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05 mazzoncini - Richard e Piggle
Focus Il pensiero e l’opera di Donald Meltzer Introduzione GIOVANNA MARIA MAZZONCINI Il desiderio di ripensare il contributo di Donald Meltzer e di poterlo trasmettere in modo vivo alle giovani generazioni di psicoterapeuti è divenuto più intenso dopo l’agosto del 2005, mese in cui Meltzer è venuto a mancare: ci eravamo posti l’interrogativo su come fosse possibile commemorare quello che per tanti di noi è stato un fondamentale maestro, attraverso la scelta di una modalità non retorica né accademicamente celebrativa. Allo stesso modo in cui lui stesso ci aveva mostrato, ognuno di noi fonda le proprie radici formative sul pensiero di altri pensatori, per poi rielaborarle, se la ricerca è autentica, secondo un proprio percorso soggettivo. Così come lui poteva dire il mio Freud, la mia Klein, il mio Bion, indicando la direzione verso un pensiero libero, creativo e non adesivo, così a noi il poter presentare un contributo polifonico, ci è parso il modo migliore di ricordarlo nel tentativo di trasmettere quanto avesse seminato e di riscoprire quanto, ognuno di noi, potesse ritrovare il proprio Meltzer nel percorso teorico e clinico individuale. I lavori che qui pubblichiamo sono stati presentati nei Seminari dell’AIPPI nel 2006 che hanno visto un’ampia partecipazione e un buon dibattito. Ho fatto riferimento ai più giovani perché la proposta dei seminari, in gran parte, era proprio rivolta a loro: comunicare nel modo più organico possibile e con uno sforzo di riordino e di chiarificazione il pensiero di Meltzer, legandolo e confrontandolo con altri fondamentali apporti e mostrando lo svolgimento e gli ulteriori progressi della ricerca psicoanalitica, ci è parso il modo più autentico di riconoscere il suo lascito teorico e clinico. In tutti questi lavori l’indispensabile riferimento e punto di partenza è il pensiero freudiano che rappresenta le fondamenta di quello kleiniano, per poi ampliarsi ancor di più in una sorta di complesse ramificazioni negli autori successivi. Un autore francese nel 1985, G. Bléandonu, in un libro successivamente tradotto in italiano nel 1986, La scuola di M. Klein, costruisce una genealogia dove Freud è la radice da cui parte il tronco Kleiniano più importante. Richard e Piggle, 15, 3, 2007 230 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer Da “rami” come “Isaacs, Heimann e Riviére” si dipartono per poi ramificare ulteriormente con enorme spinta vitale nel 1955 pensatori creativi e innovativi come “Segal, Bion, Rosenfeld, Milner, Thorner, Money-Kyrle”. Altri autori continueranno un percorso originale sviluppando un’importante scuola in America Latina, altri ancora come Winnicott creeranno altri sviluppi e diramazioni, mentre Meltzer e E. Bick che rappresentano quasi una generazione successiva, fanno tesoro delle radici e apporti precedenti specie bioniani, ma sviluppano un filone di ricerca che si spinge fino ai primordi della nascita della mente. Meltzer è stato un grande esploratore del pensiero bioniano, ha avuto in Italia con le sue pubblicazioni e nei gruppi di insegnamento il grande merito di farlo ancor più conoscere ed apprezzare e di renderlo comprensibile e applicabile sul piano clinico, accompagnando la complessità teorica con molte riflessioni cliniche utili ad approfondire ed ampliare i concetti metapsicologici. In tutti i lavori che in questo focus vengono presentati vi è un excursus storico e teorico del grande cammino e di alcune delle grandi scoperte psicoanalitiche da Freud ai giorni nostri, viene sottolineato come le radici del pensiero psicoanalitico abbiano influenzato gli studi meltzeriani e viene messo in evidenza anche ciò che di originale ha potuto concepire e trasmettere. Un aspetto peculiare della mia personale esperienza con Meltzer, che mi piace ricordare, è legato al suo modo di avvicinarsi al materiale clinico presentato dagli allievi nei seminari e al suo modo di lavorare in gruppo. Sotto le sue sopracciglia spesse e folte sembrava sonnecchiare, ascoltava con un’attenzione presente, sebbene sembrasse altrove, “un’attenzione fluttuante”: da principio ero sempre incerta e perplessa temendo che il materiale fosse poco interessante, invece Meltzer iniziava, sorprendendomi, con riflessioni o associazioni che all’inizio mi sembravano altro dal materiale presentato, per poi suscitare invece un’emozione forte, una comprensione diversa e più profonda, collegamenti impensati e creativi, un modo di sollecitare l’uso della réverie e il contatto con il proprio controtransfert. Spesso teneva seminari clinici e di baby observation insieme con la moglie Martha Harris, psicoanalista di grande sensibilità ed esperienza, mostrando la creatività del pensiero di una coppia al lavoro. Questo ricordo mi da modo di sottolineare come già in Bion e anche in Meltzer la spinta alla ricerca di nuovi significati, l’esplorazione del mondo interno, i vissuti emozionali da trasformare in esperienza e pensiero, siano un continuo rifornimento e strumento per la vita psichica e per la costruzione di ogni relazione. Freud che aveva grande interesse per la psicopatologia e per gli aspetti ricostruttivi della vita del paziente, ci ha proposto una teoria strutturale della mente, nella quale sono centrali il conflitto tra istanze diverse, la relazione d’oggetto sotto la spinta pulsionale e le difese dell’Io. Il pensiero kleiniano, proprio perché nasce dal contatto diretto con pazienti bambini, anche Richard e Piggle, 15, 3, 2007 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer 231 molto piccoli, mette in modo fondante l’accento sulla relazione, definendo che anche la “pulsione epistemofilica” spinge la ricerca verso l’oggetto, il corpo della madre. Vediamo una concezione del bambino attivo in questa ricerca e impegnato non passivamente nella costruzione della sua mente, attraverso il processo di proiezioni e re-introiezioni che modificano la realtà esterna che lui introietta. Attraverso l’identificazione proiettiva, che ci mostra come tutta la vita mentale avviene nella relazione, Klein rompe la teoria dell’unità della mente perché tramite questa e la scissione già siamo difronte ad una nuova teorizzazione del funzionamento mentale. L’evoluzione è grande, dalla rimozione alla scissione, dalla pulsione alle fantasie inconsce sull’oggetto e sul suo interno. Siamo sempre più vicini ai primordi della vita psichica e quindi dell’esperienza relazionale ai suoi albori. Molti autori sotto la spinta della teorizzazione kleiniana, specie quella riguardante l’identificazione proiettiva e le posizioni, rivolgono la ricerca verso i primordi dello sviluppo psichico e del suo funzionamento. Nel lavoro di Giuliana Milana troviamo riferimenti a quegli autori che tanto hanno contribuito alla comprensione degli stati più primitivi della mente: “per Winnicott (1965a, 1965b, 1971) la madre è percepita inizialmente come “madre ambiente”, Bion (1961) ipotizza un primissimo stadio protomentale, Bick (1968) attribuisce alla pelle la funzione di primo contenitore fisio-psichico; della scuola argentina abbiamo Pichon-Riviére (1971) e Rascovsky (1957) che individuano una posizione iniziale che appellano “posizione fetale” anteorale, e poi Bleger (1966, 1967) che sviluppa una compiuta costruzione clinico-teorica sui momenti primordiali della vita neo e perinatale, che colloca, ovviamente prima della fase schizoparanoide, e che chiama glischròcarica (dal greco glyschròs vischioso e karuòn nucleo).” Bleger ha una base comune con il pensiero bioniano: attraverso la definizione di nucleo agglutinato e delle vicende della posizione glischròcarica nello sviluppo psichico, ci conduce agli stati natali e neonatali della mente e alla teorizzazione di una parte psicotica e di un’altra non psicotica, presenti in ognuno di noi, come un binario, per tutta la vita. Anche in Meltzer l’esperienza relazionale con gli oggetti primari è centrale per lo sviluppo psichico, si svolge tra oggetti interni ma anche tra persone reali, vi è un binario costante fin dalla nascita tra relazionale e intrapsichico, non si parla più del funzionamento della libido ma dell’emozione su cui si fonda tutta la vita mentale. Tutta la vita emozionale interna e le fantasie inconsce condizionano le relazioni con il mondo esterno: “relazioni tra le parti separate e scisse del Sé e relazioni delle parti del Sé con gli oggetti interni ed esterni”. Bion e Meltzer assegnano alla madre e all’esperienza relazionale primaria un fondamentale compito costruttivo e trasformativo, che avviene attraverso la funzione alfa e lo scambio emozionale che dà vero significato all’esperienza. Iniziamo a conoscere l’impostazione teorica di Meltzer dal primo scritto Il Processo Psicoanalitico (1967), seguiranno Stati sessuali della mente Richard e Piggle, 15, 3, 2007 232 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer (1973) e la raccolta di scritti Sviluppo Kleiniano (1978), nei quali viene ribadito che “non c’è vita senza relazione d’oggetto” e che queste primitive relazioni si creano fin dalla nascita. Ma mentre la Klein era spinta a considerare le fantasie e la pulsione conoscitiva verso il corpo della madre e il suo interno, Meltzer amplia tale interesse a tutta la madre reale e fantasmatica e alla sua vita psichica, tali fenomeni si esplicano attraverso movimenti proiettivi ed introiettivi. L’identificazione proiettiva, come già era stata intesa da Bion, non ha solo la funzione di proiettare, scindendo, le parti intollerabili del Sé per controllare o danneggiare o possedere l’oggetto, ma servono anche ad una funzione comunicativa e conoscitiva dell’oggetto stesso, perché questi deve restituire comprensibili e tollerabili gli stati emotivi del soggetto. L’istinto epistemofilico diventa sete di conoscenza e interesse per l’altro, ciò rappresenta lo sviluppo della funzione K bioniana del legare, “conoscere le proprie emozioni esplorandole nell’altro”. In tutti i lavori che presentiamo ritroviamo riferimenti a queste teorizzazioni e confronti tra autori, che qui ho sintetizzato brevemente, come premessa comune all’introduzione della specificità di Meltzer. Luisa Carbone Tirelli e Roberto Quintiliani approfondiscono il tema delle relazioni oggettuali precoci approfondendo il concetto di spazio psichico e quello di dimensionalità. Sottolineano gli autori che il contributo di Meltzer è stato quello di trasportare nella clinica la descrizione del mondo interno, in modo molto concreto, popolato di oggetti aventi una vita propria. Il mondo interno, “geografico” è uno spazio di vita reale come quello esterno, uno spazio dove gli oggetti interni hanno ricche relazioni tra loro, i cui significati colorano il mondo esterno. Il mondo interno viene rappresentato nei sogni e nel gioco e nel disegno infantile. Meltzer, continuano gli autori, amplia il concetto di identificazione proiettiva descrivendone altri con caratteri di funzionamento ancor più primitivi, come l’identificazione adesiva, che si fonda sull’imitazione, l’identificazione massiccia, l’identificazione intrusiva, esempi di uno sviluppo in varie direzioni che lascia ancora aperto il campo alla ricerca. Questi stati della mente vengono riportati alla dimensione clinica e questo è il grande contributo di Meltzer che li rende usufruibili nel lavoro terapeutico e ciò permette di orientare e comprendere il funzionamento mentale di pazienti anche molto gravi. Meltzer si è a lungo occupato di autismo, descrive la dimensione psicofisica di unidimensionalità dove non vi sono pensieri, lo spazio e il tempo si fondono e non vi sono legami o significati. Nella bidimensionalità prevale la sensorialità, il pensiero concreto, la superficie e non l’interno dell’oggetto e del Sé, prevale l’adesività come una forma d’identificazione più narcisistica e più primitiva dell’identificazione proiettiva, conseguenza del fallimento della funzione contenitiva. Nella funzionalità tridimensionale dove l’oggetto esiste come separato, con un proprio spazio interno, “il Sé e l’oggetto divenRichard e Piggle, 15, 3, 2007 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer 233 tano potenziali contenitori di spazi” in grado di utilizzare e mettere in atto l’identificazione proiettiva. Infine nella quadridimensionalità vi è la possibilità di sviluppo di maturità, di contatto con la realtà, anche attraverso la consapevolezza del tempo e dello spazio. Viene sempre più approfondito il tipo di movimento e di ricerca e di conoscenza che viene sperimentato tra il Sé e l’oggetto, in quali spazi, con quali fantasie e con quali apporti onirici vengono conosciuti gli spazi interni del Sé e dell’oggetto. Nell’interessante caso clinico gli autori esemplificano le oscillazioni tra aspetti bidimensionali e tridimensionali, descrivono il passaggio da un’esperienza concreta sensoriale, la ipermotricità, ad una dimensione dove vi è più pensiero e più uso della funzione del contenitore. Ciò permette di riflettere sul tema dell’identità, anche quella di genere, di capire meglio le esperienze identificative e quelle introiettive, specie delle figure genitoriali; la dimensione più integrata permette al bambino di sentirsi accolto e restare presente nella mente della madre. Anna Sabatini Scalmati con il suo linguaggio evocativo, ricorda che lo stesso Bion in quegli anni stava ponendo gli affetti al centro delle sue teorie, così per Meltzer l’apprendere è vivere dando significato e nome alle emozione, ai sentimenti dentro la relazione. Riferendosi agli albori della vita psichica, esponendo vari aspetti degli stati primitivi della mente, espone una delle più affascinanti e originali teorizzazioni meltzeriane, quella del conflitto estetico. Meltzer ha esplorato il profondo cambiamento e contrasto nel passaggio dalla vita prenatale a quella postnatale: l’incontro con l’oggetto materno può provocare sia l’amore della bellezza della visione materna (seno, occhi, viso) sia il timore di essa e per ciò che può nascondere (Meltzer, 1981). L’esperienza estetica dell’oggetto materno diventa conflitto in questi termini. La scoperta di Meltzer, che ha dato molto valore all’osservazione del neonato, fonte inesauribile di esperienza emotiva sul campo e di apprendimenti dal neonato con la madre e con l’ambiente, lo porta a ipotizzare un rovesciamento delle posizioni kleiniane PS-D, ribadendo che inizia la vita psichica con la pienezza del legame emozionale, con l’amore per l’oggetto estetico, per poi consolidarsi ed evolvere oppure spegnersi o pervertirsi. L’ammirazione e l’estasi del neonato per la bellezza materna se viene ricambiato fondano il senso di sicurezza, base dell’identità. Meltzer ci lascia in eredità il compito di ricercare la bellezza, concetto che estende a tutte le forme artistiche, ma anche all’amore per la vita, intesa anche in senso bionano amore per la verità, amore per la ricerca, per il nostro lavoro, per la scoperta del funzionamento della mente. Riporto un riferimento ad un lavoro di Pierandrea Lussana, psicoanalista che ha molto studiato e trasmesso il pensiero di Meltzer: “Se bene intendiamo che la bellezza esiste veramente, va capita e protetta e collocata nelle nostre vite”; sintetizza poi il percorso psicoanalitico “dal conflitto edipico di Richard e Piggle, 15, 3, 2007 234 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer Freud nell’infanzia avanzata a quello oggettuale di M. Klein nella prima infanzia, al conflitto estetico di Meltzer dalla nascita” (Lussana, 2006). L’elemento sconvolgente nell’esperienza estetica non è tanto legato alla finitezza e caducità dell’oggetto d’amore ma al suo enigma. Momenti che possono ostacolare l’esperienza del conflitto estetico possono essere oltre alle caratteristiche carenti dell’oggetto anche gli events life che costringono a precoci e traumatiche separazioni. In sintesi il lungo cammino psicoanalitico procede dall’interesse verso la struttura dell’apparato psichico, alla ricerca della relazione d’oggetto attraverso i movimenti proiettivi e introiettivi, alla definizione della centralità nella relazione delle emozioni e delle qualità dell’oggetto. Tutto ciò influenza notevolmente, come sottolineano in più punti Carbone Tirelli, Quintiliani e Milana la teoria e il metodo interpretativo che non richiede tanto all’analista la ricostruzione o il disvelamento del mondo interno del paziente, ma una capacità di osservazione e disponibilità, l’acquisizione di una capacità emotiva, pertanto cambiano anche gli obiettivi dell’analisi perché diventa importante il raggiungimento di una capacità auto-osservante, di un’attitudine a pensare intorno al proprio mondo emozionale e relazionale, è prioritaria l’interiorizzazione della funzione alfa. Il buon funzionamento estetico all’inizio della vita, spinta verso l’amore e il bello, può sostenere nel corso della vita l’incertezza e l’enigma. Meltzer con questa teoria ha dato grande rilevanza alla ricerca della verità e dell’autenticità nel nostro sistema di vita e di come ognuno di noi le deve perseguire nel suo lavoro di analista, inoltre ha dato rilevanza alla ricerca nella nostra pratica quotidiana di fonti creative, dall’arte alla letteratura, come fonti di ispirazione e di rifornimento creativo ed emozionale. Collegato a questo prende nuova forza il concetto di esperienza emotiva e di apprendimento dall’esperienza. Anna Sabatini Scalmati scrive: “Il conflitto estetico non sostenuto, accolto, condiviso dalla madre, in luogo di emozioni vivibili genera un’atmosfera che condensa precipitati sensoriali e psichici mortiferi”. Questo ci permette di collegarci alla ricerca di Meltzer sull’autismo e sulle patologie gravi. Esplorazioni sull’autismo (1975) è un libro fondamentale per orientarci nel campo delle gravi patologie infantili ma anche di quelle adulte, stimola la ricerca verso funzionamenti arcaici della mente. Maria Antonietta Lucariello percorre nel suo lavoro le tre tappe del pensiero di Meltzer sull’autismo, approfondendo in modo ampio le caratteristiche specifiche della mente, dal difetto di dimensionalità, alla ripetitività ossessiva e al concetto di segmentazione o smontaggio. Meltzer è lontano dal dare una definizione eziopatologica dell’autismo, piuttosto ci fornisce una ricca ed acuta descrizione di stati mentali e di ipotesi sul tipo di meccanismo primitivo di funzionamento mentale. Lucariello ricorda come Meltzer registrasse una notevole presenza di stato depressivo nella madre nei primi tempi di vita del bambino ma pensava Richard e Piggle, 15, 3, 2007 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer 235 anche che ci fosse una particolare spinta da parte del bambino al possesso dell’oggetto che non era fornito di interno recettivo: in tal caso si viene a creare una superficie che non contiene, una mente materna che non accoglie. Il bambino autistico ha una mancanza del senso degli spazi del Sé e dell’oggetto, non usa meccanismi introiettivi né ha spazi interni in cui proiettare e non può introiettare la funzione alfa per produrre pensieri, perché non si è creato un apparato per pensarli. Lucariello, citando Meltzer, ricollega la sua ricerca sull’autismo alla teoria del conflitto estetico: “il neonato [...] deve essere considerato dalla madre un oggetto estetico perché l’esperienza della loro vita amorosa si rifletta scambievolmente e cresca d’intensità” (Meltzer, 1986, p.239). Questo tragico non incontro e questa dolorosa esperienza viene descritta attraverso il lavoro della dottoressa Floriana Vecchione, dove da stati di indifferenziazione e caotico esistere di frammenti del Sé e dell’oggetto, si avvia una primitiva esperienza di esistenza soggettiva attraverso il sentire le esperienze corporee. Meltzer infatti, entrando come stupito e ammirato ricercatore nel mondo autistico, ci ha permesso delle chiavi di comprensione teorico-cliniche straordinarie, suscitando la speranza di un possibile sviluppo di queste patologie che richiamano i primordi della vita psichica attraverso il nostro lavoro terapeutico, ci invita a continuare una ricerca e a sperimentare un modo nuovo, soprattutto nella nostra mente e attraverso il controtransfert, di comunicare e di cogliere il linguaggio del corpo e della sensorialità primitiva. Tutto ciò ha una ricaduta significativa sull’approccio terapeutico nei confronti di questi infelici piccoli pazienti che vengono quasi sempre sottoposti a rieducazioni funzionali o comportamentali, che non possono incidere sul nucleo profondo patologico. Il lavoro analitico con bambini con gravi patologie e la ricerca sulla nascita e sul funzionamento della vita psichica hanno notevolmente aiutato lo studio delle psicosi anche degli adulti, aprendo nuove possibilità di comprensione degli stati più indifferenziati della mente e nuove possibilità di cura. Altro innovativo apporto di Meltzer è nella teorizzazione del Claustrum, del 1992, che amplia ulteriormente la comprensione dei pazienti borderline e degli aspetti psicotici della personalità. In precedenza, nel 1965, troviamo l’inizio della sua teorizzazione in uno scritto “La relazione tra la masturbazione anale e l’identificazione proiettiva”. Meltzer la considera una forma particolare di identificazione proiettiva. Suzanne Maiello nel suo lavoro ci riporta ai lavori sulla dimensionalità e sottolinea che il fenomeno appartiene all’area della tridimensionalità della mente, come prerequisito per l’esperienza del claustrum. – “È un’identificazione proiettiva attiva e intrusiva in un oggetto interno, accompagnata da una componente perversa e precisamente una fantasia inconscia masturbatoria”– È interessante come Meltzer apporti alla psicoanalisi due nuove teorizzazioni che riguardano funzionalità della mente una all’opposto dell’altra: descrive la ricerca della bellezza e l’esperienza estetica e all’opposto, l’esperienza perturbante e distorta del claustrum. Richard e Piggle, 15, 3, 2007 236 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer Maiello approfondisce nel suo lavoro il modello geografico della mente, suddiviso in quattro aree: il mondo esterno, l’interno degli oggetti esterni, il mondo interno, l’interno degli oggetti interni, ma ciò che interessa soprattutto a Meltzer è lo sviluppo degli oggetti interni collegato alle fantasie dell’interno della madre. Maiello fa un richiamo suggestivo all’opera di Bosch, metaforicamente descrive il passaggio dalla bellezza estatica del “Paradiso terrestre” alle turbolenze erotiche dei “Giardino dei piaceri terreni” per finire nel degrado tormentato e mortifero de “L’Inferno”. “La voluttà generica degli abitanti testa-seno, trasformata in erotismo eccitato nello spazio genitale, si perverte in fantasie di qualità sadomasochistiche nel compartimento del retto dell’oggetto.” Tale teorizzazione porta una nuova comprensione delle patologie sia di tipo claustrofobico sia delle perversioni, specie sadomasochistiche ma anche apre un interessante riflessione sull’interpretazione della distruttività e delle parti perverse della personalità, nelle quali viene enfatizzata l’invidia e l’aggressività del paziente. Questo non può che aprire un’ampia riflessione sulla tecnica e sull’approccio interpretativo, infatti la sottolineatura distruttiva con questi pazienti aumenta la persecutorietà e il vissuto sadomasochistico, mentre il paziente, come sottolineano alcuni autori, ha bisogno di uno spazio di accoglimento e “soggiorno” per tentare una libera evoluzione delle parti psicotiche, in un “gruppo di lavoro a due”, per affrontare le angosce di perdita o di separazione che spesso troviamo alla base. Ciò non toglie il grande apporto teorico alla comprensione della multiformità del funzionamento mentale e delle diverse forme e vicende dell’identificazione proiettiva, compresa quella intrusiva. Maiello riporta uno scritto di Meltzer che condivido molto: “Nel momento in cui l’analista può riconoscere la qualità di carcerato del paziente e la sua battaglia per la sopravvivenza in una situazione invivibile, egli vede che anche il bambino si è smarrito...”. (Meltzer, 1992, p.105). Il lavoro di Giuliana Milana ci riporta alla fine all’area della pratica terapeutica e della sua definizione sia teorica che tecnica che troviamo nel primo libro Il Processo Psicoanalitico (1967). Come già sottolineato in questo inizio di elaborazione troviamo accennati vari temi che in seguito verranno elaborati negli scritti successivi e anche ritroviamo i riferimenti agli autori che hanno contribuito al suo pensiero, specie Klein e Bion. Interessante è il collegamento che Milana propone con il pensiero di Bleger: questo autore anche se non fa esplicito riferimento a Bion, presenta molti punti di contatto ed entrambi spingono la ricerca verso il protomentale. In questa teorizzazione del processo psicoanalitico come naturale e ciclico vi è il riferimento alle posizioni kleiniane che si susseguono o coesistono in alcuni momenti della vita, in un continuo oscillare tra aspetti più integrati e quelli più indifferenziati e viceversa. Milana sottolinea che si tratta di un continuo alternarsi di cicli rappresentati da un incontro, una separazione con un ritmo scandito regolarmente, per cui sviluppo e separazioni, Richard e Piggle, 15, 3, 2007 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer 237 assenza e presenza, discontinuità e continuità sono alla base del processo terapeutico e sono strettamente intrecciati. Vengono descritte le cinque fasi del processo psicoanalitico e i criteri che portano al termine dello stesso. Sottolinea ancora come alcuni temi ricorrano dalla prima all’ultima fase, in proporzioni diverse: l’opacità rispetto al proprio mondo interno, difficoltà a riconoscerlo, resistenze ad accettare la dipendenza nei confronti dell’analisi, un continuo oscillare tra identificazione proiettiva ed introiettiva. Vi è un grande lavoro che porta a distinguere diversità nel divenire e continuità di ogni componente nel processo ciclico. Vi sono in queste teorizzazioni interessanti ed utili suggerimenti rispetto alla costanza del setting, all’assetto mentale dell’analista, all’attenzione verso il transfert e controtransfert, alla considerazione dei criteri per intraprendere una diagnosi psicoanalitica. Penso che tutti questi contributi siano molto ricchi di stimoli per continuare a pensare e per rappresentare una forte spinta verso ulteriori approfondimenti. Meltzer ha caratterizzato ogni suo lavoro introducendo un grande salto qualitativo della mente, aperto alla ricerca e al pensiero, invita alla libertà dell’essere e del pensare, affascinato da ciò che è misterioso, primordiale, dal mondo delle emozioni ma anche molto in contatto con il mondo delle relazioni reali e delle dinamiche istituzionali, acerrimo nemico delle lotte di potere e delle dinamiche istituzionali che deformano il pensiero e funzionano per assunti di base. Il suo modello, basato sulle modalità di apprendimento dall’esperienza e sui modelli educativi all’interno del gruppo familiare, si è esteso anche allo studio dei rapporti tra la famiglia e la comunità, affrontando anche temi educativi che rivelano il suo profondo interesse verso l’infanzia e, in particolar modo, verso l’adolescenza. Il desiderio è quello che dallo sforzo creativo di tutti gli autori, dai loro preziosi contributi, nasca molta curiosità verso il pensiero di questo autore e di conseguenza una riflessione sul nostro modo di vivere il processo psicoanalitico. Bibliografia Bléandonu G (1985). La scuola di Melanie Klein. Trad. it., Roma: Borla, 1986. Bleger J (1967). Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico. Trad. it., Loreto: Ed. Lauretana, 1992. Lussana P (2006). Nota su conflittualità e reciprocità estetica e su possibile modello estetico. Relazione letta al Centro di Psicoanalisi Romano. Meltzer D (1965). La relazione tra la masturbazione anale e l’identificazione proiettiva. In La comprensione della bellezza e altri saggi di psicoanalisi. Trad. it., Torino: Loescher, 1981. Meltzer D (1967). Il processo psicoanalitico. Trad. it., Roma: Armando, 1971. Meltzer D (1973). Stati sessuali della mente. Trad. it., Roma: Armando, 1975. Meltzer D (1975). Esplorazioni sull’autismo. Trad. it., Torino: Boringhieri, 1977. Meltzer D (1978). Lo sviluppo kleiniano. 3 voll. Trad. it., Roma: Borla, 1982-1983. Richard e Piggle, 15, 3, 2007 238 G. M. Mazzoncini: Il pensiero e l’opera di D. Meltzer Meltzer D (1981). La comprensione della bellezza. In La comprensione della bellezza e altri saggi di psicoanalisi. Trad. it., Torino: Loescher, 1981. Meltzer D (1986). Studi di metapsicologia allargata – Applicazioni cliniche del pensiero di Bion. Trad. it., Milano: Cortina, 1987. Meltzer D (1992). Claustrum – Uno studio dei fenomeni claustrofobici. Trad. it., Milano: Cortina, 1993. Giovanna Maria Mazzoncini, Medico Neuropsichiatra infantile, Psicoterapeuta, Segretario Scientifico e Membro Didatta dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile (A.I.P.P.I.), Psicoanalista S.P.I. e I.P.A. Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence: Via Asmara, 50 00199 Roma Richard e Piggle, 15, 3, 2007