responsabilità di ricambiare il dono della vita e le cure ricevute dai propri genitori, sentendosi quindi in dovere di mandare avanti l’eredità spirituale dei genitori. In realtà può succedere che una delle due generazioni non riconosca l’altra. Può per esempio capitare che i figli non riconoscano di avere ricevuto qualcosa dai genitori a causa di un’infanzia e un’adolescenza senza affetto e cura e che quindi non abbiano intenzione di prendere alcuna eredità e può anche capitare che la generazione anziana, non ritenendo abbastanza saggia e matura la generazione intermedia, preferisca saltare una generazione e lasciare l’eredità ai nipoti. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Coppia I Compiti principali sono: 1. Essere Presenti nella Vita dei Nipoti: i nonni rappresentano una grande risorsa affettiva per i nipoti oltre ad una valida alternativa rispetto al rapporto con il genitori. Con i nonni essi possono relazionarsi in un clima di maggiore tranquillità emotiva e di un più basso livello di conflittualità. Va comunque notato come sia in aumento, in Italia, il numero di nonni maschi che si occupano dei nipoti, nonostante però si assista ad un progressivo decremento generale dei nonni (maschi e femmine) che si occupano dei nipoti, visto che tendono a sviluppare di più gli interessi personali; 2. Riconoscere i Figli nel loro Ruolo Genitoriale: spesso capita che i genitori anziani non sono in grado di accettare la fine della loro generalità e la nascita dei nipoti rappresenta la possibilità di sentirsi ancora vivi e utili. I genitori tendono quindi a sostituirsi ai figli nel ruolo di genitori dei nipoti e i veri genitori spesso lascino fare perché si sentono inadeguati e inesperti per sostituire i propri di genitori; 3. Investire sulla Relazione di Coppia: più che mai la coppia deve ora rivolgere l’attenzione a se stessa, non avendo più il ruolo genitoriale e non avendo neanche più il figlio in casa. Se la coppia si basa su una relazione affiatata essa può rappresentare un’ottima risorsa per i due coniugi dato che, dopo una lunga vita insieme, ci si conosce meglio, si sa quali siano i comportamenti da evitare per non fare irritare l’altro ed è quindi più semplice creare un clima di non conflittualità e di affetto rispetto al passato; 4. Affrontare il Pensionamento: il pensionamento è un evento critico psicologicamente rilevante, soprattutto all’interno della nostra società basata sull’attività lavorativa. Arrivati al pensionamento ci si può sentire inutili e molto spesso si cade in depressione o in atteggiamenti simili, per cui vi è il bisogno di reinventarsi e di far qualcosa per occupare il proprio tempo. Di solito ci vuole un po’ di tempo prima di capire quale grande risorsa sia il pensionamento, la possibilità di avere il tempo per tutto quello che si è sempre desiderato e che non è mai fatto. Più difficile è poi la situazione quando solo un coniuge va in pensione, dato che in questo caso la coppia dovrà rinegoziare tutti i tempi, i ritmi e i ruoli; 5. Affrontare la Malattia e la Disabilità del Coniuge: arrivati a quello che oggi chiamiamo quarta età, arriva anche il deterioramento psicofisico che di solito porta anche invalidità. Per il coniuge tale malattia è un grande peso, in riguardo alle cure da dare al compagno per le quali spesso mancano le risorse, il tempo ma anche le forze, e inoltre perché si comincia a guardare in faccia alla la propria di fine. Di solito sono le donne ad occuparsi della malattia del marito, anche perché di età più giovane e abituate a gestire le faccende domestiche. I mariti si occupano meno delle mogli malate perché meno organizzati nelle faccende di casa e perché di solito stanno fisicamente peggio di loro. 6. Affrontare la Morte del Coniuge: la morte del coniuge è un lutto molto pesante da portare. Innanzitutto viene a mancare il compagno di una vita che ci ha affiancato in tutte le situazioni difficili che ora ci viene a mancare, e poi perché inevitabilmente ci mette di fronte alla nostra morte. Non è raro che quando un coniuge non riesce ad elaborare il lutto del compagno si deprima talmente tanto da non trovare altre motivazioni nella vita e morire poco dopo. Compiti di Sviluppo dei Figli in Riferimento alle Famiglie d'Origine La malattia della coppia anziana obbliga la famiglia a prendersi cura e quindi riorganizzare l’aspetto sia affettivo ma anche relazionale. La famiglia mette in atto un processo di caregiving, in modo da dare assistenza e sostegno al familiare che non è più in grado di occuparsi da solo di sé. Esso è però un compito oneroso e prolungato nel tempo. I principali Compiti sono: 1. Assistere e Sostenere i Genitori Anziani, Malati o Disabili: di solito tale processo comincia con la scelta del caregiver principale, individuabile in colui che si occuperà maggiormente del sostegno e dell’organizzazione, e di solito a svolge questo ruolo sono le donne. Le ricerche hanno evidenziato come il condurre un’attività di caregiving ad anziani per un tempo molto lungo può portare a disagi psicofisici, come una maggiore aggressività e depressione rispetto alla media. Un aspetto importante è anche la natura della malattia. La più difficile da trattare è la demenza senile e le malattia degenerative che portano con sé grossi deficit cognitivi tanto da ledere il riconoscimento della persona, dato che i legami con la persona anziana vengono persi, non c’è comunicazione e quindi coinvolgimento. L’infarto, invece, porta l’anziano a vivere la propria vita come un dono, l’aver avuto una seconda possibilità ed è quindi spinto ad istaurare rapporti più affettuosi e meno conflittualità. Stessa cosa avviene di solito con il tumore che, dopo la sua accettazione, porta a ricercare una migliore qualità della vita che rimane. Ci sono poi i casi in cui si deve ricorrere all’istituzionalizzazione, ma essa è una scelta molto difficile perché porta sofferenza all’anziano e sensi di colpa ai figli. Nella nostra cultura è molto accentuata l’idea che siano i figli a doversi pendere cura dei genitori anziani. Nel caso in cui si decida per la casa di riposo, è comunque importante che l’anziano senta di avere comunque un punto di riferimento fuori e che non sia abbandonato a se stesso; 2. Condividere e Sostenere la Sofferenza e la Morte dei Genitori: la morte dei propri genitori è un lutto talmente doloroso che può essere ben superato solo tramite la condivisione del dolore e la sperimentazione della vicinanza di altre persone, come familiari ed amici. Anche se la morte di un genitore anziano è vissuta come legittima e normale, è pur sempre una perdita dolorosa, soprattutto se avviene all’improvviso; 3. Reinvestire in Relazioni e Obiettivi Vitali in Continuità con quanto Ricevuto dai Genitori Defunti: nei casi di morte, in qualsiasi caso, è sempre bene riuscire a rielabora il lutto tramite la Cura del Ricordo (Scabini, 1994). Il ricordo della persona non deve essere usato per ricordare la sua assenza, ma per ricordare gli aspetti importanti e gli insegnamenti che ci ha trasmesso in modo che essi possano essere una spinta ad investire in nuove relazioni ed obiettivi vitali. In questo modo, non si mette una pietra sopra negando il dolore, ma lo si elabora cercando di farlo diventare costruttivo. Compiti di Sviluppo in Riferimento alla Comunità L'Accelerazione del processo di invecchiamento unita al fenomeno della diminuzione della nascite ha condotto l'attuale società ad un sorpasso demografico degli anziani sui giovani, con una conseguente diminuzione del numero dei potenziali caregivers per gli anziani. Fino a non molti anni fa solo per gli anziani ammalati gravemente e per quelli senza famiglia c'erano risposte di tipo assistenziale. Dagli anni '80 invece si è fatta strada una diversa politica per gli anziani, cioè quella di mantenerli il più a lungo possibile in casa anche se malati. È una risposta più economica e che soddisfa gli stessi anziani, ma lo sforzo maggiore (anche con assistenza domiciliare, alloggi protetti, centri diurni e assegni di cura) lo fa ancora la famiglia, ed è un lavoro scarsamente riconosciuto a livello sociale, meno legittimato e rivendicato. E' sicuramente importante Collaborare con i Servizi per gli Anziani presenti sul territorio, sopratutto per far fronte alla diminuzione del numero dei componenti dell'attuale struttura familiare. PARTE TERZA ALCUNE FORME DI FAMIGLIA CAPITOLO 10 - LA FAMIGLIA DIVISA Il Fenomeno dell'Instabilità Coniugale Nonostante la propensione degli italiani sia quella di sposarsi, a partire dagli anni '70 anche in Italia come in altri paesi europei si assiste a un calo progressivo dei matrimoni, oltre che ad un aumento delle separazioni e dei divorzi. La percentuale delle separazioni che si trasformano in divorzi è pari al 60%. Evidentemente nei tre anni di separazione legale previsti dalla legge, prima di passare a un effettivo scioglimento del matrimonio, i coniugi si adattano al nuovo stile di vita e, se non hanno particolari interessi o l’intenzione di risposarsi, rinunciano al divorzio per questioni economiche e psicologiche. In Italia quindi è la separazione a rappresentare l’evento principale che corrisponde alla fine di un matrimonio. Dai dati dell'ISTAT si nota come ci si separi separa poi più al Nord che al meridione e che i valori più alti risultano in Val d’Aosta, Liguria e Lazio, mentre i più bassi in Basilicata e Calabria. A livello di titolo di studio e occupazione sono sopratutto i coniugi con livelli alti di istruzione e occupazione a dividersi. Rispetto alla Legislazione Italiana sulla Separazione e sul Divorzio bisogna notare come il Divorzio sia regolato dall'articolo 149 del Codice Civile, dalla Legge 898/1970 e dalla Legge 74/1987. Le cause del divorzio sono varie, ma la più comune è la separazione coniugale prolungata per più di tre anni. La Separazione, regolata dagli articoli 150 e successivi del Codice Civile non pone fine al matrimonio e non fa venir meno lo status giuridico di coniuge. Essa scioglie solo la comunione legale dei beni e fa cessare gli obblighi di fedeltà e coabitazione, mantenendo però il dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, di mantenere il coniuge più debole e di educare la prole. La separazione, a differenza del divorzio, ha carattere transitorio tanto che è possibile riconciliarsi senza alcuna formalità. Per rendere formale la riconciliazione, oltre all’accertamento giudiziario, è necessario recarsi nel comune di appartenenza. Per ottenere il divorzio invece occorre la separazione, che può essere di due tipi: - Separazione Consensuale: è l’istituto giuridico attraverso il quale marito e moglie di comune accordo decidono di separarsi. Devono essere d’accordo sui diritti patrimoniali, sul mantenimento del coniuge, sui diritti di visita e cura della prole, sull’assegnazione della casa coniugale. Ha inizio con il deposito del ricorso in tribunale; - Separazione Giudiziale: si fa ricorso a questa tipologia di separazione nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi ed è anche possibile richiedere l’addebito della separazione, cioè l’accertamento che vi sia stata la violazione degli obblighi del matrimonio da parte di uno dei due e che abbia determinato la cessazione del rapporto. In questo caso il coniuge su cui grava l’addebito non ha diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento e perde altri diritti. La separazione giudiziale, anche in corso di causa, può essere trasformata in separazione consensuale, ma non può accadere il contrario e deve avviarsi una nuova procedura. Anche il procedimento di divorzio ha due percorsi alternativi: - Divorzio Congiunto: con accordo dei coniugi; - Divorzio Giudiziale: senza accordo dei coniugi. Il Processo Psicologico del Divorzio La separazione e il divorzio sono eventi che si realizzano secondo un lungo processo di elaborazione interiore e riorganizzazione della struttura familiare. E' quindi ora utile analizzare tre Modelli che si sono occupati di individuare le principali fasi di questo processo; 1. Modello di Bohannan (1970): all’interno di una prospettiva psicosociale, l’autore intende il divorzio come un processo multidimensionale che attraversa sei dimensioni: - Divorzio Emotivo: deterioramento del rapporto di coppia dovuto all’incapacità di tollerare la crescita e la trasformazione dell’altro. Può avvenire anche in assenza del divorzio legale; - Divorzio Legale: ufficializzazione della decisione e atto di rivolgersi al giudice per stabilire la divisione di patrimonio e affidamento. Se preceduto da un buon divorzio emotivo, quello legale può essere condotto con un clima sereno di collaborazione; - Divorzio Economico: decisione riguardo la distribuzione del patrimonio e dell’assegno di mantenimento al coniuge meno abbiente; - Divorzio Genitoriale: ci si separa dal compagno ma non dai figli. La separazione comunque cambia anche il rapporto con loro che soffrono soprattutto della conflittualità tra i genitori che spesso aumenta proprio in base al loro disaccordo riguardo le condizioni del divorzio; - Divorzio dalla Comunità: abbandonare la famiglia del coniuge e le amicizie in comune. Spesso si prova un senso di profonda solitudine, soprattutto se non si è capaci di costruire nuove reti relazionali; - Divorzio Psichico: separazione di se stessi dalla personalità e dall’influenza dell’ex coniuge. Dopo tanto tempo è difficile separarsi dal compagno, anche se o si desidera, poiché bisogna ritrovare la propria autonomia nelle scelte e quindi assumersi di nuova la responsabilità della propria vita che prima si divideva con un’altra persona che comunque era un sostegno importante. Il divorzio crea dei sentimenti di perdita in entrambi. In chi è lasciato il dolore maggiore così come il senso di smarrimento e spesso chi si rivolge ad un sostegno psicologico. Chi lascia prova comunque sensi di colpa e sperimenta inevitabilmente il vuoto dell’altro. 2. Modello di Kaslow (1991): l’autrice mette in relazione le emozioni provate e i comportamenti utilizzati nelle differenti fasi del processo separativo. Individua tre passaggi, di solito attraversati in due anni, per il superamento della separazione: - Fase dell’Alienazione: decisione dei coniugi di separarsi. E’ una decisione difficile sia per chi la prende che per chi la subisce e, di solito, è motivata da un senso di estraneità rispetto a ciò che precedentemente veniva percepito come appartenente alla propria esperienza dell’altro. La difficoltà sta anche nel fatto che spesso tale estraneità è vissuta solo nei confronti di alcuni aspetti del coniuge, mentre altri vengono ancora riconosciuti e magari costituiscono un grande investimento affettivo. E’ per questo che spesso la decisione di separazione da parte di uno dei due viene all’improvviso, proprio perché si è cercato di mantenere un compromesso in vita di quegli aspetti positivi a cui si è ancora molto legati. I sentimenti del partner che viene lasciato sono simili a quelli relativi alla morte del coniuge, per cui esso si sente improvvisamente perso e solo. Tale decisione porta con sé una grossa dose di conflitto poiché l’attenzione è focalizzata sulla ricerca del colpevole, quando più ogn'uno attribuisce le colpe all’altro; - Fase Conflittuale o Legale: non per forza legata alla causa legale di separazione. Con essa si intende il momento in cui si prendono i considerazione gli aspetti pratici della separazione; - Fase Riequilibrante: riorganizzazione sia individuale che delle relazioni familiari. Fase caratterizzata dalla diminuzione del conflitto per la maggiore proiezione al futuro che non al passato. Può avvenire se si è accettata la separazione e se si sono riconosciute anche le proprie colpe. Spesso è seguito dal divorzio psicologico. 3. Modello di Emery (1994): Emery sottolinea la dimensione della perdita legata al divorzio. Quando il matrimonio finisce contro la propria volontà si vive una vera e propria situazione di lutto, dovuta alla perdita del compagno, del tempo con i figli, dei propri sogni e aspettative e della fiducia e speranza positiva. Emery crea quindi un modello ciclico del lutto in cui individua tre livelli emozionali che devono essere necessariamente attraversate per superare il lutto stesso: - Amore: senso di nostalgia per essersi diviso da una persona cara e per l’inconscia speranza di tornarci insieme; - Collera: frustrazione e risentimento, fino all’ira e alla rabbia furibonda - Tristezza: depressione, solitudine e disperazione anche fino a sviluppare sintomi fisici. Entrambi i coniugi attraversano il lutto e devono attraversare queste fasi per poterlo superare. Spesso però uno dei coniugi si blocca in una fase. Deve quindi essere aiutato a finire il suo percorso in maniera anche consce. Emery spiega come per superare il lutto bisogna sentirsi tristi per aver perduto il proprio matrimonio, essere in collera per tutto quello che è successo ma tuttavia avere qualche tenero ricordo del passato e qualche rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. Compiti di Sviluppo della Famiglia Divisa I principali Compiti sono: 1. Ridefinire il Legame di Coppia: riguarda la capacità di ridefinire il rapporto in modo da poter ancora collaborare per il proprio ruolo genitoriale. Per i figli è molto importante che non si recida il rapporto tra i genitori, dato che, in questo modo, hanno la possibilità di sentire una continuità educativa responsabile e duratura. Inoltre, nei casi in cui i legami vengono interrotti del tutto o che ci sia ostilità, i figli si ritrovano a vivere in due mondi diversi e separati e quindi profonda soli nel mezzo. Maccoby (1993) ha individuato tre possibili Stili di Co-Genitorialità: - Cooperativo: i genitori rimangono in contatto, parlano l’uno dell’altro quotidianamente al figlio e riescono a separare la genitorialità dalla conflittualità di coppia; - Disimpegnato: i genitori non rimangono in contatto ma mantengono un buon rapporto con il figlio in assenza di conflittualità reciproca; - Ostile: il rapporto tra i due rimane ma in maniera ostile, tanto da interferire con la loro genitorialità. 2. Ridefinire i Rapporti con la Famiglia d'Origine e con la Comunità Sociale: la separazione, poi, porta anche alla ridefinizione del legame con la propria famiglia d’origine e soprattutto dei confini, dato che spesso chi si separa tende a tornare in famiglia non riuscendo più, però, ad uscirne e regredendo ad una condizione di famiglia con giovane adulto. Importantissimi sono poi gli amici che fungono da tramite tra la propria solitudine e il mondo esterno, nonché la possibilità di osservare i propri problemi da un punto di vista più realistico. Conseguenze della Separazione sui Figli Per i figli è più difficile affrontare l’alta conflittualità tra i genitori che non l’allontanamento di un genitore da casa. I figli hanno il compito di relazionarsi con una famiglia profondamente mutata da un punto di vista relazionale ma anche di organizzazione dei ruoli. Per fortuna, si è osservato che nei casi di conflittualità non eccessiva, i figli hanno buone capacità di resilienza, tanto da non sviluppare problemi psicopatologici durante il proprio sviluppo. I Fattori di Rischio per i figli sono: - Perdita di un Genitore: poiché considerato un punto di riferimento importantissimo, la sua lontananza è vissuta in maniera particolarmente sofferta, come uno sconvolgimento; - Conflittualità dei Genitori: la separazione in molti casi è un sollievo per tutti, anche per i figli che non subiscono più il peso della continua conflittualità. Ovviamente bisogna gestire bene anche la conflittualità post-separazione e tutto ciò dipende anche dalla fase di sviluppo in cui si trova il ragazzo; - Ricevere meno Cure: spesso lo stress derivante dalla separazione porta i genitori, anche involontariamente, a concedere meno cure e attenzioni al figli a mostrarsi meno tolleranti e disponibili. I Fattori Protettivi sono invece l’insieme delle relazioni con parenti, amici, fratelli ed insegnanti che possono facilitare l’adattamento del figlio alla separazione. E' poi fondamentale considerare gli Effetti della Separazione a Seconda dell'Età dei Figli: - Prima infanzia (0-3 anni): il neonato non è ancora in grado di capire cosa succede ma è molto sensibile alla separazione, soprattutto dal contatto e dalle cure della madre. Nei primi anni di vita, invece, soffre per la mancanza del padre, specialmente se maschietto, perché gli manca una figura con cui identificarsi. Inoltre, a questa età, l’unico modo che hanno per segnalare il proprio disagio è la sintomatologia fisica; - Seconda infanzia (4-6 anni): il bambino percepisce che sta accadendo qualcosa di grave ma non riesce a capirne il contenuto. Tra l’altro si sente responsabile e in colpa per il conflitto tra i genitori e non si sente neanche in grado di fare domande per capire meglio la situazione. E’ importante che i genitori manifestano espressamente il loro piacere di stare con lui, il fatto di non avere alcuna colpa e di non essere abbandonato da nessuno; - Fanciullezza (6-10 anni): il ragazzo si apre al mondo esterno e cerca persona con cui identificarsi per sviluppare la propria personalità Inoltre comincia a capire cosa succede e cerca di non creare problemi per proteggere i propri genitori. Diventa quindi adultizzato, un fenomeno che, entro certi limiti può essere funzionale al suo sviluppo, ma che non deve lasciare dietro di sé conflitti non risolti; - Adolescenza (11-18 anni): fase critica perché il ragazzo sta attraversando una doppia separazione dai genitori, in vista del proprio stadio evolutivo ed in vista della separazione reale da uno di loro. Sesso può capitare che i genitori interpretino i comportamenti di ribellione e chiusa come conseguenza della separazione e non dell’adolescenza stessa, senza assecondare quelle tendenze che invece sono utili al ragazzo per differenziarsi. L'Affido dei Figli ai Genitori Negli ultimi anni, la legislazione riguardo l’affido dei figli in casi di separazione ha fatto grossi passi in avanti, passando dell’affidamento esclusivo a quello congiunto. L’Affidamento Esclusivo prevedeva l’affido dei figli ad un solo genitore, di solito la madre, che assumeva tutti i diritti e le responsabilità riguardo al figlio. Ciò significa intanto escludere l’altro genitore alla vita quotidiana e dall’educazione del figlio, inoltre, sulla madre incombono tutte quelle responsabilità educative di solito assegnate alla figura paterna, molto importante soprattutto per i figli maschi. Così, succedeva che i figli si ribellava all’autorità della madre mentre avevano un buon rapporto con il genitore non affidatario che, avendo un tempo veramente ridotto per stare con i figli, cercava di creare una relazione qualitativamente migliore rispetto a quella che c’era prima. Alle carenze di tale modello di affidamento si era, già in passato, provato a sostituire modelli alternativi, come l’Affidamento Congiunto ed Alternato, che però avevano dei prerequisiti troppo discriminativi nel primo caso e dei ritmi che ledevano la stabilità della vita dei figli nel secondo. Nel 2006, invece, nasce l’Affidamento Condiviso che viene preso in considerazione come la prassi normale nei casi di divorzio, lasciando quello esclusivo come un affidamento per i casi con necessità particolari. L’affidamento condiviso si basa sul diritto dei figli a mantenere contatti e relazioni con i genitori e con le rispettive famiglie. Inoltre, l’affidamento viene dato ad entrambi i genitori sulla base della bi-genitorialità. I due genitori sono quindi chiamati a stabilire, davanti e con l’aiuto del giudice in caso di conflittualità, lo stile educativo del figlio nonché tutti gli aspetti di vita quotidiana che lo riguardano. Il tempo sarà diviso equamente tra i genitori che si divideranno anche i compiti relativi alle attività dei figli in base alle proprie competenze, e alla divisione che ruoli che esisteva anche in passato. In questo modo di evita anche la conflittualità aggiuntiva nata dalla lotta per l’affidamento dei figli. E' importante anche considerare la Sindrome da Alienazione Genitoriale (Gardner, 1998) che può sorgere nei figli a causa di controversie relative all'affidamento. Tale sindrome deriva da una campagna di denigrazione di un genitore nei confronti dell'altro e prevede alcuni Sintomi principali: - Campagna di Denigrazione (imitazione del disprezzo del genitore denigrante); - Razionalizzazioni Deboli; - Mancanza di Ambivalenza; - Fenomeno del Pensatore Indipendente (non ammettere di essere influenzato); - Appoggio Automatico al Genitore Alienante; - Assenza di Senso di Colpa; - Utilizzo di Scenari Presi a Prestito (dire cose che il bambino non può sapere); - Estensione delle Ostilità alla Famiglia del Genitore Denigrato. La Mediazione Familiare La Mediazione Familiare è un percorso di aiuto alla famiglia prima, dopo e durante la separazione, allo scopo di offrire agli ex coniugi un contesto strutturato e protetto, al di fuori dell’ambito giuridico, in cui raggiungere accordi concreti per il buon funzionamento della separazione. La mediazione è gestita da un terzo neutrale, che non manifesta alcuna forma di potere e autorità ma semplicemente facilita il confronto senza conflitto tra i due ex coniugi. Lo scopo è di attuare un intervento preventivo per il rischio del disagio dei minori relativo alla separazione. Esistono vari tipi di mediazione familiare che però si inseriscono lungo un continuum ai cui estremi troviamo: - Dimensione Negoziale: nasce dall’adozione delle tecniche di negoziazione usate in ambito aziendale e istituzionale nella mediazione per la separazione. Pone l’accento sul raggiungimento dell’intesa, considerando le variabili emotive come ostacoli a tale processo; - Paradigma Terapeutico: nasce da un approccio terapeutico più basato sull’osservazione dei vissuti personali relativi alla separazione che potrebbero bloccare lo sviluppo dell’intesa. La mediazione familiare non deve essere confusa con la terapia familiare in quanto partono da presupposti ed obiettivi diversi perché la seconda mira al cambiamento profondo delle dinamiche relazionali della coppia, mentre la mediazione mira solo al raggiungimento di un accordo senza eliminare o ricercare le cause dei conflitti ma semplicemente gestendoli. E' utile analizzare i due modelli vicini al paradigma terapeutico perché derivanti dal modello sistemi-relazionale: 1. Modello di Irving e Benjamin (1994): si basa sulla soluzione degli aspetti emotivi connessi alla vicenda separativa in modo da poter lavorare su un cambiamento della relazione a livello comunicativo tanto da permettere il raggiungimento dell’accordo. Il modello individua quattro Fasi: - Fase di Valutazione: si osserva il livello di conflittualità, la capacità emotiva di affrontare la situazione e lo stile educativo esercitato sul figlio per capire da cosa si parte; - Fase di Pre-Mediazione: viene svolta in quei casi in cui è necessario superare delle rigidità che bloccano l’interazione; - Fase di Negoziato: vengono definiti e discussi i punti su cui trovare accordo; - Fase di Follow-Up: per verificare la stabilità degli accordi presi si fa un nuovo incontro dopo circa sei mesi. 2. Modello Simbolico Trigenerazionale (Mazzei e De Berart, 2002): sottolinea l’importanza di considerare tutte e tre le generazioni della famiglia per comprendere i meccanismi insiti nel processo di separazione. Affinché i due ex coniugi siano in grado di superare la conflittualità e quindi trovare un accordo, hanno la necessità di recuperare la propria storia, quella insieme alle loro famiglie d’origine e quella insieme ai loro figli. Il recupero della propria storia, ma anche della storia condivisa con il coniuge, permette il recupero anche dei significati collegati agli eventi, alle persone ma anche alle cose come il denaro e la casa. In questo modo si ha la possibilità di capire cosa ci sia alla base delle proprie richieste e di quelle dell’altro nella suddivisione dei beni e dei figli, capire per quale motivo si è legati a qualcosa. Tutto ciò permette di avere una visione più chiara dei problemi senza attaccarsi ad ogni dettaglio per attaccare l’altro, che invece sta manifestando delle proprie necessità legate ai propri significati. Una particolarità di questo metodo è poi quello di inserire nella mediazione anche alcuni incontri con i figli, per comprendere quali siano i loro reali problemi, bisogni ed aspettative. Negli altri modelli di mediazione, infatti, i figli vengono tenuti fuori per salvaguardarli dalla conflittualità, chiedendo invece ai genitori di parlare molto di loro, nell’illusione che questi ultimi conoscano veramente bene i loro figli. CAPITOLO 11 - LA FAMIGLIA CON UN SOLO GENITORE Una delle Conseguenze della Separazione-Divorzio La Famiglia Monogenitoriale (o monoparentale) è sempre esistita ma attualmente è frutto principalmente dei divorzi, mentre prima era la conseguenza della condizione di vedova/o. Inoltre sono sempre più spesso le donne a rimanere sole coi figli perché i giudici tendono a privilegiare fortemente l'affido materno. La Condizione delle Madri Sole in Italia Minore è l'età dei figli, più le madri che vivono sole con loro sono separate o divorziate piuttosto che vedove. Le famiglie monogenitoriali hanno meno figli di quelle in cui è presente una coppia di genitori. Queste donne hanno maggiori difficoltà economiche e per questo sono alla ricerca di un'autonomia economica attraverso il lavoro o il supporto della famiglia d'origine. Una risorsa importante per queste donne è la rete informale mentre invece i servizi sociali sono carenti visti gli elevati costi dei servizi per la prima infanzia in Italia. Compiti di Sviluppo della Famiglia con Madre Sola I principali Ostacoli della Famiglia con Madre Sola sono rappresentati da: - Accettazione della Famiglia a Livello Sociale: deve far fronte ai pregiudizi sociali poiché vista come inadeguata rispetto ai bisogni delle persone che ne fanno parte. I bambini sono giudicati indisciplinati o con difficoltà di adattamento. Tale sistema familiare entra in conflitto con quello tradizionale e la donna è vista come poco seria e le coppie sposate la evitano perché la vedono come possibile rivale o come portatrice di idee progressiste. Queste famiglie vengono quindi emarginate e tutto ciò ricade sui figli che, evitati di loro compagni, spesso si vergognano di raccontare la propria storia familiare ai coetanei; - Difficoltà di Natura Economica: le difficoltà ci sono sempre, soprattutto se l'assegno del marito è basso e se la madre è un ex casalinga. Le donna che non lavorava deve ora inserirsi nel mondo del lavoro senza avere esperienza, mentre la donna che lavorava deve incrementare l'impegno lavorativo per mandare avanti la famiglia. Determinante è l'età della donna e dei figli, dato che donne giovani hanno anche figli troppo piccoli per essere lasciati a casa da soli. Inoltre i figli piccoli si adattano difficilmente ad essere lasciati ad estranei e soffrono la mancanza della figura del padre. Nel caso di figli adolescenti, il problema sta nel fatto che la madre non è più giovanissima e fa fatica a trovare un lavoro; - Costruire Rapporti Emotivi e Interpersonali Soddisfacenti: spesso la famiglia è costretta a cambiare casa perché prima ospitati nell'appartamento del marito. Questo significa cambiare quartiere se non città e quindi anche amicizie e legami. Il rischio è quello che la famiglia imploda chiudendosi in se stessa. I pregiudizi che la madre percepisce attorno a se stessa e i sensi di colpa che ha per aver infranto il mito della coppia genitoriale può portare all'assolutizzazione del ruolo materno escludendo la sua dimensione di donna e il bisogno di relazioni amorose con altri uomini. Molte donne si sentono prese dalla fatalità di negare qualsiasi desiderio sessuale e si perdono in un oblio dell'erotismo che le fa diventare vittime dell'uomo; - Ridefinire le Relazioni nella Famiglia: la madre deve ridefinire il suo ruolo perché deve ricoprire sia il proprio, quello affettivo, che quello paterno normativo. Le ricerche dimostrano come le donne sole tendono ad attuare uno stile educativo più autoritario rispetto al passato a causa dello loro insicurezza e impossibilità di confrontarsi con il partner, e ciò le porta ad alternare in modo incoerente e disorientante per il bambino uno stile autoritario e uno permissivo. I figli devono riorganizzare la loro relazione con la madre che ora è meno disponibile di prima e più facilmente irritabile ed esigente a causa della depressione. Compiti di Sviluppo della Famiglia con Padre Solo Le famiglie monogenitoriali con il padre tendono ad aumentare e tende ad aumentare il numero dei padri che chiede l'affidamento dei figli. Va inoltre notato come gli adolescenti preferiscano andare a vivere con il padre. Tuttavia la maggior parte degli uomini tende a risposarsi piuttosto che a costruire una famiglia da soli. E' necessario ricordare che anche un uomo solo è in grado di adottare comportamenti considerati materni e di sviluppare un legame affettivo molto forte, anche prima dell'adolescenza. Gli specifici Compiti di sviluppo sono: 1. Organizzazione della Vita Familiare: l'uomo dovrà conciliare la propria attività lavorativa, la cura domestica e la funzione genitoriale. In realtà, però, gli uomini si abituano molto presto perché meno ossessionati dalle pulizie e dalle buone maniere, più inclini a responsabilizzare i figli sulle faccende pratiche che richiede la casa e più propensi ad accettare aiuto da persone esterne. Anche loro hanno problemi di tipo lavorativo perché occupandosi a tempo pieno dei figli devono chiedere continui permessi e questo riduce lo stipendio e diminuisce le possibilità di fare carriera; 2. Aspetti Emotivi: anche l'uomo attraversa il senso di fallimento, solitudine e sensi di colpa verso i figli. Ma dopo un iniziale periodo, spesso è proprio il dovere di occuparsi dei figli che lo aiuta a superare i sentimenti depressivi, ritrovando il piacere di occuparsi dei bambini, cosa che in passato invece faceva meno; 3. Stile Educativo: anche il padre trova difficoltà a dover ricoprire i due ruoli e cerca di mediare con un atteggiamento più indulgente basato su una relazione paritaria per evitare di risultare, da solo, troppo autoritario. Di solito, però, i maschi si trovano molto bene con i padri mentre maggiore difficoltà è riscontrata nelle femmine a cui manca la figura con cui identificarsi. Il Rischio della Genitorializzazione Il genitore affidatario può sviluppare un coinvolgimento o una forma di dipendenza nei confronti dei figli che può portare ad un inversione dei ruoli, in cui i confini generazionali vengono confusi e i figli finiscono per prendersi cura dei genitori da un punto di vista sia pratico che affettivo. Teyber (1996) individua tre tipi di Genitorializzazione (o Parentificazione): - Bambini che Rassicurano i Genitori: vista la situazione problematica e la sofferenza e lo stress dell'adulto, i bambini si sentono spesso in dovere di rassicurare i genitori offrendo conforto e stabilità. Ciò non vuol dire che un figlio non può essere preoccupato per il genitore, ma se tale preoccupazione lo coinvolge totalmente nella sua giornata diventa un atteggiamento esasperato ed è problematico. Se l'inversione dei ruoli dura poco, il bambino avrà imparato a dare oltre che a ricevere, se invece il tempo è prolungato si può andare incontro ad una sofferenza interiore che poi si manifesterà da grandi; - Bambini che Soddisfano i Bisogni di Intimità e di Affetto dei Genitori: che un adulto abbia bisogno di affetto e di intimità è assolutamente normale, ma deve cercarlo in un altro adulto. Certe persone pensano invece di poter compensare bene rendendo i propri figli i loro confidenti più intimi, e il più delle volte i figli, spesso le femmine, sono eccitate da questo ruolo appagante per sé e centrale per il genitore; - Bambini che si Prendono Cura dei Fratelli e della Casa: è normale che i fratelli più grandi si prendano cura dei fratelli più piccoli e della casa, ma ciò non porta con sé aspetti positivi se la figura genitoriale responsabile manca del tutto. I fratelli piccoli divengono depressi e remissivi, mentre gli adolescenti reagiscono con rabbia e cominciano a ribellarsi all'autorità del padre. Le Conseguenze della Genitorializzazione diventano evidenti nel passaggio dall'età adolescenziale all'età adulta. Da bambini, infatti, i figli genitorializzati non mostrano alcun sintomo, sembrano anzi perfetti, per la loro grande maturità che li porta ad essere stimati ed amati. Nell'adolescenza il figlio comincia ad accusare i primi problemi perché vede soddisfatti i bisogni dei genitori ma non i propri e quindi non ha la possibilità di dipendere da qualcuno da cui poi differenziarsi. Sarà quindi nell'età adulta che i figli avranno la sensazione di avere sprecato la propria infanzia e di essere stati usati dai genitori, ribellandosi ora a quest'ultimi. Gli adulti che sono stati figli genitorializzati sono persone che si prendono cura in maniera ossessiva degli altri, timorosi di essere un peso per gli altri e vergognosi di esprimere i propri bisogni. Svolgono spesso lavori sociali (ad es. infermiere e psicologo) e sono persone che si identificano troppo nei problemi altrui perche non riescono a trovare i confini tra se stessi e gli altri e non riescono a rifiutare una richiesta d'aiuto. Hanno difficoltà a instaurare relazioni affettive sia perché hanno imparato solo a dare e non a ricevere che perché esse presuppongono di abbandonare in parte la propria posizione di potere e controllo. Di conseguenza costruiscono relazioni superficiali con soggetti deboli e problematici e fanno fatica a staccarsi dalla famiglia d'origine. CAPITOLO 12 - LA FAMIGLIA RICOMPOSTA Famiglia Ricostruita o Famiglia Ricomposta? Inizialmente nacque il termine Famiglia Ricostituita che si basava sull’idea del ritorno alla famiglia tradizionale. La famiglia ricostituita era quindi una famiglia formata da una coppia coniugale che non coincide con al coppia genitoriale che però si basa sull’illusione di poter costituire un nuovo nucleo familiare tradizionale separato da tutto il resto e quindi dalla personale storia familiare dei due coniugi prima della loro unione. Verso gli anni ’80, però, con la maggiore attenzione ai figli e al loro diritto di mantenere vivi i rapporti con tutti i parenti, ci si rese conto che poi sono i figli che vivono due famiglie diverse dividendosi in due mondi differenti che nella realtà non solo slegati tra di loro. Nasce quindi il concetto di Famiglia Ricomposta, nata cioè dall’unione di figure differenti appartenenti a famiglie differenti che non vengono tagliate fuori ma integrate tra di loro. Si tratta quindi di una famiglia che comprende un insieme di nuclei familiari differenti intesi come sottosistemi di un’unica unità. Vincoli e Risorse della Famiglia Ricomposta I Vincoli e Risorse della Famiglia Ricomposta sono: - Confini meno Rigidi: sia a livello intergenerazionale che rispetto ai diversi nuclei familiari. La realtà è che non esistono ancora regole e norme sociali che possano aiutare a gestire questa situazione, e quindi i membri della famiglia devono cercare di sperimentare su se stessi, cercando di creare una situazione il più possibile coerente; - Scarsa Coesione e Identità Fragile: inevitabile vista la moltitudine di ruoli, figure affettive e di riferimento, che soprattutto disorientano i figli specialmente se piccoli. Allo stesso modo si avrà una scarsa identità familiare. Questo è molto negativo per i bambini piccoli che sono ancora alla ricerca e alla costruzione di una propria identità autonoma; - Maggiori Risorse: tutte queste differenze possono però essere lette anche come risorse, se i figli sono in grado di avere un buon adattamento e quindi usufruire della disponibilità di nuove e diverse modalità relazioni, di stili educativi e di ruoli differenti da sperimentare per arricchire la propria personalità ed identità Detto ciò, le famiglie ricomposte funzionali sono, di solito, quelle in cui c’è un buon adattamento coniugale, un legame positivo tra i genitori biologici e i propri figli, non c’è la tendenza ad escludere nessuno e le decisioni vengono concordate insieme. Le famiglie disfunzionali sono invece quelle in cui è presente un conflitto coniugale, il genitore affidatario crea una forte coalizione con il proprio figlio tendendo ad escludere gli altri e le decisioni non vengono discusse insieme. Il Processo di Ricomposizione Familiare La famiglia ricomposta implica una riorganizzazione delle relazioni familiari. Carter e McGoldrick (1980) osservano la famiglia ricomposta in una prospettiva dinamica di cinque successive Fasi che richiedono un adeguato tempo di elaborazione: - Stadio dell’Illusione: ogni membro nutre in sé una serie di illusioni come quella di poter ricostituire una famiglia tradizionale come le altre. Tale fantasia è irrealizzabile proprio perché la loro famiglia si basa su una perdita e l’unione di soggetti con differenti storie familiari. Altre fantasie riguardano l’illusione di poter cancellare, con il divorzio, la famiglia precedente, o che il nuovo partner possa essere subito un buon genitore sostitutivo del precedente e soprattutto l’illusione, di genitori e bambini, che i due ex coniugi possano tornare insieme; - Stadio della Confusione: nasce proprio dal rendersi conto che le proprie fantasie erano solo illusioni e che invece la famiglia perfetta non esiste. E’ un periodo di scontento generale dove vengono fuori i sentimenti prima negati per cercare di dare una migliore immagine di sé alla famiglia. Ci si rende conto che le cose non vano e che bisogna riorganizzare ogni aspetto della vita familiare. E’ una fase caratterizzata dalla paura di una seconda perdita e questo porta i vari membri della famiglia a non legarsi troppo proprio per non subire un’altra perdita; - Stadio della Crisi: all’interno della famiglia si creano dei gruppi contrapposti formati, per esempio dai figli contro il terzo genitore o dalla madre e i figli contro il partner. La situazione diventa ancora più problematica se ci sono figli adolescenti che, di per sé, portano scompiglio in casa; - Stadio della Stabilità: la famiglia comincia ad acquisire il “senso del noi”. Ci si rende conto bisogna collaborare per far funzionare la famiglia che comunque rimarrà tale e non tornerà quella di prima. Il conflitto viene inteso come una possibilità di conoscere se stesso e gli altri; - Stadio dell’Impegno: il passato è accolto con tutti i suoi fallimenti in modo che serva da insegnamento per non sbagliare più. Tutti i membri si impegnano per il bene comune. Il Ciclo di Vita della Famiglia Ricomposta Vicher e Vicher (1990) individuano i compiti di sviluppo della famiglia ricomposta nei seguenti punti: 1. Costruire un Senso di Appartenenza: in realtà è un compito evolutivo relativo a tutte le famiglie ma di certo per la famiglia ricomposta è ancora più difficile a causa di storie familiari diverse e al’assenza di legami di sangue tra tutti i membri. E’ un percorso che richiede tempo e che può essere portato a termine solo se si sono superate tutte le fasi del processo di divorzio e del processo di ricomposizione della famiglia. Ottenuto quindi un clima di relativa pace bisogna promuovere attività che coinvolgano tutta la famiglia in modo da creare esperienze comuni su cui basare l’appartenenza al gruppo e la futura identità familiare; 2. Costruire l’Identità della Nuova Coppia: innanzitutto è necessario che entrambi i partner abbia completato il processo di separazione, anche psicologica, dal proprio ex coniuge. Successivamente bisogna liberarsi delle illusioni ed aspettative irrealistiche relative al nuovo partner e alla relazione di coppia. Fatto tutto ciò, è possibile creare una nuova identità. Spesso, però, tale creazione è influenzata dall’esperienza del matrimonio precedente. Ad esempio i due partner possono avere appreso precedentemente delle modalità di comunicazione che ora danno per scontate, aspettandosi di essere capiti e compresi, quando poi si va solo incontro a fraintendimenti. In realtà, quando la coppia riesce a superare tutti problemi di cui abbiamo parlato, costruisce una relazione basata su una grande forza ed unità, tanto da parlare di luna di miele in mezzo al caos, in cui la coppia è capace di ritagliare i propri momenti felici, caratteristici dell’inizio di ogni rapporti, a prescindere dall’approvazione e dal malcontento eventuale dei figli. Questo è un aspetto molto importante poiché significa distinguere il proprio ruolo coniugale da quello genitoriale e familiare in generale. Ricordiamo che nelle famiglie tradizionali, durante la formazione della coppia non ci sono ancora figli che possono eventualmente ostacolare il rapporto a causa della loro disapprovazione; 3. Costruire le Relazioni Genitori-Figli: i genitori biologici devono ricostruire la relazione con i propri figli, e soprattutto proteggerla dalla confusione creata dalla nuova famiglia. Così anche i figli dovranno fare lo stesso e stare attenti a non perdere, ma a riorganizzare, la relazione con il genitore non convivente. Poi i genitori acquisiti e i relativi figli acquisiti dovranno impegnarsi per creare una reciproca relazione, basata almeno sul rispetto; 4. Costruire e Ridefinire la Relazione tra i Fratelli: bisognerà poi costruire le relazioni con i fratellastri. I risultati delle ricerche sono in realtà contrastanti, dato che si può assistere alla creazione di buoni legami di adattamento o di sentimenti di invidia e rabbia a causa della preferenza dei genitori per i figli biologici. Sta di fato che il rapporto tra fratelli non di sangue, anche se buono, non è mai intimo e profondo come quello dei fratelli biologici; 5. Costruire e Ridefinire le Relazioni con le Famiglie d'Origine: bisogna sviluppare buoni rapporti con tutta la famiglia estesa. Il "Terzo Genitore" La relazione che si istaura tra genitore sociale e figlio acquisito si basa non sulla trasmissione dell’eredità biologica ma sulla trasmissione dell’eredità psicologica tramite la quotidiana convivenza e la condivisione di esperienze significative, il volersi bene, il parlare apertamente e diventare pian piano un nuovo punto di riferimento per il ragazzo. Le ricerche dimostrano come sia più difficile il ruolo di terzo genitore per le donne a causa soprattutto di una trasmissione culturale, derivante già dalle favole, che mostra la matrigna come una donna fredda e cattiva che vuole approfittare del madre ed eliminare l madre biologica. Di certo, poi, la madre biologica non accetta di buon grado di essere sostituita. In aspetto importante è proprio il fatto che il genitore sociale non può e non deve andare a sostituire il genitore biologico. Egli deve infatti trovare il suo posto ed imparare a non soffrire della complicità e del grado affettivo inevitabilmente presente tra genitore e figlio biologico. Una particolare situazione è poi quella del caso in cui il genitore biologico sia morto o abbia abbandonato la famiglia. In questi casi il terzo genitore può sostituire il genitore biologico perché va ad occupare un posto vuoto, senza niente togliere a nessuno. I possibili Ruoli del Terzo Genitore possono essere: - Amico: condizione ideale perché non interferisce con il genitore biologico e può essere un buon riferimento per i figli per avere un confronto con un amico che non è compagno perché più grande, e che quindi è capace di esprimere la propria opinione senza dare per forza ragione e potendo insegnare qualcosa; - Confidente: ha il ruolo di ascoltare i figli. Molto utile con figli adolescenti che hanno grosse difficoltà a dialogare con i propri genitori, mentre ora hanno una figura di riferimento adulta. L’importante non creare un’alleanza eccessiva che possa poi ledere il rapporto con il genitore biologico; - Altre Genitore: di solito un ruolo assunto con bambini piccoli quando il genitore biologico è molto assente. Altro Genitore non significa quindi sostitutivo ma aggiuntivo; - Mentore: ha il ruolo di dare consigli e di insegnamenti ai figli acquisiti per prepararli ala vita. Assume il ruolo di qualsiasi altra figura di riferimento esterna alla famiglia come gli insegnanti; - Modello: rispetto al mentore, il genitore sociale offe insegnamenti basandosi sulla propria esperienza, diventando quindi un modello inconscio per i suoi allievi. Utile nei casi di genitore biologico come cattivo modello. Il punto di vista dei figli, è invece quello di accettare il genitore sociale senza offendere e far soffrire il genitore biologico. Riorganizzazione del Ruolo Genitoriale Rispetto alla Separazione I due ex coniugi possono decidere di affrontare il loro ruolo genitoriale condiviso in differenti Modalità (Ahrons e Rodgers, 1987): - Diade Dissoluta: di solito i casi in cui uno dei due sparisce e quindi taglia definitivamente i contatti sia col coniuge che con i figli rifacendosi una vita. In questo caso il genitore sociale viene vissuto come sostitutivo e si crea una nuova famiglia slegata dalla precedete unione; - Amici Perfetti: i due ex coniugi non attuano una adeguata separazione tanto da rimanere molto legati, condividere riti familiari e momenti di amicizia e saltuariamente occasioni di passione e complicità. I figli sono contenti perché hanno un buon rapporto con entrambi i genitori e godono della pace tra i due. E’ una finta situazione idilliaca perché appena entrerà un nuovo compagno nella vita dell’altro tutto verrà rotto e comincerà il conflitto. I figli avranno difficoltà ad accettare il genitore sociale che, a sua volta, tenderà ad entrare in conflitto e competizione con il genitore biologico; - Colleghi Collaboranti: si è attuata la separazione coniugale e si è quindi in grado di mantenere rapporti civili per il bene dei figli, senza creare conflitti di lealtà che ostacolano la relazione dei figli on i rispettivi genitori sociali; - Colleghi Arrabbiati: i due non trovano un accordo e sono sempre in conflitto, finendo per applicare due stili genitoriali distinti e separati - Nemici Furenti: il conflitto è a livelli talmente elevati che non si trova nessun accordo e in più si scarica la tensione sui figli che spesso vengono strumentalizzati. In questo caso il partner entrerà nel conflitto come alleato di uno o dell’altro coniuge. I figli non potranno affezionarsi a lui per paura di schierarsi con uno o con l’altro genitore tradendo uno dei due. CAPITOLO 13 - LA FAMIGLIA ADOTTIVA L'Evoluzione dell'Adozione in Italia La pratica dell’Adozione è molto antica e risale alla Mesopotamia e all’antica Roma. Nasce come pratica per permettere la trasmissione del lignaggio e dei beni. Napoleone proibì l’adozione perché inserendo un figlio illegittimo si impoveriva la quota ereditaria dei figli naturali e la forza economica e sociale del casato. Per questo potevano essere adottati solo ragazzi di 18 anni e solo da famiglie che non potevano avere figli o di oltre 50 anni, per evitare di dover dividere l’eredità tra figli legittimi e figli adottivi. La dimensione affettiva era messa in secondo piano. Il modello di adozione del codice civile di Napoleone fu introdotto in Italia nel 1865 da Vittorio Emanuele II fino al 1939, poi venne promulgato il Codice Civile attualmente in vigore. L’adozione riguardava i minori e l’accordo era stabilito tra i genitori dell’adottando e dell’adottante, il quale deve ancora avere almeno 50 anni, ma non importava se ad adottare fosse una coppia o un singolo. Dopo l’adozione i rapporti del minore con la famiglia di origine non venivano interrotti e al vecchio cognome si aggiungeva quello nuovo. L’adottante poi poteva poi chiedere la revoca dell’adozione se l’adottato dava problemi. Verso gli anni ‘70, grazie alla maggiore attenzione alle scoperte psicologiche relative allo sviluppo del bambino, l’attenzione fu maggiormente posta al minore e ai suoi bisogni:, per cui oggi lo scopo è dare una famiglia al minore che ne è privo e solo dopo dare un figlio a chi non ne ha. Si sceglie una coppia che può adottare e vengono privilegiate quelle che hanno già uno o più figli. Si guarda anche al problema dei minori in istituiti assistenziali e agli studi che dimostrano come la carenza prolungata di cure materne abbia un effetto particolarmente negativo sullo sviluppo. Così nel 1967 venne fatta la legge sull’Adozione Speciale con i principi appena visti, per cui l’adottante è una coppia giovane, meglio se con figli, scelta dal giudice in collegamento con i servizi sociali. Il rapporto con la vecchia famiglia viene reciso. Non si può revocare l’adozione visto che il figlio ora è legittimo. Nel 1983 la legge 184 disciplina l’adozione internazionale e l’affidamento familiare. Negli anni '70 le migliorate condizioni di vita degli italiani e la diminuzione dei bambini italiani adottabili porta alla propensione alle adozioni internazionali, che negli anni '90 superano così quelle nazionali. Nel 1998 con la legge 476 il parlamento italiano ratifica l’accordo stabilito a livello europeo, introducendo una maggiore apertura rispetto alle informazioni che la coppia riceve sul minore che avrà in adozione. L’ultima legge è la 149 del 2001 che stabilisce il diritto del minore adottato di essere informato dai genitori adottivi sulla sua condizione. Dall'Abbandono all'Accoglienza del Figlio Non Proprio Lo scopo dell’adozione è quello di dare una casa ai bambini in stato di abbandono, ossia che non presentano alcun legame con genitori o parenti che potrebbero prendersi cura di lui. Anche il fenomeno dell’abbandono è cambiato nel tempo, dato che prima i bambini venivano abbandonati per strada e se erano fortunati venivano recuperati dagli orfanotrofi. Oggi sono nati provvedimenti per permettere il parto anonimo in ospedale, ed evitare la morte della madre per parto, o le ruote per poter abbandonare il bambino in una situazione protetta. È infatti maggiore il numero dei bambini abbandonati dopo guache mese o anno a causa delle difficoltà economiche o delle violenze subite in famiglia, che non l’abbandono alla nascita. I due Compiti che la famiglia adottiva deve svolgere sono: 1. Adozione come Cura del Trauma: il bambino non deve semplicemente colmare il vuoto lasciato dai genitori con altre figure affettive, ma deve anche rielaborare il lutto e il trauma dell’abbandono. Risulta quindi evidente la sempre maggiore attenzione alla selezione della coppia di genitori adottivi giusti per quel bambino e giusti per aiutare il bambino ad assolvere ai difficili compiti di sviluppo che dovrà affrontare. E’ importante conoscere i motivi dell’abbandono del minore poiché la sua storia precedente non verrà cancellata, tagliata, come si faceva in passato, ma dovrà essere ripresa e rielaborata dal bambino con l’aiuto della nuova famiglia adottiva. Così, si parlerà dei genitori biologici, dei motivi per cui lo hanno abbandonato. I nuovi genitori devono comprendere il dolore del bambino e rispecchiare e convalidare psicologicamente ed affettivamente le sue esperienze: il bambino deve essere compreso e capito e deve capire a sua volta di essere protetto e che si trova in un luogo in cui può acquisire un tipo di esperienza diversa da integrale a quella negativa del passato. E’ proprio per questo che oggi si fa un’accurata selezione e formazione dei genitori che in qualche modo curano il trauma del bambino; 2. Adozione come Supporto nella Definizione di Sé: l'idea di mantenere la continuità della storia del bambino è spiegata dal fatto che in questo modo non si interrompe ma si riprende il suo processo di definizione di sé. Il bambino abbandonato ha infatti visto spezzato il suo processo di attaccamento, che lo avrebbe portato ad definire un proprio sé sempre più autonomo grazie al quale si sarebbe potuto differenziare, e quindi individuare, rispetto ai propri genitori. Questo però non è successo e deve essere ripreso. I bambini abbandonati si sentono molto insicuri, incapaci e dipendenti da figure di riferimento di cui hanno assoluto bisogno. In questo caso, i genitori biologici devono essere una valido sostegno, ma devono spronare il bambino a sviluppare la propria autonomia. Per esempio, capita che alcune coppie non apprezzino le scarse ma presenti capacità che il bambino dimostra, indicandogli, invece, come una determinata azione deve essere fatta. Il loro comportamento scaturisce dalla comparazione del figlio adottivo con i bambini normali e con il loro figlio idealizzato, senza invece rendersi conto degli sforzi che il bambino stava regalando loro per cercare di essere accettato. Arriva poi l’adolescenza, ossia il periodo in cui il bambino dovrebbe differenziarsi, ed è un momento difficile poiché entrambi hanno la paura, il fantasma del secondo abbandono. Il bambino ha difficoltà a differenziarsi per paura di deludere i suoi genitori adottivi, di non rispondere alle esigenze della coppia e quindi essere di nuovo abbandonato, i genitori hanno invece paura che l’atteggiamento di separazione del figlio possa essere interpretato, anche dagli altri, come un loro insuccesso e fallimento, la loro incapacità di essere sia genitori biologici che adottivi. Ancora più difficile è la situazione dell’adozione internazionale dove si vengono a scontrare anche razze, tratti somatici culture differenti. A volte, a causa del bisogno dei genitori di adeguare il figlio adottivo alla propria vita e quindi alla propria cultura, viene negata la differenza soprattutto se il figlio è piccolo. I guai però verranno al pettine in adolescenza, quando il figlio si renderà conto delle differenze oggettive ma vedrà negata tale sua identità. Il Ciclo di Vita della Famiglia Adottiva Come scrivono Scabini e Cigoli (2000), l’adozione nasce da una doppia mancanza, quella dei genitori, relativa alla propria sterilità e alla mancanza delle generatività del figlio idealizzato, e quella del bambino, che desidera una famiglia. Tali mancanze sono complementari, ma non bastano per la buona riuscita dell’adozione, che deve essere sostenuta da buone modalità di elaborare ed unire tali mancanze. Il ciclo di vita della famiglia adottiva viene suddiviso nelle tre seguenti Fasi (Paradiso, 1999): 1. Fase Generativa: all’inizio, come tutte le coppie, i due coniugi si trovano nella fase della creazione della propria identità di coppia. Tale percorso verrà interrotto dalla scoperta della propria sterilità, che porta ad un momento di inevitabile crisi. La crisi nasce dal disorientamento dovuto allo scardinamento del proprio progetto comune, ossia quello di costruire una famiglia ed avere un figlio. Il primo compito evolutivo che la coppia dovrà affrontare è quindi quella di elaborare la sterilità. Quest’ultima viene vissuta in modo molo diverso dai coniugi, dato che per le donne la sterilità significa un grande fallimento, perdere il proprio essere donna e un’identità sociale fortemente connessa alla generatività. Per l’uomo, essere sterile significa essere impotente portando con sé sentimenti di vergogna ed umiliazione. Ora, tutto questo può attivare nelle relazioni familiari delle risposte anche molto diverse: la sterilità può essere vissuta come un tradimento del patto coniugale o come una risorsa per attivare strategie protettiva della coppia stessa. Se il desiderio di avere un bambino nasceva solo dal bisogno di compensazione di bisogni personali o di coppia, la conferma della sterilità poterà inevitabilmente ala rottura della coppia. Secondo compito è quindi quello di separarsi dal progetto biologico e negoziare un altro tipo di progetto generativo. Di solito è la donna a proporre l’adozione, ma bisogna prima indagarne i motivi. Di per sé l’adozione non è la soluzione alla sterilità. Se, infatti, il fallimento del primo progetto non viene adeguatamente elaborato, la coppia può sviluppare il bisogno di avere un figlio a tutti i costi pur di sostituire quello che non può avere e, ammesso che riesca a passare la selezione, si relazionerà al figlio adottivo negando sia il passato del bambino, negandogli la possibilità di scoprire di essere stato adottato, sia la propria storia, non parlando mai del motivo dell’adozione. In questo caso, quindi, l’adozione risponde solo ai bisogni della coppia che comunque non risolverà i propri problemi perché metterà in atto solo una sostituzione e non un’elaborazione. Ultimo compito è il comunicare la propria decisione alle famiglie d’origine in modo tale che anche loro possano abituarsi all’idea, creare lo spazio mentale e affettivo per accogliere il nuovo arrivato e offrire tutto il proprio sostegno; 2. Fase Sociale: dopo il momento della scelta, per la coppia comincia un periodo molto lungo e difficile in cui deve per forza condividere la sua scelta con il mondo sociale, dato che comincia infatti il percorso di valutazione da parte dei servizi sociali per il raggiungimento o meno dell’idoneità all’adozione. Tale percorso serve alla coppia per verificare le proprie motivazioni in base alla specificità del ruolo adottivo. Molte coppie, infatti, arrivano alla scelta dell’adozione tramite motivazioni non consone all’adozione stessa, per esempio in base alla rivendicazione del propri diritto d avere un figlio e non in base alle esigenze del bambino adottato. Questa fase è quindi caratterizzata da specifici compiti di sviluppo che aiutano la coppia a prepararsi all’ingresso del bambino: - Elaborare la scelta adottiva alla luce delle caratteristiche dell’istituto giuridico dell’adozione: l’adozione non ha un significato privatistico come pensano le maggior parte delle coppie non rispecchia un bisogno della coppia ma quello del bambino. La coppia che decide di adottare deve quindi prendere consapevolezza che il suo è un gesto verso un bambino abbandonato di ci si sceglie di prendersi cura, ma non deve essere il bambino a prendersi cura dei bisogni e delle aspettative dei genitori adottivi. Questo stravolgimento di prospettiva non sempre viene bene accettato e alcune coppia continuano a rivendicare il proprio diritto di avere un figlio, sviluppando un atteggiamento negativo nei confronti dell’iter valutativo e delle istituzioni che vengono viste come ulteriori ostacoli al proprio diritto; - Scelta dell’adozione nazionale o internazionale: la coppia può scegliere una delle due alternative ma è importante che tale scelta venga fatta in base alla consapevolezza della differenza tra essere genitori di un bambino della stessa cultura oppure di uno di cultura differente. Molto spesso capita che la coppia scelta l’adozione internazionale perché più veloce, non rendendosi invece conto del grande numero di difficoltà che tale adozione comporta. Di certo l’accostamento delle proprie aspettative e della realtà del bambino sarà ancora più difficile, poiché ci si ritrova davanti un bambino che ci assomiglia meno che mai, anche nel mondo di fare; - Collaborare con i soggetti istituzionali: è importante collaborare all’indagine psicosociale in maniera positiva, comprendendone l’utilità e cercando di impegnarsi per dare una corretta immagine della realtà della coppia. Ciò è importante poiché il bambino verrà accoppiato alla famiglia in base alle sue caratteristiche, che quindi devono essere valutate correttamente. Inoltre, creare un buon clima di collaborazione fiducia rende meno invasiva la valutazione ed serve da appoggio per la fase di affidamento pre-adozione; - Elaborare l’immagine di una bambino e avvicinarsi alle caratteristiche di un minore in stato di abbandono: come tutte le coppie, anche quelle adottive si creano, nel periodo di attesa, un’immagine idealizzata del bambino che gli verrà affidato, facendo convergere le proprie aspettative e i propri desideri. Il problema è che, rispetto ad un figlio biologico, del bambino adottato non si possono immaginare gli eventuali tratti somatici o di personalità, poiché on se ne conosce la provenienza, la storia o i genitori biologici. Tutto ciò crea una maggiore insicurezza e incertezza rispetto alle altre coppia. Per questo motivo, è importante che la coppia venga aiutata ad avvicinarsi un’immagine del bambino più verosimile in base all’unico aspetto certo che si conosce, ossia la condizione di bambino in stato di abbandono; - Accettare l’attesa come momento di preparazione all’incontro adottivo: una volta concessa l’idoneità, comincia un lungo periodo di attesa difficile da tollerare poiché indefinito, al contrario dei nove mesi della normale gravidanza. Tale periodo deve essere inteso e sfruttato per preparasi ancora di più all’arrivo del bambino; - Valutare l’abbinamento e creare uno spazio emotivo per accogliere quel particolare bambino: una volta scelto l’accoppiamento da parte delle istituzioni, queste ultime organizzano e mediano i primi contatti. Adesso, la coppia dovrà fare i conto con le proprie aspettative e desideri che si scontrano con la realtà di quel particolare bambino, cercando di creare un iniziale legame Di solito sono i bambini, bisognosi e assetati d’affetto, a fare la prima mossa e a chiedere di essere scelti. 3. Fase di Formazione della Famiglia Adottiva: l’arrivo del bambino porta la coppia ad entrare in una nuova fase del proprio ciclo di vita dato che si passa dalla diade coniugale alla triade familiare, oppure, nel caso di figli biologici, nella fase dell’ingresso di un nuovo figlio. Primo e fondamentale compito, sia dei genitori che del bambino, è quello di costruire l’identità del proprio ruolo. I genitori non diventano tali in seguito alla sentenza del tribunale, ma devono innanzitutto sentirsi genitori del bambino legittimando il proprio ruolo, sentire la “nascita adottiva” ossia il reale ingresso nel proprio spazio emotivo. Stessa cosa dovrà fare il bambino nel sentirsi figlio di quella coppia e legittimare la propria appartenenza. Inoltre, mentre una famiglia normale deve unire soltanto le due storie familiari dei coniugi, ora bisognerà considerare anche l’aggiunta della personale storia de bambino, confronta dosi con le sue diversità. In particolar modo, le Diversità sono: - Differenza di Origine: riconoscere ed accettare la precedente appartenenza del bambino integrando passato presente, in modo che la storia passata possa integrarsi e proseguire nella storia della famiglia attuale; - Differenza di Comportamento e di Personalità: riconoscere e favorire l’espressione delle proprie caratteristiche per facilitare il percorso di individuazione; - Differenza Somatica: accogliere e valorizzare tali differenze come espressione delle proprie caratteristiche personali e per la creazione di un immagine di sé forte e positiva; - Differenza Etnica: si intende l’insieme delle caratteristiche somatiche, culturali e linguistiche caratteristiche di un popolo. Permettere al bambino di mantenere la propria identità etnica in modo da avere una continuità con l propria storia, cercando, però, di integrarsi con l’etnica di appartenenza dei genitori, in modo da sviluppare un’identità multietnica; - Differenza Culturale: si intende l’insieme dei comportamenti, tradizioni usi e costumi di un popolo. Vale lo stesso discorso delle differenze etniche Riconoscere ed integrare tutti questi aspetti significa Stabilire il Patto Adottivo, ossia il singolare incastro dei bisogni, delle aspettative, dei valori e della storia delle due parti, dei genitori e del bambino. Fallimenti Adottivi Le ricerche dimostrano come i Fallimenti Adottivi, in cui il bambino o ragazzo viene restituito, sono un numero non eccessivo, a dimostrazione che l’iter di adozione può essere portato a termine positivamente. Si osserva inoltre che le adozioni internazionali hanno le stesse probabilità di riuscita e di fallimento di quelle nazionali. Volendo guardare, però, ai fallimenti, Galli (2001) individua i possibili Fattori di Rischio: - Coppie con Disturbi e Funzionamento Psicosomatico: sono copie in cui sono presenti dei conflitti e delle sofferenze interne talmente forti che vengono espresse solamente tramite manifestazione somatica. In questi casi, spesso la coppia non è in grado di rispondere alle richieste di un bambino che ha vissuto il suo abbandono con un alto grado di frustrazione e di violenza e che quindi chiede un contenimento delle proprie sofferenze; - Presenza di Malattia Organica o Disabilità nella Coppia: aumenta il numero delle richieste di adozione nel caso di coniugi con malattie degenerative o con handicap. In questo caso il figlio adottivo viene chiesto per ricoprire il difficile ruolo di sostegno terapico del genitore malato, compito che va a gravare sulla già difficile situazione psicologica del minore. Inoltre, il genitore sano ha il compito di occuparsi sia del nuovo arrivato che de compagno invalido, sostenendo su di sé uno stress enorme e cercando aiuto e conforto proprio sul bambino adottato; - Adozione dopo la Morte di un Figlio: il rischio consiste nella scelta dell’adozione per negare il dolore della perdita del figlio, riversando tutte le proprie aspettative e desideri su un nuovo individuo che deve sostituire a tutti i costi quello defunto; - Rifiuto di Procreare per Motivi Filantropici: bisogna diffidare di soggetti che, pur non essendo sterili, decidono di non procreare ma adottare. Spesso essi celano delle grosse paure relative al parto e alla trasmissione di malattie. A volte, poi, vengono nascosti dei seri problemi della vita sessuale della coppia praticamente assente. In questi casi, arrivato all’adolescenza, il bambino adottato avrà il problema di identificarsi con un modello sessuale relativo ai genitori biologici, che hanno procreato ma abbandonato, o relativo ai genitori adottivi che lo hanno accolto ma non hanno procreato. Spesso si assiste in figli adottivi stranieri che cercano partner della stessa razza come segno di continuazione della propria storia precedente all’adozione. - Adozione da Parte di Famiglie con Figli: non bisogna prendere alla leggera il grosso carico emotivo che vivono i figli in conseguenza della scelta dei genitori. CAPITOLO 14 - LA FAMIGLIA AFFIDATARIA Bambini tra due Famiglie L’affido familiare è un intervento temporaneo e di sostegno a un minore quando la sua famiglia naturale non è in grado di garantirgli l’assistenza morale e materiale necessaria. Rispetto all’adozione, è una condizione temporanea, di durata massima di due anni, in cui vengono mantenuti i rapporti con la famiglia d’origine e si attivano interventi affinché la famiglia naturale possa recuperare, nel minor tempo possibile, le condizioni adeguate per il sano sviluppo del figlio, permettendogli quindi di riaverlo con sé. L’affidamento può essere residenziale, nel caso in cui il minore vive in un’altra famiglia, o part-time ed essere limitato ad alcune ore del giorno. I motivi principali che portano all’affidamento sono condotte di abbandono e/o di grave trascuratezza da parte della famiglia d’origine. L'Affido come Evento Critico Familiare L’affido viene vissuto come un evento critico via dalla famiglia naturale che dalla famiglia affidataria. Entrambe dovranno subire dei cambiamenti dal punto di vista: - Strutturale (cambiamento nella composizione dei nuclei familiari); - Emotivo (influenza emotiva tra le due famiglie); - Organizzativo (organizzazione di tempi e modalità di gestione del minore). Compiti di Sviluppo in Preparazione all’Affido Per analizzare i Compiti bisogna distinguere tra: 1. Compiti per la Famiglia Naturale: è difficile accettare l’affido come risorsa per sé e per il figlio. Anche quando ci si rende conto di non essere in grado di provvedere adeguatamente ai propri figli, l’idea di allontanarli, e peggio ancora di affidarli ad un’altra famiglia, sembra impossibile. Così, l’affidamento giudiziale, forzato, viene sempre vissuto come una punizione, un furto e soprattutto come un fallimento. Le famiglie che volontariamente chiedono aiuto, di solito chiedono un sostengo economico e non l’affido dei figli, a causa della paura di perderli nonché del confronto con la famiglia affidataria che è stata riconosciuta idonea per prendersi cura dei figli di cui noi ci sa occupare; 2. Compiti per la Famiglia Affidataria: innanzitutto bisogna condividere la scelta di affido con il partner, con i figli e con le famiglie d’origine, per cui non può scegliere solo uno di questi soggetti perché inevitabilmente modifica l’intero sistema familiare. Di solito sono le donne a proporlo al marito che di solito accetta di buon grado. Le ricerche dimostrano come i figli e le famiglie d’origine siano più ben disposte a tale scelta nei ceti più bassi che non in quelli più alti. Poi bisogna verificare le proprie motivazioni grazie all’aiuto dei servizi sociali per comprendere quale sia la specifica condizione di affido sia per il bambino che per la famiglia. Di solito le Motivazioni sono di due tipi: - Di tipo Espressivo: legate alla sfera personale e ai propri bisogni e desideri di identità e relazione; - Di tipo Altruistico: legate al contribuire e dare il proprio sostegno a quelle famiglie con problemi per migliorare la loro condizione. Rispetto all’adozione, nell’affidamento la selezione è molto più blanda, così come i requisiti minimi, per cui non esiste una famiglia affidataria perfetta, e quindi ci possono anche essere delle problematiche che sarebbero motivo di esclusione per l’adozione. L’importante che le motivazioni inconsce problematiche vengano rese consce alla famiglia, che quindi cercherà di mantenere sotto controllo. Sbattella (1999) ha indicato alcuni Criteri Operativi per l'Affido: - Favorire uno Spazio Psicoaffettivo di Crescita; - Diversificare la Posizione di Funzionamento; - Limitare le Differenze Culturali e Sociali; - Considerare il Membro più Fragile della Famiglia; - Rilevare le Preferenze della Famiglia Affidataria; - Considerare le Motivazioni Funzionali; - Favorire la Continuità delle Risorse. Compiti di Sviluppo Durante l'Affido Anche in questo caso bisogna distinguere tra: 1. Compiti per la Famiglia Naturale: tra cui: - Accettare la separazione dal figlio ed elaborare il conseguente lutto; - Collaborare con la famiglia affidataria seppur stabilendo dei confini con essa: è il compito più difficile perché la famiglia affidataria viene sempre vista con sospetto e soprattutto come la rappresentazione del proprio fallimento. I sentimenti che si possono sviluppare a riguardo sono veramente tanti e discordanti, per cui si va dalla fiducia e alla collaborazione, all’aggressività, alla delega passiva e depressiva. A volte l’uscita del figlio di casa può portare alla rottura del legame affettivo. E’ per questo motivo che la famiglia d’origine deve essere coinvolta nel progetto educativo del figlio; - Mantenersi in relazione con il figlio: mantenere delle relazioni positive con il figlio, anche in questa situazione così complicata, permette al bambino di sentire di avere il permesso di crearsi nuovi spazi di apprendimento ma anche affettivi e relazionali da sperimentare nella nuova famiglia. L’ingresso nella nuova famiglia, infatti, nella maggior parte dei casi porta dei cambiamenti molto positivi per i minori, che cominciano a stare meglio o addirittura a migliorare il rendimento scolastico. Proprio per questo motivo, spesso il rientro nella propria famiglia è molto difficile poiché riacutizza il confronto e la differenza con la famiglia affidataria. Se durante l’affido il bambino aveva raggiunto delle condizioni di vita inevitabilmente migliori per sé e per i suo sviluppo, sperimentando anche alcuni piaceri prima non conosciuti come attività sportive o ludiche o vacanze che prima non poteva permettersi, il tornare alla situazione precedente, che sebbene ora adeguata al suo sviluppo, non può comunque garantirgli questi benefici non è sempre semplice e o bene accettata; spesso i bambini non vogliono più tornare nelle proprie case; - Impegnarsi nella soluzione dei problemi familiari che hanno portato alla decisione dell’affido: affinché i figli possano tornare nelle proprie famiglie d’origine, deve essere stati risolti, anche grazie all’aiuto de servizi sociali, quelle condizioni prima disfunzionali per lo sviluppo del minore. 2. Compiti per la Famiglia Affidataria: tra cui: - Riorganizzare le relazioni familiari in modo da accogliere il minore: soltanto con la condivisione della quotidianità la famiglia affidataria e il minore impareranno a conoscersi. Spesso, infatti, capita che gli affidatari non abbiano alcuna notizia sulla storia passata del minore rimanendo basiti e inermi davanti a rivelazioni di situazioni ed esperienze traumatiche vissute anche da poco. Il minore, invece, viene di solito ben preparato alla situazione e all’incontro con la nuova famiglia. Inoltre, quando avviene l’inserimento del minore nella famiglia affidataria, quella naturale è messa sullo sfondo, lasciando sola la prima nel difficile compito di mediare questa conoscenza. A livello organizzativo poi bisognerà riorganizzare i tempi, i ritmi e le abitudini della famiglia. Di solito il rapporto con eventuali altri figli è di amicizia e complicità, ma di certo non mancano gelosie. I nonni, invece, di solito regiscono trattando i minori in affido alo stesso modo dei nipoti, ma mantenendo una certa distanza affettiva. Inoltre, la differenza generazionale non sempre aiuta a i nonni a comprendere e a condividere la scelta dei figli; - Collaborare con la famiglia naturale e permettere il contatto con il figlio: la famiglia naturale ricopre un ruolo necessario ma non sufficiente alla salvaguardia dell’identità del minore. Per questo motivo è importante che non venga messa da parte ne svalutata, ma che venga tollerata nella vita del minore. L’affido, infatti, prevede quella particolare situazione in cui si accetta il bambino non come parte di sé, ma come altro. Inoltre, la famiglia affidataria ha il difficile compito di non svalutare la famiglia naturale ma di aiutare il minore a prendere coscienza della realtà della sua famiglia e quindi di quei limiti e di quei comportamenti che ledono il suo sviluppo: solo in questo modo il minore potrà crescere; - Mantenere un'apertura ai servizi in modo da usufruire del loro aiuto: una famiglia affidatari è un “privato sociale” ossia la rappresentante della comunità che si prende cura dei soggetti più deboli. Per questo motivo, la cura del minore in affido non è un fatto privato, ma avviene alla luce e all’esposizione del mondo sociale che gestisce tale relazione familiare. Compiti di Sviluppo alla Fine dell'Affido L’affidamento ha una durata che va da pochi mesi ad un massimo di due anni. In questo tempo la famiglia naturale deve adoperarsi per creare delle condizioni di vita adeguate allo sviluppo del minore. L’affido cessa nel momento in cui essa abbia raggiunto tali condizioni. Nel momento della fine dell’affido, i compiti di sviluppo delle due famiglie si invertono: - la famiglia naturale deve riorganizzare la propria struttura per ricreare lo spazio per accogliere il figlio; - la famiglia affidataria deve accettare la separazione, elaborare il lutto e ridefinire le distanze con il minore e la sua famiglia. Il problema principale è che nella pratica la fine dell’affidamento non arriva mai, dato che le famiglie non riescono a migliorare le proprie condizioni e ogni due anni i minori passano da una famiglia ad un’altra. Le ricerche dimostrano, però, che anche in questi casi i minori traggono grandi benefici dall’affidamento, sopratutto se rapportati a quelli che potrebbero avere nei casi di istituzionalizzazione.