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POCA LUCE IN FONDO AL TUNNEL

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POCA LUCE IN FONDO AL TUNNEL
POCA LUCE IN FONDO AL TUNNEL
COME RIPARTIRE DOPO LA CRISI
11° Rapporto sulla
mobilità in Italia
- Rapporto finale –
Roma, 28 maggio 2014
Lo studio è stato realizzato da un gruppo di lavoro misto Isfort-ANAV-ASSTRA diretto da
Carlo Carminucci per Isfort, da Guido del Mese per ASSTRA e da Tullio Tulli per ANAV. In
particolare, la redazione delle diverse sezioni del Rapporto, revisionate da Carlo Carminucci,
va attribuita nel seguente modo: Carlo Carminucci per le Considerazioni introduttive, la
Prima parte e la Quinta parte, Giuseppe Alfieri (ANAV), Antonello Lucente (ANAV), Emanuele
Proia (ASSTRA), Elisa Meko (ASSTRA) e Teresa Pierro (ASSTRA) per la Seconda parte,
Massimo Procopio (Isfort) per la Terza parte e la Quinta parte, Luca Trepiedi (Isfort) per la
Quarta parte. Eleonora Pieralice (Isfort) ha curato le elaborazioni statistiche e l’apparato
grafico della Prima parte. Angela Cesaroni (Isfort) ha curato l’editing del testo.
INDICE
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE E DI SINTESI
I RISCHI DELL’USCITA DALLA CRISI
PARTE PRIMA
IL MONITORAGGIO DELLA DOMANDA. I segnali della ripresa
1. Ripartono i consumi di mobilità
2. La ritirata del trasporto sostenibile
2.1. La mobilità collettiva non aggancia la ripresa
2.2. Meno trasporto pubblico negli spostamenti urbani
2.3. Il quadro più incoraggiante della mobilità extra-urbana
3. Ancora stabile il fronte della qualità percepita dei servizi
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PARTE SECONDA
IL MONITORAGGIO DELL’OFFERTA. In fase di pericolosa
contrazione
1. Descrizione del lavoro e profili metodologici
2. I dati di produzione
3. I dati economici
3.1. I ricavi
3.2. Le tariffe
3.3. I costi della produzione
4. Le evidenze dell’analisi gestionale
PARTE TERZA
IL FOCUS SULLA MOBILITÀ PRIVATA. Meno auto, più vecchie
1. Introduzione
2. Le automobili, le moto e gli incidenti stradali
2.1. Il parco auto diminuisce ma con alcune eccezioni rilevanti
2.2. Diminuiscono gli incidenti, un po’ meno quelli più gravi
3. Gli strumenti dissuasivi della mobilità privata nelle città capoluogo
di provincia
3.1. Gli stalli di sosta e le zone a traffico limitato
3.2. Le isole pedonali e le piste ciclabili
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PARTE QUARTA
IL BENCHMARK EUROPEO. Presente e futuro della mobilità
urbana nell’opinione dei cittadini UE
1. Introduzione
2. La percezione dei problemi
3. Le abitudini di trasporto
3.1. L’auto non domina ovunque
3.2. Le differenze tra Paesi
3.3. I principali profili socio-demografici delle scelte modali
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4. L’opinione sulle politiche e gli scenari futuri
4.1. Le misure più efficaci in Europa
4.2. La posizione specifica degli italiani sulle “scelte da compiere”
4.3. L’orientamento all’innovazione
5. Quale futuro? Fatalismo senza rassegnazione (o quasi)
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PARTE QUINTA
L’INDAGINE SUGLI SCENARI. Dove va il Trasporto Pubblico
Locale in Italia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Uscire dal passato (introduzione)
Avanti con moderazione (l’andamento del mercato)
La riforma del settore, grande incompiuta
Vincoli da rimuovere
Il futuro da costruire: i driver del cambiamento, i temi in agenda
La vischiosità delle relazioni industriali
Per concludere e riepilogare: le priorità sulle cose da fare
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Considerazioni introduttive e di sintesi
I rischi dell’uscita dalla crisi
1. A guardare la misura delle variazioni registrate nel quadro della mobilità degli
italiani sembra che nel 2013 poco sia cambiato. Eppure, proprio le pieghe di
modulazioni apparentemente modeste delle serie storiche disegnano uno scenario
potenzialmente nuovo per il trasporto dei passeggeri (si veda come di consueto il
cruscotto con gli indicatori principali di andamento della mobilità, Tav. 1).
Tre indicatori, sopra a tutti, lasciano presagire l’apertura di un nuovo ciclo.
In primo luogo, secondo le stime dell’Osservatorio “Audimob” di Isfort la domanda
di mobilità ha invertito il trend negativo nel quale era sprofondata da ormai quattro
anni ed ha messo un segno positivo: +2,8% di spostamenti, +9,6% di
passeggeri*km. Un incremento non marginale, insufficiente tuttavia a recuperare i
livelli pre-crisi. Ma di straordinaria importanza: si inverte una lunga fase recessiva,
in un anno, il 2013, ancora in profondo rosso per l’economia italiana (-1,9% di PIL,
-2,6% di consumi delle famiglie).
In secondo luogo, la mobilità sostenibile non intercetta questa linea di ripresa della
domanda e anzi tende ad un pericoloso arretramento. Da un lato, i modi di
trasporto senza motore, e in particole la mobilità pedonale, subiscono un’ulteriore
erosione della propria quota modale - in declino ormai da diversi anni -, scendendo
al 17,1% del totale delle percorrenze; dall’altro lato il trasporto pubblico nel suo
insieme registra nel 2013 una diminuzione dei passeggeri nell’ordine del -1,9%
(circa mezzo milione in meno nel giorno medio feriale) e la sua quota modale
riferita ai soli mezzi motorizzati scende al 13,6%, dal 14,3% del 2012,
interrompendo una striscia positiva che proseguiva dal 2007 (con un’unica pausa
nel 2009). Viceversa, l’automobile nel 2013 torna a guadagnare mercato, sia in
valore assoluto (+4,1% di passeggeri), sia nella quota modale motorizzata
(dall’82% del 2012 all’82,7% del 2013).
In terzo luogo, dal lato dell’offerta (i dati si fermano al 2012) continua la
progressiva erosione della quantità di servizi di trasporto pubblico erogati (-2,8%
nel 2012, -4,4% nel triennio 2010-2012) e, contestualmente, continua la riduzione
dei passeggeri trasportati (-3,2% nel 2012, -4,5% nel triennio 2010-2012).
L’indagine condotta su un sottocampione di aziende conferma che anche nel 2013
si è registrato un segno negativo nell’andamento dei passeggeri (attorno al -4%),
confermando le stime di “Audimob”.
Per riassumere: i consumi di mobilità ripartono, il trasporto sostenibile riduce
l’offerta di servizi, perde passeggeri e peggiora il modal split.
Il tempo della crisi non ha dunque prodotto effetti tangibili di riposizionamento
degli stili di mobilità dei cittadini. E ora che sembra affacciarsi la ripresa
paradossalmente si chiude un ciclo di opportunità e le prospettive per il trasporto
I
sostenibile peggiorano. Per ciò che riguarda i mezzi non motorizzati, c’è una
tendenza strutturale al declino che sembra derivare soprattutto dagli effetti
progressivi dei processi di dispersione territoriale del tessuto residenziale e di
espansione sregolata delle aree metropolitane, con il conseguente allungamento
delle percorrenze e una minore capacità “di presa” di mercato da parte dei vettori
senza motore (il tragitto a piedi è necessariamente di prossimità, quello in
bicicletta non può spingersi troppo oltre il breve raggio).
Per il trasporto pubblico la questione è più complessa. Come è stato ampiamente
sottolineato nelle analisi proposte negli anni passati, diversi fattori di contesto hanno
giocato a sfavore della mobilità collettiva, in primo luogo le perduranti incertezze del
quadro normativo e regolatorio. Dal lato aziendale, poi, l’aumento dei costi dei fattori
di produzione (lavoro, materie prime, servizi…) ha creato tensioni economiche e
finanziarie nella gestione vanificando gli sforzi prodotti, insufficienti a dire il vero, per
recuperare efficienza. A ciò si aggiungono da un lato la debolezza delle politiche
nazionali e locali “di sistema” per promuovere modelli di mobilità più sostenibili alle
diverse scale, e dall’altro lato gli aumenti tariffari generalizzati che in assenza di
miglioramenti tangibili dei servizi offerti non hanno favorito il miglioramento
dell’immagine del trasporto pubblico presso la platea di utenti attuali e potenziali. E
sopra a tutto i tagli al settore per i servizi e per gli investimenti i cui effetti perversi
dispiegano in pieno, a distanza di qualche, gli effetti negativi sulla capacità
competitiva del settore
Un insieme di concause, insomma, che non ha messo il settore nelle condizioni
ottimali per intercettare il calo di domanda del trasporto individuale. Alla fine i
consumi si sono assestati su livelli molto più bassi, senza avviare percorsi significativi
di riequilibrio modale.
In verità, il monitoraggio dell’offerta evidenzia anche qualche minimo processo di
inversione di tendenza di segno positivo. Ad esempio, dopo sette anni si riduce
leggermente l’età media degli autobus, indice di uno sforzo di investimento con
risorse proprie che qualche azienda ha positivamente prodotto. Inoltre, nel 2012 la
quota percentuale di aziende che ha chiuso il bilancio in negativo, pari al 37%, è
scesa leggermente rispetto al 41% del 2011 e al 40% del 2010 (va detto tuttavia
che per molte aziende il 2013 è stato un anno di grande difficoltà nella gestione del
bilancio). Continua poi il lento miglioramento, per frazioni decimali, del rapporto
ricavi da traffico/costi operativi, rimanendo tuttavia ben distante dalla soglia storica
del 35% prevista dal d.lgs 422/1997.
Segnali di miglioramento, dunque, che indirettamente sembrano registrare almeno
un effetto positivo dei tagli delle risorse, ovvero l’incentivo ad efficientare
l’organizzazione aziendale e l’offerta dei servizi. Ma segnali troppo deboli per marcare
un processo di cambiamento strutturale e per contenere in modo significativo il
peggioramento del quadro di riposizionamento della mobilità collettiva, e più in
generale della mobilità sostenibile, nelle nuove dinamiche del mercato del trasporto
passeggeri, urbano ed extra-urbano.
Lo scenario che si prospetta rischia infatti di penalizzare ulteriormente il settore. La
dinamica degli ultimi 10-15 anni mostra che, nelle condizioni attuali di operatività, il
mezzo pubblico si rafforza in Italia solo quando si piega la curva dei consumi di
mobilità e si innesta un po’ di effetto di sostituzione tra i vettori di trasporto (dal
II
modo individuale più costoso al modo collettivo più economico). Alle soglie della
ripresa della domanda di mobilità – o forse già dentro, come si è appena detto – gli
spazi di crescita del trasporto pubblico potrebbero allora restringersi piuttosto che
allargarsi.
2. D’altra parte, i problemi del trasporto pubblico locale in Italia sono numerosi e
attraversano una pluralità di dimensioni tematiche: il quadro delle norme e delle
regole, l’interferenza della politica, il nodo dei finanziamenti pubblici, le politiche di
settore centrali e locali, l’innovazione dei servizi, l’assetto industriale, la qualità
manageriale, le relazioni industriali… Si potrebbe andare avanti con un lungo
elenco, ormai talmente reiterato nell’agenda di operatori, istituzioni ed esperti da
risultare del tutto sterile.
Il paradosso storico del trasporto pubblico locale italiano si è sviluppato a partire
da una evidente asimmetria: una grande complessità dell’assetto organizzativo e
gestionale – tra mercato e politica, tra pubblico e privato, tra rigidità dell’offerta e
centralità della domanda, tra esigenze di pianificazione e libertà di impresa –, che
richiede peraltro un livello adeguato di competenze tecniche intersettoriali
(normative, regolatorie, pianificatorie, manageriali), alla quale si contrappone una
sostanziale residualità del settore, sia nella percezione dei cittadini (utenti e non
utenti), sia nell’attenzione politica e strategica assegnata dalle istituzioni.
Quanto sia distorcente questo paradosso è di una tale evidenza che non c’è
bisogno di argomentare troppo. È sufficiente ricordare che il trasporto pubblico
svolge un ruolo centrale e insostituibile nell’organizzazione dei sistemi di mobilità in
molti Paesi e città europee. E l’Unione Europea ha progressivamente costruito
attorno agli assi del trasporto pubblico urbano e locale, e degli altri sistemi
alternativi al mezzo individuale, la prospettiva della mobilità sostenibile - a
beneficio anche delle scale territoriali allargate -, che a sua volta contribuisce in
misura determinante a sviluppare l’Europa dell’innovazione, della sostenibilità e
dell’inclusione (secondo la nota tematizzazione dell’Europa 2020).
Una prospettiva e una dinamica che vanno purtroppo nella direzione opposta di
quanto accade in Italia, dove il trasporto pubblico locale non si è mai sollevato
dalle secche delle tante criticità che lo affliggono, sommerso da una incredibile
stratificazione di norme, regole, proposte di riforma, dibattiti, che hanno finito per
confondere la visione lucida dei nodi reali di sviluppo del settore.
E i risultati “di mercato”, come si è appena visto, sono ben al di sotto della
funzione che i mezzi collettivi dovrebbe assolvere per soddisfare le esigenze di
mobilità delle persone nel Paese. Con poche eccezioni, si registrano diffusamente
nei territori e nelle città bassi volumi di passeggeri trasportati, quote modali poco
più che residuali, carenze oggettive nell'offerta dei servizi.
Se non resta che scommettere sul perdurare della crisi per guadagnare mercato, è
evidente che i problemi del trasporto pubblico locale richiedono di essere affrontati
con una diversa e più incisiva strategia di sistema. Il punto nodale non è tanto la
pur necessaria soluzione delle singole criticità esistenti: come migliorare l’efficienza
aziendale, come ricomporre il frammentato quadro normativo, come incrementare
le risorse per il settore, e così via. La questione cruciale appare sempre più quella
III
di come (ri)portare il trasporto pubblico al centro dell’organizzazione della mobilità,
in particolare nelle grandi aree urbane e nei sistemi territoriali locali. Ciò
significherebbe fare una scelta netta a favore della mobilità sostenibile e assegnare
al mezzo pubblico la funzione di spina dorsale di un nuovo assetto sostenibile del
trasporto alle diverse scale territoriali.
Proprio con l’obiettivo di raccogliere idee e suggerimenti per rivedere in profondità
le politiche del trasporto pubblico locale in Italia, e per capire meglio lungo quali
prospettive esso si muove, è stata effettuata – novità assoluta per i Rapporti sulla
mobilità curati da Isfort-Asstra-Anav - un’indagine quali-quantitativa sugli scenari di
evoluzione del settore, coinvolgendo un panel qualificato di aziende, istituzioni ed
esperti.
All’illustrazione dei risultati dell’indagine è dedicata la quinta parte di questo
Rapporto, alla quale ovviamente si rimanda per una lettura di dettaglio. E’ tuttavia
opportuno, in questa sede introduttiva, richiamare alcuni punti-chiave emersi
dall’indagine.
Il primo punto è lo scenario di mercato. Il panel degli intervistati vede il mercato
del Tpl dominato da una dinamica inerziale e tuttavia sospeso nell’attesa di una
possibile, improvvisa accelerazione. Non ci sono ad oggi fatti significativamente
nuovi, dal versante delle aziende come dal versante istituzionale, che lascino
prevedere per i prossimi 2-3 anni un forte incremento o all’inverso una forte
riduzione dei passeggeri trasportati. La dinamica inerziale si muove quindi lungo il
crinale della crisi economica, che da un lato premia il mezzo pubblico (meno
costoso per i cittadini), ma dall’altro riduce la domanda complessiva di mobilità. I
due effetti sembrano compensarsi, con prospettive migliori per il trasporto
collettivo nelle aree urbane, dove gradualmente si implementano misure di
contenimento della congestione, rispetto all’extra-urbano, e per il ferro rispetto alla
gomma. Le previsioni sono comunque difficili perché il mercato del Tpl è
significativamente condizionato dalle scelte di governo, nazionale e locali: gli
investimenti infrastrutturali, le risorse per i servizi e il rinnovo delle flotte, le
liberalizzazioni, le politiche di regolazione dell’uso dell’auto, una migliore
pianificazione dei servizi, e così via. Se si accelera su questi fronti, accelera anche il
mercato del Tpl.
Il secondo punto sono i vincoli allo sviluppo del settore.
Si è partiti dalla valutazione, risultata molto negativa (senza sorpresa), su quanto è
stata attuata la riforma del Tpl (ex D.lgs. 422/1997). Anche in prospettiva si
prevedono pochi avanzamenti nel percorso della riforma, nonostante la presenza di
alcuni obblighi/incentivi: definizione di un quadro normativo maggiormente proconcorrenziale, incentivi ad una migliore pianificazione e programmazione dei
servizi, aziende in grande affanno che devono abbattere i costi e recuperare
efficienza per sopravvivere.
Si è poi arrivati alla focalizzazione dei nodi di sempre, le questioni definibili come
“inaggirabili” che continuano a stagliarsi sullo sfondo del quadro di problematicità
del settore: la questione normativa (frammentata, ridondante, incerta, vischiosa,
mutevole…) e regolatoria (su tutti il nodo della commistione tra politica e gestione
aziendale), la questione dei finanziamenti (che devono essere certi e definiti; sul
IV
quantum e sulle finalizzazioni le opinioni invece divergono), la questione della
politica (storica assenza di un’attenzione strategica nazionale per il settore) e delle
policy locali (deboli, frammentate, senza visione integrata, comunque lasciate alla
buona volontà delle singole Amministrazioni). Le questioni “inaggirabili” per lo
sviluppo del Tpl riemergono con tutta la loro portata nelle valutazioni condivise del
panel. Vanno affrontate con urgenza, perché senza questo scavalcamento l’innesto
di ogni percorso di sviluppo non è proponibile.
Il terzo punto guarda alle altre dimensioni tematiche su cui il Tpl italiano mostra
tutta la sua debolezza e che devono essere, anch’esse, affrontate senza indugi.
Due in particolare raccolgono segnalazioni praticamente unanimi dal panel: il
deficit di pianificazione e di capacità di lettura della domanda di mobilità da un lato
(dal lato delle politiche di settore), la gestione aziendale secondo logiche industriali
dall’altro lato (dal lato delle imprese e degli assetti industriali). Queste due
dimensioni attraversano i giudizi su una serie di questioni divisive oggetto
dell’attuale dibattito sul futuro del Tpl, quali i processi di aggregazione aziendale, i
bacini allargati (regionali) per l’affidamento dei servizi, l’integrazione gomma-ferro.
Se c’è un corretto approccio di analisi della domanda e di pianificazione, e se la
spinta a nuovi assetti industriali e di mercato premia il progetto imprenditoriale
piuttosto che il consenso politico, si può tecnicamente discutere di tutte le
soluzioni, fuori da schemi ideologici e con l’idea di coniugare strumenti standard di
alta qualità (protocolli di gara e di regolazione, linee guida per una buona
pianificazione ecc.) con la personalizzazione delle soluzioni e delle politiche nei
diversi contesti territoriali. Senza queste coordinate, le scelte che si operano
(incentivi a superare la frammentazione delle imprese, bacini definiti su perimetri
amministrativi, gare integrate gomma-ferro ecc.) rischiano di essere risucchiate nei
meccanismi perversi dell’interferenza della politica nella pianificazione e nella
gestione aziendale, della tutela del consenso elettorale, delle liberalizzazioni di
facciata, di un gigantismo aziendale inefficiente e del tutto statico.
Il quarto punto, infine, strettamente connesso a quello precedente, esplora le
nuove domande per un futuro di cambiamento del settore e i ruoli che
conseguentemente dovranno competere alla politica e alle aziende. Qui la visione
del panel è piuttosto chiara e convergente. Il trasporto pubblico deve puntare con
decisione sull’innovazione dei servizi, sui nuovi paradigmi tecnologici, su modalità
finalmente chiare e trasparenti per stimolare l’efficienza del sistema (introduzione
dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e la determinazione
dei corrispettivi di servizio), sul confronto concorrenziale seppure con modalità
regolate, sulla riappropriazione della leva tariffaria da parte delle aziende (con
meccanismi di price cap, da definire in modo tecnicamente corretto). Su questi
temi si gioca il futuro del Tpl nel nostro Paese. E i diversi livelli istituzionali di
governo del settore devono accompagnare i processi conseguenti, con politiche di
investimento di cui c’è urgente necessità (trasporti a guida vincolata nelle aree
urbane e un grande piano per lo svecchiamento del materiale rotabile sono i due
ambiti maggiormente richiamati), con lo sviluppo degli strumenti di pianificazione a
tutte le scale territoriali, con l’applicazione di schemi di regolazione (e anche di
pricing) per ridurre la congestione nelle città e migliorare così la performance
economica e la qualità dei servizi del trasporto pubblico.
V
3. Come ripartire dunque dopo la crisi, nella consapevolezza che l’intera filiera della
mobilità sostenibile, e più nello specifico il trasporto pubblico, rischiano di
“evaporare” sulle onde della ripresa?
L’indagine qualitativa sugli scenari futuri del Tpl ha in fondo messo in evidenza che
ci sono domande articolate provenienti dai diversi soggetti (a partire dai cittadini e
dalle aziende), da mettere a sistema in un quadro organico di interventi e di nuovi
meccanismi di regolazione.
Occorre quindi una strategia di sistema più complessiva che - per riprendere uno
schema interpretativo già usato da Isfort ormai diversi anni fa, ma che torna di
sorprendente attualità proprio nel quadro dell’indagine di scenario svolta1 – sia in
grado di rimettere il trasporto pubblico “sulla testa” (visione strategica) e “sui
piedi” (ascolto della domanda), rafforzando contemporaneamente quattro assi
imprescindibili per lo sviluppo del settore:

l’asse della convergenza, che significa ricomporre la grande frammentazione di
regole, norme, strumenti di regolazione, policy, anche imprese (dove
funzionale a progetti industriali di rafforzamento aziendale), in un quadro
unitario che possa rappresentare un’adeguata “cassetta degli attrezzi” per il
governo del settore (strumentazione tecnica e buone pratiche per la
regolazione, la pianificazione, le politiche locali, il riassetto industriale);

l’asse della personalizzazione, che significa avviare un percorso vero, intenso,
profondo per leggere il trasporto pubblico dal “lato della domanda”, dei suoi
bisogni particolari, territoriali, quasi individuali; e quindi di concepire soluzioni
efficaci il più possibile calibrate sulla specificità dei diversi ambiti locali (o
urbani) e dei diversi segmenti dell’utenza (attuale e potenziale);

l’asse del mercato, che significa (dove possibile) ampliare le opportunità a
disposizione dei cittadini per scegliere tra soggetti diversi che erogano i servizi
o anche tra diverse modalità di trasporto; e che significa evidentemente, dal
lato dell’offerta, ampliare la contendibilità dei bacini del trasporto pubblico;

infine, l’asse della “politica”, che traduce in primo luogo la domanda forte di
una governance vera del settore, attraverso la quale i cittadini-utenti possano
trovare giusti canali di esplicitazione delle loro esigenze (si pensi a come far
valere la voce dei cittadini a fronte dei disservizi del trasporto pubblico) e
modalità efficaci di aggregazione degli interessi; e in seconda battuta, l’asse
della politica chiama in causa la capacità dei regolatori di assicurare il corretto
operare dei regolati, agendo sulle leve disponibili di controllo e
incentivazione/disincentivazione (es. i contratti di servizio).
Su tutti e quattro i pedali di sviluppo del trasporto pubblico (la convergenza, la
personalizzazione, il mercato, la politica) il ritardo del nostro Paese è evidente. C’è
bisogno di avanzare, e rapidamente, lungo questi percorsi, con l’obiettivo in di
assicurare una direzione unitaria e integrata alle misure che si mettono in campo.
1
Vedi Isfort, “Il trasporto locale oltre la crisi. Mercato e politica nella transizione dei sistemi territoriali
di mobilità”, Ed. Gangemi, 1999, in particolare Vol. I,pp. 58-64
VI
L’analisi condotta ci ha portato a scrivere, con una visione velata di pessimismo,
che “c’è poca luce in fondo al tunnel” di questa lunga crisi per il trasporto pubblico
e per la mobilità sostenibile.
Possiamo però aggiungere con certezza che non si tratta di un destino ineluttabile.
Ci sono ampie possibilità per raddrizzare la deriva del sistema e rimettere il
trasporto pubblico “sulla testa” e “sui piedi”. Bisognerebbe però iniziare seriamente
a farlo. E meglio prima che poi.
VII
Tav. 1 Il cruscotto della mobilità sostenibile
VIII
IX
X
Il cruscotto della mobilità privata
XI
XII
XIII
Parte prima
IL MONITORAGGIO DELLA DOMANDA
I SEGNALI DELLA RIPRESA
1.
Ripartono i consumi di mobilità
Un avvio di ripresa della domanda ha contrassegnato la mobilità degli italiani nel
2013.
Nel giorno medio feriale gli spostamenti complessivi della popolazione italiana (1480 anni) hanno riagguantato la soglia dei 100 milioni, con un incremento del
+2,8% rispetto al 2012 (Tabb. 1 e 1bis). E il volume dei passeggeri*km (il totale
delle distanze percorse) è aumentato in misura più sensibile, con una variazione
del +9,6% (da 1,26 miliardi del 2012 a 1,38 miliardi nel 2013)1.
Tab. 1 - La dinamica della domanda di mobilità (valori assoluti in milioni)
Spostamenti totali in un
giorno medio feriale
Passeggeri*km totali in
un giorno medio feriale
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2000
100,2
97,5
106,6
123,8
125,4
128,1
126,2
1.381,8
1.261,2
1.302,2
1.381,4
1.432,8
1.561,0
1216,2
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 1bis - La dinamica della domanda di mobilità (variazioni percentuali)
2012-2013
2008-2013
2000-2013
Spostamenti totali in un giorno medio feriale
+2,8
-21,9
-20,4
Passeggeri*km totali in un giorno medio feriale
+9,6
-11,5
+13,6
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
1
Come di consueto, si riportano di seguito le necessarie precisazioni metodologiche relative a questa
prima sezione del rapporto. Dove non diversamente indicato tutti i dati di sono elaborati
dall’Osservatorio “Audimob” di Isfort. L’Osservatorio “Audimob” si basa su un’estesa indagine
telefonica, realizzata con sistema CATI e alimentata da oltre 15000 interviste annue ripartite su 4
survey (una per stagione, tre/quattro settimane per ciascuna stagione). L’Osservatorio è attivo
dall’inizio del 2000 e interessa un campione stratificato (per sesso, per età e per regione)
statisticamente significativo della popolazione italiana compresa fra 14 e 80 anni. I campioni
trimestrali sono indipendenti e “gemelli” (omogenei rispetto alle caratteristiche di base). L’indagine
registra in modo dettagliato e sistematico tutti gli spostamenti effettuati dall’intervistato il giorno
precedente l’intervista (solo giorni feriali), ad eccezione delle percorrenze a piedi inferiori a 5
minuti. E’ da sottolineare che nel 2012 e nel 2013 le interviste effettuate sono state circa la metà
rispetto alla serie storica 2000-2011. Le oltre 7000 interviste realizzate assicurano comunque un
margine di errore molto contenuto anche per il 2012 e il 2013 e quindi una piena confrontabilità dei
dati in serie storica.
3
Si riaccendono i motori dei consumi di mobilità nel Paese, dunque, ed è un segnale
di particolare rilievo:
-
sia perché l’entità della crescita, come si è appena visto, non è marginale;
-
sia perché si interrompe un trend negativo della dinamica della domanda che
perdurava dal 2008;
-
sia, infine, perché è una variazione positiva che giunge in un anno ancora “in
rosso” per l’economia italiana (PIL al -1,9%) e per i consumi delle famiglie
(-2,6%).
Non vanno tuttavia trascurati gli elementi di potenziale debolezza di questo
scenario di “luce in fondo al tunnel” che sembra delinearsi. L’osservazione sui livelli
quantitativi dei consumi di mobilità indica chiaramente che c’è moltissimo terreno
ancora da recuperare dopo un ciclo di recessione così lungo e profondo: i 100
milioni di spostamenti del 2013 si confrontano infatti con i 128 milioni del 2008 (11,9%), e l’1,38 miliardi di passeggeri*km del 2013 con l’1,56 miliardi del 2008 (11,5%). Rispetto ad inizio millennio, inoltre, il numero di spostamenti registrato nel
2013 è inferiore di oltre 20% (Graf. 1). Da sottolineare la forbice rispetto
all’andamento dei passeggeri*km, attestati nel 2013 ad un livello superiore del
13,6% rispetto al 2000.
Il segnale registrato deve poi consolidarsi nel 2014 perché si possa parlare di una
inversione di tendenza. Se così fosse, la domanda di mobilità anticiperebbe una
ripresa, che seppure in misura molto modesta, caratterizzerà l’economia italiana
nel 2014.
Graf. 1 – La dinamica della domanda di mobilità complessiva
(spostamenti e passeggeri*km – Numeri indici anno 2000=100)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
C’è poi una ulteriore considerazione da fare. La crisi economica ha modificato i
modelli di mobilità nel nostro Paese, come si è avuto modo di verificare nel corso
degli anni, in particolar modo razionalizzando la domanda di trasporto relativa ai
consumi più voluttuari e inducendo comportamenti più consapevoli, finalizzati al
4
contenimento dei costi. E’ possibile quindi che un assestamento verso il basso dei
livelli di mobilità dei cittadini italiani sia strutturale e questa dinamica, a parità di
bisogni da soddisfare, di per sé può produrre impatti positivi (migliore
finalizzazione del tempo dedicato agli spostamenti e conseguente abbattimento del
costo generalizzato del trasporto).
Ma non si tratta dell’unica modifica strutturale in corso nel modello di mobilità degli
italiani. Un cambiamento rilevante si registra nella ripartizione tra le percorrenze
dentro il perimetro urbano2 e quelle extra-urbane.
Negli ultimi 5 anni si è assistito da un progressivo aumento della quota di mobilità
extra-urbana: dal 37,4% delle percorrenze registrate nel 2008 al 41% registrate
nel 2013 (Tab. 2). E’ in atto quindi un duplice processo di redistribuzione dei poli
di domanda di mobilità sul territorio, da un lato, e soprattutto di allungamento
delle percorrenze determinato dalla maggiore distanza tra le origini degli
spostamenti (residenze) e i luoghi di destinazione (lavoro, scuola, fruizione del
tempo libero), dall’altro lato. In sostanza, i noti fenomeni della dispersione urbana
(sprawl), accelerati dalla crisi economica che spinge fasce di popolazione verso le
periferie e le corone urbane alla ricerca di condizioni abitative e di vita meno
onerose, in questa fase stanno dispiegando in pieno i loro effetti, con un improprio
sovraccarico di domanda di pendolarismo.
Tab. 2 – Il peso della mobilità urbana ed extra-urbana (valori assoluti e valori percentuali)
Numero spostamenti urbani in un
giorno medio feriale (in milioni)
Numero spostamenti extra-urbani in
un giorno medio feriale (in milioni)
% spostamenti urbani sul totale
spostamenti
% spostamenti extra-urbani sul totale
spostamenti
Var %
2012-2013
2008-2013
2013
2012
2011
2008
59,1
58,6
69,9
80,2
-16,2
-22,9
39,7
37,9
34,1
46,6
-4,7
-14,8
59,0
60,1
65,6
62,6
(-1,1)
(-3,6)
41,0
39,9
34,4
37,4
(+1,1)
(+3,6)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Ancora più evidente la dinamica di redistribuzione della mobilità se si fa riferimento
al raggio delle percorrenze (Tab. 3). Gli spostamenti locali, a vocazione urbana
(non superiori ai 10 km), sono largamente dominanti come è noto, ma il loro
monopolio si sta progressivamente incrinando: nel 2000 ben 4 tragitti su 5 non
superavano i 10 km, nel 2008 si era già scesi a meno di 3 su 4, nel 2013 la
percentuale si attesta sotto il 70% (68,9%). La dislocazione di peso è a favore
soprattutto degli spostamenti di media distanza (dal 18,1% del 2000 al 27,7% del
2013) e, in piccola ma significativa misura, a favore della lunga distanza (i viaggi
superiori ai 50km nello stesso periodo passano dal 2,1% al 3,3%).
2
La definizione di “mobilità urbana” usualmente adottata nelle precedenti edizioni del Rapporto include
tutti gli spostamenti che l’intervistato dichiara di avere effettuato con origine e destinazione in uno
stesso comune, ad eccezione delle percorrenze dichiarate superiori ai 20km.
5
Tab. 3 - La ripartizione degli spostamenti totali per lunghezza (valori percentuali)
2013
2012
2011
2008
2000
Var. peso %
2000-2013
68,9
70,4
72,5
73,2
79,8
-10,9
27,7
26,6
24,6
26,6
18,1
+9,6
3,3
3,0
2,9
3,3
2,1
+1,2
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Spostamenti a vocazione urbana
(fino a 10 km)
Spostamenti di media distanza
(10-50 km)
Spostamenti di lunga distanza
(oltre 50 km)
Totale
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Il trend relativo alla lunghezza media degli spostamenti conferma il processo di
dilatazione delle distanze. Un processo peraltro di medio-lungo periodo: la
lunghezza media dei viaggi è quasi raddoppiata (da 7,7km a 13,8km) dal 2005 al
2013, e comunque un’accelerazione significativa si è registrata nell’ultimo triennio
dopo una fase di relativa stabilità (Graf. 2). E’ poi da osservare che l’incremento
delle percorrenze medie si è registrato sia in ambito urbano, sia – in misura
maggiore -in ambito extra-urbano.
Graf. 2 – Lunghezza e tempi degli spostamenti: l’evoluzione dinamica
9,0
7,7
6
18
10,1
4,0 4,0
2
4,2
16
16
16
21
21
21
20
22
16
16
16
15
14
15
15
16 16
15
12
La lunghezza media (in Km)
20
12
20
13
20
11
20
10
20
01
20
02
20
13
20
12
20
11
20
10
20
09
20
07
20
08
20
06
20
05
20
04
20
02
20
03
10
Il tempo medio di percorrenza (in minuti)
30
28
21
20
19 19
19
14
4,8
4,3 4,3
0
20
01
20
16
4,7 4,8
4,7 4,7 5,0 5,1 4,3
21
20
12,3
11,2
20
06
20
07
4
11,7
8,7 8,8
12,2 11,4
20
05
8
11,8
20
04
10
22
22
20
03
12
Il tempo medio di percorrenza (in minuti)
13,8
20
09
12,9
20
08
La lunghezza media (in Km)
14
40
28,6
38
26
26,5
24,9
24
23,7
25,3
22
25,6
24,0
36
24,9
37
34
23,6
20
32
18
30
16
32
31
31
2006
2007
31
30
28
2005
2006
2007
2008
Spostamenti totali
2009
2010
2011
2012
Spostamenti urbani
2013
2005
Spostamenti extraurbani
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
6
2008
2009
31
30
2010
2011
2012
32
2013
Quanto ai tempi medi degli spostamenti il trend è meno lineare. Nell’insieme si
rileva una stabilità dei valori in tutto il periodo 2001-2013, con una leggera
diminuzione nell’ultimo biennio (dai 22 minuti del 2011 ai 20 minuti del 2013,
peraltro lo stesso valore del 2001). Evidentemente il calo della domanda di mobilità
e del traffico, accompagnato da un maggior peso dei viaggi extra-urbani, sta
determinando un incremento della velocità media degli spostamenti e quindi il
tempo medio dedicato agli spostamenti stessi resta stabile o addirittura
decrementa.
La seconda modifica strutturale della domanda di mobilità che viene in evidenza
riguarda la distribuzione dei viaggi per motivazione.
Le Tabb. 4, 4bis e 4ter mettono in rilievo come, nel tempo della crisi, si sia
profondamente ridisegnato il profilo delle ragioni della mobilità: il tempo libero
soprattutto, emblema negli ultimi 20 anni del pervasivo processo di
frammentazione e spacchettamento della domanda di mobilità quale riflesso
dell’avanzare di stili di vita sempre più acquisitivi, individualizzati, frenetici, perde
un terzo del proprio peso sotto i colpi del calo di consumi: dal 32,7% degli
spostamenti totali nel 2008 al 23,9% nel 2013. In termini assoluti, come si può
vedere nella Tab. 5, questo significa che nel giorno medio feriale in Italia sono
stati effettuati nel 2013 oltre 10 milioni di spostamenti in meno (al netto dei rientri
a casa) per ragioni di tempo libero rispetto al 2008, primo anno di piena
espressione della crisi economica del Paese. Contestualmente è diminuito in misura
rilevante anche il montante degli spostamenti per lavoro (oltre 5 milioni in meno),
ma per effetto della forte riduzione della domanda complessiva di mobilità questo
decremento non si è tradotto in una perdita di peso relativo (anzi gli spostamenti
per lavoro passano dal 30,8% del totale nel 2008 al 31,2% nel 2013). Regge
invece la domanda “basic” di mobilità, legata alla gestione familiare: “solo” 1,7
milioni di spostamenti in meno, ma un aumento di quota complessiva di 7 punti
percentuali.
Tab. 4 – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione degli
spostamenti (distribuzione %) – Totale(*)
Lavoro
Studio
Gestione familiare
Tempo libero
Totale
2013
2012
2008
31,2
6,5
38,4
23,9
31,0
5,5
40,0
23,4
30,8
5,1
31,4
32,7
100,0
100,0
100,0
(*)
Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa.
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
7
Tab. 4bis – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione
degli spostamenti (distribuzione %) – Mobilità urbana(*)
Lavoro
Studio
Gestione familiare
Tempo libero
Totale
2013
2012
2008
24,8
5,2
44,9
25,2
23,4
4,5
46,8
25,2
24,0
3,9
37,4
34,8
100,0
100,0
100,0
(*)
Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa.
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 4ter – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione
degli spostamenti (distribuzione %) – Mobilità extra-urbana(*)
Lavoro
Studio
Gestione familiare
Tempo libero
Totale
2013
2012
2008
40,3
8,4
29,0
22,3
42,2
7,0
30,0
20,8
42,5
7,2
21,4
28,9
100,0
100,0
100,0
(*)
Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa.
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 5 – Le variazioni in valore assoluto degli spostamenti
motivazione nel periodo 2008-2013 (in milioni)(*)
Lavoro
Studio
Gestione familiare
Tempo libero
Totale
Mobilità urbana
Mobilità extra-urbana
Totale
-2,8
-0,1
-2,3
-7,6
-2,4
-0,1
+0,6
-2,7
-5,2
-0,2
-1,7
-10,3
-12,8
-4,6
-17,4
per
(*)
Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa.
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Questa focalizzazione sul crollo dei consumi di mobilità connessi al tempo libero,
era stata oggetto di analisi già nelle note di lettura del Rapporto dello scorso anno.
Non è in sé una novità quindi, seppure la vistosa dimensione del fenomeno
giustifichi ampiamente una ulteriore sottolineatura. Semmai, la novità del 2013 –
rispetto all’ultimo scorcio - è rappresentata dalla lieve ripresa della domanda di
trasporto per tempo libero, sia in valori assoluti, sia nella quota percentuale. E’ un
movimento positivo poco più che percettibile (in valore assoluto siamo nell’ordine
di un incremento di circa 600mila spostamenti, pari ad un mezzo punto
8
percentuale in più di peso), tuttavia anche la sola rottura della lunga spirale
negativa nella dinamica della mobilità per tempo libero ha evidentemente un valore
molto significativo per gli scenari futuri trasporto passeggeri. D’altra parte, non è
casuale che nel quadro dell’avvio di una ripresa generale dei consumi di mobilità
dei cittadini, sia proprio questa componente della domanda, più strettamente
legata al ciclo economico, a mostrare l’andamento più positivo (ancorché molto
modesto, come si è detto).
Da sottolineare infine che la crescita del peso del tempo libero nella
determinazione della domanda di mobilità è in proporzione maggiore nel trasporto
extra-urbano rispetto a quello urbano. Nella mobilità urbana si consolidano
maggiormente nel 2013 le ragioni di spostamento più sistematiche, ovvero il lavoro
e la scuola, che invece perdono un po’ di quota nell’extra-urbano dove tuttavia
continuano a rappresentare ampiamente la componente maggioritaria della
domanda (40% dei viaggi).
9
2.
La ritirata del trasporto sostenibile
2.1. La mobilità collettiva non aggancia la
ripresa
Come si è visto nel capitolo precedente gli italiani “in movimento” stanno uscendo
dalla trincea della crisi. I consumi di mobilità sono ripartiti, gradualmente. Si vedrà
nei prossimi mesi se si tratta di una vera o di una falsa (ri)partenza. Ma oggi, ad
ogni buon conto, va annotato che nel 2013, secondo le stime di “Audimob”, c’è
stato un segno positivo nella dinamica degli spostamenti.
L’interrogativo che coerentemente fa seguito a questa annotazione riguarda il
profilo delle scelte dei mezzi di trasporto. Alla fine (possibile) della crisi, come si è
modificato il modal split dei cittadini italiani? La domanda, come si intuisce, è
alimentata da un distinto retropensiero (del quale si è discusso a fondo già nel
Rapporto dello scorso anno): la crisi dovrebbe aver indotto gli italiani a rinunciare
all’auto, troppo costosa, per rivolgersi a soluzioni alternative come il treno,
l’autobus, la bicicletta.
Ora, se si deve trarre un bilancio sul modal split nell’ultimo quinquennio, un ciclo
così profondamente segnato dalla crisi economica, dalla riduzione dei redditi
disponibili presso le famiglie e dalla conseguente compressione dei consumi,
bisogna concludere che le scelte di trasporto degli italiani sono cambiate molto
meno di quanto ci si poteva attendere, ed anzi le modifiche più profonde vanno nel
segno opposto di quello presunto (e auspicato).
In particolare, proprio nel 2013, nell’anno come si è visto della ripresa della
domanda di mobilità degli italiani, le soluzioni di trasporto alternative all’automobile
hanno registrato una piccola, ma molto significativa, battuta d’arresto.
Considerando il volume complessivo degli spostamenti (i successi paragrafi saranno
invece dedicati ad un’analisi di dettaglio delle due componenti, urbana ed extraurbana, della mobilità) il trasporto non motorizzato ha subito un’ulteriore erosione
della propria quota modale - in declino ormai da diversi anni -, scendendo al
17,1% del totale delle percorrenze (Tab. 6). In particolare sono i tragitti a piedi
che cedono oltre un punto di share, in buona parte compensato dalla ripresa della
bicicletta. Allo stesso tempo il trasporto pubblico nel suo insieme (gomma-ferro;
breve-media-lunga percorrenza) registra nel 2013 una diminuzione dei passeggeri
nell’ordine del -1,9% (circa mezzo milione in meno nel giorno medio feriale) e la
sua quota modale riferita ai soli mezzi motorizzati scende al 13,6%, dal 14,3% del
2012, interrompendo una striscia positiva che proseguiva dal 2007 (con un’unica
pausa nel 2009) (Tabb. 7 e 8). Viceversa, l’automobile nel 2013 torna a
guadagnare mercato, sia in valore assoluto (+4,1% di passeggeri), sia nella quota
modale motorizzata (dall’82% del 2012 all’82,7% del 2013).
10
Tab. 6 – Distribuzione % degli spostamenti non motorizzati per mezzi di
trasporto – Totale Italia
A piedi
In bicicletta
Totale mobilità non motorizzata
Totale mobilità motorizzata
Totale
2013
2012
2008
13,8
3,1
16,9
83,1
14,9
2,3
17,2
82,8
17,5
3,6
21,1
79,9
100,0
100,0
100,0
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 7 – Distribuzione % degli spostamenti motorizzati per mezzi di
trasporto – Totale Italia
Auto
Moto
Mezzi pubblici
Totale
2013
2012
2008
82,7
3,7
13,6
82,0
3,8
14,3
81,4
5,7
12,9
100,0
100,0
100,0
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 8 – Dinamica degli spostamenti con mezzo pubblico e in auto (var.
% e variazioni valori assoluti) – Totale Italia
Var. 2008-2013
Valori assoluti
Var. %
(in milioni)
Var. %
2012-2013
Auto
Mezzi pubblici
+4,1
-1,9
-16,3
-13,4
-13,3
-1,8
Totale spostamenti
(motorizzati e non)
+2,7
-21,8
-28,0
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Insomma, è stato sufficiente un anno di (timida) ripresa della domanda per
invertire il trend di recupero, in verità molto parziale, che soprattutto il trasporto
pubblico sembrava aver innescato. E nel bilancio dell’ultimo quinquennio, i numeri
per la mobilità sostenibile sono tutt’altro che positivi: il ciclopedonale perde oltre 3
punti percentuali di quota modale complessiva (dal 21,1% del 2008 al 16,9% del
2013), mentre il trasporto pubblico guadagna solo lo 0,7% del mercato della
mobilità motorizzata. Paradossalmente, l’automobile riesce a rafforzare la
percentuale già dominante di spostamenti serviti, a scapito in particolare della
moto, portandosi all’82,7% (81,4% nel 2008). Certo, guardando alle variazioni
degli spostamenti, l’automobile perde in 5 anni il 16% dei passeggeri, con una
11
caduta in valore assoluto di oltre 13 milioni di viaggi nel giorno medio feriale. E’
vero quindi che le “quattro ruote” hanno vissuto un periodo di forte crisi,
confermata dai dati sul calo dei consumi di carburante, delle immatricolazioni di
nuove autovetture, dei traffico in generale (urbano ed extra-urbano). Tuttavia, le
alternative sostenibili di mobilità non hanno sostituito l’automobile, anzi hanno a
loro volta ridotto gli spostamenti serviti. Semplicemente i volumi di domanda si
sono contratti, probabilmente in modo strutturale, e più o meno in proporzione
tutti i mezzi di trasporto hanno perso passeggeri.
Il tempo della crisi, dunque, non ha prodotto effetti tangibili di riposizionamento
degli stili di mobilità dei cittadini. E l’affacciarsi della ripresa lascia prevedere che la
finestra di opportunità per il trasporto pubblico e per la mobilità sostenibile, in
assenza di politiche forte di sostegno (peraltro mai messe in campo in questi anni),
si possa chiudere definitivamente. Per ciò che riguarda i mezzi non motorizzati, c’è
una tendenza strutturale al declino che sembra derivare soprattutto dagli effetti
progressivi dei processi di dispersione territoriale del tessuto residenziale e di
espansione sregolata delle aree metropolitane, con il conseguente allungamento
delle percorrenze e una minore capacità “di presa” di mercato da parte dei vettori
senza motore (il tragitto a piedi è necessariamente di prossimità, quello in
bicicletta non può spingersi troppo oltre il breve raggio).
Per il trasporto pubblico la questione è più complessa. Come è stato ampiamente
sottolineato nelle analisi proposte negli anni passati, diversi fattori di contesto hanno
giocato a sfavore della mobilità collettiva: le perduranti incertezze del quadro
normativo e regolatorio, i tagli al settore per i servizi e per gli investimenti, dal lato
aziendale l’aumento dei costi dei fattori di produzione (lavoro, materie prime,
servizi…) che ha creato tensioni economiche e finanziarie nella gestione vanificando
gli sforzi prodotti, insufficienti a dire il vero, per recuperare efficienza. A ciò si
aggiungono la debolezza delle politiche nazionali e locali “di sistema” per promuovere
modelli di mobilità più sostenibili alle diverse scale, e da ultimo gli aumenti tariffari
generalizzati che in assenza di miglioramenti tangibili dei servizi offerti non hanno
favorito il miglioramento dell’immagine del trasporto pubblico presso la platea di
utenti attuali e potenziali. Un insieme di concause, insomma, che nel corso degli
ultimi anni non hanno messo il settore nelle condizioni ottimali per intercettare il calo
di domanda del trasporto individuale. Alla fine i consumi si sono assestati su livelli
molto più bassi, senza avviare percorsi significativi di riequilibrio modale.
Accanto a questo scenario, per lo più noto e largamente analizzato, c’è un ulteriore
profondo fattore strutturale di debolezza della mobilità collettiva, ovvero
l’incapacità di guadagnare quote di mercato in presenza di una dinamica positiva
della domanda. Tale meccanismo deriva da una caratteristica specifica dello stile di
mobilità dei cittadini italiani, ovvero l’atteggiamento di forte preferenza per il
mezzo individuale (l’auto in particolare) a cui fa da contraltare un’immagine di
residualità e marginalità che viene assegnata al trasporto pubblico.
La scarsa oggettiva qualità dei servizi di trasporto pubblico, per l’infinita serie di
ragioni endogene ed esogene al sistema di offerta, accresciuta dalla cattiva
reputazione che il settore gode (in particolare nei territori e nelle città del CentroSud), rende di fatto poco appetibile, quasi a prescindere da valutazioni ponderate
di costo e di comodità, una soluzione di trasporto organizzata attorno al vettore
12
collettivo. Di conseguenza, quando nelle famiglie non prevale la necessità di
riduzione dei costi di trasporto (e quindi di minor utilizzo dell’auto, anche in
concomitanza con l’aumento del prezzo della benzina) l’opzione largamente
praticata è quella del mezzo individuale. Se poi riprendono i consumi di mobilità, e
magari si associa una diminuzione del prezzo dei carburanti (come è stato nel
2013, vedi Tab. 9), la quota modale della mobilità collettiva inevitabilmente
declina.
Tab. 9 – L’andamento dei prezzi del carburante (numeri indice)
Benzina
Gpl
Gasolio
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
100,0
100,0
100,0
101,1
104,1
102,5
107,6
103,8
109,9
116,7
109,8
129,7
122,9
124,7
136,0
124,2
120,5
136,0
132,0
131,1
157,1
116,1
108,1
124,7
130,4
127,3
142,1
147,0
146,9
165,8
170,8
158,5
199,3
167,1
155,1
193,7
Fonte: Elaborazioni su dati del Ministero per lo Sviluppo Economico
Il Graf. 3 rappresenta bene questa situazione. Dal 2000 al 2013 solo nel biennio
2007-2008 il trasporto pubblico ha visto crescere la propria quota modale in una
fase di espansione della domanda di mobilità. Per tutti gli altri anni, la fetta di
mercato del mezzo pubblico si allarga quando la torta complessiva (mercato della
mobilità) si restringe; in altri termini, ripiegano i consumi di trasporto (per effetto
di minori consumi generali e minore disponibilità di reddito per le famiglie) e i
cittadini, per ragioni di risparmio, tendono a prendere un po’ di più un mezzo di
trasporto pubblico. Quando la domanda risale, i cittadini tornano inevitabilmente a
viaggiare in automobile, non essendo il trasporto pubblico percepito come
alternativa strutturale per soddisfare i propri bisogni di mobilità.
Graf. 3 – L’andamento degli spostamenti motorizzati e della quota modale del
trasporto pubblico (numeri indice)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
13
Le scelte modali dei cittadini stanno dunque riallineandosi alla cifra stilistica precrisi, con un chiaro orientamento strutturale di preferenza per il mezzo individuale
(auto) e una resistenza fattuale al passaggio sistematico verso soluzioni
alternative, che siano il mezzo pubblico, rispetto al quale si avvertono carenze di
offerta, reali o presunte, o sia il mezzo non motorizzato, poco funzionale a
soddisfare esigenze di viaggio in crescente allungamento.
Il cambio di atteggiamento si legge anche nella riduzione delle misure di risposta
alla crisi economica e all’aumento del costo della benzina (che in verità non è stato
tale lo scorso anno) che i cittadini dichiarano di aver preso in considerazione e di
aver attuato concretamente nei propri comportamenti di mobilità.
Il confronto tra le indicazioni fornite nel 2012 e quelle del 2013 mostra infatti un
generalizzato decremento, seppure per quote percentuali contenute, della platea di
cittadini che si sono orientati verso queste azioni di contrasto (Graf. 4). In
particolare, la percentuale di quanti hanno pensato di utilizzare di più i mezzi
pubblici per gli spostamenti abituali è scesa dal 39% del 2012 al 35,4% del 2013;
e quanti dichiarano di aver attuato questa misura scendono dal 18,9% al 13,6%
(ed in effetti, si è visto che nel corso del 2013 il trasporto collettivo nel suo insieme
ha perso sia passeggeri che quota modale).
Graf. 4 – Azioni di risposta alla crisi economica e all’aumento del costo della benzina: %
di intervistati che hanno pensato di attuarle e, tra questi, % di intervistati che
hanno dichiarato di averle attuate (2012-2013)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
14
L’altro indicatore tradizionalmente monitorato da “Audimob” che mostra una certa
modifica dell’atteggiamento dei cittadini nel corso del 2013 riguarda la propensione
al riequilibrio modale. Come si è potuto sempre osservare negli anni passati, è
strutturalmente alta la quota di cittadini che vorrebbe usare di più il mezzo
pubblico, così come (all’inverso) è alta la quota dei cittadini che vorrebbe usare di
meno l’auto (Tab. 10).
Tab. 10 – Propensione alla modifica dei comportamenti d’uso dei mezzi di trasporto (val. %)
In prospettiva i cittadini vorrebbero….
Totale
Aumentare
Utilizzazione dell’auto
5,9
6,1
5,8
7,5
35,9
40,0
39,3
Non modificare
57,1
56,8
53,0
51,8
1,5
1,3
1,3
1,3
100,0
100,0
100,0
100,0
9,0
2,1
87,7
1,2
8,7
2,4
87,3
1,6
8,9
2,2
86,7
2,3
8,6
3,3
85,3
2,9
100,0
100,0
100,0
100,0
36,7
43,9
42,7
46,8
3,9
58,0
1,4
100,0
5,0
50,3
0,8
100,0
4,2
51,8
1,4
6,3
45,7
1,2
-29,6
29,8
100,0
-34,2
100,0
-31,8
+6,9
+6,3
+6,7
+5,3
+32,8
+38,9
+38,5
+40,5
62,4
68,7
72,7
72,3
Aumentare
Diminuire
Non modificare
Non sa
Totale
Aumentare
Saldo “aumentare”–
“diminuire”
Diminuire
Non modificare
Non sa
Totale
Utilizzazione dell’auto
Utilizzazione di
moto/ciclomotore
Utilizzazione di mezzi pubblici
Indice complessivo di
propensione al cambio
modale(*)
(*)
2012
Grandi città
35,5
Totale
Utilizzazione di mezzi
pubblici
Totale
Diminuire
Non sa
Utilizzazione di
moto/ciclomotore
2013
Grandi città
L’indice è calcolato sommando la quota di chi vuole incrementare l’uso del trasporto pubblico e di chi vuole
diminuire l’uso dell’auto a cui si sottraggono le quote di chi vuole diminuire l’uso del trasporto pubblico e di chi
vuole aumentare l’uso dell’auto. L’indice può quindi variare tra -200 e +200; tra -200 e 0 si determina un cambio
modale a favore dell’auto, tra 0 e +200 un cambio modale a favore del mezzo pubblico.
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Ebbene, nel 2013 questa forbice si è un po’ ristretta. La percentuale di intervistati
che vorrebbe usare di più il mezzo pubblico diminuisce dal 42,7% del 2012 al
36,7% del 2013 (più contenuto il decremento nelle sole grandi città), mentre la
percentuale di quanti vorrebbero usare di meno l’automobile è scesa dal 40% al
35,5%. Per effetto di questa duplice dinamica, l’indice complessivo di propensione
al cambio modale scende da 72,7 a 68,7 (in scala tra -200 e +200).
15
La propensione al cambio modale resta quindi largamente positiva, ma è chiaro
che anche dal fronte dei desiderata dei cittadini, dove l’orientamento verso il
trasporto pubblico è sempre stato forte e crescente - altra questione sono poi i
comportamenti effettivi che fanno seguito a questa sorta di “dichiarazione di
principio” -, arriva un segnale di inversione di tendenza, coerente con lo scenario
che pericolosamente va a tratteggiarsi: con l’aspettativa di uscita dalla crisi si
affievolisce la voglia di trasporto pubblico e di mobilità sostenibile dei cittadini.
2.2. Meno trasporto pubblico negli
spostamenti urbani
In questo paragrafo si approfondisce l’analisi delle ripartizioni modali nell’ampio
segmento della mobilità urbana. Nel successivo paragrafo l’approfondimento sarà
dedicato alla mobilità extra-urbana.
Come di consueto, concentriamo inizialmente l’analisi sulla quota maggioritaria dei
soli spostamenti motorizzati (escludendo quindi la componente ciclopedonale),
tradizionalmente tripartiti in mezzi pubblici (autobus, tram, metropolitana, treno
suburbano, altri mezzi a guida vincolata ecc.), automobile e moto. Nel suo insieme
il volume di spostamenti generato dai mezzi motorizzati si è attestato nel 2013, per
la componente urbana, a quasi 43 milioni (giorno medio feriale) in leggera ripresa
nell’ultimo anno (+1,6%) (Tab. 11). Rispetto al 2008 il calo della domanda di
mobilità urbana soddisfatta dai mezzi motorizzati resta tuttavia molto vistoso: -11,1
milioni di spostamenti, pari ad un decremento nell’ordine del 20%.
Tab. 11 - La dinamica degli spostamenti per mezzi di trasporto
motorizzati nella mobilità urbana (valori assoluti nel giorno
medio feriale)
Mezzi pubblici
Mezzi privati (auto)
Motociclo/Ciclomotore
Totale spostamenti motorizzati
2013
2012
2011
2008
Var. assoluta
2008-2013
5,5
6,4
6,8
6,8
-1,3
35,2
33,6
40,1
42,8
-7,6
2,0
2,2
3,6
4,3
-2,3
42,8
42,1
50,5
53,9
-11,1
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Guardando alle singole modalità di trasporto, l’automobile ha registrato nel 2013
una più significativa inversione di tendenza, salendo a 35,2 milioni di spostamenti
rispetto ai 33,6 del 2012 (quasi il 5% in più). Nel confronto con il 2008, la
diminuzione della domanda per le “quattro ruote” è quantificabile in 7,6 milioni di
viaggi in meno (-17,7%). Nonostante questo notevole calo in valore assoluto, la
quota modale dell’automobile si è addirittura rafforzata negli anni della crisi, per
effetto esclusivo del significativo recupero dell’ultimo anno, passando dal 79,5%
del 2008 all’82,4% del 2013 (Tab. 12).
16
Tab. 12 - La ripartizione degli spostamenti per mezzi di trasporto
motorizzati nella mobilità urbana (val. %)
2013
2012
2011
Mezzi pubblici
12,8
15,1
13,5
12,6
Mezzi privati (auto)
82,4
79,7
79,4
79,5
4,8
5,2
7,1
8,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Motociclo/Ciclomotore
Totale spostamenti motorizzati
2008
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Quanto al mezzo pubblico in ambito urbano, il 2013 è stato un anno
particolarmente negativo: si è registrata infatti una perdita di quasi 1 milione di
passeggeri nel giorno medio feriale e lo share modale è sceso di oltre due punti
percentuali (dal 15,1% del 2012 al 12,8% del 2013). La battuta d’arresto
verificatasi nel 2013 interrompe un trend positivo (in termini di quota di mercato
nel trasporto motorizzato) che per la mobilità collettiva proseguiva quasi senza
interruzione dal 2006. In quell’anno il peso del trasporto pubblico ha toccato il
punto più basso dell’intera serie storica di “Audimob” (cioè dal 2000), con una
quota pari al 10% (Graf. 5). Negli anni successivi si è assistito ad un progressivo
incremento della fetta di mercato della mobilità collettiva, fino a superare l’asticella
del 15% nel 2012. Il brusco arresto nel 2013 riporta quindi la quota modale al
livello del 2008. E’ evidente che la diffusa diminuzione dei livelli di offerta dei
servizi per effetto dei tagli dei finanziamenti al settore ha contribuito a determinare
l’arretramento del trasporto pubblico nel mercato della mobilità urbana.
Graf. 5 – La quota di mercato del trasporto pubblico mobilità urbana
(quote % spostamenti motorizzati)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
17
Sul fronte dei mezzi privati, è l’automobile ad assorbire per intero la quota in uscita
dal trasporto collettivo: il peso delle “quattro ruote” nel trasporto urbano
motorizzato risale abbondantemente sopra l’80% (82,4%) dimostrando una
capacità di attrazione formidabile che si esalta nel momento in cui alcuni segnali
congiunturali favorevoli (per quanto timidi) si riaffacciano nel mercato (ripresa della
domanda di mobilità, calo del prezzo della benzina). Quanto alla moto, la
percentuale di spostamenti serviti si mantiene grossomodo attorno al 5%
complessivo.
Come spesso accaduto negli anni passati, anche nel 2013 la tendenza generale
della dinamica del trasporto pubblico tende ad articolarsi in modo differenziato nei
contesti urbani. In particolare, come si evince dal Graf. 6, la mobilità collettiva ha
“tenuto” molto meglio nelle grandi e nelle piccole città rispetto ai centri medi. Lo
split modale nei comuni con oltre 250mila abitanti evidenzia nel 2013 una quota
dei mezzi di trasporto pubblico ben salda sopra il 30% (per la precisione: 31,2%,
mezzo punto in meno rispetto al 2012), senza invertire quindi la tendenza al
consolidamento che si è avviata a partire dal 2007 (27,4% lo share del trasporto
pubblico nelle grandi città in quell’anno).
Graf. 6 – Il mercato urbano dei mezzi di trasporto nell’ultimo biennio
(quote % spostamenti motorizzati)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
18
Allo stesso tempo, è cresciuto il peso del trasporto pubblico nei comuni con meno
di 100mila abitanti, risalendo al 3,9% (3,3% nel 2012). E’ un livello che conferma
tuttavia la completa marginalità dei servizi di mobilità collettiva nei territori dispersi
del Paese; e conferma, in senso opposto, lo strabordante dominio dell’automobile
(share ben superiore al 90%).
La grande nota dolente, che meriterebbe un approfondimento analitico, riguarda
invece le medie città (100-250mila abitanti), dove la stima “Audimob” per il
trasporto pubblico segnala una caduta della quota modale di ben 5 punti
percentuali (dal 15,4% del 2012 al 10,1% del 2013). E’ vero che il 2012 era stato
un anno eccezionalmente positivo la mobilità collettiva nelle medie aree urbane – e
l’errore statistico può spiegare in parte questa variabilità -, tuttavia guardando alla
serie storica il 10% registrato nel 2013 riporta “le lancette” del trasporto pubblico
al 2010, vanificando un triennio di intensa crescita. Tante medie città del nostro
Paese, soprattutto nel Centro-Nord, si sono peraltro distinte almeno da 10 anni a
questa parte per il tentativo di promuovere modelli di mobilità urbana più
sostenibili, innovativi, smart, nell’ambito dei quali un ruolo significativo è stato
riconosciuto al trasporto pubblico. Il forte segnale di arretramento nel 2013,
soprattutto se dovesse consolidarsi nei prossimi anni, rappresenta quindi una
preoccupante inversione di un percorso virtuoso diffusamente intrapreso (e con
risultati in molti casi positivi). Ed è l’automobile a beneficiare del forte calo del
trasporto pubblico nelle medie città: per le “quattro ruote” la quota modale sale
all’83% contro il 77% del 2012. Da segnalare infine che anche la moto cede un
punto percentuale di mercato, attestandosi al 6,7%.
Per ciò che riguarda gli andamenti nelle circoscrizioni territoriali, come nel 2012 le
dinamiche registrate sono all’insegna di una certa omogeneità seppure di segno
opposto: allora si evidenziò una sostanziale diffusa avanzata del trasporto pubblico,
nel 2013 – con l’eccezione del Sud – si registra un diffuso arretramento.
Come di consueto, qualche commento di maggiore dettaglio (Graf. 7):
-
nel Nord-Ovest, dove storicamente il peso della mobilità pubblica a scala
urbana è il più alto, il trasporto pubblico segna un calo di ben 4 punti
percentuali, con una quota modale che scende sotto il 20% (19,6%). Perde
terreno anche la moto (dal 5,4% al 3,8%) mentre è fortissima la risalita
dell’automobile (dal 70,9% al 76,6%). Il Nord-Ovest resta ampiamente la
circoscrizione a maggior intensità d’uso del trasporto pubblico, tuttavia la
misura della battuta d’arresto sperimentata nel 2013 è veramente cospicua;
-
nelle regioni nordorientali, la distribuzione modale si è “mossa” di meno
rispetto al Nod-Ovest. Diminuisce il peso del trasporto pubblico ma di solo un
punto e mezzo percentuale, diminuzione che si è equamente ripartita a
beneficio di auto e moto. Resta tuttavia da sottolineare la ripartizione molto
squilibrata nell’uso dei mezzi di trasporto motorizzati che storicamente si
registra nel Nord-Est, con la quota modale dell’auto superiore alll’80% e quella
del mezzo pubblico ferma ad appena il 12,8%. Come evidenziato nei Rapporti
precedenti, nelle regioni nordorientali del Paese l’assenza di aree metropolitane
ad altissima densità urbana favorisce l’uso delle “quattro ruote”, mentre tra i
mezzi alternativi all’auto è storicamente molto alta l’attenzione per la bicicletta;
19
-
nel Centro Italia si registra in proporzione il ripiegamento più forte del
trasporto pubblico che come nel Nord-Ovest perde 4 punti percentuali di quota
modale, ma partendo da una base molto meno ampia: la fetta del trasporto
pubblico scende infatti di quasi un terzo, passando dal 17,6% del 2012 al
13,7% del 2013. Poderoso, per converso, il balzo in avanti dell’automobile (dal
75% all’80,8%);
-
infine, al Sud e nelle Isole la dinamica della distribuzione modale è stata molto
contenuta, similmente a quanto accaduto nel Nord-Est. E’ l’unica circoscrizione,
infatti, dove il trasporto pubblico mantiene le proprie posizioni (attorno
all’8,5% della mobilità motorizzata). Non va tuttavia dimenticato che il dato di
partenza mostra al Sud una forte debolezza strutturale del trasporto pubblico
urbano nel catturare mercato e conseguentemente un forte squilibrio a favore
dell’automobile, che sfiora il 90% di quota modale. Da un paio di anni a questa
parte si scorgono comunque segnali, ancorché molto lievi, di recupero del
trasporto collettivo nelle aree urbane meridionali.
Graf. 7 – La ripartizione del mercato urbano dei mezzi di trasporto
motorizzati per circoscrizione territoriale
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
20
Per ciò che riguarda il dato sulla ripartizione tra “gomma” e “ferro” (metropolitana,
tram, treno suburbano, altri sistemi a guida vincolata) nel trasporto pubblico
urbano nel 2013 si è registrata una ripresa dell’incidenza del “ferro” sul totale della
mobilità collettiva, sia nel complesso delle città con oltre 100mila abitanti, sia in
riferimento alle sole grandi città (Graf. 8). Il peso della rotaia si riallinea
sostanzialmente ai livelli del 2011 (37,3% nel totale, 41,6% nelle grandi città) e
riprende quindi un trend di crescita che seppure con molte discontinuità ha portato
l’incidenza del trasporto su rotaia a crescere di 10 punti percentuali nelle medie e
grandi città italiane tra il 2005 e il 2013. Una tendenza quindi ad “inseguire” il
modello delle città europee, dove la vera spina dorsale del trasporto collettivo
urbano è rappresentato dalle reti tranviarie, metropolitane e ferroviarie, ma con
grandi divari ancora da colmare, a causa delle incerte politiche di investimento e di
concreta realizzazione delle infrastrutture su rotaia necessarie per le nostre città.
Graf. 8 - La ripartizione del TPL urbano tra “gomma e “ferro” (% spostamenti)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Sul
fronte
dell’intermodalità,
dimensione
tradizionalmente
monitorata
dall’Osservatorio “Audimob”, il 2013 registra per la prima volta dopo diversi anni un
arretramento della quota relativa, come si può leggere nel Graf. 9. Le combinazioni
di mezzi di trasporto per gli spostamenti sono scese negli ambiti urbani dal 4,3% del
2012 al 3,8% del 2013. Guardando alle sole città con oltre 100mila abitanti la
percentuale sale nel 2013 al 6,8%, ma anche in questo caso con una diminuzione
rispetto al 2012. Nella serie storica resta una dinamica nell’insieme di segno positivo
e che apre ampie opportunità di sviluppo per una efficace organizzazione dei sistemi
di mobilità urbana, sia integrando i soli mezzi di trasporto pubblico (gomma e ferro),
sia combinando mezzi collettivi con mezzi individuali (auto soprattutto, ma anche le
“due ruote”). Nel 2004 gli spostamenti intermodali pesavano complessivamente per
21
appena l’1,4% nel totale; nel 2012 questa percentuale era triplicata, prima di
arretrare leggermente lo scorso anno. Quanto alle sole medie e grandi città, il peso
delle combinazioni modali è passato dal 3,5% del 2004 all’8,2% del 2012 (e poi al
6,8% del 2013 come si è appena visto).
Graf. 9 – % spostamenti intermodali urbani (sul totale degli spostamenti motorizzati)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
È proprio guardando a questa dinamica molto positiva, dalla quale si desume
l’uscita dell’intermodalità da una posizione di nicchia, che il dato di ripiegamento
del 2013 assume una specifica valenza negativa. Segnala infatti una caduta di
tensione nella capacità dell’offerta del trasporto pubblico urbano di riprogrammare
l’esercizio in modo da favorire soluzioni combinate più vantaggiose sul piano
economico e qualitativamente più adeguate (tempi di percorrenza ragionevoli,
organizzazione comoda per la gestione delle rotture di carico e per gli aspetti
tariffari). Può essere anche questo un effetto della riduzione complessiva
dell’offerta (seppure la logica vorrebbe che proprio la necessità dei tagli favorisca
un’organizzazione integrata dei servizi) che penalizza la cura degli aspetti logistici,
imprescindibili per lo sviluppo del trasporto multimodale.
Quanto ai vettori che compongono il viaggio intermodale anche nel 2013 la
combinazione “mezzo pubblico con mezzo pubblico” è dominante, con quasi il 70%
di tutte le scelte integrate di viaggio, ma è da rilevare che questa percentuale si è
abbattuta di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2012, tornando invece ai livelli
più fisiologici del 2007 (Graf. 10). La crescita della componente mista “pubblicoprivato” nella mobilità intermodale sembra essere un segnale invece
potenzialmente positivo, se non altro perché intercetta una quota maggiore di
automobilisti disponibili a lasciare il proprio mezzo almeno per una tratta
22
nell’organizzazione del proprio spostamento. E’ indubbio infatti che l’intermodalità
sia una soluzione promettente per i sistemi di mobilità, anche in ambito urbano, dal
lato dell’offerta perché razionalizza e rende meno costoso il servizio di trasporto
pubblico, e dal lato della domanda perché offre agli utenti dell’auto l’opportunità di
sperimentare il trasporto pubblico (e ovviamente se il servizio è di qualità
adeguata, la possibilità di un cambio modale sistematico è più alta).
Graf. 10 – % spostamenti urbani combinati sul totale Italia
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Come di consueto lo sguardo finale nell’analisi dei mezzi di trasporto nella mobilità
urbana è dedicato all’insieme degli spostamenti effettuati a piedi o in bicicletta.
In valori assoluti la mobilità non motorizzata nelle aree urbane ha registrato nel
2013 un volume di spostamenti del tutto simile a quello del 2013. Di conseguenza,
a fronte di un certo incremento della domanda di mobilità in valore percentuale la
componente più ecologica del trasporto ha perso qualche posizione, passando
nell’insieme dal 28,2% del 2012 al 27,7% del 2013 (Tab. 13). Ormai quindi poco
più di uno spostamento su quattro si effettua nelle aree urbane a piedi o in
bicicletta. E' una percentuale comunque molto superiore, come è naturale, alla
media complessiva (componente urbana e componente extra-urbana) attestata nel
2013 ad appena il 16,9% (17,2% nel 2012). Rispetto al 2008, il calo delle
percorrenze a piedi o in bicicletta è stato molto vistoso: la quota modale
complessiva degli spostamenti non motorizzati raggiungeva infatti allora il 32,8%
nelle aree urbane e il 21,1% nel totale del Paese, quindi circa 5 punti percentuali in
più rispetto al dato dello scorso anno. Sulle ragioni di questo calo si è a lungo
ragionato nel Rapporto dello scorso anno, ipotizzando in particolare l’innesco di
una combinazione perversa tra effetti di medio e lungo periodo legati alla
dispersione urbana e all’allungamento delle distanze medie percorse (processo che
23
evidentemente penalizza il corto raggio tipico della mobilità non motorizzata),
debolezza delle politiche urbane a favore della ciclopedonalità e componente
psicologica di “ripiegamento da crisi economica” che abbatte il tasso di mobilità e
la domanda di “relazionalità” di breve raggio.
Tab. 13 – La dinamica della mobilità ecologica (spostamenti a piedi o in bicicletta)
(valori %)
Quota modale spostamenti a piedi
Quota modale bicicletta
Totale quota modale degli spostamenti non motorizzati
sul totale spostamenti
2013
Totale
2012
2008
Mobilità urbana
2013
2012
2008
13,8
3,1
14,9
2,3
17,5
3,6
22,9
4,7
24,6
3,6
27,6
5,2
16,9
17,2
21,1
27,6
28,2
32,8
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Nella suddivisione tra spostamenti a piedi e spostamenti in bicicletta, nel 2013 si è
verificato un incremento della quota del pedale salita al 4,7% nelle aree urbane e
al 3,1% nel totale nazionale, dopo la battuta d’arresto del 2012 (3,6% e 2,3%
rispettivamente). Continua invece a scendere il peso della mobilità pedonale, ormai
sotto il 25% nelle aree urbane e sotto il 15% nel totale. E’ un processo questo che
va consolidandosi ormai da diversi anni, rispetto al quale appare evidente che la
ragione strutturale debba essere ricercata in un rimodellamento degli assetti
urbanistici e della conseguente nuova geografia dei poli di origine/destinazione che
dilata le distanze degli spostamenti e scoraggia o impedisce di fatto il tragitto
pedonale.
Rispetto alla dimensione delle aree urbane, la mobilità non motorizzata è cresciuta
significativamente nell’ultimo anno nelle grandi città dove si è attestata alla quota
del 28% (26% nel 2012), mentre per converso ha subito una riduzione nei centri
minori, dove tradizionalmente è più incidente (Graf. 11). Rispetto al 2008 la
percentuale di spostamenti non motorizzati è diminuita in misura significativa (circa
5 punti percentuali) nelle piccole e nelle grandi città, e ancora di più (sette punti
percentuali) nei medi centri.
Quanto alle circoscrizioni geografiche, la dinamica del 2013 sembra aver
accentuato le distanze tra i territori. Al Nord la percentuale di spostamenti a piedi o
in bicicletta è salita in misura significativa (circa 3 punti percentuali nelle regioni
nordoccidentali), mentre nelle regioni del Sud e ancora di più in quelle del Centro si
è registrata una sensibile diminuzione. Si sono così ampliati i divari già esistenti: la
quota modale della mobilità ecologica nel Nord-Ovest, pari al 35%, è doppia
rispetto al Centro Italia e di quasi 10 punti superiore a quella del Sud e delle Isole
(Graf. 12).
24
Graf. 11 – Il peso della mobilità urbana non motorizzata per ampiezza
demografica del comune di residenza (% spostamenti)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Graf. 12 – Il peso della mobilità urbana non motorizzata per circoscrizioni
territoriali (% spostamenti)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
25
2.3. Il quadro più incoraggiante della
mobilità extra-urbana
Continua nel 2013 la dinamica positiva del trasporto extra-urbano. Gli spostamenti
motorizzati (oltre il 98% del totale nell’extra-urbano) sono cresciuti del 4% tra il
2012 e il 2013, arrivando a sfiorare il volume complessivo di 40 milioni di viaggi nel
giorno medio feriale (Tab. 14). La vivacità della domanda nell’ultimo biennio
compensa tuttavia solo in parte la caduta registrata negli anni della crisi, a partire
in particolare dal 2008. In quell’anno gli spostamenti giornalieri complessivi fuori
dai perimetri urbani si erano attestati a 46 milioni, ovvero il 15% in più rispetto al
livello dello scorso anno.
Tab. 14 - La dinamica degli spostamenti per mezzi di trasporto motorizzati
nella mobilità extra-urbana (valori assoluti e var. %)
v.a.
2013
Mezzi pubblici
Mezzi privati (auto)
Motociclo/Ciclomotore
Totale spostamenti motorizzati
v.a.
2012
v.a.
2008
var. %
2012-2013
var. %
2008-2012
5,4
4,9
6,0
+10,2
-10,0
32,7
31,9
38,5
+2,5
-15,1
1,0
0,8
1,5
+25,0
-33,3
39,1
37,6
46,0
+4,0
-15,0
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
L’andamento dei diversi mezzi di trasporto segnala dati positivi sia per i modi
collettivi che per quelli individuali. Il trasporto pubblico tuttavia ha mostrato nel
2013 una spinta maggiore rispetto all’automobile: i passeggeri saliti su uno dei
mezzi collettivi utilizzati per destinazioni extra-urbane (pullman, treno, autobus
extraurbano, aereo…) sono aumentati in un anno del 10%, mentre quelli che
hanno utilizzato l’automobile solo del 2,5%. Molto alta anche la crescita dell’uso
della moto, ma in questo caso i volumi interessati sono relativamente modesti
(attorno al milione di viaggi giornalieri). Di conseguenza, la quota modale del
trasporto collettivo è salita nel 2013 di quasi un punto percentuale raggiungendo la
soglia del 13,9% (Tab. 15). E’ stata quindi in parte recuperata la caduta piuttosto
significativa registrata nel 2012 rispetto al 2011 (dal 14,8% al 13%) e la fetta di
mercato conquistata dai mezzi pubblici extra-urbani torna al livello del 2010,
comunque uno dei più alti registrati nella serie storica di “Audimob” (Graf. 13). I
viaggi con le “quattro ruote” restano l’opzione largamente più praticata dai cittadini
che si muovono sulle direttrici extra-urbane: un volume complessivo di 32,7 milioni
di spostamenti, pari al’83,5% del totale (84,7% nel 2012).
L’analisi per ampiezza del contesto urbano mostra una certa omogeneità del peso
del trasporto pubblico extra-urbano tra chi abita nelle piccole, medie e grandi città
(Graf. 14). La crescita della quota di utilizzo di un mezzo pubblico per le relazioni
extra-urbane è più pronunciata tra chi si muove dalle medie città (dal 10,3% degli
spostamenti nel 2008 all’11,3% nel 2012 e al 14,3% nel 2013), mentre appare
altalenante la scelta del mezzo pubblico tra i residenti nelle grandi città.
26
Tab. 15 - La ripartizione degli spostamenti per mezzi di trasporto
motorizzati nella mobilità extraurbana (val. %)
2013
2012
2011
Mezzi pubblici
13,9
13,0
14,8
13,0
Mezzi privati (auto)
83,5
84,7
83,0
83,8
2,6
2,2
2,2
3,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Motociclo/Ciclomotore
Totale spostamenti motorizzati
2008
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Graf. 13 – La quota di mercato del trasporto pubblico mobilità extraurbana (quote % spostamenti motorizzati)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
27
Graf. 14 – Il peso del trasporto pubblico extra-urbano
per ampiezza del comune di residenza
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
La ripartizione dei mezzi di trasporto extra-urbani per circoscrizione territoriale
evidenzia, nella dinamica dell’ultimo anno, alcune distonie rispetto all’andamento
medio nazionale (Graf. 15):
-
il Nord-Ovest mostra il profilo, statico e dinamico, più vicino alla media
nazionale: la quota modale del trasporto pubblico raggiunge infatti nel 2013 il
14,1% (in linea quindi con il dato generale) con una crescita di quasi un punto
percentuale rispetto al 2012 (esattamente il margine di incremento registrato a
livello nazionale); infine, come nel valor medio nazionale la crescita dello split
modale della mobilità collettiva extra-urbana è andata interamente a scapito
dell’automobile, che tuttavia mantiene saldissimo il dominio del mercato
(83,8% di viaggi serviti);
-
nel Nord-Est le “quattro ruote” cedono nel 2013 una quota più significativa di
mercato (3,5 punti percentuali), partendo tuttavia da un livello ancora più alto
rispetto a quello delle regioni nordoccidentali (87,3% nel 2012), a beneficio sia
del trasporto pubblico, che raggiunge l’11,4%, sia soprattutto della moto
(4,7%);
-
nelle regioni del Centro Italia, il peso dell’area metropolitana di Roma con la
sua straordinaria forza centripeta fa lievitare strutturalmente, nonostante i noti
limiti del servizio di trasporto pubblico di penetrazione nella Capitale (sia
gomma che ferro), il peso della mobilità collettiva extra-urbana, la cui quota di
mercato si attesta nel 2013 al 17,3%, in leggera diminuzione rispetto al 2012;
28
l’automobile mantiene una posizione dominante con l’80% di spostamenti (è
tuttavia il livello più basso, si fa per dire, tra le quattro circoscrizioni
territoriali);
-
al Sud e nelle Isole infine, il trasporto pubblico raggiunge il 13,6% di quota
modale con una crescita di un punto percentuale rispetto al 2012; va osservato
che è un valore simile a quello delle regioni nordoccidentali, a differenza di
quanto si riscontra nella mobilità urbana dove emerge un divario amplissimo di
attrazione di passeggeri tra regioni del Sud e regioni del Centro-Nord (NordOvest in particolare).
Graf. 15 – La ripartizione del mercato dei mezzi di trasporto extra-urbani
motorizzati per circoscrizione territoriale
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Passando ora al monitoraggio della ripartizione della domanda di trasporto pubblico
tra modalità “gomma” e modalità “ferro”, è da segnalare nel 2013 una crescita
della quota dei sistemi ferroviari, che hanno assorbito il 44,4% di tutti i viaggi
extra-urbani effettuati con mezzi collettivi (41,8% nel 2012) (Graf. 16). Il peso del
trasporto su rotaia è di conseguenza molto rilevante nelle direttrici extra-urbane,
ed in tendenziale crescita negli anni seppure la dinamica non sia né
particolarmente pronunciata (a differenza di quanto accade nella mobilità urbana),
né continua.
29
Graf. 16 - La ripartizione del TPL extra-urbano tra
“gomma” e “ferro” (% spostamenti)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Infine, uno sguardo alla componente intermodale della domanda di mobilità extraurbana.
Nel 2013, secondo le stime dell’Osservatorio “Audimob” la quota complessiva di
viaggi extra-urbani effettuati utilizzando più di un mezzo di trasporto sono stati il
6,4% del totale (quasi il doppio rispetto a quanto registrato in ambito urbano), un
valore sostanzialmente allineato a quello del 2012 e rimasto stabile dal 2007 (con
l’eccezione di una certa crescita nel 2010 e nel 2011) (Graf. 17).
Graf. 17 – % spostamenti intermodali extra-urbani (sul totale degli
spostamenti motorizzati – totale Italia)
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
30
Nella ripartizione tra combinazioni con soli mezzi pubblici e combinazioni che
utilizzano sia mezzi collettivi che mezzi individuali, prevale l’integrazione pubblicoprivato con il 60,5% degli spostamenti intermodali (37,7% le combinazioni
“pubblico-pubblico” mentre del tutto residue, inferiori al 2%, le combinazioni
“privato-privato”) (Graf. 18). Questa percentuale si mantiene stabile negli anni.
Graf. 18 – % spostamenti extra-urbani combinati sul
totale Italia
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
È da sottolineare che il medesimo dato elaborato per la mobilità urbana
evidenziava un’inversione dei valori, con una larga prevalenza delle combinazioni di
trasporto tra soli mezzi pubblici. E’ una differenza del tutto coerente con
un’organizzazione delle soluzioni di trasporto intermodali che nell’ambito urbano
sfruttano il potenziale delle reti di servizio pubblico (“gomma” e, quando presente,
“ferro”), disposte a copertura dell’intero territorio della città, mentre nelle relazioni
extra-urbane sfruttano le linee di penetrazione verso i poli urbani di
attrazione/generazione della domanda di spostamento, rispetto ai quali sono
possibili (e da potenziare) le adduzioni sia con i mezzi pubblici (oggi non così
frequenti per una certa strutturale scarsità del servizio di questo tipo), sia con
quelli privati (parcheggi e nodi di scambio per le auto, le morto, le biciclette).
31
3.
Ancora stabile il fronte della qualità
percepita dei servizi
La qualità percepita dei diversi mezzi di trasporto mostra negli ultimi anni una
stabilità per certi versi sorprendente. La crisi economica e il conseguente profondo
rimodellamento di stili e comportamenti di mobilità dei cittadini avrebbero infatti
potuto modificare almeno il livello percettivo di soddisfazione per le soluzioni di
trasporto adottate. Così non sembra essere successo e già nei Rapporti degli ultimi
anni si è dato conto di questa sostanziale “linea piatta”, su cui torna a focalizzarsi il
commento anche questo anno, pur nello sforzo di esplicitare qualche modulazione
di rilievo.
Nella cornice di continuità delle dinamiche di soddisfazione per i mezzi di trasporto,
il primo dato che emerge ad uno sguardo di insieme per il 2013 è la (naturale)
conferma degli ampi divari registrati tra qualità percepita del viaggio con un mezzo
individuale rispetto al mezzo collettivo (Tab. 16).
Tab. 16 - Indici di soddisfazione per i diversi mezzi di trasporto (punteggi medi 1-10)(*)
2013(**)
Grandi città
Totale
Moto, ciclomotore, scooter
Automobile
Bicicletta
Metropolitana
Pullman, autobus
extraurbano
Treno locale
Autobus, tram
(*)
2012
Grandi città
Totale
2008
Grandi città
Totale
8,8
7,4
7,9
7,3
8,4
8,2
8,4
7,6
8,4
7,5
7,9
7,5
8,4
8,1
8,4
7,5
8,7
7,2
8,2
7,3
8,4
7,8
8,2
7,3
6,3
6,6
6,5
6,6
6,3
6,5
6,0
5,7
6,0
6,2
6,2
5,7
6,1
6,1
6,2
5,7
6,0
6,0
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Infatti, i tre modi di trasporto individuali (moto, auto e bicicletta) raccolgono
punteggi medi di soddisfazione ben superiori all’8 (in scala scolastica 1-10; la
valutazione riguarda globalmente l’uso del mezzo nei tre mesi precedenti
l’intervista), mentre tra i modi di trasporto collettivo solo la metropolitana supera il
punteggio medio di 7 gli altri tre qui considerati (pullman, treno locale,
autobus/tram) si attestano poco sopra la sufficienza.
Più in dettaglio, nel 2013 le “due ruote” sia motorizzate (moto) che non
motorizzate (bicicletta) si confermano appaiati in testa alla graduatoria dei mezzi
più apprezzati con un voto medio di 8,4, lo stesso del 2012. Se si considerano le
sole grandi città, si apre una forbice abbastanza significativa tra i due mezzi: il
32
punteggio medio della moto sale a 8,8, mentre quello della bici scende a 7,9. E’
una variazione non sorprendente come si è già avuto occasione di commentare nei
Rapporti precedenti; infatti, è soprattutto nelle aree urbane più densamente
popolate e dove il traffico è più intenso e caotico che si esaltano alcune
caratteristiche premiali della moto (capacità di muoversi flessibilmente nel traffico)
e allo stesso tempo si accentuano alcune debolezze della bici (vulnerabilità,
sicurezza, scomodità dei percorsi). L’automobile si piazza ben saldamente al terzo
posto della graduatoria assoluta, a poca distanza dai punteggi registrati dalle “due
ruote”: 8,2 come voto medio, peraltro in leggera crescita rispetto al 2012.
Ovviamente nelle grandi città, l’auto cede un po’ di percezione di qualità (7,4) per
effetto dei disagi prodotti dalla congestione urbana.
Quanto ai mezzi pubblici, dal monitoraggio effettuato lo scorso anno viene in
evidenza un profilo di risposte in linea con gli anni precedenti. I mezzi urbani di
superficie (autobus e tram) e il treno locale si attestano nel gradimento dei cittadini
utenti appena sopra la sufficienza. A voler cogliere una leggera modulazione, si
può osservare che l’autobus sale nel punteggio medio a 6,2 mentre il treno locale
scende a 6,0, aprendo quindi una piccola differenza di apprezzamento tra i due
mezzi (mentre nel biennio precedente l’allineamento era assoluto). Il leggero
miglioramento dell’autobus avviene peraltro in assenza di un parallelo
miglioramento della qualità percepita del servizio nelle grandi città (il voto medio
resta di gran lunga insufficiente, inchiodato a 5,7), vero punto di debolezza nella
segmentazione dei livelli di soddisfazione per il trasporto pubblico urbano di
superficie.
Circa gli altri mezzi pubblici di trasporto, la metropolitana conferma le eccellenti
performance registrate negli ultimi anni (è forse l’unico sistema di mobilità che
modifica, e in positivo, il proprio punteggio), con un voto medio che sale a 7,6.
Nell’extra-urbano, il pullman mantiene la sufficienza ampia a 6,6, confermando il
voto del 2012. Rispetto al 2008, il profilo della graduatoria e degli stessi singoli voti
non si è generalmente modificata con due modeste ma significative eccezioni: la
metropolitana (già ricordata) che passa da un giudizio medio complessivo di 7,3
nel 2008 ad un voto di 7,6 nel 2013, e l’automobile che passa da 7,8 a 8,2 nello
stesso periodo. Nell’insieme si può confermare la valutazione già espressa lo scorso
anno, ovvero che i segnali di riequilibrio modale a favore del trasporto pubblico
(peraltro in parte neutralizzati nel 2013, come si è visto nel paragrafo precedente)
non può “essere messo in correlazione con le variazioni percepite della qualità del
trasporto nei suoi diversi modi”. Tuttavia, in un quadro di calo della domanda
l’automobile migliora le proprie performance facendo leva su fattori congiunturali
(minore traffico), mentre il dato positivo della metropolitana sembra avere una
natura più strutturale, legata anche al confronto di competitività con gli altri mezzi
pubblici il cui servizio è percepito come nettamente meno adeguato (autobus e
treno locale).
Il passaggio successivo dell’analisi derivante dal monitoraggio della soddisfazione
percepita per i mezzi di trasporto guarda ad una diversa elaborazione dei dati
disponibili proposta in particolare per i mezzi pubblici. La Tab. 17, nello specifico,
riporta non i punteggi medi, ma le percentuali di voti positivi relativi ai mezzi di
trasporto pubblico, sia urbani (autobus, metropolitana), sia extra-urbani (treno
locale, pullman).
33
Tab. 17 – I diversi livelli di soddisfazione nell’uso dei mezzi pubblici di
trasporto urbani
2013(**)
2012
2011
2010
Autobus e tram
Metropolitana
Treno locale/regionale
67,5
87,3
62,3
65,5
87,5
64,4
66,8
88,4
65,8
63,5
86,4
66,3
Pullman/Autobus extraurbano
78,2
75,9
74,9
73,6
47,0
76,6
45,1
58,9
44,9
75,4
45,5
55,5
45,7
76,6
45,2
55,2
44,3
72,9
45,1
57,6
Autobus e tram
Metropolitana
27,8
59,6
26,4
57,0
24,3
57,2
25,8
53,4
Treno locale/regionale
Pullman/Autobus extraurbano
26,6
33,8
24,6
33,6
26,4
32,9
24,6
36,7
(*)
(% di voti 6-10)
(% di voti 7-10)(*)
Autobus e tram
Metropolitana
Treno locale/regionale
Pullman/Autobus extraurbano
(% di voti 8-10)(*)
(*)
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
I risultati dell’elaborazione, anche in questo caso coerentemente stabili negli ultimi
anni, possono essere riassunti come segue (per comodità di lettura si riportano
alcune osservazioni generali già proposte lo scorso anno):
-
la quota di utenti che possiamo definire “soddisfatti” in senso generale, ovvero
che assegnano un punteggio tra 6 e 10, è superiore al 50% per tutti i mezzi.
In dettaglio, esprimono un giudizio di sufficienza (voti da 6 a 10) 2 utenti su 3
per l’autobus/tram, quasi 4 utenti su 5 per il pullman e quasi 9 utenti su 10 per
la metropolitana. Chiude la graduatoria il treno locale con una percentuale del
62% di voti sufficienti. L’area della soddisfazione “minimale” è in leggero
aumento per l’autobus/tram: dal 63,5% del 2010 al 65,5% del 2012 fino al
67,5% registrato lo scorso anno. Una dinamica simile di costante incremento si
registra anche per il pullman e (ma meno) per la metropolitana, mentre il
treno locale evidenzia un tendenziale calo (dal 66,3% del 2010 al 62,3% del
2013);
-
ci sono poi gli utenti che possiamo definire “pienamente soddisfatti”, poiché
assegnano un punteggio di gradimento almeno di 7. Qui le percentuali
scendono, come è ovvio, bruscamente; l’autobus e il treno si attestano sotto la
soglia del 50%, il pullman scende poco sotto il 60%, la metropolitana si
mantiene invece oltre il 75%. Nel trend degli ultimi anni, il miglioramento più
cospicuo è in questo caso della metropolitana che passa dal 72,9% del 2010 al
76,6% del 2013. In crescita di un paio di punti percentuali anche l’autobus,
mentre il treno locale è stabile. La quota dei “pienamente soddisfatti”
rappresenta un’importante soglia di riferimento per la valutazione degli
34
standard prestazionali dei mezzi pubblici di trasporto; è infatti una sogliaobiettivo verso cui un servizio pubblico adeguato dovrebbe tendere e che
invece appara ancora lontana soprattutto per l’autobus e per il treno locale;
-
infine, sono state aggregate le sole quote di utenti che hanno dato giudizi di
eccellenza dei mezzi utilizzati, assegnando i tre punteggi più alti (8, 9 e 10).
Qui la punta della soddisfazione si assottiglia molto per autobus e treno
regionale (attorno o poco sopra il 25% del totale), si allarga ma non troppo
per il pullman (circa il 33%), mentre la metropolitana riesca a mantenere un
livello piuttosto buono anche quando il confronto è molto sfidante: infatti il
60% degli utenti della metropolitana assegna un punteggio di eccellenza (da 8
a 10). Da sottolineare che l’area dell’eccellenza si sta ampliando per tutti i
mezzi di trasporto pubblico, e soprattutto per la metropolitana (dal 53,4% del
2010 al 59,6% del 2013), con l’eccezione del pullman. Le valutazioni per il
trasporto extra-urbano su gomma tendono quindi a “normalizzarsi” attorno ai
valori mediani, riducendo il peso dei giudizi più negativi e di quelli più positivi.
Come di consueto, l’analisi sulla soddisfazione per i mezzi di trasporto prosegue
con l’elaborazione di alcuni significativi parametri di segmentazione, da riferire in
particolare alla mobilità collettiva.
Un primo parametro riguarda la frequenza d’uso dei diversi mezzi. Gli utenti
abituali, ovvero che fanno ricorso al mezzo almeno 3 o 4 volte a settimana, sono di
norma un pò meno soddisfatti rispetto agli utenti saltuari e nel 2013 questa forbice
si è leggermente allargata per la metropolitana, il treno locale e il pullman
(Tab. 18). Nel caso dell’autobus/tram i punteggi di soddisfazione restano invece
allineati tra utenti saltuari e utenti sistematici, così come si era registrato nel
biennio precedente.
Tab. 18 – La soddisfazione di alcuni mezzi di trasporto per frequenza
d’uso degli intervistati (punteggi 1-10)(*)
2013(**)
2012
2011
6,2
6,2
6,1
6,1
6,2
6,1
7,3
7,6
7,4
7,6
7,4
7,6
5,5
6,1
5,4
6,2
5,6
6,2
6,4
6,7
6,5
6,6
6,5
6,6
AUTOBUS/TRAM
Utenti abituali
Utenti saltuari
METROPOLITANA
Utenti abituali
Utenti saltuari
TRENO LOCALE/REGIONALE
Utenti abituali
Utenti saltuari
PULLMAN/AUTOBUS EXTRAURBANO
Utenti abituali
Utenti saltuari
(*)
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
35
Il secondo parametro di segmentazione è quello territoriale (circoscrizioni
geografiche). Guardando all’autobus, le differenze tra le aree del Paese sono
piuttosto marcate, tuttavia nel 2013 i divari si sono un po’ ridotti (a differenza di
quanto era avvenuto nel 2012) (Tab. 19). Il Nord-Est resta l’area territoriale dove
la qualità percepita del trasporto urbano di superficie è più alta, con un punteggio
medio pari a 7 (conferma il dato del 2012 e migliora quello del 2008). Sufficienza
piena per l’autobus/tram nel Nord-Ovest (anche in questo caso una conferma sul
2012 e un significativo miglioramento rispetto al 2008). Le note dolenti riguardano
il Centro Italia e soprattutto il Mezzogiorno, dove i valori medi scendono sotto la
sufficienza, fermandosi rispettivamente a 5,9 e a 5,6 (valori comunque in leggera
crescita rispetto sia al 2012 che al 2008).
Tab. 19 – La soddisfazione per i mezzi di trasporto pubblico urbano per
circoscrizione territoriale di residenza degli intervistati
(punteggi 1-10)(*)
Metropolitana
Autobus e tram
2013(**)
2012
2008
2013(**)
2012
2008
Nord-Ovest
6,6
6,6
6,3
8,2
8,0
7,6
Nord-Est
7,0
7,0
6,8
-
-
-
Centro
5,9
5,7
5,5
6,9
7,1
7,0
Sud e Isole
5,6
5,5
5,5
7,3
7,3
7,1
Totale
6,2
6,1
6,0
7,6
7,6
7,3
(*)
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Per la metropolitana, una riconosciuta eccellenza si registra nelle città del NordOvest, dove il punteggio medio supera l’8 ed espone una significativa crescita
rispetto al 2008 (da 7,6 a 8,2). Molto meno brillante, pur rimanendo buona, la
percezione di qualità della metropolitana nel Centro Italia (Roma) con uno
scivolamento al voto medio di 6,9 (dal 7,1 del 2012) e anche al Sud (Napoli) dove
tuttavia la valutazione media resta ben superiore al 7.
Quanto ai mezzi pubblici extra-urbani, il 2013 evidenzia per il treno locale qualche
significativa novità rispetto al 2012 (Tab. 20). Infatti, il Nord-Ovest con il
punteggio medio di 5,8 perde quasi mezzo punto di valutazione e scende in fondo
alla graduatoria delle circoscrizioni. Il Nord-Est all’opposto, dove nel 2012 i giudizi
sul trasporto ferroviario locale si attestavano attorno alla sufficienza, ha invece
evidenziato un netto miglioramento della qualità percepita del servizio, con un
gradimento medio che dal 6 sale al 6,4. In leggero peggioramento la soddisfazione
per il treno locale espressa dagli utenti delle regioni meridionali, con un punteggio
medio che resta tuttavia sulla soglia della sufficienza.
36
Tab. 20 – La soddisfazione per i mezzi di trasporto pubblico extraurbano per circoscrizione territoriale di residenza degli
intervistati (punteggi 1-10)(*)
Treno locale/regionale
Pullman/Autobus extraurbano
(**)
2013
2012
2008
(**)
2013
2012
2008
5,9
Nord-Ovest
7,0
6,7
6,5
5,8
6,2
Nord-Est
6,8
6,8
7,1
6,4
6,0
6,3
Centro
6,5
6,2
6,4
5,9
5,8
6,1
Sud e Isole
6,5
6,6
6,4
6,0
6,2
5,9
Totale
6,6
6,6
6,5
6,0
6,1
6,0
(*)
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Nel caso del pullman, è da sottolineare la forte e costante crescita del livello di
soddisfazione registrato nelle regioni del Nord-Ovest (dal 6,5 del 2008 al 7 del
2013), mentre un leggero arretramento sembra interessare l’area del Nord-Est (da
7,1 a 6,8 nello stesso periodo). Stabili attorno al 6,5 i punteggi di qualità percepita
registrati nel Centro-Sud.
Per il solo autobus/tram viene proposta, come negli anni passati, un’analisi di
segmentazione relativa alle caratteristiche socioanagrafiche degli utenti. Come si
vede dalla Tab. 21, uno scostamento significativo tra il 2012 e il 2013 riguarda la
fascia d’età 30-45 anni dove si registra una crescita della soddisfazione da 6 a 6,4.
Trattandosi di una fascia di età a forte domanda di mobilità e normalmente
orientata verso i mezzi individuali, la variazione positiva della soddisfazione per il
trasporto urbano di superficie è di particolare interesse. Per il resto, si conferma
che gli utenti più soddisfatti sono quelli della fascia di età superiore ai 65 anni, i
pensionati, le donne e, in crescita dal 2012, le casalinghe, mentre tra i
maggiormente insoddisfatti si registrano i giovanissimi, gli studenti e i lavoratori
autonomi.
Infine, il consueto sguardo sulla velocità media percepita dei diversi mezzi di
trasporto. Come già rilevato lo scorso anno, il tendenziale allungamento medio
degli spostamenti, a fronte di un consumo di tempo di fatto stabilizzato, sta
determinando un progressivo, seppure molto graduale, incremento delle velocità
medie delle percorrenze (Tabb. 22 e 23). In particolare nel 2013 i dati relativi al
trasporto urbano evidenziano un leggero aumento della velocità media dell’auto
(29km/h) che si attesta al doppio di quella dei mezzi pubblici (15km/h, stabile
rispetto al 2012), mentre un sorprendente decremento della velocità media in
ambito urbano ha riguardato la moto (30km/h, riallineandosi ai livelli del 2011
dopo l’exploit del 2012).
Per gli spostamenti extra-urbani la crescita della velocità media è più pronunciata
per i mezzi di trasporto collettivo (da 39km/h del 2012 a 42km/h del 2013), con
una distanza molto più ridotta rispetto all’auto (48km/h) e alla moto (43km/h). Si
conferma quindi che la criticità competitiva sui tempi di percorrenza per i mezzi
collettivi di trasporto si concentra nei perimetri urbani, mentre le relazioni extraurbane, sia per la componente ferroviaria che per quella su gomma, assicura tempi
di spostamento assolutamente ragionevoli e competitivi rispetto a quelli dei mezzi
privati.
37
Tab. 21 – La soddisfazione per l’utilizzo dell’autobus/tram per profili socio
anagrafici degli intervistati (punteggi 1-10)(*)
2013(**)
2012
2011
6,1
6,3
6,1
6,1
6,2
6,1
5,8
6,4
6,2
6,6
5,9
6,0
6,1
6,6
6,0
6,0
6,1
6,6
6,1
5,9
6,0
6,5
5,9
6,5
6,0
6,0
5,8
6,2
5,9
6,5
6,0
6,2
5,7
6,2
6,0
6,5
SESSO
Uomini
Donne
ETÀ
14-29 anni
30-45 anni
46-64 anni
65 anni e oltre
CONDIZIONE PROFESSIONALE
Lavoratore dipendente
Lavoratore autonomo
Disoccupato/in cerca di prima occupazione
Casalinga
Studente
Ritirato dal lavoro
(*)
Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista
(**)
Dati da campione
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 22 – La velocità media percepita degli spostamenti urbani per mezzi
di trasporto (in km/h)
Totale
Moto, ciclomotore,
scooter
Automobile
Mezzi pubblici
2013
Grandi città
Totale
2012
Grandi città
Totale
2008
Grandi città
30
28
33
30
30
30
29
15
24
14
28
15
25
14
26
15
23
13
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
Tab. 23 – La velocità media percepita degli spostamenti extra-urbani per
mezzi di trasporto (in km/h)
Moto, ciclomotore, scooter
Automobile
Mezzi pubblici
2013
2012
2008
43
48
42
46
47
39
47
47
39
Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani
38
Parte seconda
IL MONITORAGGIO DELL’OFFERTA
IN FASE DI PERICOLOSA CONTRAZIONE
1.
Descrizione del lavoro e profili
metodologici
Il presente capitolo restituisce, come ogni anno, i risultati del monitoraggio delle
principali dinamiche economico – produttive delle aziende di trasporto pubblico
locale, monitoraggio condotto mediante l’analisi del bilancio di esercizio di un
campione di operatori.
Nello specifico, il capitolo si articola nei seguenti paragrafi:
-
profili metodologici – Il paragrafo descrive le caratteristiche del campione
selezionato, la metodologia di rilevazione e di analisi dei dati nonché le
operazioni correttive che si sono rese necessarie per garantire l’esposizione
veritiera e corretta dei dati, alla luce sia dell’introduzione di nuove unità
campionarie (extraurbano) che di esperienze di aggregazione e fusione che
rendono complessa la confrontabilità intertemporale degli indicatori
economico-produttivi;
-
i dati di produzione – Il paragrafo restituisce le dinamiche degli ultimi 11
anni dei principali dati produttivi delle unità campionarie espressi in termini di:
o
produzione chilometrica (Vetture-km);
o
passeggeri trasportati;
o
personale;
o
mezzi di trasporto;
operando un’analisi sia per area territoriale (Nord-Est, Nord Ovest, Centro, Sud e
Isole) che per dimensione delle aree urbane (Grandi, medie e piccole);
-
i dati economici – Il paragrafo conduce un’analisi, aggregata per macroarea
territoriale e per dimensione delle città, dei dati economico- contabili, ponendo
specifica attenzione sulla struttura dei ricavi, sulle tariffe, nonché sulle
tendenze evolutive dei costi della produzione;
-
le evidenze dell’analisi gestionale – Il paragrafo è finalizzato a fornire,
grazie al confronto tra costi e ricavi ed ulteriori indicatori di analisi di bilancio,
elementi di valutazione complessiva circa le performance gestionali degli
operatori di TPL.
41
La rilevazione dati è stata costruita tramite la raccolta delle informazioni effettuata
direttamente sui bilanci di esercizio delle aziende-unità campionarie. L’ultimo anno
di aggiornamento è il 2012, atteso che ad oggi non tutti i bilanci 2013 delle
aziende campionarie sono stati approvati o comunque depositati presso le Camere
di Commercio. La scelta di lavorare su dati contabili pubblici e certificati se per un
verso garantisce la certezza dell’analisi, dall’altro sconta una discrasia temporale di
un anno rispetto ai dati 2012 del precedente capitolo relativo alla domanda.
La fonti dati bilancio di esercizio, quando le relazioni alla gestione e la note
integrative non hanno fornito le informazioni necessarie e là dove si è reso
opportuno un aggiornamento al 2013 (es. tariffe, domanda di trasporto), è stata
integrata o con informazioni desunte dai siti web aziendali, o con documenti aziendali
quali carte della mobilità e bilanci di sostenibilità, oppure con indagini dirette presso
le aziende del campione
Come si evince dalle Tabb. 1 e 2 seguenti il campione selezionato riproduce con
fedeltà la struttura dell’universo in merito alla tipologia di servizio svolto, alla
distribuzione territoriale, alla classe dimensionale nonché ai parametri economicoproduttivi.
Le aziende - unità campionarie considerate, in particolare, rappresentano il 66,4%
della forza lavoro, il 60% della produzione chilometrica, addirittura oltre l’80% dei
passeggeri trasportati e il 66,4% del fatturato complessivo (Valore della
produzione).
Tab. 1 - La rappresentatività del campione (Urbano ed extraurbano Anno 2012)
Addetti
N. mezzi
Km percorsi (milioni)
Passeggeri (milioni)
Valore della Produzione
Campione
Universo
% campione su universo
67.565
27.788
1.164
4.010
5.889
101.717
45.199
1.932
5.015
8.869
66,4
61,5
60,3
80,0
66,4
Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali
Le aziende campionarie sono pari a 62 unità le quali, tenuto conto della numerosità
degli operatori nell’ambito delle quattro aree territoriali del Paese, si caratterizzano
per una buona equidistribuzione (Tab. 2).
Tab. 2 - Suddivisione del campione per area territoriale (Urbano ed
extraurbano - Anno 2012)
Area territoriale
N. aziende
Val. %
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
16
14
10
22
25,8
22,6
16,1
35,5
Totale
62
100,0
Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali
42
La Tab. 3 mette in evidenza che la ripartizione delle aziende campione per ambito
di esercizio è in linea con le caratteristiche del settore nel suo complesso, dove la
maggior parte degli operatori gestiscono servizi misti urbani ed extraurbani. Nella
classe delle aziende che svolgono servizio prevalentemente urbano vi è una quota
del 15% di chilometri prodotti nelle relazioni extraurbane.
Tab. 3 - Suddivisione del campione per ambito di esercizio (Urbano +
Extraurbano - Anno 2012)
Area territoriale
Solo urbano
Miste a prevalenza urbano
Solo extraurbano
N. aziende
13
30
19
Totale
62
Val. %
21,0
48,4
30,6
100,0
Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali
La Tab. 4 si riferisce alle sole aziende operanti in ambito urbano mostrando una
ripartizione delle aziende tra le classi dimensionali delle città coerente con la
numerosità dell’universo delle aziende del settore in relazione a tali classi.
Tab. 4 – Suddivisione del campione per dimensione città (Urbano - Anno
2012)
Area territoriale
Grandi città (oltre 250 mila abitanti)
Comuni tra 100mila e 250mila abitanti
Comuni < 100mila abitanti
Totale
N. aziende
Val. %
12
18
13
43
27,9
41,9
30,2
100,0
Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali
43
2.
I dati di produzione
Il Graf. 1 mostra una contrazione generalizzata della produzione nel settore del
trasporto pubblico locale e regionale, naturale conseguenza di un periodo
economico che si è contraddistinto per una spiccata austerità della finanza
pubblica. Dal 2009 al 2012 le risorse pubbliche per il comparto si sono ridotte del
12% (-800 milioni di Euro). A livello complessivo nazionale i livelli produttivi hanno
subito una riduzione percentuale dal 2009 al 2012 del 4,5%, vale a dire una
perdita in termini assoluti di 90 milioni di km percorsi. Ad ogni buon conto non si
può omettere che tali riduzioni, mentre in alcune aree hanno causato delle ricadute
negative sulla qualità e frequenza del servizio reso, in altre aree sono state gestite
attraverso soppressioni di alcune corse a domanda debole, riduzioni dei km fuori
servizi, eliminazione delle duplicazione e tutto ciò ha consentito in senso più ampio
una razionalizzazione della rete servita secondo principi di efficienza ed
ottimizzazione. Sotto il profilo territoriale le contrazioni più evidenti si sono
registrate nelle aree meridionali del Paese -10,6%, regioni in cui l’ondata dei tagli
di risorse è stata (e continua ad essere) più rilevate (-27% in Campania, -20% in
Sicilia). Il Nord Est ed il Centro del Paese vedono una riduzione dell’offerta km
rispettivamente del 3,4% e del 4,4%, resiste maggiormente il Nord Ovest con una
flessione del 2% riconducile sostanzialmente alla tenuta delle grandi aree
metropolitane.
L’analisi per singola unità mostra che quasi i due terzi delle aziende (61.3%) hanno
tagliato la produzione chilometrica, un terzo ha confermato gli stessi chilometri
dell’anno passato, e solo l’11% ha visto aumentare tale indicatore (Graf. 2).
In ambito prevalentemente urbano si evince, dal Graf. 3, che il livello della
produzione chilometrica dopo il balzo avvenuto negli anni 2007 e 2008,
prevalentemente ascrivibile al tentativo di rilancio del settore con l’iniezione di
risorse aggiuntive è tornato ai livelli 2005-2006. In particolare nell’ultimo triennio le
contrazioni maggiori sono state rilevate nelle città medie e medio grandi (-5,27%),
anche se non si può non sottolineare la contrazione delle grandi città con un meno
4,24%.
Il Graf. 4, nel restituire l’analisi territoriale delle dinamiche produttive in relazione
ai servizi urbani o prevalentemente urbani, mostra come la riduzioni di offerta del
Sud abbiano visto negli ultimi 11 anni una continua ed inesorabile contrazione fino
ad arrivare a -15,5% (2002-2012).
44
Graf. 1 – Dinamica delle vetture-Km erogate urbano + extra-urbano
DATO ASSOLUTO COMPLESSIVO
Quadro di sintesi
Produzione Km
complessiva
2009-2012
Percentuale
-4,50%
Assoluta
- 90 milioni di km
Nord Ovest
-2%
Nord Est
-3,4%
Centro
-4,4%
Sud e Isole
-10,8%
ANALISI TERRITORIALE (2009-2012; numeri indice)
100,0
99,9
101,9
99,8
100,0
98,0
99,7
98,8
96,6
99,9
97,6
97,6
95,5
2009
100,0
2010
100,0
Nord Ovest
99,9
2011
95,5
2012
100,0
2009
97,6 Media nazionale
99,9 2010
Nord Est
97,5
95,6
2011
2012
97,6
Media nazionale
95,5
97,3
93,6
95,5
89,4
2009
2010
Centro
2011
2012
2009
Media nazionale
2010
Sud e Isole
2011
Media nazionale
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
Graf. 2 – Dinamica delle vetture-km erogate
urbano+extra-urbano (2012; % aziende)
aumento
stabile
11,3%
27,4%
61,3%
diminuzione
Fonte: Elaborazioni ASSTRA –ANAV su dati bilanci aziendali
45
2012
Graf. 3 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo urbano e prevalentemente
urbano (2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)
120,0
114,0
113,0
115,0
110,9
110,0
106,8
105,4
105,0
102,8
99,8
100,0
100,0
98,7
99,4
95,0
106,1
106,0
101,0
101,5
99,9
100,5
102,1
101,2
99,3
100,9
98,8
101,8
85,0
2002
2003
2004
2005
2006
109,7
107,3
108,4
106,8
107,3
101,7
101,7
107,5
107,2
102,8
108,6
104,8
104,6
102,9
102,5
100,5
97,4
Analisi dimensionale
Grandi città
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
Città con meno di 100mila abitanti
MEDIA NAZIONALE
90,0
112,2
110,7
2007
2010-2012
-4,24%
-5,27%
-3,26%
-4,40%
2008
2009
2011-2012
-1,74%
-3,14%
-1,03%
-2,02%
2010
2011
Grandi città
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
Città con meno di 100mila abitanti
MEDIA NAZIONALE
2012
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
Graf. 4 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo urbano e prevalentemente
urbano (2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)
115,0
112,7
110,6
110,0
109,9
105,0
100,0
101,5
102,9
100,5
99,4
99,4 99,9
99,6
98,9
97,8
96,2
100,0
95,0
102,1
100,5
99,7
97,2
111,2
110,4
110,5
107,3
106,8
106,0
105,9
104,0
105,0
102,2
111,0
102,5
111,2
110,9 108,8
106,3
107,2
107,2
107,1
104,6
103,7
102,1
101,0
97,2
96,8
96,8
109,1
102,7
102,5
96,7
94,2
90,0
88,5
85,0
84,5
80,0
2002
2003
Centro
2004
Nord Est
2005
2006
2007
2008
Nord Ovest
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
46
2009
Sud e Isole
2010
2011
2012
MEDIA NAZIONALE
Le tendenze che si sono registrate in ambito extra-urbano sono assimilabili a
quanto avvenuto per i servizi urbani. Già nel 2010 vi è stato un lievissimo calo dello
0,3%; nel 2011 la riduzione è stata pari a -1,6%, nel 2012 il calo è più importante
fino ad arrivare al -2,85%; -4,42% complessivo nel triennio 2010-2012. Le
riduzioni si concentrano soprattutto nel Sud e Isole (Graf. 5).
Graf. 5 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo extra-urbano
(2009-2012; numeri indici; media nazionale)
102,0
100,9
101,0
100,1
100,0
100,0
100,0
99,7
99,7
99,0
98,5
97,6
97,0
95,9
96,0
Analisi territoriale
95,0
94,0
93,0
98,1
97,6
98,1
98,0
Centro
2010-2012
2011-2012
-2,82%
-1,85%
Nord Est
-2,62%
-1,59%
Nord Ovest
-2,50%
-0,98%
Sud e Isole
-6,64%
-4,55%
MEDIA NAZIONALE
-4,42%
-2,85%
95,3
94,9
93,4
93,1
92,0
2009
Centro
2010
Nord Est
2011
Nord Ovest
Sud e Isole
2012
Media nazionale
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
Anche nel 2012 la domanda di trasporto pubblico locale, definita nella presente
analisi in termini di passeggeri trasportati, si registra a livello medio nazionale
un’importante flessione pari -3,25% (Graf. 6). In termini assoluti nel quadriennio
2009-2012 vi è stata una flessione di 125 milioni di viaggi. Al fine di rendere
omogenee le due rilevazioni si è proceduto ad operare un aggiornamento al 2013
su sottocampione di operatori, dal quale si evince un’ulteriore riduzione della
domanda rispetto all’anno precedente(2012) del – 4,2%.
Non si può nascondere che la riduzione della domanda è figlia di un contesto
generale economico di un Paese in crisi, ma altrettanto, come si è rilevato in
diverse relazioni gestionali allegati ai bilancio di esercizio, l’ondata dei tagli oltre a
produrre utili razionalizzazioni ed ottimizzazione dei programmi di esercizio ha
anche determinato eliminazioni di corse caratterizzate da buona frequentazione e
un continuo calo della qualità dei servizi.
Nel triennio 2010-2012, vale a dire nel periodo in cui sono state avviate le politiche
di austerità della finanza pubblica, la contrazione è stata pari al -5%
A livello territoriale sono il Centro in primis e il Sud poi i contesti in cui la riduzione
è stata più marcata. Si registra, invece, una tenuta del Nord Ovest, grazie anche
alle grandi aree metropolitane.
47
Graf. 6 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano + extra-urbano
(2009-2012; numeri indici; analisi territoriale)
DATO ASSOLUTO COMPLESSIVO
Quadro di sintesi 2009-2012
Passeggeri
trasportati
complessivi
2009-2012
Percentuale
-2,50%
Assoluta
- 125 milioni di
passeggeri
Nord Ovest
+5%
Nord Est
-0,5%
Centro
-7,4%
Sud e Isole
-5,2%
ANALISI TERRITORIALE
102,4
104,2
105,0
100,0
101,6
99,5
102,1
100,0
2009
102,1
2010
100,8
2011
97,5
2009
2012
2010
Nord Est
100,0
102,1
100,0
100,8
102,6
100,8
97,5
Nord Ovest con grandi città
Media nazionale
102,1
102,1
2011
Media nazionale
100,8
97,5
100,8
97,5
99,5
96,0
92,6
2009
2010
Centro
2011
2009
2012
Sud e Isole
Media nazionale
Analisi territoriale
2010
2010-2012
2011-2012
Centro
-9,76%
-6,93%
Nord Est
-2,05%
-2,60%
Nord Ovest
2,50%
0,80%
Sud e Isole
-5,96%
-1,29%
MEDIA NAZIONALE
-5,00%
-3,25%
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
48
2012
2011
94,8
2012
Media nazionale
Sono i servizi urbani, soprattutto prestati nel Centro del Paese, quelli in cui la
domanda è calata con ritmi più elevati (Graff. 7 e 8).
Graf. 7 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano e prevalentemente
urbano (2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)
Analisi dimensionale
120,0
115,0
2010-2012
2011-2012
Grandi città
-5,31%
-3,96%
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
-2,94%
-1,77%
Città con meno di 100mila abitanti
0,97%
MEDIA NAZIONALE
110,5
110,0
100,0
100,0
108,3
107,3
107,2
105,0
0,55%
113,4
-3,47%
-4,74%
102,9
102,3
100,8
100,3 101,4 101,1
100,2
99,6
100,6
100,1
99,3
108,2
106,0
105,3
102,5
104,8
109,7
107,8
107,3
109,9
109,3
107,6
110,9
109,9
109,7
113,9
114,5
109,6
108,5
107,6
108,2
107,3
104,7
103,9
101,8
95,0
90,0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Grandi città
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
Città con meno di 100mila abitanti
MEDIA NAZIONALE
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
Graf. 8 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano e prevalentemente
urbano (2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)
Analisi territoriale
Centro
Nord Est
Nord Ovest
Sud e Isole
MEDIA NAZIONALE
120,0
115,0
2010-2012
-10,19%
-2,27%
2,56%
-5,92%
-4,74%
2011-2012
-7,37%
-2,83%
0,85%
-1,25%
-3,47%
114,7
113,7
111,8
111,6
111,8
109,3
109,2
111,0
109,1
108,5
109,2
109,9
106,5
108,9
108,9
108,4
105,2
107,8
107,6
104,4
105,3
103,3
104,5
101,3
102,5
101,1
101,8
100,2
110,6
110,0
105,0
100,0
100,0
100,1
100,6
100,2
99,9
99,4
100,8
99,7
99,6
99,5
98,6
99,5
99,6
99,2
99,3
98,7
108,5
104,7
100,4
99,4
94,7
95,0
93,5
90,0
2002
Centro
2003
2004
Nord Est
2005
2006
2007
Nord Ovest
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
49
2008
2009
Sud e Isole
2010
2011
2012
MEDIA NAZIONALE
Si può altresì affermare che il trasporto extra-urbano mostra una generalizzata
tenuta (Graf. 9). Questo dato viene confermato anche dall’indagine specifica fatta
per il 2013 in cui le riduzioni più marcate sono rinvenibili nelle aree urbane, anzi
nell’extra-urbano non sono poche le realtà che fanno registrare, seppur lievi, degli
aumenti di domanda.
Graf. 9 – Dinamica dei passeggeri trasportati solo extra-urbano (20092012; numeri indici; media nazionale)
105,0
104,0
104,0
103,0
103,3
103,0
102,2
102,0
101,5
101,0
100,2
100,0
100,0
99,7
99,6
99,0
99,4
98,0
Analisi territoriale
Centro
Nord Est
Nord Ovest
Sud e Isole
MEDIA NAZIONALE
97,0
96,0
95,0
94,0
2010-2012
0,02%
-1,81%
-0,63%
-5,21%
-1,91%
2009
Centro
97,9
2011-2012
0,02%
-0,79%
-0,78%
-1,50%
-0,67%
2010
Nord Est
2011
Nord Ovest
99,6
98,9
Sud e Isole
2012
Media nazionale
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
Continua anche nel 2012 il processo di razionalizzazione della forza lavoro
impiegata nel settore del trasporto pubblico regionale e locale. L’analisi territoriale
e dimensionale non evidenzia differenze di rilievo tra le diverse aree del Paese e
per ambito di trasporto, tranne che per delle percentuali di calo maggiormente
accentuate nelle aree centrali e nelle grandi aree metropolitane (Graff. 10, 11,12
e 13).
Le politiche occupazionali restrittive, come si rileva nelle relazioni alla gestione dei
bilanci delle unità campionarie sono state attuate nella maggior parte dei casi
attraverso incentivi all’esodo, il blocco del turnover, la mancata riconferma delle
figure professionali a tempo determinato ed in alcuni casi, anche se limitati, al
ricorso alla cassa integrazione in deroga.
50
Graf. 10 – Dinamica degli addetti urbano + extra-urbano (2009-2012;
numeri indici; analisi territoriale)
98,8
100,0
97,6
98,8
96,4
94,1
93,8
2009
2010
Nord Ovest
2011
2012
Media nazionale
100,0
98,8
96,4
93,8
98,1
94,5
2009
2010
Sud e Isole
Analisi territoriale
2010-2012
2011-2012
Centro
-6,40%
-3,28%
Nord Est
-3,76%
-2,66%
Nord Ovest
-4,81%
0,05%
Sud e Isole
-7,16%
-2,00%
MEDIA NAZIONALE
-5,06%
-2,66%
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
51
2011
91,0
2012
Media nazionale
Graf. 11 – Dinamica degli addetti urbano e prevalentemente urbano
(2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)
Analisi dimensionale
2010-2012
2011-2012
Grandi città
-5,52%
-2,86%
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
-4,76%
-2,81%
Città con meno di 100mila abitanti
-1,58%
-1,00%
MEDIA NAZIONALE
-5,09%
-2,71%
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
52
Graf. 12 – Dinamica degli addetti urbano e prevalentemente urbano
(2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)
Analisi territoriale
2010-2012
2011-2012
Centro
-5,41%
-2,26%
Nord Est
-3,62%
-1,86%
Nord Ovest
-5,82%
-4,66%
Sud e Isole
-6,27%
-2,71%
MEDIA NAZIONALE
-5,09%
-2,71%
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
53
Graf. 13 - Dinamica degli addetti solo extra-urbano (2009-2012; numeri
indici; media nazionale)
Analisi territoriale
2010-2012
2011-2012
Centro
-5,70%
-4,26%
Nord Est
-1,93%
-0,40%
Nord Ovest
-3,04%
-0,98%
Sud e Isole
-5,91%
-1,97%
MEDIA NAZIONALE
-5,12%
-2,42%
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
L’analisi dell’offerta di mezzi, in diminuzione dal 2009 al 2012 di circa l’1,5%, deve
essere analizzato tenendo in considerazione il tema della “qualità” dei mezzi in
circolazione, deducibile, in prima battuta, dall’età media del parco mezzi (Graf. 14).
Graf. 14 – Dinamica dei mezzi
urbano+extraurbano (2009-2012)
100,6
100,0
99,7
98,5
2009
2010
2011
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
54
2012
Come si evince dal grafico, anche se gli autobus sono leggermente “ringiovaniti”
nel 2013, passando a livello nazionale da 11,57 ad 11,15 anni di età, l’anzianità
media del parco autobus registra dal 2006 (9,29 anni) al 2012 (11,57 anni) un
trend in costante crescita con un enorme “gap” rispetto alla media Europea che si
attesta intorno ai 7 anni (Graf. 15).
Graf. 15 – Evoluzione età media (2002-2013; anni)
11,95
11,82
11,36 11,57
10,98
10,81
10,39
10,18
9,94
10,36
9,47
9,88
9,29
9,76
9,58
9,13
9,07
9,51
9,12
9,70
9,56
11,15
11,19
10,48 10,51
10,44 10,45 10,59
10,47
10,07 10,39 10,40
9,77
9,42
9,08
8,79
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Urbano
2008
2009
Extraurbano
2010
2011
2012
2013
Media
Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013
Questo dimostra l’assoluta necessità, da un punto di vista ambientale e di
sicurezza, di politiche di investimento tese al rinnovo del parco autobus che
possano rispondere alla domanda di servizi di trasporto pubblico efficiente e pulita,
davvero concorrenziale all’uso del mezzo privato.
Nel 2013, come già anticipato, si è registrato, per il primo anni dopo circa sette
anni di crescita, una leggera flessione dell’età media dei mezzi, sia nei veicoli
impiegati su tratte urbane (10,47 anni con un calo del -6%), sia in quelli destinati
al trasporto extraurbano (11,82 anni con un calo del -1% circa).
La dinamica positiva registrata nell’ultimo anno di analisi deriva dagli investimenti
effettuati sulle flotte da parte di alcune aziende che nel 2013 hanno proceduto alla
relativa copertura essenzialmente con risorse proprie generate dalla gestione
operativa o ricorrendo agli istituti di credito.
Il parco autobus italiano adibito al trasporto pubblico urbano ed extraurbano nel
2013 è caratterizzato per classi di emissione Pre Euro 0, Euro 0, Euro 1 (che
rappresentano ancora il 12% del parco urbano e il 19% di quello extraurbano),
Euro 2 (30% per urbano e 27% per extraurbano) ed Euro 3 (29% per entrambi i
comparti), e una buona fetta del parco, a livello aggregato, ha alimentazione
alternativa (28% dei veicoli urbani e 25% per quelli operanti nell’extraurbano
(Graf. 16). Non necessitano evidenze le ricadute che ciò comporta in termini di
minore sicurezza, di maggiori costi di manutenzione, consumo dei carburanti e di
danni all’ambiente.
55
Graf. 16– Ripartizione percentuale del parco urbano ed extra-urbano
per livelli di emissione (2012; valori percentuali)
Urbano
Extraurbano
Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013
Risulta confermata per il 2013 la prevalenza dei veicoli alimentati a gasolio
(86,25%), il metano continua ad affermarsi come una reale alternativa ecologica ai
tradizionali autobus diesel: il 10,95% degli autobus ecologici nelle aziende
campione sono a metano.
I veicoli elettrici e la versione ibrida rappresentano, a livello generale,
rispettivamente un 1,85% e un 0,46% del parco mezzi totale (Graf. 17).
Graf. 17 – Ripartizione percentuale del parco totale per
fonti di trazione (2012; valori percentuali)
GPL;
0,25%
Ibrido;
0,46%
Elettrico;
1,85%
Altro;
0,21%
Metano;
10,95%
Gasolio;
86,25%
Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013
56
3.
I dati economici
3.1. I ricavi
Anche per il 2012 l’analisi della struttura dei ricavi delle unità campionarie
esaminate fa emergere, in linea con le tendenze di finanza pubblica, una
significativa contrazione della quota dei contributi pubblici a cui fa da contraltare
una quota crescente dei proventi derivanti dalla vendita di biglietti e abbonamenti.
Alla riduzione dei trasferimenti pubblici ha fatto seguito, infatti, una generale
tendenza sia delle Regioni che degli Enti Locali a rivedere a rialzo i titoli di viaggio.
La quota delle compensazioni pubbliche in conto esercizio cala di oltre un punto (1,4%, passando dal 55,9% del 2011 al 54,5% del 2012) mentre i ricavi da traffico
salgono ancora dello 0,3% (dal 27,5% del 2011 al 27,8% del 2012). Gli altri ricavi,
costituiti in particolar modo da introiti per servizi complementari (pubblicità, affitti)
al TPL, servizi commerciali (granturismo, sosta) e i contributi in conto capitale,
fanno registrare nell’ultimo anno di analisi un incremento dello +1% (Graf. 18).
Graf. 18 – Evoluzione della ripartizione dei ricavi urbano + extra-urbano
(2009-2012; % su totale valore della produzione)
57,7%
57,5%
55,9%
16,7%
2009
Ricavi da traffico
27,8%
27,5%
26,2%
25,6%
54,5%
17,6%
16,6%
16,3%
2010
2011
Compensazioni pubbliche in conto esercizio
2012
Altri ricavi
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
La scomposizione territoriale dell’analisi della struttura dei ricavi evidenzia
accentuate sperequazioni tra le diverse aree del Paese (Graf. 19).
57
Graf. 19 – La ripartizione dei ricavi urbano + extra-urbano (2012; % su
totale valore della produzione; analisi territoriale)
14%
14%
22%
54%
60%
21%
47%
62%
33%
27%
Centro
31%
17%
Ricavi da traffico
Nord Est
Nord Ovest
Compensazioni pubbliche in conto esercizio
Sud e isole
Altri ricavi
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
La stessa analisi ripetuta per l’ambito prevalentemente urbano mette in luce una
migliore performance, in termini di quota dei ricavi da traffico, delle grandi aree
metropolitane (30%), aiutate ovviamente dalla presenza in alcune realtà della
modalità metropolitana che fa registrare tassi di frequentazione molto elevati
(Graf. 20). Soffrono le città medio piccole in cui, come dimostrano i dati del
precedente capitolo sulla domanda, il trasporto pubblico risente maggiormente
dell’alternativa mezzo proprio (Tabb. 5 e 6).
Graf. 20 – La ripartizione dei ricavi urbano e prevalentemente urbano
(2012; % su totale valore della produzione; analisi dimensionale)
Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali
58
Tab. 5 – L’evoluzione delle voci di ricavo urbano + extra-urbano (20102011; % analisi territoriale)
2010-2011
2011-2012
Centro
-1,27
2,50
Nord Est
-1,36
-0,07
Nord Ovest
0,28
1,25
Sud e isole
-5,79
2,90
Media nazionale
-1,57
1,64
-0,29
4,17
Nord Est
7,82
3,05
Nord Ovest
3,64
2,96
Sud e isole
1,50
-0,32
Media Nazionale
3,09
2,98
IL TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE
I RICAVI DA TRAFFICO
Centro
LE COMPENSAZIONI PUBBLICHE IN CONTO ESERCIZIO
Centro
-3,67
1,75
Nord Est
-4,75
-1,37
Nord Ovest
-2,36
-0,89
Sud e isole
-7,48
-5,29
Media Nazionale
-4,29
-0,99
Fonte: Elaborazioni ASSTRA – ANAV su dati bilanci aziendali
Tab. 6 – L’evoluzione delle voci di ricavo solo urbano e prevalentemente
urbano (2010-2011; % analisi dimensionale)
2010-2011
2011-2012
Grandi città
-2,50
0,82
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
1,39
0,92
Città con meno di 100mila abitanti
0,26
1,97
Media Nazionale
-1,61
0,92
Grandi città
3,39
2,66
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
0,52
2,03
Città con meno di 100mila abitanti
6,89
2,80
Media Nazionale
3,03
2,55
Grandi città
-6,15
-2,03
Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti
-0,57
0,12
Città con meno di 100mila abitanti
-1,50
-0,19
Media Nazionale
-4,80
-1,46
IL TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE
I RICAVI DA TRAFFICO
LE COMPENSAZIONI PUBBLICHE IN CONTO ESERCIZIO
Fonte: Elaborazioni ASSTRA – ANAV su dati bilanci aziendali
59
3.2. Le tariffe
Il tema delle tariffe, in un periodo di riduzione di trasferimenti pubblici e
conseguentemente di servizio, ha perso il ruolo da protagonista assunto negli anni
precedenti. L’aumento dei prezzi è stato spesso la risposta più immediata utilizzata
da molte amministrazioni pubbliche che si sono trovate costrette a chiedere
all’utenza un maggiore contributo per la copertura dei costi del servizio. Ciò ha
avuto come effetto immediato un miglioramento sui flussi reddituali delle aziende
anche se non interamente compensativo dei tagli subiti ma che è destinato a
congelarsi se non alimentato da adeguate risorse. Nonostante il livello delle tariffe
infatti sia comunque ben al di sotto dei livelli europei, i margini per ulteriori
aumenti si sono drasticamente ridotti soprattutto perché non affiancati da
miglioramenti nella qualità del servizio.
Se da una parte negli anni precedenti (2010-2011), attraverso l’Audimob, era
emerso che “lo zoccolo duro degli utenti del trasporto pubblico urbano avrebbe
finito per assorbire senza troppe erosioni un livello di incremento dei prezzi dei
biglietti e soprattutto degli abbonamenti contenuto entro il 20% (per gli aumenti al
30% i margini di incertezza invece si ampliavano)” e sostanzialmente così è stato
nonostante leggere flessioni della domanda ascrivibili maggiormente alla
contingenza del periodo, dall’altra ad un aumento medio del biglietto ordinario del
30% (2010-2014) si è registrata una diminuzione del servizio e una stabilità nella
qualità del servizio.
I dati sulle tariffe, facilmente reperibili sui siti web aziendali, sono aggiornati al
2014, fino al mese di Febbraio e si riferiscono ai titoli di viaggio maggiormente
venduti ed utilizzati (abbonamento mensile ordinario e biglietto a tempo).
Per non intaccare lo “zoccolo duro”, le amministrazioni pubbliche hanno fortemente
rallentato gli aumenti, facendo registrare nell’ultimo anno un aumento della tariffa
media del 2,2% (1).
Nonostante le pubbliche amministrazioni tendano a privilegiare i viaggiatori abituali
a dispetto di quelli occasionali applicando maggiori aumenti a quest’ultimi rispetto
ai primi, per il primo anno l’aumento dell’abbonamento mensile risulta maggiore
(2,6%) rispetto a quello del biglietto a tempo (1,9%).
A livello territoriale (Tab. 7) si evidenzia che il Centro dopo un’impennata di
aumento registrata lo scorso anno, dovuta principalmente all’aumento di Roma, ha
registrato tra il 2013 e il 2014 una completa stabilità sia per quanto riguarda il
biglietto a tempo che l’abbonamento mensile. Il Nord Ovest registra invece un
aumento del biglietto a tempo sostenuto (0,7%) e un aumento significativo
dell’abbonamento mensile dovuto principalmente all’aumento registrato a Milano. Il
Nord Est e Sud e Isole tra il 2013-2014 registrano un andamento simile di
aumento. Nel Nord Est il biglietto a tempo è aumentato del 4,1% mentre nel Sud e
Isole del 3,6%, l’abbonamento mensile nel primo è aumentato dell’1,2% e nel
secondo 1,8%.
60
Graf. 21 – L'evoluzione delle tariffe in ambito urbano (2002- febbraio
2014; % e numeri indice)
180
170
Biglietto a tempo
Abbonamento mensile
Tariffa media
167
164
160
148
150
151
137
140
136
127
130
128
130
123
121
122 123
124
119 119
122
117
117
113 113115 117 115 117
109111 111
T ip o lo g ia t it o lo d i viag g io
120
114
110
100
148
100
114
115
118
103
90
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
136
132
V ar % 2 0 1 3 2014
Big lie t t o a t e m p o
1 ,9 %
A b b o n am e n t o m e n sile
2 ,6 %
2009
2010
2011
2012
2013
2014
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali
Tab. 7 - Dinamica del prezzo del biglietto e dell’abbonamento del trasporto
pubblico urbano per area territoriale
Nord Ovest
Biglietto a tempo
(Euro valore
nominale)
Biglietto a tempo
(Euro valore
orario)
Abbonamento
mensile
(Euro valore
nominale)
var. %
al
15/3/2012
al
01/4/2013
al
01/02/2014
2012-2013
2013-2014
1,42
1,44
1,45
1,6
0,7
Nord Est
1,20
1,25
1,30
4,1
4,1
Centro
Sud e Isole
1,06
1,14
1,44
1,19
1,44
1,23
36,3
4,1
0,0
3,6
Media nazionale
1,20
1,33
1,36
10,9
1,9
Nord Ovest
Nord Est
Centro
0,97
1,08
0,83
0,98
1,09
0,91
0,99
1,08
0,91
1,3
1,1
9,2
0,5
-0,8
0,0
Sud e Isole
0,79
0,82
0,85
4,1
3,3
Media nazionale
0,90
0,93
0,94
3,9
0,9
Nord Ovest
34,29
34,53
36,92
0,7
6,9
Nord Est
32,19
32,96
33,35
2,4
1,2
Centro
31,63
35,47
35,47
12,2
0,0
Sud e Isole
36,50
37,08
37,73
1,6
1,8
Media nazionale
33,92
35,26
36,17
3,9
2,6
Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali
61
Osservando il biglietto a tempo in valore orario si può notare che nel Nord Est c’è
stato, a fronte di un aumento del prezzo, un aumento maggiore della validità che
ha portato ad una diminuzione del prezzo orario del biglietto rispetto all’anno
precedente.
La Tabella contenente i dati sulle tariffe a livello dimensionale (Tab. 8), conferma
che le grandi città (città >250 mila abitanti) dopo un anno di forti aumenti (il 2013)
hanno rallentato nel 2014 l’aumento (0,9% per il biglietto a tempo e 2,6% per
l’abbonamento). Per le città medie (città comprese tra 100 mila e 250 mila
abitanti) l’aumento del biglietto a tempo è stato pari al 4,6% mentre
dell’abbonamento in linea con la media nazionale pari al 2,6%.
Tab. 8 - Dinamica del prezzo del biglietto e dell’abbonamento del
trasporto pubblico urbano per ambito dimensionale
al
15/3/2012
Biglietto a
tempo
(Euro valore
nominale)
Biglietto a
tempo
(Euro valore
orario)
Abbonament
o mensile
(Euro valore
nominale)
al
01/4/2013
al
01/2/2014
var. %
2012-2013 2013-2014
Città > 250 mila ab.
1,22
1,39
1,40
13,4
0,9
Città comprese tra 100
mila e 250 mila ab.
1,18
1,22
1,27
2,9
4,6
Città < 100 mila ab.
1,09
1,20
1,23
9,2
3,0
Media nazionale
1,20
1,33
1,36
10,5
1,9
Città > 250 mila ab.
Città comprese tra 100
mila e 250 mila ab.
0,88
0,92
0,92
3,7
-0,2
0,93
0,97
1,01
4,2
3,7
Città < 100 mila ab.
0,90
0,98
0,97
8,3
-0,3
Media nazionale
0,90
0,93
0,94
4,1
0,9
Città > 250 mila ab.
35,49
37,16
38,10
4,7
2,5
Città comprese tra 100
mila e 250 mila ab.
31,22
31,80
32,64
1,8
2,6
Città < 100 mila ab.
28,57
29,50
30,45
3,3
3,2
Media nazionale
33,92
35,26
36,17
3,9
2,6
Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali
Infine le piccole città (città con meno di 100 mila abitanti) registrano per il biglietto
a tempo un aumento del 3% e dell’abbonamento del 3,2%.
Osservando il biglietto a tempo in valore orario si precisa che la diminuzione
registrata nelle grandi città e nelle piccole, è dovuta ad un aumento della validità
del biglietto maggiore dell’aumento della tariffa registrata in alcune città.
Al fine di indagare la distribuzione delle aziende per fascia di prezzo si riporta la
Tab. 9. Quasi la totalità delle aziende indagate presenta ormai un prezzo del
biglietto a tempo maggiore di 1 euro (90%). E’ bene osservare però che solo il
17% delle aziende ha un prezzo del biglietto maggiore o uguale a 1,5 euro.
62
Tab. 9 - Fasce di prezzo delle tariffe urbane del trasporto pubblico locale (%)
Prezzo < 1
Prezzo = 1
Prezzo > 1
Prezzo>=1,5
Prezzo < 30
Prezzo=30
Prezzo > 30
Prezzo >=35
Biglietto a tempo
(% aziende
campione)
Abbonamento
mensile ordinario
(% aziende
campione)
al
al
al
al
al
1/1/2010 15/4/2011 15/3/2012 1/4/2013 1/2/2014
14
8
6
4
4
55
24
19
10
6
31
61
62
69
73
6
13
17
17
43
33
31
29
27
12
18
19
13
10
26
26
21
23
17
19
23
29
35
46
Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali
Diversa la situazione per quanto riguarda l’abbonamento mensile. In più della metà
delle aziende (63%), comprare un abbonamento mensile significa spendere più di
30 euro ma tra queste quasi la metà (46%) ha fissato il prezzo a 35 euro o più.
Come ogni anno, riportiamo l’elenco delle aziende del campione con il prezzo del
biglietto a tempo con relativa validità e dell’abbonamento mensile relativi all’anno
2013 e 2014 (Tab. 10).
Tab. 10 - I livelli delle tariffe urbane in alcuni capoluoghi di provincia (aprile 2013 e
febbraio 2014; Euro)
CITTÀ
AZIENDA
Abbonamento mensile
ordinario
Biglietto a tempo
Prezzo al
01/04/2013
minuti
validità
Prezzo al
01/02/2014
minuti
validità
Prezzo al
01/04/2013
Prezzo al
01/02/2014
Alessandria
ATM SPA
1,20
90
1,20
90
42,00
42,00
Ancona
CONEROBUS
1,20
90
1,20
90
33,00
33,00
Asti
ASP SPA
1,00
60
1,00
60
13,00
13,00
Avellino
A.IR. SPA
1,20
90
1,20
90
28,30
28,30
Bari
AMTAB SERVIZIO
1,00
75
1,00
75
35,00
35,00
Benevento
AMTS
0,90
90
0,90
90
20,60
20,60
Bergamo
ATB
1,25
75
1,25
75
32,00
32,00
Bologna
TPER
1,20
60
1,30
75
36,001
36,002
Brescia
Brescia Trasporti SPA
1,20
75
1,40
75
32,50
35,00
Cagliari
CTM
1,20
90
1,20
90
30,00
30,00
Catania
AMT
1,00
90
1,00
90
40,003
40,004
Catanzaro
AMC SPA
1,00
75
1,30
90
27,00
35,00
(continua)
1
Abbonamento
Abbonamento
3
Abbonamento
4
Abbonamento
2
impersonale trasferibile.
impersonale trasferibile.
impersonale.
impersonale.
63
(segue) Tab. 10 - I livelli delle tariffe urbane in alcuni capoluoghi di provincia (aprile
2013 e febbraio 2014; Euro)
CITTÀ
AZIENDA
Abbonamento mensile
ordinario
Biglietto a tempo
Prezzo al
01/04/2013
minuti
validità
Prezzo al
01/02/2014
minuti
validità
Prezzo al
01/04/2013
Prezzo al
01/02/2014
Cremona
KM
1,20
90
1,20
90
29,50
29,50
Ferrara
AMI
1,20
60
1,30
75
27,00
28,00
Firenze
ATAF
1,20
90
1,20
90
35,00
35,00
Foggia
ATAF
0,90
60
0,90
60
25,00
25,00
Forlì
ATR
1,20
60
1,20
60
27,00
27,00
Genova
AMT
1,50
100
1,50
100
43,00
46,00
Gorizia
APT
1,20
60
1,25
60
32,10
33,50
Imperia
Riviera Trasporti
1,50
90
1,50
90
48,00
48,00
La Spezia
ATC
1,50
60
1,50
60
30,50
30,50
L'Aquila
AMA SPA
1,20
90
1,20
90
26,90
26,90
Lecco
Linee Lecco SPA
1,30
90
1,30
90
32,00
32,00
Livorno
CTT Nord (ex ATL)
1,20
75
1,20
75
27,00
27,00
Lodi
LINE S.P.A.
1,30
60
1,30
75
32,00
32,00
Messina
ATM
1,25
90
1,25
90
30,00
30,00
Milano
ATM SPA
1,50
90
1,50
90
30,00
35,00
Napoli
ANM SPA
1,30
90
1,30
90
41,20
41,20
Novara
SUN
1,30
90
1,30
90
30,00
30,00
Padova
APS Holding SpA
1,20
75
1,30
75
37,00
39,00
Palermo
AMAT
1,30
90
1,40
90
48,00
48,00
Parma
TEP S.p.A.
1,20
60
1,20
60
28,50
28,50
Perugia
UMBRIA MOBILITA'
1,50
70
1,50
70
55,00
55,00
Pescara
GTM
1,10
90
1,10
90
36,30
36,30
Piacenza
SETA
1,20
60
1,20
60
30,00
30,00
Ravenna
START ROMAGNA
1,20
60
1,30
60
31,00
28,00
Reggio Calabria
ATAM SPA
1,00
75
1,30
75
27,00
35,00
Reggio Emilia
ACT
1,20
75
1,20
75
28,00
28,00
Rimini
START ROMAGNA
1,20
60
1,30
60
27,00
28,00
Roma
A.T.A.C. S.P.A.
1,50
100
1,50
100
35,00
35,00
Salerno
CSTP S.p.A.
1,30
90
1,30
90
30,90
30,90
Sassari
ATP
1,20
90
1,20
90
30,00
30,00
Taranto
AMAT
1,20
90
1,30
90
34,00
36,00
Torino
GTT
1,50
90
1,50
90
38,00
38,00
Trieste
Trieste Trasporti Spa
1,50
75
1,55
75
32,55
33,95
Venezia-Mestre
ACTV
1,30
75
1,30
75
35,00
36,00
Verona
ATV
1,30
90
1,30
90
37,00
37,00
Vicenza
AIM
1,20
90
1,30
90
40,00
40,50
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali
64
In linea con il resto del rapporto, al fine di allineare l’indagine sulle tariffe al resto
del documento, quest’anno è stato portato avanti anche lo studio sulle tariffe in
ambito extraurbano.
Rispetto all’ambito urbano anche la sola comparazione delle tariffe risulta di più
difficile analisi. Alla validità temporale del titolo di viaggio si aggiunge quella
territoriale che in alcuni casi viene stabilita per fasce chilometriche, in altri casi per
zone. Le stesse suddivisioni all’interno delle singole categorie, fasce chilometriche o
a zone, sono spesso differenti all’interno di ciascuna regione.
Con l’intento di cercare quanto più possibile di categorizzare le diverse realtà
presenti, sono state scelte 3 fasce chilometriche cercando di far rientrare, con le
dovute cautele, le aziende in esame.
Le aziende indagate risultano essere 44, numero maggiore di quello analizzato nel
resto dell’analisi dell’offerta ma dovuto ad una ripetizione, all’interno delle 44
aziende ci sono aziende che sono già nel campione urbano ma che svolgono anche
servizio extraurbano e quindi considerate all’interno dell’analisi in ambito
extraurbano.
Le tre fasce chilometriche scelte sono da 1 a 6 Km, da 20 a 30 km e da 50 a 60
km. Per ciascuna fascia è stata riportata la tariffa del biglietto e dell’abbonamento
mensile.
La Tab. 11 mostra la media del biglietto per le diverse fasce chilometriche
considerate. A livello nazionale la tariffa media risulta essere, per la fascia 1-6 km,
pari a 1,30 euro registrando un aumento rispetto al 2013 pari al 4,8% (Tab. 12).
Tab. 11 – Media del biglietto per fasce chilometriche e per ambito
territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)
Ripartizione
territoriale
Conteggio
aziende
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Media nazionale
9
16
8
11
44
Fascia 1-6 km
Media
Media
2013
2014
1,34
1,38
1,19
1,28
1,19
1,29
1,27
1,27
1,24
1,30
Fascia 20-30 km
Media
Media
2013
2014
2,61
2,72
2,89
2,97
2,66
3,00
2,25
2,35
2,63
2,77
Fascia 50-60 km
Media
Media
2013
2014
4,36
4,52
4,18
4,54
4,42
4,77
3,96
4,00
4,20
4,43
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali
Tab. 12 – Variazione del biglietto per fasce chilometriche e per ambito
territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; %)
Ripartizione territoriale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Media nazionale
Fascia 1-6 km
3,0
7,6
8,4
0,0
4,8
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali
65
var % 2013-2014
Fascia 20-30 km
4,2
2,8
12,8
4,4
5,3
Fascia 50-60 km
3,7
8,6
7,9
1,0
5,5
Per la fascia 20-30 km invece la tariffa media risulta pari a 2,77 euro mentre per la
fascia 50-60 km pari a 4,43 euro. La variazione rispetto al 2013 è stata simile per
le due fasce, il 5,3% per la prima e il 5,5% per la seconda.
A livello territoriale non si riscontrano sostanziali differenze all’interno delle diverse
fasce chilometriche.
Per la fascia 1-6 km, il prezzo dell’abbonamento mensile è addirittura inferiore a
quello del servizio urbano e pari a 31,97 euro (Tab. 13) superiore al valore del
2013 del 4,4% (Tab. 14).
Tab. 13 – Media dell’abbonamento mensile per fasce chilometriche e per
ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)
Ripartizione
territoriale
Conteggio
aziende
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Media nazionale
9
16
8
11
44
Fascia 1-6 km
Media
Media
2013
2014
31,94
32,75
29,99
31,11
31,16
34,88
30,21
30,46
30,62
31,97
Fascia 20-30 km
Media
Media
2013
2014
61,50
61,63
51,16
52,46
50,30
54,44
59,41
59,98
55,03
56,55
Fascia 50-60 km
Media
Media
2013
2014
84,25
95,21
61,42
63,63
71,18
76,43
85,86
86,76
73,52
76,83
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali
Tab. 14 – Variazione dell’abbonamento mensile per fasce chilometriche e
per ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; %)
Ripartizione territoriale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Media nazionale
Fascia 1-6 km
2,5
3,7
11,9
0,8
4,4
var % 2013-2014
Fascia 20-30 km
0,2
2,5
8,2
1,0
2,8
Fascia 50-60 km
13,0
3,6
7,4
1,0
4,5
Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali
Per la fascia 20-30 km invece l’abbonamento medio mensile risulta pari a 55,03
euro mentre per la fascia 50-60 km a 76,83 euro. La variazione rispetto al 2013 è
stata rispettivamente del 2,8% per la fascia 20-30 km e 4,5% per quella 50-60 km.
La sostanziale omogeneità dei prezzi a livello territoriale che si è riscontrata
all’interno delle tariffe del biglietto non si verifica nell’abbonamento mensile.
Soprattutto per la fascia più alta si osserva un abbonamento medio del Nord Ovest
che raggiunge quasi i 100 euro (95,21 euro) contro un abbonamento del Nord Est
pari a solo 63,63 euro.
66
3.3. I costi della produzione
Nel 2012 rispetto al 2011 i costi totali sostenuti dagli operatori per la produzione
fanno segnare un aumento del 3%. Tale trend è per lo più riconducibile un
incremento del costo dei carburanti +7% e degli ammortamento +10%. Il costo
del personale, invece, si riduce del 2% a causa della riduzione della forza lavoro
impiegata (Tab. 15).
Tab. 15 – Evoluzione dei costi della produzione (2002-2012; numeri
indice e percentuali)
Var. %
2011-2012
2009
2010
2011
2012
Materie prime
Servizi
Ammortamenti
Costi operativi
Costo del personale
100
100
100
100
100
108
95
128
101
101
114
93
102
100
100
123
93
111
102
98
7
0
10
2
-2
Totale Costi della Produzione
100
101
100
103
3
Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali
Per gli anni 2013-2014 è interessante rilevare come alcuni dei principali costi di
produzioni si caratterizzano per dinamiche decrescenti dopo anni di crescita
sostenuta (Tab. 16).
Tab. 16 - Evoluzione dei prezzi di alcune voci di costo (2002- Marzo
2014; numeri indice e percentuali)
Gasolio
GPL
Lubrificanti
Manutenzioni e riparazioni
Assicurazioni
Pneumatici
2002
2012
2013
2014 marzo
Var %
2014-2013
100
100
100
100
100
100
199
159
154
141
139
123
194
155
157
144
139
124
191
151
159
146
135
125
-1,6
-2,5
1,0
1,6
-2,4
0,4
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT e Statistiche per l’energia MISE
67
4.
Le evidenze dell’analisi gestionale
Il presente paragrafo riporta una sintetica analisi delle principali evidenze
dell’analisi dei bilanci di esercizio delle aziende unità campionarie.
Il rapporto ricavi da traffico su costi operativi al netto della quota infrastrutturale
vale a dire l’indicatore obiettivo del settore, o meglio che il legislatore ha
individuato come parametro di riferimento per la valutazione dell’efficacia-efficienza
degli operatori (D.Lgs n.422/1997), fa segnare a livello medio nazionale un
miglioramento. Come ampliamente visto nei paragrafi precedente tale risultato va
ricondotto ad un incremento delle tariffe (per compensare i tagli di trasferimenti
pubblici) più sostenuto rispetto alla crescita fisiologica dei costi operativi di
produzione.
In ogni caso, a livello medio nazionale, si è sempre molto al di sotto del valore
obiettivo del 35, anche se è evidente la forte dispersione territoriale tra le aree
settentrionali e le aree centro meridionali del Paese (Graf. 22).
Graf. 22 - Il rapporto ricavi da traffico/costi operativi urbano+extra-urbano
(2009-2012)
Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali
Al fine di indagare nel dettaglio le tendenze economico-finanziarie del settore
aggregato si riporta di seguito un grafico (Graf. 23) il quale mostra chiaramente,
mediante la riclassificazione del conto economico secondo la metodologia del
valore aggiunto, quali sono stati gli andamenti che hanno caratterizzato nel
triennio 2009-2012 le aziende di trasporto pubblico regionale e locale.
68
Graf. 23- Evoluzione indicatori gestionali (2009-2012)
Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali
Nel 2012, rispetto ai tre anni precedenti, si registra un lieve miglioramento del
valore aggiunto indicatore che esprime la capacità delle aziende di creare ricchezza
ed è pari alla differenza tra ricavi totali (Totale valore della produzione) e costi
sostenuti per l’acquisizione di risorse esterne (materie prime, semilavorati, servizi).
A cascata, quindi, si assiste anche ad un lieve incremento del margine operativo
lordo meglio noto come EBITDA acronimo per Earnings before interests, taxes,
depreciation and amortization. Tale indicatore, essendo espresso al lordo dei costi
non monetari (ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni) rappresenta una
prima misura dell’autofinanziamento operativo di un’azienda.
Si inverte, infine, il trend negativo relativo alla percentuale di aziende che chiudono
i conti in rosso le quale passano, per la prima volta dopo vari anni dal 41 del 2011
al 37 del 2012 (Graf. 24).
Graf. 24 - Evoluzione risultato d’esercizio (2009-2012; aziende)
Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali
69
I miglioramenti degli indicatori gestionali, seppur timidi e comunque in attesa di
conferme per l’anno 2013, costituiscono un segnale molto importante di come le
aziende di trasporto pubblico locale stanno reagendo ad un contesto di riferimento
particolarmente difficile non solo relativo al clima di austerità di finanza pubblica di
tutti i livelli istituzionali coinvolti(Regioni ed Enti Locali) ma anche ad una domanda
calante. Questi dati, ad ogni buon conto, sono anche frutto di una seria politica di
razionalizzazione e minimizzazione dei costi di produzione delle aziende, operata in
principal modo attraverso un’ottimizzazione dei turni di lavoro ed eliminazione in
alcune realtà degli sprechi di gestione.
70
Parte terza
IL FOCUS SULLA MOBILITÀ PRIVATA
MENO AUTO, PIÙ VECCHIE
1.
Introduzione
Prosegue anche nel 2014 l’osservazione e l’analisi dei principali dati relativi alla
mobilità privata, investigata sotto vari aspetti, dalla consistenza del parco veicolare,
al mercato delle auto nuove, ai consumi e prezzi del carburante, all’incidentalità e,
in continuità con lo scorso anno, agli strumenti di dissuasione e di promozione di
forme di mobilità alternativa1.
Nelle pagine che seguono inoltre non ci limiterà allo studio dei soli aggregati
nazionali, bensì si guarderà anche ai singoli comuni capoluoghi di provincia e, allo
stesso tempo, ai restanti comuni delle province stesse, approfondendo anche le 12
grandi città italiane (città con più di 250mila residenti) e valutando le dinamiche
partendo dall’anno 2002 arrivando all’ultimo anno disponibile passando per il 2008,
in altri termini si valuteranno le variazioni all’interno di due periodi ben precisi,
quello che precede la crisi (2002-2008) e gli anni della crisi. In questo paragrafo
introduttivo si analizzeranno, tuttavia, le sole medie nazionali.
Dallo studio del complesso dei dati il primo elemento che emerge è che nel 2012,
dopo ben 8 anni di crescita continua, il numero di autovetture che circolano sulle
strade italiane diminuisce, ma non di molto (-0,1%) e rimanendo sopra quota 37
milioni, anche se i primi dati forniti dall’ACI per il 2013, ancora provvisori,
quantificano il parco auto sotto tale soglia. Non diminuisco invece i motocicli, il cui
tasso di crescita tuttavia rallenta (dal +2% del confronto 2010-2011 al +0,8% del
2011-2012), raggiungendo quasi 6,5 milioni di unità (i primi dati sul 2013 indicano
valori praticamente identici al 2012) (Tav. 1).
Le dinamiche sui valori assoluti si riflettono anche nel considerare il parco veicolare
in rapporto alla popolazione, infatti per ogni italiano nel 2013 si contano 61,6 auto
(erano 62,5 nel 2011 e 62,1 nel 2012), un indicatore che certamente confermerà
l’Italia come il primo tra i più grandi Paesi europei per tasso di motorizzazione, e
10,8 moto. Se si valutano poi, per il 2012, solo coloro che hanno un’età compresa
tra 18 (14 anni per le due ruote) e 80 anni, si raggiungono valori, rispettivamente,
pari a 80 e 13,3.
La diminuzione del numero delle auto si spiega con un mercato del nuovo in
continua diminuzione (nel 2013 si sono vendute poco più di 1,3 milioni di auto,
quasi 100mila unità in meno rispetto al 2012), anche se i primi mesi del 2014, pur
rimando molto lontani dai valori che si registravano negli anni precedenti la crisi
economica quando al PRA si iscrivevano oltre 2 milioni di autovetture all’anno,
segnalano un timido cambiamento di rotta: ad esempio nel mese di aprile si rileva
una crescita del 9,4% rispetto all’omologo mese del 2013.
1
I dati possono non coincidere perfettamente con quelli presentati negli anni passati per effetto,
essenzialmente, di un normale “aggiustamento” dei dati stessi (da stime a valori reali).
73
L’insieme di questi dati tuttavia non può che determinare un ulteriore
invecchiamento del parco auto, infatti sempre secondo l’ACI l’età mediana nel 2012
per le autovetture a benzina è di circa 11 anni (era inferiore ai 9 anni nel 2008),
quasi 7 per quelle a gasolio (3 e ½ sempre nel 2008), con evidenti conseguenze
sulle maggiori emissioni inquinanti e sui maggiori pericoli di incidentalità.
Tav. 1 – La mobilità privata: alcuni indicatori sul parco veicolare
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci e Istat
Anche nel caso degli incidenti stradali il 2012 rappresenta un anno di discontinuità,
se non altro in termini di indice di mortalità. Infatti, pur in una situazione di
diminuzione del numero assoluto di incidenti, morti e feriti nel confronto con il
74
2011 (rispettivamente -9,2%, -5,4% e -9,3%), il rapporto tra morti e incidenti nel
2012 si attesta su un valore pari a 2, vale a dire in crescita rispetto all’anno
precedente e simile a quello registrato nel 2009. In crescita è anche il numero di
feriti e morti in rapporto ai passeggeri-km stimati dal MIT, in questo caso
addirittura in accelerazione rispetto allo scorso anno (da 0,362 del 2011 a 0,367
del 2012) (Tav. 2).
Considerando poi la tipologia di strada, quelle urbane continuano ad essere quelle
più pericolose dato che, nel 2012, si concentrano il 75,9% del totale degli incidenti
e il 72,3% dei feriti; meno marcata è la percentuale sui morti (42,8%) oltretutto
minore rispetto a quella che si registra per le strade diverse dalle autostrade
(48,2). In termini di indice di mortalità, si nota poi che solo nelle strade urbane
diminuisce nel confronto tra il 2011 e il 2012 (da 1,11 a 1,10), mentre aumenta
sostanzialmente nelle autostrade (da 3,07 a 3,51).
Tav. 2 – La mobilità privata: alcuni indicatori di tendenza sugli incidenti
Il dettaglio dell’incidentalità secondo l’ambito stradale – Italia (2011-2012)
Ambiti stradali
2011
2012
Strade urbane
Morti
%
v.a.
Feriti
%
v.a.
%
Indice di
mortalità(1)
Indice di
lesività(2)
135,14
141.713
75,9
1.562
42,8
191.517
72,3
1,10
Autostrade
9.400
5,0
330
9,0
15.859
6,0
3,51
168,71
Altre strade
35.613
19,1
1.761
48,2
57.340
21,7
4,94
161,01
Totale
186.726
100,0
3.653
100,0
264.716
100,0
1,96
141,77
Strade urbane
135,65
157.023
76,4
1.744
45,2
213.001
72,9
1,11
Autostrade
11.007
5,4
338
8,8
18.515
6,3
3,07
168,21
Altre strade
37.608
18,2
1.778
46,1
60.503
20,7
4,73
160,88
205.638
100,0
3.860
100,0
292.019
100,0
1,88
142,01
Totale
*
Incidenti
v.a.
Sono considerati i passeggeri-km relativi al trasporto collettivo urbano ed extraurbano, nonché l’autotrasporto privato
Numero di morti ogni 100 incidenti; (2) Numero di feriti ogni 100 incidenti
(1)
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci, Anfia, Istat e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
75
Il 2013 si presenta in piena continuità con l’anno precedente se si fa riferimento ai
consumi di carburante per autotrazione. Infatti prosegue il calo dei consumi della
benzina, in 11 anni più che dimezzato (fatto 100 l’anno 2002, nel 2013 si registra
un indice pari a 49,7), così come quello del gasolio che in un solo biennio (20122013) ha praticamente annullato la crescita realizzata tra il 2002 ed il 2011. Unica
tipologia di carburante che aumenta in termini di consumi è il GPL (da 103 a 115,3
tra il 2012 e il 2013 considerando sempre i numeri indice), che tuttavia
rappresentando appena il 4,8% del totale non riesce a contrastare il calo dei
consumi complessivi dei carburanti in Italia (Tav. 3).
Tav. 3 – Consumi e prezzi di benzina (senza piombo), Gpl (per autotrazione) e gasolio (per motori)
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Ministero dello Sviluppo Economico
Nel 2013 si raffredda la crescita dei prezzi dei carburanti, che tuttavia rimangono
su livelli molto alti e ben lontani da quelli che si registravano prima dell’inizio della
crisi economica quando, ad esempio, un litro di benzina costava 1,38 euro contro
l’1,75 necessari nel 2013. Ciò contribuirà, verosimilmente, alla diminuzione delle
spese di esercizio delle autovetture anche nel 2013, così come avvenuto nel 2012
rispetto all’anno precedente, se non altro considerando le spese per singola
automobile che passano dai 4.027 euro del 2002 ai 3.610 del 2011, per attestarsi
sui 3.480 nel 2012 (Tav. 4).
Un contributo importante alla diminuzione della spesa degli italiani per l’auto negli
anni della crisi (2008-2012) è venuto dai costi per la manutenzione e la riparazione
(-13,8%), dai premi per l’assicurazione R.C.A. (-14,5%) e, come era già
ipotizzabile nel commento sul mercato delle auto nuove, dai minori oneri derivanti
dall’acquisto e dagli interessi (-18,4%). In questi stessi anni tuttavia altre voci sono
cresciute, anche di molto, basti pensare al carburante (+18,8%), alle tasse
automobilistiche (+14,9%), ai prezzi dei pneumatici (+10%), alle spese per il
ricovero e il parcheggio (+5,5%), ma soprattutto ai pedaggi autostradali
(+20,8%).
76
Considerazioni diverse si hanno se i costi sono rapportati non al parco auto, bensì
ai chilometri percorsi dagli italiani nel 2012 e quindi all’effettivo uso delle quattro
ruote; ebbene in questo caso si registra un incremento dei costi che passano dai
0,2417 euro per km del 2011 ai 0,2676 del 2012 (+10,7%) e, ampliando l’arco
temporale all’avvio della crisi economica (2008), si ottiene un incremento pari al
ben 17%.
La crisi economica, quindi, continua a produrre i suoi effetti in modo consistente
non solo sul mercato dell’auto e dei motocicli nuovi, ma ancor di più incide sui
consumi di carburante e, come visto, sulla spesa sostenuta dagli italiani per la
propria autovettura.
Tav. 4 – Stima delle spese d’esercizio delle autovetture
Stima delle spese d’esercizio delle autovetture (valori a prezzi 2000; milioni di euro)
2002
2008
2011
2012
Var. % 2002/08
Var. % 2008/12
Carburante
31.188,35
37.581,13
35.862,83
37.058,57
Pneumatici
4.759,05
5.957,50
5.858,50
5.235,37
+18,8
+10,0
-13,8
+5,5
+20,8
+14,9
-14,5
-18,4
-4,9
-13,6
+17,0
Manutenzione/riparazione
51.294,51
48.499,17
43.964,88
41.833,13
135.726,18
140.420,90
133.988,52
129.038,14
+20,5
+25,2
-3,2
+11,1
+15,8
+13,3
-7,1
-5,4
+3,5
4.027
0,2288
3.889
0,2491
3.610
0,2417
3.480
0,2676
-3,4
+8,9
21.283,14
20.608,44
20.933,81
18.349,48
Ricovero/parcheggio
6.057,64
6.731,91
6.585,55
6.387,87
Pedaggi autostradali
2.912,12
3.371,41
3.754,44
3.517,60
Tasse automobilistiche
3.624,24
4.104,84
4.003,15
4.165,49
14.607,14
13.566,49
13.025,35
12.490,63
R.C.A. Premi di competenza
Acquisto e interessi
Totale
Totale su parco auto (euro)
Totale su vetture*km (euro)
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Ultimi aspetti della mobilità privata qui esaminati riguardano gli strumenti dissuasivi
all’uso dell’automobile e le politiche di incentivazione di forme di mobilità
alternativa (ciclopedonale).
Partendo dai primi e in particolare dalle zone a traffico limitato (ZTL) e dalle aree
pedonali, emerge come per entrambi il 2011 rappresenti un ulteriore anno di
crescita, con indicatori che raggiungono il massimo da quando l’Istat ha avviato la
raccolta dei dati. Infatti nel caso delle ZTL si raggiungono i 0,601 km2 per 100 km2
di superficie comunale (il dato pur nazionale si riferisce ai soli comuni capoluogo di
77
provincia), l’1,9% in più rispetto al 2010, che diventa un +75,2% considerando il
2002. Anche per quanto riguarda la disponibilità di aree pedonali si registra un
incremento nell’ultimo biennio monitorato dall’Istat pari all’1,9% (+24,8% dal
2002), con un indicatore che nel 2011 si attesta sui 32,7 m2 ogni 100 abitanti
(Tav. 5).
Considerando, nuovamente, le politiche di disincentivazione della mobilità privata,
un primo elemento che si distingue, nel confronto 2010-2011, è l’accelerazione
della crescita degli stalli di sosta, siano essi a pagamento su strada che di
interscambio con il trasporto pubblico. Nel primo caso, infatti, si osserva un
incremento negli ultimi 2 anni del 2,4%, dopo il +1,4% precedente, il che consente
di superare la soglia dei 50 parcheggi ogni 1.000 auto circolanti nel 2011. Nel
secondo caso l’incremento è del 4%, era l’1,2% tra il 2009 ed il 2010, con un
indicatore che si attesta sui 18 stalli (Tav. 6).
Dai dati appena commentati emergerebbe quindi una realtà in cui nei comuni
capoluogo di provincia si ritornerebbe a puntare con maggiore decisione alla
promozione di strumenti di mobilità sostenibile, tuttavia spostando l’attenzione alla
dotazione di piste ciclabili, pari a 16,6 km ogni 100 km2 di superficie comunale nel
2011, il tasso di crescita rallenta, passando dal +13% del confronto 2009-2010, al
+6,4% dell’ultimo biennio.
Tav. 5 – Gli strumenti dissuasivi della mobilità privata nei comuni capoluogo di provincia
(1)
La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Milano, Monza, Fermo e Trani. La superficie delle ZTL
è comprensiva dei fabbricati.
(2)
La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza e Fermo. La superficie delle aree pedonali è
non comprensiva dei fabbricati.
Fonte: Istat
78
Tav. 6 – Politiche di incentivazione della mobilità alternativa nei comuni capoluogo di provincia
(1)
La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza e Fermo
La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza
Fonte: Istat
(2)
79
2.
Le automobili, le moto e gli incidenti
stradali
2.1. Il parco auto diminuisce ma con alcune
eccezioni rilevanti
In continuità con il Rapporto dello scorso anno e come già anticipato in premessa,
prosegue l’analisi della mobilità privata aggiornata all’ultimo anno disponibile e
osservata distinguendo le città capoluogo di provincia, i restanti comuni delle
diverse province italiane, nonché le grandi città2. I periodi considerati sono tre, il
primo va dal 2002 al 2008, avvero gli anni che precedono la crisi economica, il
secondo dal 2008 al 2012, ovvero gli anni della crisi (purtroppo ancora non
conclusa).
Considerando in prima battuta le 12 città più grandi d’Italia (vale a dire con una
popolazione superiore a 250mila abitanti), si notano variazioni non sempre simili:
in alcune città la diminuzione del numero delle quattro ruote tende ad accelerare
nel periodo di crisi (è il caso, ad esempio, di Roma che dal -1% del 2002/2008
passa al -2,9% del 2008-2012, ma anche di Torino, Palermo e Bari), in altre invece
durante la crisi la diminuzione delle auto decelera (Milano dal -9,2% al -1,1%,
Napoli dal -9,6% al -2,4%, inoltre Genova, Bologna, Venezia e Verona), in altre
ancora nel periodo più difficile per l’economia italiana si registra una inversione di
tendenza, con valori in crescita (Firenze, dal -6,9% al +0,3%, e Catania, dal -1%
al +1,3%) (Tab. 1).
Le grandi città si muovono, quindi, in ordine sparso per effetto dell’intrecciarsi di
più variabili, oltre quella della crisi, quali l’abbandono dei residenti delle città per i
comuni dell’hinterland, le politiche di “contrasto” all’uso delle quattro ruote
promosse dalle Amministrazioni locali, così come quelle relative alla promozione di
forme di mobilità sostenibile (car sharing, piste ciclabili, bike sharing, ecc.).
2
Le province considerate sono 110. Per la provincia di Andria-Barletta-Trani si considera la sola città di
Andria (sede del Consiglio regionale), per quella di Carbonia-Iglesias la città di Carbonia, per la
provincia di Olbia-Tempio la città di Olbia, per quella di Ogliastra la città di Tortolì, per la provincia di
Medio Campidano, infine, la città di Villacidro.
L’analisi descrittiva tralascia volutamente le città di Aosta, Trento e Bolzano, caratterizzate da un
rapporto auto/popolazione particolarmente elevato per effetto della scelta di molte società di
autonoleggio di immatricolare la propria flotta nelle tre città per approfittare dei vantaggi di natura
fiscale.
Per ultimo, altro aspetto che il lettore deve tenere in considerazione riguarda la peculiarità di alcuni
ambiti territoriali, come ad esempio Roma (il solo comune si estende per un territorio particolarmente
vasto che include ampie zone verdi) e Venezia.
80
Tab. 1 – Numero di autovetture nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e
differenza %)
Città
2002
2008
2012
Roma
Milano
1.941.964
797.483
1.923.397
723.932
1.867.520
716.094
Napoli
Torino
612.523
588.743
553.572
570.968
540.167
541.687
Palermo
397.059
395.143
385.372
Genova
Bologna
300.724
213.776
285.497
197.561
279.023
196.940
Firenze
Bari
Catania
211.606
182.053
210.163
196.986
181.354
208.037
197.670
178.462
210.802
Venezia
Verona
117.943
157.821
112.216
158.480
110.938
156.881
Diff. %
2002-2008
Diff. %
2008-2012
-1,0
-9,2
-9,6
-3,0
-0,5
-5,1
-7,6
-6,9
-0,4
-1,0
-4,9
+0,4
-2,9
-1,1
-2,4
-5,1
-2,5
-2,3
-0,3
+0,3
-1,6
+1,3
-1,1
-1,0
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI
Provando a neutralizzare una delle variabili prima indicate, ovvero la variazione
della popolazione residente, emergono dinamiche diverse da quelle già
commentate (Fig. 1).
Infatti, solo in quattro città negli anni della crisi economica si registra un indice di
motorizzazione in diminuzione, a Napoli (-1,1 e 56,3 auto ogni 100 residenti nel
2012), Torino (-0,7 e 62,1), Palermo (-1,1 e 58,8) e Bologna (-1 e 51,7). In tutti gli
altri casi l’indicare tende a crescere fino a raggiungere il +2,3 nel caso di Catania,
che proprio per effetto di questo incremento diviene la grande città con il maggiore
tasso di motorizzazione nel 2012, pari a ben 72,5, superando Roma deve
“accontentarsi” di 70,8 auto ogni 100 residenti. Le altre città seguono a debita
distanza con un indice di mobilità spesso inferiore a 60 auto e in alcuni casi anche
ai 50 (è il caso Genova e Venezia).
Ampliando l’osservazione a tutti i comuni capoluogo di provincia emerge
chiaramente come nella gran parte delle città l’indicatore continua a crescere
anche negli anni della crisi (su 100 comuni analizzati solo in 19 casi si registra un
indicare in diminuzione), anche se con minore forza rispetto al periodo pre-crisi; ciò
è vero in particolare nelle città del Nord Italia.
Considerando poi i restanti comuni che formano le 110 province italiane, l’elemento
che si registra con maggiore forza è che in nessun caso l’indicatore diminuisce
negli ultimi 4 anni analizzati. Se infatti negli anni precedenti l’inizio della crisi
economica la realtà appariva molto più articolata con un Sud del Paese
caratterizzato da tassi in crescita ed un Nord da tassi in diminuzione, negli anni
della crisi si assiste ad un deciso livellamento delle dinamiche, con un Meridione
che tuttavia continua ad esprimere le variazioni vero l’alto più marcate del Paese
(Fig. 2).
81
Fig. 1 – Auto per 100 abitanti e per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
2012
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to 0.00
0.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
> 12.00
2008
2002
Var. 2008-2012
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to 0.00
0.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
> 12.00
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
70,8
70,6
76,4
56,7
55,9
63,9
56,3
57,4
60,7
62,1
62,8
68,3
58,8
59,9
58,1
47,9
46,7
49,7
51,7
52,7
57,3
54,0
53,9
60,0
57,0
56,6
57,8
72,5
70,2
68,1
42,8
41,5
43,8
61,9
59,7
61,6
Var. 08-12
Var. 02-08
+0,2
-5,8
+0,8
-8,0
-1,1
-3,3
-0,7
-5,5
-1,1
+1,8
+1,2
-3,0
-1,0
-4,6
+0,1
-6,1
+0,4
-1,2
+2,3
+2,1
+1,3
-2,3
+2,2
-1,9
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
Fig. 2 – Auto per 100 abitanti e per comuni diversi dal capoluogo di provincia
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
64,4
63,9
58,4
58,9
58,0
61,2
57,4
56,9
54,3
63,6
61,5
61,9
57,6
53,8
49,5
55,2
52,8
51,7
62,9
61,1
61,9
73,3
71,1
66,4
53,9
52,7
48,4
68,6
64,8
58,8
57,1
55,9
55,2
63,4
61,8
61,2
Var. 08-12
Var. 02-08
+0,5
+5,5
+0,9
-3,2
+0,5
+2,6
+2,1
-0,4
+3,8
+4,3
+2,4
+1,1
+1,8
-0,8
+2,2
+4,7
+1,2
+4,3
+3,8
+6,0
+1,2
+0,7
+1,6
+0,6
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
82
Nelle grandi città gli effetti della crisi economica appaiono più eventi nella
valutazione delle dinamiche legate al numero dei motocicli, anche se la stessa crisi
non è riuscita ad invertire le tendenze, infatti in nessun caso si registrano valori in
diminuzione. Detto ciò il fenomeno che maggiormente attira l’attenzione è la
robusta contrazione dei tassi di crescita: ad esempio, se tra il 2002 ed il 2008 le
moto possedute dai romani sono aumentate di oltre il 50% (più del 60% nelle città
siciliane), nei successivi quattro anni il tasso di crescita si attesta sul +5,9% (sotto
il 10% per Palermo e Catania) (Tab. 2).
Roma rimane anche nel 2012 la città con il maggior numero di due ruote
motorizzate, con ben oltre 400mila moto, seguita a notevole distanza da Milano,
Genova, Napoli e Palermo, tutte abbondantemente sopra la soglia delle 100mila
unità.
Tab. 2 – Numero di motocicli nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e
differenza %)
Città
2002
2008
2012
253.393
106.156
95.079
391.057
140.699
125.601
414.113
155.142
129.158
Torino
Palermo
49.267
69.039
65.231
113.819
70.552
121.796
Genova
Bologna
Firenze
Bari
105.548
41.062
48.343
21.711
132.148
50.753
67.441
31.521
138.209
53.756
71.686
33.983
Catania
Venezia
35.654
13.594
58.775
17.078
63.809
17.814
Verona
23.497
31.338
34.716
Roma
Milano
Napoli
Diff. %
2002-2008
Diff. %
2008-2012
+54,3
+32,5
+32,1
+32,4
+64,9
+25,2
+23,6
+39,5
+45,2
+64,8
+25,6
+33,4
+5,9
+10,3
+2,8
+8,2
+7,0
+4,6
+5,9
+6,3
+7,8
+8,6
+4,3
+10,8
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI
Dinamiche del tutto simili a quelle sopra commentate si hanno nel considerare le
moto in rapporto ai residenti delle grandi città: tassi sempre in crescita, con
maggiore rapidità nel periodo pre-crisi, meno nel periodo successivo. Unica
differenza è che Roma perde il primato a favore di Genova (ben 23,7 moto ogni
100 abitanti nel 2012), seguita da Catania (22), Firenze (19,6) e Palermo (18,6)
(Fig. 3). Il caso di Catania è interessante se associato ai dati già commentati sulle
auto, infatti sommando le due e le quattro ruote motorizzate il tasso di
motorizzazione raggiunge il 94,5 (considerando i soli residenti che possono
guidare, ogni catanese possiede ben 1,1 mezzi).
Lo sgonfiamento del tasso di crescita delle due ruote è rintracciabile in tutti i
comuni capoluogo di provincia, ma sono in un caso (Taranto) si registra un dato
con il segno meno. Inoltre, considerazioni del tutto simili si hanno anche nel
considerare i restanti comuni delle province (in questo caso l’unica dinamica
negativa è rappresentata da Caserta) (Fig. 4).
83
Fig. 3 – Motocicli per 100 abitanti e per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
-1.00 to 0.00
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 4.00
4.00 to 5.00
5.00 to 6.00
6.00 to 8.00
8.00 to 10.00
2012
2008
2002
Var. 2008-2012
-1.00 to 0.00
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 4.00
4.00 to 5.00
5.00 to 6.00
6.00 to 8.00
8.00 to 10.00
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
15,7
14,4
10,0
12,3
10,9
8,5
13,5
13,0
9,4
8,1
7,2
5,7
18,6
17,3
10,1
23,7
21,6
17,5
14,1
13,5
11,0
19,6
18,4
13,7
10,8
9,8
6,9
22,0
19,8
11,6
6,9
6,3
5,0
13,7
11,8
9,2
Var. 08-12
Var. 02-08
+1,3
+4,4
+1,4
+2,4
+0,5
+3,6
+0,9
+1,5
+1,3
+7,2
+2,1
+4,1
+0,6
+2,5
+1,2
+4,7
+1,0
+2,9
+2,2
+8,2
+0,6
+1,3
+1,9
+2,6
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
Fig. 4 – Motocicli per 100 abitanti e per comuni diversi dal capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
-1.00 to 0.00
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 4.00
4.00 to 5.00
5.00 to 6.00
6.00 to 8.00
8.00 to 10.00
2012
2008
2002
Var. 2008-2012
-1.00 to 0.00
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 4.00
4.00 to 5.00
5.00 to 6.00
6.00 to 8.00
8.00 to 10.00
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
9,0
8,2
5,6
9,3
8,5
6,7
9,3
9,2
6,1
9,9
8,6
6,6
9,4
8,2
4,8
25,0
22,4
16,2
10,5
9,7
7,8
12,7
11,7
9,5
6,3
5,6
3,8
12,8
11,5
7,1
8,6
7,7
5,6
9,9
8,4
6,3
+0,8
+2,6
+0,8
+1,8
+0,1
+3,1
+1,3
+2,0
+1,2
+3,4
+2,6
+6,2
+0,8
+1,9
+1,0
+2,2
+0,7
+1,8
+1,3
+4,4
+0,9
+2,1
+1,5
+2,1
Var. 08-12
Var. 02-08
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
84
Altro aspetto meritevole di approfondimento in tema di mobilità privata riguarda la
composizione del parco veicolare in relazione ai diversi standard emissivi.
Per quanto riguarda le auto si è deciso di pesare i mezzi Euro IV (vincoli che si
applicano ai veicoli stradali nuovi venduti nell'UE a partire dal 2006) sul totale delle
auto circolanti nel 2008, nonché i mezzi Euro V (valevoli dal 2009) sul totale 2012.
Ebbene, nel primo caso si nota chiaramente come a distanza di circa 2 anni
dall’introduzione degli standard Euro IV una fetta consistente del parco auto si era
già “adeguata” ai nuovi limiti di emissioni inquinanti, mentre nel 2012 la
percentuale di auto Euro V (quindi a distanza di 3 anni dall’avvio dei nuovi vincoli)
è, in tutte le diverse aree territoriali analizzate, decisamente più bassa.
Considerando le grandi città e le cartine presenti nella figura che segue (Fig. 5) le
considerazioni appena fatte appaiono in tutta la loro evidenza. Prendendo ad
esempio la città di Roma, nel 2008 le auto Euro IV che circolavano erano quasi il
40% del totale, mentre nel 2012 le auto Euro V non raggiungono neanche il 20%
(17,5% per l’esattezza). In altre città la realtà appare ancora più critica, in
particolare in quelle del Sud Italia, dove la percentuale di auto Euro V non
raggiunge neanche il 10% del totale (5,8% nel caso di Napoli).
Un parco auto che, come già detto nella parte introduttiva, invecchia e anche
molto velocemente.
Fig. 5 – Percentuale di auto almeno euro IV (2008) o almeno Euro V (2012) sul
totale nei capoluoghi di provincia
2008 – Euro 4
2012 – Euro 5
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
2012 (Euro V)
2008 (Euro IV)
17,5
39,5
19,4
36,4
5,8
18,3
19,5
38,8
Palermo Genova Bologna Firenze
9,1
27,3
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI
85
13,5
34,7
15,9
38,3
17,3
38,2
Bari
9,1
29,3
Catania Venezia
6,2
21,0
13,0
32,9
Verona
15,3
34,4
Dinamiche meno preoccupanti, ma non di molto, si osservano invece considerando
le moto (Fig. 6). È sempre vero che nel confronto 2008-2012 la quota di mezzi di
ultima generazione in termini di emissioni inquinanti diminuisce (Euro II con
riferimento al 2008, Euro III per quanto riguarda il 2012), ma meno sensibilmente
rispetto alle auto. Infatti, prendendo nuovamente ad esempio la città di Roma, nel
2008 più una moto su due possedeva un motore Euro 2, mentre nel 2012 le due
ruote Euro 3 rappresentano il 40,2%, ovvero il 14,4% in meno (è bene ricordare
che questa stessa percentuale sale al 22% tra le auto).
Fig. 6 – Percentuale di moto almeno euro II (2008) o almeno Euro III (2012) sul
totale nei capoluoghi di provincia
2008 – Euro 2
2012 – Euro 3
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
2012 (Euro III)
2008 (Euro II)
40,2
54,6
37,8
42,1
32,5
45,2
28,1
34,1
Palermo Genova Bologna Firenze
34,3
47,4
39,6
43,5
36,7
43,1
44,6
52,2
Bari
31,7
37,0
Catania Venezia
36,0
50,2
29,2
35,0
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI
2.2. Diminuiscono gli incidenti, un po’ meno
quelli più gravi
Nell’analisi della mobilità privata non può certo mancare lo studio delle dinamiche
legate alla sicurezza stradale e, più nello specifico, gli incidenti stradali, anche in
questo caso osservati facendo particolare riferimento alla loro dimensione urbana,
alle grandi città, ai singoli comuni capoluogo di provincia e ai restanti comuni delle
province stesse.
Partendo dall’analisi per tipologia di strada, si nota da un lato come la maggioranza
assoluta degli incidenti avviene su strade urbane (75,9% del totale 2012), incidenti
86
Verona
37,4
40,4
che hanno causato 1.562 morti in tutta Italia (il 42,8% delle vittime stradali),
dall’altro lato una diminuzione della quota sia degli incidenti che delle vittime tra il
2011 e il 2012 (nel primo caso -0,5%, nel secondo -2,4%) (Tab. 3).
Classificando poi questi dati per singola regione, si osserva che nel 2012 è la
Liguria, così come già visto per il 2011, l’area con la quota più importante di
incidenti in ambito urbano (l’85% del totale, poco meno rispetto al 2011), seguita
dalla Lombardia con 81,1% (-0,8%). Supera la soglia dell’80% anche la Sicilia,
mentre tutte le altre regioni rimangono sotto, tuttavia la Toscana (con 79,7%) e il
Lazio (78%) si attestano sopra la media nazionale (75,9%). In nessun caso si
registra un valore inferiore al 50% (il Molise che più di altri si avvicina si ferma al
54,2%). La Liguria è anche la regione con la più alta percentuale di morti per
incidenti stradali sulle strade urbane, ed è l’unica a caratterizzarsi per una
percentuale superiore al 60% (67% contro una media nazionale pari al 42,8%).
Tab. 3 - Numero di incidenti e morti su strade urbane, peso percentuale sul totale per
Regione (2012 e 2011)
Strade urbane (2012)
Incidenti
Morti
59
85,0
67,0
7.926
28.703
257
81,1
47,6
9.426
103
80,4
Toscana
13.485
135
Lazio
18.447
173
Italia
Sicilia
7.443
Strade urbane (2011)
Morti
Lombardia
Morti
% sul totale (2012)
Incidenti
Liguria
Incidenti
% sul totale (2011)
Incidenti
Morti
49
85,3
61,3
30.407
268
81,9
50,4
47,2
10.564
129
79,5
47,6
79,7
54,4
14.643
133
78,4
50,2
78,0
46,0
21.393
229
79,6
53,9
141.713
1.562
75,9
42,8
157.023
1.744
76,4
45,2
Campania
7.232
114
75,5
50,9
7.807
135
76,4
55,6
Emilia-R.
13.319
168
72,9
44,7
15.099
168
74,0
42,0
Piemonte
8.856
109
72,9
38,4
9.634
137
72,7
42,8
Friuli-V. G.
2.517
37
72,8
44,0
2.694
40
74,8
47,6
Marche
3.918
40
71,7
40,4
4.729
51
72,4
39,5
Veneto
10.008
157
71,5
42,8
11.278
179
72,5
48,5
Puglia
7.225
64
70,7
24,2
8.632
78
71,3
28,8
Abruzzo
2.524
42
69,4
47,7
2.874
34
70,8
41,0
Umbria
1.624
16
68,9
32,0
1.914
26
67,0
42,6
Sardegna
2.284
20
66,9
23,5
2.568
33
67,8
33,0
Trentino A. A.
2.015
19
62,1
26,0
1.931
17
64,6
29,3
Calabria
1.653
37
61,1
33,6
1.802
25
60,3
24,0
Valle d'Aosta
176
2
59,7
18,2
188
3
62,9
33,3
Basilicata
547
7
58,7
14,3
608
7
57,7
18,9
Molise
311
3
54,2
15,8
332
3
52,0
15,8
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
Passando ora all’analisi per capoluogo di provincia, guardando in prima battuta alle
grandi città, durante il periodo di crisi economica (2008-2012) si registra una
generale diminuzione degli incidenti, in molti casi di oltre il 20% (ad esempio a
87
Milano, Napoli e Bologna), al contrario di quando è possibile osservare nel
confronto tra il 2002 ed il 2008 (a Bari si registra un +23,3%).
La città che più di altre vede ridursi il numero di sinistri negli ultimi 4 anni è
Bologna (-22,5%), mentre nel considerare l’intero arco temporale qui analizzato è
Torino la più performante (-42,9%), seguita da vicino da Catania (-42,7%); al
contrario le città che hanno fatto meno bene sono entrambe meridionali ed
entrambe presentano variazioni con il segno più: Palermo (+7,1%) e Bari (+5,6%)
(Tab. 4).
Tab. 4 – Numero di incidenti nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e
differenza %)
Città
2002
2008
2012
Roma
21.580
18.181
15.782
Milano
Genova
15.229
4.758
13.584
4.635
10.758
4.283
Torino
5.470
3.979
3.358
Firenze
Palermo
4.357
2.317
3.384
2.616
2.772
2.464
Napoli
Bologna
Bari
Verona
2.746
2.848
1.856
2.084
2.793
2.508
2.288
1.725
2.199
1.944
1.882
1.458
Catania
Venezia
1.944
1.080
1.437
896
1.199
730
Diff. %
2002-2008
Diff. %
2008-2012
-15,8
-10,8
-2,6
-27,3
-22,3
+12,9
+1,7
-11,9
+23,3
-17,2
-26,1
-17,0
-13,2
-20,8
-7,6
-15,6
-18,1
-5,8
-21,3
-22,5
-17,7
-15,5
-16,6
-18,5
Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
In queste stesse città, tuttavia, migliora il rapporto tra numero di morti e incidenti,
più che dimezzato nel periodo 2002-2012. Approfondendo l’analisi degli indici di
mortalità si notano valori e dinamiche notevolmente differenti da città a città. Così
se nel 2012 a Napoli, Bologna, Catania, Venezia e Verona si contano più di un
morto ogni 100 incidenti, a Genova l’indice si ferma allo 0,49, tuttavia Genova è
una delle città che si caratterizza per un indicatore che cresce tra il 2008 ed il 2012
(+0,1), al pari di Milano (+0,02 con un indice pari a 0,57 nel 2012), Verona (+0,04
e 1,03), Firenze (+0,17 e 0,58) e soprattutto Bologna (+0,33 e 1,13) (Fig. 7).
Per quanto riguarda le altre città capoluogo di provincia, nel confronto 2008-2012
in 59 città su 107 si registra un indicatore in diminuzione, in alcuni casi anche in
modo consistente (Avellino, Benevento, Caserta, Crotone che è passata dai 5,64
morti ogni 100 incidenti del 2002, ai 3,33 del 2008, all’1,4 del 2012); tuttavia se si
guarda al periodo 2002-2008 il numero di città che vedevano diminuire l’indice di
mortalità erano 65 (sulle 102 di cui si dispongono i dati).
I dati provinciali, al netto dei capoluoghi, presentano un indice di mortalità
mediamente più rilevante. Ad esempio nella provincia di Roma nel 2012 si registra
un valore pari a 1,89 (nella capitale d’Italia non si va oltre lo 0,98), in quella di
Torino a 3,47 (oltretutto in crescita negli ultimi 4 anni) (Fig. 8).
88
Fig. 7 – Indice di mortalità(1) per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 5.00
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to -2.00
-2.00 to 0.00
0.00 to 2.00
2.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
nd
2012
5.00 to 8.00
8.00 to 12.00
12.00 to 16.00
16.00 to 20.00
2008
2002
Var. 2008-2012
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to -2.00
-2.00 to 0.00
0.00 to 2.00
2.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
0,98
1,05
1,68
0,57
0,55
0,51
1,55
1,72
1,64
0,77
0,98
1,26
0,73
1,45
1,81
0,49
0,39
0,86
1,13
0,80
1,37
0,58
0,41
0,48
0,69
0,87
1,56
1,25
2,57
1,95
1,37
1,56
1,20
1,03
0,99
1,10
Var. 08-12
Var. 02-08
-0,07
-0,63
+0,02
+0,04
-0,17
+0,08
-0,21
-0,28
-0,72
-0,36
+0,10
-0,47
+0,33
-0,57
+0,17
-0,07
-0,18
-0,69
-1,32
+0,62
-0,19
+0,36
+0,04
-0,11
(1)
Numero di morti ogni 100 incidenti - Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
Fig. 8 – Indice di mortalità(1) per comuni diversi dal capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
0.00 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 3.00
3.00 to 5.00
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to -2.00
-2.00 to 0.00
0.00 to 2.00
2.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
nd
2012
5.00 to 8.00
8.00 to 12.00
12.00 to 16.00
16.00 to 20.00
2008
2002
Var. 2008-2012
-12.00 to -8.00
-8.00 to -4.00
-4.00 to -2.00
-2.00 to 0.00
0.00 to 2.00
2.00 to 4.00
4.00 to 8.00
8.00 to 12.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2012
2008
2002
1,89
2,76
4,39
1,25
1,23
1,14
2,30
2,51
3,74
3,47
3,34
4,16
1,88
3,99
4,99
1,39
2,01
3,83
2,82
3,32
4,01
1,65
1,62
2,21
2,25
3,05
6,93
2,51
3,32
5,09
2,45
3,47
4,22
2,96
3,68
5,18
Var. 08-12
Var. 02-08
-0,87
-1,63
+0,02
+0,09
-0,21
-1,23
+0,13
-0,82
-2,11
-1,00
-0,62
-1,82
-0,50
-0,69
+0,03
-0,59
-0,80
-3,88
-0,81
-1,77
-1,02
-0,75
-0,72
-1,50
(1)
Numero di morti ogni 100 incidenti - Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat
89
3.
Gli strumenti dissuasivi della
mobilità privata nelle città
capoluogo di provincia
3.1. Gli stalli di sosta e le zone a traffico
limitato
Già si è detto di una crescita ormai continua delle misure rivolte alla diminuzione
dell’uso del mezzo privato attraverso una maggiore creazione di nuovi stalli di
sosta, siano essi su strada a pagamento o di interscambio con i mezzi pubblici, e
un’estensione delle Zone a Traffico Limitato, in questa parte del capitolo si
approfondirà se la crescita coinvolge tutte le città capoluogo di provincia.
Iniziando l’analisi dai stalli di sosta a pagamento, si nota che sono le città del Nord
Italia quelle che più di altre hanno puntato sulle cd strisce blu per disincentivare
l’uso delle automobili, con alcune importanti eccezioni, quali Cosenza, dove nel
2011 si contano circa 138 parcheggi a pagamento ogni 1.000 auto circolanti,
Avellino (122,5) e i tre capoluoghi pugliesi più a sud (Fig. 9).
Negli ultimi anni, quelli della crisi finanziaria, la crescita del numero di parcheggi a
pagamento è tuttavia minore rispetto al passato, e ciò è evidente alche nel
considerare le sole grandi città. In alcune di queste addirittura l’indicatore si
ridimensiona, è il caso di Roma (dal 40,1 del 2008 al 37,8 del 2011), Bologna (da
155,2 a 150,3) e soprattutto Firenze (da 162,5 a 142,4), mentre nei restanti
comuni si registra un incremento delle strisce blu, crescita che a Napoli e Torino si
traduce in una inversione di tendenza rispetto al periodo 2002-2008, mentre a
Genova, Catania e Bari in un’accelerazione.
Guardando al complesso dei capoluoghi, nel 2011 le prime tre città per numero di
stalli a pagamento in proporzione alle auto sono Fermo (260,6), La Spezia (214,7)
e Pavia (176,7), mentre Andria (11,0), Ascoli Piceno (8,8) e Agrigento (8,5)
chiudono la “classifica”.
Sempre in tema di sosta, ma facendo riferimento ai parcheggi di scambio con il
trasporto pubblico3, i dati presentati dall’Istat evidenziano ancora una volta una
differenze tra il Nord e il Sud del Paese, nonché un arretramento (tra il 2008 e il
2011) di importanti città, come Roma (da 6,7 a 6,3 posti ogni 1.000 auto) e Milano
(da 19,9 a 18,7) (Fig. 10).
3
Il tema merita riflessioni più approfondite rispetto alla sola osservazione dei dati dei comuni
capoluogo di provincia, accorerebbe valutare, ad esempio, anche la dotazione dei comuni che
formano le cinture metropolitane delle grandi città, che in alcuni casi tendono a fondersi con la città
stessa e spesso garantiscono importanti infrastrutture a servizio della metropoli.
90
Fig. 9 – Stalli di sosta a pagamento su strada per 1.000 auto e per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
0.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 40.00
40.00 to 60.00
-40.00 to -20.00
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 40.00
40.00 to 80.00
80.00 to 120.00
nd
2011
60.00 to 100.00
100.00 to 150.00
150.00 to 200.00
200.00 to 250.00
2008
Var. 2008-2011
-40.00 to -20.00
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 40.00
40.00 to 80.00
80.00 to 120.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2011
2008
2002
37,8
40,1
28,4
54,7
38,2
20,0
42,1
40,5
44,4
88,0
84,3
87,3
47,3
42,3
5,6
83,9
45,5
9,5
150,3
155,2
112,1
142,4
162,5
94,5
36,0
18,8
17,8
37,9
32,8
31,2
46,6
39,4
25,1
52,4
40,4
2,0
-2,3
+11,7
+16,5
+18,2
+1,6
-3,9
+3,7
-3,0
+5,0
+36,7
+38,4
+36,0
-4,9
+43,1
-20,1
+68,0
+17,2
+1,0
+5,1
+1,6
+7,2
+14,3
+12,0
+38,4
Var. 08-11
Var. 02-08
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat
Fig. 10 – Stalli di sosta in parcheggi di interscambio con il trasporto pubblico per 1.000 auto e per
comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
-30.00 to -20.00
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 50.00
50.00 to 100.00
100.00 to 200.00
nd
2011
2008
2002
Var. 2008-2011
-30.00 to -20.00
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 50.00
50.00 to 100.00
100.00 to 200.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2011
2008
2002
6,3
6,7
6,2
18,7
19,9
15,4
5,0
3,8
3,5
12,2
10,8
7,8
7,0
7,0
4,3
19,4
19,2
18,3
54,3
52,8
47,1
13,6
14,5
11,4
13,9
11,5
0,0
8,0
8,1
2,8
149,2
137,0
115,2
18,7
6,9
5,1
-0,4
+0,5
-1,2
+4,5
+1,2
+0,3
+1,4
+3,0
0,0
+2,7
+0,2
+0,9
+1,5
+5,7
-0,9
+3,1
+2,4
+11,5
-0,1
+5,3
+12,2
+21,8
+11,8
+1,8
Var. 08-11
Var. 02-08
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat
91
Altro strumento per la limitazione della circolazione delle auto è l’istituzione di Zone
a Traffico Limitato, sempre di più usato dalle Amministrazioni locali per ridurre gli
effetti negativi della mobilità privata nei centri storici.
In buona parte delle grandi città, nel confronto 2008-2011, non si registrano
variazioni significative (Roma, Milano, Palermo, Bologna, Bari, Verona e Venezia),
le uniche eccezioni riguardano Torino, Napoli e soprattutto Firenze (da 3,61 km2
ogni 100 km2 di superficie comunale a 4,13); quest’ultima dopo Milano e Palermo è
la città con oltre 250 mila abitanti con l’indicatore più elevato nel 2011
(rispettivamente 4,94 e 4,85 km2) (Fig. 11). Nel periodo della crisi economica,
quindi, non si registrano tassi di crescita paragonabili all’intervallo di tempo 20022008, dimostrando un certo rallentamento che tuttavia è forse maggiormente
addebitabile all’impossibilità per molte città, in particolare quelle più piccole, di
procedere ad ulteriori estensioni delle ZTL.
Ciò detto l’indicatore raggiunge, nel 2011, il suo valore massimo a Bergamo, che
insieme a Biella sono gli unici due capoluoghi con un valore superiore ai 10 km2
(per l’esattezza 12,8 e 10,7). Nel complesso sono ben 93 i capoluoghi con ZTL,
tuttavia nella maggioranza delle città di cui si conosce il dato si registra un valore
inferiore all’unità (in 66 città).
Fig. 11 – Kmq di ZTL ogni 100 kmq di superficie comunale per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
-1.00 to -0.60
-0.60 to -0.40
-0.40 to -0.20
-0.20 to 0.00
0.00 to 0.20
0.20 to 0.40
0.40 to 0.60
0.60 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 4.00
nd
2011
2008
2002
Var. 2008-2011
-1.00 to -0.60
-0.60 to -0.40
-0.40 to -0.20
-0.20 to 0.00
0.00 to 0.20
0.20 to 0.40
0.40 to 0.60
0.60 to 1.00
1.00 to 2.00
2.00 to 4.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2011
2008
2002
0,58
0,59
0,36
4,94
4,94
-
3,08
2,93
2,93
2,06
1,92
0,84
4,85
4,85
2,39
3,22
3,15
3,15
2,28
2,28
2,28
4,13
3,61
3,61
0,28
0,28
0,28
-
0,51
0,51
-
0,42
0,42
0,40
-0,01
+0,23
0,00
-
+0,15
0,00
+0,14
+1,08
0,00
+2,46
+0,07
0,00
0,00
0,00
+0,52
0,00
0,00
0,00
-
0,00
-
0,00
+0,02
Var. 08-11
Var. 02-08
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat
92
3.2. Le isole pedonali e le piste ciclabili
Un secondo strumento a disposizione delle Amministrazioni locali per la dissuasione
all’uso dell’auto e, allo stesso tempo, per la promozione di una mobilità alternativa
è l’istituzione di isole pedonali.
Nel 2011 tra le grandi città è, come era logico aspettarsi, Venezia quella che più di
altre ha destinato porzioni del proprio territorio comunale ai soli pedoni (ben 486,9
m2 per 100 abitanti), seguita da lontano da Firenze (99,6) e Torino (45,3).
(Fig. 12). Fatta l’eccezione di Venezia, meglio della città toscana riescono a fare
Verbania e Cremona, con un indice che raggiunge, rispettivamente, 207,8 e 107,3
m2; al contrario le città meno dotate di aree pedonali sono Teramo (1,2), Brindisi
(0,6) e Latina (0,3).
In termini generali dalle cartine che seguono si osserva chiaramente che le città
del Nord Italia sono quelle che più di altre hanno previsto aree vietate all’auto, un
timido recupero dei comuni del Centro-Sud si assiste solo negli ultimi anni, tuttavia
ancora troppo debole per sperare di colmare quel divario che si è creato nei primi
anni del 2000. Inoltre alcune città, non poche a dire il vero (ben 49), negli ultimi 3
anni hanno invece invertito la rotta restituendo aree comunali ai mezzi motorizzati.
Fig. 12 – Mq di aree pedonali per 100 abitanti per comune capoluogo di provincia
Var. 2002-2008
-250.00 to -150.00
-150.00 to -75.00
-75.00 to -25.00
-25.00 to -10.00
-10.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 50.00
50.00 to 100.00
nd
2011
2008
2002
Var. 2008-2011
-250.00 to -150.00
-150.00 to -75.00
-75.00 to -25.00
-25.00 to -10.00
-10.00 to 0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 50.00
50.00 to 100.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2011
2008
2002
17,3
14,4
13,7
29,0
27,6
23,7
30,0
27,9
25,9
45,3
42,2
32,7
7,3
5,9
2,5
5,3
5,1
5,1
28,5
27,2
17,5
99,6
82,2
84,7
16,2
16,1
10,9
8,0
7,9
1,9
486,9
488,3
464,8
16,7
16,6
16,7
Var. 08-11
Var. 02-08
+2,9
+0,7
+1,4
+3,9
+2,1
+2,0
+3,1
+9,5
+1,4
+3,4
+0,2
0,0
+1,3
+9,7
+17,4
-2,5
+0,1
+5,2
+0,1
+6,0
-1,4
+23,5
+0,1
-0,1
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat
93
Ultimo fenomeno qui analizzato nella sua distribuzione territoriale e nelle sue
dinamiche temporali è l’estensione delle piste ciclabili. Il primo elemento che
emerge in modo molto chiaro osservando le cartine inserite nella Figura 13, è la
buona dotazione dei comuni capoluogo di provincia del Nord rispetto al quelli del
Centro-Sud, differenza che è costantemente aumentata nel corso degli anni, sia in
quelli che hanno preceduto la crisi economica, sia nei successivi tre.
Tra le grandi città, nel 2011, è Torino quella con la maggiore offerta di piste
ciclabili, ben 134,4 km ogni km2 di superficie comunale, un dato oltretutto in
continua crescita e in forte accelerazione negli ultimi anni (dai 65,5 km del 2002, ai
91,8 del 2008, fino ai 134,4 del 2011). Interessante è anche l’incremento che si
registra a Milano (+30,9 km tra il 2008 e il 2011), nonché la diminuzione
dell’indicatore a Firenze (-14,8).
Nel 2011 meglio della città piemontese, considerando tutti i capoluoghi di
provincia, riesce a fare solo Padova con oltre 160 km. Oltre 100 km di percorsi
dedicati alle biciclette si registrano anche a Brescia (132,3 km per l’esattezza),
Modena (116,1) e Treviso (107,2), mentre le città con la minore dotazione sono
Ragusa, Sassari e Viterbo, ma anche Reggio di Calabria e Genova, tutte con meno
di 1 km di piste ciclabili.
Fig. 13 – Km di piste ciclabili ogni 100 kmq di superficie comunale per comune capoluogo di
provincia
Var. 2002-2008
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to -0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 40.00
40.00 to 60.00
60.00 to 80.00
nd
2011
2008
2002
Var. 2008-2011
-20.00 to -10.00
-10.00 to -5.00
-5.00 to -0.00
0.00 to 5.00
5.00 to 10.00
10.00 to 20.00
20.00 to 40.00
40.00 to 60.00
60.00 to 80.00
nd
Anno
Roma
Milano
Napoli
Torino
Palermo
Genova
Bologna
Firenze
Bari
Catania
Venezia
Verona
2011
2008
2002
10,2
8,8
2,3
72,0
41,1
33,0
0,0
0,0
0,0
134,4
91,8
65,5
13,3
11,7
2,1
0,5
0,0
0,0
68,6
55,4
27,7
49,8
64,6
25,4
7,5
6,5
4,7
0,0
0,0
0,0
24,8
18,8
7,5
39,2
31,4
4,6
Var. 08-11
Var. 02-08
+1,4
+6,5
+30,9
+8,1
+0,0
+0,0
+42,6
+26,3
+1,6
+9,6
+0,5
0,0
+13,2
+27,7
-14,8
+39,2
+1,0
+1,8
0,0
0,0
+6,0
+11,3
+7,8
+26,8
Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat
94
Parte quarta
IL BENCHMARK EUROPEO
PRESENTE E FUTURO DELLA MOBILITÀ
URBANA NELL’OPINIONE DEI CITTADINI UE
1.
Introduzione
Il trasporto è come noto uno dei fattori-chiave dello sviluppo contemporaneo sotto
diversi punti di vista. In primo luogo poiché esso garantisce funzioni di accessibilità
e collegamento tra territori e aree del pianeta più o meno centrali o periferiche,
ponendole in condizione di operare scambi e relazioni strategiche in tempi e a
prezzi vantaggiosi. Oltre ad essere un servizio fondamentale per la circolazione di
persone e beni (e svolgere, come si dice, una funzione “derivata” a vantaggio degli
insediamenti umani e produttivi presenti nello spazio), l’attività di trasporto nelle
sue molte articolazioni tecnologiche e funzionali è però anche un importante
settore economico in sé, partecipe delle prospettive di crescita e qualificazione del
capitale sociale, produttivo e professionale dell’Europa; tale può essere considerato
tanto dal punto di vista del valore aggiunto prodotto (4,6% del PIL europeo),
quanto dell’occupazione di addetti (circa 10 milioni, pari al 4,5% della forza lavoro
continentale)1.
Essendo inoltre più del 68% degli europei residenti in ambito urbano, la condizione
di mobilità delle città è poi particolarmente importante per la crescita attuale e
futura.
Data l'alta percentuale di attività che si svolgono nei poli urbani (vi si genera l’85%
del PIL dell’Unione), i problemi con le infrastrutture di trasporto in tali aree
possono portare gravi conseguenze economiche. Di fatto la congestione stradale,
presente dentro e nell’intorno delle città, determina nel continente ritardi,
inefficienze e perdite stimate in quasi 100 miliardi euro ogni anno, cifra pari all'1%
del PIL complessivo dell'UE. Una parte rilevante di tali disfunzioni (code, ingorghi
stradali) si riflette anche in consumi energetici eccessivi e in costi per famiglie e
imprese, in ragione anche di modelli di spostamento in cui il motore tradizionale, a
benzina e gasolio, continua ad essere usato in dimensioni enormi e oggi forse non
più sostenibili (nel continente secondo le più recenti stime Eurostat2 si consumano
circa 283.580 Ktoe l’anno di carburante per trasporti, qualcosa come 500 miliardi di
euro di valore, a stare molto prudenti).
Al riguardo, le aree urbane sono inoltre particolarmente esposte ai costi esterni dei
trasporti, più difficili da rappresentare in termini di partite economiche certe, ma
ugualmente importanti per le conseguenze reali apportate sulla collettività (in
termini finanziari ma non solo, di qualità e vivibilità degli ambienti di vita). Basti
pensare alle implicazioni medico-sanitarie dovute ai livelli elevati di inquinamento
atmosferico e acustico subito dagli abitanti della aree più densamente popolate
oppure al numero elevato di incidenti accorrenti specie su tangenziali, assi di
scorrimento e vie principali di accesso alle maggiori città. Per non dire ancora delle
1
Report a cura della Commissione UE (DG MOVE, Transport Research and Innovation Portal ) dal titolo
Employment in the EU transport sector: Communicating transport research and innovation,
2
Lussemburgo, 2013 (per riferimenti vedi al sito web: www.transport-research.info).
Cfr.
Commissione
UE,
Statistica
pocketbook
2013,
EU
Transport
in
figures
(http://ec.europa.eu/transport). L’acronimo ktoe indica 1.000 tonnellate equivalenti di petrolio.
97
emissioni impattanti sul clima: l’’Agenzia Europea dell’Ambiente stima si debba ai
trasporti quasi 1/3 della CO2 emessa in atmosfera in un anno in Europa, per il 72%
dipendente dai viaggi su strada. Non dovrebbe sfugge al riguardo l’entità dei
risparmi cui condurrebbe un adattamento dei sistemi di trasporto, così come è
relativamente facile da stimare, sul fronte sanitario, l’ammontare dei benefici diretti
per la salute (e per le casse pubbliche) di regimi di vita meno sedentari e di diffusi
spostamenti non a motore3.
In considerazione di questi problemi dunque, muovendo in una logica volta a
tenere insieme competitività e sostenibilità dei territori, l’UE si è interessata negli
anni sempre più alla dimensione urbana dei trasporti. Per provare ad intervenire la
Commissione europea ha adottato prima lo specifico Piano d’azione del 2009
(messa in atto delle indicazioni emerse dal Libro Verde sul trasporto urbano nel
2007) e inoltre, di recente, ha pubblicato il “Libro bianco“ sui trasporti 20114 che
fissa le linee strategiche di evoluzione, segnalando in particolare i seguenti obiettivi
per la mobilità urbana:
-
dimezzare entro il 2030 l’uso di vetture alimentate con carburanti tradizionali
ed eliminazione di tali auto dalle aree urbane entro il 2050;
-
conseguire nelle principali città/metropoli continentali un sistema di logistica
urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030;
-
avvicinarsi con una serie composita di indirizzi (es. pianificazione integrata,
nuove tecnologie e principi di controllo del traffico, politiche di sviluppo della
mobilità ciclo-pedonale, aumento della qualità dei servizi di trasporto collettivo
specie in alcune aree più in ritardo, ecc..) ad una forte riduzione dei costi
sociali e sanitari direttamente connessi al traffico e all’affollamento stradale.
Il raggiungimento di questi obiettivi richiede una conoscenza dettagliata dei
problemi incontrati dai cittadini che si spostano regolarmente in area urbana e il
sostegno potenziale di differenti approcci di risposta ai problemi. In questo senso
le recenti indagini “Eurobarometro”, commissionate dalle diverse Direzioni Generali
della Commissione Europea (DG Mobilità e dei Trasporti, DG ambiente) offrono
indicazioni di notevole interesse su cui può essere utile soffermare l’attenzione al
fine di precisare inclinazioni e linee di condotta collettive su cui fare leva per
impostare opportuni percorsi di cambiamento.
Di particolare interesse sono specie i risultati del recente sondaggio (Speciale
Eurobarometro 460, dicembre 2013) dal titolo “atteggiamenti degli europei nei
confronti della mobilità urbana” che proveremo in prevalenza a rileggere ed
3
4
L'Organizzazione Mondiale della Sanità calcola con il programma HEAT (Health Economics Assessment
Tool) il risparmio in costi sanitari ottenuto spostando il “modal split” verso pedoni e ciclisti (www.
http://www.euro.who.int).
Vedi il Libro Bianco sul futuro dei trasporti entro il 2050 dal titolo “Tabella di marcia verso uno spazio
unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile” pubblicata nel
2011 (COM (2011) 144 final) e poi il successivo Pacchetto per la mobilità urbana, costituito da una
comunicazione Insieme verso una mobilità urbana competitiva ed efficace sul piano delle risorse
(COM (2013) 913 final) con cui la Commissione ha sollecitato l’adozione di procedure e maccanismi
comuni volti a favorire la condivisione di dati ed esperienze, mettere in rilievo le migliori pratiche e
rafforzare la cooperazione innovativa a livello locale.
98
elaborare nel presente capitolo5, al fine di allargare l’analisi “della domanda” al
campo continentale e trarre indicazioni di confronto tra i 28 Paesi con particolare
riferimento alle disposizioni dei cittadini su aspetti come:
-
percezioni dei problemi e abitudini di viaggio maturate nei diversi contesti e
latitudini, temi che affronteremo in dettaglio nella prima parte del capitolo
(parr. 1 e 2);
-
opinioni sulle misure per migliorare il trasporto e le possibilità di movimento in
città, da prendere soprattutto a livello locale (par. 3), seppure in un quadro di
indirizzi comuni tra le varie istituzioni e realtà territoriali (inclusi UE, stati
nazionali, regioni);
-
aspettative e visioni rispetto al futuro del traffico urbano, in materia di
innovazione e contenuti di sostenibilità, da cui in particolare cercheremo di
trarre in conclusione riferimenti specifici all’Italia (par. 4) in ordine ad alcune
evoluzioni da favorire e agli obiettivi verso cui far progredire il suo sistema dei
trasporti urbani.
5
Indagine commissionata dalla Commissione (DG Mobilità e Trasporti e coordinata dalla DG
Comunicazione) e condotta da TNS Opinion & Social network in 28 Stati membri dell'Unione europea
tra il 24 maggio e il 9 giugno 2013.
Per maggiori informazioni vedi http://ec.europa.eu/public_opinion/index_en.htm.
99
2.
La percezione dei problemi
Poco meno di quattro europei su dieci, interrogati nel corso del 2013, sostiene di
incontrare problemi di mobilità urbana: come si può vedere dal Graf. 1
esattamente il 38% dei rispondenti al sondaggio dichiara di avere “spesso” o
almeno “qualche volta” in difficoltà nell’accedere ad attività, beni e servizi a causa
del traffico e della congestione stradale. Una percentuale non di poco conto, anche
se la maggioranza (oltre il 60%) di coloro che si spostano in città sostiene di non
incontrare mai o raramente problemi di questo tipo.
Graf. 1 - Frequenza e problemi di spostamento in città
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Comprensibilmente le indicazioni più critiche sono espresse dagli abitanti delle
grandi aree urbane (il 45% dei residenti vive condizioni di impedimento negli
spostamenti), mentre i giudizi sono meno problematici nei centri minori (città
medio-piccole) e nelle zone rurali: in questi contesti sostiene di incontrare difficoltà
di accesso alle attività e ai luoghi fondamentali rispettivamente non più del 37% e
del 34% dei cittadini interpellati (8 e 11 punti percentuali di in meno).
100
Le differenze tra Paesi non sono meno importanti da notare per un confronto sulla
situazione di mobilità presente nei vari contesti europei. Gli italiani
significativamente appaiono intanto tra i residenti dei 28 Paesi UE quelli più inclini
a muoversi in ambito urbano. Se tra gli europei consultati il 46% sostiene di
spostarsi in città tutti i giorni, il 26% qualche volta la settimana e il 24% al
massimo qualche volta al mese, ben il 73% dei connazionali indica di muoversi nei
centri urbani quotidianamente; solo il 19% e il 6% degli intervistati vi si muove con
una frequenza più bassa, pari a un paio di volte la settimana (nel primo caso) o al
più a un paio di volte al mese (nel secondo).
Inoltre quello italiano, stando alle risposte fornite, si dimostra come uno dei popoli
più limitati nelle possibilità di spostamento e con difficoltà di accesso a luoghi e
servizi fondamentali.
Come si può vedere entrando nel dettaglio dei risultati nazionali6, a specifica
domanda (Graf. 2) la percentuale di quanti nel nostro Paese dichiarano di fare
fatica, spesso o qualche volta, a raggiungere le mete fondamentali è molto più alta
di quella rilevabile nella media europea (59% contro 38%). La difficoltà di accesso
alle attività urbane, sempre a quanto rilevato dall’indagine, è presente nel “vissuto”
quotidiano degli italiani il doppio di quanto non lo sia tra i tedeschi o tra gli inglesi
(30% e 27%), addirittura tale esperienza negativa – che ha a che fare più o meno
direttamente con l’esercizio del “diritto alla mobilità” - è oltre tre volte superiore a
quella indicata da danesi, svedesi e finlandesi (i quali esprimo rispettivamente
“solo” il 18%, il 15% e l’11% di indicazioni problematiche).
Tale primo punto di diversità è molto significativo e trova altre conferme nell’analisi
della percezione dei problemi specifici di tipo sociale e ambientale connessi
all’eccessiva presenza di traffico.
Va detto che l’inquinamento atmosferico è un costo altissimo rilevato un po’ in
tutte le latitudini e, insieme alla congestione, è il tema percepito con maggiore
preoccupazione dai cittadini dell’Unione (l’81% degli europei considera le emissioni
da traffico un problema molto o abbastanza importante, il 76% ritiene che lo sia
altrettanto l’affollamento stradale). In una percentuale solo poco più bassa (74%)
gli indagati percepiscono come un problema l’eccessiva onerosità dei costi viaggio
(spese per servizi e attività di trasporto). Con altrettanta gravità è vista la
questione degli incidenti (73%) e il rumore (72% delle risposte).
L’analisi delle risposte per ambito urbano evidenzia peraltro una sostanziale e per
certi versi sorprendente uniformità dei giudizi espressi (Graf. 3) che ritroviamo in
parte anche nel confronto tra i gruppi sociali.
6
L’indagine complessivamente ha coinvolto 27.680 individui nell’intero continente (UE28); il
campione italiano è costituito da 1.025 interviste effettuate nel periodo da maggio a giugno
2013.
101
Graf. 2 - L’intensità dei problemi di accessibilità nei Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Graf. 3 - Percezione dei problemi per ambito urbano
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
102
I residenti delle maggiori città sono mediamente più propensi a vedere in termini
problematici i cinque aspetti testati dal sondaggio a confronto di chi vive nelle
medie o piccole città o nei centri rurali. Le differenze maggiori si rilevano per la
congestione, percepita con preoccupazione da l’81% di chi vive in grandi aree
urbane e dal 73% degli abitanti dei centri minori. Volendo rimarcare alcune
differenze sociali, l’area dei lavoratori autonomi (80%), dei manager (79%) e degli
altri impiegati (79%) è relativamente più sensibile della media al problema degli
ingorghi da traffico; gli studenti e i lavoratori autonomi avvertono in maggiore
misura l’inquinamento dell’aria come difficoltà rilevante (84% e 85%). Le
preoccupazioni per i costi di trasporto si riflettono maggiormente nelle valutazioni
dei lavoratori manuali e dei disoccupati (81%).
L’analisi dei giudizi espressi nei vari Paesi è probabilmente però quella di maggiore
interesse da svolgere, poiché consente di entrare meglio all’interno del quadro di
differenze geografiche e regolarità nei giudizi, fornendo indicazioni più o meno
direttamente riconducibili alle circostanze di contesto che le determinano.
In generale il “posizionamento” italiano sui temi del sondaggio è rappresentata nel
successivo grafico, in cui sono messe a confronto le propensioni medie europee e
quelle degli intervistati nel nostro Paese (Graf. 4).
Graf. 4 - Il giudizio sulla gravità dei problemi. Confronto Italia-UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
103
L’inquinamento è il primo problema in ordine di importanza per gli italiani, i quali
dimostrano sul tema una preoccupazione superiore a quella degli abitanti di altre
nazioni: lo smog è considerato un fatto molto grave dal 47% degli intervistati nella
Penisola contro una media del 39% rilevabile nel campione continentale. Sono
pochissimi i partener UE i cui cittadini denotano apprensioni così elevate (dei 28
Paesi del sondaggio solo in Bulgaria, Grecia, Cipro, Malta e Spagna si raggiungono
queste percentuali critiche di risposta). Altre complicazioni sentite dagli italiani con
relativa maggiore gravità risultano l’inquinamento acustico (34% contro 27% in
UE) e gli incidenti (33% vs 31%).
Ragionando a livello complessivo l’Italia appare in compagnia di un gruppo
relativamente stabile di Paesi mediterranei e dell’Est: Malta, Cipro, Grecia,
Slovacchia, Spagna (su alcuni indicatori anche la Francia), più Polonia e Bulgaria,
Repubblica Ceca e in parte la Croazia i cui abitanti dichiarano di vivere con
maggiore intensità i costi e le complicazioni connesse alla mobilità urbana. Di
contro gli abitanti di altre nazioni come Finlandia, Danimarca, Svezia, Lettonia,
Estonia, Olanda (per i costi di trasporto) più la Germania (in fatto specialmente di
incidenti e inaccessibilità) riportano costantemente, nelle rispose dei cittadini, la più
bassa incidenza di problemi quando si viaggia in città.
A completare l’immagine di grave apprensione vissuta dagli italiani soprattutto in
tema di inquinamento urbano, oltre alla fotografia attuale vale la pena fare
riferimento a giudizi e indicazione di tendenza registrati in altre indagini recenti. In
particolare dai riscontri di un altro sondaggio sulle propensioni ambientali dei
cittadini UE (Flash Eurobarometro 360, gennaio 20137) si evince come l’Italia sia in
assoluto il Paese i cui abitanti constatano il peggioramento più consistente della
qualità dell’aria respirabile negli ultimi 10 anni: da noi oltre l’81% degli intervistati
risponde di notare una aggravamento della situazione dello smog, contro il 56%
degli europei (EU 27).
A preoccuparsi di più per i danni sanitari e delle condizioni di vivibilità dovuti
all’inquinamento nel continente, oltre agli italiani troviamo anche in questo caso le
popolazioni affacciate sul mediterraneo e quelle appartenenti all’area dei Balcani
(Sud-Est europeo) (Fig. 1).
E’ interessante infine rilevare come proprio il traffico di merci e di persone siano
largamente in testa alle cause ritenute all’origine dei bassi livelli di qualità dell’aria:
un ulteriore e chiaro segno di consapevolezza circa la rilevanza degli effetti negativi
prodotti dallo sbilanciamento verso il motore privato dei modelli di mobilità locale e
urbana (Graf. 5). Le emissioni di auto e autocarri sono valutate di grande impatto
per il 77% degli europei consultati nel corso del 2012: gli italiani si esprimono
all’83% in questo senso, mentre per il 79% considerano una minaccia soprattutto
le produzioni industriali (la media europea è del 67%), il 59% inoltre attribuisce un
largo impatto ai trasporti internazionali (aereo e nave) e in misura minore (40% e
38%) ad agricoltura e il riscaldamento delle abitazioni civili.
7
Survey dal titolo “Attitudes of europeans towards Air quality” commissionata dalla Commissione (DG
Ambiente e coordinata dalla DG Comunicazione) realizzata tra il 24 and 26 September 2012 in 27
Stati membri UE (per il Report vedi http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/flash_arch_en.htm).
104
Fig. 1 - Qualità dell’aria e problemi connessi all’inquinamento
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013
Graf. 5 - Le principali cause di inquinamento atmosferico
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013
105
3.
Le abitudini di trasporto
3.1. L’auto non domina ovunque
L’analisi del ricorso degli europei alle diverse tipologie di spostamento aiuta a
fornire altre precisazioni circa le dimensioni problematiche ora rilevate,
evidenziando propensioni prevalenti dei cittadini che si pongono, in una certa
misura, in rapporto di continuità sia con fattori culturali e dimensioni di scelta
soggettive (stili e abitudini di viaggio di individui, famiglie e gruppi sociali), sia con
aspetti organizzativi più strutturali, relativi alle condizioni offerte di mobilità a vario
livello (di strada, quartiere, di tipologia di area urbana, di nazione, ecc..).
Una prima serie di informazioni interessanti, di ordine generale, deriva dalle
risposte del campione europeo sulle frequenze d’uso dei mezzi di trasporto
(Graf. 6).
Graf. 6 - Le propensioni di spostamento degli europei
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
106
L’osservazione d'insieme permette intanto di segnalare il peso rilevante della
“mobilità non a motore” nel complesso delle decisioni individuali espresse.
Significativamente, stando a quanto rilevato, più dei due-terzi degli europei
intervistati sostiene di camminare quotidianamente (68%) e un considerevole 48%
lo fa addirittura in più momenti nell’arco del giorno; quasi il 20% va “di passo”
alcune volte la settimana (l’8% lo fa al massimo un paio di volte al mese) e solo
una percentuale moto modesta di cittadini (il 4%) dichiara di non muoversi mai a
piedi.
La metà esatta dei rispondenti usa invece tutti i giorni l’automobile come guidatore
o passeggero e un significativo 27% vi ricorre alcune volte la settimana. Numeri
che denotano tutta l’importanza delle “quattro ruote” negli schemi di mobilità
urbana (il 35% va in auto più volte al giorno), anche se la situazione è forse più
variegata di quanto immaginato: ad esempio circa un rispondente su dieci (12%)
sostiene di non usare mai la macchina per spostarsi e un'altra quota più modesta
ma non insignificante (7%) lo fa in modo assai sporadico: meno di due o tre volte
al mese.
Solo il 3% degli europei utilizza inoltre le due ruote a motore con frequenza
quotidiana (3%), contro la gran parte dei cittadini (88%) che esclude del tutto
questa modalità di viaggio: non va in moto neanche in forma saltuaria.
Stando sempre alle propensioni dichiarate e venendo alle altre modalità, il 16%
degli europei sostiene di spostarsi quotidianamente con mezzi collettivi (bus, tram,
metro, treno…) e il 19% si limita a viaggiare con il trasporto pubblico locale al
massimo qualche volta la settimana (il 29% dichiara di non utilizzare mai il Tpl). Il
12% dei rispondenti afferma infine di usare il pedale con frequenza giornaliera,
mentre il 17% adopera la bici al più una o due volte la settimana (con l’area dei
non utilizzatori che sale in questo caso al 50% del totale).
Si tratta di percentuali che di per sé indicano un ruolo “tutto sommato” modesto di
tali opzioni “alternative” nelle scelte espresse di mobilità, dove spostamenti in auto
e a piedi sembrano dividersi la gran parte delle attenzioni. Il panorama appare
tuttavia assai più articolato e interessante, in ordine alla diffusione delle varie
modalità di viaggio, qualora si provi ad elaborate le risposte fornite per ambito
urbano di appartenenza: esercizio da consigliare sempre e quanto più possibile
nell’analizzare formazioni territoriali così estese e internamente diversificate.
La percentuale di chi dichiara di usare l’auto tutti i giorni (Graf. 7) scende dal 50%
complessivo (UE28) al 38% nelle grandi città, ambito dove si nota invece una
quota ben più robusta di utenti del trasporto pubblico: la porzione di clienti abituali
del Tpl arriva in tal caso al 31%, mentre scende all’8% tra gli abitanti delle aree
rurali e al 13% tra quelli dei centri medi e piccoli. Il ricorso sistematico al Tpl è
pertanto doppio nelle realtà urbane maggiori rispetto a quello rilevato nella media
del campione UE28 (16%).
Da evidenziare anche la presenza in questi contesti di una robusta percentuale di
ciclisti8, con la bici che è impiegata almeno una volta al giorno dal 10% degli
8
Nel report non è invece disponibile il dettaglio del ricorso agli spostamenti pedonali nei diversi ambiti
di vita.
107
abitanti delle grandi città, contro un non molto più alto 12-13% di indagati che
sostiene di usare il pedale nelle formazioni urbane più piccole. Dato che
nell'insieme conferma l’esistenza di un maggiore equilibrio della mobilità nei grandi
centri abitati, frutto della combinazione di vari aspetti favorevoli in cui rientrano:
modelli più prudenti di consumo automobilistico imposti dalla congestione, capacità
di risposta delle amministrazioni e presenza di condizioni oggettive che permettono
di organizzare al meglio le alternative sostenibili grazie alle economie di
concentrazione, alla possibilità di acquisire partnership, alla disponibilità di risorse
per investimenti in reti e servizi dedicati, ecc..
Graf. 7 - Le propensioni di spostamento per ambito urbano. Alcune
modalità
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Vedremo di seguito quante di quante differenze tendano a sussistere producendo
effetti consistenti e differenze anche tra paesi e aree geografiche.
3.2. Le differenze tra Paesi
L’analisi delle risposte fornite dagli abitanti dei 28 Paesi UE offre indicazioni di
confronto ancora più utili allo scopo di precisare il posizionamento degli stati
membri e dell’Italia in particolare rispetto alle “scelte modali” e alla tipologia di
mezzi di spostamento utilizzati dai cittadini.
108
Innanzitutto va detto che esistono sostanziali differenze rispetto all’importanza
dell’automobile nelle decisioni di viaggio (Graf. 8).
Graf. 8- Frequenza di utilizzo dell’automobile. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
La porzione di quanti sostengono di usare l’auto ogni giorno ad esempio a Cipro
(85%) è assai più alta (è il triplo circa) rispetto a quella rilevata in Ungheria (24%),
Romania (27%) o Bulgaria (29%). Alte percentuali di utilizzatori dell’auto si hanno
anche tra i rispondenti in Irlanda (68%), Italia (66%) e Lussemburgo (65%).
Abbondantemente sopra il dato UE28 si trovano anche importanti stati
centroeuropei come Francia (il 59% degli intervistati dichiara di usare l’auto
almeno una volta al giorno), Austria (57%), Belgio (57%) e Germania (54%); in
quest’ultimo caso la percentuale di ricorso alle quattro ruote è una media di
propensioni molto diverse espresse nelle regioni storiche del Paese: la quota di
utilizzatori dell’auto è assai più contenuta nella Germania dell’Est (41%) che non
nella parte Ovest della nazione (58%).
109
L’Italia è dunque in una nutrita compagnia di realtà nazionali dove l’auto assolve in
misura predominante il compito di soddisfare le esigenze di viaggio quotidiane con
mezzi di trasporto (escluso quindi gli spostamenti a piedi di più corto raggio). A
parità di altri parametri, lo sbilanciamento verso il motore privato è ancora più
consistente nel nostro Paese a paragone di quanto rilevato altrove, se si pensa
però che addirittura il 51% degli italiani dichiara di servirsi dell’auto più volte al
giorno (la media UE28 come detto è del 35%) e un altro 13% sostiene di essere
utilizzatore quotidiano delle due ruote a motore (contro il 5% rilevato a scala
continentale).
E’ importante in ogni caso leggere in modo combinato il ricorso alle altre modalità,
per avere un panorama più definito di indicazioni sui livelli di “sostenibilità”
raggiunti dai modelli di spostamento adottati dai cittadini. A partire dall’analisi
riguardante la frequenza di uso dei mezzi collettivi, dove troviamo in posizioni di
vertice (Graf. 9) tutte le nazioni dell’Est (le percentuali di ricorso al Tpl sono
praticamente ovunque qualche punto sopra la media, con punte più sostenute di
viaggiatori “pubblici” in Ungheria e Repubblica Ceca), per proseguire poi con
l’analisi del grado di utilizzo diffusione del pedale o del ricorso agli spostamenti a
piedi che vede il grosso del Centro-Nord Europa (primo caso) e la maggior parte
delle nazioni mediterranee e dell’Est (secondo caso) molto più avanti dell’Italia.
Graf. 9 - Frequenza di utilizzo del trasporto pubblico. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
110
In particolare (Graf. 10) l’uso della bicicletta è certamente un’abitudine quotidiana
specie per gli abitanti dei Paesi Bassi (il 43% del campione di olandesi indagato
dichiara di pedalare almeno una volta al giorno e addirittura il 32% sostiene di
spostarvisi più volte al giorno), e inoltre per quelli di Danimarca (30% di ciclisti
quotidiani), Finlandia (28%) e Ungheria (25%). Germania e Svezia (entrambe al
19%) rientrano ugualmente nel gruppo di tesa di realtà la cui popolazione risulta
spiccatamente orientata verso le due ruote a pedale.
L’Italia al riguardo si posiziona di poco sopra la medie UE28 (12%), facendo meglio
di Francia (5%), Regno Unito (4%) e Spagna (4%) ma con un’altissima
percentuale di rispondenti (60%) che dichiara di non usare in alcun modo il pedale
per spostarsi.
Graf. 10 - Frequenza di ricorso al pedale. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Stando sempre alle risposte fornite a livello di singoli stati, tra i contesti dove si
cammina di più (Graf. 11) troviamo ancora un nutrito gruppo di realtà del
Settentrione e dell’Est europeo, come Lituania (il 90% dei cittadini dichiara di
111
muoversi a piedi tutti i giorni), Slovacchia (86%), Polonia (85%), Bulgaria (84%),
Estonia (83%) e Repubblica Ceca (82%).
Graf. 11 - Frequenza del camminare. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
L’Italia compare anche in questo caso nella parte bassa della graduatoria risultante
dalla disposizioni dei cittadini (56% di rispondenti da noi dichiara di camminare
almeno una volta al giorno contro una medie UE del 68%) e chiude il gruppo dei
“sedentari”, vale a dire degli europei più riluttanti a muoversi con le proprie
gambe, insieme agli abitanti di nazioni come Belgio (48%), Paesi Bassi (42%) e
Cipro (addirittura un quarto dei rispondenti dichiara di non camminare mai).
Iniziando a ragionare in termini di priorità d’intervento, da quanto emerso fin qui è
chiara pertanto l’esistenza nel nostro Paese di ampi margini di crescita di tutte e
tre le forme di spostamento alternative all’auto. Certamente tale necessità merita
di essere circostanziata anche con riferimento a disposizioni diverse dal solo
112
orientamento della “domanda” qui proposto (chiamando in causa le caratteristiche
date dei sistemi urbani, l’entità delle dotazioni strumentali, le modalità di intervento
sulle condizioni di offerta, ecc..). Vedremo più avanti in che termini però tale
propensione è intanto tradotta in indirizzi e misure concrete dai rispondenti al
sondaggio.
3.3. I principali profili socio-demografici delle
scelte modali
Procedendo moto rapidamente nell’analisi delle tendenze espresse circa le abitudini
di viaggio, dal sondaggio è possibile avere un riscontro interessante sulla
composizione sociale delle diverse categorie di utenti della mobilità urbana. Quali
sono in sintesi gli europei che viaggiano più spesso in automobile? Chi può essere
annoverato con convinzione tra i ciclisti? Quali gruppi e categorie di cittadini si
rivolgono invece con buona regolarità al mezzo pubblico?
Al riguardo le tavole successive propongono, in sequenza, alcune caratterizzazioni
da cui poter trarre indicazioni precise sui comportamenti di mobilità dei principali
profili sociali.
Ad esempio dalla Fig. 2 si evince come gli uomini, in media, siano propensi a
utilizzare quotidianamente la macchina più spesso delle donne (57% vs 42%).
Inoltre più di sei su dieci intervistati di età compresa tra 25-39 e 40-54
(rispettivamente il 61% e il 62%) ricorrono alle quattro ruote almeno una volta al
giorno, quota che scende significativamente tra i segmenti più giovani così come
nelle fasce di popolazione più avanti con l’età (l’auto è usata tutti i giorni per il
39% dei 15-24enni e per il 37 % degli over 55enni).
Queste differenze sono suscettibili di essere parzialmente spiegate dalla disparità di
condizione professionale: studenti e ritirati dal lavoro hanno un uso più
parsimonioso dell’auto privata (intorno al 30%). Tra le categorie lavorative i
manager sono invece i maggiori guidatori (il 73 % si muove in auto almeno una
volta al giorno); usano la machina altrettanto intensamente sette su dieci lavoratori
autonomi o colletti bianchi (rispettivamente 71 % e 68%) e una parte consistente
anche di operai (64%), cifre in netto contrasto con le propensioni delle casalinghe
(37%) e dei disoccupati intervistati (35%).
L'uso quotidiano di auto è anche strettamente legato ai livelli di reddito: gli
intervistati che quasi non hanno difficoltà a pagare le bollette sono più propensi a
usare una macchina su base giornaliera (52%) di quelli che hanno spesso difficoltà
a pagare le bollette (37%).
Il medesimo comportamento è anche più comune per le famiglie di grandi
dimensioni composte da almeno 4 persone (59%) e dalle coppie con bambini
(64%), che hanno evidentemente esigenze di compiere più attività durante la
giornata, a seguito dei maggiori compiti domestici e di accompagnamento dei vari
parenti e congiunti, e scelgono pertanto di agire con maggiore autonomia e
potenziale rapidità di movimento.
113
Fig. 2 – Gli automobilisti (UE28)
Rispondenti (%) che dichiarano di usare l’automobile almeno una volta al giorno
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Venendo alle principali alternative all’auto, le categorie più propense verso i
trasporti pubblici (Fig. 3) sono particolarmente i giovani specie se studenti (gli
scolari usano sistematicamente i mezzi pubblici in una quota del 49% contro la
media complessiva del 16%), l’area del lavoro dipendente (impiegati e operai
rispondono di usare il Tpl per il 20% i primi e per il 17% i secondi, contro un 7%
114
rilevabile tra i lavoratori autonomi, le casalinghe o tra quanti si trovano in
condizione di ritirati dal lavoro). Anche i “single” (23%) e le persone in difficoltà
economica (23%) risultano mediamente più inclini a ricorrere ai servizi collettivi.
Fig. 3 - Gli utenti del trasporto pubblico (UE28)
Rispondenti (%) che dichiarano di usare il Tpl almeno una volta al giorno
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Quanto osservato permette di identificare pertanto con sufficiente precisione un
primo nucleo di ”target” e inclinazioni potenziali (definite sul piano culturale,
dell’età e degli stili di vita) su cui concentrare apposite e distinte strategie di
attenzione al fine di incentivare il passaggio modale dall’auto ai “mezzi”.
115
Al contrario di quanto rilevato a proposito del trasporto pubblico, l’uso quotidiano
della bicicletta non varia molto tra gruppi di età e condizione socio-economica: gli
intervistati tra 15-24 anni vanno in bici almeno una volta al giorno (15%) contro
percentuali comprese tra l’11-12% delle altre classi di età (Fig. 4) e differenze
modeste si rilevano in favore degli studenti (18%) rispetto alle altre categorie
professionali (al lato opposto troviamo le casalinghe che solo per il 10% usano la
bici tutti i giorni).
Fig. 4 - I ciclisti (UE28)
Rispondenti (%) che dichiarano di usare il Tpl almeno una volta al giorno
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
116
Tuttavia, gli intervistati di 15-24 anni si orientano di più al pedale con frequenza
settimanale (25%) rispetto ai rispondenti di età superiore (sostiene di montare in
sella con tale frequenza il 18% dei rispondenti in età di mezzo e il 13% dei più
adulti) e solo circa un terzo dichiara di non usare mai la bici per muoversi (36%),
contro oltre sei su dieci degli ultra 55enni (62%). Per inciso gli intervistati che sono
più propensi a dire che non usano mai la bici sono pensionati (66 %), casalinghe
(62%) o disoccupati (55%).
Anche se il ciclismo è a volte considerato un modo di trasporto relativamente a
“buon mercato”, quasi uno su cinque di chi non ha difficoltà a pagare le bollette vi
ricorre un paio di volte a settimana (19%) quasi il doppio come rapporto, uno su
dieci, rilevabile tra coloro che hanno difficoltà a pagare le bollette la maggior parte
delle volte (10%).
Quasi i due terzi di coloro che hanno queste difficoltà (63%) valutano infine le
biciclette non utile come sistema di mobilità, percentuale che scende al 46% tra
coloro che quasi mai hanno difficoltà a pagare le bollette.
117
4.
L’opinione sulle politiche e gli
scenari futuri
4.1. Le misure più efficaci in Europa
Come anticipato, l’indagine ha inoltre chiesto agli europei di scegliere tra una serie
di misure quelle da ritenere più efficaci allo scopo di migliorare il trasporto in città,
traendone indicazioni molto significative su dove (verso quali tipologie di azioni)
indirizzare le politiche negli anni a venire. Per prima cosa è utile analizzare il
quadro d’insieme disegnato dalle risposte del campione continentale, per poi
passare in un secondo momento a rilevare indicazioni specifiche di confronto per
l’Italia, che dimostra alcune particolarità di giudizio da tenere in conto.
Stando ai risultati emersi (Graf. 12), una netta maggioranza di intervistati ritiene
essenziale puntare al miglioramento del trasporto pubblico in termini sia di costi
(59%) sia di aumento dei livelli qualitativi di offerta (56%).
Graf. 12 – Giudizio degli europei sulle misure
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
118
Sono queste le misure più comuni scelte e sulle quali si orientano un po’ tutti i
cittadini intervistati, con poche differenze avvertite sia sotto il profilo socioanagrafico (i segmenti di popolazione più istruiti sono in media più favorevoli a
misure di sviluppo dei trasporti pubblici), sia sotto quello dei comportamenti di
mobilità espressi (automobilisti, pedoni, utenti del Tpl e ciclisti sostengono allo
stesso modo l’abbassamento dei prezzi di autobus o tram).
Un terzo degli europei (33%) ritiene importante facilitare la mobilità ciclabile e
poco meno (28%) sostiene lo sviluppo di attenzioni e infrastrutture per i pedoni.
Su analoghi livelli si posizionano opzioni come limitare l'accesso a veicoli come gli
autocarri (27%) e applicare incentivi per car pooling e car sharing (25%).
Non sorprende rilevare come coloro che vanno in bici almeno una volta alla
settimana siano molto più propensi a credere che migliori infrastrutture ciclabili
potrebbero aiutare le possibilità di spostamento in città (47%) rispetto a coloro che
utilizzare una macchina (34%), i mezzi pubblici (33%) o vanno a piedi (34%)
almeno una volta alla settimana.
Infine sono da notare talune differenze di giudizio sulle misure con maggiore
consenso (prezzi più bassi e potenziamento dell’offerta di trasporti pubblici) dove si
segnalano percezioni che riflettono altrettanti diversi punti di vista circa l’influenza
dei problemi urbani. Gli intervistati inclini a ritenere la congestione stradale un
problema molto importante per la città sono in effetti generalmente più propensi a
sostenere l’utilità di prezzi più bassi per i mezzi collettivi (61%) e puntano in
misura maggiore allo sviluppo dei trasporti pubblici in genere (58%) rispetto a
quanti non considerano la congestione stradale problematica (in tal caso le
percentuali sono quasi 10 punti inferiori, rispettivamente il 53% e il 48%). Lo
stesso schema si osserva per l'inquinamento atmosferico e le spese di viaggio. Per
esempio, quanti ritengono piuttosto serio il problema dei costi di spostamento
identificano con maggiore frequenza la riduzione dei prezzi del trasporto pubblico
come misura di miglioramento della mobilità in città: 63% contro il 47% registrato
tra coloro per cui le spese di viaggio non sono un problema importante.
4.2. La posizione specifica degli italiani sulle
“scelte da compiere”
Rispetto a questi orientamenti di politica, l’Italia presenta un quadro di valutazioni
che confermano sostanzialmente il quadro continentale, con qualche diversità di
giudizio sulle effettive possibilità che alcune misure riescano a migliorare la
situazione del traffico e dei trasporti in città.
Per comprendere con esattezza talune caratterizzazioni nostrane, si può fare
riferimento alla seguente raffigurazione (Graf. 13a) in cui è riportata la sequenza
di pareri sulle proposte più gettonate a scala europea.
119
Graf. 13a – Giudizio sulle misure. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
I particolari del confronto risaltano il fatto che le opzioni più comuni in Europa, pur
ricevendo un un’evidente apprezzamento anche nel nostro Paese (le proposte di
adeguamento del Tpl restano quelle più scelte), sono indicate dagli italiani con
minore fiducia rispetto a quanto succede altrove (in particolare la riduzione del
prezzo dei servizi pubblici è da noi considerata molto meno prioritaria: 36% contro
59% di media in UE).
In merito sempre alle misure da compiere, la promozione della mobilità pedonale
prevale inoltre nei giudizi degli italiani sull’impegno nei confronti delle biciclette
(29% vs 24%). In pochi da noi inoltre guardano con fiducia alla diffusione dei
sistemi cosiddetti di auto condivisa: car sharing e car pooling, tipologie di servizi
che risultano al contrario molto apprezzati in nazioni anche vicine dell’Europa
centrale (Francia, Germania, Austria, Lussemburgo, Belgio).
A preferire misure di adeguamento dei costi del Tpl sono specie gli abitanti di
Svezia, Danimarca, Regno Unito, Germania insieme a quelli di realtà come Grecia e
Slovenia in cui si scorgono probabilmente di più gli effetti della crisi. Altrettanto a
120
grandi linee si può dire che il potenziamento dei servizi ciclabili è favorito in aree
già molto orientate al pedale (Svezia, Danimarca, Belgio) e in contesti più in ritardo
(Cipro, Estonia) dove è però forse maturata un’opinione pubblica favorevole verso
il pedale non ravvisabile in egual misura altrove, almeno a livello diffuso (proprio in
Italia, insieme al Portogallo, Spagna, Romania, Bulgaria, Malta, Irlanda).
È interessante notare però nel nostro caso soprattutto una maggiore apertura di
credito sulle proposte con minori consensi generali in ambito europeo (cfr. anche il
Graf. 13b).
Graf. 13b – Giudizio sulle misure. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Gli italiani rispondenti al sondaggio appaiono in media relativamente più
”confidenti” circa l’utilità di ridurre la velocità massima di circolazione (23% di
risposte favorevoli contro il 16% complessivo in UE). Molto significativamente, un
provvedimento di questo tipo (peculiare tema di rivendicazione del “popolo”
ecologista e dei ciclisti, rispondente all’applicazione di limiti a 30 km/h e dispositivi
di moderazione in aree residenziali) raccoglie addirittura gli stessi consensi e forse
avrebbe uguali “chance” di essere accettato rispetto ad un più tradizionale
investimento sulle reti ciclabili.
121
La stesso disposizione positiva si riscontra per le restrizioni ali mezzi pesanti (27%)
di cui diremo meglio in seguito, circa la decisione di restringere l’accesso veicolare
in orari stabiliti (17% vs 15% in UE) così come rispetto all’ipotesi di diminuire il
numero di parcheggi, su cui il consenso è in generale di proporzioni minori, ma è
indicato con favore dai rispondenti italiani in misura apprezzabilmente sopra la
media (13% di favorevoli in Italia e 7% in Europa).
4.3. L’orientamento all’innovazione
La richiesta di limiti di velocità più bassi evoca il tema della disciplina di guida e
anche in parte dei controlli, su cui evidentemente il nostro Paese sconta ritardi e
inadempienze che vanno a definire il giudizio dei cittadini (al lato opposto, con
percentuali contenute di consenso per la riduzione della velocità troviamo realtà in
genere più avanti nella cultura delle regole, e con meno bisogno di intervento
forse, come Slovenia, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia...).
Alla domanda: quanto pensa siano efficaci le campagne di sensibilizzazione per
limitare l’uso dell’auto? Oltre il 71% degli italiani interpellati ritiene
complessivamente (Graf. 14a) tali iniziative molto o abbastanza opportune. La
media UE28 è del 54% ed è da notare come in fondo alla graduatoria delle risposte
fornite dal campione si posizionino sempre i Paesi scandinavi e del Centro-Nord in
genere (anche Germania, Olanda, Regno Unito), in cui la sensibilizzazione sui temi
della sostenibilità ed ecologici in genere ha una più lunga e consolidata storia.
A prescindere da questo tipo di confronto, il giudizio espresso dai nostri
connazionali sembra indicare un possibile tema di impegno su cui richiamare
l’attenzione.
L’altra opzione testata dall’indagine è l’eventualità di sottrare spazio stradale e
limitare in particolare il dominio dei veicoli più grandi (camion, autoarticolati,
rimorchi, fuoristrada, SUV più potenti e a massa imponente, ecc..).
L’idea riceve nel nostro Paese (Graf. 14b) un consenso analogo a quello raccolto
dalla proposta precedente, in verità anche leggermente più alto (pari al 75%), pure
risultando maggiormente in linea con le valutazioni medie europee (69%).
L’apprezzamento complessivo in termini di esplicita efficacia dei vari partner è in
questo caso quindi superiore.
Specie l’opinione pubblica dell’Est Europa è nettamente orientata verso la
regolazione del traffico pesante, probabilmente anche a causa di esigenze più
evidenti di rinnovo delle flotte commerciali in uso (Bulgaria, Repubblica Ceca,
Grecia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia presentano percentuali di consenso sulla
risposta sopra l’80%). Sul fronte opposto si posizionano ancora una volta le realtà
centro-nordeuropee, insieme alla Spagna; in ogni caso, solo la Finlandia può
esibire giudizi positivi non superiori alla metà dei pareri espressi (il 50% considera
poco o per niente efficace il provvedimento) a denotare come la restrizione al
traffico veicolare più impattante sia una misura in grado di riscuotere consensi
molto ampi un po’ in tutti i Paesi.
122
Graf. 14a – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Graf. 14b – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
Il caso opposto è rappresentato dalle risposte all’ipotesi di applicare pedaggi
stradali come misura di disincentivo e volta a migliorare le condizioni di mobilità
tramite il contenimento del traffico urbano.
In media solo il 10% degli Europei parrebbe sostenere apertamente la proposta:
un valore basso, in linea con quanto riscontrato a livello nazionale dall’”Audimob”
nel corso di molti anni. Un altro 30% degli europei ritiene di qualche efficacia,
seppure moderata, far pagare costi aggiuntivi per l’uso di alcune strade urbane in
particolari orari critici (fasi di punta della giornata) (Graf. 14c).
Graf. 14c – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
La disposizione delle risposte è in tal caso meno delineata geograficamente di
quanto osservato in precedenza. L’Italia è tuttavia il posto dove la proposta
raggiunge la quota più alta di valutazioni positive in termini di efficacia (58% nel
complesso, “molto efficace” solo il 16%). Insieme a Ungheria, Slovacchia, Irlanda,
Danimarca, Bulgaria, Svezia il nostro Paese rientra nel novero di nazioni dove
l’ipotesi di pedaggio raccoglie oltre la metà di giudizi molto o moderatamente
124
positivi; in coda si notano gli abitanti di realtà, come Spagna e Francia, dove
peraltro da tempo sono in discussione forme di tariffazione del tipo indicato che
hanno dato luogo ad acceso il dibattito pubblico (in particolare di recente in Francia
l’ipotesi di pedaggio chilometrico applicato ai mezzi pesanti su tutte le strade di
grande scorrimento fuori dalla rete autostradale9).
Quanto osservato complessivamente significa probabilmente più cose rispetto agli
indirizzi di politica da seguire.
Da un lato forse indica un certo scetticismo nostrano sulle soluzioni già tentate.
Dall’altro dimostra però anche l’apertura alla sperimentazione e la disponibilità a
seguire “strade nuove” per affrontare i problemi di avvertita intensità. Non è un
caso che in genere tra gli abitanti delle grandi città, e nei ceti più istruiti o tra gli
studenti i giudizi di fiducia sulle soluzioni proposte siano relativamente più
consistenti. Addirittura tra chi vive nelle maggiori aree urbane la restrizione ad
alcuni veicoli è condivisa al 70% e l’utilità di iniziative promozionali al 57% (il
consenso sull’imposizione di forme di pagamento è più basso, al 45%). L’efficacia
delle campagne per ridurre l’uso dell’auto è scelta più di frequente dalle categorie a
minore reddito, che preferiscono comprensibilmente questa soluzione
all’applicazione di tariffe (es. 59% contro 38% per chi ha difficoltà con le bollette;
60% contro 39% per i disoccupati).
L’aspetto consegna alle autorità cittadine e regionali alcuni elementi di riflessione di
non poco conto su cui impostare strategie di risposta ad una condizione di mobilità
vissuta in termini preoccupati e problematici dagli italiani. A vedere bene questo
tipo di indicazioni peraltro non sono nuove, ma segnano una serie di atteggiamenti
avvertibili in altre recenti indagini sulle tematiche energetiche e della sostenibilità
ambientale. Sempre consultando il report citato in avvio di capitolo (Attitudes of
Europeans towards air quality, Flash Eurobarometro 360, gennaio 2013)
l’impressione di uno spazio possibile di intervento è rafforzata, in particolare, dalle
seguenti propensioni espresse nell’indagine:
-
la considerazione delle auto elettriche come principale sistema ecologico da
favorire nella prospettive di miglioramento della qualità dell’aria (ipotesi
favorita dal 74% degli italiani contro una media europea del 71%) e,
contestualmente, l’accordo circa l’applicazione nel futuro di più stretti controlli
sulle emissioni imposti ai produttori dei nuovi veicoli (30% vs 27% a scala
continentale);
-
il consenso ampio all’applicazione diffusa del principio “chi inquina paga”, che
richiederebbe il pagamento di passivi da parte specie degli attori economici
responsabili delle emissioni inquinanti (la maggioranza, ossia il 52% degli
italiani, una delle percentuali più alte in assoluto in UE, si dichiara in ogni caso
9
L’entrata in vigore dell’imposta ai fini ambientali per i camion francesi, prevista dalla “loi Grenelle 1”
del 2009, è stata più volte annunciata dal governo francese nel corso del 2012 e del 2013 e poi, a
seguito delle pressioni dell’opinione pubblica (in particolare delle categorie di autotrasportatori
coinvolti) definitivamente disdetta, a fine 2013, per ulteriori verifiche da compiere sulle modalità
applicative.
125
favorevole all’applicazione della misura nonostante i potenziali effetti negativi
su imprese e occupazione);
-
la domanda di informazione e notizie su aspetti cruciali come la legislazione di
intervento definita a livello europeo (solo il 17% degli italiani conosce gli
standard di qualità dell’aria definiti in sede UE, mentre il’83% non ne ha mai
sentito parlare) e le misure imposte dall’UE a scala nazionale (il 18% è al
corrente dell’esistenza di limiti nazionali di emissione, e obiettivi di riduzione
dettati dalle direttive europee, l’81% dei rispondenti no);
-
l’intenzione manifestata in una certa misura di mettere in atto azioni individuali
e cambiare comportamenti di mobilità (tra le azioni personali l’ipotesi di usare
forme meno inquinanti: Tpl, bici, camminare è al primo posto con il 58%), in
aggiunta alla relativa disponibilità all’acquisto nell’immediato di veicoli a basse
emissioni (22%, esattamente in linea con la media delle risposte fornite in UE)
e soprattutto alla rivendicazione di un necessario rafforzamento degli standard
europei di qualità dell’aria, considerati inadeguati da ben il 69% dei nostri
concittadini contro una media continentale assai più contenuta (58%).
Nella figura sottostante è riportata in sintesi l’atteggiamento favorevole espresso
nei confronti della diffusione delle auto elettriche (Graf. 15), innovazione di gran
lunga preferita rispetto ad altre tecnologie di trazione (ibride, biocombustibili,
sistemi tradizionali quali diesel e motore a benzina ancorché di ultima generazione)
che invece ottengono tra gli italiani tutte un consenso relativamente più basso
della media europea.
Graf. 15 – Prospettive dell’auto elettrica. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013
126
A seguire è il giudizio sugli standard UE di qualità dell’aria espresso dai rispondenti
al sondaggio nei diversi Paesi (Graf. 16) da cui emerge la particolare
caratterizzazione dell’opinione degli italiani, risultanti tra i più favorevole
all’adozione di norme maggiormente restrittive.
Graf. 16 – Il giudizio sugli standard europei di qualità dell’aria. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013
127
5.
Quale futuro? Fatalismo senza
rassegnazione (o quasi)
Giunti a questo punto è possibile tentare un ragionamento conclusivo sugli scenari
evolutivi del trasporto urbano, commentando sia le indicazioni espresse a specifica
domanda del questionario, sia provando a tradurre l’atteggiamento generale degli
intervistati in possibili indirizzi e segnali di disponibilità sulle politiche.
Come detto 4 europei su 10 verificano problemi quotidiani con la mobilità urbana.
Gli italiani in proposito manifestano una particolare difficoltà a svolgere le funzioni
quotidiane a causa della congestione e del traffico urbano, il quale insieme
all’inquinamento rappresenta un’evidente problematicità del contesto nazionale
avvertita con particolare preoccupazione dai cittadini. Alla richiesta di esprimersi
sulle prospettive, e descrivere quale idea della mobilità prevedano per il futuro, gli
indagati offrono però anche indicazioni diverse e in contro-tendenza.
Il quadro che emerge è in verità composito; per alcuni tratti lascerebbe poco
spazio alle speranze (Graf. 17) essendo la maggioranza degli europei (il 37% delle
opinioni espresse) orientata a pensare in peggio la mobilità a venire.
Graf. 17 – L’idea del futuro. Vari Paesi UE
Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013
128
Gli italiani si dimostrano tuttavia generalmente tra i meno pessimisti: il 23% degli
indagati immagina per domani un peggioramento del traffico, la maggioranza ossia
il 48% ritiene che le cose resteranno a grandi linee le stesse, il 25% invece pensa
ad un probabile miglioramento verificabile nel tempo. Si può cogliere in genere
dunque un certo atteggiamento di “fatalismo” nelle convinzioni dei connazionali
(l’opinione prevalente e in parte tipica forse del nostro carattere che “tutto rimarrà
come adesso”). La disposizione a ritenere lo scenario immutabile può essere
interpretata anche come indice, non positivo, di una certa rassegnazione o
tendenza ad accettare passivamente il corso degli eventi. Nel complesso tale
opinione segna però una differenza con il quadro più preoccupato indicato altrove:
si veda quanto risposto specie da inglesi (61% immagina un degrado della
situazione), danesi (per il 49% vedono con probabilità un aggravamento dei livelli
di traffico) e tedeschi (il 48% si esprime per il peggio).
In generale non esiste una correlazione tra il giudizio sulla situazione esistente e le
aspettative per il futuro. Non è secondario tuttavia rilevare che in molti contesti nei
quali la situazione attuale non è così problematica (almeno non è percepita tale dai
cittadini), una larga fetta di intervistati si aspetti un peggioramento negli anni a
venire. Altre volte le due situazioni si sommano: Belgio e Malta presentano un’alta
percentuale di rispondenti con problemi di accesso a luoghi o attività, e una quota
altrettanto elevata di abitanti (74% e 57%) che immagina ulteriori aggravamenti.
L’Italia presenta invece una sua particolarità nel collocarsi, con tutte le sue
propensioni critiche, nel gruppo dei Paesi meno negativi nei giudizi. I più ottimisti
sulle prospettive sono gli svedesi (48% di valutazioni positive), gli estoni (40%) e
gli irlandesi (39%).
Il fatto che da noi chi ritiene possibile un miglioramento del traffico prevalga,
seppure di misura, sui più sfiduciati è da considerare in ogni caso un segnale
incoraggiante, da annoverare tra le disposizioni collettive utili ad impostare
adeguate risposte e opportune linee di condotta pubbliche innovative.
L’atteggiamento sul futuro delinea in fin dei conti un’inclinazione positiva che può
essere sommata ad altri segnali dello stesso tipo emersi nel corso dell’indagine su
cui richiamare in conclusione l’attenzione:
-
un’elevata sensibilità sui temi ambientali, specie relativamente ai problemi di
inquinamento atmosferico e acustico; al riguardo il contributo dei trasporti al
problema smog (e al cambiamento climatico) è inoltre avvertito da una quota
significativa di abitanti, collocati specie nei segmenti istruiti e tra le nuove
generazioni;
-
l’apertura dei cittadini all’utilità di campagne promozionali ed educative da
aggiungere alle politiche ordinarie di miglioramento dell’offerta di reti e servizi,
con cui provare a rafforzare i settori più deboli e nei quali il Paese ha
accumulato maggiori ritardi rispetto a molti dei contesti urbani europei; i
“disallineamenti” sono noti: predominio del motore negli schemi di sviluppo
stradale (design, segnaletica, arredo urbano) e carenza di spazio sottratto alla
viabilità automobilistica, insufficienza di linee veloci e corsie preferenziali del
trasporto collettivo, debolezza complessiva dei sistemi di protezione e sicurezza
ciclo-pedonale, ecc..;
129
-
l’innovazione come principale leva da cui aspettarsi cambiamenti culturali e di
sensibilità, che si ritiene di poter tradurre in atteggiamenti e azioni pratiche in
linea con le evoluzioni da compiere. In questo senso è da considerare la
disponibilità a sacrifici (anche economici) in una fase certamente non facile per
questo tipo di risposte (causa l’evidente ristrettezza dei bilanci familiari), a
patto di immettere le eventuali uscite economiche in una sequela coerente di
indirizzi e attività progettuali.
Focalizzando meglio quest’ultimo punto, dal complesso delle indagini
“Eurobarometro” sui temi della mobilità e dell’ambiente emergono altri pareri
rilevanti sulle priorità italiane. Fanno parte di questo programma in fieri,
certamente come detto l’impegno per una riforma della viabilità locale
(spostamenti sul breve raggio e cura della mobilità di “prossimità”) di cui
dovrebbero farsi carico comuni e istituzioni regionali, oltre all’obiettivo di un rilancio
effettivo del traporto pubblico: settore su cui intervenire a varia scala di pertinenza,
con indirizzi e politiche di medio-lungo corso di cui si tratta in maniera approfondita
in altre parti del Rapporto.
Sugli strumenti da preferire, va detto che all’interno delle strategie di gestione della
domanda l’interesse manifestato dagli italiani va specie in direzione di applicazioni
di profilo sperimentale come limitazioni alla velocità di transito, restrizioni orarie
per alcune tipologie di veicoli tipo i camion o i grandi fuoristrada (SUV) meno adatti
all’ambiente urbano (compresa la riduzione degli spazi per parcheggi) più che non
verso un possibile “semplice” percorso di sviluppo di reti ciclabili e pedonali senza
supporto di controlli e regole.
Le limitazioni e gli indirizzi da imporre sul territorio (normative di qualità dell’aria) e
inoltre le evoluzioni da promuovere a scala industriale (costruttori) sono un altro
campo di intervento governativo – interno ed europeo - capace di riscuotere ampio
favore tra gli italiani. Da rimarcare il consenso per alcune innovazioni come l’auto
elettrica, verso cui sono riposte molte speranze di alleggerimento futuro delle
emissioni in ambiente e su cui si delinea, pertanto, un’opinione positiva prevalente
che potrebbe risultare di stimolo per un impegno più solido di attori economici,
istituzioni e apparati di ricerca nazionali.
Le preoccupazioni di tipo economico relative ai trasporti sembrano infine da noi
meno avvertite che altrove (es. realtà nordeuropee e paesi più in crisi come
Grecia). Il che determina forse minori necessità di incentivi “sul costo” per le
soluzioni più diffuse, come i trasporti pubblici, e permette di considerare come una
certa seppure “prudente” disponibilità l’adeguamento delle tariffe applicate nel
settore. Sorprende del resto il consenso espresso per l’introduzione di nuovi
meccanismi finanziari avanzati in campo internazionale, dall’imposizione fiscale
aggiuntiva per il trasporto più inquinante (es. “euro bollo” per i camion)
all’applicazione di sistemi di tariffazione stradale su base locale, differenziati
sempre secondo classi ecologiche e di pericolosità dei veicoli, su cui si potrebbe
provare ad agire tuttavia con maggiore coerenza e coraggio, secondo una strategia
riconoscibile al momento non ravvisabile nel nostro Paese. Tale strategia sarebbe
indispensabile, del resto, per assecondare in generale le molte inclinazioni
riscontrate sui vari fronti di cambiamento (tecnologico, industriale, organizzativo,
gestionale) e per indirizzare dunque il sistema di mobilità verso obiettivi comuni il
più possibile in linea con le disposizioni in formazione dal “lato della domanda”
(nuovi stili di mobilità urbana, aree di bisogno emergenti, attese ed evoluzioni in
atto nei comportamenti collettivi di guida/acquisto).
130
Parte quinta
L’INDAGINE SUGLI SCENARI
DOVE VA IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE
IN ITALIA
1.
Uscire dal passato (introduzione)
Con l’obiettivo di raccogliere idee e suggerimenti per rivedere in profondità le
politiche del trasporto pubblico locale in Italia, e per capire meglio lungo quali
prospettive esso si muove, è stata effettuata un’indagine quali-quantitativa sugli
scenari di evoluzione del settore, coinvolgendo un panel qualificato di aziende,
istituzioni ed esperti.
L’indagine è stata condotta tra le prima decade di aprile e la prima decade di
maggio dell’anno in corso. È stata somministrata una griglia tematica di
discussione con domande semi-strutturate, attraverso colloqui diretti face-to-face
(in prevalenza) o telefonici. In alcuni casi la scheda è stata compilata (compresi i
commenti qualitativi) senza il colloquio diretto.
Gli argomenti oggetto dell’intervista sono stati sei:
1. la previsione sull’andamento futuro del mercato del Tpl;
2. la valutazione sull’attuazione, attuale e in prospettiva, delle linee-chiave di
riforma del Tpl (ex D.lgs. 422/1997): liberalizzazione, pianificazione, efficienza
aziendale, decentramento;
3. la valutazione sui vincoli che impediscono al Tpl un pieno ed efficiente
sviluppo;
4. l’incidenza futura di alcuni potenziali driver di cambiamento per il settore
(processi di aggregazione dell’offerta, internazionalizzazione, cambiamenti
tecnologici, ecc.);
5. il giudizio su alcuni temi “caldi” dell’attuale dibattito sul settore (creazione di
aziende regionali, gare su bacini unici, costi standard, ecc.);
6. la valutazione su risorse umane e relazioni industriali e sindacali.
A completamento e ricapitolazione è stato poi chiesto quali sono le “tre cose più
urgenti” da fare per poter sviluppare il settore del Tpl in Italia.
Il panel ha coinvolto complessivamente 25 qualificati interlocutori (quasi tutti ai
livelli apicali dell’organizzazione rappresentata), di cui 5 di riferimento istituzionale
(Ministero Infrastrutture, Commissione Trasporti della Camera, Conferenza StatoRegioni, Antitrust, Federmobilità), 13 di riferimento aziendale (aziende urbane ed
extra-urbane associate ad Asstra ed Anav, cui si è aggiunto l’operatore ferroviario
nazionale), 4 di riferimento sindacale e dell’associazionismo ambientale, 3 esperti
del mondo accademico1.
1
Nel testo si riportano virgolettate alcune affermazioni degli intervistati. In alcuni casi si tratta di frasi
tratte dalle schede compilate dagli intervistati stessi, in altri casi si tratta di una trascrizione (in
sintesi) fatta dagli intervistatori.
133
Quali sono i principali risultati emersi dall’indagine?
Sono state raccolte numerose ed eterogenee opinioni, di cui si è cercato di
restituire la ricchezza nel racconto contenuto nelle pagine a seguire. Se un lavoro
di questo tipo può avere un valore aggiunto, esso risiede proprio nella capacità di
rappresentare la diversità dei punti di vista, più che nella inevitabile forzatura della
sintesi.
Fatta questa precisazione, qualche sommaria conclusione può essere abbozzata,
raccomandando in ogni caso la lettura dell’intero testo.
Proviamo allora a riassumere tutto in quattro soli punti.
Il primo punto è lo scenario di mercato. Il nostro panel vede il mercato del Tpl
dominato da una dinamica inerziale e tuttavia sospeso nell’attesa di una possibile,
improvvisa accelerazione. Non ci sono ad oggi fatti significativamente nuovi, dal
versante delle aziende come dal versante istituzionale, che lascino prevedere per i
prossimi 2-3 anni un forte incremento o all’inverso una forte riduzione dei
passeggeri trasportati. La dinamica inerziale si muove quindi lungo il crinale della
crisi economica, che da un lato premia il mezzo pubblico (meno costoso per i
cittadini), ma dall’altro riduce la domanda complessiva di mobilità. I due effetti
sembrano compensarsi, con prospettive migliori per il trasporto collettivo nelle aree
urbane, dove gradualmente si implementano misure di contenimento della
congestione, rispetto all’extra-urbano, e per il ferro rispetto alla gomma. Le
previsioni sono comunque difficili perché il mercato del Tpl è significativamente
condizionato dalle scelte di governo, nazionale e locali: gli investimenti
infrastrutturali, le risorse per i servizi e il rinnovo delle flotte, le liberalizzazioni, le
politiche di regolazione dell’uso dell’auto, una migliore pianificazione dei servizi, e
così via. Se sia accelera su questi fronti, accelera anche il mercato del Tpl.
Il secondo punto sono i vincoli allo sviluppo del settore.
Si è partiti dalla valutazione su quanto è stata attuata la riforma del Tpl (ex D.lgs.
422/1997), una valutazione, come si vedrà, molto negativa. E’ un risultato che non
sorprende. Colpisce semmai una certa omogenea trasversalità del dato (modeste
applicazioni nell’asse delle liberalizzazioni, come in quello della pianificazione e
dell’efficienza aziendale) e una prospettiva che prevede pochi avanzamenti,
nonostante alcuni percorsi saranno in qualche modo obbligati, per espresso
riconoscimento del panel stesso: definizione di un quadro normativo maggiormente
pro-concorrenziale, incentivi ad una migliore pianificazione e programmazione dei
servizi, aziende in grande affanno che devono abbattere i costi e recuperare
efficienza per sopravvivere.
Si è poi arrivati alla focalizzazione dei nodi di sempre, le questioni definibili come
“inaggirabili” che continuano a stagliarsi sullo sfondo del quadro di problematicità
del settore: la questione normativa (frammentata, ridondante, incerta, vischiosa,
mutevole…) e regolatoria (su tutti il nodo della commistione tra politica e gestione
aziendale), la questione dei finanziamenti (che devono essere certi e definiti; sul
quantum e sulle finalizzazioni le opinioni invece divergono), la questione della
politica (storica assenza di un’attenzione strategica nazionale per il settore) e delle
policy locali (deboli, frammentate, senza visione integrata, comunque lasciate alla
buona volontà delle singole Amministrazioni). Le questioni “inaggirabili” per lo
134
sviluppo del Tpl riemergono con tutta la loro portata nelle valutazioni condivise del
panel. Vanno affrontate con urgenza, perché senza questo scavalcamento l’innesto
di ogni percorso di sviluppo non è proponibile.
Il terzo punto guarda alle altre dimensioni tematiche su cui il Tpl italiano
mostra tutta la sua debolezza e che devono essere, anch’esse, affrontate senza
indugi.
Due in particolare raccolgono segnalazioni praticamente unanimi dal panel: il
deficit di pianificazione e di capacità di lettura della domanda di mobilità da un
lato (dal lato delle politiche di settore), la gestione aziendale secondo logiche
industriali dall’altro lato (dal lato delle imprese e degli assetti industriali). Queste
due dimensioni attraversano i giudizi su una serie di questioni divisive oggetto
dell’attuale dibattito sul futuro del Tpl, quali i processi di aggregazione aziendale, i
bacini allargati (regionali) per l’affidamento dei servizi, l’integrazione gomma-ferro.
Se c’è un corretto approccio di analisi della domanda e di pianificazione, e se la
spinta a nuovi assetti industriali e di mercato premia il progetto imprenditoriale
piuttosto che il consenso politico, si può tecnicamente discutere di tutte le
soluzioni, fuori da schemi ideologici e con l’idea di coniugare strumenti standard di
alta qualità (protocolli di gara e di regolazione, linee guida per una buona
pianificazione ecc.) con la personalizzazione delle soluzioni e delle politiche nei
diversi contesti territoriali. Senza queste coordinate, le scelte che si operano
(incentivi a superare la frammentazione delle imprese, bacini definiti su perimetri
amministrativi, gare integrate gomma-ferro ecc.) rischiano di essere risucchiate nei
meccanismi perversi dell’interferenza della politica nella pianificazione e nella
gestione aziendale, della tutela del consenso elettorale, delle liberalizzazioni di
facciata, di un gigantismo aziendale inefficiente e del tutto statico.
Il quarto punto, infine, strettamente connesso a quello precedente, esplora le
nuove domande per un futuro di cambiamento del settore e i ruoli che
conseguentemente dovranno competere alla politica e alle aziende. Qui la visione
del panel è piuttosto chiara e convergente. Il trasporto pubblico deve puntare con
decisione sull’innovazione dei servizi, sui nuovi paradigmi tecnologici, su modalità
finalmente chiare e trasparenti per stimolare l’efficienza del sistema (introduzione
dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e la determinazione
dei corrispettivi di servizio), sul confronto concorrenziale seppure con modalità
regolate, sulla riappropriazione della leva tariffaria da parte delle aziende (con
meccanismi di price cap, da definire in modo tecnicamente corretto).
Su questi temi si gioca il futuro del Tpl nel nostro Paese. E i diversi livelli
istituzionali di governo del settore devono accompagnare i processi conseguenti,
con politiche di investimento di cui c’è urgente necessità (trasporti a guida
vincolata nelle aree urbane e un grande piano per lo svecchiamento del materiale
rotabile sono i due ambiti maggiormente richiamati), con lo sviluppo degli
strumenti di pianificazione a tutte le scale territoriali, con l’applicazione di schemi di
regolazione (e anche di pricing) per ridurre la congestione nelle città e migliorare
così la performance economica e la qualità dei servizi del trasporto pubblico.
135
2.
Avanti con moderazione
(l’andamento del mercato)
La prima domanda del questionario riguardava le previsioni sull’andamento del
mercato nel futuro prossimo (1 anno) e nei successivi 2-3 anni distinto per
tipologia di servizio, gomma urbana, gomma extra-urbana e trasporto ferroviario.
La valutazione si riferisce in particolare all’andamento dei passeggeri trasportati.
Le risposte fornite tendono, in termini generali, ad una certa omogeneità (Fig. 1).
Infatti, considerando il breve periodo, poco meno della metà degli intervistati
prevede un mercato sostanzialmente stabile per la gomma, analoga previsione di
quasi il 60% degli intervistati per il trasporto ferroviario. Per il resto degli
intervistati c’è un valutazione generale di moderata crescita (tra l’1% e il 3%) nel
caso del Tpl su gomma urbano, mentre opinioni meno omogenee si registrano per
l’extraurbano, leggermente migliori per il ferroviario (30% le previsioni di crescita,
12% le previsioni di decremento) rispetto alla gomma (25% di indicazioni positive
contro il 20% negative).
Nel medio periodo le previsioni appaiono sicuramente più ottimistiche, e questo è
vero per tutte le diverse tipologie di trasporto. La quota di intervistati che prevede
mercati in crescita sale al 75% nel caso del Tpl su gomma in ambito urbano, e al
50% per quello extraurbano.
Fig. 1 – Variazione dei passeggeri nel breve (1 anno) e medio periodo (2-3 anni) – Numero di
risposte e percentuali
Fonte: elaborazioni Isfort
La Fig. 2 sintetizza il posizionamento delle opinioni espresse: nel breve periodo
non si prevede una crescita del mercato del Tpl, con la sola significativa eccezione
della gomma nelle aree urbane, mentre nel medio periodo le dinamiche
136
dovrebbero moderatamente accelerare verso la crescita per tutti e tre i segmenti
considerati.
Commentando la previsione espressa, diversi intervistati hanno sottolineato la
difficoltà di produrre stime, soprattutto per il medio periodo, perché lo scenario di
mercato per il settore sarà fortemente condizionato dalle politiche che verranno
messe in campo per sostenere il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile in
generale (investimenti nelle infrastrutture dedicate, politiche restrittive all’uso
dell’auto, finanziamento dei servizi, ecc.).
Fig. 2 – Il “posizionamento” dei segmenti del mercato del Tpl nel breve (1 anno) e medio
periodo (2-3 anni)* – Le parole chiave
* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione di un valore pari a 2 alle risposte «molto positiva»,
1 «positiva», 0 «stabile», -1 «negativa», -2 «molto negativa». Sono considerati i soli questionari completi (16 su 25)
Fonte: elaborazioni Isfort
La prevalenza di uno scenario di stabilità per il breve periodo e, con minore
omogeneità, per il medio periodo deriva da due diversi ordini di valutazione:
-
alcuni hanno evidenziato l’insussistenza di novità significative nel settore che
potrebbero far prevedere un incremento dei passeggeri, almeno per il breve
periodo (assenza di investimenti significativi per le infrastrutture e il rinnovo
del materiale rotabile); nel medio periodo una spinta potrebbe invece venire
dal rafforzamento dei servizi ferroviari e di metropolitana in alcune aree
urbane;
-
per altri, la maggior parte, la stabilità deriva invece da un sostanziale
bilanciamento di effetti generati dal perdurare della crisi, positivi in relazione
alla tendenza dei cittadini ad usare di più i mezzi pubblici (per evidenti ragioni
di costo) e negativi in relazione alla diminuzione complessiva della domanda di
mobilità (c’è chi ha sottolineato ad esempio come l’aumento dei cassaintegrati
stia riducendo gli abbonamenti al Tpl nelle aree di crisi industriale).
137
Diversi intervistati hanno evidenziato il consolidarsi di alcuni fattori strutturali che,
soprattutto nel medio periodo, dovrebbero favorire il trasporto collettivo: le
politiche urbane sempre più orientate alla mobilità sostenibile (chiusura centri
storici, ecc.), la riprogrammazione dei servizi prevista dal meccanismo di
assegnazione delle risorse del Fondo Nazionale Trasporti, lo sviluppo di sistemi
integrati gomma-ferro per l’intermodalità, il miglioramento dei servizi grazie alla
diffusione dell’integrazione tariffaria e della bigliettazione elettronica, la lotta
all’evasione tariffaria (emersione di utenza nascosta; da segnalare tuttavia che
secondo un intervistato il perdurare della crisi economica continuerà a far
aumentare l’evasione tariffaria), una certa modifica dei comportamenti di mobilità
dei cittadini (più orientati ai mezzi ecologici). Ovviamente, questo scenario di
miglioramento strutturale delle condizioni di sviluppo del Tpl è a differenti velocità,
a seconda dei territori e delle aree urbane.
Un’ultima notazione è sulle diverse valutazioni registrate in merito al confronto
gomma-ferro nel trasporto extra-urbano. Secondo alcuni la tendenza in atto nei
territori dove oggi c’è una buona pianificazione dei servizi, e per il futuro prossimo
un po’ ovunque, è quella di ridurre le sovrapposizioni di offerta tra gomma e ferro
con una opzione preferenziale i servizi ferroviari. Secondo altri invece, la scarsa
redditività dei servizi ferroviari nelle aree meno dense sta già oggi portando
all’abbandono di molte linee a favore della gomma.
138
3.
La riforma del settore, grande
incompiuta
Il secondo tema di approfondimento dell’indagine ha riguardato alcuni temi-chiave
della riforma del trasporto pubblico locale disegnata dal D.lgs. 422/97, la
valutazione su quanto è stata attuata in circa 17 anni di vigenza, la previsione di
come evolverà e se la sua struttura può considerarsi ancora attuale ed efficace.
L’opinione espressa dagli intervistati sull’applicazione fattuale del decreto Burlando
nei suoi aspetti più rilevanti, ovvero liberalizzazione, pianificazione e miglioramento
delle performance aziendali, non lascia dubbi ad interpretazioni: la riforma è stata
realizzata solo in misura marginale, in tutti i suoi aspetti. Più in dettaglio, in scala
da 1 a 10 il voto medio assegnato dal panel sul livello di attuazione è di 3,1 per le
liberalizzazioni, 4,1 per la pianificazione dei servizi e 4,6 il miglioramento
dell’efficienza aziendale. Osservando la distribuzione dei singoli voti, poi, è
piuttosto omogeneo lo schiacciamento verso il basso, essendo molto rare le
valutazioni superiori al 5: in particolare nel caso delle liberalizzazioni un solo
intervistato ha assegnato un voto di sufficienza (un 6) (Fig. 3).
Il reale avvio di una concorrenza nel mercato è la parte del decreto meno attuata
ma allo stesso tempo è quella che, nell’opinione degli intervistati, maggiormente si
svilupperà nel prossimi 5 anni, anche se nel complesso il giudizio rimane ancora
sotto la sufficienza (5,8). Un voto medio appena sufficiente (6,2) è invece attribuito
all’avanzamento della riforma in tema di pianificazione, mentre il recupero da parte
delle aziende di nuova efficienza nel prossimo quinquennio raggiunge quota 6,4,
contraddistinguendosi per un gruppo significativo di giudizi pari o superiori al 7.
Fig. 3 – Valutazioni sull’attuazione della riforma del TPL (D.lgs. 422/97) – Numero voti (da 1 a
10) e voto medio
Fonte: elaborazioni Isfort
139
Anche in questo caso le valutazioni sopra espresse sono ben sintetizzate nella
figura che segue (Fig. 4), in cui appare chiaro come, a distanza ormai di molti
anni, l’attuazione della riforma del Tpl nei suoi aspetti più significativi risulti
modesta e i miglioramenti previsti entro l’arco del prossimo quinquennio
ugualmente non saranno pronunciati.
Fig. 4 – Il “posizionamento” dei principali elementi del D.lgs. 422/97 in relazione alla sua
attuazione e alle previsioni future (5 anni)* – Le parole chiave
* Il grafico è costruito considerando i voti medi
Fonte: elaborazioni Isfort
Leggendo le parole-chiave che più ricorrono dalle sintesi delle interviste sul punto
dei vincoli che hanno frenato l’attuazione della riforma, emergono con particolare
chiarezza tre assi problematici:
1. innanzitutto, l’asse del “conflitto di interessi” determinato dalla commistione tra
la regolazione dei servizi (in capo agli enti locali) e la gestione dei servizi (in
capo ad aziende quasi sempre controllate dagli stessi enti locali). Questo nodo
ha frenato in particolare il processo di liberalizzazione, sia formale (le gare per
l’assegnazione dei servizi non sono state fatte in diverse regioni per la gomma
e quasi da nessuna parte per il ferro), sia sostanziale (diversi intervistati hanno
parlato di gare “finte” volte ad assicurare la continuità degli incumbent);
2. in secondo luogo, l’instabilità e la frammentazione del quadro normativo,
rilevante anche in questo caso soprattutto per il freno alle liberalizzazioni (negli
ultimi 10 anni il legislatore è intervenuto più di 20 volte, spesso proprio sul
tema dell’affidamento dei servizi);
3. in terzo luogo l’inadeguatezza delle competenze tecniche negli enti locali,
sottolineata in riferimento soprattutto all’esercizio della pianificazione. Sempre
nell’ambito delle competenze tecniche, qualcuno ha evidenziato anche le
carenze manageriali in ambito aziendale, anche per effetto dell’invadenza della
politica.
140
Su ciascun tema, sono state poi manifestate specifiche notazioni che è opportuno
riportare, seppure sommariamente.
Quanto alle liberalizzazioni, diversi intervistati hanno sottolineato la valenza
“politica” del nodo (“il vero problema, forse l’unico, è la volontà politica di attuare
la riforma” è stata la lapidaria affermazione di un intervistato). Una delle ragioni
principali del freno al processo risiede nell’esigenza da parte degli enti di tutelare
gli interessi delle aziende di proprietà, sia per il mantenimento del controllo di una
sfera di potere politico, sia per le preoccupazioni dell’impatto sociale (e quindi di
consenso politico-elettorale) che potrebbe derivare da una vera apertura del
mercato. In tema di “conflitto di interessi” qualcuno ha rimarcato il problema della
separazione tra proprietà delle rete e gestione dei servizi nel trasporto ferroviario
locale. Sul punto specifico dell’impatto sociale delle gare, invece, è stata segnalata
la necessità di prevedere meccanismi compensativi (ad es. un fondo per la
gestione degli esuberi) per far fronte agli effetti sul lavoro dell’apertura
concorrenziale dei servizi.
È stata poi sollevata le questione dei finanziamenti, nel duplice aspetto di
un’incertezza della quantità di risorse disponibili che scoraggia la messa a gara dei
servizi e la successiva stipula di contratti di servizio pluriennali con le aziende
aggiudicatarie, e di un’insufficienza dei plafond complessivi che hanno spinto gli
enti locali ad organizzare gare, poi andate deserte, sulla base di errate valutazioni
di mercato (“con poche risorse i bacini di traffico non sono realmente contendibili”
ha sottolineato un intervistato).
C’è poi chi ha proposto una riflessione “di sistema” più complessiva che si colloca
sullo sfondo (o meglio, “a monte”) della questione della liberalizzazione. Per usare
le parole dell’intervistato: “il Paese non si è dato un assetto coerente nel Tpl,
oscillando continuamente tra liberalizzazione e dirigismo, con le aziende viste come
un’espansione della pubblica amministrazione. Nella ripartizione delle competenze
istituzionali (federalismo) sarebbe necessario uno schema normativo più chiaro
nell’orientamento di fondo, seguendo un modello con più potere al Centro (come in
Francia) o alle Regioni (come in Germania)”. Collegandosi a questa considerazione,
se ne deduce che “il decreto 422/97 mostra ormai molti limiti e non è sufficiente
una buona manutenzione, ci vuole una nuova legge-quadro per il settore”. Questa
conclusione non è tuttavia condivisa da tutti. Secondo altri ciò che serve è una
semplificazione delle norme proprio nel solco del 422, modificato per ciò che non è
più attuale. E per un altro intervistato, ancora più seccamente “occorre creare un
sistema di norme semplici, legarle al Regolamento europeo 1370/2007 e avviare le
liberalizzazioni”.
Per il futuro, è abbastanza condivisa l’osservazione che, al netto della perdurante e
nota incertezza, il quadro normativo tendenziale è pro-concorrenziale e gli enti
locali dovranno in qualche modo adeguarsi (è stata usata da un intervistato
l’espressione “liberalizzazione coatta”). Anche la nuova Autorità dei Trasporti
dovrebbe aiutare a sostenere questo processo di liberalizzazione del settore.
Sul tema della pianificazione numerose sono state le note critiche riferite
all’azione degli enti locali e delle regioni in particolare, pur nel diffuso
riconoscimento che le differenze territoriali in questo ambito sono particolarmente
accentuate. Le carenze denunciate sono di varia natura:
-
l’assenza tout court della pianificazione regionale di settore (ad es. mancano o
sono in ritardo i Piani Regionali dei Trasporti), e la tendenza alla riproduzione
141
della situazione storica nella definizione dei c.d. “servizi minimi”, anche perché
in passato c’era il timore che ad un efficientamento nell’organizzazione dei
servizi potesse seguire un taglio dei trasferimenti; le stesse aziende hanno
“fatto resistenza” verso una migliore pianificazione per non veder minacciata
l’offerta consolidata (rischio di minori contributi);
-
un approccio dirigista degli enti per i quali (usando l’osservazione di un
intervistato) “il mercato non va letto (bisogni della domanda) per pianificare
meglio, ma va indirizzato e organizzato. Lo schema dovrebbe essere: si
analizza la domanda, si pianifica e poi l’organizzazione dei fattori di produzione
deve essere lasciata alle aziende”;
-
lo scarso coordinamento tra i diversi livelli della pianificazione territoriale e
settoriale. Ampliando il concetto, secondo un intervistato è questo il nodo vero,
perché la questione va inquadrata nella cornice più complessiva delle relazioni
tra pianificazione urbanistica/territoriale e politiche dei trasporti (reti, servizi);
ad es., mancano nelle leggi urbanistiche meccanismi premiali per contrastare
la dispersione territoriale, oppure i PUT e i PUM di cui ci sarebbe un gran
bisogno sono lasciati alla buona volontà delle amministrazioni;
-
il gap temporale che intercorre tra il momento della pianificazione e
l’implementazione dei piani, che a volte nascono vecchi; a ciò si associa la
tendenziale rigidità con la quale la burocrazia amministrativa interpreta e
applica lo schema pianificatorio (nella relazione ad es. tra regolatore e gestore
dei servizi), senza quella necessaria flessibilità che consentirebbe adattamenti
all'evolversi della domanda;
-
la cattiva integrazione tra servizi ferroviari e servizi su gomma, che genera non
solo inutili sovrapposizioni, ma anche una cattiva allocazione delle risorse;
alcuni sottolineano infatti gli elevati costi del trasporto ferroviario che dovrebbe
concentrarsi solo nelle direttrici a forte carico di domanda.
Ci sono poi osservazioni puntuali su come si è esercitata la pianificazione nella
specifica definizione dei bacini di esercizio del trasporto pubblico e nella lettura
della domanda. Molto significativo in questo senso è il punto critico sollevato da un
intervistato, tuttavia non ripreso da altri, in riferimento sia all’“insufficiente
distinzione tra domanda profittevole e domanda da sussidiare (nell’ambito del
servizio pubblico)”, sia alla “definizione di “ambiti ottimali” incoerente rispetto alla
ridotta presenza di economie di scala e alla sostanziale assenza di vantaggi
derivanti dall’integrazione modale (ferro/gomma)”.
Per il futuro, un miglioramento dei livelli di pianificazione dei servizi deriverà,
secondo alcuni intervistati, dal criterio previsto dal Fondo Nazionale Trasporti per
l’assegnazione della “quota premiale” delle risorse, che “costringerà” enti e aziende
a programmare meglio l’offerta per incrementare il load factor. Le regioni stanno
inoltre implementando i piani di riprogrammazione dei servizi di Tpl così come
previsto dall’art. 3 del DPCM dell’11 marzo 2013, anche se non manca chi
sottolinea che la qualità di questi piani è molto bassa. Più in generale, diversi
intervistati ritengono che sul tema della riorganizzazione dei servizi si sia ormai
raggiunto un sufficiente grado di consapevolezza, a fronte del completo
immobilismo che c’è stato fino ad ora, e che quindi c’è da attendersi un
miglioramento futuro su questo aspetto.
142
Rispetto all’efficienza aziendale, molti sottolineano che i divari tra le diverse
situazioni sono enormi (non solo lungo l’asse nord-sud o privato-pubblico), come
certificato dalle differenze nella quota di costi operativi coperti dai ricavi da traffico.
In generale, il legame con la “politica” (in senso ampio) è la causa maggiormente
richiamata di freno all’efficienza aziendale. Alcuni poi argomentano che le aziende
pubbliche del Tpl, oltre a subire maggiormente le interferenze politiche, non hanno
di fatto incentivi ad essere più efficienti, perché sono aziende che “non possono
fallire” e che operano in mercati chiusi. Anche le aziende private operano
prevalentemente in regimi protetti, ma almeno hanno interesse a fare profitti e
questa spinta ha prodotto un miglioramento dei loro livelli di efficienza.
Nell’opinione di diversi intervistati, in ogni caso lo “spauracchio” delle gare ha
indotto processi di incremento della produttività aziendale, per quanto disordinati,
non sempre abbastanza efficaci e “a macchia di leopardo”.
Due aspetti molto rilevanti emersi dalle interviste, quali fattori di freno
all’efficientamento aziendale, riguardano la rigidità della leva tariffaria, troppo
spesso attestata su livelli “socialmente” sostenibili (“aumentare il prezzo del
biglietto può essere politicamente complesso”, è stato evidenziato) e i contratti di
servizio, poco utilizzati per pungolare le aziende a migliorare il servizio e quindi ad
incrementare i ricavi, e che dovrebbero quindi essere monitorati con più decisione.
Tuttavia, ha sottolineato un intervistato, queste azioni di controllo che
consentirebbero di ridurre i livelli di evasione e di elusione (mancate corse) delle
aziende hanno costi molto alti, tali da richiedere risorse non disponibili presso le
amministrazioni né previste dagli stessi contratti di servizio. È invece un punto di
assoluta rilevanza da affrontare per il futuro, sul quale si gioca una parte
importante del recupero di efficienza e di qualità dell’intero settore del Tpl. L’altra
faccia della medaglia dell’evasione (quella tariffaria) emerge come un’altra delle
cause principali della scarsa efficienza delle aziende (mancati introiti).
Un ulteriore questione emersa, anche in proiezione futura, riguarda la necessità di
incrementare i ricavi da parte delle aziende. Su questa affermazione generale si
innestano i diversi temi già in parte richiamati, quali la leva tariffaria da restituire
alle aziende e il recupero dell’evasione, o altri quali la necessità di allargare i
mercati delle aziende disancorandoli dagli stretti “riferimenti territoriali” nei quali
molte di esse da sempre operano.
C’è poi una considerazione generale di fondo che appare di estrema importanza:
senza offrire un facile alibi alle aziende è evidente che la produttività delle imprese
di Tpl dipende in misura significativa anche da leve non disponibili, in particolare
dalle politiche per ridurre la congestione che, soprattutto in ambito urbano,
incidono moltissimo sui costi di produzione del servizio (velocità commerciale).
Per il futuro, infine, le considerazioni annotate anche in questo caso disegnano uno
scenario in evoluzione tendenzialmente positivo. Da una parte l’accelerazione che
ci sarà sulle gare, e dall’altro la necessità di sopravvivere (“se non si riducono i
costi o si vende o si chiude!”) costringeranno le aziende a migliorare i livelli di
efficienza, facendo riemergere la questione della gestione degli eventuali esuberi.
Va detto tuttavia che rispetto a questa valutazione c’è qualche significativa voce
dissonante di chi ritiene che, da un lato, la debolezza manageriale e, dall’altro, la
143
persistente interferenza della politica chiudono ogni spazio per il miglioramento
dell’efficienza delle aziende e del sistema nel suo complesso.
A completamento di questa disanima sui punti qualificanti della riforma del Tpl, è
stato chiesto al panel se il tema del decentramento delle competenze previsto dal
decreto Burlando è ancora attuale o se il processo di “ricentralizzazione” avviato
dai nuovi meccanismi di assegnazione delle risorse rappresenta di fatto la strada
che dovrà seguire l’assetto futuro di governance del settore.
La maggior parte degli intervistati ritiene che l’impianto federalista e il principio di
sussidiarietà debbano continuare ad essere i presìdi di riferimento del governo del
settore, sottolineando tuttavia la necessità di individuare alcune regole certe e
uniformi su tutto il territorio nazionale, volte a disciplinare non solo gli aspetti più
importanti per la tutela e promozione della concorrenza, e quindi l'affidamento dei
servizi, ma anche le funzioni di pianificazione e di gestione delle risorse finanziarie.
Detto questo, la maggior parte degli intervistati, tuttavia, ritiene obbligata la scelta
di ricostituire un unico Fondo nazionale trasporti per assicurare al Tpl quei
trasferimenti statali che troppo spesso negli anni passati le regioni hanno finito per
destinare, in parte, ad altri settori (sanità in primo luogo). Come era lecito
attendersi, non manca il forte dissenso di alcuni che rimarcano la grave lesione
all’autonomia delle regioni stesse prodotta da questo nuovo meccanismo di
assegnazione delle risorse al settore.
144
4.
Vincoli da rimuovere
Nei paragrafi precedenti è emerso molto chiaramente che la scarsa applicazione
del D.lgs. 422/97, insieme al caos normativo degli ultimi anni, hanno rappresentato
un vincolo significativo allo sviluppo del settore del Tpl in Italia.
Ciò è emerso con ancora maggiore evidenza nel momento in cui si è chiesto agli
intervistati di indicare direttamente, all’interno di una serie di item predefiniti, un
ordine di rilevanza dei vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed
efficiente sviluppo nel nostro Paese (Figg. 5 e 6).
Il vincolo derivante da un quadro normativo incerto, ridondante e in continuo
cambiamento si colloca infatti in prima posizione con un punteggio medio, in scala
da 0 a 5, pari a 3,7. Il secondo posto nella graduatoria, ad una distanza
abbastanza significativa (punteggio medio pari a 3,2) è occupato dalla debolezza
delle “politiche di settore”, nelle quali sono comprese sia la scarsa attenzione
nazionale alle esigenze del settore, sia la debolezza delle politiche urbane e locali
per incentivare l’uso del mezzo pubblico.
Fig. 5 – I vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed efficiente
sviluppo*
* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione, per ciascun
questionario, di un valore pari a 5 all’item più rilevante, 4 al secondo più rilevante, 3 al terzo più
rilevante, 2 al quarto più rilevante, 1 al quinto più rilevante, 0 al meno rilevante
Fonte: elaborazioni Isfort
145
Seguono i vincoli derivanti da un quadro regolatorio e amministrativo ancora non
sufficientemente chiaro ed efficace in tema di liberalizzazioni, separazione tra
regolatore e regolato, procedure di gara, determinazione delle tariffe e così via
(punteggio medio 2,9), e il nodo dei finanziamenti, intesi come quantità e come
certezza delle risorse necessarie per sostenere lo sviluppo dei servizi e degli
investimenti (punteggio medio 2,6)
Meno significativi, ma solo nel confronto con quanto sopra indicato, appaiono i
limiti dell’attuale assetto industriale (aziende poco efficienti, insufficiente
diversificazione del business, poca attenzione al mercato effettivo e potenziale,
eccessiva frammentazione del sistema di offerta, ecc.), con un punteggio di 2,0.
Chiude la graduatoria con un distacco piuttosto netto (punteggio medio pari a 1,0)
il tema delle risorse umane (carenza di profili professionali e di un management
aziendale qualificato).
Fig. 6 – I vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed efficiente sviluppo – Numero di
segnalazioni per singola posizione in “classifica”
Fonte: elaborazioni Isfort
Nelle notazioni a margine delle graduatorie costruite emergono diversi aspetti
problematici e posizioni anche significativamente distanti tra di loro.
I vincoli legati alla frammentazione del quadro normativo, ad esempio, pur avendo
raccolto come si è visto la più ampia convergenza di peso, registrano tuttavia
qualche rilevante opinione distonica. In particolare c’è chi ritiene che il quadro
normativo non sia un vero problema perché “pur nella grande confusione nessuno
impedisce agli enti locali di fare le liberalizzazioni” e chi ritiene che “in verità le
norme di settore si vanno definendo e stabilizzando, per cui costituiranno sempre
meno un fattore di freno”. Da registrare, ancora, l’opinione di chi condiziona
l’importanza del quadro normativo all’effettiva realizzazione delle politiche di
settore.
146
Sul tema dei finanziamenti, numerosi sono stati i commenti e le osservazioni.
Provando a riassumerle per comuni orientamenti, emergono tre principali linee
argomentative:
1. il nodo dei finanziamenti è posto spesse volte in maniera distorsiva. È difficile
capire quante risorse sono effettivamente necessarie se non c’è una corretta
analisi dei bisogni della domanda e della loro distribuzione; un intervistato
porta il concetto alle estreme conseguenze: “le risorse che ci sono bastano e
avanzano, bisogna solo distribuirle meglio”. La critica ad una ingiustificata
rivendicazione di maggiori risorse per il settore è rinforzata, come qualcuno ha
ricordato, da studi di benchmark europeo secondo i quali in Italia i
finanziamenti, in particolare al settore della gomma, sono sufficienti (c’è anche
chi simmetricamente sottolinea il sottofinanziamento dei servizi ferroviari che
emerge sempre dal confronto europeo). Sulla stessa linea un intervistato ha
ricordato che “secondo Trenitalia integrando gomma e ferro si possono fare gli
stessi servizi con un miliardo in meno. Bisognerebbe capire se è vero”;
2. se il quantum dei finanziamenti deve essere sottoposto al vaglio critico
dell’analisi dei bisogni prima di essere considerato un vincolo per lo sviluppo
del Tpl, è invece certamente vero (ne convengono tutti gli intervistati che
hanno sollevato il punto) che l’incertezza dei flussi di finanziamenti costituisce
un problema di grande rilevanza;
3. bisogna distinguere tra finanziamenti ai servizi e finanziamenti per il rinnovo
del materiale rotabile e le infrastrutture. Nel primo caso valgono le osservazioni
riassunte nei punti precedenti, mentre per gli investimenti il sostegno pubblico
è necessario, ed anzi bisognerebbe immaginare dei piani straordinari per lo
svecchiamento di autobus e treni e per dotare le città e i territori di adeguate
infrastrutture dedicate per il Tpl. Per ridurre la congestione, un intervistato
propone di “premiare economicamente i comuni che investono in chilometri di
linee a guida vincolata. Comprare autobus che restano fermi nel traffico è uno
spreco”. È riemerso anche il tema degli ammortizzatori sociali, come una
finalizzazione prioritaria dei finanziamenti al settore.
Infine, sul tema dei finanziamenti, c’è chi ha evidenziato una questione più “a
monte” di trasparenza nell’impostazione delle politiche di settore e
nell’esplicitazione della scelta di cosa e quanto sostenere, anche confrontando il Tpl
con altri servizi pubblici. La critica su come politicamente si finanzia oggi il Tpl è
piuttosto radicale: “c’è un problema sui tagli al settore perché l’approccio attuale è
da spending review (vincoli di bilancio) più che da politica di sistema. In questo
senso bisognerebbe prioritariamente chiedersi se il servizio pubblico di trasporto
debba essere sussidiato (rispetto ad altri servizi pubblici come l’elettricità) e in che
misura (perché ad esempio il 65% di copertura dei costi?) e poi, coerentemente,
quali misure di politica di sistema vanno adottate”.
Sulle altre tipologie di vincoli, il tema delle politiche di settore – riferite in questo
caso alle misure di regolazione e gestione della mobilità urbana e locale – chiama
in causa l’organizzazione e la gestione dello “spazio pubblico”, soprattutto in
ambito urbano. Diversi intervistati hanno evidenziato la necessità di usare anche la
leva del pricing per fa pagare la congestione e l’inquinamento dei veicoli privati:
“con questo riequilibrio si creerebbero le condizioni per migliorare il servizio
147
pubblico e quindi anche per aumentare le tariffe”. Sul tema dell’assetto industriale,
alcuni intervistati hanno sottolineato la necessità che ci sia un processo di crescita
dimensionale delle imprese del settore, sia attraverso fusioni/integrazioni che
attraverso acquisizioni. Come già evidenziato sopra, le opinioni sulla dimensione
ottimale delle imprese sono tuttavia molto difformi: qualcuno ricorda che non ci
sono economie di scala nel settore sopra una soglia minimale di offerta (7/8 milioni
di vetture*km), altri sottolineano che semmai il problema è nella diversificazione
dei mercati e dei business.
148
5.
Il futuro da costruire: i driver del
cambiamento, i temi in agenda
Per la costruzione dello scenario futuro del Tpl è stato chiesto al panel una
valutazione su alcuni potenziali driver di cambiamento del settore, indicando quali
sono già oggi influenti e in accelerazione, quali saranno rilevanti nel medio periodo
e quali infine non appaiono essere molto rilevanti né oggi né in futuro (Fig. 7).
Fig. 7 – I potenziali driver di cambiamento del settore del Tpl*
* Le dimensioni delle bolle variano in proporzione al numero di segnalazioni
Fonte: elaborazioni Isfort
È sulla seconda opzione (rilevanza nel medio periodo) che si concentra la quota più
significativa delle segnalazioni. In particolare i cambiamenti e i nuovi paradigmi
tecnologici (sviluppo degli ITS, nuovi veicoli e nuove motorizzazioni, diffusione
dell’elettrico e così via) insieme allo sviluppo delle smart cities e in generale della
mobilità urbana sostenibile, sono percepiti come driver di cambiamento non
particolarmente influenti nella fase attuale, ma con enormi potenzialità di incidenza
nel medio e nel lungo periodo. Quasi nessuno degli intervistati ritiene che questi
processi non avranno particolare rilevanza in futuro.
Sui cambiamenti tecnologici, diversi intervistati sottolineano la grande spinta per il
Tpl derivante soprattutto dalle applicazioni dell’infomobilità e dalla bigliettazione
elettronica. Più cautela (e scetticismo) sul tema delle nuove motorizzazioni e della
149
penetrazione della filiera elettrica in particolare. Secondo alcuni il potenziale è alto,
tuttavia è difficile che il mercato si muova da solo; sarebbe perciò auspicabile una
forte iniziativa pubblica per sostenere gli investimenti necessari, comunque molto
robusti. Interessante l’osservazione di un intervistato sulla funzione per certi versi
surrogatoria che le tecnologie svolgono nel settore. Esse costringono infatti gli
attori del sistema del Tpl a ragionare e a muoversi in logiche e con approcci
integrati, svolgendo quindi quella funzione di integratore che la pianificazione in
questa fase non è in grado o non vuole fare.
Il driver dei cambiamenti tecnologici è in generale strettamente connesso, secondo
diversi intervistati, a quello delle smart cities e delle politiche per la mobilità
sostenibile. In questo senso la nuova mobilità deve rispondere a domande e
bisogni nuovi dei cittadini per il trasporto quotidiano. Essa richiede un approccio
integrato alla mobilità sostenibile, in grado di utilizzare leve diversificate per le
policy. Un esempio virtuoso in questo senso deriva dall’esperienza di Milano dove si
sta lavorando su diverse misure di contenimento della congestione ("aria C",
pedaggio per l'ingresso nel centro) e per lo sviluppo di sistemi alternativi di
mobilità (car sharing, bike sharing).
Nella fase attuale emerge come già molto influente l’innovazione di contenuto dei
servizi nel Tpl (sviluppo dell’intermodalità, integrazione tariffaria, segmentazione
dell’offerta, ecc.); oltre metà degli intervistati reputa in accelerazione questo
processo di cambiamento, mentre il resto ne rimanda il pieno dispiegamento delle
potenzialità ad uno scenario di medio e lungo periodo (anche qui praticamente
nessuno ritiene che il processo non avrà sviluppi significativi per il futuro del
settore). L’innovazione dei servizi è l’unico driver per il quale prevale l’indicazione
dell’accelerazione già nel breve periodo rispetto al medio e lungo periodo. Va detto
che diversi intervistati sottolineano le forti differenze territoriali che si riscontrano
in riferimento all’innovazione nei servizi e all’integrazione organizzativa
(intermodale, tariffaria) nel Tpl. Il bisogno di sviluppare queste linee di innovazione
che arricchiscono il contenuto qualitativo dei servizi e migliorano l’efficienza del
sistema è molto alto, ma le applicazioni concrete, secondo alcuni, molto lente. Un
intervistato ha aggiunto che l’innovazione dei servizi è la questione più rilevante,
ma ha senso se rappresenta una risposta alla domanda di mobilità: “è necessario
allora un salto di visione da parte dei regolatori e anche delle aziende, che devono
assumere un approccio sistemico verso la mobilità in generale. Bisogna che tutti i
soggetti di offerta siano dei mobility solution provider, così cambieranno anche gli
stili di mobilità dei cittadini”.
Ci si collega così agli altri driver di cambiamento percepiti, da parte di un buon
numero di intervistati, già oggi in fase di accelerazione: si tratta dei processi di
aggregazione nel sistema di offerta (fusioni/acquisizioni/consorzi/ accordi e joint
venture) e, appunto, delle modifiche negli stili di mobilità dei cittadini a favore del
trasporto pubblico (per ragioni economiche e/o ambientali). Sui processi di
aggregazione le valutazioni non sono omogenee, come già sottolineato sopra.
Alcuni osservano che il processo sta un po’ avanzando, ma non costituirà un driver
potente di cambiamento del settore (“l’organizzazione delle imprese più o meno
frammentata non è un problema in sé; in Spagna le aziende di Tpl sono 4000 e
non sono un problema”). Per altri le aggregazioni in sé possono essere positive,
150
ma devono essere guidate dal mercato, non dalla politica come purtroppo accade
(facendo per di più da tappo a processi aggregativi sani).
Quanto alle modifiche degli stili di mobilità dei cittadini, le posizioni prevalenti nel
panel sono di due ordini (non necessariamente contrapposti):
-
alcuni ritengono che modifiche rilevanti e strutturali siano già in atto, ed in
particolare la crisi economica abbia fatto crescere la consapevolezza dei
cittadini sull’elevato costo del trasporto individuale (in una certa misura i
cittadini sanno valutare meglio il costo dello spostamento confrontando
alternative diverse); è stata anche espressa l’interessante opinione che l’auto
svolge sempre meno una funzione simbolica di status (“non avere l’auto di
proprietà in molti casi fa quasi più status dell’auto di proprietà”);
-
altri hanno espresso un certo scetticismo sulla possibilità che si modifichino
strutturalmente gli stili di mobilità dei cittadini, se non ci sono investimenti
significativi sulle soluzioni alternative al mezzo individuale e se non si fanno
politiche di accompagnamento adeguate (ad es. misure di disincentivo all’uso
dell’auto, come si diceva anche sopra). Secondo un intervistato “ci saranno
modifiche nei comportamenti di mobilità dei cittadini se tutti gli altri driver
saranno attivati. Oggi l’offerta di servizi di Tpl non è adeguata e quindi anche il
modello di domanda non si modifica”.
Infine, i processi di internazionalizzazione attiva e passiva sono considerati dalla
maggior parte degli intervistati non in grado di influenzare gli scenari di evoluzione
del trasporto pubblico. Alcuni intervistati sottolineano tuttavia la differenza tra le
grandi aziende estere, soprattutto per la grande diversificazione dei mercati
presidiati, e le nostre maggiori realtà. Se non si va verso il modello estero di
crescita aziendale anche sui mercati internazionali (internazionalizzazione attiva) il
rischio di subire un processo di sola internazionalizzazione passiva è alto.
Gli intervistati avevano poi la possibilità di indicare driver aggiuntivi rispetto a quelli
proposti dalla griglia. Due le segnalazioni fatte: gli incentivi per le amministrazioni
che privilegiano gli affidamenti con gara (in accelerazione già nel breve periodo) e
le politiche di regolazione della domanda (molto rilevante, ma nel medio periodo).
Come conclusione delle riflessioni sugli scenari di cambiamento del Tpl in Italia
appare utile riprendere una considerazione più complessiva che è stata fatta a
commento di questa sezione del questionario e che focalizza l’attenzione sul
necessario “impasto” di convergenza e di personalizzazione che dovrebbe guidare
l’approccio generale di governo del settore: “una buona politica per il Tpl dovrebbe
essere inspirata a due concetti di fondo che, a mio giudizio, sintetizzano le
esigenze riformatrici del settore: sistema e diversità. Ossia politiche di sistema in
grado di ottimizzare non solo le risorse ma anche le varie modalità di trasporto e
diversità di interventi modulati sulla base delle esigenze territoriali e delle
caratteristiche orografiche e della domanda delle regioni”.
La successiva valutazione ha poi riguardato alcuni temi di forte attualità che
alimentano il dibattito attorno al possibile futuro sviluppo del Tpl. Si tratta di
processi e opzioni in discussione o già in corso di realizzazione rispetto ai quali è
stato chiesto un giudizio favorevole o negativo, nonché una previsione sulla
probabilità/intensità di realizzazione nel futuro prossimo.
151
La Tab. 1 rappresenta analiticamente le indicazioni espresse dal panel. Rispetto
alla valutazione, il giudizio positivo domina in particolare due temi su cui è stata
sollecitata l’opinione: l’introduzione del criterio dei costi/fabbisogni standard per
l’assegnazione delle risorse e per la determinazione dei corrispettivi (totalità di
giudizi positivi) e l’introduzione di leve fiscali per il sostegno alla domanda di Tpl
(23 giudizi positivi su 24 risposte). Molto alta anche l’adesione all’ipotesi di
introdurre meccanismi di price cap per la determinazione delle tariffe (20 giudizi
positivi e 4 posizioni neutre).
Molte perplessità suscita invece la filiera del rafforzamento dei soggetti (aziende) e
dei mercati (bacini) del Tpl verso la dimensione regionale. Sia la creazione di
aziende regionali del Tpl che le gare su bacini unici regionali raccolgono meno di
un terzo di opinioni favorevoli. Più equilibrati i giudizi sulle gare con integrazioni
gomma/ferro; le opinioni favorevoli prevalgono (13) su quelle sfavorevoli (8), ma
considerando anche le posizioni neutre (3) l’adesione è tutt’altro che plebiscitaria.
Tab. 1 – Valutazioni su alcuni processi in atto nel settore del Tpl – Numero di segnalazioni*
Giudizio sul processo
Creazione di aziende regionali del
Tpl (solo gomma o gomma/ferro)
Gare su bacini unici regionali
Gare con integrazioni
gomma/ferro
Introduzione del criterio dei
costi/fabbisogni standard per
l’assegnazione delle risorse e per
la determinazione dei corrispettivi
Introduzione di meccanismi di
price cap per la determinazione
delle tariffe
Introduzione di leve fiscali per il
sostegno della domanda di
trasporto pubblico
Probabilità/Intensità di realizzazione
Positivo
Negativo
Neutro/
Non so
7
14
3
3
13
7
7
14
3
7
8
8
13
8
3
2
11
10
24
0
0
12
9
2
20
0
4
1
15
7
23
1
0
3
11
9
Alta
Media
Bassa
* In un questionario è stato indicato il solo giudizio sul processo
Fonte: elaborazioni Isfort
Passando alla previsione sulla probabilità/intensità di realizzazione, le risposte sono
molto meno polarizzate e più distribuite, tuttavia con una prevalenza piuttosto
netta di posizioni centrali (media probabilità/intensità di realizzazione). Il processo
che nell’opinione del panel ha maggiori speranze di prendere l’avvio è
l’introduzione dei costi/fabbisogni standard (12 indicazioni di alta probabilità su 23
risposte). Seguono, ma con elevato distacco (7), le gare su bacini unici regionali.
Per tutti gli altri temi le indicazioni di alta probabilità sono assolutamente residuali.
Nel ranking delle valutazioni di “media probabilità” si colloca in testa il price cap
per la determinazione delle tariffe (15 indicazioni), seguito dalla creazione di
aziende regionali del Tpl (13) e poi, appaiate (9), le gare con integrazioni
152
gomma/ferro e le leve fiscali peri il sostegno alla domanda di Tpl. Infine,
guardando alle valutazioni di bassa probabilità/intensità di realizzazione si può
osservare in primo luogo che per nessuno dei temi proposti la maggior parte degli
intervistati ritiene che non riuscirà a prendere piede significativamente. I dubbi più
consistenti riguardano le gare gomma/ferro (10 indicazioni di bassa probabilità) e
le leve fiscali (9). Ma una certa quota di scetticismo riguarda anche gli altri
processi, con la sola eccezione dei costi standard (solo 2 intervistati ritengono che
difficilmente questo strumento verrà effettivamente introdotto).
La Fig. 8, infine, posiziona le diverse tematiche sugli assi del giudizio
positivo/negativo e della probabilità di realizzazione. Nel quadrante più favorevole
(giudizio positivo e alta possibilità di realizzazione) si colloca, e in posizione molto
avanzata, solo l’introduzione dei costi standard. All’opposto (giudizio negativo e
bassa possibilità di realizzazione) si collocano, ma in posizione spostata verso l’area
della media probabilità, le aziende regionali di Tpl e le gare su bacini unici
regionali. Diversi processi (price cap, leve fiscali, gare gomma/ferro) si collocano,
con gradazioni differenti, nel quadrante della bassa-media probabilità di
realizzazione associata a giudizi positivi sul tema. Da sottolineare che l’area di
potenziale maggiore criticità, dal punto di vista del panel, ovvero il giudizio
negativo associata ad un’alta probabilità di realizzazione non accoglie nessuna delle
opzioni proposte. Quella che più si avvicina al quadrante critico sono le gare su
bacini unici regionali.
Fig. 8 – Il “posizionamento” di alcuni processi in atto nel settore del Tpl*
* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione un valore pari a 1 alle risposte «positivo» e
«alta», 0 «neutro/non so» e «media», -1 «negativo» e «bassa». Sono considerati i soli questionari completi (23 su 25)
Fonte: elaborazioni Isfort
153
Il tema della creazione di aziende regionali di Tpl, associato al tema interconnesso
dei bacini unici regionali per gli affidamenti dei servizi, ha diviso molto i commenti
degli intervistati, come era presumibile attendersi. Come si è visto, prevalgono i
giudizi negativi sull’ipotesi, accompagnati da un certo timore circa l’effettiva
possibilità di avanzamento del processo. Le opinioni di intonazione più nettamente
negativa richiamano soprattutto l’inutilità o addirittura la dannosità “tecnica”
dell’azienda regionale (“nel settore del Tpl le economie di scala non esistono! Anzi
a volte l’organizzazione su vasta scala fa aumentare i costi perché la gestione del
personale su scala vasta non ottimizza ad es. i turni, gli autisti/macchinisti guidano
meno ore, cresce il potere di contrattazione sindacale”). Va tuttavia detto che sono
le valutazioni problematiche a prevalere, pur nell’alveo di un giudizio negativo. In
particolare, tre posizioni sono riconducibili a questa impostazione critica:
-
la dimensione territoriale è dirimente per valutare un processo di allargamento
degli attori e dei processi (aziende, bacini) verso il perimetro regionale. Diversi
intervistati hanno sottolineato che per il trasporto su gomma il bacino regionale
(e anche l’azienda regionale) è di norma troppo grande, a meno che non si
tratti di piccole regioni, e in ogni caso bisognerebbe almeno distinguere fra
trasporto urbano-metropolitano e media-lunga percorrenza; per il trasporto
ferroviario può invece andare bene;
-
altrettanto, e forse anche più rilevante, è il nodo della definizione
“amministrativa” dei bacini: “i bacini devono essere individuati in base a studi
della domanda (O/D) e non su indirizzi normativi”;
-
le aziende regionali possono avere senso se c’è un progetto imprenditoriale e
se, come ha sottolineato un intervistato, “l’obiettivo è separare la gestione
aziendale dalla politica, altrimenti non servono”.
Su quest’ultima linea è interessante una considerazione che fa riferimento ai
principi dell’economia industriale: “a fronte di scarse economie di scala e di
pressoché nulle economie di gamma (derivanti dall’integrazione gomma/ferro), le
economie di gruppo (processi di aggregazione) possono risultare decisamente
importanti per uno sviluppo concorrenziale del settore”.
Come detto sopra, non sono mancati i giudizi decisamente a favore delle aziende
regionali e in generale sui processi di aggregazione/rafforzamento dell’offerta. Ad
esempio per tutti riportiamo questa considerazione: “servono imprese più forti,
integrate e capaci di competere in caso di gara. Le aziende troppo piccole offrono
servizi scadenti e operano in condizioni di illegalità (lavoro nero, materiale rotabile
inquinante ecc.)”. C’è poi chi condiziona il giudizio positivo su questo processo
all’espletamento di procedure di gara europee. E chi propone di promuovere
modelli di holding aziendale, coerenti con i bacini di traffico anche integrati
gomma-ferro.
In ogni caso, per il futuro la previsione prevalente è che le Authority (ART e AGCM)
rallenteranno molto la spinta sia alla creazione di aziende regionali di Tpl, sia agli
affidamenti dei servizi su bacini unici regionali perché è evidente che meno gare e
con alte barriere all’ingresso riducono la contendibilità dei mercati.
154
Proprio sull’integrazione gomma-ferro, diversi intervistati avvertono sul rischio di
eccessiva ingerenza rispetto a logiche di organizzazione dei servizi che dovrebbero
essere lasciate agli operatori. Si riconosce quindi il ruolo degli enti nella
pianificazione e nel governo dell’intermodalità, ma non si vede ragione perché gli
affidamenti debbano poi essere fatti ad uno unico soggetto che gestisce i servizi su
gomma e quelli su ferro. È stato anche suggerito di premiare negli affidamenti dei
servizi su gomma quelle proposte che contengono integrazioni significative con il
ferro, riducendo sovrapposizioni e inefficienze di sistema.
Per ricapitolare, quindi, si può dire che è la combinazione tra i tre processi (aziende
regionali, bacini unici, integrazione gomma-ferro) a produrre un rischio reale di
freno al confronto concorrenziale, mentre di per sé singolarmente prese queste tre
opzioni possono essere giustificate; ma non ovunque in maniera indifferenziata e in
ogni caso sotto condizione di sviluppare logiche industriali per il settore del Tpl.
Sul tema dei costi standard, ampiamente condiviso come si è visto, alcuni
intervistati intravedono il rischio di intraprendere un percorso poco selettivo e
virtuoso (c’è chi ha avanzato una critica in tal senso alle proposte circolate in sedi
istituzionali). Altri avvertono sulla necessità di muoversi con gradualità, per via
della grandi disparità di efficienza oggi esistenti tra territori e tra aziende. Sotto il
profilo tecnico è da segnalare un’osservazione sulle “condizioni ambientali”
mediamente efficienti nelle quali devono operare le aziende per poter applicare
correttamente un criterio di costo/fabbisogno standard: “in sostanza, la parte
pubblica (enti locali in particolare) è parte attiva del processo, per assicurare le
condizioni adeguate di operatività delle aziende (es. la velocità commerciale). Il
costo standard andrebbe quindi modulato sulla base del raggiungimento (da parte
degli enti) delle condizioni efficienti di operatività”.
Sul tema del price cap, si segnala una certa difficoltà tecnica di applicazione. Anche
qui un’interessante “modulazione” tecnica da riportare che è emersa dalle
interviste: “sarebbe meglio introdurre un principio di “cost cap”. Definito questo, la
scelta sulle tariffe è tutta politica e tale deve rimanere; gli enti locali possono
decidere di mantenere basse le tariffe, assumendone gli oneri”.
Infine, sul tema delle leve fiscali per il sostegno della domanda di trasporto
pubblico, alcuni intervistati hanno specificato che la misura può essere positiva ma
va redistribuito l’onere del finanziamento pubblico tra sostegno all’offerta e
sostegno alla domanda (non si deve aumentare il plafond complessivo). E non è
detto che il meccanismo di redistribuzione tecnicamente funzioni bene (va
comunque sperimentato), soprattutto perché rischia di non assicurare certezza di
finanziamenti alle aziende in un momento in cui queste non possono permettersi
ulteriori instabilità operative.
155
6.
La vischiosità delle relazioni
industriali
Una delle questioni conclusive affrontate dall’indagine riguarda le risorse umane e
le relazioni industriali. Se la formazione e la crescita delle competenza delle
persone che a vario titolo operano nel sistema del Tpl (dagli autisti, ai manager,
agli amministratori pubblici) sono considerate da tutti gli intervistati “alla base di
qualsiasi modello di efficientamento e di sviluppo” e temi su cui occorrerebbe
investire con maggiore forza nel futuro prossimo, guardando in particolare alle
nuove tecnologie ed al rapporto tra il personale delle aziende e gli utenti, opinioni
più articolate si hanno sul tema delle relazioni industriali.
Infatti, nell’affrontare la questione alcuni intervistati individuano nella rigidità delle
relazioni industriali uno dei fattori frenanti dell’intero sistema del Tpl, al pari di un
ruolo ancora modesto della contrattazione di secondo livello, che andrebbe, invece,
maggiormente sviluppata per affrontare le problematiche e le specificità locali e,
allo stesso tempo, per una più efficace misurazione del ruolo del lavoro nella
formazione dei risultati aziendali e, di conseguenza, per la valorizzazione del lavoro
stesso anche in termini economici. Il contratto nazionale, secondo questa visione,
dovrebbe focalizzarsi su alcune questioni centrali, oltre a definire i parametri
generali in grado di eliminare le forti disparità tra le diverse aree del Paese,
lasciando alla contrattazione locale e aziendale la definizione più dettagliata dei
contratti di lavoro. Con l’attenzione, però, a non ripetere gli errori spesso commessi
nel passato, quando la contrattazione integrativa, secondo un intervistato, è “stata
gestita male e ha prodotto danni, alzando il costo del lavoro senza tener conto
della produttività”. Spingendo ulteriormente lungo questa impostazione, c’è chi
ritiene che “la contrattazione di secondo livello dovrebbe diventare il cuore delle
relazioni industriali sostituendo completamente la contrattazione nazionale”.
In verità, diverse voci, anche dal versante aziendale, tendono ad articolare e
problematizzare la questione del rapporto fra contrattazione di primo livello, a cui
si assegna comunque un ruolo imprescindibile, e contrattazione di secondo livello
che deve attentamente essere legata alla produttività aziendale. Come sottolinea
un intervistato: “molto dipende dalle condizioni di partenza e dalla necessità di
legare la contrattazione di secondo livello al territorio e ai livelli di produttività
dell’azienda, quindi alla sua struttura dei costi. Iniziative che consentono di
incrementare la produttività possono portare a premi per il personale”. È questa
un'impostazione che alcuni ritengono opportuna anche per la contrattazione di
primo livello. La contrattazione di secondo livello, avverte un altro intervistato, “è
importante, ma molte aziende non hanno assolutamente risorse per fare nulla”. Né
si può dare per scontato che la produttività aumenti solo sulla base di una migliore
organizzazione aziendale: “gli incrementi di produttività dipendono molto dalle
politiche di settore (regole di circolazione, infrastrutture ecc.) delle amministrazioni
centrali e locali”). Ci vogliono quindi molta cautela e un’attenzione ai costi
aggiuntivi per le aziende nel momento in cui si rafforza la contrattazione di
secondo livello a scapito del contratto nazionale.
156
In questo quadro problematico, non sorprende che la valutazione sullo stato delle
relazioni industriali sia giudicato, dalla maggior parte degli intervistati, molto
criticamente.
Tra gli intervistati di riferimento sindacale c'è chi indica nella scarsa considerazione
della contrattazione collettiva da parte delle aziende e delle loro rappresentanze
uno dei fattori critici delle relazioni industriali, al pari dell’assenza di specifici
riferimenti legislativi (nazionali e regionali) in grado di “dare risposte positive ad un
settore che, malgrado l’innovazione tecnologica applicabile, si caratterizza per
elevati livelli di intensità di manodopera”.
Altre questioni sollevate riguardano l’inserimento di clausole sociali particolarmente
stringenti nei bandi di gara che limitano fortemente la partecipazione di più
soggetti, la necessità di definire fondi per la gestione di eventuale personale in
esubero, il perdurare della vertenza relativa al rinnovo del CCNL, connesso anche
al tema delle risorse a disposizione, le difficoltà per molte aziende di avviare seri
percorsi di contrattazione di secondo livello, ancora per effetto delle limitazioni
finanziarie che ormai da anni caratterizzano il settore, l’utilizzo del settore del Tpl
(di aziende pubbliche in particolare) come “improprio ammortizzatore sociale” e,
infine, il ruolo preponderante del finanziamento pubblico che limita “qualsiasi
processo di efficientamento”.
157
7.
Per concludere e riepilogare: le
priorità sulle cose da fare
Come detto in premessa la domanda finale sollecitava gli intervistati ad indicare le
“tre cose” più urgenti da fare per sviluppare il Tpl in Italia.
La “nuvola” delle parole-chiave è contenuta nella Fig. 9. E nella tavola a seguire
(Tav. 1) la lista completa delle risposte con aggregazione per macrotipologie.
Regole e risorse certe, investimenti, introduzione dei costi standard sono le grandi
urgenze su cui bisogna intervenire per lo sviluppo del settore. Ulteriori commenti
sono superflui.
Fig. 9 – Le parole chiave per lo sviluppo del settore del Tpl in Italia
Fonte: elaborazioni Isfort
Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl
Regole certe
1
Regole certe e durature (testo unico)
2
Regole per parificare le varie situazioni regionali verso liberalizzazioni e privatizzazioni
3
Normativa (di legge e contrattuale) chiara
4
Regole certe
5
Regole certe e durature
6
Stabilizzazione del quadro normativo e di regolazione
7
Regole chiare, stabili e pro-concorrenziali
8
Revisione del D.lgs. 422 e successiva reale applicazione
9
Riallineamento competenze Titolo V (meno potere agli Enti locali)
10 Quadro normativo da rivedere e semplificare
11 Completare il processo avviato con il D.lgs. 422
12 Revisione normativa
13 Ridefinire il quadro delle competenze e dei ruoli fra livelli istituzionali
14 Quadro normativo integrato
15 Testo unico di legge per il Tpl
16 Misure compensative per l’avvio di riforme concorrenziali
(continua)
158
(segue) Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl
Risorse certe
1
Risorse certe
2
Risorse certe per procedere ai bandi di gara
3
Risorse adeguate, certe e durature
4
Risorse stabilizzate per almeno 5 anni
5
Risorse certe nel tempo
6
Risorse per servizi adeguate, certe e indicizzate
7
Rendere esigibili e certi i corrispettivi da contratto di servizio
8
Risorse da adeguare
9
Più risorse al settore da vincolare al raggiungimento di obiettivi
10 Certezza dei flussi di finanziamento
11 Risorse adeguate per i servizi
Investimenti
Piano straordinario di ammortamento del materiale rotabile (nei contratti di servizio) e
1
investimenti in sistemi di trasporto di massa
2
Investire su infrastrutture e ammortizzatori sociali
3
Nuovi investimenti
4
Investimenti
5
Crescita degli investimenti
6
Investimenti nei nodi infrastrutturali
7
Risorse adeguate per gli investimenti
8
Corretta programmazione degli investimenti
Costi standard
1
Definizione dei costi standard comprensivi degli investimenti
2
Costi standard (con gradualità)
3
Costi standard (modulati in considerazioni delle condizioni esterne di operatività aziendale)
4
Costi standard
5
Modifica regole per definire i corrispettivi
6
Costi standard
7
Costi standard
8
Costi standard
Liberalizzazioni e privatizzazioni
1
Privatizzazioni
2
Privatizzazione degli operatori ferroviari
3
Liberalizzazione coordinata
4
Liberalizzazioni vere
5
Processo di liberalizzazione vero e graduale
6
Rimuovere le resistenze degli Enti locali verso l’affidamento con gara
Mobilità sostenibile
1
Politiche incentivazione all’uso dei mezzi pubblici
Riforma dei sistemi di governo locale della mobilità (politiche a favore del Tpl e mobilità
2
sostenibile)
3
Cambiare le priorità delle politiche nazionali, prima il Tpl e la mobilità sostenibile
4
Sviluppo di politiche di viabilità locale
5
Politiche per l’integrazione dei sistemi modali
(continua)
159
(segue) Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl
Indipendenza delle aziende
1
Separazione tra politica e gestione aziendale
2
Autonomia delle aziende rispetto alle influenze politiche
3
Ruolo forte dell’Autority nel risolvere il conflitto di interessi tra azienda e politica
4
Sganciare dal potere politico gli amministratori delle aziende
5
Promuovere maggiore terzietà delle amministrazioni locali appaltanti
Pianificazione
1
Pianificazione equa tra effettivi bisogni della domanda e la socialità del servizio
2
Pianificare meglio intorno ai poli attrattori
3
Definizione di bacini ottimali con un unico operatore sia su gomma che su ferro
4
Pianificazione/programmazione dei servizi
5
Razionalizzazione dell’offerta
Aggregazioni aziendali
1
Nuovo assetto industriale (aggregazioni)
2
Incentivare le aggregazioni
3
Crescita dimensionale delle aziende e riassetto industriale
Definizione di bacini di servizio integrati da mettere a gare per incenticare la fusione tra
4
aziende
Varie
Gestione industriale delle aziende
Innovazione/modernizzazione/integrazione delle imprese
Nuovo modello di relazioni industriali per incentivare il personale e migliorare le performance
aziendali
Reale separazione tra soggetti proprietari dell’infrastruttura e soggetti che offrono servizi
Ridurre il monte chilometrico di ferro e bus finanziati
Implementazione nuove tipologie di servizi
Definizione della durata dei contratti sulla base degli investimenti
160
Fly UP