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Untitled - Rizzoli Libri
STEFANO LIVADIOTTI LADRI gLI EVASORI E I pOLITIcI chE LI pROTEggONO BOMPIANI Editing: Perroni&Morli Studio ISBN 978-88-452-7556-2 © 2014 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano Prima edizione Bompiani febbraio 2014 a Luca UNA STORIA DAVVERO ESEMPLARE “Come sarebbe a dire che mi arrestate? In Italia si può pure finire in galera per un po’ di evasione fiscale? Cioè, fatemi capire: io finisco dietro le sbarre per una cosa così?” Sono le 7.30 del mattino di giovedì 3 ottobre 2013 quando Fausto Mencancini, sedicente imprenditore, romano, classe 1959, si chiude alle spalle la porta del lussuosissimo attico da 500 metri quadrati, con tanto di piscina sulla terrazza, che ha ricavato dalla fusione di quattro appartamenti in un elegante comprensorio alla Bufalotta, nella periferia capitolina. Ad attenderlo sulle scale ci sono sei uomini in borghese. Sono uomini del Nucleo operativo verifiche del primo gruppo della guardia di finanza di Roma. Gli stessi che pochi giorni prima hanno organizzato un finto posto di blocco proprio sotto casa sua, per identificarlo – e fotografarlo di nascosto – a bordo di una delle adorate Ferrari: ne ha due, tutte intestate a società in cui lui non compare come socio né come amministratore. Le Fiamme gialle sono lì da ore in paziente attesa: si sono fatte aprire all’alba dal portiere del Residence Michelangelo per portare a termine l’Operazione Skyfall. L’uomo viene ricondotto in casa, dove inizia una minuziosa perquisizione, che va avanti per ore: ci sono da ispe7 zionare trenta locali. Lui è sotto shock. Per i primi venti minuti non dice una sola parola. Poi, mentre i finanzieri rovistano ovunque e la domestica prepara il caffè per tutti, si fa coraggio. Si rifiuta di consegnare le chiavi dei box dove sono custodite le sue macchine. Dice che sono di proprietà di aziende di suoi amici e conoscenti e quindi invita i finanzieri a chiedere ai loro amministratori. Gli uomini in grigio decidono di andare per le vie brevi e chiamano i vigili del fuoco, che aprono i garage come fossero scatole di sardine. Intanto, mentre gli investigatori finiscono di stipare nei loro scatoloni le carte sequestrate, Mencancini inizia a fare il bagaglio. E lo infila in un trolley di Louis Vuitton, come se stesse partendo per passare il weekend in un relais & chateaux con una delle tante giovani donne ritratte nelle fotografie sparse per l’immensa casa. Dentro, tra il pigiama e le pantofole, cerca di infilare anche un rotolo da 5000 euro di banconote, per rendersi meno dura la vita dietro le sbarre. Ma quelli delle Fiamme gialle sono irremovibili. Così come quando Mencancini, prima di partire per andare in caserma e da lì al carcere di Regina Coeli, prova a impietosirli: “Se esco circondato da voi e con la borsa in mano tutto il vicinato capirà cosa sta succedendo. Vi giuro che non provo a scappare: fatemi camminare solo qualche passo avanti e qualcuno, per favore, si trascini appresso il mio trolley.” Richiesta ovviamente respinta al mittente. Che ottiene invece il favore di viaggiare a sirena spenta. Alto, brizzolato, abiti sportivi e griffati, vanitosissimo (per le foto segnaletiche in carcere si è messo in posa e poi ha chiesto di poter vedere come fossero venute), Mencancini è un ladro di tasse. In quattro anni ha rubato al fisco, e quindi a tutti noi, 93 milioni e 870 mila euro, tra Iva e impo8 ste dirette. Ma ritiene che il suo sia un peccato veniale. E, soprattutto, è assolutamente certo della propria impunità. Sa bene che la guardia di finanza gli sta addosso da tempo, ma proprio non se ne cura. Qualche mese prima, il 25 marzo, l’hanno convocato per la seconda volta al comando provinciale, dove si è presentato con il suo commercialista. Gli uomini in grigio gli hanno contestato mancati versamenti Iva per quasi 25 milioni. Lui ha fatto spallucce. Nelle due società coinvolte, la Mr Trade (sospettata di non aver versato 5,5 milioni di euro) e la Mgk (19 milioni tondi), non figura in alcun modo. E poi: è vero che con l’Imposta sul valore aggiunto sopra i 50 mila euro scatta l’illecito penale, ma la pena è compresa tra i sei mesi e i tre anni. Vuol dire che un incensurato non finisce in gattabuia. E lui tale è: ha una denuncia per clonazione di carte di credito e un’altra per fallimento, ma nessuna condanna. Così, è uscito tranquillo dalla caserma di via Nomentana. Tanto da decidere di farsi un regalo: la mattina dopo è andato alla Samocar, la più famosa concessionaria di auto di lusso di Roma, di cui è affezionato cliente, e ha aggiunto alla sua collezione di macchine una Ferrari Testarossa dei primi anni Novanta. Un’auto d’epoca. Lungo il tragitto verso il carcere, il capo del gruppo dei finanzieri, il tenente colonnello Pasquale Arena, non resiste alla curiosità: chiede all’uomo come possa essergli venuto in mente di fare un acquisto simile il giorno dopo un interrogatorio in caserma. Lui quasi cade dalle nuvole: “Ma era una macchina vecchia, roba da 200 mila euro”. Il finanziere scuote il capo. Per lui è la conferma che la lotta all’evasione in Italia è un’impresa titanica. Quella di Mencancini, che dopo aver fatto presentare inutilmente un’istanza per il riesame e una di scarcerazione 9 si avvierebbe a patteggiare, è una storia esemplare. Il meccanismo attraverso cui ha evaso è noto tra gli addetti ai lavori come “frode carosello”: lui comprava la merce all’estero (televisori, cellulari, iPhone, iPad) in paesi dell’Unione europea (Francia, Austria, Portogallo, San Marino) senza pagare l’Iva, come la legge gli consente. Poi la rivendeva a grossisti e dettaglianti in Italia, incassando da loro l’Imposta sul valore aggiunto e guardandosi bene dal girarla, come avrebbe dovuto, al fisco. In questo modo riusciva a tenere bassi i prezzi e a conquistare sempre nuovi clienti: finora ne sono stati scovati 500, alcuni dei quali rischiano di passare un guaio, almeno se si dimostrerà che erano consapevoli del meccanismo truffaldino che consentiva loro di fare buoni affari comprando la merce a prezzi particolarmente convenienti. L’azzimato furbetto della Bufalotta agiva attraverso un giro di aziende (finora ne sono saltate fuori sei: Mr Trade, Mgk, Emmebì, Medmar, Finelcom, Mgr), alla cui testa metteva dei prestanome, regolarmente stipendiati con cifre variabili tra i 1000 e i 2000 euro al mese e oggi tutti indagati a piede libero per concorso in bancarotta fraudolenta e frode fiscale: tre rumeni (due dei quali donne), un tarantino, un romano (nel frattempo morto) e una giovane sarda, che poi verrà identificata come la sua possibile fidanzata in carica. Quando il debito di una società verso il fisco cominciava ad avvicinarsi ai 10 milioni, Mencancini la svuotava di tutti i suoi beni, li trasferiva in un’altra e la faceva fallire. Lasciando con un palmo di naso l’erario e i fornitori. E con il cerino in mano il finto amministratore. A rompere il giocattolo è stata una segnalazione della polizia fiscale austriaca. Riguardava l’acquisto di una gros10 sa partita di materiale tecnologico da parte di una piccola azienda italiana. Le Fiamme gialle hanno fatto girare Intrastat, la banca dati sugli scambi tra gli operatori nazionali e i paesi dell’Unione europea, scoprendo che la società si dava molto da fare. Così è scattata l’indagine. La testa di legno messa alla guida dell’azienda, interrogata, ha mostrato di non saperne praticamente nulla. La banca presso cui operava ha spiegato che il conto era stato aperto dal prestanome e da Mencancini, insieme e a doppia firma. Ma che poi allo sportello si era presentato sempre e solo il secondo. I clienti, rintracciati attraverso le fatture, che in qualche caso venivano pure emesse, hanno confermato di aver trattato unicamente con il sedicente imprenditore romano. E così, piano piano il cerchio si è chiuso. Anche se forse non ancora definitivamente, se è vero che dopo l’arresto la guardia di finanza ha scovato un capannone, riconducibile a Mencancini, dove erano custoditi 400 televisori ad alta tecnologia Samsung da 1000 euro l’uno. Con le frodi carosello il commerciante ladro guadagnava quattrini a palate. Poca roba è stata trovata su conti aperti presso banche italiane, usati per le spese ordinarie. Il grosso ha preso il volo. Nella reggia della Bufalotta gli investigatori hanno trovato carte che dimostrano l’esistenza di almeno tre conti all’estero. All’“Espresso” risulta con certezza che di recente l’uomo aveva varcato almeno quattro volte il confine con la Svizzera. Due più due fa quattro. Sul piano formale, Mencancini era praticamente un nullatenente. I beni, a partire dall’attico, erano tutti intestati alle società. La Sea Blu, per esempio, era la proprietaria di un parco-auto da fare invidia a uno sceicco: una Ferrari F12, la Testarossa (Mencancini, provetto pilota e appassionato di 11 gare, aveva una vera passione per le vetture di Maranello: ne aveva comprate cinque tra il 2009 e il 2013), tre Mercedes (una grossa S 350 Bluetec nuova di zecca, una C 220 e una A 160), una Fiat 500 Abarth per gli spostamenti in città e una Clio per la tata che si occupava dei due figli piccoli. Aveva invece da poco venduto una Maserati Granturismo e due Porsche 911 Carrera. Così come alle società erano intestate le barche. Il re dell’evasione all’amatriciana si era rifiutato di dire dove fossero, ma le Fiamme gialle le hanno scovate in meno di ventiquattr’ore. A Olbia era ormeggiato lo Skyfall, un 26 metri da 4,5 milioni di euro con due motori da 1790 cavalli l’uno, capaci di consumare 600 litri di carburante l’ora, che veniva affittato per 40 mila euro a settimana. All’Argentario un grosso gommone cabinato da mezzo milione, per fare il bagno nel weekend. E sempre dietro uno schermo societario erano ben occultati i posti barca al porto turistico di Roma (due per yacht sopra i 30 metri) e gli undici appartamenti (e i garage) che Mencancini si era comprato nel tempo. In uno di questi, in corso Italia – 9,5 vani per un valore stimato in 3,3 milioni di euro – vive la ex moglie di questo mago dell’Iva, Wang Tsung Chi, in arte Margherita Wang, taiwanese figlia di un diplomatico, che, dopo aver fatto la modella, oggi disegna abiti. Abbandonata da Mencancini, forse per la giovane sarda messa alla guida di una delle società usate per truffare il fisco, la donna si è vendicata, assestandogli il probabile colpo di grazia. L’uomo, infatti, era nel mirino della magistratura per la storia di un’altra barca, comprata per 2,5 milioni e poi trasferita via via da una società all’altra per farne crescere fittiziamente il valore fino a 4,6 milioni. Nel giugno 2010 lo yacht, partito da Portoferraio e diretto a Ostia, era affondato davanti alle 12