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DONALD W. WINNICOTT
DONALD W. WINNICOTT (1896--1971/75 a) (1896 “There is not such a thing as an infant infant,, Non esiste il bambino come una cosa a sé” (Winnicott Winnicott,, Società Britannica, 1940) DONALD W. WINNICOTT D. W. Winnicott lavorò come pediatra, psichiatra infantile e psicoanalista, e quest’attività su diversi fronti gli garantì una spiccata indipendenza di pensiero, un’esperienza terapeutica articolata e vasta, una pluralità di prospettive sulla vita psicologica infantile e adulta, che l’autore integrò in una visione unitaria imprimendo una svolta decisiva alla ricerca psicoanalitica. D. W. WINNICOTT D. W. Winnicott Winnicott,, che inizialmente abbracciò le concezioni della Klein circa il rapporto madremadrebambino, successivamente si discostò dal suo pensiero divenendo meno ortodosso ed entrando nel gruppo degli indipendenti britannici (il cosiddetto middle group, gruppo di mezzo), passando alla storia come uno dei pionieri della scuola delle relazioni oggettuali. D. W. WINNICOTT La sua concomitante professione di pediatra lo portò ad osservare a lungo i bambini e la loro interazione con la madre, permettendogli così di elaborare originali teorie sullo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino: non esiste un bambino autonomo dalla unità costituita dalla coppia madremadre-bambino e fin dall’inizio gli scambi con la “madre ambiente” interagiscono con la dotazione pulsionale del bambino e ne regolano la espressione. D. W. WINNICOTT Pur riprendendo la nozione di oggetto dalla Klein, la critica che le rivolse, tra le altre, fu quella di non aver dato il giusto valore alle caratteristiche effettive degli oggetti esterni che sono all’origine della creazione di quelli interni, interni, cioè alle caratteristiche dei genitori, in particolare la madre, madre, alla loro capacità di accudire il figlio, infine agli effetti di queste caratteristiche e capacità sullo sviluppo psicologico del bambino e sulla creazione dei suoi oggetti interni. D. W. WINNICOTT Sulla base dell’osservazione dei numerosissimi bambini che curò sia come pediatra che come psichiatra infantile, Winnicott costruì un modello di sviluppo semplice, flessibile, ma efficace, centrato sull’idea che il bambino, fin dai primi giorni di vita, è molto sensibile alle cure che riceve o non riceve e dalle quali dipende la costruzione del suo Io e del suo mondo interno. D .W. WINNICOTT Possiamo suddividere in tre fasi il percorso di sviluppo del bambino: 1) Dipendenza assoluta 2) Dipendenza relativa 3) Verso l’indipendenza Il processo non ha una rigida scansione temporale: possiamo comunque collocare la dipendenza assoluta nel primo semestre di vita, vita, quella relativa tra i 6 mesi e i 2 anni mentre il percorso che porta verso l’indipendenza si estende fino all’adolescenza. D. W. WINNICOTT Ogni fase richiede una rispondenza e un atteggiamento adeguati del caregiver alle esigenze di sviluppo del bambino, quindi le caratteristiche dell’evoluzione interna e soggettiva di ogni fase devono essere qui trattate insieme alle risposte che sono auspicabili da parte del caregiver e a quelle che ostacolano lo sviluppo. La finalità di tutto il processo è la costruzione dell’Io del bambino e la creazione di condizioni adatte all’espressione del suo sé. D. W. WINNICOTT • • • • • IL SE’ Il bambino nasce con una dotazione di potenzialità evolutive che ha un carattere ereditario e che comprende, tra l’altro, l’insieme delle sue inclinazioni, attitudini spontanee, nonché la predisposizione a costruire uno schema corporeo, a vivere il senso della continuità del proprio essere e a costruire un proprio mondo interno separato dal mondo là fuori. D. W. WINNICOTT In altre parole, questo Sé centrale, chiamato anche Sé potenziale con cui il bambino nasce, è il nucleo di tutte le potenzialità evolutive relative allo sviluppo delle funzioni corporee, all’unità tra psiche e soma, allo sviluppo della personalità, del carattere, delle capacità relazionali, della creatività individuale, delle capacità di incidere sul contesto culturale in cui l’individuo si troverà a vivere. D. W. WINNICOTT Il vero Sé evolve all’interno dell’individuo se questi è in contatto con il mondo esterno e se quest’ultimo consente e agevola l’espressione spontanea delle potenzialità del vero Sé individuale. Inoltre, dato che il vero Sé rimane custodito all’interno dell’individuo, di cui custodisce il nucleo vitale, l’individuo costruisce un falso Sé, cioè un sistema di compiacenze alle richieste ambientali, che ha il compito di proteggere quello vero, nascondendolo e crescendo attorno ad esso come un guscio che lo ripara dai possibili effetti distruttivi del rapporto con l’ambiente. D. W. WINNICOTT L’IO L’io coincide con l’organizzazione della realtà psichica dell’individuo che gli permette di pensare “Io sono”, cioè di viversi come unità soggettiva e di pensare la propria esistenza con un senso di continuità nel tempo. E’ quindi il centro esperenziale del soggetto, la condizione stessa per poter fare esperienza di sé e del mondo circostante. D. W. WINNICOTT DIPENDENZA ASSOLUTA In questa fase, il neonato (infante lo chiama Winnicott Winnicott,, dall’etimo latino che significa “privo di linguaggio”) e l’assistenza materna formano un tutto unico, si appartengono reciprocamente e la vita dell’infante dipende totalmente dalle cure materne. Ciò significa che, da un lato, l’infante non sa di ricevere delle cure, non può controllare che cosa gli viene fatto; dall’altro, la madre entra in empatia con i suoi bisogni fisiologici, li prevede quasi magicamente senza nessuno sforzo di comprensione, grazie ad una totale identificazione ovvero empatia con il neonato. D.W. WINNICOTT DIPENDENZA ASSOLUTA La funzione materna descritta viene chiamata da Winnicott holding (sostenere, contenimento, supporto). La sua capacità di accudimento deve essere solo “sufficientemente buona”: la madre può sbagliare nel sentire ciò di cui ha bisogno il bambino in un dato momento, ma è sufficiente che si accorga di aver sbagliato e che non perseveri nell’errore. Le numerose inadempienze, seguite dalle cure che le riparano, si accumulano in un messaggio di amore da parte di una presenza umana costante che è lì proprio per prendersi cura del bambino. L’accomodamento L’ accomodamento della madre alle esigenze del bambino dà occasione al bambino di fare reale esperienza dell’onnipotenza . D . W. WINNICOTT Winnicott chiama preoccupazione materna primaria questa identificazione della madre con il bambino e questa capacità di empatizzare con i suoi bisogni . E’ un coinvolgimento sia del corpo che dell’attività immaginativa, prevalentemente inconscia, già iniziato nella gravidanza come uno stato di esaltata sensibilità, una identificazione proiettiva che dura per qualche settimana anche dopo il parto. Winnicott postula due tipi di esperienza della madre da parte dell’infante: madre madre--oggetto (madre come contenitore degli oggetti parziali delle pulsioni del b.) e madre madre-- ambiente (madre concreta che sostiene, che tiene al riparo dagli urti) D. W. WINNICOTT DIPENDENZA RELATIVA Il bambino comincia a rendersi conto della sua dipendenza e delle cure materne di cui ha bisogno, e può inviare alla mamma dei segnali di richiesta per ottenere il soddisfacimento dei suoi bisogni. Mentre nella fase della dipendenza assoluta se la madre è lontana il bambino non se ne accorge ma subisce gli urti dai quali essa lo tiene al riparo quando è presente, nella fase di dipendenza relativa se la madre resta lontana “per un tempo superiore a quello durante il quale il bambino è capace di continuare a credere nella sua sopravvivenza” sopravvivenza” il bambino prova ansia e questo indica che egli sa della propria indipendenza D. W. WINNICOTT DIPENDENZA RELATIVA Questa fase è dunque caratterizzata dall’emergere di una relazione tra il bambino e la madre “come fra persone intere”, dall’uso crescente della reciprocità e della comunicazione, e dal fatto che il bambino comincia a giocare con le cose dando loro un significato che ha origine nel suo mondo interno. Il bambino rinuncia dapprima alle sue fantasie onnipotenti (il mondo esterno vissuto come propria creazione ) e può cominciare a riconoscere forme iniziali dell’altro da sé. D. W. WINNICOTT Per facilitare queste acquisizioni, la madre esercita un graduale de de--accomodamento ai bisogni del bambino. Il de de--accomodamento significa che aumentano le occasioni in cui la madre è inadempiente e attende un segnale di richiesta dal bambino. La capacità della madre di allentare l’accomodamento, coincide con la sua progressiva “guarigione” dalla preoccupazione materna primaria; rinuncia dunque alla sua capacità empatica di anticipare i bisogni del b. , ma comprendendo i momenti in cui il b. ha ancora bisogno di empatia e quelli in cui deve sperimentare una progressiva separazione e indipendenza. DONALD W. WINNICOTT Importante l’oggetto transizionale che caratterizza lo stato transizionale dello sviluppo, tra l’inizio del rapporto con l’oggetto e l’uso dell’oggetto e la capacità di simbolizzare. L’inizio dell’oggetto transizionale si evidenzia quando il bambino comincia a mettere il pollice in bocca, spesso con le altre dita si carezza il viso e con l’altra mano comincia a stringere qualcosa come un pezzetto del lenzuolo, facendo rumori ripetuti e così si prepara per dormire. L’oggetto transizionale è un oggetto che il bambino usa come difesa dall’angoscia e con cui gioca come una propria creazione; esso costituisce un ponte che garantisce un avvicinamento alla realtà non troppo traumatico, cui il bambino può ricorrere per non soccombere all’angoscia quando, ad es., la madre si allontana. D. W. WINNICOTT VERSO L’INDIPENDENZA Se è stato oggetto di un accudimento sufficientemente buono nella prima fase e di un’adeguata risposta di deadattamento nella seconda, il bambino ha acquisito fiducia nell’ambiente, nell’ambiente, una percezione fondamentalmente positiva nel mondo esterno e del senso della vita, avendo accumulato i ricordi delle cure materne e avendone introiettato l’affidabilità. Anche se il bambino diventa sempre meno dipendente “dal riavere il sé dalla faccia della madre”, dato che le sue possibili identificazioni si moltiplicano, tuttavia continua a trarre beneficio “dall’essere in grado di vedere se stesso nell’atteggiamento dei singoli membri o negli atteggiamenti della famiglia nel suo insieme. D. W. WINNICOTT Winnicott ha indicato tre processi fondamentali che determinano lo sviluppo dell’Io del bambino lungo le tre fasi descritte: 1. Integrazione Holding (tenere in braccio, contenere) Processo do organizzazione della realtà psichica individuale che porta il soggetto alla condizione di percepire la propria unità e la propria esistenza, secondo la formula “Io sono”. E’un processo che dipende completamente dall’holding della madre, dalla sua capacità di essere sufficientemente buona. D. W. WINNICOTT 2. Personalizzazione Handling (manipolare) Acquisizione di uno schema corporeo proprio e l’insediamento della psiche nel corpo. Come conseguenza la pelle diviene una membrana limitante che separa il me dal nonnon-me me,, il dentro dal fuori. La personalizzazione dipende da una buona funzione di handling esercitata dalla madre, dalla sua capacità di maneggiare il bambino in modo naturale, senza produrre urti, e senza fargli sentire che il corpo è fatto di parti non ancora coordinate (la testa che ciondola, gli arti che penzolano) ma facendogli percepire il corpo come unità in modo che il bambino lo senta come parte del suo Sé e come contenitore del suo Sé. D. W. WINNICOTT 3. Relazione d’oggetto Object presenting (presentazione dell’oggetto) Fondamentale esperienza per la strutturazione dell’Io del bambino. L’oggetto esiste in uno spazio di illusione, perché il bambino, nell’illusione di essere stato lui a crearlo, fa esperienza della propria onnipotenza. L’oggetto è dunque un oggetto soggettivo. Durante la crescita e le prime esplorazioni, la madre avrà cura di disseminare attorno al bambino oggetti che potranno rispondere ai suoi vari bisogni e che lui potrà incontrare e scegliere, passando così lentamente a fare esperienza di oggetti oggettivi che imparerà ad usare, come nel gioco. D. W. WINNICOTT Nella fase di transizione tra l’oggetto soggettivo e l’uso dell’oggetto, percepito come esterno quindi non collegato all’onnipotenza e all’illusione di averlo creato, il b. fa esperienza dell’oggetto transizionale transizionale.. L’oggetto transizionale ha un’esistenza paradossale, viene infatti percepito dal b. sia come una propria creazione sia come qualcosa di esterno che ha un’esistenza autonoma. Lentamente il b. perde interesse per questo oggetto. In seguito il suo valore verrà assunto dai fenomeni culturali, quelli che, come l’ogg l’ogg.. transizionale transizionale,, mediano tra mondo esterno e mondo interno dell’individuo, tra la realtà e la capacità dell’individuo di modificarla creativamente. D. W. WINNICOTT I tre processi descritti non sono consecutivi e in parte si sovrappongono. Inoltre, anche se sono presenti nelle prime fasi dello sviluppo, continuano per tutta la vita dell’individuo, con periodi di avanzamento e di regresso, e non possono mai dirsi definitivamente compiuti. Per quanto riguarda la psicoanalisi, Winnicott ha dato importanza alla possibilità creativa di uno “spazio “spazio transizionale transizionale”” in cui si instaura un processo di interazione tra persone. Il setting della situazione psicoanalitica corrisponde alle cure materne; con le caratteristiche di certezza e affidabilità, calore e neutralità, l’appuntamento analitico fornisce il contenimento e sostegno di cui il pz ha bisogno, soprattutto il pz con gravi carenze nelle cure materne, (holding e handling handling). ). MICHAEL BALINT ( 1896 – 1970/74 a) Uno degli allievi più brillanti di Ferenczi M. BALINT Michael Balint (Mihály Bálint Bálint,, nato Mihály Móric Bergsmann), Bergsmann ), ebreo ungherese, era il primogenito in una famiglia di due fratelli. Il padre era medico. Contrariamente ai desideri paterni, egli cambiò il proprio cognome da Bergsmann a quello meno socialmente connotato di Balint,, e si convertì all’unitarianesimo dal giudaismo. Balint Collaborando con il padre fin da quando era giovane, egli osservò attentamente i pazienti, e studiò la natura della relazione medicomedico-paziente. M. BALINT Il suo futuro professionale fu largamente determinato quando egli lesse i “Tre Saggi sulla Teoria della Sessualità”, e “Totem e tabù” di Freud, dietro suggerimento della sua futura moglie, Alice Balint Balint,, e quando iniziò a frequentare le lezioni di Ferenczi Ferenczi.. Dopo l’emigrazione a Berlino, a causa dell’ondata di antisemitismo (1920), dopo il crollo della Rep. Sovietica Ungherese, Balint seguiva un dottorato in biochimica nello stesso tempo in cui lavorava partpart-time all’Istituto di Psicoanalisi di Berlino. Lavorò presso la Tavistock Clinic e partecipò al cosiddetto Middle group insieme a Bowlby Bowlby,, Winnicott Winnicott,, Fairbairn ed altri. M. BALINT Balint e la moglie Alice iniziarono il training analitico a Berlino con Hanns Sachs, e dopo aver conseguito il dottorato, Balint rientrò a Budapest nel 1924; dove completò la propria analisi didattica con Ferenczi nel 1926, e fu uno degli allievi più brillanti, facendo parte del suo più stretto milieu professionale. Nel 1926 divenne membro della Società Ungherese di Psicoanalisi, assuemndo funzioni di training nello stesso anno. Nel 1930 partecipò alla fondazione del relativo centro psicoanalitico per pazienti ambulatoriali, del quale divenne vicedirettore dal ‘31 al ‘33, per assumerne la direzione dopo la morte di Ferenczi nel 1933. M. BALINT In quel Policlinico organizzò seminari per medici di medicina generale. I suoi interessi di ricercatore erano centrati sullo sviluppo della sessualità,con un focus specifico sulle relazioni d’oggetto e sull’intersoggettività nel trattamento psicoanalitico. psicoanalitico. Negli anni ‘30 raccolse intorno a sé un certo numero di medici, allo scopo di integrare nella medicina le prospettive psicoterapeutiche. Queste riunioni furono anticipatrici dei gruppi di casework creati da Balint per i medici generalisti, dopo il suo insediamento a Londra. M. BALINT In Inghilterra, condusse una straordinaria ricerca su Le differenze individuali nel comportamento dei bambini ed il metodo oggettivo per registrarle (Balint Balint,, 1945), che anticipa gli attuali studi sull’attaccamento. Nel 1948 entrò a far parte dello staff della Tavistock Clinic. Nel 1949 conobbe la futura moglie Enid (sua moglie Alice morì inaspettatamente nel 1939), e assieme a lei organizzò i primi seminari di formazione e ricerca per assistenti sociali M. BALINT Un suo libro: Medico, paziente e malattia (Balint Balint,, 1957) riguarda i problemi psicologici della professione medica. GRUPPI BALINT Riunione periodica di medici internisti per discutere insieme i casi più impegnativi dal punto di vista psicologico. M. BALINT GRUPPI BALINT Un modo di mettere in comune le ansie e le angosce, di confrontarle, elaborarle insieme agli altri e evitare quello che oggi si chiama burn out, la sindrome dell’esaurimento che colpisce non solo i medici, ma tutti quelli che si occupano di aiuto professionale nei casi di malattie croniche o inguaribili e di assistenza ai malati terminali. Esiste un centro per la formazione di gruppi Balint ad Ascona in Svizzera. M. BALINT L’origine dei gruppi Balint può essere rintracciata attraverso 3 fonti: fonti: il lavoro dei seminari di casework per assistenti sociali, sociali, al quale la moglie Enid introdusse Balint alla fine degli anni ‘40. L’analisi dei gruppi che egli apprese nel 1947 attraverso Bion Bion.. Il lavoro di Ferenczi Ferenczi,, il quale faceva di tutto per forgiare l’analisi alla stregua di un’invincibile arma clinica,, nel 1921 parlava della necessità per i medici clinica generalisti di comprendere i vantaggi della psicoanalisi. M. BALINT Balint è stato un pensatore originale, fin dagli anni ‘30 produsse e presentò lavori scientifici in tutti i congressi psicoanalitici internazionali. L’amore primario (1952) esprime la sua ipotesi di una condizione originaria dell’infante immersa nel legame di amore con la madre. Gli eventi traumatici delle frustrazioni e della separazione lo costringono ad affrontare e sviluppare i rapporti oggettuali. M. BALINT In Thrills and regressions (1959) distingue due tipi di relazione oggettuale che danno forma a due tipi di carattere che riguardano l’idea della sicurezza : 1. Ocnofilico gli oggetti sono sentiti come amichevoli e sicuri mentre i vuoti tra di essi come minacciosi ed ostili (illusione del raggiungimento della sicurezza attraverso la protezione dell’oggetto). 2. Filobatico gli oggetti sono sentiti minacciosi ed ostili e gli spazi ed i vuoti sono sentiti amichevoli e sicuri (illusione della sicurezza in se stessi). M. BALINT La distinzione riguarda sostanzialmente le persone che si fidano solo di se stesse e le persone che invece hanno bisogno di sentirsi protette da un altro. Gli attuali studi sull’attaccamento (Bowlby (Bowlby,, Ainsworth,, Main Ainsworth Main)) hanno ritrovato questa distinzione sia nel bambino che nell’adulto (atteggiamento evitante e ambivalente ). Le due modalità di reazione, costituiscono la conseguenza di ciò che Balint definisce difetto fondamentale (difetto nell’amore dei genitori). M. BALINT Ne Il difetto fondamentale (1968) Balint individua 3 aree della mente che possono essere contrassegante da numeri: Area 1: 1: basata sulla relazione con se stessi (one –person relationship). E’ l’area creativa dove ognuno di noi si realizza nei vari modi possibili, l’area in cui ci si sente appagati. Area 2 : basata sulla relazione primaria con la madre (two two-person relationship). E’ l’area del difetto fondamentale, basic fault. Area 3 : basata sul conflitto edipico (three three--person relationship). E’ l’area nevrotica dei conflitti emotivi studiati dalla psicoanalisi, l’area del complesso di Edipo, Edipo, basata sulla ambivalenza nel rapporto con gli oggetti, come nella isteria o nella fobia. M. BALINT Il difetto fondamentale : La sofferenza nell’area nell’area 2 non è legata al conflitto emotivo come nell’area nevrotica, ma alla mancanza di qualcosa che nello sviluppo avrebbe dovuto esserci, un difetto nell’amore dei genitori, genitori, un difetto nella capacità della madre di essere sensibile e rispondere ai bisogni del bambino. Il difetto fondamentale di Balint è vicino alla concezione del falso sé di Winnicott ed a quella del difetto di contenimento di Bion Bion.. M. BALINT Dal punto di vista della terapia, per Balint Balint,, è importante che l’area del difetto fondamentale venga distinta dall’area creativa e nevrotica perché essa non è fonte di conflitto ma di sofferenza che può solo essere riparata e non interpretata. Bisogna allora riconoscere la regressione benigna che mira al riconoscimento dei bisogni profondi del pz da parte degli altri, ed in analisi da parte dell’analista, distinguendola da quella maligna che mira invece alla gratificazione di essi per mezzo degli altri, ed in analisi per mezzo dell’analista. JOHN BOWLBY (1907--1990/83 a) (1907 “L’attaccamento intimo per altri esseri umani è il perno attorno a cui ruota la vita di una persona, non soltanto quando è un neonato o un bambino che muove i primi passi, ma per tutta l’adolescenza e gli anni della maturità fino alla vecchiaia” . (Bowlby Bowlby,, 1980) J. BOWLBY Bowlby ha avuto una formazione psicoanalitica con la Klein e con la sua allieva Joan Riviere ma la teoria dell’attaccamento segue un proprio peculiare e autonomo sviluppo, distaccandosi sia dal modello freudiano che da quello kleiniano e accogliendo contributi dal cognitivismo, dalla neurobiologia, dalla biologia e dall’etologia. Nasce dalle riflessioni di Bowlby sul legame materno e sulle conseguenze della “privazione materna”, soprattutto negli orfani e nei bambini costretti a trascorrere lunghi periodi senza la madre in istituzione ed ospedali. J. BOWLBY L’opera principale di Bowlby è Attaccamento e perdita. Bowlby modificò la concezione corrente secondo la quale il legame materno è basato sulla fame e la nutrizione. La fame era considerata una pulsione primaria che regola la relazione di “dipendenza” tra madre e bambino. In questo senso, la dipendenza è stata considerata come un legame che deve essere progressivamente sciolto perché non acquisti un carattere esclusivamente regressivo. J. BOWLBY “Dipendenza” ha assunto quindi un significato peggiorativo. Ciò, secondo Bowlby Bowlby,, ha impedito alla psicoanalisi di osservare e teorizzare il significato biologico e psicologico del bisogno di protezione del bambino e del legame di attaccamento che si crea tra il bambino e chi si prende cura di lui, e il modo in cui quel legame determina il successivo sviluppo dell’individuo. Proprio grazie all’osservazione del comportamento dei bambini separati dai loro genitori, integrate con alcune osservazioni tratte da ricerche etologiche, etologiche, ha postulato l’esistenza di una tendenza innata nell’uomo, nell’uomo, come negli animali, a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta ogni volta che si vivano situazioni di pericolo, stress, dolore. J. BOWLBY Bowlby ha definito questa tendenza attaccamento. Egli distingue: l’attaccamento, che è una disposizione innata e che persiste cambiando solo molto lentamente, il comportamento di attaccamento, che la persona mette in atto di tanto in tanto per ottenere, mantenere, recuperare la prossimità con la figura da cui riceve protezione; persona particolare, quest’ultima, in quanto ritenuta capace di affrontare il mondo e fornire protezione. J. BOWLBY Il comportamento di attaccamento è caratteristico della prima infanzia ma può essere osservato nell’ambito dell’intero ciclo di vita, specialmente nei momenti di emergenza, ed è presente in diverse specie di animali, funzione biologica assimilabile a quella della protezione dai predatori. Bowlby si rifece infatti a Lorenz Lorenz,, il quale aveva dimostrato come in alcune specie animali poteva svilupparsi un forte legame nei confronti di una specifica figura materna senza l’intermediazione del cibo, e ad Harlow nelle sue ricerche sui macachi Rhesus J. BOWLBY Il comportamento di attaccamento è organizzato all’interno del sistema nervoso centrale da un sistema di controllo , che entra in funzione quando lo stimolo (l’allontanamento della figura di attaccamento) supera una certa soglia. Il comportamento di attaccamento corrisponde ad un sistema comportamentale , cioè ad un’organizzazione psicologica interna che comprende sia schemi di rappresentazione del sé e della/delle figura/e di attaccamento, sia schemi comportamentali che hanno delle radici biologiche, differenziati da quelle che regolano il comportamento sessuale, quello di esplorazione e quello alimentare. J. BOWLBY Tenere distinti questi schemi di comportamento contraddice la teoria delle pulsioni che li ha considerati come diverse espressioni di uno stesso impulso sessuale. Il comportamento di attaccamento nel b. viene attivato soprattutto dal dolore, dalla fatica e da qualunque cosa lo impaurisca ed anche dal fatto che la madre sia o appaia inaccessibile, quindi si attiva come reazione all’ansia di separazione. J. BOWLBY Bowlby osservò che se l’assenza della madre era definitiva o si prolungava abitualmente oltre il limite della tollerabilità, il comportamento di attaccamento rischiava di essere disattivato. In questi casi il b., dopo un periodo di separazione dalla madre, quando questa si ripresenta 1. la tratta come estranea 2. dopo un po’ si aggrappa a lei molto angosciato di poterla perdere e arrabbiato . J. BOWLBY Si tratta di un’esclusione difensiva che si verifica quando il b. ormai si dispera della presenza della madre. Questo comportamento di evitamento diventa operante anche con madri che rifiutano sistematicamente il contatto fisico con il b. o sono indifferenti, insensibili. Il risultato è che si crea un blocco che impedisce di esprimere o perfino di provare il naturale desiderio di relazione intima, fiduciosa di cure, conforto e amore, cioè un attaccamento positivo. Un soggetto divenuto evitante avrà paura di entrare in relazione fiduciosa anche con l’analista, proverà il terrore di essere rifiutato e rabbia quando si sente rifiutato. J. BOWLBY Importante è l’intensità e la qualità dell’emozione che accompagna il comportamento di attaccamento e che dipende dalla relazione fra le persone coinvolte. Se la relazione è buona, buona, c’è gioia e un senso di sicurezza anche nella manifestazione del bisogno di attaccamento e nella ricerca di attenzione da parte della figura significativa. Ciò dipende dal comportamento dei genitori che corrisponde ad uno schema di comportamento genitoriale, in parte innato ed in parte appreso sia durante l’interazione con i bambini sia attraverso l’osservazione degli altri genitori, sia nella relazione con i propri genitori. J. BOWLBY Un atteggiamento positivo dei genitori fornisce ai figli quella che Bowlby chia ma base sicura (Bowlby 1988), al tempo stesso li incoraggia all’esplorazione e all’autonomia. L’esperienza trasforma gli schemi senso –motori innati dell’attaccamento in schemi cognitivi propriamente detti, cioè si passa a semplici schemi comportamentali basati sull’attaccamento ad esperienze cognitive più evolute, basate anch’esse su schemi acquisiti attraverso i vissuti delle relazioni di attaccamento MODELLI OPERATIVI INTERNI J. BOWLBY Prendendo le distanza dalla psicoanalisi classica, Bowlby ha dunque integrato la sua teoria con contributi di altre scienze, come la cibernetica, la teoria dei sistemi, la teoria di Piaget e il cognitivismo, l’etologia. Modifiche fondamentali apportate dalla teoria di Bowlby al paradigma classico: 1. Viene sottolineata l’importanza dei processi di interiorizzazione dei rapporti con le figure verso le quali il bambino sviluppa attaccamento e dell’opinione che queste hanno del Sé del bambino. La nozione di oggetto interno viene sostituita da quella di Modello Operativo Interno. J. BOWLBY 2. La nozione di stadi di sviluppo (con i relativi meccanismi di fissazione e regressione) è sostituita da quella di percorsi di sviluppo, cioè diversi possibili itinerari individuali determinati dall’evoluzione delle relazioni concrete con le figure di attaccamento, non solo quelle dell’infanzia. 3. I bambini hanno fin dalla nascita attitudine e piacere ad impegnarsi in relazioni sociali (quindi niente fase autistica e narcisistica). J. BOWLBY 1) 2) 3) 4) 5) In Una base sicura (1988) Bowlby riassume in 5 punti la tecnica terapeutica collegata alla teoria dell’attaccamento, finalizzata soprattutto all’individuazione e ala ristrutturazione dei modelli operativi interni disadattivi disadattivi:: Fornire al pz una base sicura da cui esplorare gli aspetti dolorosi della sua vita; Incoraggiarlo ad esaminare il suo stile relazionale attuale, le aspettative e i giudizi su di sé e sugli altri. Incoraggiarlo ad esaminare come i suoi modelli operativi agiscono nella relazione con il terapeuta Incoraggiarlo ad esaminare quanto i suoi atteggiamenti attuali siano il risultato delle esperienze di attaccamento; Incoraggiarlo a ristrutturare i suoi modelli disadattivi e disfunzionali.