GAP La lotta di liberazione gappista fu opera di soli comunisti
by user
Comments
Transcript
GAP La lotta di liberazione gappista fu opera di soli comunisti
GAP La lotta di liberazione gappista fu opera di soli comunisti L’idea che i fascisti si erano fatti del loro principale nemico era falsa e risentiva del mito del “ribelle” che si stava creando e che veniva alimentato dalle voci messe in circolazione dagli stessi partigiani. Dopotutto anche loro, i fascisti, si sentivano dei ribelli e in quel mito rispecchiavano sé stessi. Il mito dell’eroe ribelle alla Salgari o alla Dumas, all’interno dell’orizzonte mentale fascista, conviveva con i ricordi della guerra di Spagna, che rimandavano all’inevitabile sconfitta dei “rossi” e con altri miti fuorvianti come quello della superiorità del cittadino “colto” sul contadino “ignorante”, tipico della mentalità piccolo borghese e cittadina, o quello dell’invincibilità del soldato tedesco. Miti che sovrapponendosi e potenziandosi a vicenda contribuivano a creare quella percezione distorta della realtà, che, impedì alla RSI di valutare in modo adeguato il fenomeno che andava delineandosi. Il numero dei partigiani era considerato dalle stesse autorità fasciste dai seicento ai mille mentre in realtà non erano che trenta. La grande mobilità e azioni compiute in luoghi distanti l’uno dall’altro aveva creato una certa aureola di leggenda. Non bisogna però esagerare e se si giocava al bluff nei confronti dei fascisti non dovevamo lasciarci prendere noi stessi dalla manovra. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) I fascisti pensavano ai partigiani come ad unità dirette militarmente da professionisti stranieri, perfettamente organizzate e davano loro per scontato il pieno controllo della montagna. Il numero dei ribelli e la loro forza erano moltiplicati dalla distanza dei luoghi in cui colpivano, dalle notizie false diffuse ad arte e dalla paura. Le cose, invece, stavano in tutt’altro modo. I partigiani erano pochi, l’organizzazione ancora precaria e gli obiettivi non ancora chiari. Il mito superava la realtà. Eccellenza. La situazione che piano, piano è venuta creandosi in questa zona per la presenza di partigiani comincia a diventare sempre più grave, culminando ora nell’assassinio del commissario prefettizio di Bagno di Romagna. E questo non è solo come una minaccia per i fascisti, e un peso per le popolazioni montanare ma anche un pericolo, sembra, di natura bellica antitedesca. (...) Questa minaccia è data dal fatto che le cosiddette Bande di partigiani devono essere organizzate da prigionieri russi e inglesi e Iugoslavi che rivestono secondo le voci dei contadini grado abbastanza elevato e che vagano per i monti ma devono avere qualche centro di raccolta verso la Campigna, Corniolo, in Comune di Santa Sofia, verso Premilcuore e in Ridracoli, Biserno, Poggio alla Lastra in Comune di Bagno di Romagna versante del Bidente oltre zone di Monte Guidi, Careste nello stesso Comune. Sono prigionieri fuggiti dai campi di concentramento di Anghiari in Provincia di Arezzo e del Casentino, fermatisi là ove predano il vitto dagli abitanti ma, sembra, anche con forniture dalla piana e, voce di popolo, con paracadute. (...) Essi sono assai armati con fucili mitragliatori, bombe a mano, mitragliatrici e moschetti. Quanti sono. Nessuno lo può immaginare ma diverse decine forse centinaia e decisi assai secondo quanto apparisce dai racconti dei contadini. Sembra che trattino bene i contadini ... (Da una lettera spedita da San Piero in Bagno, probabilmente al capo della provincia. 19 gennaio 1944 – ISRFC 10/B4 847) Se i partigiani erano visti come i padroni della montagna, i fascisti pensavano a se stessi come ai padroni delle città e mentre cercavano di rafforzarsi, rimandavano l’inevitabile battaglia ad un secondo momento. Senza nessuna idea della guerriglia, pensavano ad uno scontro frontale, che, grazie anche all’aiuto dei camerati tedeschi, si sarebbe inevitabilmente risolto a loro favore. Nel frattempo, comunque, se a risolvere il problema ci avessero pensato loro, i tedeschi, sarebbe stato meglio per tutti. In questo primo momento ad essi sfuggiva ancora, completamente, l’importanza della campagna (che veniva considerata come una sorta di terra di nessuno, in cui si rifugiavano i pavidi e i renitenti e dove le due parti contrapposte, potevano occasionalmente fare le loro scorrerie, per rifornirsi di uomini e di cose). Nello stesso tempo sopravvalutavano il proprio potere e quello dei loro alleati, non pensando che i nemici potessero stare tranquillamente nascosti anche tra le mura cittadine, o, se anche lo immaginavano, non riuscivano comunque a credere che potessero osare tanto da colpirli all’interno delle loro roccaforti. Gli eventi della vigilia di Natale, quindi, li sorpresero non poco e distrussero tutte le loro certezze. [Dopo la liberazione dei prigionieri dalla rocca di Cesena, nella notte fra l’8 e il 9 febbraio 1944] ... nessuna reazione dei fascisti che erano stati presi alla sprovvista e non avevano alcun riferimento dove cercarli, erano del opinione che [i partigiani] fossero venuti dai monti quindi uomini della garibaldi Romagna, il primo camion di fascisti si diresse verso Settecrociari dove abitava Ezio Casadei, S. Vittore. Borello Verso la base della garibaldi a Pieve di Rivoschio, era evidente che i fascisti non avevano ancora punti di riferimento, le avranno poi con le spie che misero l’intero movimento dei GAP a prendere misure di sicurezza... (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) Proprio nelle campagne, invece, si andava rafforzando la resistenza. I contadini, per lo più braccianti e mezzadri, che erano stati duramente colpiti, prima, dalla politica a favore dei grandi proprietari terrieri, sostenuta dal fascismo e poi, dalla crisi provocata dalla guerra, con la nascita della RSI non avevano esitato a proteggere i renitenti e i partigiani che fuggivano dalle città, poi li avevano attivamente aiutati a creare le loro basi, i loro rifugi e la loro rete di informazioni. In seguito, sempre più coinvolti nell’attività clandestina antifascista, anche loro chiesero di entrare nelle fila die combattenti. Io sono arrivato a casa appena in tempo, in settembre, per l’occupazione tedesca, ho fatto 15 giorni a casa e non di più. Sono dovuto scappare, avvisato in tempo che mi venivano a prendere. [Mi sono nascosto] da Barbieri a S. Giorgio (Adriano Benini - dattiloscritto 1983) Io ero preoccupato per il mio passato perché potevo essere schedato e per evitare di essere preso dai tedeschi mi trasferii con Alessandri [Giorgio] e con Poni [Sesto?] a Longiano dove stetti (...) lì facemmo delle riunioni con i giovani della zona. Poi dovetti tornare a casa perché mi ero ammalato di scabbia dormendo per terra in mezzo alla paglia nelle stalle. A casa non dico che avevamo già costituito un gruppo perché non avevamo ancora i collegamenti o qualcuno che ci assistesse per formare i gruppi armati, però coi miei amici della zona [a Porta Santi] facevamo riunioni, ne parlavamo, ecc., perché non ci azzardavamo né di andare in città né di spostarci, anzi, stavamo sempre all’erta per evitare eventuali rastrellamenti. (...) In dicembre mi trasferii a S. Tommaso con Pasini Antonio e lassù cominciammo le prime riunioni, nelle stalle dei contadini, per l’organizzazione politica di chi voleva opporsi al partito fascista... No. In dicembre, no. Comunque c’era l’organizzazione del partito [comunista] che ci dava queste indicazioni. (...) io avevo avuto informazioni che mi potevo rivolgere ad Antognacci [Aristide] ad esempio. Io li conoscevo tutti per soprannome: i Ridolfi erano chiamati i ..........., poi c’erano i Capacci. I Marchi: ............ In tutte le famiglie c’erano dei giovani e si preparavano le riunioni alla sera cominciando a parlare della situazione del momento e che dovevamo prepararci alla lotta. Era ancora una fase di organizzazione politica. (...) nella zona di S. Tommaso abbiamo trovato l’ambiente adatto perché quasi tutti i contadini incominciavano a essere coinvolti. Siccome l’azione di propaganda e le discussioni si allargavano sempre di più, quasi il 90% delle famiglie contadine di S. Tommaso erano coinvolti, quindi dal punto di vista politico erano già preparati. [Per cui non avevate problemi di sostentamento e di rifugio?] No. Io sono stato mantenuto dai contadini della zona in quei mesi. (Scevola Franciosi - dattiloscritto 1984) ... dopo l’8 settembre dovetti rimanere “uccel di bosco” perché le SS mi cercavano. Mia moglie era stata avvisata quasi subito. Circa a metà settembre, le dissero di stare attenta perché c’era l’ordine di spararmi a vista. Giravo anche per Cesena non facendomi vedere, andavo in campagna... (Nando Giliucci - dattiloscritto 1983) Arrivato a casa [dopo essere fuggito dalle fila dell’esercito della RSI] dopo un po’ ero ricercato dai fascisti... e da lì sono dovuto andare via da un contadino. Fu Luigi [Amaducci] a dirmi di andare lì che c’erano dei compagni, il contadino si chiamava Zani [a Ponte Pietra]. Lì venne poi anche mio padre perché la casa era stata bombardata. (...) da lì partivano le azioni, eravamo collegati con Case Frini, poi venivano altri, Luciano [Caselli] ha fatto delle riunioni. Con noi c’era [Renato] Capanna, un capo politico. Ci faceva propaganda per il PCI. (Sereno Gasperoni – dattiloscritto 1983) Dopo l’8 settembre andammo sfollati in campagna dai miei genitori e da lì si formò un gruppo. C’era Minotti, che era repubblicano ma era nella nostra formazione partigiana, poi c’era Giorgio Alessandri (...) e poi c’era mio fratello (...), ci organizzò Albino [Oddino ] Montanari, che ci faceva fare qualche sopralluogo di notte, ci procurava anche le armi, poi gliele davamo indietro, ci teneva informati di tutto quello che succedeva nella nostra zona, dell’8a. brigata, eccetera. Ero a Ponte Pietra, in campagna, si operava lì quello che ci ordinava Montanari. (Urbano Danesi - dattiloscritto 1984) Durante il fronte dopo il [mio] secondo arresto [la notte di Natale del ‘43] mi volevano mandare in Germania, ma mi sono reso “uccel di bosco”. Sono stato un po’ vicino... a S. Egidio, poi sono andato a S. Tommaso. (Paolo Foschi - dattiloscritto 1984) Nella costituzione dei Gap il partito comunista cominciò ad impegnarsi seriamente soltanto a partire dal mese di novembre, dopo aver portato a termine i provvedimenti più urgenti per la creazione della base partigiana a Pieve di Rivoschio. Sia all’interno del partito che fra le altre forze antifasciste si era piuttosto scettici sulla possibilità di portare la lotta armata in pianura. I rischi, le difficoltà e le possibili ritorsioni sulla popolazione civile rendevano dubbiosi. Comunque si creò un comando Gap, a livello interprovinciale (ForlìRavenna), con a capo Ilario Tabarri (Pietro Mauri) e si cominciò a chiedere la disponibilità dei compagni. I primi Gap furono operativi alla fine di dicembre. La lotta di liberazione gappista fu opera di soli comunisti. (Adriano Benini - manoscritto) Il comando piazza era [a] Forlì, per esempio il compagno Tabarri [Ilario], Battaglia [Berto Alberti]... Ma Tabarri in particolare, pur essendo di Cesena, era un compagno che operava a livello forlivese all’inizio della costituzione, diciamo, della formazione dei gruppi armati e queste cose qua (...) Avevamo un’organizzazione di tipo provinciale che allora funzionava fino a Rimini. (Leopoldo Lucchi - 1984) [Ai primi di dicembre 1943] Abbiamo una riunione con un alto funzionario militare del centro, Dario [Ilo Barontini], al quale viene fatta una relazione della situazione di montagna e di pianura, non mancando di far risaltare la solita mancanza di quadri. (...) A me viene assegnata la direzione dei GAP. (...) A Forlì i primi tentativi fatti nei mesi di novembre e dicembre non diedero risultati alcuni. Pur esistendo una buona situazione politica non sarà possibile formare dei GAP attivi e quelli successivamente organizzati non si riuscì mai a farli entrare in azione. Decisamente, malgrado i numerosi operai delle fabbriche forlivesi, si incontra una grande difficoltà a trovare elementi capaci di svolgere il lavoro di GAP. Solo in mezzo ai giovanissimi si potrà trovare qualche elemento ed infatti incominciarono le loro prove la vigilia di natale con un morto e un ferito fascista. Si ripeteranno tali azioni e culmineranno con l’uccisione del federale fascista di Forlì il 7 febbraio. Queste azioni vengono però eseguite da un piccolo numero di giovani i quali non riescono ad allargarsi prima della chiamata delle classi 1922-25 e questa, come alcuni arresti avvenuti, danno il colpo a quello che esisteva e a quello che era in via di organizzazione. (...) Pure a Cesena si inizierà l’organizzazione GAP coi primi di novembre, ma anche qui si avranno le prime azioni alla vigilia di Natale. Però a differenza di Forlì si troverà a Cesena un buon nucleo dirigente che riuscirà ad allargare le basi dell’organizzazione gappista fino a comprendere un centinaio di elementi che si proveranno in parecchie azioni d’armi da fuoco e nell’impiego di esplosivi per il salto di ferrovie, linee elettriche, case del fascio, ecc. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) Quando è nata la repubblichina (...) noi eravamo già organizzati. Non però tassivamente [come] Gap, Sap e tutte le [altre] organizzazioni (...) e allora mi ricordo che a casa nostra eravamo 8-10 ragazzi di San Giorgio e... e allora mi ricordo che ci fecero scrivere. C’era Ricci Fabio, questo Caselli [Luciano], non mi ricordo che ci fosse anche un politico (...) ci dettero un pezzo di carta e [ci dissero] di scrivere S se [si] voleva essere Sap e Gap per i Gap. Però ci spiegarono Gap vuol dire questo, questo e questo. Sap vuol dire questo (...) e allora ecco... e qui, io quello che aveva scritto lì non lo sapevo e l’altro... Però dopo, piano piano, si veniva a sapere. (Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998) ... dopo l’8 di settembre ci fu una discussione (...) all’interno delle cellule di partito si decise di... ecco... chiedere ai compagni chi aveva intenzione di partecipare alla lotta armata, se la lotta armata fosse stata organizzata. Ancora no. E mi ricordo che la cosa venne [fatta] attraverso una busta. Cioè fu consegnata ad ogni compagno una busta con un biglietto, se aderiva doveva scrivere un sì e se invece era contrario... cioè se non intendeva aderire, scriveva un no. Scriveva un no con la propria firma. La cellula nostra dell’ippodromo, mi ricordo, che su 17-18 compagni iscritti aderimmo in sei e gli altri... Poi in seguito le adesioni furono già di altro tipo, insomma più di massa (...) Però ecco, ci fu questo e si cominciò a dar vita all’interno del partito... e quindi a vedere coloro che si offrivano volontari alla lotta... alla lotta armata. (...) Questo era all’interno del partito comunista, però si era costituito già un primo comitato unitario antifascista. (...) Dopo il rastrellamento [del 16 novembre 1943, a Pieve di Rivoschio] io ritornai (...) in pianura dove intanto si stavano costituendo i gruppi dei Gap. Perché sempre attraverso quella lettera ecco... poi i compagni furono inviati in montagna e [altr]i compagni furono invece incaricati, cioè furono scelti, per dar vita ai gruppi gappisti. (Leopoldo Lucchi - 1984) I gruppi militari furono strutturati con compiti diversi, ad esempio abbiamo le formazioni di montagna, cioè le brigata partigiane di Romagna che costituirono le loro basi di reclutamento e informazione nelle colline dell’Appennino tosco-emiliano; il primo gruppo dell’VIII brigata si è costituito nella zona di Pieve di Rivoschio sopra Ranchio. (...) Poi vengono costituiti dei gruppi per operare nella pianura, questi furono i famosi GAP. Si costituisce anche una brigata che opera in pianura da noi, è la 29a. Brigata Garibaldi “Gastone Sozzi”. La brigata opera a livello di provincia e a Cesena si trova il battaglione di quella brigata. Il compito di questa GAP è di operare in pianura a fianco dei partigiani che operano nelle montagne. Sorgono anche dei reparti che vengono chiamati SAP. Sono anche questi patrioti, anche se non combattono, e formano la sussistenza, cioè sono quelli che raccolgono viveri, mezzi di trasporto, diffondono giornali e buttano volantini. A fianco della GAP, delle brigate di montagna, delle SAP, nascono i gruppi di difesa della donna e le organizzazioni giovanili. Queste ultime formazioni sono più politiche che militari, ma hanno compiti di appoggio e di aiuto. Quando i fascisti chiamarono alle armi le leve del ’23,’24,’25, questi giovani venivano invitati dalle organizzazioni politiche antifasciste a non presentarsi alla chiamata, ma invece ad arruolarsi nelle formazioni partigiane di montagna. Il primo gruppo fu costituito da antifascisti già politicizzati, cioè un gruppo di ex prigionieri del fascismo e di ex combattenti della guerra di Spagna. Gente che il 25 luglio era stata scarcerata con manifestazioni di massa, perché Badoglio voleva ancora tenerla segregata nelle isole di confino. Queste persone l’8 settembre furono ricercate dai tedeschi e dai fascisti e quindi furono i primi gruppi ad entrare nella clandestinità; questo per quanto riguarda le formazioni di montagna e i battaglioni SAP. Invece il GAP fu organizzato sulla base di una specie di volontariato: i volontari venivano poi selezionati, perché come poi si è dimostrato, combattere in pianura era più difficile di quanto fosse in montagna. Io non so delle altre formazioni politiche, ma il PCI aveva organizzato la cellula di strada, di quartiere, di settore, e fece il reclutamento fra i propri iscritti facendoli votare con una busta chiusa. Io facevo parte di una cellula, quella della case popolari dell’ippodromo, nella quale eravamo 17 iscritti. In quella cellula aderimmo in 9 al gruppo GAP. Però questa adesione era un fatto segreto. Fummo raggruppati in gruppi di 5, ogni gruppo aveva un capo, al di sopra dei capi c’era un responsabile di settore il quale conosceva i capi di tre gruppi. Si pensava che doveva resistere, nel caso fosse caduto in mano dei fascisti, il responsabile di settore. Se avesse ceduto lui poteva fare i nomi di tre persone, i quali potevano a loro volta fare i nomi di altre quattro persone; quindi, nel peggiore dei casi, sarebbero state scoperte sedici persone. (Leopoldo Lucchi in: Alcuni anni della nostra storia : testimonianze sulla resistenza / a cura degli studenti della classe II E dell’Istituto Tecnico Commerciale [1973?]) Le prime azioni dei Gap, servirono a mettere di fronte al fatto compiuto chi aveva ancora delle perplessità e dimostrarono che la lotta armata in pianura era possibile. L’aspetto importante è questo, che noi potevamo muoverci come volevamo che la popolazione ci accoglieva bene. Quindi avevamo uno scudo di protezione. Il fatto che tutte queste famiglie (...) che m’hanno tenuto, che ero braccato, ero ricercato sia dalla banda Garaffoni, sia dai carabinieri, erano tutti contadini. Quando penso [ai] Zoffoli una famiglia, di otto-dieci, fra figli... otto figli, padre, madre, lui e moglie, dieci persone. Mi tenne lì per due mesi. Se scoprivano... ma ammazzavano tutti! Cioè ci voleva del coraggio. Ma non solo questo, noi trovevamo molti posti da parte dei contadini che ci ricevevano, ci proteggevano e avevamo soprattutto questo lavoro, forse non sempre coscientemente... le donne, il lavoro delle donne. La staffetta, l’informazione, le scarpe, i calzettoni, no? Queste cose dette oggi sembra niente, ma in quel momento, in quelle situazioni era molto importante. (...) Ecco che allora questa partecipazione smentisce la polemica che vi era stata inizialmente che la lotta in pianura non era possibile. Vi era una parte che diceva la lotta in pianura è possibile, è possibile perché... perché vi era questa atmosfera, perché vi era questo stato d’animo, perché vi era questa solidità [solidarietà], quest’odio contro il fascismo, contro il nazismo. (Berto Alberti - 1984) Vi sono due aspetti fondamentali del problema che bisogna affrontare e risolvere: 1. Invece di essere spinti dall’organizzazione politica bisogna trascinare questa e, colla persuasione o col fatto compiuto, mettere quegli elementi opportunistici nella impossibilità di nuocere. 2. I GAP delle diverse località non agiscono da soli perché mancano di esperienza e di abitudini per un tale lavoro ed allora occorre che i pochi dirigenti disposti a tutto si portino nelle varie località e guidino essi stessi quei GAP che da soli non si sarebbero mossi. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) Questi primi attentati furono anche un segnale preciso, rivolto alle altre forze politiche antifasciste, ancora dubbiose e restie a collaborare su questo piano con il partito comunista. I comunisti romagnoli mostrarono chiaramente la loro intenzione di portare avanti sino in fondo, la decisione di combattere fascisti e nazisti e che lo avrebbero fatto comunque, anche senza l’aiuto di nessuno. [Come reagiva la popolazione a queste azioni?] … c’erano le due cose... La… La rabbia e quindi la soddisfazione che qualcheduno cominciasse a pestare i piedi a sta gente [i fascisti] insomma. Perché erano dei prepotenti... perché agivano con prepotenza... E dall’altra c’era il diffondersi della paura perché poi questi agivano... agivano con... Ma c’era anche però un senso di attendismo nella gente. Che quacheduno d’altra parte tra le forze politiche alimentava. Ad esempio il PIL [ULI] predicava l’attesa, diceva dobbiamo organizzarci per sorgere... risorgere al momento giusto, ma intanto lasciamoli... In parole povere, lasciamoli combattere tra di loro, no? Poi noi alla fine verremo fuori. Quindi c’erano anche chi predicava una certa attesa, chi predicava rassegnazione quindi. C’era nella popolazione... C’erano diffusi sentimenti diversi insomma! Posizioni diverse. Però quando si colpiva, ecco, quando si realizzava un’azione... noi poi che andavamo per ascoltare la reazione della gente, cioè andavamo tra la gente a sentire cos’è che dicevano, trovavamo molto spesso e prevalente la... così... la soddisfazione della gente che [diceva] “Quella canaglia finalmente l’han bloccata”, insomma “l’han fermata”, no? (Leopoldo Lucchi - 1984) ... solo il nostro Partito fu, fin dall’inizio, deciso a organizzare la lotta armata contro i fascisti e i tedeschi. (Da: Testimonianza su venti anni di Milizia Comunista : 1925-1945 / di Berto Alberti. Battaglia). – Forlì: Ed. della Federazione forlivese del PCI,1975) Indicativo del fatto che alla fine di gennaio, in pianura, non esistesse ancora un’organizzazione militare vera e propria, è il fatto che per colpire il vice segretario del fascio di Cesena, Pier Francesco Moreschini, ci si fosse serviti di un gruppo disceso appositamente dalla montagna. L’azione di Moreschini è stata fatta da un partigiano che io non ho mai conosciuto [ Albo Sansovini (Dick)]. Era un partigiano che era sce... erano scesi dalla brigata per venire a uccidere... ed erano in due. [Andarono] nella villa di Moreschini, sopra a Settecrociari, a Massa. Poi lì si spararono. Lui sparò a Moreschini che lo ferì e Moreschini sparò a lui. Insomma lo colpì in un ginocchio con una pallottola, che ha patito tanto male. Poi questo... Arrivarono da un contadino, gli fece prendere... gli fecero attaccare il cavallo e lo portarono su a Paderno. Che c’erano qui... questo Maraldi [Amedeo] (...) Di lì lo portarono su da Molari [Emilio]. A casa di questo Molari che abita qui [a Torre del Moro]. Uno spavento in casa! Te pensa che lui [Dick] piangeva nel letto e i fascisti vennero su, gli andarono fino a venti metri, trenta metri dalla casa, però non andarono in casa. Era lì, pronto, con la pistola in mano, sarebbe stato una tragedia, perché anche lì, questo Molari, aveva un altro fratello sposato con bambini... E che poi dopo, alla notte dopo, partì questo Molari a cav... ancora a cavallo di un cavallo, che andarono giù e poi attraversarono... andarono verso... andarono su verso a Pieve di Rivoschio. Io non c’ero quella volta. E riuscirono a portarlo. Però dopo [Dick] è stato preso ancora ed è stato fucilato. (Renato Gasperini - 1984) Noi [quando eravamo in brigata] abitavamo in una casa che eravamo in ventidue, tra i quali c’era Lama Luciano, suo fratello [Lelio Lama]... e si stava lì... E alla mattina andavamo a Strabatenza a fare la spesa, una volta per uno... [il mio comandante era] Luciano, sì, in quel periodo (...) il comandante di compagnia. (...) C’era Lama Luciano, c’era Campana [Pio], (...) c’era Martini [Spartaco (Sergio)] che abitava (...) a Martorano (...) che l’hanno ammazzato lassù, c’era Capovin Augusto che fa le poesie, c’era Lidio [Venturi], delle case popolari. Poi parecchi son morti a dir la verità: i due fratelli Fabbri [Vittorio e Tonino]... Sì, più o meno eravamo di Cesena. Ce n’era qualcuno di Meldola, che difatti due li hanno ammazzati anche loro... Un certo Matteucci Secondo, che ci hanno poi dedicato una via a Meldola, questo Matteucci, perché era una brava persona. Faceva da calzolaio, faceva da infermiere. Nientemeno, tolse una pallottola a Dick [Albo Sansovini] che è stato ferito qui nella villa di Moreschini. Dal ginocchio gli era andata giù al polpaccio. Si sentiva la palla. E la tolse questo... questo nostro compagno, con una limetta da barba gli fece una crocetta. Noi lo tenevamo forte e schizzo via... la palla. (Guerrino Battistini - 1984) Steso bocconi sul tavolo con una crosta di pane secco in bocca da stringere tra i denti, e tenuto stretto per polsi e caviglie da quattro di noi, Dick fu pronto a subire l’incisione senza l’ausilio dell’anestetico. Non l’avevamo di certo. Ricordi compagno Luciano / quando con una lametta da barba / estraesti la pallottola / dal polpaccio di Dick / con due incisioni a croce? / Alla sua gamba / desti ancora vita! / Dick fu uno dei primi / a salire i vertici / dell’azione partigiana. / Era un po’ burbero / ma cuore e fegato per quattro. / Aveva grandi occhi. / Occhi dentro i quali / teneva sempre il fuoco vivo / degli scontri sostenuti, / che perfino la morte / abbagliandosi / ne rimaneva disarmata. (Il nostro comandante Lama si improvvisa chirurgo. In : Da un altro universo : Pagine autobiografiche della Resistenza di Augusto Capovin. - Cesena ; FGCI, 1989) L’organizzazione di pianura si sviluppò grazie alla spinta data dall’esito positivo delle azioni compiute in dicembre e in gennaio. Nel giro di pochi mesi la rete dei Gap si allargò sino a coprire l’intero territorio provinciale. Nel gennaio/febbraio i “GAP” costituiti furono 5 e disponevano di 20 uomini, nello stesso periodo portarono a termine otto azioni armate. Nei mesi che seguirono le forze gapiste aumentarono di numero ed intensificarono le azioni contro il nemico. (Leopoldo Lucchi - dattiloscritto 1987) Nel cesenate i Gap trovarono l’ambiente più adatto per crescere e svilupparsi nel triangolo compreso tra Ronta, Bagnile e San Giorgio, dove i comunisti cesenati più noti, grazie al clima politico particolarmente favorevole, si erano rifugiati subito dopo l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica Sociale. Le riunioni [a Sesto San Giovanni (MI)] le facevano da Canducci [Secondo (Natale)] e poi le facevamo nei campi. Là fuori... alla sera. Quindi noi non eravamo praticamente... almeno, io ero troppo giovane e non ero iscritto però collaboravo con loro. [Che erano già comunisti?] Sé. Ah! Canducci l’è stè un dirigent [del partito comunista] Dop u j è stè quello di San Marten (...) l’era pó a cred e’ zé de’ por Urbano [Fusconi]. Era un tecnico (...) alla Magneti Marelli (...) andarono a prelevarli (...) I faset come han fatto qui da noi, una specie di rastrellamento degli antifascisti (...) J aveva zà le liste, j aveva zà e’ cos... (...) E li inviarono tutti nei vagoni a là a Matausen e... (...) I fu mandè tot in Germania e quindi e’ periodo... e’ vo’ dì che qui era occupato. Sarà stè de’ ’43. Non mi ricordo più il nome de’ zé ad Fis-cin [Urbano (Venanzio) Fusconi].(...) [Che tipo di attività svolgevate?] Ah! L’era propaganda, convincimento, opere di convincimento per mettere fiducia e cercare di creare... cioè quei movimenti che sono avvenuti... (...) quegli scioperi, era tutto in preparazione per gli scioperi nelle fabbriche. (Otello Sbrighi - 1998) ... lavoravo a Predappio. Quando sono tornato [da Milano] qui [a Ronta] sono andato lì a lavorare. C’era anche Fusconi [(Urbano) Venanzio]. Lì facevano gli apparecchi, era la Caproni. Io feci richiesta e fui ammesso, ci sono stato quasi un anno [...] Come ambiente era brutto, c’erano le guardie che erano quasi tutti fascisti e anche la popolazione era molto attaccata al... regime. (Aldo Mellini - 1984) Lì [alla Caproni di Predappio, nel 1942] ho conosciuto (...) dei compagni. Che uno è morto... Fusconi... Fusconi Venanzio di San Martino in Fiume. L’hanno ammazzato i fascisti qui a Cesena. Mellini (...) Aldo (...) di Ronta. Loro erano il nucleo degli antifascisti. (...) Un bel giorno viene uno da Predappio, un ragazzo (...) biondo, più giovane di me (...) aveva sposato la nipote del prete di Predappio bassa... “ Guarda” dice “tu sei di Cesena... noi qui abbiamo creato un’organizzazione, paghiamo, mettiamo fuori una quota mensile...” non ricordo se allora fosse di 5 o 6 lire... “è chiamato Soccorso rosso“ (...) Mi fece capire un po’, così, l’organizzazione politica, via, via. Io non ero contrario e cominciai a pagare il Soccorso rosso, a Predappio (...) e allora venni anche a conoscenza di Mellini. Che anche lui veniva poi da Milano ed era riuscito ad entrare lì dentro. Un gran antifascista. Il suo caporeparto era un ravennate, era un antifascista. (Giuseppe Alessandri 1984) Quando la lotta antifascista divenne lotta armata, in casa nostra [a Ronta] trovavano rifugio i partigiani di ritorno da qualche azione. Io e i miei bambini passavamo le notti girando attorno alla casa per evitare un arrivo a sorpresa dei fascisti ed anche per non coinvolgere i bambini in caso di uno scontro. (Norma Conti in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) Quando venne a casa Lucchi [Leopoldo], il sindaco, dormivo [a San Giorgio] in quella casa vecchia a là di dietro (…) dormivo solo, lì. Io, allora, ogni 15 giorni i carabinieri venivano a farmi l’ispezione perché io ero sempre un ricercato… No un ricercato… un coso… politico… venivano a farmi l’ispezione e c’era il sindaco… Ebbe una schioppettata in un dito e arrivò il maresciallo che c’era proprio il sindaco e io lo feci passare per mio cugino che abitava a Martorano e era proprio il figlio del segretario del fascio Burioli. Però era nell’organizzazione repubblicana antifascista (Rino Belli – 1984) Il comando dell’organizzazione Gap cesenate, si incontrò per la prima volta e si costituì, a Bagnile, in casa di Aldo Zamagna e gravitò sempre attorno a questa zona, sino alla fine della guerra. Lamberto: …Tabarri [Ilario] a l’ò vest dó tre volti, l’è stè in ca’ mia enzi… Amedea: U i n’ un staseva ad chi puch. I durmiva tot a lè (…) A la nota a i n’avema sempra… sempra di nuv u i n’era… Una volta un e’ vins instì da fré (…) Vittorio: Benini Adriano Amedea: [Un’altra volta] L’era instì da dona… “Dì…” i dis… l’era instì da dona… “al mitem a durmì cun l’Ulanda?”. L’era un Oman! Lamberto: Una volta l’era ‘vnù instì da dona no? E ‘lora il vleva met… Amedea: A durmì cun la su mama. Lamberto: I get “Du ’l mitemi sta nota a durmì?” Amedea: “Sta dona... sta dona du la mitemi?” Lamberto: E l’Olanda la get ”La avnirà cun me”. I s’ cazet a rid… E dal volti... Lo a l’ò vest parec volti, l’è avnù zó nenca instì da frè... (Amedea Sama, Lamberto (Bruno) Sama, Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) Il gruppo comando, inizialmente, è formato da: Luciano Caselli (Berto), comandante, Benini Adriano (Guerrino), commissario politico e Fabio Ricci (Pini), vicecomandante. Successivamente Ricci sostituirà Caselli, quando questi, il 20 marzo 1944, prenderà il posto di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) come comandante interprovinciale dell’organizzazione Gap. Ai primi di maggio, Benini sarà sostituito da Scevola Franciosi. L’organizzazione dei gappisti a Cesena è venuta in questo modo: il compagno segretario del partito [comunista] di Forlì, Zanelli [Adamo], mi mandò a chiamare e mi dette l’incarico di organizzare i Gap. Questi sono stati i primi: Barbieri [Ernesto], Montanari [Od]Dino, Sasselli [Elmo], Fusconi Duilio, Ricci [Fabio] che era all’Arrigoni. I primi sono stati Ricci, Caselli [Luciano] e io. E la caratteristica dell’organizzazione partigiana di allora era tre per tre; il capogruppo dei tre teneva il contatto con l’altro capogruppo. Bisognava infatti fare attenzione a non farsi arrestare; se cadeva uno, non più di quei tre... rischiavano. All’inizio la formazione partigiana è nata in questa forma, dopo i primi si sono sviluppati ed è diventata brigata. Il primo Gap a Cesena è nato con Ricci, Caselli e me, noi tre. Poi ci siamo allargati con le nostre conoscenze: Montanari, Barbieri di S. Giorgio, tutte le frazioni e da lì si è formata la 29a. Gap... Ci demmo il nome di Gastone Sozzi perché è morto in carcere. C’era Ricci che era il comandante militare e poi [il comando] è passato a Caselli, invece io avevo la funzione dell’organizzatore e del commissario politico. Andavo da uno all’altro in bicicletta, molte volte travestito da donna. Racconto un episodio. A Macerone, anzi a Ponte Pietra, pedalavo e mi ero dimenticato che ero vestito da donna e facevo la salita a tutta velocità in modo che c’erano delle donne che dicevano “Guarda quella vecchietta, come va forte in bicicletta!” (...) Ognuno combatteva con le proprie forze perché non si poteva scegliere il posto, le occasioni quando venivano, venivano. Certo c’era un coordinamento di fare le azioni, in generale, diretto dal comando, ma ogni Gap era libero di compiere quelle azioni [che riteneva opportune]. (Adriano Benini - dattiloscritto- 1983) Dopo il 16 novembre, si unì al gruppo comando Leopoldo Lucchi ( ) col grado di vice commissario politico. Lucchi dà due versioni diverse di questo primo incontro. Probabilmente la riunione che descrive a casa di Filippo Gasperoni, non è la prima ma un’altra dove, una volta creato li comando, si pensò ad organizzare il primo gruppo di fuoco. Dopo alcuni giorni da Calabrina fui accompagnato a Bagnile in casa di Aldo Zamagna dove incontrai i compagni Caselli Luciano, Ricci Fabio, Adriano Benini e costituimmo il Comando del Battaglione “GAP - G. Sozzi”, ripartendo le responsabilità come era stato deciso in sede politica: Caselli - Comandante; Benini - Com. Politico; Ricci - V. Comandante ; Lucchi - V. Comand. Politico.” (Leopoldo Lucchi - dattiloscritto 1987 – ISRFC ANPI Cesena) Dopo il rastrellamento [del 16 novembre 1943 a Pieve di Rivoschio] io ritornai (...) in pianura dove intanto si stavano costituendo i gruppi dei Gap (...) Quindi io ritornai verso la vigilia del Natale, quei giorni lì, e fui inviato (...) a Bagnile in casa di Gasperoni Filippo. Che è uno che poi dopo viene fucilato a Forlì. Diventa un gappista e viene fucilato nel carcere di Forlì, ecco... [Da] Gasperoni Filippo dove si dà vita al primo gruppo gappista del cesenate. Che diventerà poi il battaglione “Gastone Sozzi” della 29a. brigata. Ma il primo gruppo che si chiamerà... decidemmo lì, eravamo in quattro c’era Benini... c’era il compagno Benini [Adriano], poi c’era il compagno Caselli [Luciano], il compagno Ricci [Fabio] e io. Loro erano naturalmente tre uomini che oramai... con esperienza di carcere, di lotta antifascista, di guerra di Spagna... e io invece ero un emerito sconosciuto inesperto. Però il gruppo che si formò fu quello e si decise di... mi ricordo che si chiamò... che si chiamava gruppo di combattimento “Antonio Gramsci” che fu il primo gruppo di formazione del battaglione della 29a. (...) brigata “Gastone Sozzi” (...) Allora era il primo gruppo che si costituì (...) Qui il battaglione di Cesena nasce da una riunione di quattro compagni insomma che vengono convocati dal partito e si decide di iniziare questa attività. (...) Le prime operazioni di guerriglia urbana, quindi del Gap avvengono alla vigilia di Natale... quindi venti giorni dopo che si era istituito... che si era costituito il primo gruppo. (Leopoldo Lucchi- 1984) All’interno del comando, la ripartizione delle responsabilità era puramente teorica e rimase tale almeno sino alla fine di aprile. Il comando, infatti, agiva collettivamente come gruppo, decidendo le azioni da compiere e di volta in volta, coinvolgendo gli uomini delle diverse zone, in base alle necessità. Nella 29a. brigata Gap io facevo parte del gruppo comando che è poi quel famoso gruppo che si costituì a Bagnile. Cioè: Caselli [Luciano], Ricci [Fabio], Benini [Adriano] e il sottoscritto. Questo è il gruppo comando del battaglione Gap. [Ricci e Caselli erano comandanti militari, Benini era commissario politico] Ma non era… non erano così. Dopo si è detto comandate, commissario ma allora… allora era un gruppo. Allora era un collettivo. Allora si era in quattro che si discutevano tutte le azioni da farsi. Si discutevano in quattro non è che… Dopo, la struttura è diventata… Dopo si è detto: comando e comandante e vicecomandante, commissario, vicecommissario ecco, tutte ste cose qui. Allora e specialmente… Adesso poi io ti parlo fino a… fino all’aprile. Io poi in maggio me ne sono andato e fino all’aprile sì… ci si muoveva così. C’era questo gruppo che operava in collettivo. Si decidevano in collettivo le azioni si decideva chi… chi andava, chi non andava, a quale gruppo fare capo… chi… qual’era il gruppo che si muo[veva]… Adesso l’attacco alla casa del fascio di San Vittore, ad esempio, si diceva “E va be… Ricci, Lucchi… Ricci, Lucchi e poi vi prendete Tizio e Caio e sul posto c’è Tizio e Caio”. Ecco, quindi si organizzava poi così il gruppo, non è che c’era… Anche se c’era una struttura per gruppi poi sul territorio ma c’era sempre un nucleo centrale che partiva e faceva capo a quelli locali per condurre l’azione mobilitandoli nella zona. Quindi c’era un gruppo comando più che… più che altro. E c’era invece la struttura politica. Perché poi nella zona di Ronta c’era Fusconi [Alfredo (Duilio)] che era il segretario del partito [comunista] e lì c’era il gruppo politico. C’era Barbieri [Ernesto] finché non l’hanno ammazzato, c’era… c’era Barbieri che era il segretario… è stato fino il segretario della federazione [del Partito comunista], c’è stato il compagno Buda [Agostino] di Gambettola che è stato il segretario della federazione dopo Barbieri (…) c’era l’organizzazione politica no? Che discuteva le cose. Ma una ripartizione, dopo, in dist[accamenti], cioè è venuto… è venuto col crescere del movimento ecco… col crescere del movimento. Alora, poi s’è fatto il distaccamento di Savignano. Alora c’è stato il battaglione di Cesena. Allora c’era il battaglione di Forlì. Poi c’è stata la 29a. brigata che direi è venuta… è venuta come inquadratura militare al momento della smobilitazione più che prima, ecco. (Leopoldo Lucchi – 1984) Ancora in febbraio la rete dei Gap è appena abbozzata. In quel mese risultano quattro gruppi a Forlì, con 16 uomini, cinque gruppi a Cesena, con 20 uomini e a Rimini l’organizzazione conta 36 uomini (24 a Cattolica, 8 a Rimini e 4 a Viserba). Nel gennaio/febbraio i “GAP” costituiti [a Cesena] furono 5 e disponevano di 20 uomini, nello stesso periodo portarono a termine otto azioni armate. Nei mesi che seguirono le forze gappiste aumentarono di numero ed intensificarono le azioni contro il nemico. (Leopoldo Lucchi dattiloscritto 1987 – ISREC ANPI Cesena) I gruppi di fuoco sono composti da 3-5 elementi. Ogni gruppo è indipendente dagli altri ed è libero di colpire gli obiettivi che ritiene opportuni all’interno della zona che gli è stata assegnata. La struttura dei GAP di Cesena, a grandi linee, fu la seguente: costituimmo dei gruppi di 3 o 5 compagni; ogni gruppo costituiva un GAP; ad ogni GAP era affidata una zona entro la quale doveva operare. Nella propria area ciascun GAP godeva di autonomia e poteva operare ogni volta che lo riteneva opportuno, senza attendere l’ordine del Comando. I singoli GAP fra di loro non si conoscevano ed erano tutti collegati tramite staffette (ora me ne ricordo due: Clara Della Strada e Vera Turroni), con il Comando che assolveva ad una funzione di coordinamento e di promozione dell’iniziativa. (…) ai primi del 1944 (…) la strutturazione del movimento gapista su scala provinciale, con un unico Comando, era il segno della sua crescita e non solo nella nostra provincia, ma su scala regionale. L’istituzione di un Comando Unico, comunque, nulla tolse all’autonomia dei singoli GAP, che anzi, mano a mano che l’esperienza cresceva, divennero sempre più autonomi ed attivi nel decidere le azioni da compiere nelle rispettive zone di competenza. (Da: Testimonianza su venti anni di milizia comunista : 1925-1945 / Berto Alberti (Battaglia). – Forlì : Ed. della federazione forlivese del PCI, 1975) Considerando le testimonianze relative all’azione della rocca di Cesena (9 febbraio 1944), una delle più importanti e delle meglio conosciute fra quelle svolte dalla 29a. Gap, è possibile, in parte, ricostruire l’organizzazione Gap di questo primo periodo. Oltre al Comando, stanziato a Bagnile, abbiamo un gruppo Centro, in città, un gruppo a San Giorgio, uno a Villa ChiavicheCalabrina, un gruppo a Ronta e probabilmente, un gruppo nella zona fra San Vittore-Settecrociari-Paderno. Il gruppo Centro è costituito, in gran parte, da elementi provenienti dalla zona dell’ippodromo e in particolare, dalle case popolari di via Matteotti (Berto Alberti, ricordando lo zio Giacomo Campana, residente in Valdoca, volendosi riferire al gruppo Centro, ne parla come di un componente del gruppo della case popolari dell’ippodromo). In questa zona, il cosiddetto “Campino”, già dal 1940 esisteva un nucleo abbastanza numeroso di comunisti, di cui era responsabile Sigfrido Sozzi. Tra questi nel novembre-dicembre del 1944, furono selezionati i volontari che andranno poi a costituire il gruppo: Pio Campana, Leopoldo Lucchi, Werther Campori, Terzo Domeniconi... ... e lì (nella zona ippodromo) verso il ‘40-’41 si organizza la prima cellula [del partito comunista]. Lì proprio andiamo alla costituzione di una cellula. Io mi ricordo che eravamo 15-16 giovani e questa cellula era praticamente diretta da Sigfrido Sozzi e lì ci si iscriveva, lì si cominciava a trovarsi (...) La cellula nostra dell’ippodromo mi ricordo che su 17-18 compagni iscritti aderimmo [all’organizzazione Gap] in sei e gli altri... (Leopoldo Lucchi - 1984) Nella zona dell’Ippodromo era operante - già nel 1940 - una organizzazione del PCI - ne era responsabile S. Sozzi. Nelle case popolari si era costituita una cellula comunista che contava 16 iscritti ed era diretta dal compagno Campana Pio. (Leopoldo Lucchi - dattiloscritto 1987 – ISREC ANPI Cesena) Io poi dopo alla fine di marzo sono andato via. Alla fine di marzo ai primi di aprile. Però era rimasta questo tipo di organizzazione. Per esempio Ricci [Fabio] che era responsabile, Campana [Alvaro] che era un altro bravo... bravo partigiano, lo zio che è morto, Campana Pio, lo zio Giacomo [Campana], che lavorava qui nelle case popolari, qui a... passato il ponte [nuovo]. (...) Poi avevamo il contatto... io avevo il contatto con Ricchi Werther per il lavoro in direzione del gruppo dell’Arrigoni, che c’era un gruppo forte. Il nostro intento era quello di organizzare nei posti di lavoro e nelle frazioni i gruppi del partito, ma i gruppi anche della resistenza. (Berto Alberti - 1984) In febbraio, dipendente dal gruppo Centro, sarà creato il nuovo gruppo del Campino. ... fui avvicinato nuovamente da Sirotti Stefano che abitava vicino a casa mia e tramite lui presi contatto con Ricchi Werther che era responsabile del partito [comunista] nell’Arrigoni. (...) Tramite Sirotti e l’intervento di Ricchi Werther mi diedero l’incarico di costituire i primi gruppi di resistenza patriottica. Infatti avevo una serie di amici che erano riusciti a non farsi prendere dai fascisti e che erano militari e costituimmo il primo gruppo che era formato da sei persone. Nel periodo dell’ottobre ’43, quindi dopo l’8 settembre costituimmo il gruppo formato da me, da Casali Mario, da Castagnoli Mario, da Pieri Aldo, da Lucchi Pio, con mia sorella staffetta. Il primo contatto lo avemmo con Ricci Fabio comandante di battaglione della 29a. brigata Gap, nel febbraio ’44. Quel giorno a Martorano avemmo l’incontro tramite Benini Adriano, per vedere come si potevano avere le armi perché non ne avevamo. Ci diede i soldi, che avevamo avuto attraverso il Soccorso rosso, con le sottoscrizioni dei cittadini che erano contro il fascismo, per acquistare delle pistole. Avemmo la possibilità di trovare due pistole calibro 6 e 35. Erano piccole pistole, però eravamo riforniti di qualcosa. Dopo la costituzione del gruppo la casa base era in via Ex tiro a segno, che era la casa di mio cognato, Maldini Rino, nell’essiccatoio di proprietà di Passerini. Lì c’era il laboratorio di falegnameria di mio cognato ed era la sede provvisoria del nostro gruppo. (...) La scuola ce la faceva Ricchi Werther e altri come Sirotti Stefano (...) La nostra era la zona del centro, il nostro distaccamento prese il nome di “distaccamento Centro” della 29a. brigata gap. Siamo partiti in sei e poi è arrivato a 40 elementi e arrivava alla via Vigne, alla Fiorita. Il centro era a Porta Fiume. (Luciano Rasi - dattiloscritto 1984) Un altro gruppo era quello di Luciano Rasi… Apo, loro… che anche loro operavano bene (…) Quindi la gioventù… era gente giovane. (Bruno Pagliacci – 1984) In seguito, nell’estate del ’44, il gruppo Centro arriverà a contare sino a 46 uomini, assumendo le dimensioni di un distaccamento. Comandante del Distaccamento Centro sarà Luciano Rasi e commissario politico Duilio D’Altri. [Com’era formato il distaccamento centro? Chi erano le persone che ne facevano parte?] Rasi Luciano comandante del distaccamento, D’Altri Duilio commissario di distaccamento, Casali Mario comandante di squadra, Abbondanza Fabio comandante di squadra, Castagnoli Mario comandante di squadra, Zandoli Mario, Zandoli Antonio, Pieri Aldo, Lucchi Pio, Maldini Rino, Rasi Giuseppina, staffetta, Casali Marisa, staffetta, Lucchi Sergio, Ceccaroni Roberto, Ceccaroni Dante, Turroni Giovanni, Vitali Secondo, Francia Africo, Valzania Tullio, Valzania Giuseppe, Mordenti Walter capo squadra, Mordente Isere, Rossi Ezio, Poeri Renato, Mancini Paolo, Manerba Edgardo, Pagliacci Bruno, Bargellini Peppino, Rossi Walter, Fabbri …, staffetta, Monti Dante, Cuni Mario, Rossi Romeo, Marani Giordano, Marani Ezio, Marchi Antonio, Scarpellini Duilio, Benini Francesco, Biondi Gino, Boschi Valeriano, Capovin Giordano Bruno, Casadei Roberto, Ceredi Walter, Mercuriali Gigliola, staffetta, Garaffoni Duilio, Lanzoni Roberto. (Luciano Rasi – dattiloscritto 1984) Il gruppo Gap di San Giorgio è composto da 5 uomini. Il comandante è [?] Venturi , [?] Barbieri il commissario politico. Il Nostro gruppo [di San Giorgio] era di 5 persone. Il capo gruppo era Venturi (Pippo) (…) poi c’era Barbieri, che era un secondo cugino di [Ernesto Barbieri], poi c’era Sirri Primo. (…) A marzo del 1944 ci fu lo sciopero all’Arrigoni. Noi eravamo di servizio (…) io ero col gruppo di Campana a servizio a Villa Calabra. Lì davanti che c’era il bar dei fascisti dove si prevedeva che partissero per una spedizione. Noi eravamo pronti che se partivano li facevamo fuori. Invece ognuno… Restammo lì fino mezzanotte sino a che proprio chiusero il bar. Nessuno partì. Nessuno… sentimmo proprio tutte le chiacchierate che facevano perché c’era una siepe che ci divideva noi e loro no? (Rino Belli – 1984) Il gruppo di Villa Chiaviche-Calabrina è comandato da Alvaro Campana, fratello di Pio e cugino di Berto Alberti (Battaglia) ( responsabile interprovinciale dell’organizzazione Gap, assieme ad Ilario Tabarri (Pietro Mauri), sino al 20 marzo 1944.) Commissario politico è Primo Fellini. Campana Alvaro, contadino della Calabrina, lo conoscevo perché è mio cugino (Berto Alberti 1984) [A Calabrina] Il comandante era Campana [Alvaro] io ero il commissario poi dopo c’era... cerano altre... un’altra decina di partigiani come Giorgini Dino, Giorgini Terzo, Candolfini [Attilio (?)]... Tanti altri che adesso non ricordo. Io ero militare. (...) Sono venuto a casa [dopo l’8 settembre]. Ero a Cesena però, al 12. reggimento fanteria. (...) [Le armi] ce le siamo procurare così, disarmando qualche fascista e anche... e anche delle volte... qualche tedesco. Mi sembra che una delle... perché abbiamo fatte diverse... diverse... anche azioni di posteggio per... per attentati per tentare di... di... di... il furgone dei fascisti che era allora... era chiamato... Battistini [Augusto] e Garaffoni [Guido] giravano sempre con un furgone e alora abbiam fatto diversi appostamenti. (...) non siamo mai riusciti a... [portare a termine nessuna imboscata]. [Noi operavamo] nella zona qui [di Calabrina]. Poi mi ricordo che siamo andati anche a Macerone e a Ponte... Ponte di Ruffio... quella zona lì (...). [Per fare le azioni] cercavamo il collegamento anche con altri gruppi. Ad esempio (...) Franciosi Scevola aveva un altro gruppo e ogni tanto ci collegavamo con lui. Ad esempio a casa mia una volta venne anche Luciano Lama, che portò delle armi che avevano asportato in un treno... in un treno abbandonato a Gambettola. E poi le portò a casa mia. E poi le nascondemmo. Scavammo un rifugio e le nascondemmo lì (...) eravamo tutti comunisti lì, anche se figli di [repubblicani]. (Primo Fellini 1984) Il gruppo di Ronta è comandato da Aldo (Lorenzo) Fusconi ( ), con lui sono Aldo Mellini (artificiere di tutto il battaglione Gap), Augusto Maraldi e Venanzio (Urbano) Fusconi ( ). Duilio (Alfredo), fratello di Aldo Fusconi, dirigente del partito comunista cesenate, pur collaborando attivamente con la resistenza, non fece mai parte dell’organizzazione armata. Il 12-13 novembre [1943] abbiamo formato il Gap. Io ero il responsabile dell’organizzazione del gruppo e il comandante era quello di Forlì [Luciano Caselli]. (...) Poi c’erano i Fusconi di Ronta, poi si formò il gruppo militare con Ricci [Fabio], i Fusconi... Io tenevo un collegamento per il cibo, eccetera. Di azioni militari non ne ho fatte. (Dino Giorgini - dattiloscritto 1983) Ricci [Fabio], era il comandante della Brigata qui. C’era Benini [Adriano], il segretario politico, il commissario politic[o]. Erano sempre qui. Perché Cesena, l’avevano abbandonata Cesena. Qui a Ronta come partigiani non eravamo molti. Io, c’era Mellini [Aldo], c’era Maraldi [Augusto], c’era mio fratello [Duilio (Alfredo) Fusconi] e c’erano quei ragazzetti che erano ancora piccoli, giovani e a far le azioni ancora non ci andavano. Avevano piacere di andarci ma io avevo paura, sempre, a impegnare questi giovani. Ci andavo io piuttosto che mandare un ragazzetto in giro. (...) Le staffette a Ronta ce ne avevamo 4 o 5. Una era la Manuzzi Peppina, che dopo poi è stata portata in Germania. La Buccelli Quinta... erano tre sorelle [Ester, Quinta e Vittoria Buccelli]. La figlia di Della Strada, [Clara Della Strada] che era poi la moglie di Ricci... era diventata. [A] Cesena da noi non c’era niente, era tutto spostato qui a Ronta. Tutto il comando era qui a Ronta. Ronta. Ba[gnile]... Il centro era Ronta. Qui da me e mio fratello e del resto [i responsabili del comando, che venivano da Cesena] erano... ne mandavamo uno a Bagnile, magari uno a Ronta [Prima], uno... così... [a] San Giorgio. Ma... tutto era svolto qui a Ronta [Seconda]. In principio giravo liberamente perché veramente facevo il fruttivendolo, avevo il motocarro e andavo su sempre con le armi. A portare le armi in brigata. Ero sempre io. (...) Ero aiutante in principio, che c’era un responsabile della montagna che mandava su la gente e io ero il suo... lo aiutavo... suo aiutante. E dopo lui venne che l’hanno preso. L’hanno portato dentro una notte, era di Settecrociari, (...) si chiama Enzo [Ezio Casadei] e allora l’hanno portato nella rocca [di Cesena] e poi siamo andati a liberarlo nella rocca (...) Dopo lui è andato su in brigata e allora io ho preso il suo posto ho preso. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) A Ronta c’erano i Fusconi, la casa dei Fusconi (…) guardi c’eran dei ragazzi che c’era proprio da.. da… non so…da ammirarli. Perché a quei tempi si trattava o fuori tu o fuori io e quindi si giocava… ci si giocava la vita. E anche a ospitare era pericolosissimo perché bastava un niente perché ti fucilassero. E la casa dei Fusconi (…) specialmente la mamma (…) io di questa famiglia… vorrei ricordare. E non posso ricordare tanti altri che non conosco il nome vero. Perché eran nomi di battaglia. Comunque a Ronta c’era un nucleo operativo… Guardi… con tanto di cappello (…) Quelli erano degli eroi nel vero senso della parola. Perché eran proprio bravi e facevano il loro mestiere che era quello di lottare contro il fascismo e lo facevano in una maniera proprio meravigliosa. (Bruno Pagliacci – 1984) Il quarto gruppo Gap, è probabilmente quello di San Vittore-Settecrociari, la cui zona si estende sino a Diegaro-Torre del Moro e ha per comandante Ermenegildo Strada. [Prima di essere arrestato, dopo il Natale ‘43, faceva già parte della 29a. Gap?] Sì, la zona fra San Vittore-Settecrociari. Il mio comandante era Strada Ermenegildo. Non ricordo chi fosse il commissario politico, non lo conoscevamo. Era meglio sapere il meno possibile dei comandanti (...) [avevate delle armi?] Sì. (Renato Bartolini - dattiloscritto 1984) L’8 settembre mi trovavo militare a Torre del Lago Puccini, in Toscana. [E’ stato facile tornare a Cesena?] Sì, è stato facile anche perché ero attendente con un capitano. L’ho accompagnato a Milano, lui. In borghese... ci siamo messi in borghese che lui mi diede i suoi vestiti e poi da Milano sono a tornato a Cesena. Ho fatto un pezzo di strada a piedi perché era stato bombardato a Bologna, e ‘lora ho dovuto sendere dopo Modena e ho ripreso il treno qui a San Lazzaro (…) sono tornato a casa l’11 e il 13 settembre [e] mi sono organizzato. Perché io sono stato avvicinato da questo vecchio compagno che era Molari Emilio e il primo incontro che ho avuto con uomini che tra l’altro non conoscevo è stato [con] l’onorevole Quinto Bucci, assieme al compagno Taris di San Vittore (…) erevamo un gruppo di 7-8, 12 persone. C’era Maraldi (…) Amedeo, Gasperini Adamo, mio fratello, i Morosi… Morosi Giuseppe e l’altro fratello (…) Questo Molari poi che era il nostro comandante, anche se era un uomo analfabeta, semianalfabeta. (Renato Gasperini – 1984) Da quanto affermato si può ipotizzare che nel gennaio/febbraio 1944 l’organizzazione Gap cesenate avesse grosso modo la seguente struttura: Comando: Luciano Caselli (comandante batt. ), Fabio Ricci (vicecomandante batt.), Adriano Benini (commissario politico batt.), Leopoldo Lucchi (vice commissario politico batt.). Distaccamento centro: Pio Campana (commissario), Werther Campori, Terzo Domeniconi, Giacomo Campana, Stefano Sirotti, Luciano Rasi, Mario Casali, Mario Castagnoli, Aldo Pieri, Pio Lucchi. Distaccamento San Giorgio: [Giuseppe(?)] Venturi (comandante), [?] Barbieri, Primo Sirri, Rino Belli. Distaccamento Villa Chiaviche-Calabrina: Campana Alvaro (comandante), Primo Fellini (commissario politico), Dino Giorgini, Terzo Giorgini, [Attilio (?)] Candolfini. Distaccamento Ronta: Aldo (Lorenzo) Fusconi (comandante), Aldo Mellini, Venanzio (Urbano) Fusconi, Augusto Maraldi. Distaccamento S. Vittore-Settecrociari -Diegaro- Torre del Moro: Ermenegildo Strada (comandante), Emilio Molari (commissario politico), Casadei Ezio, Renato Gasperini, Adamo Gasperini, Giuseppe Morosi, [?] Morosi. Il numero di uomini impegnati nell’organizzazione non concorda, per eccesso, con quello fornito dai comandanti della 29a. brigata, Italo Tabarri (Pietro Mauri) e Berto Alberti (Battaglia), che valutando la situazione dei Gap al gennaio-febbraio 1943, parlano entrambi, per Cesena, di una ventina di uomini. Tutti e due, molto probabilmente, quando parlano di gappisti fanno riferimento solo agli appartenenti ai gruppi di fuoco, gli unici, in questa prima fase, ad essere appellati come tali. L’organizzazione però, come si può intuire dalle testimonianze sopra citate, era più complessa. I gruppi di fuoco, anche nei primi tempi, erano comunque affiancati da altri, coinvolti nell’organizzazione militare a livelli diversi (es.: Giacomo Campana del gruppo centro, aveva solo il ruolo di staffetta, Dino Giorgini, di Calabrina, afferma di non aver mai partecipato ad azioni armate...) e saranno poi quelli che, nell’estate del ’44, verranno inquadrati nelle Sap. Pochissimi erano a conoscenza dei nomi dei veri gappisti e dato il segreto in cui tutto si svolgeva, ancora oggi, è difficile poter distinguere i compiti effettivi di ognuno. E’ poi da tenere presente, che a stretto contatto con l’organizzazione militare dei Gap, lavorava l’organizzazione politica del partito comunista, che in quel momento, a Cesena, aveva come dirigenti: Quinto Bucci, Oddino Montanari, Ernesto Barbieri, Duilio Fusconi, Werter Ricchi, Luigi Amaducci, Agostino Buda, Renato Capanna, Dante Pollarini, Adriano Benini (che è anche un quadro militare), Dino Giorgini (che è anche responsabile dell’organizzazione logistica della squadra di Ronta), ecc. Le due organizzazioni, almeno nelle intenzioni, erano separate e dovevano procedere parallele, ma questo non sempre succedeva, e i contatti, per lo scarso numero di uomini a diposizione, erano numerosi e frequenti. Nel periodo immediatamente successivo a questa fase iniziale nacquero i gruppi di San Tommaso, comandato da Guerrino Ridolfi e quello di Ponte Pietra. Ricordo che era freddo... in quel periodo incontrai Amaducci Luigi, che era stato in prigione a e all’estero e aveva già un’esperienza antifascista. Con lui ebbi i primi contatti; così iniziammo a organizzarci. Non ancora con formazioni militari ma politiche. Parlavamo coi giovani, cercavamo di far loro capire quali erano i problemi e come poterli risolvere. Quindi con questi contatti ci stavamo per organizzare, almeno a livello politico. (...) I Gap vennero formati dopo febbraio, ricordo che era freddo, c’era la neve, tornavamo a casa del contadino dove eravamo rifugiati, quasi sempre bagnati e dovevamo sempre cambiarci. Io curai l’organizzazione [nella zona di San Tommaso]. Il comandante era Ridolfi, maresciallo dei carabinieri. Oltre a Ridolfi Guerrino, c’erano i fratelli Marchi. I primi contatti furono con Ridolfi Primo, Augusto, Amedeo, cioè tutta la famiglia dei Ridolfi. Ridolfi Guerrino era il figlio. Ridolfi Alfio, Marchi Duilio, Enzo, Secondo, poi la sorella che ebbe l’incarico di staffetta, Baldini Mario e Giovanni, i Graffieti: Amedeo e Renato... Il responsabile politico era Antognacci Aristide... Quando avevo bisogno di dare informazioni o predisporre riunioni mi rivolgevo a lui che era il fratello più anziano degli Antognacci. (...) Con l’organizzazione eravamo a Sorrivoli, a Madonna dell’Olivo, a Carpineta, a Saiano. Poi iniziò l’organizzazione della zona rivierasca: Cesenatico, S. Mauro, Gatteo Mare, Gambettola, perché con il passare dei giorni l’organizzazione si allargava sempre di più. Io avevo il compito di organizzare anche quelle zone. (Scevola Franciosi - dattiloscritto - 1984) [Come ha fatto ad aderire alla resistenza?] Ho avuto il primo colloquio con Franciosi [Scevola]… [In quel momento dove abitava?] A Saiano, facevo il contadino… [Ho conosciuto] Franciosi… perché lui era sfollato lassù a San Tommaso e con lui c’era… uno di Ronta che si chiamava Strenga [Buccelli Enrico]. Lì ce n’era un altro che si chiamava Poggi [Guido] era di Cesena assieme con Franciosi... insomma eran tre quattro lassù, no? E quello che teneva il collegamento lì… Poi dopo abbiamo aderito alla resistenza (…) ero già venuto a casa io, l’8 settembre (…) ero in Croazia (…) Non mi ricordo il giorno [che sono arrivato a casa] dev’essere [stato] il 25-26 settembre [1943]. [E subito si è messo in contatto con Franciosi?] Sì. (…) Io lo conobbi Franciosi perché con lui c’era anche il zio di mia moglie Antognacci Bruno (…) e alora, per mezzo di Antognacci, venisse a casa mia Franciosi. Poi da quel momento lì si parte. L’antifascismo e… la resistenza. Dopo fui anche comandante, capo squadra, avevo dodici persone sotto di me. (…) Comandante del distaccamento era Ridolfi… Ridolfi Guerrino, era un maresciallo dei carabinieri e… poi il nipote di quei Ridolfi che hanno ucciso a San Tommaso (…) [C’era un commissario politico?] Sì… c’era Franciosi. (…) Noi abbiamo azionato qui: Saiano, Sorrivoli, Roncofreddo (…) come staffetta c’era anche mia moglie (…) allora… non era mia moglie (… ) Antognacci Giovanna. Poi c’era… ce n’era parecchi di San Tommaso. Però chi comandava lì era Franciosi… Franciosi… Antognacci Bruno (…) suo zio [della moglie]. Amo gli Antognancci eran tutti… per la resistenza… c’era Ridolfi e poi c’era … di San Tommaso ce n’era parecchi di partigiani. (Mario Baldini – 1983) … comandante della zona di San Tommaso era Ridolfi Guerrino, vice commissario di brigata era Franciosi Scevola. [Da quante persone era formato il vostro gruppo?] Non so il numero, ma ho conosciuto tre compagni: Scevola Franciosi, Antoniacci Bruno e Paolucci Renato. (…) Nel gruppo ci sono stato pochi giorni, non ero interessato a sapere il numero dei compagni [e nemmeno i nomi]. (Paolo Foschi – dattiloscritto 1984) Passarono 4-5 mesi [dall’8 settembre 1943], eravamo 5 o 6 amici, io ero il più grande, un giorno a uno di questi, eravamo in tabaccheria insieme, chiesi “Come ti vanno questi fascisti?” rispose “Li brucerei tutti…”. Però il fascismo si conosceva poco, ma avevo sentito di questi fascisti che non andavano bene. “Ti vuoi trovare con noi? Siamo un gruppetto e tutti contro il fascismo”. Mi propose e mi disse di trovarmi in una certa stradina alla sera ad una determinata ora, vicino a Ponte Pietra. (…) ci trovammo nel canneto, lui si chiamava Pompili Arrigo. C’era anche Amaducci Luigi che a Ponte Pietra era il capo (…) Quando ci organizzammo era lui che ci dava le istruzioni. (…) In questa riunione eravamo io, Pompili, Amaducci, uno che adesso fa l’autista di piazza, P… tutti di Ponte Pietra. E si parlava del fascismo, che non andava bene, ecc. C’era anche della gente che piano piano abbiamo allontanato da questo gruppo, perché parlavano un po’ troppo e volevano fare di testa loro. [Questo era il Gap?] Sì, ma ancora le azioni non si facevano. (…) Fu Luigi [Amaducci] a dirmi di andare lì che c’erano dei compagni, il contadino si chiamava Zani (…) Da lì partivano le azioni, eravamo collegati con Case Frini, poi venivano altri, Luciano [Caselli] ha fatto delle riunioni, con noi c’era Capanna [Renato]… un capo politico, ci faceva propaganda per il PCI. C’erano staffette, donne e uomini… i nomi li ricordo poco, ce n’era un altro che prendeva gli ordini, Maldini Bruno. Era capogruppo. Ci si consigliava fra di noi. Eravamo sempre in due a fare le azioni, io e Maldini, poi c’era uno di Trieste, era un ragazzino (…) Lo trovai già lì e non so chi l’abbia mandato, aveva 18 anni circa. Passato il fronte non l’ho più visto. Sono arrivato lì che c’era qualche fucile, una o due pistole. Man mano che si andava avanti prendevamo pistole ai fascisti, qualche fucile ai tedeschi… e così rimediammo un po’ di armi, che poi avevamo nascosto. Noi due sapevamo dove erano le armi. [Quando avete fatto la prima azione?] In estate fu. Portavo i calzoni corti e le ciabatte di legno… la prima azione… un mio amico mi disse che c’era un fascista giù per la strada con una ragazza che amoreggiavano… allora io e il mio amico passammo di lì, puntammo contro le pistole e gli portammo via la pistola. Eravamo giovani, non avevamo mai sparato. Lì c’era anche da sparare! La prima volta si temeva un po’, in seguito si andava più tranquilli. Ci si faceva coraggio perché eravamo giovani e non si pensava a tante cose! (Sereno Gasperoni – 1983) L’organizzazione militare di pianura ebbe un incremento, a partire dalla fine di febbraio, grazie alla pubblicazione dei bandi che comminavano la pena di morte per i renitenti alla leva. Molti giovani, che fino a quel momento avevano scelto la latitanza presero posizione e chiesero di entrare a far parte dei Gap. A fine marzo, in tutta la provincia di Forlì, l’organizzazione poteva contare all’incirca su duecento aderenti. Benché al 20 marzo non si conoscesse ancora il numero preciso dei GAP dato il periodo di continua riorganizzazione, si poteva contare però un duecento elementi attivi per tutta la provincia e la possibilità di un rapido sviluppo. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) Poi si costituirono altri gruppi, cioè noi decidemmo di organizzare il battaglione, quello che dopo diventò il battaglione... allora i primi gruppi li costituimmo nella zona della bassa cesenate, cioè nella zona di Calabrina, Gattolino, Ronta, Bagnile. Quelle zone lì furono le prime zone dove noi... Attraverso l’organizzazione di partito ci venivano preparate delle riunione di giovani di compagni che avevano manifestato l’intenzione di aderire al movimento armato, cioè alla guerra di liberazione. Quindi noi andavamo, facevamo le riunioni, li organizzavamo. Piano piano arrivavano le armi, venivano mandate le armi... insomma, venivano armati, organizzati e poi portati all’azione ecco! (Leopoldo Lucchi - 1984 In marzo, nella zona di Martorano-Calabrina-Gattolino, cominciò ad organizzarsi un gruppo partigiano composto esclusivamente da repubblicani, al comando di Francesco Montanari (comandante) e di Oddo Biasimi (vicecomandante). Il gruppo, in seguito, per sottolineare la propria diversità si autodefinì “brigata Mazzini” ma, in effetti, non fu mai autonomo e fece sempre parte integrante della 29a. brigata Gap. La nostra attività ebbe inizio fin dall’8 settembre, poiché approfittando dello sfasciamento dell’esercito, credemmo opportuno raccogliere e impadronirci di una notevole quantità di munizioni e di armi, leggere ed automatiche, con la certezza che avrebbero servito alla nostra causa. Questo deposto di armi, accuratamente custodito, costituiva l’unico deposito del partito repubblicano di Cesena. Durante l’inverno abbiamo aiutato e dato ospitalità a ricercati politici non del luogo, a prigionieri evasi o renitenti (...) Poi, quando in febbraio si decise la formazione del nostro G.A.P. e nei primi giorni di marzo, dopo gli abboccamenti fra TONINO MANUZZI e FRANCESCO MONTANARI sul luogo e al momento di agire, conforme alle decisioni prese, iniziammo una nuova raccolta di armi per rafforzare il nostro deposito ed avvicinare i giovani, onde prepararli a non rispondere alla chiamata alle armi del Governo fascista, oppure dare suggerimenti a chi, per qualche altro motivo, era opportuno si presentasse, o a chi aveva modo di entrare a far parte della O.[rganizzazione] T.[ODT] poiché anche da questi luoghi si poteva servire la nostra causa, dando informazioni alle nostre formazioni gapiste per recupero di armi, ecc. Durante il mese di marzo, la nostra attività si svolse e si mantenne sulla linea già esposta, soccorrendo renitenti e disertori, materialmente e anche moralmente, consigliandoli e preparandoli ad affrontare i futuri sacrifici per la nostra causa. Col mese di aprile si intensificarono le ricerche dei numerosi renitenti della nostra zona, costringendoci a svolgere la nostra attività con maggiori precauzioni, ma non a scemarle. Essendo stato incaricato dal Comitato di Liberazione nazionale di Cesena a mantenere il collegamento coi centri di tutta la Romagna, il 10 aprile si effettuò il trasporto in bicicletta da Cesena a Bagnacavallo del materiale per la stampa di un giornale clandestino, ed anche questa difficile e pericolosa spedizione riuscì perfetta. La nostra attività continuò anche nei giorni seguenti sebbene fosse continua la sorveglianza fascista che culminò nel tristemente famoso rastrellamento del 29 Aprile. (...) I nostri gapisti, dopo questa sanguinaria ondata di terrore e dopo l’arresto del fratello FELLINI [Ubaldo], esponente del nostro gruppo, rimasero alquanto sconcertati e avviliti, ma non si piegarono e dopo poco, con accresciuto ardore ripresero la loro attività. (Da: Attività militare del G.A.P. di Martorano – ISRFC ANPI Cesena) L’organizzazione della Brigata Partigiana “G. Mazzini” fu iniziata verso i primi del mese di marzo 1944 dagli ufficiali MONTANARI FRANCESCO, BIASINI ODDO, ABBONDANZA OSVALDO, SPINELLI SILVANO e dal SERGENTE TURCI ANTONIO, ad iniziativa ed alla dipendenza del Partito repubblicano Italiano ed in diretta collaborazione con il Partito Comunista. L’organizzazione comprese ben presto un centinaio di uomini, i quali iniziarono la loro attività con atti di sabotaggio, azioni di disarmo, recupero di materiale bellico, assistenza ai disertori tedeschi o a militari alleati, e la raccolta di notizie di carattere militare che poi venivano trasmesse dalla radio clandestina, che trovatasi nei pressi di Faenza, diretta dal prof. NERI VIRGILIO. (Da : Distaccamento partigiano – Brigata “G. Mazzini”- ISRFC ANPI Cesena) [Hai mai conosciuto i componenti del gruppo “Mazzini”?] Ho avuto un contatto col comandante Montanari [Francesco], [con] il quale, attraverso il comando militare, ci [si] procurò un incontro che avvenne vicino alla centrale elettrica di Molino Cento verso la fine di giugno. In quell’incontro dovevamo decidere un’azione congiunta fra il mio distaccamento e il suo gruppo per incendiare un deposito di fusti di benzina che avevano vicino alla casa del contadino della centrale elettrica. Stabilimmo di aggiornare il piano il giorno dopo. Il giorno dopo andai sul posto senza la presenza di Montanari per cui l’azione non si poté fare perché il giorno successivo i tedeschi si spostarono e portarono via tutti i fusti di benzina. (Luciano Rasi – dattiloscritto 1984) … Mentre invece non concordo con mio cognato che mette in rilievo i repubblicani. I repubblicani non han fatto niente. Io andai a Ronta, per appunto, dovevo riscuotere delle armi da sti repubblicani. A Ronta seconda [no, a Martorano] che c’era Sbrighi Otello (…) c’erano sti repubblicani erano dodici o tredici e tutte ste armi consistevano in una pistola a tamburo a sei colpi e l’era tot a lè. Non han fatto niente. (…) una brigata Mazzini è semplicemente ridicola (…) non è vero niente. I cattolici poi addirittura inesistenti, specialmente nell’ambiente giovanile non esistevano. Si sapeva… si seppe solo dopo la lotta di liberazione che il maestro Montalti [Giulio] era antifascista. L’unico. Che poi risultava che partecipava realmente al Comitato di liberazione e si sapeva di Manuzzi Antonio. Anche lui che partecipava a questo qui. (Bruno Pagliacci – 1984) [Poco prima della liberazione di Cesena] … arrivammo vicino a Montecodruzzo-Ciola e lì incontrammo il distaccamento, che dopo hanno chiamato un po’ pomposamente “brigata Mazzini”, dei repubblicani, dove c’era il comandante Montanari [Francesco] (…) era un gruppetto di 7-8 che tenevano armi nascoste. (Giorgio Ceredi – dattiloscritto 1984) Ora ti devo mettere al corrente di una cosa: questi signori del servizio radio-trasmittente [Radio Zella, la missione Ori di Faenza,] avevano diffuso la voce fra certi amici repubblicani di Cesena che il lancio di Rivoschio sarebbe stato per la pianura, e avevano fatto dei piani rocamboleschi di suddivisione delle armi, secondo i quali queste dovevano essere ripartite fra i nostri gappisti e quelli repubblicani. Perché tu comprenda devi sapere che a Cesena vi è un certo numero di giovani inquadrati da un repubblicano, un certo Cincino [Francesco] Montanari, che hanno anche partecipato ad alcune azioni; come lancio di chiodi sulla via Emilia. Abbiamo avuto l’altro giorno uno scambio di idee e io ho spiegato che non esistono GAP comunisti e GAP repubblicani, ma che i combattenti per la liberazione nazionale sono inquadrati in formazioni militari uniche senza distinzione di partito. Questo qui, è d’accordo, anzi si considera come facente parte della nostra brigata GAP. Sappiamo che è anche molto amico di Ricci [Fabio] il nostro responsabile di Cesena, e che lavorano in collaborazione. Questa ragione ci ha indotti a considerare la cosa sotto un aspetto un po’ più accomodante, e tenendo conto che se io avessi presa una posizione intransigente forse avrebbe pregiudicato definitivamente il lancio. Così siamo rimasti d’accordo che le armi saranno ripartite a metà fra la brigata di montagna e quella della pianura. Per questa ultima poi la ripartizione spetta al comando, cosa che ci permette di avere noi il controllo. (Dalla lettera dell’Ufficiale di collegamento del CUMER, Renzo (Primo Dellacava) al comandante dell’8.a. brigata, Pietro Mauri (Ilario Tabarri). 24 luglio 1944. In L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza. Forlì. - Milano : La Pietra, 1981) La separazione dell’organizzazione militare da quella politica, come era nei progetti del comandante Ilario Tabarri (Pietro Mauri) non si riuscì mai ad ottenere, né si poterono mai superare i problemi che questa commistione comportava. ... l’organizzazione militare non si riesce a staccarla completamente da quella politica (le piccole località di campagna sono un forte impedimento) e questa porterà localmente la sua influenza opportunistica sugli elementi militari in modo da tener lontano dal proprio paesello il pericolo di repressioni. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) E quèl militer l’era sol che… U n’ era di quél distint cum i po’ l’es in tempo normale. [Chi era politico] era l’uno e l’altro. (Otello Sbrighi – 1998) In un primo tempo fu la carenza di uomini che impose all’organizzazione militare di pianura di occuparsi di tutta un serie di incombenze, a supporto della brigata che operava in montagna. Attività che non potevano essere svolte efficacemente senza un forte coinvolgimento dell’organizzazione politica: la raccolta di fondi, viveri e armi, il trasporto degli uomini e dei materiali, ecc. In seguito accadde il contrario e fu proprio l’aumento delle adesioni che rese impossibile, all’organizzazione militare, il non tenere in debito conto le esigenze delle popolazioni. ... [l’] invio di uomini, armi e rifornimenti era fatto dal GAP non avendo un apparato indipendente per la montagna. (Dal Rapporto generale sull’attività militare in Romagna fino al 15 maggio 1944 di Ilario Tabarri (Pietro Mauri) In: L’8.a brigata Garibaldi nella resistenza / Istituto storico provinciale della resistenza Forlì. – Milano : La Pietra, 1981) ... il mio lavoro fu quello di organizzare il partito [comunista] quindi la resistenza (...) il lavoro era politico e organizzativo. Vi era l’aspetto politico che io ero comunista [e] vi era l’aspetto militare. (...) io... il mio lavoro... mi allargai in questo senso, perché c’era da organizzare il partito e c’era da organizzare la lotta contro i tedeschi, perché siamo già avanti. C’è già l’occupazione tedesca. Alla fine di ottobre c’è già l’occupazione tedesca (...) però noi avevamo bisogno di trovare dove mandare tutto il materiale che ci... le armi requisite nelle caserme. Vedi per esempio il deposito che vi era a Borello. Avevan fatto un centro a Piavola, avevan fatto... Le vie per mandare compagni già conosciuti che non potevano più vivere qui perché braccati dalla polizia. I repubblichini, la banda di Garaffon[i], conosceva i vecchi compagni che già... con le schede... che eran stati al confino in prigione... (...) anche e soprattutto i giovani che eran stati richiamati dalla repubblichina, che gran parte vennero in montagna e non nella repubblichina. Bisognava aiutare a organizzare. Cioè bisognava organizzare la lotta armata. (...) Allora prendemmo contatto con questi compagni... Casadei Ezio... che aprimmo la strada che faceva con i compagni... [Pietro] Reali (...) e suo fratello [Ferdinado Reali (Mario Ferri)]... una via... loro abitavano a Sogliano, a Montetiffi, una via che da Santarcangelo, per gli antifascisti di Rimini e Santarcanglo... che andavano su a Sogliano, poi giù a Santa Maria e da Santa Maria a Monteiottone. A Monteiottone avevamo un punto dove c’era [Giovanni Caselli (Gianni)] (...) il fratello di Caselli [Luciano] che da lì li portava a Pieve di Rivoschio. (...) Un altra via fu quella della Rigossa, qui sotto Longiano (...) con (...) un compagno di... di Montiano che faceva la staffetta che accompagna su chi portava su le armi e gli uomini che dovevano andare da Sogliano a Monteiottone e quindi a Pieve di Rivoschio. Ma non solo aprimmo queste [vie]... ma prendemmo contatto con i compagni di Cesenatico per allargare... A Cesenatico Ghezzi [Spartaco] il padre del giocatore [Giorgio Grezzi], poi c’era Gusella Leopoldo (...) e Taparin, Tabarin, Battistini che era un contadino il quale mi diede anche il rifugio. Perché io da novembre non avevo più un posto dove dormire. Poi prendemmo contatto con Sogliano, Rontagnano... A Rontagnano, a lì, c’era un compagno che era Pantani (...) un vecchio antifascista che da Rontagnano andava a Mercato Saraceno e portava su i compagni. Era un altro punto di riferimento. Poi un altro punto molto importante l’avevamo a Gambettola a casa di Zoffoli [Antonio] (...) Lì era un centro non soltanto di coordinamento ma manteneva anche il contatto con le Marche, la Romagna... le staffette che venivano da Bologna e andavano giù. In questi posti io rimasi nascosto quasi due mesi da Zoffoli a Gambettola. Rimasi giù un mese a Cesenatico da Taparin. Rimasi un circa un venti giorni da Rumlin [Romolo Ceccarelli] (...) alla Rigossa, sotto Longiano. Questa era un po’ i contatti, la rete, che avevamo per organizzare un po’ sia la resistenza qui, ma anche l’invio, di materiali, armi, scarpe, viveri, vedi per esempio la marmellata dell’Arrigoni che andava su in brigata. (Berto Alberti - 1984) E’ soprattutto dopo il rastrellamento della pianura cesenate, del 28 e 29 aprile 1944, che sarà posto con forza dagli “opportunisti” dell’organizzazione politica, il problema di non esporre le popolazioni a inutili rappresaglie e quindi, in definitiva, di non toccare i tedeschi e selezionare accuratamente gli altri obiettivi. Gli stessi gappisti più responsabili, residenti nelle varie zone d’operazioni, si fecero essi stessi portavoce di tali esigenze. U j è un a que. Un ch’l’è stè in muntagna cun me. A là. E vniva zó un tedesch, che l’era un colonel. E’ geva “Dio bono! Andem a là. Che me a j e’ tureb che mitra!” “Va là” degh “lasa andè ch’a piantema un quarantot!” degh. L’aveva una murosa (...) a là, l’andeva a fè l’amor e l’aveva e mitra sempra dria. E lo u s’era mes int la testa “A toi e’ mitra ad che porch!” (...) su i caza una sciupteda mo dop i bruseva inquel. Tra che Rvarsen u s’ è salvè par mirecul! (Guido Pio Bartolini 1998) In seguito, sarà il CLN, a fare propria questa posizione. Il comando militare invece, per la sua natura e perché sino all’ultimo in mano al partito comunista (che sosteneva la necessità di colpire duramente anche i tedeschi, perché solo una lotta efficace contro gli invasori sarebbe poi stata valutata positivamente dai nostri alleati) restò ancora per diverso tempo fermo sulle sue posizioni iniziali e i suoi ordini in proposito, a quanto sembra, rimasero poco chiari e se chiari, comunque, largamente disattesi. Questa quasi identità fra popolazione e partigiani, se da una parte permetteva all’organizzazione GAP di sferrare i colpi più audaci con sicurezza, dall’altra, in un primo periodo, creò delle difficoltà all’applicazione della linea politica del Partito [comunista], che orientava il movimento gapista a colpire soprattutto i tedeschi. La difficoltà era data dal fatto che colpire i tedeschi significava provocare la loro reazione e rappresaglia, e per un movimento partigiano che operava prevalentemente nei luoghi ove risiedeva, ciò significava esporre i propri familiari. Di qui le comprensibili resistenze. (Da: Testimonianza su venti anni di milizia comunista : 1925-1945 / Berto Alberti (Battaglia). – Forlì : Forlì : Ed. della federazione forlivese del PCI, 1975) ... i tedeschi da noi non furono attaccati Cera un ordine tassativo del comando per evitare le stragi di popolazione inerme... (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) [Preferivate colpire il tedesco o il fascista?] Delle grandi discussioni non ne facevamo, quando si organizzava un’azione non è che si pensasse… [Non pensavate ai pericoli che correva la popolazione?] Era un problema molto discusso perché dove organizzavamo degli attentati si temeva la reazione tedesca soprattutto, ma anche fascista e fu motivo di largo dibattito nelle formazioni. Naturalmente, anche per le indicazioni che ci venivano dal CLN le azioni armate dovevano continuare, cercando il più possibile di evitare rappresaglie ed eccidi. (Scevola Franciosi – dattiloscritto 1984) In quei momenti bisognava stare attenti nelle organizzazioni. Avevamo assegnato il territorio, perché se preparavamo un’azione, eravamo tutti consapevoli che veniva questo e poi quello e non si poteva andare in una zona a fare un’azione e i compagni poi non erano a conoscenza, non erano preparati, non erano attenti per i rastrellamenti. La guerra di liberazione è una cosa ben precisa, con degli ordini precisi e c’era serietà e autorità. Il comandante era il comandante, si scherzava poco, chi sbagliava poteva anche pagare con la vita, bisognava stare attenti che l’errore non fosse enorme perché c’era poco da scherzare. Si metteva a repentaglio la vita di molti uomini, si mettevano a repentaglio i civili. La grande tragedia dei civili: noi eravamo in una zona che se avessimo voluto avremmo ammazzato migliaia e migliaia di tedeschi, perché loro passavano dalla strada e poi, attaccarli dalla campagna, noi eravamo contadini, mezzi selvatici, era facilissimo attaccare le colonne, ma la tragedia era la rappresaglia. Dopo, il comandante diceva di non attaccare assolutamente. Quando invece c’era da attaccare, i comandanti e i commissari studiavano il problema perché c’era il fatto delle rappresaglie. Quindi bisognava valutare bene. (Alvaro Piraccini - dattiloscritto 1984) L’ambiguità sulla questione era tale che i pochi attacchi ai soldati tedeschi fatti nella nostra zona, soprattutto nell’estate del ‘44, quando l’arrivo degli alleati sembrava imminente, neppure oggi si riescono a ricondurre ad ordini precisi, ma, al contrario, tutti vengono attribuiti a schegge impazzite dell’organizzazione o a fatti casuali. [Il gruppo poteva avere delle iniziative proprie?] Ci sono stati gruppi che l’hanno fatto, non credo nella bassa cesenate, ma in altre zone e in altre situazioni dei gruppi hanno agito per conto loro, soprattutto certi individui, sbagliando, agivano di propria iniziativa, portando un danno spesso notevole alla guerra partigiana nel suo complesso. (Libero Evangelista – 1983) Sembra, comunque, che vi siano stati ordini precisi del comando della 29. Gap, in cui veniva disposto che i corpi dei soldati tedeschi uccisi dovevano essere immediatamente sepolti o comunque fatti scomparire, per non lasciare tracce e quindi evitare rappresaglie. Da ciò, si può anche dedurre, che furono uccisi molti più tedeschi di quanto oggi sia possibile accertare. I partigiani, nella loro guerriglia, riuscirono ad eliminare alcuni tedeschi, e perché non venissero trovate le salme pensarono bene di farle scomparire. Come si sa, per ogni tedesco ucciso venivano fucilati dieci civili del luogo per rappresaglia. Dal bivio di Macerone, ove era una celletta, giù per la strada per Capannaguzzo, c’era il macero del colono Rocchi, detto Ser; per la canapa e il grande pozzo per l’acqua. Ebbene i tedeschi uccisi venivano qui gettati. (Da: Memorie di Bagnarola / Lazzaro Rossi – dattiloscritto 1989) Io confermo il fatto, che ricordo che durante… quando è passato il Canale Emiliano-Romagnolo, in via Rovescio hanno trovato un… uno morto vestito da militare… casualmente. Era lì vicino al ciglio della strada. L’han trovato nello scavo (…) questo era sepolto a un metro e mezzo. Altrimenti non l’avrebbero mai trovato perché anche con l’aratro, lì, non ci arrivava nessuno. (Giancarlo Brighi - Incontro al Quartiere Cervese Nord del 24/04/2003) Io ero in un posto dove c’era Sozzi [Sigfrido], Bucci [Quinto], Benini [Adriano] ed altri... quindi dicevano… “State attenti…” (…) il problema di far fori i tedeschi… J è stè fat fora ma, dicevano “Con intelligenza… che non se ne accorga nessuno…” Quindi t’ a i ciapita e t’ a i spliva… parché ‘sa vlita fè? No? Era così… quando riuscivi a prenderli… come è successo che so… nella zona di San Martino o altre zone qui. Quand i à ciapé i n’ gn’ à truvè piò nisun. Certo che, nella maniera come han fatto lì [a Bagnile] in un’aia, andei a mazè ‘csé l’è da scioch! Però i tedeschi quando li prendevi u ngn’ era gnint da fè. Eran più i tedeschi che prendevi che i fascisti. Eravamo in dei posti che si poteva fare. Poi la zona verso Sarsina ecc. dove ci son stati dei combattimenti nei mesi di luglio, agosto settembre... che una volta ne son morti 17-18 dei tedeschi. Non si è detto neanche dopo dove si seppellivano. Mo j i spliva. Era così. Purtroppo la guerra… Quando ci si pensa adesso (…) uccidersi così è inconcepibile. Ma o te o me non c’era gnente da fare. (…) Di tedeschi ne son stati fatti fori molti. (Dino Amadori - Incontro al Quartiere Cervese nord del 24/04/2003) Alla fine dell’estate però, probabilmente dopo le dure repressioni causate dall’uccisione di alcuni tedeschi, il Comando della 29a. Gap, pur salvaguardando l’autonomia di azione dei singoli nuclei, emanò l’ordine tassativo di non sparare più sui fascisti e tanto meno sui tedeschi di propria iniziativa, se non per legittima difesa. Noi avevamo l’ordine dai comandi di qualsiasi brigata di non sparare su nessuno all’infuori di una legittima difesa di sopravvivenza. Perché, troppo comodo... noi che erevamo così in tutte le vie i boschetti e gli angoli ammazzare un fascista era come mangiare una ciliegia su un frutto. Ma questo non si poteva fare perché dopo se si ammazzava un fascista ne ammazzavano dieci, quindici... era una cosa assolutamente vietata dai comandi della brigata. Su in montagna, della Gap, della Sap, di tutto. (Primo Pasolini - 2001)