...

L`interrogatorio della strega

by user

on
Category: Documents
42

views

Report

Comments

Transcript

L`interrogatorio della strega
L’INTERROGATORIO DELLA STREGA
Di Giulio Celi
Nel XIII secolo ha inizio con metodo scientifico e sistematico la vera e propria caccia alle streghe, e
nel 1484 Innocenzo VIII, con la sua bolla Summis desiderantes affectibus, farà raggiungere a questa
pratica, perfezionata poi con il Malleus Maleficarum dei domenicani Jacob Sprenger e Heirich
Kramer, il culmine di un’inaudita crudeltà e ferocia se visto con gli occhi di chi ha avuto la
disgrazia di vivere quel periodo dalla parte sbagliata, di estrema insulsaggine ed ottusità, oserei
invece dire, per noi che oggi abbiamo la fortuna di rivisitarlo attraverso la lente della storia.
Epidemie, carestie, ed assai spesso complotti dettati da rivalità od invidia, erano il presupposto che
potevano dare inizio a processi che venivano supportati da torture fino allo sfinimento o addirittura
alla morte, il tutto in comunità dove regnava la paura, o meglio la “cultura”, del soprannaturale
opprimente e castigatore, dove solo il fuoco purificatore avrebbe potuto cancellare ogni colpa al
cospetto di un Dio che indicava esclusivamente nella sofferenza e nel dolore il cammino da
percorrere verso la redenzione.
Essere sottoposti a giudizio comporta, oggi come ieri, la necessità di porre in essere attività
difensive che, sebbene costituiscano dispendi di energie, rappresentano il frutto di evoluzioni
giuridiche e sociali non di poco conto.
Un breve cenno si rende indispensabile, seppure in forma breve, per comprendere in due principali
schemi il processo penale:
Nel sistema accusatorio tra le parti, il denunciante, su cui grava l’onere di sostenere l’accusa da un
lato, e l’imputato che ha la necessità di contrastarne l’impianto dall’altro, il giudice ricopre un ruolo
di neutralità potendo emanare una sentenza su prove che devono essere assunte nel rispetto delle
norme di procedura.
Nel sistema inquisitorio, invece, la figura del giudice e quella dell'accusatore si fondono in un unico
soggetto inquirente che avvia d'ufficio il processo, introduce le questioni di fatto, acquisisce le
relative prove e le valuta in modo del tutto indipendente dalle parti.
Non vi è alcun dubbio come sia questo ultimo ad attagliarsi al caso che prenderemo in esame,
dovendosi lasciare ben poco spazio alle manovre difensive dell’inquisito al quale era concesso
solamente di sottrarsi alle inevitabili sofferenze, senza perdite tempo, con la semplice ammissione
delle proprie colpe.
Solo apparentemente, come vedremo meglio in seguito, si potrebbe imputare alla scelta della forma
processuale l’esito scontato del processo per stregoneria e la mancanza di scampo per l’accusato.
Non sarà per colpa della forma adottata, tanto che entrambi gli schemi processuali sopra descritti
hanno avuto origine ed applicazione in tempi remoti, sebbene in forme più rozze ed assai meno
evolute di quelle odierne, ma nel caso della lotta alla stregoneria non sono state mai riscontrate
differenziazioni nel risultato finale delle sentenze a prescindere dal rito scelto.
Non è quindi la forma processuale che faceva venir meno l’attività difensiva in favore dell’accusata
di stregoneria, ma la ferma convinzione della colpevolezza radicata e assodata, prima ancora della
fase processuale, nell’accusa stessa, necessariamente riscontrabile sia con la confessione che con la
ritrattazione.
Tre erano gli impulsi processuali contro un soggetto accusato di stregoneria il cui giudizio, come
sempre rigorosamente codificato nel “martello dei malefici”, poteva avere luogo a seguito di:
1) Denuncia precisa e circostanziata da parte di un delatore;
2) Denuncia non manifesta da parte di anonimo;
3) Denuncia d’ufficio per dicerie o voci di popolo;
Il processo era caratterizzato dall’inversione dell’onere della prova: in quanto presuntivamente
colpevole, all’imputato veniva richiesto di poter dimostrare la propria innocenza senza il diritto di
essere giudicato dai suoi pari e, tranne in rarissimi casi, senza essere ammesso alla tutela di un
1
difensore affatto immune dall’incorrere, nel caso si fosse dimostrato eccessivamente zelante,
nell’accusa di correità.
Ciò dimostra come, al di là delle possibilità processuali, lo scopo principale del giudizio in esame
non era quello di verificare l’esattezza o meno dell’accusa di stregoneria, ma quello di giustificare
un esito adeguato alla risultanza di una assodata convinzione popolare.
In altre parole, le sventurate erano già streghe prima di essere processate e prima di poter mettere
mano ai disperanti, quanto inutili, mezzi difensivi.
Bisognava però superare il diritto di prova “romano-canonico” che richiedeva la presenza di due
testimoni, i quali, a loro volta, dovevano essere oculari e degni di fede, per giungere ad una
condanna. Perciò l’inquisitore, in tutti i casi in cui le testimonianze erano carenti, si veniva a trovare
nella necessità di dover raggiungere il presupposto principe di tutte le condanne, dando così
incontrovertibile giustificazione all’intero iter processuale, LA CONFESSIONE dell’imputato.
La confessione doveva essere raggiunta in ogni caso ed ad ogni costo facendo ricorso persino alla
tortura fisica, che doveva essere rinnovata anche in luoghi diversi ogni ventiquattro ore, divenendo
così, l’epilogo, lo sbocco naturale, di un sistema inquisitorio che aveva fondamento nel più perfido
e subdolo dei prologhi: L’interrogatorio della strega.
La strega inizialmente veniva chiusa in un sacco appeso ad un ramo od una trave e veniva fatta
continuamente dondolare.
Questa tortura ingenerava nella stessa profondo disorientamento sino a raggiungere allucinazioni
tali da indurla ad ammettere e colorire tutte le incalzanti denunce mosse nei suoi confronti in sede di
interrogatorio.
Ovvero veniva posta su di una seggiola, sarcasticamente definita "trono", dove l'imputata veniva a
trovarsi in posizione capovolta, con i piedi in aria infilati nei ceppi di legno anche per lunghi periodi
mentre, talvolta nei casi più ostinati, a questo supplizio veniva aggiunto anche il trattamento dei
ferri roventi.
Nel caso poi tutto ciò non fosse bastato, si faceva ricorso alla “Pera”: un terribile strumento che
veniva impiegato il più delle volte per via orale ma anche nel retto o nella vagina. L'interno della
cavità in questione veniva dilatato, a volte fino a causare la morte, da giri di vite che ne regolavano
l’intensità e la dimensione. L’applicazione alla vagina era richiesta nel caso in cui l’accusa
riguardava donne ritenute colpevoli di avere avuto rapporti sessuali col Maligno.
Lo strumento di tortura più famoso e tristemente noto resta tuttavia la Vergine di Norimberga: Un
sarcofago di metallo con un coperchio all'interno del quale veniva rinchiuso il condannato mentre
affilatissimi chiodi ne trafiggevano il corpo senza intaccare organi vitali e destinandolo, così, ad una
lunga ed atroce agonia.
Paradossalmente, la resistenza ai tormenti era interpretata come il diretto intervento del maligno
che, così operando, permetteva al torturando di superare ogni dolore.
Superata la fase della tortura con la tanta agognata confessione, l’accusato veniva ricondotto
nell’aula del processo perché, spontaneamente questa volta, abbia a confermare quanto appena
ammesso in sede di supplizio.
L’accusata, prima della tortura, era già stata sottoposta agli “interrogatoria generalia” concernenti i
suoi comportamenti e quelli della propria famiglia, le frequentazioni e gli eventuali “precedenti”
riscontrabili tra parenti o conoscenti con i quali è stata in contatto.
Alla stessa era stato addirittura chiesto se credesse all’esistenza delle streghe e se mai ritenesse di
essere tale.
Di seguito si era passati agli “interrogatoria particularia” caratterizzati da domande circostanziate e
precise, secondo modelli rigidamente prestabiliti, tanto da rendere praticamente identico, in ogni
processo per stregoneria, lo schema adottato.
L’inquisitore doveva limitarsi a cercare conferme nelle risposte dell’interrogata guidandola, e qui
emergeva la bravura e tutta la sua esperienza, in un percorso che la avrebbe condotta
inevitabilmente alla condanna: si faceva finire la sventurata in un vortice perverso nel quale
2
qualsiasi sua certezza, contrastante le semplici supposizioni o dicerie, veniva bollata come chiara
dimostrazione dell’appartenenza al mondo della stregoneria.
Negare di essere una strega è, infatti, una chiara dimostrazione ed una conseguenza del diretto
intervento del maligno che sorregge l’accusata dandole la forza necessaria al punto di farle negare
fermamente di essere quello che in realtà si è certi essa sia.
Una strega non potrà mai ammettere di essere una strega per cui il fatto stesso che la sventurata lo
neghi con fermezza ne rappresenta la più scontata delle prove.
Con questi presupposti non si vede quindi come possa avere scampo chi, come alternativa, ha solo
la possibilità di ammettere di avere avuto contatti con il maligno.
La triste sorte toccata a centinaia di donne, siano esse state deformate nel fisico da anni di fatiche,
sofferenze e malnutrizioni, oppure di aspetto gradevole ma poco inclini ai soprusi, tutte finite in
preda ad isterismi collettivi come capri espiatori a seguito di carestie e pestilenze, dovrebbe fare
riflettere sulla pericolosità di una intransigenza morale nel nome della quale sono stati perpetrati i
più efferati crimini.
A nulla valendo il conforto che ognuno può darsi trincerandosi dietro una convinzione sorretta dalla
fede ovvero da una ragione presa in prestito da dottrine fondate sul materialismo, quello che deve
restare impresso nella nostra mente altro non è che il rischio di una reviviscenza di facili giudizi e di
improvvisate classificazioni a scapito di quello che dovrebbe essere l’unico elemento degno di
rispetto e di considerazione: la natura umana, ma non solo, l’essere vivente.
3
Fly UP