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Virginia Woolf, Il valore della risata

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Virginia Woolf, Il valore della risata
Il valore della risata
Virginia Woolf
In passato si pensava che la commedia rappresentasse i difetti della natura umana e la
tragedia ritraesse gli uomini più grandi di quanto siano. Per dipingerli come veramente
sono, si deve, a quanto pare, trovare una via di mezzo tra le due, e il risultato è o
qualcosa di troppo serio per essere comico, o di troppo imperfetto per essere tragico, e
questo possiamo chiamarlo umorismo. L'umorismo, come ci è stato detto, è negato alle
donne, che possono essere tragiche o comiche, mentre quel particolare amalgama che
rende una persona dotata di umorismo è solo appannaggio degli uomini. Ma gli
esperimenti sono pericolosi, e nel cercare di raggiungere il punto di osservazione
privilegiato dell'umorista - mentre si tiene in equilibrio sul pinnacolo negato alle sue
sorelle - il maschio ginnasta non di rado precipita ignominiosamente sull'uno o sull'altro
versante, o piomba a capofitto nel grottesco, oppure scende sul duro suolo della banalità
seriosa, dove, per rendergli giustizia, va detto che si trova del tutto a suo agio. Può
essere che la tragedia - un ingrediente necessario - non sia così comune come al tempo
di Shakespeare e per questo l'epoca attuale abbia dovuto provvedere un sostituto
decoroso che fa a meno di sangue e pugnali, e appare al suo meglio con un cappello a
tuba o indossando una lunga redingote. Lo si potrebbe chiamare lo spirito della solennità,
e se gli spiriti appartengono a un genere, non c'è dubbio che questo sia maschile. Ora, la
commedia appartiene al sesso delle Grazie e delle Muse, e quando questo solenne
gentiluomo si fa avanti a offrire i suoi omaggi, la commedia guarda e ride, e guarda
ancora finchè viene sopraffatta da un'irresistibile risata, e corre a nascondere la sua
ilarità nel petto delle sue sorelle. Così l'umorismo nasce assai raramente e la commedia
deve molto lottare perché questo avvenga.
La pura, spontanea risata, quella che sentiamo provenire dalla bocca dei bambini e di
sciocche donne, è tenuta in discredito. Si sostiene sia la voce della frivola stupidità, che
non trae ispirazione né dal sapere né dall'emozione, che non offre messaggi, non
comunica informazioni; è un'emissione vocale come l'abbaiare di un cane o il belato di
una pecora, ed è al di sotto del livello di dignità di una razza che ha inventato una lingua
per potersi esprimere. Ma ci sono cose che vanno oltre le parole e non al di sotto, e la
risata è una di queste. Perché la risata è l'unico suono, per quanto non articolato, che
nessun animale può produrre. Se il cane disteso sul tappeto davanti al caminetto si
lamenta per il dolore o abbaia per la contentezza, sappiamo cosa vuole comunicare e
non ci troviamo nulla di strano, ma supponiamo che si metta a ridere? Supponiamo che
quando entriamo nella stanza non esprima la sua legittima gioia, nel vederci, agitando la
coda o leccandoci, ma scoppi rumorosamente a ridere - mostrando i denti - e sia scosso
dalle risate e mostri tutti i segni tipici di un grandissimo divertimento. La nostra reazione
sarebbe di ritrarci inorriditi, come se una voce umana fosse uscita dalla bocca di un
animale. E nemmeno possiamo immaginare che esseri superiori a noi possano ridere; la
risata sembra infatti appartenere essenzialmente ed esclusivamente agli uomini e alle
donne. La risata è l'espressione dello spirito comico dentro di noi, e questo spirito ha a
che fare con le stranezze, le eccentricità, le deviazioni da una modello riconosciuto.
Esprime il suo commento nella risata improvvisa e spontanea che scoppia senza che
quasi sappiamo perché, senza che possiamo dire quando. Se ci prendessimo il tempo
per pensare - per analizzare l'impressione che lo spirito comico registra - senza dubbio
scopriremmo che ciò che è superficialmente comico, è fondamentalmente tragico, e
mentre avremmo il sorriso sulla labbra, i nostri occhi si riempirebbero di lacrime. Questa le parole sono di Bunyan - è stata accettata come definizione dell'umorismo; ma la risata
della commedia non comporta l'obbligo delle lacrime. Nello stesso tempo, sebbene il suo
compito sia relativamente lieve se confrontato con quello dell'umorismo vero e proprio, il
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valore della risata nella vita e nell'arte non può essere sopravvalutato. L'umorismo abita
sulle vette; solo le menti eccezionali possono salire sulle cime da dove tutti gli aspetti
della vita si possono vedere come in un panorama; ma la commedia cammina sulla
strada comune e riflette il banale e il casuale, le colpe veniali e le particolarità di tutti
quelli che passano davanti al suo lucido specchietto.
La risata, più di qualunque altra cosa, mantiene il nostro senso delle proporzioni; è lì a
ricordarci sempre che siamo soltanto umani, che nessun uomo è del tutto un eroe o
completamente un malvagio. Immediatamente, appena dimentichiamo di ridere,
perdiamo il senso delle proporzioni e della realtà. I cani, misericordiosamente, non sanno
ridere, perché, se potessero farlo, si renderebbero conto delle terribili limitazioni che
comporta l'essere cani. Uomini e donne sono sufficientemente in alto nella scala della
civiltà da essere ritenuti capaci di conoscere le loro mancanze e di ricevere il dono di
riderne. Ma rischiamo di perdere questo prezioso privilegio, o di scacciarlo dai nostri
cuori, per colpa di un'enorme massa di conoscenze approssimative. Per poter ridere di
una persona si deve, tanto per cominciare, essere capaci di vederla per come e'. Tutto il
suo paludarsi con le insegne della ricchezza, del rango, e del sapere, se è soltanto un
accumulo di esteriorità, non deve ottundere la lama tagliente dello spirito comico, che
affonda nel vivo. Tutti sanno che i bambini hanno una maggiore capacità, rispetto agli
adulti, di conoscere gli uomini per quello che sono, e credo che il verdetto che le donne
emettono sul carattere delle persone non sarà smentito il giorno del Giudizio. Le donne e
i bambini, dunque, sono i principali rappresentanti dello spirito comico, perché non hanno
gli occhi annebbiati dal sapere, né le menti ingombrate da teorie libresche, il che fa sì che
uomini e cose preservino nitidamente i loro tratti originali. Tutte le odiose, soffocanti
escrescenze che hanno ricoperto a dismisura la nostra vita moderna, le cerimonie
pompose, le convenzioni, e le noiose celebrazioni solenni, niente temono di più del
balenare di una risata, che, come un lampo, le inaridisce e le dissecca fino a lasciarne
solo le ossa. E' perché la loro risata possiede questa qualità che i bambini sono temuti
dalle persone consapevoli della propria affettazione e falsità; ed è probabile che, per la
stessa ragione, le donne siano guardate con tanta sospettosa disapprovazione nelle
professioni dotte. Il pericolo è che possano ridere, come il bambino nella favola di Hans
Andersen, che notava apertamente che il re era nudo, mentre gli adulti ne ammiravano lo
splendido abbigliamento - che non esisteva.
In arte, come nella vita, tutti gli errori più grossolani derivano dalla mancanza di misura, e
dalla tendenza a essere esageratamente e ostentatamente seri. I nostri grandi scrittori
usano un linguaggio eccessivamente ampolloso, e si compiacciono di frasi
magniloquenti, quelli minori moltiplicano gli aggettivi e si crogiolano in quel
sentimentalismo che nelle classi inferiori produce il sensazionalismo dei manifesti e il
melodramma. Noi andiamo ai funerali e al capezzale dei malati molto più volentieri che ai
matrimoni o alle cerimonie festose, e non siamo capaci di spazzare via dalla nostra
mente la convinzione che c'è qualcosa di virtuoso nelle lacrime e che il nero è il colore
che più ci si addice. Non c'è niente, in verità, tanto difficile quanto ridere e far ridere, ma
non esiste qualità che valga di più. E' una lama che recide ciò che è superfluo,
riproporziona e restituisce giusta misura e sincerità alle nostre azioni e alla parola scritta
e parlata.
Tratto da: Virginia Woolf, Voltando pagina. Saggi 1904-1941, a cura di Liliana Rampello,
il Saggiatore 2011179 (estratto pubblicato sul Sole-24 Ore del 4 settembre 2011)
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