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Sui deverbali italiani in -mento e -zione

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Sui deverbali italiani in -mento e -zione
168
i’.a LARSON
la sua intuizione fosse giusta e che ci troviamo di fronte ad un
suffisso presente già in gotico ed in longobardo ma diffuso ed
affermatosi soprattutto per il prestigio della nazione-guida del
(*).
l’Occidente altomedievale e dell’aggettivo relativo ad essa
P:tn LARSON
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
(J)(*)
O. INTRODUZIONE
Questo studio riguarda i nomi deverbali derivati con i suf
4’
4
fissi -mento e -zione in italiano. I dati vengono analizzati in
base alla teoria della morfologia naturale. Nel corso dello stu
dio vengono esaminate e discusse alcune proposte per la descri
zione della morfologia derivazionale italiana formulate da Sca
lise (1983) nel quadro di un modello di morfologia lessicale.
Nella prima parte del lavoro, prendendo a riferimento il
vocabolario fondamentale dell’italiano, si esamina il grado di
naturalezza dei deverbali in -merito e -zione, si discutono e
criticano le regole di formazione scarsamente naturali proposte
per i derivati in -zione da Scalise (1983. cap. 4) e da Dardano
(1983), e si sottopongono a verifica alcune ipotesi centrali della
morfologia naturale.
Nella seconda parte del lavoro i fatti studiati vengono dis
(*( Questa ricerca rientra nel quadro dell’attività del «Centro per lo
Studio delle Civiltà Barbariche in Italia» dell’Università di Firenze, con il
contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
* Questo
articolo è basato sul capitolo 4 della mia tesi di dottorato, Sui
nomina actionis in italiano (Università di Pisal. Desidero ringraziare ì profes
sori Edoardo v ineis e Pierangiolo Berrettoni. per la disponibilità e l’interesse
con i quali hanno seguito la mia ricerca nell’ambito dei corsi di dottorato, e
il professor Antonio Zampolli e la dottoressa Nicoletta Caizolari per avermi
dato la possibilità di consultare il DM1 presso l’ILC/CNR di Pisa. Sono poi
particolarmente rata al professor Romano Lazzeroni per l’affettuoso incorag
giamento che da anni mi offre in ogni occasione.
Per questa stesura parzialmente nuova del testo ho potuto beneficiare di
numerosi e puntuali commenti di Tullio De Mauro, Wolfgang U. Dressler,
Sergio Sealise e Miriam Voghera. che pure ringrazio. Naturalmente resta
unicamente mia la responsabilità di ogni errore o imprecisione ancora pre
sente nel lavoro.
170
ANNA M
THORNTON
cussi anche da un punto di vista psieolinguistico. e la teoria
della morfologia naturale viene messa alla prova in relazione a
due dati a lungo stabili nella storia dell’italiano, l’uso preva
lentemente scritto della lingua e la continua presenza del mo
dello latino.
1. LA TEORIA DELLA MORFOLOGIA NATURALE
La teoria della morfologia naturale (d’ora in poi MX))’) si
inquadra in una generale tendenza a studiare le caratteristiche
di naturalezza di fenomeni fonologici, morfologici e sintattici:
Kilani-Schoch (1988:21 sgg.) parla a questo proposito di una
((linguistica naturale>.
I termini «naturale» e «naturalezza» non vanno qui intesi in
senso intuitivo: «Naturalness is a frequently used and misused
catchword in linguistic publications. Very often «natural» does
not mean anything other than frequent, expected, simple. or
intuitively plausibie. Such vague meanings are of little value
for linguistic theory» [Dressler (a cura di) 1987:3]. Al contra
rio, ((la naturalité est à comprendre comme dérivée de considé
rations relatives à la nature du sujet parlant: le sujet parlant
comme un locuteur-auditeur potentiel, c’est-à-dire comme un
sujet cominuniquant et connaissant» (Kilani-Schoch 1988:26).
Una teoria linguistica naturale è dunque una teoria del
linguaggio che comprende una teoria del soggetto locutore e
una teoria dell’interazione comunicativa, Essa si colloca quindi
su una linea di ricerca che si può far risalire almeno a Saussure
e che ha tra i suoi rappresentanti i praghesi e Jakobson, Benveniste, e i cultori della linguistica enunciativa francese. La
linguistica naturale si distingue dalla linguistica generativa,
che è primariamente una teoria della grammatica. cioè una
teoria del sistema linguistico indipendentemente dal suo uso e
dai suoi utenti (cfr. anche Kilani-Schoch 1988:25-34).
La teoria della linguistica naturale è una teoria funzionali
Per una presentazione globale di questa teoria si rimanda a DRESSLER
(a cura di) 1987 e Kli,,un-ScHocTI 1988.
(1)
SUI DF.VERBT.I TTALTANT TN -MENTO E-Z1O,VE
-
171
sta, che riconosce come funzioni primarie del linguaggio quella
comunicativa e quella cognitiva. I diversi oggetti e processi
linguistici vengono valutati in base alla loro capacità di assol
vere queste ftinzionj, e in base alla loro adeguatezza ai bisogni
e alle capacità (di ordine biologico, psicologico, sociale) dei
parlanti. Più o meno naturali vengono definiti quei feno
meni che risultano più o meno facili per un parlante in
una Situazione comunicìtiva (in produzione o in ricezione) o
cognitiva (per es., per 0
l’immagazzjna, in memoria). L’ipo
tesi di fondo è che nelle lingue si preferisca ciò che è più
facilef naturale rispetto a ciò che è meno facile/naturale per un
utente. Tuttavia, ciò che rappresenta la massima naturalezza
in un dato componente della lingua (fonologia. morfologia, les
sico, sintassi), o da un dato punto di vista (produzione, ricezio
ne), può risultare non ideale (facile naturale economico) da
un punto di vista diverso, o per le ripercussioni che ha in altri
componenti. Ad esempio, processi fonologici di assimilazione,
al servizio della facilìtà articolatoria, possono avere l’effetto di
oscurare la struttura fonologica e morfologica delle parole nelle
quali hanno luogo. ostacolando la loro corretta identificazione
in ricezione, Una parola morfologicame trasparente, d’altra
parte, non risulta ottimale come elemento lessicale da imma
gazzinare nei lessico mentale: è preferibile infatti che un ele
mento lessicale abbia una relazione biunivoca (» arbitraria»)
con ciò a cui rimanda, e non sia quindi analizzabile interna
mente, e che sia fonologicamente piuttosto breve, il che è
favorito da processi fonologici di riduzione e assimilazione. che
oscurano la trasparenza morfologica. La teoria della naturalez
za investiga quindi i diversi modi in cui le lingue risolvono i
conflitti che sorgono dalla ricerca di naturalezza.
Per valutare in un quadro più globale i fenomeni di conflit
to tra i diversi livelli di organizzazione interni a un sistema
linguistico, il modello esplieativo è integrato con il riferimento
a livelli di analisi che in parte superano i confini di una lingua
specifica. Dressier fa uso di cinque livelli (rimandando alle
teorie linguistiche generali di Hjelmslev e Coserìu):
1) livello degli universali, o della facoltà di linguaggio, o
langagier;
172
SU! DEVERBAL! TTALTANT TN -MENTO E
ANNA M. THORNTON
2) livello del tipo linguistico (Dressier rimanda alla teoria
della tipologia di Skaliéka);
3) livello dei sistema di una lingua specifica, o della compe
tenza, o della langue;
4) livello della norma;
5) livello dell’uso, o della esecuzione, o delle parole [cfr.
Dressier (a cura di) 1987:8-9].
Ogni livello subisce delle restrizioni da parte del livello
immediatamente precedente e ne impone al livello successivo.
I cinque livelli non si susseguono però secondo un ordine pura
mente lineare, ma secondo uno schema di forma circolare [cfr.
Dressier (a cura di) 1987:9], dato che il livello della esecu
zione/parole/uso della lingua in situazione impone al livello
degli universali restrizioni legate alle caratteristiche biologiche.
psicologiche e sociologiche dei partecipanti alla situazione
comunicativa.
Il metodo adottato dalla teoria naturale consiste, dati i
presupposti illustrati, nel formulare delle previsioni sui tipi di
organizzazione dei diversi componenti di una lingua che posso
no realizzarsi nelle lingue del mondo, e sui tipi di conflitti che
possono aver luogo.
Nel campo della morfologia derivazionale le previsioni della
teoria sono formulate in riferimento a due scale. che classifica
no i procedimenti di formazione delle parole possibili nelle
lingue del mondo secondo il loro grado di naturalezza. Tali
procedimenti sono considerati tanto più naturali quanto più
permettono di percepire chiaramente la base di una parola
derivata, senza alterare la forma che essa presenta in uso asso
luto. La conservazione della percettibilità della base facilita la
decodifsca di una parola complessa ignota, permettendo di cal
colare il suo significato in base alla sua forma. Secondo questo
criterio di preservazione della percettibilità della base, i diversi
procedimenti di formazione delle parole possono essere ordinati
su una scala detta scala di diagrammaticità morfologica (Dres
sler 1985b), illustrata nella tavola I (in ordine di naturalezza
decrescente):
Grado Procedimento
I
TI
III
IV
V
-zjoyr
173
E.ampi
Affissazione (pura aggiutinazione)
Affissazione con modifica della base
Modificazione della base
Conversione di categoria grammati
cale, senza modifiche sul piano fono
logico
Sottrazione di materiale foriologico
dalla base
ouJer
mgi ..ong
ingi. conciwl
conclu.5ion
ingi. -inq sanij
-
-
-
ingi. lo cui
-
a cui
russo lopika > logik
logica. logico
(traduzione e elaborazione in base a Dressler 1981, l98, 1985b).
Tavola 1
-
Scala di diagrammaticità morfologica
All’interno del procedimento più naturale secondo questa
scala, quello dell’affissazione. possono essere riconosciuti di
nuovo gradi decrescenti di naturalezza, a seconda dei fenomeni
che hanno luogo in concomitanza con l’aggiunta di un affìsso.
Questi diversi gradi di naturalezza nell’ambito della tecnica
dell’affissazione sono classificati dalla scala di trasparenza
morfotattica, illustrata nella tavola Il (in ordine di naturalez
za decrescente):
Grado Regole operanti
Esempi (dall ‘inglese)
I
TI
III
IV
exciteS+rnent < excite
exis$t±ence < exist
(am.) rid±er < ride
RF allofoniche intrinseche
RF. per es. risillabificazione
RF neutralizzanti, per eS. Jlapping
RMF senza fusione, per es. velar
softening
V
RMF con fusione
VI
RM. per es. Great Vowel Shift
VII Suppletivismo debole: assenza di re
gole. Alternanza di segmenti non
predetta da regole
VIII Suppletivismo forte: assenza di rego
le. Cambiamento di radice
electric ± ity < electric
conclusion < conclude
decriision < decfaijde
chiidr+en
<
child
be, am, are, is, was
(traduzione e adattamento da Dressier 1985a:323, 330-31).
Tavola 11
Scala di trasparenza morfotattica
Abbreviaziona: RF = regole fonologiche: RMF = regole morfonologiche;
RM = regole morfologiche: ± = confme di morfema: S = confine di sillaba:
am.
americano
ANNA M. THORNTON
174
La teoria della MN qui brevemente presentata sarà utiliz
zata in questo lavoro per studiare le formazioni italiane in
-mento e -zione.
2. I
DATI
I dati qui analizzati appartengono al campo dei cosiddetti
nomina actioni.s italiani. Sono definiti qui informalmente nomi
na actioni.s (d’ora in poi SA) tutti i nomi deverbali che abbia
no almeno una possibile parafrasi della forma «atto/azione del
± infinito del verbo base». Sono per esempio SA i seguenti:
accettazione, accoglimento. accordatura. fissaggio, andata, acqui
sto, denuncia. Questi pochi esempi sono già sufficienti a illu
strare il fatto che in italiano possono essere derivati SA con
diversi procedimenti di formazione delle parole: suffissazione in
-zione. -‘mento. -tura. -aggio. sostantivazione del participio pas
sato femminile, e cosiddetta suffissazione zero (i tipi acquisto,
denuncia). Qui verranno presi in considerazione solo due tra
questi procedimenti, quelli che permettono di derivare SA con
i suffissi -zione e -mento, che costituiscono gli insiemi più nu
merosi di SA in italiano. Ciò è stato verificato grazie a una
ricerca compiuta attraverso il Dizionario macchina dell’italia
no (DM1) consultabile presso l’Istituto di Linguistica Compu
tazionale del CNR a Pisa. Questo strumento permette di otte
nere tutti i lemmi contenenti una stessa stringa terminale di
caratteri. Per le stringhe corrispondenti ai principali suffissi di
SA la ricerca ha dato i seguenti risultati (2):
(2) La stringa -ione è stata richiesta per cogliere nomina actionis dei tipo
accensione, decisione. Sul rapporto tra formazioni in -zione e -ione cfr. infra, §
6. I dati quantitativi non sono forniti per i deverbali in -aia, perché questo
suffisso è da una parte omografo di un suffisso -ata denominale (quale appa
re in cucchiaia»a, giornata), dall’altra interpretabile come un caso particolare
di un processo di FP che consiste nell’uso come deverbale di azione di una
forma coincidente con il femminile del participio passato del verbo base (cfr.
corsa, bevuto). Evidentemente, per questo tipo non è possibile ottenere auto
maticamente il dato numerico dal DM1. Anche il suffisso -aggio può apparire
sia in derivati deverbali che in denominali (coraggio); un controllo manuale
ha permesso di verificare che dei 308 lemmi terminanti in -agg’io forniti dal
DM1 solo 64 sono deverbali d’azione.
SUI DF.VF.RBALJ ITALIANI TN ME.VTO F -ZIONE
lemmi terminanti in -zione
»
5
»
in -ione
in —nunto
»
»
in -ura
in -aggio
175
2634
3544
3381
1958
308
Naturalmente il numero reale dei derivati formati con i
suffissi corrispondenti alle stringhe terminali suelencate è mi
nore del numero di vocaboli contenenti ciascuna stringa. Biso
gna infatti tener conto di quei vocaboli che, pur contenendo le
stringhe terminali sopra identificate, non risultano, neppure al
livello etimologico più lontano, costituiti dai suffissi corrispon
denti: per fare solo qualche esempio, bacione, mento, cura, mag
gio. Questi falsi derivati non sono però numerosi: per un ‘suffis
so come -zione, per esempio, è veramente difficile trovare un
esempio di falsa scomposizione. Si può quindi ritenere che.
come ordine di grandezza, le cifre fornite dal DM1 rispecchino
la reale proporzione dei diversi tipi di SA in italiano.
Naturalmente non è stato possibile estrarre dal DM1 i deverbali cosiddetti a suffisso zero. Per questi disponiamo invece
di uno spoglio effettuato manualmente da Tollemache (1954).
che elenca circa 1700 voci. Il lavoro di Tollemache include
però molte formazioni esclusivamente toscane o dialettali, e
molte forme di etimo incerto, cosicché il numero effettivo dei
deverbali zero italiani risulta certo stimato per eccesso. I deverbali in -zione e suoi allomorfì e quelli in -mento restano
quindi senz’altro le due classi più numerose di SA in italiano.
Questi dati quantitativi relativi all’italiano possono essere
confrontati con dati relativi agli antenati latini di queste for
mazioni. Disponiamo infatti di spogli pubblicati da H. Quellet
(1969:72), che dà le seguenti cifre per i deverbali latini in -tio e
allomorfj e in -mentum:
-tio. -sio (-xio)
-mentum
circa
circa
3600
450
Da un confronto tra i dati latini e quelli italiani emerge che
mentre il numero delle formazioni italiane in -zione/-icne sem
bra essere rimasto relativamente stabile in rapporto al numero
di quelle latine in -tio/-io (o addirittura diminuito, se conside
177
ANNA l. TH0RNTON
SUT DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
riamo le cifre assolute e non solo l’ordine di grandezza), le
formazioni italiane in -mento sono circa otto volte più di quelle
latine in -mentum. Questi dati si prestano particolarmente a
essere interpretati alla luce della teoria della MN. In base alle
ipotesi di questa teoria dovremmo aspettarci che le formazioni
italiane in -mento siano altamente naturali e morfotatticamen
te e semanticamente trasparenti, o almeno che 10 siano in
misura maggiore di quelle in -zione. Si verificherà nei paragrafi
seguenti se questa previsione risulta confermata o meno.
infatti con un procedimento di affissazione (con maggiori o
minori modifiche della base, come vedremo), e possono quindi
essere classificati nei diversi gradi della scala di trasparenza
morfotattica. Per stabilire la loro collocazione in questa scala
bisogna caratterizzare con precisione la regola di formazione di
parola (d’ora in poi RFP) attraverso la quale questi deverbali
sono prodotti. In particolare. è necessario stabilire rispetto a
quale forma base vada misurato il grado di trasparenza e dia
grammaticità della RFP che li forma.
evidente, infatti, che
ipotizzare diverse forme base può dare risultati anche molto
diversi nel calcolo della trasparenza di un derivato. Ad esem
pio. concessione risulta piuttosto trasparente se si assume che
la base da cui deriva sia concesso, e massimamente trasparente
se si assume come base concess- Se invece si misura concessione
in rapporto a una possibile base conced-, o addirittura concede
re (la forma di citazione tradizionale dei verbi italiani), la si
collocherà in un grado molto più basso della scala di traspa
renza morfotattica.
176
3. IL CAMPIONE
Data la notevole quantità di formazioni in -zione e -mento
attestate in italiano, per la ricerca qui presentata si è lavorato
su un campione costituito da tutti i deverbali in -mento e
-zione presenti nel vocabolario fondamentale dell’italiano (3) o
derivati dai 589 verbi appartenenti a esso. Il vocabolario fon
damentale dell’italiano è definito da De Mauro, Gensini e Pas
saponti (1980:148) come coincidente con i primi 2000 vocaboli
in ordine di rango d’uso nel LIF (= Bortolini, Tagliavini e
Zampolli 1971).
I derivati sono stati identificati consultando due dizionari
dell’uso, lo Zingarelli (XI edizione, 1983. ristampa del gennaio
1986; d’ora in poi Z) e il Garzanti (1987; d’ora in poi G).
Appartengono al campione 377 derivati in -mento e i 278 deri
vati in -zione.
4. LA
STRUTTURA MORFOLOGICA DEI DEVERBALI
I deverbali qui studiati si collocano nei primi due gradi
della scala di diagrammaticità morfologica. Essi sono formati
(3) Non sono state incluse però parole uscenti in uno dei suffissi in
questione ma non riconducibili a una base verbale italiana: ad esempio.
emozione e appuntamento Z2. che sono prestiti dal francese, e i cui verbi
corrispondenti sono i denominali emozionarsi e (colloquiale) appuntamentarsi
(mentre appuntamento Zi deriva da appuntare, ma non è stato egualmente
incluso perché questo verbo non appartiene ai vocabolario fondamentale).
-
4.1. Qual è la base dei deverbali italiani?
Per la scelta della forma base rispetto alla quale misurare
la trasparenza di un processo morfologico si hanno due alter
native: si può assumere come base una forma libera, o una
forma legata. Nel caso che si scelga una forma libera, si avrà
almeno l’alternativa tra la forma di citazione tradizionale di
una data tradizione lessico- e grammaticografica e la forma
non marcata di un paradigma fiessivo (le due possono coinci
dere o meno). Nel caso che si assuma come base una forma
legata si avrà, almeno per i deverbali italiani, l’alternativa tra
una r ad i ce e un te m a ve r b a le, costituito di radice e vo
cale tematica,
La teoria della MN non richiede di compiere una scelta
valida universalmente tra queste alternative: «la question cen
trale de la MN, celle de savoir ce qui est nature!. n’implique
rien comme choix de modèle» (Kilani-Schoch 1988:63). Consi
derazioni di ordine tipologico inducono però a prevedere che
l’italiano, lingua piuttosto flessiva. selezioni una forma legata
come base dei processi di flessione e derivazione (cfr. Dressier
178
SUI DEVERBALI ITALTANT IN MENTO E Z!O>VE
ANNA M. TBORNTON
1987:118). Anche Scalise (1983), che rappresenta la più recente
e organica proposta su questo argomento in relazione all’italia
no, benché dichiari di assumere un’ipotesi di morfologia «basa
ta su parole», è in pratica costretto a modificare la nozione di
parola per adeguare il modello che propone alla descrizione
dell’italiano. Per i deverbali egli assume come base un tema,
tratto dall’infinito privato del morfema flessivo -re. Tale tema
verbale è costituito da una radice e da una vocale tematica: la
sola radice non sarebbe sufficiente, perché la vocale tematica
«è un elemento fisicamente presente nella derivazione del ver
bo (cfr. lavoratore vs. sentimento)» (Scalise 1983:190). Il tema
verbale così definito è per Scalise una «parola astratta».
E evidente che definire «parola» la forma base dei deverbali
italiani è qui una pura stipulazione terminologica. Tuttavia,
terminologia a parte, il ragionamento di Scalise risulta convin
cente: l’ipotesi che la forma-base di un derivato deverbale sia
il tema del verbo appare la più adeguata. Il problema che però
ora si pone è sapere come individuare il tema dei verbi italiani.
4.2. Qual è il terna di un verbo italiano?
Il metodo proposto da Scalise per generare il tema dei
verbi italiani, consistente nella sottrazione del -re dalla forma
dell’infinito, genera temi con tre diverse vocali tematiche per
le tre coniugazioni: amare > tema ama-, vedere > tema vede-,
sentire > tema senti-. Questi temi non coincidono però con
quelli che appaiono effettivamente nei derivati, come Scalise
stesso osserva (p. 234, nota 23). Infatti, nei derivati appaiono
due sole vocali tematiche: a nei derivati da verbi della I coniu
gazione, i negli altri (per es., accomodamento, accendimento, av
venimento). Scalise considera questa discrepanza tra i temi ot
tenuti dalla forma dell’infinito e i temi che effettivamente ap
paiono nei derivati come il risultato di una «regola che cambia
e in i quando un suffisso si aggiunge al TP [= tema del
presente] di un verbo della seconda coniugazione, regola che
è comune a tutta la morfologia dell’italiano» (Scalise
1983:270). Questa supposta regola non è tuttavia messa in
relazione con nessun altro fenomeno: il suo operare si deduce
179
solo dal fatto che nei derivati da verbi della Il coniugazione
appare sempre una i, e se si assume che il punto di partenza
sia un tema in -e è chiaro che un mutamento interviene a
qualche livello.
E possibile però che sia sbagliata l’ipotesi che il tema sia
ricavato dall’infinito. Si potrebbe anche ipotizzare che il tema
da cui sono derivati i deverbali della Il coniugazione contenga
originariamente una i. Come Scalise stesso fa rilevare (p. 283,
nota 4), esiste una forma del verbo compatibile con questa
ipotesi: si tratta dell’imperativo [singolare di 2 persona,
AMT]. In questa forma, infatti, la -a della I coniugazione si
oppone alla -i delle altre: cfr. canta! vs. vedi! prendi! dormi!
Scalise esamina l’ipotesi che il tema sia l’imperativo per i
composti verbo-nome, e la rifiuta in base a due argomenti: a)
in molti di questi composti non vi è alcun significato «impera
tivo»; b) la distribuzione delle vocali tematiche che si riscontra
nei composti verbo-nome è uguale a quella riscontrabile nei
derivati da verbi delle tre coniugazioni. Un elemento non espIicitato di questa argomentazione è che si possa senz’altro esclu
dere un intervento del tema dell’imperativo nel caso dei deri
vati: per mantenere una soluzione unitaria del problema di
quale sia il tema verbale utilizzato nella formazione sia dei
composti che dei derivati, si è allora obbligati a postulare il
tema dell’infinito, con un mutamento di e in i nel caso dei
verbi della Il coniugazione.
E possibile che entrambi gli argomenti siano confutabili. In
primo luogo, intuizioni contemporanee su fatti di natura se
mantica relativi a stadi molto antichi della lingua possono
essere erronee. Per quel che riguarda l’origine dei composti
verbo-nome, si può rimandare a una serie di contributi (Dar
mesteter 1894: Prati 1931; Migliorini 1934; Spitzer 1952; Bon
fante 1954; Ageno 1955) che concludono tutti per un’origine
imperativale del tipo, anche dal punto di vista semantico. I
noltre l’argomento semantico, nel modo in cui è posto da Scalise, non è cogente. E infatti ben noto che in molte lingue la
a
forma dell’imperativo sing. di 2
pers. corrisponde al tema
verbale puro. Si è voluto spiegare questo fenomeno attraverso
la particolare salienza pragmatica dell’imperativo, che sarebbe
180
SUI DEVERBALT ITALIANI TN -MENTO E -ZIONE
ANNA M. THORNTON
(4). Secondo
quindi espresso da una forma verbale «primaria>
questa analisi, non sarebbe l’imperativo che diventa tema ver
bale; sarebbe invece il tema verbale che diventa imperativo da
una parte, e resta tale dall’altra, venendo a essere impiegato
sia nella formazione di derivati che nella composizione. Questa
spiegazione avrebbe il vantaggio di eliminare il ricorso a una
regola ad hoc quale quella che trasforma la e in i nel tema che
appare in derivati e composti da verbi della TI coniugazione.
Inoltre essa permetterebbe di postulare una forma del tema
verbale unitaria alla base sia dei processi di derivazione sia di
quelli di composizione.
Un altro argomento a sostegno dell’ipotesi che il tema dei
deverbali sia formalmente coincidente con l’imperativo di 2’
pers. sing. piuttosto che con «l’infinito meno -re» viene dall’e
same di un altro insieme di dati, quello costituito dai verbi con
infinito in -rre. Nel campione ci sono 12 verbi di questo tipo:
comporre, condurre, disporre, distrarre, esporre, imporre, intro
durre, opporre, porre, produrre, proporre, ridurre. Da questi ver
bi si hanno i seguenti derivati in -mento: componimento, dispo
nimento, distraimento. espanimento, introducimento, opponimen
to, ponimento, producimento, proponimento, riducimento. Come
si vede, questi derivati presentano un tema che coincide con la
a
2
pers. sing., e non con il tema del
forma dell’imperativo di
sia):
esso
l’infinito (qualunque
infinito
imperativo
derivato
(X)porre
(X)poni
(X)ponimento
Xdurre
Xduci
Xducimento
distrarre
distrai
distraimento
derivati esclusi
*(X)pormento,
*(X)pomento
*Xdurmento,
*Xdumento
*distrarmento,
*distramento
quella che si potrebbe chiamare la ‘classe centrale’ delle frasi
imperative è associata alla ‘seconda persona’; ed è un fatto piuttosto singola
il
re che in molte lingue che flettono il verbo per la persona, il numero,
tempo, il modo, ecc. (comprese le lingue indoeuropee) la forma del verbo che
occorre nelle frasi imperative di ‘seconda persona singolare’ non è flessa per
tutte queste categorie (cioè è identica alla radice)s (LY0Ns 1975 [1968]:402).
(4)
«...
181
In conclusione, pare che la soluzione più economica e me
glio compatibile con i dati sia assumere che i deverbali qui
indagati derivino da un tema formalmente coincidente con
l’imperativo di 2 pere. sing. (5). In base a questa ipotesi sarà
studiata la trasparenza morfotattica dei deverbali italiani in
-mento e -zione.
5. I
DERIVATI IN -MENTO
La maggior parte dei derivati in -mento contenuti nel cam
pione presenta una pura agglutinazione del suffisso -mento al
tema dei verbo base, senza alcun mutamento della struttura
segmentale di quest’ultimo.
Prima di classificare questi deverbali sotto il I grado della
scala di trasparenza morfotattica, però, è necessario discutere
un problema.
5.1. L ‘accentazione dei derivati
La questione da discutere riguarda la struttura prosodica
dei derivati. Essi presentano tutti l’accento primario sul suffis
so: quindi il tema verbale, che nella sua forma di citazione
porta un accento primario, nel derivato perde questo accento.
Ci si può chiedere se questa modifica accentuale che colpisce il
tema implichi una diminuzione del grado di trasparenza dei
derivati. Si argomenterà ora brevemente contro questa ipote
si(6).
Il dominio entro il quale viene assegnato in italiano l’ac
cento primario è quello della parola fonologica (cfr. Nespor e
(5) Questa ipotesi può apparire intuitivamente poco economica nel setto
re della flessione. Tuttavia anche l’ipotesi di Scalise presenta molti problemi
in questo settore. Per una trattazione organica dì questi argomenti, mi
permetto di rimandare a DRF.SSLER e TnornrroN (in preparazione).
(6) L’argomentazione qui svolta a proposito dei derivati in -mento è
valida anche per ì derivati in -zìone trattati nel § 6, e sarà lì presupposta.
182
ANNA M. THORNTON
SUI DEVERBALI ITALIANI TN -MENTO E -ZIONE
Vogei 1986:130). Tale costituente prosodico è stato definito nel
modo seguente da Nespor (1985:197-98):
Nella scala di trasparenza morfotattica proposta da Dres
sler procedimenti di formazione delle parole che implichino
modifiche legate a informazioni di tipo morfologico sono consi
derati poco trasparenti. Un’analisi attenta della definizione dei
diversi gradi della scala, e dei relativi esempi, mostra però che
a essere classificati come poco trasparenti sono piuttosto i pro
cessi che producono modifiche nella struttura segmentale della
base. Una modifica accentuale come quella che ha luogo nella
derivazione suffissale italiana non trova collocazione nella sca
la. In uno studio globale sulla morfologia italiana sarebbe ne
cessario costruire una diversa scala di trasparenza morfotatti
ca. basata su parametri interni al sistema della lingua italiana.
In una tale scala. derivati formati con pura agglutinazione del
suffisso alla base. senza altre modifiche che quella della strut
tura accentuale, dovrebbero certo occupare il grado di massi
ma trasparenza. Si tratta di un caso in cui una naturalezza
«assoluta>, indipendente da sistemi linguistici specifici (system
independent naturainesse: cfr. Mayerthaler 1987) entra in con
flitto con una naturalezza interna a uno specifico sistema (esy
stem dependent naturalness»: cfr. Wurzel 1984, 1987), e que
st’ultima prevale (7). Qui non si tenterà però di costruire una
scala di trasparenza morfotattica tarata sull’italiano, perché
per farlo sarebbe necessario vagliare dati molto più numerosi e
vari di quelli che formano oggetto del presente studio. Segna
lato il problema, si classificheranno quindi i derivati in -mento
che non presentino altra modifica che quella di ordine accen
tuale nel I grado della scala di trasparenza morfotattica pro
posta da Dressler.
Phonological Word
(w)
in Italian: Domain.
An underived morphoiogical word forme a w together with
a) its suffìxes
b) its prefixes if they are (i) not analvzable as such synchronically
(ii) monosyllables that bave a coda.
Per una argomentazione di questa definizione, che qui ver
rà assunta come corretta, si rimanda a Nespor (1985) e Nespor
& Vogel (1986:124-34). In base alla definizione data, i suffissi
italiani formano insieme alla loro base un unico costituente
prosodico, entro il quale è possibile assegnare un unico accento
primario.
E necessario ora definire come avvenga l’assegnazione di
questo accento. L’italiano è notoriamente una lingua cosiddet
ta «a accento liberos. nel senso che si hanno coppie minime
distinte solo per la posizione dell’accento: topica è la citazione
della triplice opposizione càpitano vs. capitàno vs. capitanò. La
libertà di assegnazione dell’accento primario nell’ambito di u
na parola fonologica italiana non è però totale e incondiziona
ta. La principale restrizione che la governa è ben formulata,
nel quadro di un modello per altri versi datato, da Garde
(1972[1968]). Garde divide i morfemi dell’italiano in due classi,
gli accentabili e i non accentabili. Egli definisce sempre accen
tabili le radici, e sempre non accentabili le desinenze nominali
e aggettivali, le enclitiche, i prefissi e le proclitiche; tra le
desinenze verbali e i suffissi si hanno sia morfemi accentabili
che inorfemi inaccentabili. Data questa classificazione, «una
stessa unità accentuale può contenere più morfemi accentabili.
e in questo caso nella parola vi è conflitto tra questi morfemi.
Questi conflitti vengono risolti secondo la regola che segue: il
morfema che attira l’accento è sempre l’ultimo tra i morfemi
accentabili» (Garde 1972 [1968]:124-25, corsivo mio).
E evidente che, se l’assegnazione dell’accento nelle parole
derivate italiane funziona in questo modo, essa fa riferimento
a informazioni di tipo morfologico (come minimo, la presenza
di un confine di morfema).
183
5.2. Irregolarità
Esistono alcuni casi in cui il tema verbale, indipendente
mente dai fenomeni accentuali appena discussi, non appare nel
(7) Lassegnazione dell’accento all’ultimo morfema accentabile presente
in una parola è. secondo GARDE (1972 [19681:126), ‘una costante del sistema
romanzo, che sembra del tutto scontata a chi lavora all’interno di questo
sistema*.
SUT DEVERBALT TTALIANT TN -MENTO E -ZIONE
184
derivato in -mento in una forma esattamente coincidente con la
a
2
pers. sing. dell’imperativo. Questi casi sono classificabili in
tre gruppi: 1) derivati da verbi cosiddetti incoativi; 2) derivati
da verbi che presentano alternanze riconducibili ai fenomeno
del dittongo mobile; 3) derivati da verbi irregolari.
5.2.1.
185
ANNA M. THORNTON
-idC
Una sottoclasse di verbi della III coniugazione (8), i cosid
detti incoativi, presenta la sequenza -isc- tra la radice e la
a
desinenza flessiva nel singolare e nella 3
pers. plur. del presen
congiuntivo
e dell’imperativo (9).
te indicativo, del presente
Nei campione sono presenti i seguenti derivati in -mento da
questi verbi (i derivati da verbi che possono avere sia coniuga
zione incoativa che coniugazione normale sono tra parentesi):
(apparimento), (avvertimento), (comparimento), compimento,
custodimento, distribuimento, (eseguimento), ferimento, finimen
to, fornimento. gradimento, guarimento, impazzimento, impedi
mento, (nutrimento), partimento, patimento, preferimento, puli
mento, riferimento, riunimento, seppellimento, sparimento, stabi
limento, tradimento, trasferimento, unimento (10).
(8) Secondo MTGLrORTNT (1952:151) si tratta della maggior parte dei verbi
della III coniugazione.
(9) Molti problemi sono legati allo statuto dell’elemento -isc- nella mor
fologia dell’italiano. (Parliamo qui di elemento e non di morfema per non
impegnarci sulla sua natura semantica). Il primo problema è relativo alla
forma stessa di questo elemento. Si può discutere infatti se si tratti di -seche viene inserito dopo la vocale tematica -i- dei verbi della III coniugazio
ne, o se la /i/ sia parte dell’elemento inserito. Che la uI sia parte dell’elemen
to in questione è presupposto dall’analisi di Zamboni (1983) che sarà presen
tata nel testo. Tuttavia, si potrebbe argo-mentare anche che l’assenza di /if
in verbi senza -se- è solo superficiale, ed è causata dalla normale regola che
cancella una vocale atona nel contesto «confine di morfema + vocaies: la
forma profonda di parto sarebbe dunque parti + o > partOo, mentre quella
di finisco sarebbe fini + se + o, dove non si realizzano le condizioni per l’appli
cazione di questa regola. Si tornerà sulla regola di cancellazione di vocale in
seguito (cfr. § 6,2.).
(10) Si possono forse aggiungere a questo elenco divertimento, risalimento
e salimento; infatti divertire ammette la coniugazione incoativa nell’accezione
Questi derivati non presentano l’inserzione di -isc-, mentre
nella 2 pers. sing. dell’imperativo, che di solito coincide for
malmente con il tema che appare nei derivati, i verbi cosiddet
ti incoativi presentano -isc- (11). Ci si può chiedere, quindi,
quale sia la forma del tema verbale per questa classe di verbi,
cioè se il tema includa o no -isc-. Se il tema non include -isc-, i
derivati in -mento andranno classificati nei I grado della scala
di trasparenza morfotattica; in caso contrario, andranno inve
ce assegnati a una categoria particolare, che combina il feno
meno altamente innaturale di sottrazione di materiale fonolo
gico dalla base (V grado della scala di diagrammaticità morfo
logica) con l’affissazione. Per rispondere all’interrogativo po
sto, è necessario studiare meglio la natura dell’elemento -isc-.
Il valore di questo elemento, che appare oggi solo in certe
forme di certi verbi della III coniugazione, è abbastanza di
scusso. L’opinione più comune è che esso non abbia più alcun
valore semantico (cfr. Lepschy e Lepschy 1981:129). Tuttavia
si hanno anche posizioni diverse: Zamboni (1983:232-33) sostie
ne che «il formativo si è evoluto senza perdere del tutto la sua
proprietà di identificare formazioni contrassegnate da una spe
cifica modalità dell’azione (Aktionsart), di tipo trasformativo
per la precisione, che traduce in termini corretti la tradizionale
attribuzione di ‘incoativo’». Qui non vogliamo impegnarci a
«volgere altrove, distoglieres, mentre salire e risalire la ammettono come
variante popolare. Nessuno di questi verbi presenta però -isc- nell’imperativo
(efr. nota 11).
(11) In realtà, non tutti i verbi cosiddetti incoativi presentano -isc- nel
l’imperativo. Nei campione, dei 27 verbi di questo tipo che hanno un deriva
to in -mento, 21 presentano -ìsc- nell’imperativo, 3 non lo presentano (avverti
re, compire, nutrire), e per altri 3 la presenza di -isc- pare dubbia (apparire,
comparìre, eseguire). Nelle grammatiche non si accenna a questo problema,
anche se, probabilmente intuendo la maggiore frequenza di imperativi che
presentano -isc-, i verbi scelti come esempio nelle tavole di coniugazione
presentano sempre -isc- anche nell’imperativo (finire in MIGLTORINT 1952 e
Lzvscuv e LEPSCHY 1981). La presenza o assenza di -isc- nell’imperativo non
pare dipendere da ragioni fonologiche (per esempio, basi bisillabìche si han
no in entrambe le categorie: cfr. finisci vs. nutri). Dai dati qui esaminati
essa sembra essere piuttosto governata lessicalmente che morfologica
mente.
186
ANNA M. T1-IORNTON
sott.oscrivere un’opinione sul valore semantico di —isc-. Il con
tributo di Zamboni è però molto importante per la spiegazione
che dà del comportamento morfologico di questo elemento.
Zamboni riconosce infatti che la sua ipotesi sull’almeno parzia
le valore semantico di -isc- non spiega la distribuzione dell’ele
mento nelle diverse forme dei verbi che lo presentano. La
spiegazione che Zamboni offre per questa distribuzione parte
dalla distinzione dei morfemi italiani in accentabili e non ac
centabili illustrata sopra. Zamboni nota che -isc- occorre sem
pre prima di desinenze atone, e non occorre mai, in contesti
dove pure dovremmo attendercelo, quando verrebbe a essere
seguito da desinenze toniche: non si hanno, per esempio, le
forme *finisciamo *fini$cite
Come spiegare queste non-occorrenze? Secondo Zamboni
(1983:234), -isc- è un morfema «marcato accentualmentee, che
non può «emergere superficialmente come atono». Nei contesti
in cui verrebbe a trovarsi in posizione immediatamente prece
dente un morfema tonico, come le desinenze -‘jamo e -‘ite, non
potendo essere realizzato né come atono, né come tonico, dato
che l’italiano non ammette una sequenza di due sillabe toniche
nell’ambito della stessa parola, -isc- viene eliminato. Secondo
Zamboni, questa è una prova dello statuto flessivo e non deri
vazionale del morfema: infatti un morfema derivazionale può
essere realizzato atono se è seguito da un altro morfema tonico
(cfr. risorgi’mento > risorgimen’tale), e non viene eliminato in
tali contesti. Un’implicazione della teoria di Zamboni è che
almeno per alcuni morfemi flessivi l’accento rappresenti una
caratteristica inalienabile, e non condizionata sintagmatica
mente. I morfemi flessivi, dunque, andrebbero divisi non tanto
in accentabili e non accentabili, come vuole Garde, quanto in
facoltativamente accentabili. obbligatoriamente accentati e ob
bligatoriamente non accentati. Solo tale distinzione può spie
gare perché, nel caso in cui venga a crearsi una sequenza di
due morfemi flessivi accentati, nessuno dei due può perdere
,
l’accento (non sono infatti accettabili né le forme *fjni’sciamo
*fi
*fi
uno
quindi
e
‘niscite),
‘nisciamo.
*fjnj ‘scite, né le forme
dei due morfemi deve essere eliminato, mentre l’altro appare
nella sua forma piena, tonica. Questa ipotesi richiede anche un
St’T DEVERBMJ TALTAN1 TN -MENTO f1 Z1ONE
187
metodo per decidere quale morfema vada eliminato in casi di
conflitto, Nella situazione qui in discussione, secondo Zamboni
(1983:34) la scelta di eliminare -i.c- e conservare -iamo. -ite è
dovuta all ‘importanza morfologica. di queste ultime desinenze,
che portano le marche di tempo, persona e numero.
Se l’ipotesi di Zamboni è corretta, lo statuto di -ise- è
quello di un morfezna flessivo, dalla semantica specilicabile
nell’ambito della categoria dell’Aktionsart, che occorre solo nei
contesti in cui è seguito da altri morfemi flessivi non inerente
mente accentati. Esso non è dunque parte del tema verbale, e
è quindi naturale che non appaia nei derivati in -rnento(12).
Dunque anche i derivati in -mento da verbi cosiddetti incoativi
possono essere classificati nell’ambito dei I grado della scala di
trasparenza morfotattica.
Tuttavia i parlanti, conoscendo l’alternanza di forme con e
senza -ic- nel paradigma verbale. istituiscono probabilmente
reti di rapporti paradigmatici diverse per derivati da verbi
cosiddetti incoativi e per derivati da altri verbi, che non pre
sentano l’(almeno apparente) irregolarità causata dall ‘alternan
za di forme con e senza -isc- nel paradigma. La rete di rappor
ti paradigmatici costruita attorno ai derivati da verbi assolu
tamente regolari è più fitta, mentre quella che comprende i
derivati da verbi cosiddetti incoativi è più rada, includendo in
sede più periferica le forme verbali che presentano -isc-. Se
ilnmaginiamo che la trasparenza di un derivato sia funzione
non solo della naturalezza dell’operazione necessaria a crearlo,
ma anche, secondo un punto di vista saussuriano. della ric
chezza della rete di rapporti paradigmatici nei quale esso si
(12) In realtà Zamboni dimostra, nell’articolo che stiamo utilizzando,
che la vera natura di -1- è quella di «un vero e proprio ibrido (nè auten
ticamente flessivo né autenticamente derjvazjonale (ZAsniowi 1983:234).
Veriflcat.o il comportamento di -i.c- in ciascuna delle nove Situazioni in cui,
secondo Scalise (1983). morfemi flessivi e derivazionali si comportano in
modo diverso o addirittura opposto, Zamboni ha riscontrato che -isc
ha comportamento pienamente flessivo in cinque casi. derivazionale in un
caso, e misto in tre. Come si vede, il valore flessivo è quello presente nella
maggioranza dei casi. La non occorrenza in derivati come i deverbali in
-mento è proprio una delle proprietà flessive di -isc-.
188
ANNA
u.
THORNTON
colloca, i derivati in -mento da verbi cosiddetti incoativi godo
no di un grado di trasparenza leggermente inferiore a quello
dei derivati da verbi assolutamente regolari.
5.2.2. Dittongo mobile
Un altro problema per la misurazione della trasparenza dei
deverbali sorge nel caso di derivati da verbi nel cui paradigma
(i Infatti nella 2
.
mobile
)
si abbia il fenomeno del dittongo 3
pers. sing. dell’imperativo di questi verbi si ha il dittongo,
mentre nei deverbali in -mento corrispondenti il tema verbale
appare in forma non dittongata. Ciò si spiega con il fatto che,
dei
essendo il suffisso -mento accentato, la vocale del tema
una
in
cioè
atona,
sillaba
in
trovarsi
a
derivati viene sempre
condizione in cui storicamente non si ha dittongamento.
Ai fini della determinazione del grado di trasparenza di
questi derivati varranno considerazioni simili a quelle già svol
te per i derivati da verbi cosiddetti incoativi. Dato che il
dittongo, laddove il paradigma non ha subito un livellamento
analogico, si produce solo in certe condizioni fonologiche (silla
ba libera tonica), e queste condizioni non si realizzano nei
derivati in -mento, la forma non dittongata del tema che appa
re in essi è da considerarsi del tutto regolare, e più ‘basica’ di
quella dittongata. Sarà l’imperativo, nel quale si realizzano le
condizioni necessarie per il dittongamento, a presentare una
forma innovativa: il tema, forma legata il cui contorno accen
tuale si determina solo sintagmaticamente, non è dittongato.
Da un punto di vista formale, dunque, questi derivati possono
essere classificati nell’ambito del I grado della scala di traspa
renza morfotattica.
Tuttavia l’alternanza tra forme con e senza dittongo non
può essere considerata un fenomeno regolato sincronicamente
nell’italiano d’oggi, perché in molti casi interi paradigmi hanno
(13) NeI campione i derivati in -mento da verbi che presentano dittongo
, cocimenl.of,
mobile sono i seguenti: avvenimento, cammauimento, contenirnenio
mantenimento, movimento, ottenimento, possedimento, ritenimentot, sostenimen
to, tenimentot, trattenirnento, venimentof.
StT DEVER}3ALI ITLTAN1 [N
-MENTO E -Z1O.VE
189
subito un livellamento analogico su una delle due forme del
tema. Nel caso di paradigmi livellati sulla forma senza ditton
go. il derivato appare assolutamente regolare. Nel caso dei
paradigmi livellati sulla forma dittongata, il derivato in -mento
presenta. dal punto di vista della MN. una modifica della base
del tutto imprevedibile, e va quindi classificato nel VII grado
della scala di trasparenza morfotattica, (14). Nei casi in cui l’al
ternanza è ancora presente nel paradigma verbale e riconduci
bile a una regola. la rete di rapporti paradigmatici istituibili
attorno al derivato è meno compatta di quella che circonda un
derivato da verbo senza alternanze nel paradigma. Il grado di
trasparenza dei derivati da verbi che presentano dittongo mo
bile può essere quindi considerato sempre leggermente inferiore
a quello dei derivati da verbi assolutamente regolari.
5.2.3. Tema verbale, tema dell’infinito e verbi irregolari
Nel campione sono presenti altri derivati in -mento in cui
appare una forma del tema diversa dalla forma dell’imperativo
di 2 pers. sing. Si tratta per lo più di derivati da verbi irrego
lari. che verranno ora esaminati in dettaglio.
Andamento. Il verbo andare presenta un suppletivismo del tema in tutto
il suo paradigma. alternando le radici and. e va(d).. L’imperativo di 2 pers.
smg. è ra. Il derivato in -mento, tuttavia. seleziona la radice and-. Zamboni
(l983:37) nota che la distribuzione delle diverse radici nei paradigmi verbali
suppletivi presenta singolari concordanze con quella delle forme con o senza
isc dei paradigmi cosiddetti incoativi. e osserva quasi incidentalmente che
nel verbo andare «and è il morfema non marcato (collocato nei sistema col
tratto .acc) cooccorrente con un morfema flessivo accentualmente marcato,
in caso contrario sostituito da va(d) a sua volta marcato tonicamentes, Si
può pensare che il tratto [-acc] sia responsabile anche della scelta di and- nel
contesto !‘mento/. suffisso accentato, e che deve conservare il suo accento
venendosi a trovare in fine di parola.
Udimento, Uscimento, Riuscimento. Questi derivati risalgono a verbi che
(14) Fra i verbi del campione, solo muovere appare già completamente
livellato sulla forma dittongata (cfr. Lapscny. LEPSCHY 1981:131). Un proces
so di livellamento sulla forma dittongata sembra in atto anche per commuo
vere e cuocere, Mancano invece nel campìone verbi completamente livellati
sulla forma non dittongata.
SUI DF.VERBALT TTAJ.IANT TN
190
MENTO E .ZJONE
191
ANNA M. THORNTON
presentano un’allomorfia del tema distribuita esattamente come quella pre
sente nei verbi cosiddetti incoativi, nei verbi con dittongo mobile e nei verbo
andare. Anche qui il derivato in -mento seleziona il tema nella forma solidale
con le desinenze flessive toniche: cfr. (ri)esco. (ri)escono vs. (ri)u.cciamo,
(ri)uscìte, uscimento; odo, odono vs. udiamo, udite, udimento.
Per tutti questi verbi, va anche tenuto presente che la forma del tema
che appare con desinenze toniche e nel derivato è anche la forma che appare
nell’infinito. Dato che l’infinito è la forma di citazione tradizionale per l’ita
liano. possiamo immaginare che esso pesi nel paradigma più di altre forme.
e che l’analogia con esso svolga un ruolo decisivo nella selezione del tema
usato nella formazione del derivato. Va anche considerato che nel caso di
pers. sing.
verbi assolutamente regolari il tema, formalmente uguale alla
dell’imperativo, coincide con il tema dell’infinito. Nella coscienza del parlan
te, quindi, è possibile che il tema verbale sia identificato con quello dell’infi
nito in base alla coincidenza dei due temi nel caso dei verbi regolari, e il
tema dell’infinito sia quindi scelto come base di nuove formazioni in casi di
particolare irregolarità di un paradigma verbale.
Difensimento. Questo derivato è decisamente irregolare. La sua base
sembrerebbe essere difenso, una forma arcaica del participio passato del
verbo difendere (cfr. lat. defen#u,n). Una forma che ha come base un partici
pio passato appare del tutto isolata nel gruppo dei derivati in -mento, che
derivano chiaramente dai tema verbale. La sua creazione può forse spiegarsi
per analogia con formazioni in (z)ione e (t)ura che sono strettamente
collegate ai participi passati dei verbi corrispondenti. Difen.sione. per esem
pio, è forma attestata. Su questo punto si tornerà approfonditamente nel §
‘
-
-
6.
Dicimento, Facimento, Rifauimento, Soddisfacimento. Queste formazioni
derivano da due tra i più irregolari dei verbi italiani: fare e dire. Già i verbi
latini facere e dicere avevano un imperativo irregolare (fac, dic), e questa
irregolarità si è trasmessa in italiano, dove i due imperativi suonano
legittimo sostenere quindi che nel caso di questi due verbi il tema
/‘di/.
verbale non coincida con l’imperativo di 2’ pere. sing.. Data l’irregolarità
dominante nel paradigma dei due verbi, tuttavia, non è chiaro in che modo
vada stabilita l’effettiva forma del tema verbale. Si può solamente constata
re che i derivati in questione sembrano collegati a due forme arcaiche di
infinito, facere e dicere. Dato che i derivati sono di attestazione antica,
contemporanea a quella delle due forme di infinito ricordate, è probabile che
siano stati ricavati da esse con procedimento analogico, data la stretta rela
zione esistente tra tema verbale e tema dell’infinito nella folta serie dei
derivati regolari.
Potiraenio. Anche questo derivato ha come base un verbo irregolare già
in latino, che oltretutto non ha una forma di imperativo per motivi semanti
ci. Anche in questo caso il derivato sembra collegato a un tema ricavato
dall’infinito, con una i presumibilmente analogica.
5.3. Riepilogo e dati quantitativi sulla trasparenza dei derivati in
-mento
Esposti i diversi casi di irregolaritè e turbamenti nella tra
sparenza del rapporto tra basi verbali e derivati in -mento, si
possono riepilogare i dati finora presentati in forma anche
quantitativa.
Sono stati considerati appartenenti al I grado della scala di
trasparenza morfotattica i derivati ottenuti dal tema verbale
coincidente formalmente con l’imperativo di 21 pers. sing. at
traverso la pura aggiutinazione del suffisso -mento.
I derivati irregolari andamento, udimento, riuscimento e u
scimento sono stati classificati nell’ambito del VI grado della
scala di trasparenza morfotattica. quello che prevede l’inter
vento di regole morfologiche (15).
I derivati potimento. faci.menio rifacimento, soddisfacimento,
dicimento e difensimento sono stati assegnati invece al VII gra
do della scala di trasparenza morfotattica, quello riservato ai
derivati nei quali si ha «alternanza di segmenti non predetta
da regolee. La forma di questi derivati, infatti, pur essendo
spiegabile, non è predicibile. Nel VII grado è stato inserito
anche il derivato movimento, dato che il suo verbo base, muove
re, ha generalizzato la forma dittongata in tutto il paradigma.
e quindi l’assenza di dittongo nei derivato non è più riconduci
bile a una regola fonologica.
Per i derivati da verbi che presentano dittongo mobile o
-isa- nel paradigma, si è operata una doppia classificazione,
Nella tavola III il computo si è condotto in modo da eviden
ziare al massimo le caratteristiche di trasparenza dei derivati: i
derivati da verbi con dittongo mobile e con -isa- sono quindi
stati assegnati al I grado della scala, in base all’ipotesi più
forte argomentata sopra, secondo la quale né il dittongo né
(15) Una regola della forma A
B /.—C, dove A è l’inpul, B è l’output.
e C è il contesto nel quale la regola si applica, è una regola morfonologica se
l’input è fonologico. e l’output e;o il contesto contengono informazione mor
fologica; è invece una regola morfologica se l’iszpsd contiene informazione
morfologica. In base a questa definizione, regole che selezionano un allomor
fo o cancellano specifici morii sono regole morfologiche.
—
192
ANNA M. THORNTON
-isc- fanno parte del tema ver
bale. Nella tavola IV, invece
,
appare un computo che tiene
conto di ogni possibile fattor
e di
diminuzione del grado di tra
sparenza dei derivati. In que
sta
tavola i derivati da verbi cos
iddetti incoativi e da verbi
con
dittongo mobile sono stati ass
egnati al VI grado della sca
la,
che prevede l’intervento di
regole morfologiche (come la
sele
zione tra i due possibili allo
morfi del tema>.
I
n. derivati
367
TI
III
IV
V
—
—
—
97,3%
Tavola III
-
Tavola IV
325
86,2%
-
VII
4
1,1%
6
VIII
1.6%
Trasparenza morfotattica dei
derivati in -mento 3)
I
n. derivati
VI
TI
—
III
—
IV
V
—
—
VI
VII
46
12.2%
36
1,6%
VIII
Trasparenza morfotattica dei
derivati in -mento (2)
Come si vede, anche nel caso
peggiore, quello esposto nel
la
tavola IV, i derivati in -mento
sono caratterizzati da un alt
issi
mo grado di trasparenza mo
rfotattica. Questa loro carat
teristi
ca li differenzia notevolment
e dai derivati in -zione, che
saran
no esaminati nel prossimo par
agrafo.
6. I DERIVATI IN -ZION
E
I derivati in -zione presentan
o irregolarità di vario tip
o, e
in generale il loro grado di
trasparenza rispetto al ver
bo cui
sono semanticamente colleg
ati è piuttosto basso.
Le irregolarità si manifestano
nella forma stessa del suffis
so. La formula «derivati in
-zione» costituisce solo una
comoda
etichetta per designare le for
mazioni qui considerate:
non in
tutte, infatti, il suffisso ha
la forma -zione. Apparten
gono a
questo gruppo anche der
ivati nei quali il suffisso
assume la
SUI DEVERBALI ITAL
IANI IN
-,vrro
E -ZJONE
193
forma -sione, -ione o -gio
ne (per esemoìo. concIuone
, ribellione,
guarigione) (16)
Inoltre molti derivati di
questo gruppo non hanno,
almeno
apparentemente. una rel
azione regolare con il tem
a verbale, Si
osservino gli esempi seg
uenti:
accendere
agire
ammettere
assumere
cedere
commuovere
confessare
deludere
accensione
azione
ammissione
assunzione
cessione
commozione
confessione
delusione
accendizione
*agizlone
*ammettizione
assurnIzione
*cedizìone
commuovizione
*confessazione
“deludizione
I dati relativi ai derivati
in -zione saranno ora ana
lizzati in
base al modello già uti
lizzato per i derivati in
-mento.
6.1. L’ipotesi «tema ver
bale ± -zione»
necessario innanzitutto qua
ntificare le irregolarità
senti in questo gruppo di
pre
derivati nei campione. Per
farlo, si
dovrà naturalmente ass
umere un punto di riferim
ento rispetto
ai quale qualificare certe
forme come regolari, e qui
ndi traspa
renti, o meno.
In questo paragrafo sarà
esplorata l’ipotesi che i der
ivati in
-zione, così come quelli in
-mento, siano formati reg
olarmente
attraverso l’aggiunta del
suffisso /t’tsjonel a un tem
a verbale
che coincide formalment
e con la seconda persona sin
golare del
l’imperativo. I derivati
che rispondono a questa
descrizione
saranno classificati nel I
grado della scala di traspa
renza mor
fotattica: gradi decrescen
ti di trasparenza saranno
assegnati ai
derivati che non si con
formano allo schema «tema
verbale +
-zione».
(16) L’alter
nanza tra -zione e -siem
,e. che appare oggi in
vedibile. e quindi irre
italiano impre
golare, risale all’alterna
nza latina tra -tione(m)
-sione(m), che è invece
e
predicibile in base a con
dizioni fonologiche. L’a
nante -sion- appare dop
lter
o radici contenenti una
dentale (cfr. LEIJMANN 197
198). Su -gione. efr. infr
7. §
a, nota 22.
194
ANNA M. TTIORNTON
SUI DF,VERT3ALI ITALIANI IN .MENTO E zJO,VE
Secondo questa ipotesi, la distribuzione del campione di
vocaboli in -zione nella scala di trasparenza morfotattica è
quella illustrata nella tavola V.
I
n. derivati
(tot. = 278)
Tavola V
157
56.4%
-
tI
—
III
IV
V
VI(’)
VIII
VII
25
115
1,S%
41,4°’
0,4%
Trasparenza morfotattica dei derivati in -zione (1)
Il numero di derivati classificabili nell’ambito del grado di
massima trasparenza è la maggioranza, ma una maggioranza
assai lieve; inoltre, più del 40% dei derivati, se si assume
l’ipotesi «tema verbale + -zione», viene a cadere nell’ambito
del VII grado della scala di trasparenza morfotattica, quello
del suppletivismo debole. Un 40% di derivati da temi suppleti
vi sembra francamente eccessivo, e richiede una spiegazione.
6.2. L’ipotesi di Scalise: « participio passato +
-
ione «
All’alto grado di (almeno apparente) allomorfia che si ri
scontra nei derivati in -zione ha rivolto la sua attenzione Scalise (1983), che ha avanzato una proposta sulla loro «storia
derivazionale». Secondo Scalise. i nomi in -zione non derivano
dai tema verbale (che per lui, come si ricorderà, coincide con
l’infinito meno il -re), ma dal participio passato del verbo base.
Inoltre, la forma del suffisso non è -zione, ma -ione. Infine,
nella derivazione opera la seguente regola morfonologica:
(17) I cinque derivati classificati nel VI grado della scala di trasparenza
morfotattica. quello che prevede l’intervento di regole morfologiche di allo
morfia. sono i seguenti: attribuzione, costituzione, costruzione. distribuzione,
sostituzione. Si tratta di derivati da verbi cosiddetti incoativi con tema
terminante in juif. In essi non solo non appare -isc-, ma è assente anche la
vocale tematica i, che in derivati in -zione da verbi incoativi con tema non
in /ui/ è invece presente (cfr. proibizione, seppellizione). Se si vuole dare una
spiegazione sincronica di questo fenomeno (forse non necessaria, o non lecita.
dato che i derivati in questione sono tutti prestiti dal latino: cfr. oltre,
6.4.4), esso deve essere fatto risalire a una regola morfologica ad hoc che
cancella la vocale tematica -i- nel contesto /u/_+ zione (se la u ha valore
semivocalico la cancellazione può non avvenire: è attestata infatti la forma
eseguizioneì.
(29)
(t)t —s tsi[+sonj
(Scalise 1983:253)
195
+ ione
Queste tre ipotesi consentono di riassorbire nell’ambito dei
derivati regolari non solo forme come quelle elencate sotto a>.
che risuiterebbero regolari anche in base all’ipotesi tema ver
bale + -zione», ma anche forme come quelle elencate sotto b),
che in base a tale ipotesi risulterebbero irregolari:
a) accettato
affermato
assicurato
coltivato
liberato
realizzato
accettazione
affermazione
assicurazione
coltivazione
liberazione
realizzazione
bi aggiunto
concesso
confuso
diviso
immerso
aggiunzione
concessione
confusione
divisione
immersione
L’ipotesi di Scalise (18) ha il merito di aumentare il numero
di derivati la cui forma risulta calcolabile in base a regole.
Tuttavia in conseguenza di questa ipotesi praticamente tutti i
derivati in -ione vengono a dover essere classificati in gradi
assai bassi della scala di trasparenza morfotattica. Infatti. la
(18\ Un’ipotesi in parte simile è
avanzata anche da DARDANO (1983:1621). Dardano si differenzia da Scalise nei ritenere che si dovrà parlare di un
suffisso -zione. con due varianti: -rione e -gione» (16), e non di un suffisso
ione, ma concorda con Scalise quando scrive che, in base a esempi quali
correzione, canvìnzione, direzione. «pare opportuno porre come base, non l’in
finito, ma l’allomorfo costituito dal participio passato = Ppc rispetto a
quest’ultimo la nominalizzazione V — N-ziane comporta la regola fonologica
;t(t)f — !ttsf. Bisogna subito aggiungere che Pp è assunto sia nella sua
forma attuale (corretta, convinto, diretto), sia in una forma virtuale
(17)
(Anche Scalise propone l’assunzione di «forme virtuali» come basi: cfr. oltre,
6.3). Qui si è preferito fare riferimento all’ipotesi «base = participio passato»
nella forma proposta da Scalise. che ha il merito, rispetto a quella proposta
da Dardano. di essere assai più accurata. Per esempio. Dardano. nel presen
tare la regola /(t)t/
Jtts/ non indica il contesto in cui essa agisce. Inoltre
egli non cerca di spiegare in maniera unitaria tutti i derivati in -iane, il che
costituisce invece esplicito obiettivo di Scalise. Infatti Dardano rifiuta esplì
citamente di applicare l’ipotesi «base = participio passato ai derivati rego
lari (del tipo di circolazione, sparizione), in quanto «si tratta di unipotesi
scarsamente economica rispetto ad altri settori della nominalizzaziones (17) e
analizza questo tipo di derivati come formati da «infinito + -zione». Sulla
proposta di Dardano cfr. anche la nota 23.
-
...»
—..
198
SUT DEVERBLT ITAUAXI TN .IIE’TO F -ZIONE
i. TNORNTON
farebbero da base a certi derivati, nel lessico di una grammati
ca generativa dell’italiano, cioè in un componente che deve
operare in sincronia ‘nell’analisi e produzione di una lingua.
Si osservino ora i risultati della classificazione dei derivati
nella scala di trasparenza morfotattica, operata in base all’ipo
tesi di Scalise. I derivati appartenenti al campione generati
dall’insieme di regole proposte da Scalise sono stati classificati
nel IV grado della scala, dato che la loro generazione compor
ta l’intervento di due regole morfonologiche senza fenomeni di
ione. I
fusione, la RCV e la regola (t)t > ts/[ + son]
da
proposte
regole
dalle
e
predetti
correttament
derivati non
riserva
scala,
della
grado
VII
nei
classificati
stati
sono
Scalise
to ai casi di suppletivismo debole. Il riepilogo dei dati è illu
strato nella tavola VI.
I
n. derivati
(tot. = 278)
Tavola VI
—
-
TI
—
III
—
IV
218
78.4%
V
VI
—
—
VII
60
21.6%
Trasparenza morfotattica dei derivati in
VIII
—
-zione (2)
Come si vede, il 21,6% dei derivati presenti nel campione
non è generato correttamente neppure adottando l’ipotesi di
Scalise. Scalise stesso è consapevole del fatto che la sua propo
sta «lascia aperti alcuni casi di allomorfia della base> ma ritie
ne che «l’allomorfia è ridotta a pochi casi e non alla norma»
(Scalise 1983:263). Questa valutazione intuitiva, se messa a
confronto con i risultati ottenuti in base a un campione defini
to di dati, può essere rimessa in discussione: il 21.6% di casi in
un campione che risale in ultima analisi al VdB dell’italiano
non sono poi tanto pochi.
In ogni caso, tra le critiche movibili alla proposta di Scalise
quella che si riferisce al suo potere predittivo in termini quan
titativi non è la principale. Si è visto, infatti, che adottando
l’ipotesi che i derivati abbiano la struttura «tema verbale +
-zione», i casi di suppletivismo per allomorfia della base sono
addiritura il 41,4%, cioè quasi il doppio di quelli che si hanno
applicando l’ipotesi di Scalise. Gli svantaggi di questa ipotesi
non sono dunque di ordine quantitativo, ma piuttosto di ordi
ne qualitativo.
199
6.4. Critiche di ordine qualitativo all ‘ipotevi di Scalive
64.1. La scarsa plausibilitò psicologica
C’è un aspetto dell’ipotesi di Scalise che la rende poco plau
sibile quale modello della competenza di un parlante (per
quanto ideale si voglia) nel formare o comprendere parole deri
vate in -ione. Si tratta della possibilità che come base dei
processo di derivazione siano assunte anche parole obsolete
(accenso, condutto) o parole non esistenti e mai esistite in italia
no (esecuto).
Se si può accettare che una certa fascia di parlanti abbia
una competenza che comprende una conoscenza di vocaboli
arcaici, non si può però ritenere che nella competenza di qual
che parlante rientrino parole non esistenti e mai esistite, come
esecuto. Se si concorda con queste osservazioni, se ne dovrà
dedurre che almeno quella parte di derivati che secondo Scalise sono generati a partire da basi arcaiche o non esistenti non
siano in realtà sincronicarnente descrivibili come derivati dal
verbo corrispondente. Si tornerà su questo punto nei § 7.
6.4.2. Contraddizioni interne
La proposta di Scalise implica la possibilità di accettare
come basi dei derivati in -ione non solo participi passati (at
tuali o arcaici), ma anche aggettivi morfologicamente e seman
ticamente collegati a un verbo.
Questo allargamento agli aggettivi della classe di basi possibili viola.
secondo Scalise, solo apparentemente l’ipotesi della base unica (Unitary Baie
Hypothesis: cfr. Aronoff 1976:48, Scalise 1984:139), secondo la quale una
RFP opera sempre su basi di un’unica categoria sintattica. La violazione
scompare se si assume che «le RFP non agiscano su categorie sintattiche ma
su tratti sintattici» (Scalise 1983:260). In questo caso, infatti, dato che sia
aggettivi che participi passati sono categorie definite, nel modello di Chom
sky (1970), dai tratti +N,+V] (cfr. Scalise 1983:261-62), la regola di forma
zione di derivati in -ione si troverebbe a agire su una categoria definita dai
tratti +N,+V, sia essa poi superficialmente realizzata da aggettivi o da
participi passati.
Formalmente, dunque. la proposta di Scalise sembra non incontrare
ostacoli. Se si va però a verificare quale sia la categoria sintattica dei voca
boli che devono essere assunti come base dei derivati in -ione del campione
196
SUI DEVERBALI TTALIANr IN MENTO E ZJOYE
ANNA M. THORNTON
derivazione di una forma in -ione secondo Scalise si svolge nel
modo seguente:
amministrato + ione
Cv
Reg. 29
Uscita
o
ts
amministrazione
[CV = Cancellazione di vocale]
Scalise 1983:254)
In questa derivazione intervengono ben due regole di ordi
co: la regola 29 presentata sopra, e la regola di
morfonologi
ne
cancellazione di vocale.
È forse necessario spiegare perché, nel quadro assunto da
Scalise. si rende necessario l’intervento della regola di cancella
zione di vocale. Si ricorderà che Scalise assume che la base
delle RFP sia costituita in italiano da temi che sono «forme
astratte di parole». Nel caso dei participi passati, come in
quello di nomi e aggettivi, la forma astratta di rappresentazio
ne contiene una «vocale tematica» che indica l’appartenenza a
una determinata classe flessiva (Scalise 1983:190). In pratica.
la -o presente nella forma astratta amministrato contiene le
informazioni che permettono di generare correttamente un plu
rale in -i. un femminile in -a, ecc. Questa -o, tuttavia, non
appare in superficie nei derivati in -ione. Essa viene cancellata
nel primo stadio della derivazione, e la sua scomparsa crea il
contesto per l’applicazione della regola 29 (/(t)t/ > /ts//[ ± son]
+-ione). La regola che qui opera la cancellazione della
vocale tematica è chiamata da Scalise (e, in generale, dalla
tradizione generativista di descrizione dell’italiano: cfr. Vogel e
alii 1983) «regola di cancellazione di vocale» (= RCV). Essa è
« un processo molto generale che cancella obbligatoriamente
una vocale non accentata prima di un’altra vocale [nota 37: o
semivocale] separata da un confine di morfema» (Scalise
1983:329). La regola è di tipo morfonologico. I derivati in -ione
predetti dalla ipotesi di Scalise dovrebbero quindi essere classi
ficati nel IV grado della scala di trasparenza morfotattica,
quello nel quale operano regole morfonologiche senza fenomeni
di fusione (quali la regola 29 e la RCV).
197
6.3. Dati quantitativi relativi all’ipotesi di Scalise
Sarà ora esaminata l’effettiva distribuzione nella scala di
trasparenza morfotattica dei derivati in -zione presenti nel
campione, in base all’ipotesi sulla loro storia derivazionale for
mulata da Scalise. E necessario però prima precisare meglio
alcuni aspetti di quest ultima.
Per aumentare il potere esplicativo della sua ipotesi. Scalise
propone che le basi possibili per derivati in -ione siano non
solo «participi passati attuali (inqiunto. sommerso, riscosso)»,
ma anche «forme che erano participi passati ma che sono stati
soppiantati da formazioni regolari (digesto —s digerito, inserto
inserito) anche se alcune di esse sopravvivono come nomi
(inserto) e infine [...] forme non esistenti (esecuto)» (Scalise
1983:246). Nell’esaminare il rapporto tra derivati in -zione e
loro basi, sono stati quindi presi in considerazione anche vari
tipi di basi diverse da un participio passato attuale. Sono state
considerate esistenti le basi corrispondenti a vocaboli lemma
tizzati in Z e/o G. anche se indicati come arcaici o disusati.
Non sono state invece considerate esistenti le basi non attesta
te in Z eo G. quali *esecuto. *rernisso *be,jito. perché è parso
che ammettere qualunque base, purché in grado di generare il
derivato dato attraverso le regole ipotizzate, avrebbe vanifica
to il senso stesso della verifica in atto, venendo a introdurre
un elemento di circolarità nei ragionamento. D’altra parte.
non pare disponibile alcun metodo per scoprire quale forma
diversa dal participio passato far entrare in gioco. che non sia
quello circolare che qui si rifiuta. Neppure un metodo che
faccia ricorso a informazioni di tipo diacronico, e che operi
secondo un’istruzione del tipo «si prenda un participio perfetto
latino e si operino gli adattamenti fonologici comuni ai voca
boli passati dal latino in italiano per via dotta», darebbe i
risultati auspicati da Scalise. dato che così si escluderebbe la
possibilità di postulare basi quali *bevito generando eventual
mente *bibito Questo metodo, comunque, permetterebbe in
effetti di generare una base adeguata in molti casi; tuttavia
esso non sembra auspicato da Scalise. che non tiene a sottoli
neare le implicazioni di ordine diacronico della sua ipotesi. e
propone di elencare le parole «possibili ma non esistenti>, che
—
200
ANNA M. THORNTON
secondo l’ipotesi di Seal
ise, si scopre che in li casi la
base ipotizzata risulta
essere un sostantivo, cioè una
parola appartenente a una
categoria definita
dai tratti [+N.-V]. I casi sono
i seguenti:
azione, attribuzione, convenzione,
discensione’, intenzione, intervenz
ione, possessione, processione,
proposizione,
ricezione, sostituzione, che seco
ndo l’ipotesi di Sealise devono
essere fatti
risalire rispettivamente a atto. atirs
buto. cnn vento, discensot, inten
to, interven
to, possesso, processo, proposito,
ricetto, .ostituto.
Almeno in questi casi, dunque,
l’ipotesi di Scalise cade in una
contraddi
zione interna, dato che le basi nece
ssarie per render conto di certi
derivati
violano le restrizioni poste sulla
classe di basi utilizzabili dalla
RFP in
questione.
Naturalmente, è vero che questi
sostantivi risalgono a forme
participiali
latine(
)
9
.i Tuttavia, nel quadro prop
osto da Scalise, l’unica soluzion
e per
assegnare loro i tratti [±N.±V
] propri di participi e aggettivi,
e non i tratti
[+ N,-V] propri dei sostantivi, cons
isterebbe nel duplicare le entrate
lessicali
relative, ponendo in ciascun
caso un lemma omofono, poss
ibile ma non
attestato*, con i tratti [+N
,±V] accanto al lemma attestato
che ha i tratti
[±N,-VJ.
In un caso come quello in questio
ne. risulta difficile sot
trarsi all’impressione che tutto
l’armamentario relativo all’in
troduzione nel lessico di vocabo
li «non attestatis sia messo in
gioco per evitare di dover fare
ricorso, in una grammatica
sincronica, a nozioni di ordine diac
ronico. Pare invece che que
sto ordine di fattori abbia un
ruolo ineliminabile nella spiega
zione dei fenomeni che sono qui
in discussione.
6.4.3. L’a,spetto diacronico
La stragrande maggioranza dei
derivati in -zione presenti
nel campione (226, cioè l’82,2%
) consiste di voci entrate in
italiano come prestiti colti dal lati
no. Se a queste si aggiungo
no 5 prestiti dal francese e dal
provenzale, si ha un totale di
231 prestiti (84%) (20)
(19> Sulla conf
luenza del tipo latino dei deve
rbali in -tu.e con i participi
perfetti neutri sostantivati in
-tum, cfr. Gaoeors (1968; 1970
).
(20) Le infor
mazioni etimologiche sui termini
studiati sono state tratte
in prima istanza da Z. In casi
dubbi, o nei casi in cui Z non
riporta indica
zioni etimologiche, si è fatto ricor
so a BATTAGLIA (1961), BA’rrlsn e ALESSIO
(1950-1957), DELl. DAUZAT (193
8), DEI, G, Lawis e SBORT
(1984), LUI.
OLD, VoLIt.
SUT DEVERBAI.! TTALTANI
TN -MEYTO E -ZIONE
201
D’altra parte, una RFP che
forma deverbali in -zione è
oggi produttiva in italiano, com
e provano i 75 neologismi in
-zione elencati in Cortelazzo
e Cardinale (1986). Ci si può chie
dere allora come questa regola
sia venuta a costituirsi.
Di
fronte al corpus di vocaboli usc
enti in -ione entrati in italiano
come prestiti dal latino o da altr
e lingue, la coscienza linguisti
ca dei parlanti italiani, nei rica
vare con metodo analogico una
RFP da rendere produttiva, avr
ebbe avuto in linea teorica due
opzioni. Avrebbe potuto ricavar
e l’insieme di regole proposto
da Scalise. o avrebbe potuto
isolare nel corpus dei prestiti un
sottoinsieme di derivati che app
arivano regolari in base a una
regola semplice, l’aggiunzione
della stringa -zione al tema ver
bale, regola che trova riscont
ro anche nella numerosa serie,
semanticamente apparentata.
dei derivati in -mento.
La soluzione scelta nel corso dell
a storia dell’italiano è sta
ta senza dubbio la seconda,
quella che ha reso produttivo
il
modello «tema verbale + -zione».
A favore di questa soluzione
ha giocato probabilmente la mag
giore semplicità. Essa mette
in gioco infatti una sola regola,
di tipo agglutinativo (cioè il
tipo di massima trasparenza mo
rfologica secondo la MN), me
n
tre l’altra soluzione mette in
gioco due regole. entrambe di
tipo morfonologico, implicanti can
cellazioni e alternanze fono
logiche morfologicamente condizi
onate. Inoltre è possibile che
il tema verbale, assunto com
e base dalla soluzione vincente,
sia stato preferito al tema del
participio passato perché que
st’ultimo è semanticamente mar
cato e è spesso rappresentato
da una forma morfologicamente
irregolare.
Che la regola effettivamente pro
duttiva in italiano sia quel
la riassumibile nella formula «tem
a verbale + -zione», e non in
quella «participio passato
+ -ione» (e stipulazioni aggiuntive
varie) è dimostrato da una seri
e di fatti.
In primo luogo, si esaminino i 45
derivati del campione che
non sono prestiti dal latino o
da altre lingue, ma sono stat
i
creati in italiano: abituazion
e(rl), assicurazione, coltivazion
e,
comparizione, consumazione, des
iderazionet, dimenticagione, do
mandagionet, durazionet,
eseguizionet, finizione, fissazione, gi
razionet, importazione, laur
ea.zionet, mancagionet, meritazion
et,
movizionet, offerizionet, perdonazio
net, pigliagionet, raccoman
SUI DEVEREALI TTAJJANJ IN -MENTO E -ZIONE
ANNA M. TNORNTON
202
ione, rifazio
dazione, rappresentazione, rassegnazione, regolaz
riservazionej’,
zionet,
t,
ripensa
iazione
ne (r), rimessione. ringraz
sistemazione,
riunione, rovinazionet, rubazionet, seppellizionel’,
onet, ve
togligi
situazione. sparizione, spaventazionet, tirazionet,
zione.
.stizione, votazione, aumentazione, volizione, ordina
«tema
Questi derivati sono quasi tutti analizzabili come
però
è
che
e,
riunion
verbale + -zione». Uniche eccezioni sono
non
que
comun
che
e
n,
reunio
stato creato sul modello del fr.
, e
passato
pio
partici
il
sia
base
la
avalla neppure l’ipotesi che
base
in
bile
spiega
meglio
rebbe
risulte
rirnessione. che invece
modello lati
all’ipotesi «participio passato + -ione», ma il cui
su movizio
no remissio è palese. Va poi richiamata l’attenzione
che in
dato
,
net, che evidentemente deriva dal tema verbale
to
piuttos
o
base al participio passato sarebbe stato format
lat.
<
ne,
mozio
è
*,wssjone (e si osservi che l’allomorfo dotto
motus e non
motione (m), connesso al participio perfetto latino
).
al participio passato italiano mosso
te in
Analogo è il caso delle neoformazioni in -zione elenca
i
derivat
sono
73
li,
vocabo
75
su
:
(1986)
Cortelazzo & Cardinale
sono
e)
cezion
contrac
ione,
(21),
(abreaz
due
e
da verbi regolari
o di questi
formati per prefissazione di derivati antichi. Nessun
icamente
neologismi è spiegabile più adeguatamente e/o econom
.
con l’ipotesi che la base sia il participio passato
(21)
ne, americanizzazione, a
Acculturazione, aderizzazione, alfabetizzazio
tazione, climatizzazione,
nodizzazione, attualizzazione, balcanizzazii.me, bigliet
e, criminalizzazione,
zazion
creoliz
,
azione
,
conurb
azione
inform
contro
donazione,
ione, de-stabilizza
alizzaz
desacr
e,
vazicm
demoti
ne,
cubanizzazione, demi8tificazio
finlandizzazione, fiscalizza
ne,
zzazio
eutrofi
zione,
dissala
ne,
izzazio
digital
zione,
e, ideologizzazione, implementazio
zione, foliaziane. gambizzaziane, ghettizzazion
one, islamizzazione, istituzio
rizzazi
ne, indicizzazione, informatizzazione, insono
lizzazione, novellizzazione,
nalizzazione, malesizzazione, mer,wrizzazione, norma
penalizzazione, pre8surizzaottimizzazione, parcellizzazione. pedonalizzazione,
urazio
sabilizzazicme, ristrutt
zione, professionalizzazione, rapallizzazione, respon
rottamazione, satellizzazione,
e,
zazion
robotiz
ne,
zzazio
ne, rivisitazione, rivitali
lizzazione, 8erializzaziosensibi
e,
zazion
scoiarizzazione, semaforizzazione, seniliz
smilitarizzazione, sola
ione,
atizzaz
sistein
e,
zazion
sintetiz
ione,
alizzaz
ne, sindac
ione,
olarizzazione, .»ponsorizzaz
rizzazione, sottotitolazione, spallazione, spettac
ondizzazione, turnazione, urna
terzom
ne,
izzazio
terziar
zione,
surgela
zione,
stagna
.
azione
nizzazione, zonizz
203
L’osservazione di questi soli dati potrebbe risultare però
poco probante, dato che la stragrande maggioranza di queste
formazioni deriva da verbi con un participio passato regolare.
e è quindi compatibile con entrambe le ipotesi presentate.
Un diverso insieme di dati utile per mettere alla prova
l’ipotesi che la base della derivazione in -zione sia il tema dei
participio passato è costituito dai verbi che hanno in italiano
un participio passato in •-uto. Questo formante di participio,
ricavato dalla falsa segmentazione del participio perfetto di
alcuni verbi latini con un tema terminante in u (tribuo e deri
vati, statuo e derivati, ecc.), si è esteso analogicamente a molti
verbi dall’infinito in -ere in epoca tardo latina, ma non panro
manza (il sardo, per esempio. non conosce questo tipo: cfr.
Tekavéjé 1972, § 885-887). I verbi che hanno adottato questo
tipo di participio costituiscono per la discussione qui in corso
un banco di prova ideale: infatti, se la RFP che forma derivati
in -zione assumesse come base il participio passato italiano.
questi verbi dovrebbero avere un derivato in -uzione. Nella
tabella seguente sono presentati i verbi della TI coniugazione
appartenenti al campione che hanno participio passato in -uto.
participio perfetto latino non in -utus. e un derivato in -ione:
infinito
pp
bere
cedere
convenire
Intervenire
possedere
perdere
precedere
procedere
premere
ricevere
riflettere
ripetere
ntenere
vendere
volere
bevuto
ceduto
convenuto
intervenuto
posseduto
perduto
preceduto
proceduto
premuto
ricevuto
riflettuto
it.
ripetuto
ritenuto
venduto
voluto
pp lat.
derivato
bibjtus
eessus
Ooflventus
interventus
bevjzjone
cessione
Convenzione
intervenzione
possessione
perdizione
precessione
processione
pressione
ricezione
riflessione
ripetizione
ritenzione
vendizjone
voi izione
possessus
perditus
praecessu»
processus
pressus
receptus
reflexus
repetitus
retentus
vendjtus
—
Come si vede, i derivati in -zione non appaiono derivati dal
participio passato italiano; essi risultano invece per lo più col-
204
205
ANNA M. THORNTON
SUI DEVERBALI ITALIANI TN -MENTO E -ZIONE
legati al participio perfetto del verbo latino corrispondente, in
quanto sono tutti prestiti latini (tranne volizione, cfr. oltre). Si
noterà poi che in alcuni casi (bevizione, perdizione, ripetizione,
vendizione) il vocabolo derivato risulta analizzabile, dal punto
di vista dell’italiano, come «tema verbale ± -ziones. Saranno
casi di questo tipo che hanno contribuito allo stabilirsi in ita
liano di questo modello come procedimento produttivo di FP.
Il modello, una volta adottato, ha prodotto per esempio voli
zione, derivato italiano dal tema verbale di un verbo che in
latino è difettivo del participio perfetto.
Risultati analoghi a quelli ora esposti si ottengono dall’esa
me di verbi che hanno un participio perfetto latino in -utus, e
un participio passato italiano di diverso tipo. Come appare
dalla tabella seguente, anche in questi casi il derivato è un
prestito dal latino, formalmente collegato al participio latino e
non a quello italiano:
È vero però che nel caso di verbi dal participio passato
regolare questo meccanismo produce derivati (quali coltivazio
ne, vestizione) formalmente indistinguibili da quelli che si pro
durrebbero secondo la formula «participio passato ± -ione»,
date le due regole aggiuntive proposte da Scalise. I derivati da
verbi con participio passato regolare costituiscono inoltre il
gruppo più folto di derivati in -zione creati in italiano.
Tuttavia, anche di fronte a questa maggioranza di dati
egualmente compatibili con le due ipotesi, pare da preferirsi, in
quanto più economica, l’ipotesi secondo la quale la RFP oggi
produttiva è «tema verbale + -zione». Essa risulta infatti ade
guata a prevedere tutte le formazioni che non sono prestiti, e
10 fa attraverso un meccanismo di alta naturalezza morfologi
ca, quello della pura agglutinazione. evitando il ricorso a rego
le quali la RCV e (t)t > ts [±son]
± ione.
Questa ipotesi non tenta neppure di prevedere/generare i
vocaboli che sono entrati in italiano come prestiti dal latino o
da altre lingue (22). Il fatto che una regola non si applichi ai
infinito
attribuire
costituire
costruire
distribuire
sostituire
pp it.
attribuito
costituito
costruito
distribuito
sostituito
pp Iat.
attributus
constitutus
constructus
distributus
sostitutus
derivato
attribuzione
costituzione
costruzione
distribuzione
sostituzione
6.4.4. Conclusioni
Dai dati presentati risulta che in italiano non è e non è niai
stata produttiva una RFP che derivi parole in -ione da partici
pi passati. Nel campione e tra i neologismi elencati in Cortelaz
zo e Cardinale (1986) non si è riscontrata alcuna formazione
che sia indiscutibilmente basata sul tema di un participio pas
sato forte italiano. I vocaboli che appaiono formati dal tema
di un participio passato irregolare (sforte») italiano unito a
-ione sono in realtà prestiti dal. latino.
È stata e è invece produttiva una RFP che deriva vocaboli
in -zione da temi verbali. Si hanno infatti alcuni casi di deriva
ti da verbi con participio passato forte. o con participio passa
to in -uto, la cui base è ineontrovertibilmente il tema verbale,
e non il tema del participio passato (movizione, comparizione,
volizione).
(22) La decisione di considerare prestiti colti
i termini italiani in -zioone si
giustifica sulla base di considerazioni fonetiche. Secondo ROHLFS (G-SLID,
§1061), infatti, l’evoluzione normale [dei lat. -ATTONF.(M) ...j avrebbe dovuto
dare un -azone, cfr, prezzare < pretiare, tizzone < titionem. palazzo <
palatium, »‘tazzone < statìonem».
Lo steso ordine di considerazioni vale per i termini in -sione: quale sia
l’esito «normale» di -sj- in toscano è discusso (cfr. ROHLFS. GSLID. § 86).
ma in ogni caso non si ha conservazione della i, dato che il nesso si trasfor
ma in una fricativa palatale. I termini in italiani in -sione devono quindi
essere di trasmissione dotta.
Dalla soluzione abbracciata riguardo all’esito toscano dei lat. -sj- dipen
de anche la classificazione delle forme in -gione come esiti indigeni o come
prestiti. dal gallo-romanzo o dall’italiano settentrionale. ROHLFS (GSLID, §
286) dà ampiamente conto delle diverse posizioni espresse dagli studiosi
sull’esito toscano di -sj-. In sostanza, secondo alcuni /3/ sarebbe l’esito nor
male (Merlo, Pieri); secondo altri, l’esito /3/ sarebbe frutto di un influsso
gallo-italico (Jud. Castellani) o »padano. (Rohlfs), o rappresenterebbe co
munque un esito diacronicamente posteriore (Parodi) a /$/, considerato l’esi
to indigeno primario. Qui non si prende posizione per l’una o l’altra soluzio
ne proposta. Probabilmente ulteriori elementi di discussione, soprattutto di
ordine non fonetico, potrebbero venire da un’auspicabile considerazione ge
nerale, in prospettiva diacronica. dei derivati in -gione in italiano.
206
ANNA M. THORNTON
SUT DEVERBALT TALTANT IN -MENTO E -ZIONE
prestiti è però una restrizione linguisticamente assai naturale:
sembra anzi metodologicamente scorretto costruire RFP che
generano sincronicarnente parole che sono in realtà dei prestiti.
D’altra parte, l’ipotesi opposta, «participio passato + -ione»,
non riesce comunque a prevedere tutti i derivati presenti in
italiano, implica iì costoso ricorso a regole morfonologiche, e
non opera la naturale separazione tra vocaboli di creazione
endogena e prestiti (23).
ANNA
M. THORNTON
ABBREVIAZIONI E SIMBOLI
Nel corso del testo sono usate le seguenti abbreviazioni:
DM1 = Dizionario macchina dell’italiano
G = Garzanti 1987 (se segue un vocabolo, indica che questo manca in
Zingarelli 1983. ed è presente -solo in Garzanti 19871
letterario
LIF = Lessico italiano di frequenza
MN = morfologia naturale
NA = nomen actionis, nomina actionis
r = raro
RCV = regola di cancellazione di vocale
RFP = regola, regole di formazione delle parole
VdB = vocabolario di base
ZingareHi 1983
Z
Zi. Z2 = se seguono un vocabolo, indicano che esso va inteso nel senso del
primo, rispettivamente secondo, membro di una coppia di oniografi in Z
±
(23)
La separazione tra termini di formazione italiana e prestiti dotti
non viene operata nella proposta di Dardano 1983 (sulla quale cfr. già. la
nota 18). Egli ritiene infatti che in italiano coesistano due modelli di forma
zione, uno regolare (»infinito ± -zione»Ì e uno irregolare )»participio passato
+ -ione.). Quando opera il secondo modello, «intervengono in vari casi
alcune regole di adattamento. quali -cito > -uto (> attribuzione, ecc.),
participio passato debole sostituito con participio passato forte (prevenuto >
*prevento > prevenzione), ripristino della
vocale tonica dell’infinito ( V-durre,
-dotto. 5
-dutto. -duzione) (cfr. DAROANO 1983:17-18).
Rispetto a Scalise, Dardano mi pare proporre un numero e un tipo di
regole eccessivo, e a volte assai poco giustificabile: ad esempio, egli propone
di derivare commozione da un mostruoso 5
commotto (p. 18), dove è chiaro che
nella proposta di Scalise la base sarebbe un latinamente assai più plausibile
samoto; inoltre Dardano propone «un caso di troncamento
5
che riguarda
pochi verbi della prima classe» e che renderebbe conto di un derivato come
opzione attraverso la trafila op(ta)to > *opt€i > opzione (p. 18). Rispetto
alla proliferazione di queste regole assolutamente idiosincratiche. la proposta
di Scalise ha l’innegabile vantaggio della maggiore eleganza, potenza e sem
plicità. Comunque il problema comune a entrambe le proposte è il rifiuto di
prendere in considerazione la realtà diacronica; Dardano stesso ne riconosce
d’altra parte la pertinenza quando scrive: «Data la prospettiva assunta in
questa analisi, non faccio uso della nozione di latinismo (anche se tale nozio
ne in una diversa prospettiva riguarda la maggior parte degli esempi di
cui qui si tratta» (DARDANO 1983:18).
—
—
207
=
t
=
$
=
=
confine di morfema debole:
se segue un vocabolo, indica che il vocabolo è arcaico, disusato
confine di morfema forte (cfr. § 7)
confine di sillaba
78
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.
-
-
.A. .,
-
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
(11) (*)
7. ALCUNE CONSEGUENZE
Se si adotta la soluzione «tema verbale ± -zione». che cor
rettamente separa i vocaboli dì formazione italiana dai presti
ti, e descrive un procedimento sincronicamente produttivo,
ignorandone uno che non lo è mai stato in italiano, si viene
però a perdere una notevole quantità di informazione. Infatti
le parole che risultano irregolari rispetto alla RFP proposta
sono molte: come si è visto nel § 6.1, esse costituiscono oltre il
40% del campione qui utilizzato.
E doveroso quindi esaminare la possibilità che esista un
qualche meccanismo, diverso dalla specificazione di una RFP
sincronicamente produttiva, che sia in grado di rendere conto
delle sottoregolarità presenti anche nei derivati che appaiono
irregolari in termini della regola sincronica «tema verbale
± -zione». Queste sottoregolarità sono dovute all’alta inciden
za, almeno nel vocabolario di base dell’italiano. di verbi che
risalgono a verbi prefissati latini, che presentano delle caratte
ristiche di ordine morfologico e fonologico comuni. Per esem
pio, i verbi in -durre (condurre. introdurre, produrre. ridurre nel
campione) hanno tutti un derivato in -duzione. Questa forma
del derivato è irregolare dal punto di vista della regola produt
tiva «tema verbale + -zione», che predirrebbe *jZjp, ma
regolare all’interno del microparadigma dei verbi in -durre: un
parlante che conosca un nome in -zione derivato da uno dei
verbi di questa serie, per esempio conduzione, potrà, secondo
(*) La parte i è comparsa in «AGI» LXXV (1990), pp. 169-207.
80
A. M.
THORNTON
un semplice procedimento analogico, ricavare riduzione, produ
zione, introduzione (cfr. Saussure, CLG 221 sgg.).
Nel campione esistono diverse serie di verbi che risalgono
a una stessa base latina, e che costituiscono quindi dei micro
paradigmi all’interno dei quali è possibile riconoscere relazioni
analogiche (24)
Volendo codificare in una grammatica dell’italiano l’esi
stenza di questo tipo di regolarità, una possibile soluzione
è quella di distinguere, nell’ambito della competenza morfolo
gica, due sottocomponenti. Da un lato si avrà un componente
morfologico di produzione, il cui compito è quello di generare
nuove forme secondo le RFP vigenti in un dato stadio sincro
nico (ad esempio, derivare nomi deverbali in -zione da un tema
verbale). D’altro lato, si avrà un componente morfologicò di
riconoscimento, che conterrà le informazioni necessarie all’ana
lisi di parole esistenti. Sarà questo secondo componente a ge
stire i vocaboli in -ione che risultano irregolari rispetto allo
schema «tema verbale + -zionee. Qui saranno anche contenute
le conoscenze relative a eventuali sottoregolarità presenti nel
corpus delle forme che risultano irregolari rispetto alle RFP
sincronicamente valide: per esempio, la regolarità della relazio
ne -durre > -duzione, ecc.
La proposta di separare un componente morfologico di pro
duzione da un componente di analisi o riconoscimento non
è certo originale (si ricordino la distinzione tra Wortbildung
e Wortgebiidetheit di Dokulii (1968), e le Wortbildungsanaiysere
gein di Plank (1981)). Anche nel modello di Aronoff (1976)
sono previste delle «rules of word anaiysis» che «can be viewed
(24) I casi sono i seguenti: -cedere > -cessione (cessione, concessione,
precessione, processione, successione); -dire > -dizione (dizione, benedizione,
maledizione); -durre > -duzione (conduzione, introduzione, produzione, ridu
zione); -fondere > -fusione (confusione, diffusione); -tenere > -tenzione (con
tenzione, manutenzione, ritenzione); -‘mettere > -‘missione (ammissione, com
missione, (missione), permissione, trasmissione); -primere > -pressione (e
spressione, impressione); -porre > -posizione (composizione, disposizione,
esposizione, imposizione, opposizione, posizione, proposizione); -vedere > -vi
sione (previsione, provvisione, revisione, visione); -venire > -venzione (con
venzione, intervenzione).
SUI DEVERBALT ITALIANI
IN -MENTO
E
-ZIONE
81
as redundancy rules. They can be used to segment a word into
morphological constituents, though the word may not be stric
tly generable from these constituents» (Aronoff 1976:30). Que
ste «rules of word anaiysis» vengono anche occasionalmente
chiamate da Aronoff, con un ‘espressione piuttosto fuorviante,
« unproductive word formation rules», cioè regole di formazio
ne delle parole non produttive. La nozione di regola di forma
zione non è facilmente conciliabile con la caratteristica della
non produttività, e quindi la dicitura «rule of word analysiss,
o regola di analisi delle parole, è senz’altro da preferire.
L’ipotesi di una differenza di statuto tra parole morfotatti
camente regolari e irregolari è corroborata anche da al’cuni
dati provenienti da studi psicolinguistici sperimentali. Esistono
ormai numerose ricerche sulla rappresentazione mentale del
lessico e sui meccanismi di accesso alle informazioni in esso
contenute: molte di esse riguardano le parole morfologicamen
te complesse, sia flesse che derivate. (Per una rassegna, cfr.
Burani e Caramazza 1984).
Un contributo particolarmente interessante in relazione ai
temi qui discussi è quello di Bradley (1980). Questo studio
parte da un dato ormai accertato in psicoiinguistica, l’effetto
di frequenza: la quantità di tempo necessaria a raggiungere la
rappresentazione di una parola nel lessico mentale è inversa
mente proporzionale alla frequenza della parola stessa. Una
misurazione del tempo necessario ad identificare una parola
nel lessico mentale si ha attraverso un classico tipo di esperi
mento, il compito di decisione lessicale (lexical decision ta.sk),
nei quale si chiede ai soggetti di classificare rispettivamente
come parole o non parole della lingua in questione, nel più
breve tempo possibile, delle stringhe di fonemi o grafemì che
vengono loro sottoposte. Per le parole più frequenti, la rispo
sta giunge in tempi sensibilmente più brevi che per le parole
meno frequenti.
Bradley ha costruito un esperimento di decisione lessicale
su vocaboli inglesi contenenti i suffissi #neZZ, #er, #ment
e + ion. I vocaboli in # ment e + ion utilizzati nell’esperimento
hanno caratteristiche del tutto paragonabili a quelle dei deri
vati italiani in -mento e -zione studiati qui: mentre i derivati in
82
A. M. THORNTON
# ment (come gli altri derivati inglesi con suffissi introdotti da
un confine 4t’) sono costruiti per pura aggiutinazione del suffis
so a una base, e presentano quindi un’alta trasparenza morfo
tattica, i vocaboli in +ion presentano irregolarità del tipo di
quelle viste per i corrìspondenti vocaboli italiani (25). I risulta
ti dell’esperimento di Bradley mostrano che i tempi di decisio
ne per i vocaboli in # rnent non sono correlati alla frequenza
dei singolo vocabolo di volta in volta esaminato, ma alla fre
quenza cumulata del vocabolo in esame e della sua base. Per
due vocaboli che hanno la stessa frequenza individuale, i tempi
di decisione possono essere diversi, e la decisione è tanto più
veloce quanto più alta è la frequenza della base del derivato.
Questo dato è compatibile con un’ipotesi di organizzazione del
lessico mentale secondo la quale i derivati regolari sono rap
presentati in forma decomposta, cioè come base, affisso e rego
la di assemblaggio di questi due componenti. Questa rappre
sentazione decomposta è resa possibile ed economica dall’esi
stenza di una regola ben definita per l’assemblaggio dei com
ponenti del derivato, che può quindi essere facilmente rico
struito.
Dati analoghi a quelli di Bradley, per derivati italiani rego
lari in -zione, sono riportati da Burani e Caramazza (1987)
e Burani e Laudanna (1988).
Per i derivati irregolari, invece, mancano purtroppo studi
sull’italiano. Dall’esperimento sull’inglese di Bradley, però,
emergono dati interessanti: risulta infatti che i tempi di deci
sione lessicale sui derivati irregolari in + ion non sono
corre lati alla frequenza della supposta base di questi voca
boli (26).
(25) La differenza tra due tipi di confine,
e +, che possono comparire
tra una base e un affisso, è associata in inglese a una serie di caratteristiche.
(confine di morfema forte) impedisce di modifi
In particolare, il confine
care il contorno accentuale della base e blocca l’applicazione di una serie di
regole fonologiche tra i fonemi separati da esso. Il confine + (confine di
morfema debole), invece, non biocca questo tipo di processi. La distinzione
tra i due tipi di confine, secondo ScAusa (1983:54, nota 14), non è applicabile
all’italiano.
(26) Parliamo qui di base supposta perché, in mancanza di una rego
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
83
Considerare validi anche per il caso italiano qui studiato
i risultati ottenuti da Bradley in un solo esperimento, condot
to sull’inglese, sarebbe metodologicamente scorretto. Potrebbe
essere invece interessante costruire esperimenti sui dati italìanì
quì utilizzati, per verificare se anche per l’italiano è ipotizzabi
le un rapporto tra derivati morfotatticamente regolari e loro
basi diverso da quello vigente, a livello di organizzazione men
tale del lessico, tra i vocaboli morfologicamente complessi irre
golari e i verbi ad essi semanticamente collegati.
Il contrasto tra derivati regolari ed irregolari ora discusso
sarà ripreso in esame nel prossimo paragrafo nel quadro della
MN.
8. -MENTO, -ZIONE, E LE PREVISIONI DELLA MORFOLOGIA NATURALE
Uno degli interessi principali degli studiosi che operano
nell’ambito del modello della MN è quello di derivare previsio
ni esplicite sul comportamento dei sistemi linguistici a partire
dai principi di naturalezza morfologica assunti come assiomi
della teoria. Queste previsioni vengono poi verificate sui dati,
e si cerca una spiegazione per ogni caso in cui i dati si discosti
no da quanto previsto.
Saranno ora confrontate le previsioni derivate dal principio
della trasparenza morfotattica con i dati relativi ai derivati
italiani in -mento e -zione. Le previsioni da verificare sono le
seguenti:
The more natural a technique is (as ordered on naturainess scales I and
TI [cioè le scale di diagraxnmaticità morfologica e trasparenza morfotattica])
the more words are derived by it in one and the same language.
la di formazione ben definita, il verbo semanticamente ed etimologicamente
collegato a un vocabolo in +ion (o a un vocabolo italiano in -rione irregola
re) non dovrebbe essere considerato la base di tale vocabolo. Si tratta piut.
tosto, come si è visto, di coppie di vocaboli ripresi dal latino, e che esibisco
no una relazione morfologica, che in rapporto alle RFP produttive nella
lingua (inglese o italiana) che accoglie tali vocaboli come prestiti appare
irregolare.
84
A. M. THORNTON
‘if i)EVEI<BALI ItALIANI IN -M.t7(J E -Z1OYL’
More natural WFRs [e RFPj should be more productive than lese
natural WFRs. (Dressler 1987: 107-108)
Queste previsioni sembrano confermate dai dati esaminati.
Si è visto che le regole produttive che formano derivati in
-mento e -zione in italiano operano secondo la tecnica più natu
rale, che consiste nell’affissazione di un suffisso senza modifi
che della base. Si è visto anche che una regola poco naturale.
quella proposta da Scalise (1983), che formalmente sarebbe in
grado di generare molti dei vocaboli in -zione attestati in ita
liano, non si è in realtà mai applicata nella storia della lingua.
Inoltre, dai verbi del campione sono stati derivati più vocaboli
in -mento che vocaboli in -rione, benché i due procedimenti
siano egualmente naturali dai punto di vista della scala di
trasparenza morfotattica. Rispetto ai dati quantitativi globali
relativi al latino e all’italiano (cfr. .supra, § 2), il gruppo delle
formazioni in -mento risulta incrementato in diacronia, mentre
quello delle formazioni in -rione, contenente molti vocaboli
irregolari/innaturali, risulta stabile o in lieve flessione. Ciò
è probabilmente dovuto al fatto che i vocaboli in -rione, anche
se formati regolarmente. intrattengono comunque relazioni pa
radigmatiche con una serie di formazioni che appaiono sincro
nicamente irregolari, i prestiti colti dal latino. Può aver quindi
agito una tendenza a non incrementare un paradigma caratte
rizzato da un’alta incidenza di formazioni irregolari e poco
trasparenti. e a formare piuttosto derivati in -mento. In questo
gruppo, infatti, anche le formazioni già attestate in latino (per
esempio armamento. fondamelto. impedimento. nutrimento) ap
paiono sincronicamente regolari e trasparenti in italiano.
Tuttavia, resta da spiegare perché i derivati in -zione mor
fologicamente irregolari esistano, e costituiscano oltre il 40%
dei derivati in -zione da verbi appartenenti al vocabolario fon
damentale dell’italiano.
Se essi risultano tanto innaturali. perché non sono sempli
cemente caduti in disuso, a favore dei loro corrispondenti in
-mento o di formazioni in -zione regolari?
Inoltre, si ha un dato relativo a una differenza di compor
tamento tra i derivati italiani in -zione e -mento che contraddi
ce le previsioni della MN, e che deve qui essere illustrato.
Secondo Dressler (1957:107), le due previsioni sopra presentate
« hold foi’ the token frequencv of WFRse. L’uso del termine
«token> in questa frase è fecondainente ambiguo. Dresslei’ in
tende la token frequencv of a XVFRe come equivalente ai
numero di derivati che un dato WFR tvpe» ha prodotto nel
lessico di una lingua. Ànche sulla frequenza dei WFR tpes.
poi, è possibile fare previsioni: per esempio, si prevede che il
numero di regole di tipo agglutinatìvo sarà in una data lingua
(e nelle lingue del mondo considerate come insìeme) maggiore
del numero di regole che operano conversioni, e queste a loro
volta saranno di più delle regole di tipo sottrattivo. In questa
interpretazione, il type è la regola. e i tokems sono i lesserni
derivati attraverso quella regola. In questo senso, sia type che
tokens sono unità del livello della langue: i tokens sono segni,
non occorrenze o realizzazioni di segni. Ma la dicotomia ty
pe/token è tradizionalmente usata in linguistica soprattutto per
opporre unità di laligue a unità di parole, in particolare un
segno alle sue realizzazioni concrete. Qui non si vuole contesta
re a Dressier l’opportunità di usare la metafora in un senso
diverso. Partendo però dal surpius di senso tipico di ogni me
tafora. ci si può chiedere se nell’ambito della teoria della MN
non si potrebbero fare previsioni anche relativamente a un
altro tipo di rapporto type/tokens. quello tra segni e loro realiz
zazioni.
La risposta sembra dover essere affermativa. La teoria del
la MN basa ini’atti la prooria costruzione teorica anche su
elementi che concernono il livello della parole, della realizzazio
ne dei segni. Come si è visto nei § 1, la maggiore o minore
naturalezza di un fenomeno linguistico è definita tale soprat
tutto in base a parametri di facilità percettiva e/o produttiva.
e di efficacia in un contesto comunicativo: entrambi questi
fattori sono misurabili al livello concreto della parole. e non
a quello astratto della langue. In questo senso, si potrebbe
prevedere che i derivati morfotatticamente più naturali occor
rano più frequentemente nella parole, siano cioè usati di più
dei derivati meno naturali, anche indipendentemente dalla loro
incidenza come types nel lessico. I derivati in -mento e i deriva
ti regolari in -rione dovrebbero quindi essere più usati dei
86
A. M. THORNTON
derivati in -zione irregolari, quelli che presentano allomorfia
della base o del suffisso.
E stato possibile mettere alla prova questa ipotesi elabo
rando dati contenuti nel LIF. Dato che la maggior parte dei
derivati presenti nel campione stabilito inizialmente non è con
tenuta nel LIF, è stato utilizzato per verificare l’ipotesi qui in
discussione un campione parzialmente diverso, ma egualmente
significativo, costituito da tutti i derivati in -mento e in -zione
presenti nel VdB dell’italiano (compresi quindi anche derivati
il cui verbo corrispondente non appartiene al Vocabolario fon
damentale, e che erano per questo restati esclusi dal campione
iniziale) (27). Le tavole VII e VIII presentano i dati relativi
alla somma e alla media delle frequenze individuali (nel cam
pione di circa 500.000 occorrenze utilizzato per il LIF) di cia
scun derivato. I derivati in -zione sono stati divisi in diversi
gruppi, caratterizzati da diversi livelli di naturalezza: si sono
distinti i derivati in -zione regolari (cioè generabili attraverso
la formula «tema verbale + -zione) e irregolari (cioè non gene
rabili attraverso tale formula: per es., audizione. giunzione);
inoltre sono stati creati gruppi specifici per i derivati in sione
e -ione. I derivati in -mento sono stati invece classificati tutti
in uno stesso gruppo. data la scarsissima incidenza di irregola
rità in questo tipo (cfr. § 5.3).
La tavola VII presenta i dati ricavati dal LIF:
tipo
-rione regolare
-zione irregolare
-8iOflC
-ione
-mento
Tavola VII
-
87
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
frequenza
totale
numero di
lemmi
frequenza
media
1152
736
483
62
592
79
35
29
3
42
15
21
17
21
14
Come si vede, si possono rilevare da questi dati due scale.
che appaiono in conflitto l’una con l’altra. Dal punto di vista
del numero di lemmi-tipo presenti nel VdB, risulta confermata
la previsione secondo la quale dovremmo trovare in una lingua
(e a maggior ragione nel vocabolario di base di una lingua) più
parole derivate con procedimenti più naturali, e meno parole
derivate con procedimenti meno naturali. Infatti, i diversi tipi
di derivati distinti si distribuiscono, secondo una scala di nu
merosità decrescente di lemmi. nel modo seguente:
-rione regolare
-mento
-rione irregolare
-e-ione
-iene
Tavola VIII
-
79
42
35
29
3
Numerositì di diversi gruppi di deverbali nel LIF
I tipi che presentano più lemmi sono quelli puramente ag
glutinativi (stema verbale -4- -zione!-mentoe). mentre quelli
suppletivi (o analizzabili con regole morfonologiche aggiuntive,
quali la RCV, o regole di ailomorfia, quale l’assunzione come
base del tema del participio passato) presentano un minor
numero dilemmi nel VdB dell’italiano.
Tuttavia, la situazione si presenta opposta dal punto di
vista della frequenza media dei diversi tipi. come è illustrato
nella tavola IX:
-rione irregolare
-wne
>
21
-do-ne
17
>
-zione regolare
>
-mento
15
14
Tavola IX Distribuzione dei diversi tipi di derivati
in ordine di frequenza media decrescente
-
Frequenza di diversi gruppi di deverbali secono il LIF
(27) Come per il campione principale, anche
in questo caso sono stati
considerati solo termini morfologicamente e semanticamente connessi
a un
verbo esistente in italiano: cfr. supra. nota 3.
Qui sono proprio i tipi più irregolari i innaturali allomor
fici / suppletivi ad avere valori più alti, mentre i tipi più
regolari / naturali hanno i valori più bassi di frequenza media.
I derivati più irregolari e meno naturali, pur essendo in nume
ro minore come types all’interno del VdB dell’italiano, occorro
88
sci
A. M. ThORNTON
-
no come tokens in media più frequentemente nei testi, cioè
sono più usati.
Una conferma di questo dato si ha osservando le indicazio
ni d’uso assegnate ai diversi tipi di derivati da un dizionario.
E stata esaminata la distribuzione, nel DM1, delle indicazioni
«arcaico» e «raro» nei lemmi corrispondenti al campione inizia
le. Per questa ricerca i derivati sono stati raggruppati in tre
classi: derivati in -mento, derivati in -rione regolari (cioè della
forma «tema verbale ± -rione»), e derivati in -zione irregolari.
comprendenti anche i derivati in -sione o in -icrne. I dati ven
gono presentati nella tavola X in percentuale, dato il diverso
numero di parole con ciascun suffisso contenute nel campione.
-mento
-rione reg.
-rione irreg.,
-nane. io’ne
-
°i
O’
arcaismi
rari
totale %
arcaismi
+ rari
Tavola X
-
:32.3%
21.8%
22.5%
27.7%
7.3%
2.9%
60%
Percentuale di derivati in zione e -mento arcaici e rari
secondo il DM1
). Come è evidente.
25
Questi dati richiedono un commento(
risulta confermato il minore uso dei vocaboli in -mento (global
mente più regolari) rispetto a quelli in -rione: il 60% dei lemmi
relativi a derivati in -mento del campione è codificato come
arcaico o raro dal DM1. mentre solo i 27,4% dei lemmi relativi
a derivati in -rione (regolari e irregolari) ha un tale codice.
Risulta confermato dai dati del DM1 anche il fatto che
i derivati irregolari in -rione sono più usati di quelli regolari:
infatti è «arcaico» o «raro» il 29,1% dei derivati in -rione rego
lan e solo il 25,4% dei derivati in -rione irregolari. La discre
panza tra i due tipi di derivati in -rione si approfondisce anco
ra se osserviamo i soli dati relativi al codice «raro»: solo il
(28> Dati analoghi si hanno computando i codici d’uso assegnati dal
DM1 alle diverse accezioni di ciascun lemma. Tali dati non vengono presen
tati qui per non appesantire la trattazione.
89
DEVERBAL1 ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
dei lesnmi moi’foiogicaniente irregolari è codificato come
o’aro». nìeiitre tra i lemmi morfologicamente regolari è codifi
cato coine’rai’o il 7.3°c.
in sostanza, su una scala cli uso/disuso (considerando l’esse
re arcaico o raro come indice di disuso) i tipi del nostro cam
pione si distribuiscono nel modo seguente:
-ione irrec’olare > -ione regolare > -mento
.)O
uso
disuso
In altre parole. i derivati meno naturali sulla scala di tra
sparenza morfotattica sono più usati di quelli più naturali.
Questo dato può essere interpretato ancora nel quadro del
la teoria della MN. tenendo presente che questa teoria prevede
un conflitto di tendenze tra i parametri di naturalezza propri
del componente di formazione delle parole e quelli propri del
lessico di una lingua (efr. Dressler 197S:426: Kilani-Schoch
1988:34-43). Infatti mentre i sistemi di formazione delle parole
tendono alla trasparenza morfotattica e alla composizionalità
semantica delle parole complesse, si ha una tendenza opposta
nel lessico «towards individualization’ of a word. i.e. towards
autonomv ot’ a word and ìts unitary. uninterchanizeable rela
tion of a meanina complex (hoth in denotation and connota
tion) to its respective signifìcant vitli its grammatical poten
tiai. [...j Inevitabi in piurinorphemic words. the trend to
wards unitary analvsis of the word must come into conflict
with the trend towards morphological uniqueness» (Dressler
1978:427).
I derivati italiani in -rione irregolari sono allora un esempio
morfotattica sacrificata sull’altare della maggio
trasparenza
di
re autonomia della singola parola come unità lessicale. In essi
infatti è spesso irriconoscibile una base (cfr. per esempio ten.sio
ne vs. tendi-) ed è molto alto il grado di allomorfia dei suffisso
(-gione, -.sione, -ione vs. il produttivo -rione), cosicché i singoli
vocaboli divengono difficilmente analizzabili, e possono tende
re ad essere trattati come un’unità inanalizzata.
Nel quadro della MN vengono formulate delle ipotesi anche
sulle conseguenze di ordine semantico di questa tendenza
all’individualizzazione dei lessemi:
-
90
A, M. THORNTON
since the word (and not the morpheme) is the basio semiotie unit of speech,
usually the trend towards semantic autonomy (e.g. idiomatization) of the
word wins out. with the result that the compositional semantie charaeter
(semantic motivation) of a word is weakened or lost, whereas its morphologi
cal compositionality is preserved» (Dressier 1978:427).
Nel nostro caso, questa previsione sarebbe confermata se
i derivati in -zione irregolari presentassero un tasso di idiosin
craticità semantica maggiore dei derivati in -zione regolari
e dei derivati in -mento, che sono molto più trasparenti morfo
tatticamente e quindi meglio analizzabili. A tale proposito si
può presentare un primo dato che sembra indicare un grado
maggiore di varietà semantica nel gruppo dei derivati in -zione
che in quello dei derivati in -‘mento. Nel DM1 si ha per i lemmi
in -zione appartenenti al campione una media di 3,6 accezioni
per lemma; per i lemmi in -mento si ha invece una media di 1,9
accezioni per lemma. Dunque i derivati in -zione presentano un
grado di differenziazione semantica quasi doppio rispetto ai
derivati in -mento, in corrispondenza con il loro maggiore gra
do di opacità morfotattica, che li rende più disponibili a derive
dal significato composizionale.
In conclusione, pare che il comportamento dei due gruppi
di derivati italiani qui esaminati confermi sostanzialmente le
ipotesi della teoria della MN. Anche l’eccezione più macrosco
pica alle previsioni, il maggiore uso dei derivati in -zione irre
golari, che sono i meno naturali dal punto di vista della tra
sparenza morfotattica, può essere spiegata invocando un diver
so principio della teoria, quello della priorità del lessico sulla
formazione delle parole, e della conseguente maggiore natura
lezza di parole unitarie, non analizzabili, che meglio corrispon
dono alla nozione di ‘elemento lessicale ottimale’.
9. -ZÌONE E -MENTO NELLA STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
I dati presentati nel paragrafo precedente mostrano che
i derivati in -zione irregolari sono più usati dei derivati in
-zione regolari e dei derivati in -mento. Di questo fenomeno,
che pare contraddire alcune ipotesi della MN, si è data una
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
91
spiegazione in ultima analisi di ordine psicolinguistico, facendo
riferimento a una nozione di «elemento lessicale ottimale», che
sarebbe costituito piuttosto da un’unità individuale e inanaliz
zabile che da una parola morfologicamente complessa.
Mi pare però che sia possibile cercare per lo stesso fenome
no anche una spiegazione di tipo diverso, che non si basi su
tendenze di ordine universale (pancronico( ritrovabili in tutte
le lingue, ma su precise caratteristiche storiche della lingua
italiana.
Ricapitoliamo quanto sappiamo dei derivati in -ziane
e -mento nella storia della lingua italiana: da una situazione
latina nella quale si avevano dieci volte più vocaboli in
-tio/-.sio che in -menturn. si è passati a una situazione italiana
in cui le due classi sono egualmente numerose, e anzi il numero
totale dei vocaboli in -zione è lievemente diminuito rispetto ai
latino. laddove il numero dei derivati in -mento è quasi decu
plicato. Lo stabilirsi di una situazione di questo tipo è certo
spiegabile come frutto di una ricerca di naturalezza sui piano
della trasparenza morfotattica, dato che i derivati in -mento
sono formati attraverso un procedimento di alta naturalezza,
quello della pura aggiutinazione. Inoltre si è visto che la mag
gior parte dei vocabdli in -zione esistenti oggi in italiano sono
prestiti dotti dal latino, e sono meno morfotatticamente tra
sparenti dei vocaboli in -‘mento.
Ciononostante, è indubbio, in base ai dati presentati nel
8,
§ che i derivati in -zione sono più usati in italiano dì quelli
in -mento. Ci si può chiedere se questa affermazione nell’uso
dei derivati in -zione sia legata a un particolare momento della
storia della lingua italiana. Per rispondere a questa domanda,
sono state controllate le date di prima attestazione dei derivati
in -zione e -mento del campione sul DELl e, in assenza di
indicazioni in questa sede, sui Battaglia (29). In totale si sono
raccolti dati per 173 derivati in -zione e 206 derivati in -mento.
Essi sono presentati nella tavola XI:
(29) Limitatamente ai vocaboli con iniziale compresa tra A e POZZ-.
poiché nel momento in cui è stata condotta la ricerca era stato pubblicato
solo il XIII volume del Battaglià.
92
A. M. THORNTON
SUI I)EVF_RBATt STALIANT IN -JIE.VTO E -ZJO.VE
80
-
\
70
-
30—-
XIII
XIV
Tavola XI
-
--
--
-mento
-Zione
\\
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
Come si vede, l’andamento della curva di distribuzione per
i due tipi di derivati è sostanzialmente analogo. La maggior
parte dei derivati è attestata nel XIV secolo o gi?t dal XIII,
mentre nei secoli successivi l’incremento (per conio nel caso di
--mento, per prestito colto nel caso di -zione) è scarso. Si ha solo
un picco nell’entrata in uso di derivati in -mento nel XIX
secolo. Questa tendenza è confermata dai dati (per forza di
cose ancora parziali) dei XX secolo, come si evidenzia meglio
nel grafico a colonne presentato nella tavola XII:
opera
NOTE
tipi
occ.
tipi
occ.
tipi
occ.
15
37
7
27
1
7
tutte in prosa
6
7
2
3
1
7
spec. tronche
fuori rima
107
535
26
108
5
88
45
93
13
43
6
26
Vita N.
Rime
prose nel
Convivio
-iofle
--rione
-Ziofle
Derivati in -zione e -mento distribuiti per secoli
di prima attestazione in italiano (1)
-
Nel grafico a colonne è stato possibile anche separare ie
attestazioni in Dante da quelle relative ad altri autori dei XIV
secolo. Si è così evidenziata una notevole discrepanza nell’in
troduzione nell’uso dei due tipi di derivati da parte del poeta.
Dati puntuali sull’uso dantesco dei diversi tipi di derovat si
trovano nelle voci S-uJj’issi e Deverbali curate da F. Tollemache
per la sezione sulla Formazione delle parole dell’Appendice
all’Enciclopedia Dantesca (1978). Riportiamo nelle tavole Xlii
e XIV i dati forniti da Tollemache sull’uso dantesco dei due
tipi suffissali.
Commedia
Tavola XIII
-
Distribuzione
dei derivati in
29 tipi in
rima
-‘ione e allomorfì
nelle onere dantesche
—mento
S
.mento
-
ji
XIV
Tavola XII
DanIe
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
tipi
oce.
Vita N.
22
52
Rime
13
17
prose nel
Convivio
72
207
Commedia
31
57
zio o e
2020
XIII
opera
101
Derivati in -zione e -mento distribuiti per secoli
di prima attestazione in italiano (2)
-
Tavola XIV
-
Distribuzione dei derivati in -mento nelle opere dantesche
94
Tollemache (1978a,b), nel commentare questi dati, sottoli
nea più volte la frequenza relativamente scarsa di derivati in
-zione e -mento nel poema, che è correlata a una preferenza
data da Dante ai deverbali cosiddetti a suffisso zero (sdeverba
li» tout court nella terminologia di Tollemache), che contano
ben 690 occorrenze nella Commedia: «[...] il grande sviluppo del
tipo nel poema si deve, in parte almeno, ai fatto che esso offre
al poeta nella quasi totalità dei casi rime piane (le rime sdruc
ciole e tronche rappresentano appena l’uno per cento del poe
ma) e forti (rime di radicali)» (Tollemache 1978b:489). Se os
serviamo le condizioni di occorrenza dei derivati in -zione
e -mento, notiamo che i due tipi differiscono fra di loro dal
punto di vista delle proprietà pertinenti in metrica: -zione,
presentando come penultimo fonema una nasale, è assoggettabile a troncamento, mentre -mento, con la sua penultima occlu
siva, non è troncabile. Tollemache non fornisce dati sulle pro
porzioni di vocaboli in -zione tronchi e non nella Commedia,
ma per le Rime sottolinea che i vocaboli in -zione occorrono
per lo più fuori rima e tronchi. Da nostri calcoli, condotti sug.li
spogli elettronici della Commedia editi da 4Jinei (1971), risulta
che ben 24 tipi in -zione ricorrono solo in forma tronca. Si
può pensare dunque che la distribuzione delle occorrenze dei
tre tipi di derivati (deverbali a suffisso zero, in -zione e in
-mento) nella Divina Commedia secondo l’ordine
zero
-zicme
>
-mento
sia da spiegare con il numero di costrizioni progressivamente
maggiori imposte dai tre tipi al metro e alla rima (30).
Che i derivati in -zione e -mento siano poco adatti ad essere
usati in testi poetici pare confermato da due altri dati. Da una
parte, nelle opere in prosa di Dante il loro uso aumenta note
volmente rispetto alla Commedia. La tavola XV presenta la
distribuzione di tipi e occorrenze delle diverse classi di derivati
nelle prose del Convivio (secondo i dati di Tollemache 1978a,b):
>
(30) I derivati a suffisso
zero sono brevi, di solito bisillabi, e impegnano
quindi un solo accento nel verso; inoltre presentano sequenze di
segmenti
-MENTE .Z1ONE
SI DEVEP.BALI
A. M. THORNTON
tipi
oce.
frequenza media
197
535
5
-mento
72
207
2.9
zero
35
164
4,6
-rione
26
108
4,1
-ione
5
88
17,6
-zione
Tavola XV
-,
95
Distribuzione di diversi tipi di deverbali nelle parti in prosa
del Convivio
Come si vede, in questo testo in prosa i derivati in -zian.e
e -mento sono più numerosi dei derivati a suffisso zero, sia
come numero di tipi che come numero di occorrenze.
Un altro dato che testimonia dello scarso uso dei derivati
in -zione e -mento nel linguaggio poetico italiano ci viene offer
to da uno spoglio del Canzoniere di Francesco Petrarca (con
dotto sulle Concordanze curate dall’Accademia della Crusca,
del 1971). In questa opera, la quantità di derivati in -zione
e -mento è risibile: si hanno 15 tipi (con 79 occorrenze) in
diversi allomorfi di -zione (così distribuiti: 6 in -gione, 3 ciascu
no in -sione, -iome, -tione), e 12 tipi (con 38 occorrenze) in
-mento. Questi dati comprendono tutte le parole terminanti
nelle sequenze dette, e non solo i derivati effettivi.
In realtà, Petrarca tende ad usare soprattutto parole brevi,
e non morfologicamente collegate a una base verbale: gli opa
chi cagione, ragione, stagione, pregione, prigione, magione, la
mento. momento, tormento coprono infatti 77 occorrenze sulle
postonici estremamente varie nella composizione consonantica; i tipi suffissa
ti in -zione e -mento sono invece di solito quadrisillabi e presentano quindi
un accento secondario lessicale in una sede determinata, e una sequenza di
segmenti postonici invariabile, il che li rende poco flessibili per un uso in
rima; rispetto a -mento. -zione ha però il vantaggio di essere troncabile,
e quindi di poter ridurre il numero di sillabe impegnate dalla propria presen
za in un verso.
SUI D1(VERBALI ITALIANI IN MRVTO E ZIONE
96
A. ‘5. THORNTON
117 totali, cioè il 65,8% delle occorrenze, pur rappresentando
solo il 33.3% dei tipi (9 su 27).
Oltre le già ricordate costrizioni imposte dai derivati in
-zione e -mento sul metro e sulla rima (31), per spiegare la
scarsa presenza dei due tipi in testi poetici andrà tenuto pre
sente anche il fatto che essi hanno un significato astratto, più
utilizzabile in un’opera dottrinale come il Convivio che nella
poesia lirica di Petrarca.
Un controllo sulla distribuzione nell’uso dei due tipi di
derivati qui in questione è stato effettuato anche sui Promessi
Sposi. I dati elaborati sono stati tratti dalle Concordanze cura
te (la De Rienzo. Del Boca e Orlando (1985). Per il testo
manzoniano, sono stati presi in considerazione tutti i derivati
in -zione e -mento che avessero una frequenza maggiore o ugua
le a 2.
La tavola XVI mostra i risultati di questo spoglio, per il
quale sono state distinte tre classi di derivati, quelli in -zione
regolari, quelli in -zione irregolari, e quelli in -mento:
-zione irr.
-Z?Ofl€
-mento
Tavola XVI
-
reg.
tipi
occ.
frequenza media
69
624
9
87
535
6
51
341
7
Distribuzione dei derivati in -zione e -mento nei Promessi sposi
I dati sull’uso manzoniano confermano. una sostanziale pre
valenza dei derivati in -zione, anche e soprattutto irregolari, su
quelli in -mento, in un uso scritto e prosastico dell’italiano.
I derivati in -zione irregolari hanno la maggiore frequenza
media nelle parti in prosa del Convivio di Dante, nei Promessi
Sposi, e nei testi novecenteschi sui quali è fondato il LIF.
(31) Costrizioni che fanno certamente sentire il proprio peso anche in
Petrarca, se delle 79 occorrenze di termini in -zione e allomorfi ben 58
(734%) sono tronche.
Questi dati. seppur frammentari. sono suffivienti a render con
to di una tendenza, stabile anche dal punto di vista diacroiti
Co. nell’uso dell’italiano. Questa tendenza privilegia l’uso di
derivati di tipo morfotatticamente più irregolare, e va spiega
ta. Nel § 8 è stata avanzata una spiegazione interna alla teoria
della MN. mentre in questo paragrafo si è cercata piuttosto
una spiegazione storica, tentando di collegare il maggiore SVi
luppO dei derivati in -rione, specialmente di quelli irregolari.
a un determinato momento della storia dell’italiano. Questo
tentativo è apparso però infruttuoso. La prevalenza di occor
renze di derivati in -rione irregolari è infatti costante da Dante
al Novecento, e la loro presenza nella lingua è notevole fin dai
primi secoli, Essa andrà quindi messa in relazione con deile
caratteristiche e os t a n t i della storia della nostra llngua. Le
caratteristiche qui pertinenti sembrano essere due. In primo
luogo, è noto che l’italiano, fuori di Firenze, per la maggior
parte della sua storia non è stato una lingua parlata, ma
piuttosto una lingua la cui conoscenza e il cui uso (scritto)
erano ristretti a una piccola cerchia di gruppi intellettuali cfr.
De Mauro 1970 [1963]). Ciò ha fatto sì che l’italiano fosse in
parte sottratto alla pressione di quelle forze che agiscono in
favore dello stabilirsi di paradigmi dotati di una maggiore
naturalezza soprattutto in situazioni di comunicazioni faccia
a faccia, La trasparenza morfotattica è infatti un valore positi
vo specialmente in tali situazioni, dove è importante clic le
parole siano prodotte e riconosciute il più velocemente possibi
le per l’efficacia della comunicazione. In una situazione quale
quella che è stata tipica dell’uso dell’italiano dal XIV al XIX
secolo, invece, cioè la situazione di lettura o scrittura, la velo
cità e la facilità di ricezione e produzione è molto meno impor
tante, dato che l’utente può controllare autonomamente i pro
pri tempi di processinq. e ricorrere a strumenti di memoria
esterna (per esempio, dizionari) per produrre o interpretare
vocaboli eventualmente oscuri, poco trasparenti.
La particolare situazione del tipico utente dell’italiano
è stata inoltre per secoli quella dell’intellettuale che conosce il
latino, e se ne serve ancora quotidianamente in ambito scienti
fico. giuridico e religioso. Una tale figura di utente avrà trova-
98
A. M. THORNTON
SUI DEVERBALI ITALIANI IN -MENTO E -ZIONE
to naturale, laddove mancasse un vocabolo italian
o per espri
inere un dato concetto, adottare il corrispondente
vocabolo
latino, poco o nulla adattato fonologicamente.
La certezza di
rivolgersi ad un pubblico chiuso e selezionato,
certamente in
grado di comprendere i vocaboli presi a prest
ito dal latino,
avrà agevolato il processo. Così il ricorso al prest
ito colto dal
latino è venuto ad essere non un fenomeno
tipico dell’uso di
un dato autore o di una data epoca. ma una
forza continua
mente all’opera nella storia dell’italiano, almeno
fino a quando
esso non è divenuto lingua parlata, e parlata
anche da masse
non colte.
La continua disponibilità dei due codici, quello
italiano
e quello latino, negli utenti dell’italiano dai XIV
al XIX seco
lo, costituisce un fenomeno che ha conseguenze di
enorme por
tata sulle caratteristiche interne dell’italiano.
Una descrizione
che consideri saussurianamente tempo e massa parla
nte come
elementi interni alla descrizione linguistica (cfr.
C’LO, 112-13)
non può fare a meno di considerare questo aspe
tto della storia
della lingua italiana. Di fronte a una tale situazi
one, può esse
re ricordato il commento di Dressier a proposito
dell’innatura
lezza, dal punto di vista germanico, dei molti prest
iti francesi
in inglese: Natural Morphology has nothing to say
ahout the
Battie of Hastings» (Dressier 1985a:325). Vi sono
cioè fenome
ni storici che producono effetti linguistici non spiega
bili attra
verso cause di natura esclusivamente psicologica,
o interna al
sistema.
ANNA
M. THORNTON
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SAUSSURE,
VARIETÀ
LA POLEMICA SULLA DENOMINAZIONE DELL’INSEGNAM]NTO
LINGUISTICO DALL’UNITÀ AL 1936 CON PARTICOLARE
RIGUARDO AI SUOI ASPETTI NAPOLETANI
La polemica intorno alla denominazione della cattedra di linguistica.
inizialmente detta «Filologia», scoppiò nelle università italiane nei primi anni
dell’Unità. La nuova disciplina «che i Tedeschi nominarono Linguistica e noi
[italiani] volentieri Filologia comparata» (Cantò 1837 in Santamaria 1981:64)
era infatti salita «n pochi anni alla «dignità di scienza» (Cossa 1842 in Santamaria 1981:96) e con la denominazione appunto di «Filologia» era stata
inclusa fra gli insegnamenti universitari stabiliti per la Facoltà di filosofia
e lettere dalla legge Ca»ati del 13 novembre 1859 (n. 3725).
Tale intitolazione così generica e le sue successive modificazioni rifletto
no le difficoltà che le diverse tendenze dei singoli ed i molteplici indirizzi già
affioranti nel vasto campo della nuova disciplina crearono in coloro i quali
designarono i nuovi insegnamenti universitari. A queste difficoltà il centralisino ministeriale reagì iinponendo denominazioni unificanti in modo spesso
poco idoneo e felice (cfr. Raicich 1981:223-6).
D’altro canto la giovane linguistica, benché «sorta sulla base di un entu
siasmo neofitico e non sempre critico» (ivi:229) e spesso incapace di superare
il «normatismo e [
belletrismo’ delle considerazioni sulla lingua tradizio
nale in Italia» (De Mauro in Santamaria 1981:148), si rivelò ben presto
autonoma nei confronti della più ampia scienza filologica al cui interno essa
aveva pur trovato inizialmente collocazione.
La straordinaria diffusione della nuova disciplina favori il moltiplicarsi
in essa di tendenze e orientamenti diversi. La linguistica pertanto, «ovvero
sia la scienza dell’organismo, carattere e parentado degli idiomi» (Vegez
zi-Ruscaila 1854 in Santamaria 1981:37), fu in quegli anni «filosofia e storia
dei linguaggi, preistoria ed etnografia» (Terracini 1925 in Santamaria: 137)
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