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LA VALUTAZIONE DELLE PROVE NEL PROCESSO CIVILE

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LA VALUTAZIONE DELLE PROVE NEL PROCESSO CIVILE
LA VALUTAZIONE DELLE PROVE
NEL PROCESSO CIVILE
Gianluigi Morlini
Giudice del Tribunale di Reggio Emilia
*****
Bologna, 12 giugno 2012
*****
- MORLINI, Art. 116 c.p.c., in Commentario al Codice di procedura Civile, a
cura di Paolo Cendon, Vol. II, Milano, 2012, 919-951.
- MORLINI, La non contestazione ed il fatto notorio come limiti all’onere
probatorio.
Art. 116
(Valutazione delle prove)
Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge
disponga altrimenti.
Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma
dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha
ordinate, e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.
IMPORTANZA ●●●● – Si tratta della norma cardine in una delle materie centrali del
processo, quale quella del sistema di valutazione delle prove da parte del giudice.
CONTENUTO – Il primo comma sancisce in via generale il principio del libero convincimento
del Giudice, il quale deve normalmente valutare le prove secondo il suo prudente
apprezzamento; ma tempera tale principio chiarendo che, in via di eccezione, il libero
convincimento non opera in caso di presenza di prove legali, la cui efficacia probatoria è
predeterminata in astratto dal legislatore.
Il secondo comma indica le eterogenee situazioni dalle quali il giudice può trarre argomenti
di prova, cioè indizi collocati al di sotto delle prove vere e proprie nell’ambito della scala
dei valori probatori.
FONTI E SISTEMA – Con riferimento al primo comma, relativo alla valutazione delle prove, le
norme correlate sono quelle di diritto sostanziale concernenti il riparto dell’onere
probatorio (artt. 2697-2698 c.c.), le prove documentali (artt. 2699-2720), le prove
testimoniali (artt. 2721-2739 c.c.); nonché quelle di diritto processuale concernenti
l’istruzione probatoria (artt. 191-266 c.p.c.).
Con riferimento al secondo comma, relativo agli argomenti di prova, norme correlate sono
quelle concernenti l’interrogatorio formale dell’articolo 117 c.p.c.; le ispezioni ex artt. 118 e
258 ss. c.p.c.; le ulteriori norme processuali che rimandano alla valutazione ex art. 116
comma 2 c.p.c. di specifiche situazioni, quali gli artt. 185, 200, 232, 310, 420 c.p.c.
QUESTIONI PRINCIPALI – Essendo già oggetto di una minuziosa ed esaustiva disciplina
codicistica le materie del rapporto tra prove legali e prove libere, nonché dell’efficacia delle
prove documentali e testimoniali, una prima questione interessante e dibattuta risulta
quella, non espressamente disciplinata dal Legislatore, dell’ammissibilità e rilevanza delle
prove atipiche nel processo civile.
Altra tematica di sicuro interesse è quella della rilevanza probatoria della CTU, e
soprattutto dell’onere motivazionale necessario al Giudice per condividere o per
disattendere le conclusioni cui è giunto il perito.
Una terza questione complessa ed oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale, è quella
relativa ai parametri che devono contraddistinguere le presunzioni semplici operate dal
Giudice.
APPLICAZIONI – Con riferimento alla prima questione, va evidenziato che l’elencazione delle
prove nel processo civile non è tassativa, e quindi sono ammissibili anche le prove atipiche,
che hanno normalmente valore di argomenti di prova o di presunzioni semplici.
Circa la seconda questione, è oramai consolidata l’opinione che ritiene come, nel caso di
CTU percipiente in quanto relativa a fatti determinabili solo con cognizioni o
strumentazioni tecnico-scientifiche, la consulenza diviene essa stessa una vera e propria
fonte oggettiva di prova; e parimenti consolidata è l’opinione circa il fatto che il Giudice
può motivare con un mero rinvio alla consulenza, laddove la stessa si sia già fatta carico di
replicare alle contrarie deduzioni delle parti.
Quanto alla terza tematica, si ritiene che la presunzione semplice possa essere ammessa
non solo allorché il fatto ignorato sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto, ma
anche quando vi sia un rapporto di probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di
normalità alla stregua dell’id quod plerumque accidit. La giurisprudenza di Cassazione,
nonostante le critiche di parte della dottrina, ha poi ritenuto possibile fondare la decisione
su di un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento
presuntivo di segno contrario.
GIURISPRUDENZA ESSENZIALE
Cass. civ., Sez. Un., 23 giugno 2010, n. 15169 (CED, 2010; CorG, 2011, 2 201)
Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente
contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all’art.
2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ., atteso che esse
costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono,
quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati
probatori acquisiti al processo.
Cass. civ., Sez. V, 12 agosto 2010, n. 18647 (RDI, 2010, 5, 491)
Il principio dell'onere della prova non implica affatto che la dimostrazione degli elementi
costitutivi del diritto controverso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da
colui che è gravato dal relativo onere. In tal senso, alla luce del principio di acquisizione,
per la delibazione della domanda il giudice può riferirsi a tutte le risultanze istruttorie,
comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale esse sono
formate.
Cass. civ., Sez. Lav., 21 luglio 2010, n. 17097 (CED, 2010)
L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei
documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi
e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze
probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono
apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento
della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite
che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi
implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati
specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Cass. Civ., Sez. III, 27 aprile 2010, n. 10055 (CED, 2010)
La sentenza penale di condanna non definitiva integra una prova atipica, dalla quale il
giudice civile può trarre elementi di convincimento ex art. 116 c.p.c., in particolare
utilizzando le prove raccolte e gli elementi di fatto acquisiti nel giudizio penale; ma resta
necessario che il procedimento di formazione del libero convincimento sia esplicitato nella
motivazione della sentenza civile, atteso che il generico richiamo alla pronuncia penale si
tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione delle complessive risultanze
probatorie e di conseguenza nel vizio di omessa motivazione.
Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2010, n. 5440 (CED, 2010)
Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del
giudice, è ammessa la possibilità che egli ponga a fondamento della decisione prove non
espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della
relativa utilizzazione, rimanendo, in ogni caso, escluso che tali prove ‘atipiche’ possano
valere ad aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così
introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o
la cui ammissione richieda il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali.
Cass. civ., Sez. I, 9 gennaio 2009, n. 281 (CED, 2009; MGI, 2009)
Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella
relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce
l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è
quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici
di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché
incompatibili con le conclusioni tratte.
Cass. civ., Sez. V, 8 settembre 2008, n. 22548 (Cort, 2008, 39, 3199)
La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento)
costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, laddove
intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui
l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il Giudice penale
abbia prestato fede a tale ammissione.
Cass. civ., Sez. V, 12 marzo 2008, n. 6549 (CED, 2008)
Il giudice ha facoltà di valutare, nel contesto della prova per presunzioni, come il fatto
ignoto possa ricondursi a conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto e non
quale unica conseguenza possibile vincolata ad un legame di necessarietà assoluta ed
esclusiva. Ciò comporta la legittimità dell'iter-logico giuridico che ha condotto il giudice
del merito a ritenere - secondo una regola di comune esperienza - la congruità e
verosimiglianza della riduzione della percentuale di ricarico in considerazione dello stato di
insolvenza e decozione dell'impresa.
Cass. civ., Sez. Un., 21 febbraio 2008, n. 2435 (CorG, 2010, 3, 355)
Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti versati in atti, solo nel caso in cui la
parte che li ha prodotti o comunque la parte che intenda trarne vantaggio, ne faccia
specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione
con riguardo alle sue domande od eccezioni, derivandone altrimenti per la controparte
l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle
risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione.
Cass. civ., Sez. V, 21 dicembre 2007, n. 27032 (F, 2008, 4, 1, 655)
Il divieto di doppia presunzione, praesumptio de praesumpto, vieta la correlazione di una
presunzione semplice con altra presunzione semplice, pur se non con altra presunzione
legale.
Cass. civ., Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 20701 (MGI, 2007; CED, 2007)
Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad
litem, non hanno valore confessorio, ma costituiscono elementi indiziari liberamente
valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, mentre neppure valore
indiziario hanno le ammissioni del procuratore contenute in atti stragiudiziali.
Rivestono invece pieno valore confessorio riferibile alla parte, le ammissioni contenute
negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore ad litem, quando quegli scritti rechino
anche la sottoscrizione della parte stessa, in calce o a margine dell'atto, dovendo
presumersi che la parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia
assunto - anch'essa - la titolarità.
Cass. civ., Sez. I, 11 settembre 2007, n. 19088 (MGI, 2007; CED, 2007; FA, 2008, 1, 95)
In tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere
necessariamente più d'uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un
solo elemento purchè grave e preciso, dovendosi il requisito della ‘concordanza’ ritenersi
menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di
più elementi presuntivi. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha
desunto la conoscenza dello stato d'insolvenza di un imprenditore, successivamente
dichiarato fallito, in capo alla banca, da un unico fatto costituito dall'improvvisa revoca di
tutte le linee di credito e richiesta d'immediato soddisfacimento di tutti i suoi crediti).
Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2007, n. 10847 (MGI, 2007; CED, 2007)
Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito
può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio
convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di
individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine,
scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a
dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di
merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a
fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con
apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di
legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine
all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l'ipotesi di
un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere
l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro
escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio
di omesso esame di un punto decisivo.
Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 2945 (MGI, 2007; CED, 2007)
In tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero
convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i
risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati
probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del
giudice. Da ciò consegue che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può
basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se
da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di
giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto
una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.
Cass. civ., Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8358 (MGI, 2007; CED, 2007)
In tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza
indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni ‘de relato actoris’ e quelli
‘de relato’ in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal
soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è
sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del
giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico
della pretesa; gli altri testi, quelli ‘de relato’ in genere, depongono invece su circostanze che
hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di
costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma,
ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di
altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità.
Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990 (BLT, 2006, 2, 464; CED, 2006; MGI, 2006)
In tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo
l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche
quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza
costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte
deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che
l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.
Cass. civ., Sez. II, 25 marzo 2004, n. 5965 (CED, 2004; GIUS, 2004, 3172; MGI, 2004)
Nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività
tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice può legittimamente porre a base
del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire
elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente
motivato - con le altre risultanze del processo. In particolare, il giudice del merito può
trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i
limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione
della quale è stata disposta.
Cass. civ., Sez. III, 2 marzo 2004, n. 4186 (GDir, 2004, 15, 79)
Al di fuori dei casi di prova legale non esiste, nel nostro ordinamento, una gerarchia delle
prove per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti
di altri dati probatori, essendo la valutazione delle prove rimessa al prudente
apprezzamento del giudice. Deriva, da quanto precede, pertanto, che il giudice può
utilizzare, come fonte del proprio convincimento, anche prove raccolte in un diverso
giudizio fra le stesse o altre parti e, quindi, anche prove raccolte in un giudizio penale
(ancorché conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia o per
altra causa estintiva del reato), esaminandone direttamente il contenuto ovvero
ricavandolo dalla sentenza o dagli atti del processo penale ed effettuando la relativa
valutazione con ampio potere discrezionale, senza essere vincolato dalla valutazione che ne
abbia fatto il giudice penale.
COMMENTO
Sommario 1. Prove legali come limite al principio del libero convincimento del Giudice. 2. Prove libere come espressione del principio del libero convincimento – 3. Presunzioni.
- 4. Argomenti di prova - 5. Prove documentali: cenni - 5. Prove testimoniali: cenni - 7
Testimonianza de relato - 8 Tipologia ed efficacia delle prove atipiche - 9 Catalogo delle
prove atipiche – 10 Prove illegittime ed irrilevanti - 11. CTU come mezzo di prova - 12.
Valutazione della CTU nella motivazione della sentenza 13. Valutazione della CTP e della
perizia stragiudiziale nella motivazione della sentenza.
1. Prove legali come limite al principio del libero convincimento del Giudice
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2700, 2702, 2705, 2709, 2712-2715, 2720-2726, 2730-2735,
2738 c.c. – c.p.c. 116, 239.
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1967 – Verde 1988 – Taruffo 1989 – Cavallone 1991a – Lombardo
1992 – Taruffo 1992 – Capponi 1997 – Taruffo 1999 – Montanari 2000 – Montesano-Arieta
2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 –
Picardi 2010 – Proto Pisani 2010 – Palatucci 2011.
L’articolo 116 c.p.c. rappresenta la norma cardine del sistema di valutazione delle
prove, sancendo in via generale il principio del libero convincimento del Giudice (“il
Giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento”), ma chiarendo poi che
tale principio non opera nel caso particolare dato dalla presenza di prove legali (“salvo che
la legge disponga altrimenti”).
Invero, pur se la relazione tra libero convincimento e prova legale è codificata
secondo il rapporto tra regola ed eccezione, permangono certamente nel nostro
ordinamento rilevanti ipotesi di prove legali, cioè di strumenti di prova la cui efficacia è
predeterminata in astratto dal legislatore, senza possibilità di una diversa valutazione in
concreto da parte del Giudice, quali ad esempio confessione, giuramento, atto pubblico e
scrittura privata.
In particolare, il catalogo delle prove legali previste dall’ordinamento civilistico è
rappresentato dagli artt. 2700, 2702, 2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 2720, 2733, 2734,
2735, 2738 c.c., nonchè dall’art. 239 c.p.c. (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 18 novembre 2008, n.
27337, CorG, 2009, 4, 477; DResp, 2009, 1, 96; FI, 2009, 3, 1, 767; GI, 2009, 4, 859).
Trattasi di ipotesi molto numerose e significative, al punto che c’è chi ha osservato come,
in realtà, il rapporto tra la regola del libero convincimento e l’eccezione della prova legale,
sia in realtà solo apparente, e nella sostanza ribaltato nel senso che prevalgono
quantitativamente e qualitativamente le ipotesi di prove legale (Taruffo). Peraltro,
proprio per la struttura dell’articolo 116 c.p.c., che formalmente indica le ipotesi di prova
legale come eccezione alla regola del libero convincimento, dette ipotesi vanno intese come
eccezionali e non suscettibili di applicazione analogica (Andrioli).
In ogni caso, è opinione condivisa quella per la quale le prove legali sono residui di epoca
passata, essendo la loro previsione storicamente fondata sulla sfiducia nei confronti del
Giudice e della sua capacità di valutare prudentemente le prove. Ciò posto, è certamente
esatto dire che tali prove offrono il vantaggio di una maggior certezza del diritto e di una
semplificazione istruttoria, a scapito peraltro di una più approfondita ricerca della
giustizia del caso concreto, ponendo limiti alla possibilità delle parti di provare fatti
magari oggettivamente veri.
Venendo all’efficacia delle prove legali, si suole distinguere tra prove legali negative
e positive.
Le prime sono volte a limitare la facoltà del Giudice di ammettere o riconoscere valore
probatorio a determinate prove (cfr. ad esempio gli artt. 2721-2726 c.c. circa i limiti alla
prova testimoniale).
Le prove legali positive sono invece quelle che impongono al Giudice di attribuire valore
privilegiato a determinate fonti di prova (cfr. gli artt. 2700 e 2702 c.c. circa il valore
probatorio di atto pubblico e scrittura privata, nonché l’art. 2733 c.c. per il valore
probatorio della confessione). Ciò comporta l’impossibilità di offrire la prova contraria alle
risultanze della prova legale, a meno che si provochi la formazione di una prova legale
contraria, quale quella risultante dalla confessione mediante interrogatorio formale o dal
giuramento. Solo infatti dinanzi a due o più prove legali dotate della medesima valenza
probatoria, viene in rilievo la possibilità di un apprezzamento del Giudice, che deve dare
credito a quella ritenuta più convincente (cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 6 dicembre 1997, n.
12401, MGI, 1997, relativamente all’ipotesi di documenti facenti fede fino a querela di
falso e di tenore contrastante).
In particolare e con riferimento alla confessione, va ricordato che secondo la
giurisprudenza, alle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore
ad litem ben può essere attribuito valore confessorio riferibile alla parte, quando quegli
scritti rechino anche la sottoscrizione della parte stessa, in calce o a margine dell’atto,
dovendo presumersi che la parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne
abbia assunto anch’essa la titolarità; viceversa, le ammissioni contenute negli atti difensivi
sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, non hanno il valore confessorio
privilegiato della prova legale, ma costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili
ed apprezzabili dal Giudice per la formazione del proprio convincimento (per tutte, Cass.
civ., Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 20701, MGI, 2007. Cass. civ., Sez. I, 15 luglio 2005, n.
15062, MGI, 2005; CED, 2005).
Sempre in tema di confessione, va evidenziato che la dichiarazione confessoria contenuta
nel modulo di constatazione amichevole del sinistro, cosiddetto Cid, resa dal responsabile
del danno, proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di
piena prova nemmeno nei confronti del confitente, ma deve essere liberamente apprezzata
dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, comma 3, c.c.,
secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto
dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice (giurisprudenza
consolidata a partire da Cass. civ., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10311, AGCSS, 2007, 3,
298; CED, 2006; DResp, 2006, 11, 1123; MGI, 2006. Da ultimo, cfr. Cass. civ., Sez. III; 28
settembre 2010, n. 20353, CED, 2010).
2. Prove libere come espressione del principio del libero convincimento del Giudice
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2697, 2698 – c.p.c. 116.
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1961 – Satta 1966 – Nobili 1974 – Patti 1985 – Taruffo 1989 –
Taruffo 1990 – Capponi 1997 – Comoglio 1999 – Taruffo 1999 – Montanari 2000 –
Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 –
Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010 – Palatucci 2011.
Se la prova legale è quella che è stata sottoposta dal legislatore ad un’aprioristica
valutazione della sua efficacia, la prova libera è quella la cui efficacia non è cristallizzata o
determinata a priori dall’ordinamento, ma è stata rimessa al prudente apprezzamento del
giudice, che la valuta sul piano concreto e particolare con il supporto della ragione e
dell’esperienza.
La prova libera consente al giudice una valutazione del materiale istruttorio a critica del
tutto autonoma ed indipendente, essendo autorizzato ad operare una valutazione secondo
il suo prudente apprezzamento; mentre l’eccezione, integrata dalla prova legale, confina il
giudice in un ambito di critica vincolata del materiale probatorio, essendo già stato
operato a priori dal legislatore l’apprezzamento dell’efficacia probatoria del mezzo di
prova.
In particolare, nel procedimento di valutazione della prova libera, che ovviamente non
deve essere confuso con la libera ricerca della prova (Satta), il prudente apprezzamento del
giudice consiste nel “corretto uso di massime logiche ed esperienza” (Andrioli), e, pur se non è
possibile fissare regole formali per l’attività di valutazione (Patti), è comunque possibile
elencare alcuni criteri che devono guidare tale apprezzamento.
Innanzitutto, in base al principio di acquisizione, deve ritenersi che tutte le
risultanze istruttorie, qualunque sia la parte ad iniziativa della quale sono state assunte,
concorrono indistintamente alla formazione del libero convincimento del giudice (nella
pacifica giurisprudenza, per tutte e tra le ultime cfr. Cass. civ., Sez. I, 12 agosto 2010, n.
18647, RDI, 2010, 5, 491; Cass. civ., Sez. V, 19 gennaio 2010, n. 739, CED, 2010), senza
che la loro provenienza possa condizionare tale decisione in un senso o nell’altro, e senza
che possa escludersi l’utilizzabilità di una prova fornita da una parte per trarne argomenti
favorevoli alla controparte.
Ciò spiega perché, una volta ammessa una prova, per la rinuncia al suo espletamento, ex
art. 245 c.p.c., occorre l’adesione di controparte, oltre che il consenso del Giudice; e perché
è facoltà della parte chiedere al Giudice, ex art. 208, comma 1, c.p.c., l’assunzione della
prova dedotta dall’avversario non comparso.
Quanto poi alla modalità di formazione del libero convincimento del Giudice, va
affermato che, al di fuori della prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una
gerarchia delle prove per la quale i risultati di alcune debbano prevalere nei confronti di
altri dati probatori (ex pluribus, cfr. Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 9245, MGI,
2007), essendo piuttosto vero che il Giudice è libero di scegliere gli elementi di prova dai
quali trarre il proprio convincimento (tra le ultime, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 15 giugno
2010, n. 14348, LG, 2010, 9, 943).
Un ulteriore importante aspetto del libero convincimento si rinviene nel potere del
Giudice di arrestare l’istruzione quando gli elementi raccolti sono ritenuti sufficienti (per
tutte, cfr. Cass. civ., Sez. III, 9 dicembre 2003, n. 18719, MGI, 2003; AC, 2004, 1230;
GIUS, 2004, 2254).
Una volta formatosi, il convincimento del Giudice deve però essere esplicitato in
motivazione, dando conto del perché sono stati ritenuti più attendibili o comunque
preferibili alcuni elementi probatori rispetto ad altri.
Tuttavia, la giurisprudenza ormai da anni consolidata, ha chiarito che non è necessaria
una comparazione analitica di tutte le prove raccolte, essendo sufficiente il riferimento alle
prove poste alla base della decisione, senza necessità di specifica confutazione espressa di
ogni argomentazione e rilievo contrari, dovendosi ritenere disattesa per implicito ogni
prova non menzionata in modo specifico ed incompatibile con la decisione adottata (fra le
tante, cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 21 luglio 2010, n. 17097, CED, 2010. Cass. Civ., Sez. III,
24 maggio 2006, n. 12362, MGI, 2006; CED, 2006; AGCSS 2007, 4, 421).
Pertanto, secondo una recente pronuncia delle Sezioni Unite, “non si richiede al Giudice
merito dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e
di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire un’adeguata motivazione logica dell’adottata
decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di
esse” (Cass. civ., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930, Contr., 2008, 11, 995; CorG, 2008, 8,
1085; FI, 2009, 11, 1, 3156; GI, 2008, 11, 2461; MGI, 2008; Not, 2008, 3, 232; VN, 2008, 2,
964).
Circa il controllo sulla valutazione delle prove da parte del Giudice, occorre
distinguere. Infatti, per un verso, la violazione di norme di prova legale comporta un vizio
di diritto censurabile in Cassazione ex art. 360 n. 4 c.p.c.
Per altro verso e relativamente alle prove libere, invece, la valutazione operata dal Giudice
di merito, e con essa il controllo sull’attendibilità e concludenza delle prove nonché sulla
scelta di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della decisione, è sindacabile in
Cassazione solo indirettamente, ex art. 360 n. 5 c.p.c., sotto il profilo dell’adeguata e
congrua motivazione (fra le tante, Cass. civ., Sez. V, 3 settembre 2008, n. 22171, CED,
2008); con la conseguenza che resta escluso che la parte possa fare valere il contrasto tra la
ricostruzione operata dal giudice di merito e quella proposta dalla difesa (per tutte, Cass.
civ., Sez. Lav., 23 maggio 2007, n. 12052, CED, 2007; MGI, 2007).
Infine e con riferimento alla tematica dell’onere della prova, va evidenziato come il
principio generale codificato dall’art. 2697 c.c., che deve guidare il giudice nella
valutazione delle risultanze istruttorie e nella decisione, soffre di alcune eccezioni,
normative o contrattuali.
Si parla infatti di inversione di onere della prova sia nelle ipotesi specificamente
disciplinate dal legislatore, quali quelle di cui agli artt. 2047 ss. c.c.; sia nelle ipotesi
pattiziamente concordate (sull’inversione pattizia dell’onere della prova, cfr. Cass. civ.,
Sez. Lav., 23 aprile 1998, n. 4211, MGI, 1998), con l’osservanza peraltro dei limiti di cui
all’art. 2698 c.c., che esclude l’ammissibilità, sancendone la nullità, dei patti di inversione
dell’onere della prova nel caso di diritti indisponibili e nel caso si renda ad una parte
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
Peraltro, deve essere sottolineato che l’unanime giurisprudenza ha chiarito che la pattizia
inversione dell’onere della prova non scaturisce dal mero comportamento processuale della
parte la quale offra spontaneamente di provare fatti che non ha l’onere di provare; ma
richiede invece un’inequivocabile manifestazione volta ad assumere un onere probatorio a
sé non spettante, rinunciando ai benefici ed ai vantaggi che derivano dal principio che
regola la distribuzione dell’onere probatorio ed accettando di subire le conseguenze
dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta (fra le tante, Cass. civ., Sez. III, 7
luglio 2005, n. 14306, GDir, 2005, 34, 64).
3. Presunzioni
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2727, 2728, 2729 – c.p.c. 116
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1966 – Taruffo 1974 – Cordopatri 1986 – Fabbrini Tombari 1991 –
Taruffo 1992 – Fabbrini 1996 – Cordopatri 2001 – Barbagallo 2007 – Merz 2008 –
Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 –
Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010 – Palatucci 2011.
In sede di valutazione delle prove, ben può essere che il Giudice si trovi nelle
condizioni di dovere apprezzare non i fatti direttamente rilevanti per la decisione della
causa, bensì altri fatti, dai quali si possa risalire ai primi sulla base di tipici ragionamenti
logici.
Si parla in tal caso di presunzioni, definite unitariamente dal codice come “le conseguenze
che la legge o il Giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto”, regolate dal
codice stesso agli artt. 2727-2729 c.c. e relativamente alle quali si suole distinguere tra
presunzioni legali assolute, legali relative e semplici.
Le presunzioni legali assolute, ossia iure et de iure, sono prefissate dalla legge in
schemi rigidi che non prevedono la prova contraria (tra gli altri, cfr. artt. 596-599 c.c. in
tema di successioni, art. 232 c.c. in tema di filiazione, art. 238 c.c. in tema di atto di
nascita conforme al possesso di stato, artt. 880 e 881 c.c. in tema di comunione del muro
divisorio, artt. 897-899 c.c. in tema di comunioni di fossi, siepi e alberi).
E’ stato osservato che più che sul piano probatorio, le presunzioni assolute operano sul
piano sostanziale, nel senso di fissare un’equipollenza tra fatto produttivo di un dato
effetto ed altro fatto dalla legge equiparato.
Le presunzioni legali relative, ossia iuris tantum, sono prefissate dalla legge in
schemi parzialmente rigidi, in quanto da un lato dispensano la parte dall’onere della
prova, ma dall’altro ammettono la prova contraria (tra gli altri, cfr. art. 1141 c.c. in tema
di mutamento della detenzione in possesso, art. 1147 c.c. in tema di possesso di buona fede,
art. 1335 c.c. in tema di proposta-accettazione-revoca del contratto, art. 1588 c.c. in tema
di perdita e deterioramento della cosa locata, art. 1611 c.c. in tema di incendio di cosa
locata, art. 1709 c.c. in tema di onerosità del mandato, art. 1767 c.c. in tema di gratuità
del deposito, art. 2600 c.c. in tema colpa nella di concorrenza sleale, art. 2706 c.c. in tema
di assenza di colpa del mittente nella riproduzione del telegramma), pur se talvolta solo
con limitazioni (cfr. la presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c., che ammette la
prova contraria solo nelle ipotesi di cui all’art. 235 c.c.). Esse, in buona sostanza, si
risolvono in un diverso modo di operare dell’onere probatorio, tramite l’inversione della
tradizionale regola di riparto.
Le presunzioni semplici, ovvero presunzioni hominis, sono invece ragionamenti
logici che consentono di desumere l’esistenza di un fatto ignoto muovendo da un fatto
noto, ragionamenti lasciati al libero apprezzamento del Giudice, ma che ai sensi dell’art.
2729 c.c. devono essere corredati dai caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Ciò peraltro non significa che la presunzione possa essere ammessa soltanto allorché il
fatto ignorato sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto, essendo invece sufficiente
un rapporto di probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di normalità alla
stregua dell’id quod plerumque accidit (ex pluribus, cfr. Cass. civ., Sez. V, 12 marzo 2008, n.
6549, CED, 2008. Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2006, n. 13546, AGCSS, 2007, 9, 949;
CED, 2006; MGI, 2006).
La consolidata posizione giurisprudenziale esclude invece che si possa risalire al fatto
ignorato sulla scorta di una serie consecutiva di presunzioni, cioè ponendo il fatto
accertato per effetto di presunzione a fondamento di un nuovo ragionamento presuntivo,
ostando a ciò il divieto di praesumptio de praesumpto, che peraltro vieta la correlazione di
una presunzione semplice con altra presunzione semplice, pur se non con altra presunzione
legale (fra le tante, cfr. Cass. civ., Sez. V, 21 dicembre 2007, n. 27032, F, 2008, 4, 1, 655).
La Suprema Corte, nonostante le critiche della dottrina, ha invece ritenuto possibile
fondare la decisione su di un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro
ragionamento presuntivo di segno contrario (per tutte, cfr. Cass. civ., Sez. III, 11 maggio
2007, n. 10847, MGI, 2007; CED, 2007). Ne consegue che il requisito della concordanza,
che postula una pluralità di presunzioni, perde il carattere di requisito necessario, e finisce
per essere elemento eventuale della valutazione presuntiva, destinato ad operare
unicamente in presenza di più presunzioni (cfr. tra le ultime Cass. civ., Sez. III, 29 luglio
2009, n. 17574, MGI, 2009; CED, 2009; e Cass. civ., Sez. I, 11 settembre 2007, n. 19088,
MGI, 2007; CED, 2007; FA, 2008, 1, 95). E ne consegue altresì che la presunzione
semplice e la presunzione legale iuris tantum, si distinguono unicamente in ordine al modo
di insorgenza, perché mentre il fatto sul quale si fonda la prima deve essere provato in
giudizio ed il relativo onere grava su colui che intende trarne vantaggio, la seconda è
stabilita dalla legge, e, quindi, non abbisogna della prova di un fatto sul quale possa
fondarsi e giustificarsi; una volta, tuttavia, che la presunzione semplice si sia formata e sia
stata rilevata, cioè una volta che del fatto sul quale si fonda sia stata data o risulti la
prova, essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris
tantum, quando viene rilevata, in quanto l’una e l’altra trasferiscono a colui, contro il
quale esse depongono, l’onere della prova contraria (Cass. civ. Sez. Lav., 27 novembre
1999, n. 13291).
Non va poi dimenticato che, alla luce di quanto disposto dall’art. 2729, comma 2 c.c., il
potere del Giudice di ricorrere alle presunzioni semplici, trova gli stessi limiti legali posti
all’ammissibilità delle prove testimoniali.
In ragione di quanto già più sopra visto circa la mancanza di un criterio di
gerarchia delle prove, la prova presuntiva ha poi un’efficacia non minore delle altre prove,
con la consueta eccezione della prova legale, e pertanto il convincimento del Giudice può
fondarsi anche solo su una presunzione, e su una presunzione che sia in contrasto con le
altre prove acquisite, se ritenuta tale da far ritenere inattendibili gli altri elementi di
giudizio (ex aliis, cfr. Cass. civ., Sez. I, 1 agosto 2007, n. 16993, MGI, 2007; CED, 2007.
Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 2945, MGI, 2007; CED, 2007.
Infine, in applicazione dei princìpi generali sul libero convincimento del giudice in materia
di prove libere, è riservata al giudice di merito la valutazione discrezionale della
sussistenza sia dei presupposti per il ricorso alla presunzione, sia dei requisiti di precisione,
gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di
presunzione, ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne discendano
secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit: l’unico sindacato riservato in proposito al
giudice di legittimità è allora quello sulla congruenza della relativa motivazione (Cass. civ.,
Sez. II, 4 maggio 2005, n. 9225, CED, 2005; MGI, 2005).
4. Argomenti di prova
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 116, 117, 185, 200, 232, 310, 420.
BIBLIOGRAFIA: Redenti 1980 – Ricci 1988 – Taruffo 1992 – Taruffo 1999 – MontesanoArieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010
– Picardi 2010 – Proto Pisani 2010 – Reali 2010.
Di argomenti di prova il legislatore parla in chiave generale nell’art. 116, comma 2,
c.p.c., chiarendo che essi possono essere tratti dalle risposte rese dalle parti in sede di
interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c., dal rifiuto a consentire le ispezioni ordinate ex art.
118, comma 2, c.p.c., comunque dal contegno processuale delle parti; ed in chiave
particolare in alcune norme processuali (cfr. artt. 185, 200, 232, 310, 420 c.p.c.), che
rimandano alla valutazione ex art. 116, comma 2, c.p.c., di determinate situazioni.
La categoria si rivela quindi estremamente eterogenea, comprendendo sia specifici
comportamenti normativamente previsti (quali le risposte all’interrogatorio libero ex art.
117 c.p.c., il rifiuto senza giustificato motivo ad acconsentire alle ispezioni ex art. 118,
comma 2, c.p.c., l’ingiustificata mancata conoscenza dei fatti della causa da parte del
procuratore al tentativo di conciliazione ex art. 185 c.p.c., le dichiarazioni rese dalle parti
al CTU ex art. 200 c.p.c., la mancata ed ingiustificata risposta all’interpello ritualmente
rivolto ex art. 232 c.p.c., le prove raccolte in un processo estinto ex art. 310, comma 3,
c.p.c., l’ingiustificata mancata comparizione delle parti all’udienza ex art. 420 c.p.c.
prevista nel rito del lavoro); sia comprendendo la clausola generale del contegno delle parti
genericamente considerato ex art. 116, comma 2, c.p.c.
Con specifico riferimento alla tematica dell’argomento di prova che discende
dall’applicazione dell’articolo 232 c.p.c., una recente e molto interessante pronuncia di
legittimità ha chiarito che la norma in questione è applicabile non solo al caso, indicato
nella norma stessa, di mancata comparizione o di rifiuto ingiustificato di rispondere; ma
anche al caso di dichiarazioni che, per il loro tenore evasivo o non attendibile, risultino
equiparabili alla mancata risposta (Cass. civ., Sez. III, 31 marzo 2010, CED, 2010; FI,
2010, I, 3097. In tema, l’unico precedente di legittimità, peraltro di segno contrario, è
quello di Cass. civ. 14 giugno 1943, n. 1472, RFI, 1943-1945).
Pur se è opinione diffusa quella per la quale gli argomenti di prova sarebbero
collocati al gradino più basso di un’ipotetica scala dei valori probatori, la più autorevole
dottrina ritiene che, a livello di struttura, l’argomento di prova non è facilmente
distinguibile dalle presunzioni.
Consegue che, per la pacifica giurisprudenza, anche l’argomento di prova, così come già si
è visto per le presunzioni, può da solo essere sufficiente a fondare il convincimento del
Giudice (tra le tante, cfr. Cass. civ., Sez. III, 29 settembre 2009, n. 20819, CED, 2009. Cfr.
anche Cass. civ., Sez. III, 10 agosto 2002, n. 12145, AGCSS, 2003, 7/8, 633; AC, 2003, 689;
MGI, 2002).
In particolare ed in coerenza con quanto sopra, anche il comportamento processuale, nel
cui ambito rientra il sistema difensivo adottato dal procuratore, o extraprocessuale delle
parti, può costituire, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non solo elemento di valutazione delle
risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea a sorreggere la
decisione del giudice di merito, che, con riguardo a tale valutazione, è censurabile nel
giudizio di cassazione solo sotto il profilo della logicità della motivazione (Cass. civ., Sez.
III, 26 giugno 2007, n. 14748, CED, 2007; MGI, 2007).
5. Prove documentali: cenni
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2697-2720 – c.p.c. 210-227, 258-266 – d.lg. 7 marzo 2005, n.
82.
BIBLIOGRAFIA: Taruffo 1973 – Cavallone 1978 – Montesano 1980 – Verde 1991 – Comoglio
1995 – Patti 1996 – Comoglio 1997 – Grasselli 1997 – Viazzi 1999 – Comoglio 1998 –
D’Alessandro 1999 – Lombardo 1999 – Taruffo 1999 – Merz 2008 – Montesano-Arieta 2008
– Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi
2010 – Proto Pisani 2010.
Nella tradizionale bipartizione delle prove in precostituite e costituende, la prova
documentale integra il primo cono dell’alternativa, contrapponendosi logicamente alla
prova costituenda, il cui principale esempio è rappresentato dalla testimonianza.
In particolare, la prova documentale, in quanto precostituita, preesiste al processo e vi
trova ingresso con la produzione o l’esibizione, non è caratterizzata né dalla formazione nel
processo, né dalla preordinazione allo stesso, al contrario della prova costituenda che si
forma nel corso del processo. Pertanto, la prova documentale non nasce per essere
utilizzata nel processo, ma ha una valenza sostanziale che la rende pienamente idonea ad
una sua utilizzazione stragiudiziale, e ciò la rende, nell’ottica del legislatore, più affidabile
di quella testimoniale.
Peculiari forme di prove sostanzialmente documentali che si formano nel processo, sono
peraltro quelle previste dall’art. 219 c.p.c. in tema di redazione di scritture di
comparazione e dall’art. 261 c.p.c. in tema di riproduzioni.
La produzione della parte, pur se il principale, non è comunque l’unico mezzo attraverso il
quale il documento può approdare al processo, atteso che esso può anche pervenirvi
tramite l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., la richiesta di informazioni alla PA ex art.
213 c.p.c., l’ispezione ex artt. 118 e 258 c.p.c., l’acquisizione mediata attraverso il CTU ex
art. 194 c.p.c.
Diversamente da quanto spesso viene opinato, il documento tardivamente versato
dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie oggi poste dall’art. 183 comma 6 c.p.c., ma
comunque nel rispetto dei parametri formali di cui agli artt. 74 o 87 disp. att. c.p.c., dovrà
comunque trovare ingresso nel fascicolo, senza possibilità di ordine di espunzione o di
divieto di produzione (Cass. civ., Sez. I, 7 marzo 1995, n. 2652, MGI, 1995), fermo
ovviamente restando che, in sede di sentenza, il giudice dovrà illustrare le ragioni della
inutilizzabilità per tardiva produzione.
Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti versati in atti, solo nel caso
in cui la parte che li ha prodotti o comunque la parte che intenda trarne vantaggio, ne
faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa
esibizione con riguardo alle sue domande od eccezioni, derivandone altrimenti per la
controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice l’impossibilità di
valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione
(giurisprudenza pacifica: per tutte e da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 1 febbraio 2008, n.
2435, CorG, 2010, 3, 355. Cass. civ., Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 22342, CED, 2007; MGI,
2007).
Il codice civile, negli articoli 2699-2720, elenca e disciplina sette tipi di prove
documentali tipiche, e cioè l’atto pubblico, la scrittura privata, le scritture contabili delle
imprese soggette a registrazione, le riproduzioni meccaniche, le taglie o tacche di
contrassegno, le copie degli atti e gli atti di ricognizione o rinnovazione, mentre un’ottava
prova documentale, id est il documento informatico, è ora disciplinata dall’art. 21 del
D.Lgs. n. 82/2005.
Dal punto di vista della loro efficacia, le prove documentali vanno sostanzialmente
suddivise in tre categorie:
- documenti che fanno piena prova sino a querela di falso, quali l’atto pubblico ex
art. 2700 c.c. e la scrittura privata autenticata o legalmente considerata tale ex art. 2702
c.c., alla quale è ora equiparato, ex art. 21 comma 2 d.lg. n. 82/2005, il documento
informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica
qualificata;
- documenti che fanno piena prova ove non ne venga disconosciuta la conformità ai
fatti ed alle cose rappresentati, come nel caso delle riproduzioni meccaniche ex art. 2712
c.c., ovvero delle taglie o tacche di contrassegno tra coloro che usano provare in tale modo
le somministrazioni ex art. 2713 c.c.;
- documenti che fanno prova senza ulteriore specificazione (carte e scritture
domestiche ex art. 2707 c.c., annotazione su documento non sottoscritto dal creditore ex
art. 2708 c.c., scritture contabili contro l’imprenditore che le ha redatte ex art. 2709 c.c.),
possono fare prova (scritture contabili regolarmente tenute nei rapporti tra imprenditori
ex art. 2710 c.c.), possono valere come principio di prova (altre copie rilasciate dai pubblici
ufficiali ex art. 2717 c.c.).
A tali norme di diritto sostanziale occorre rinviare per ogni ulteriore approfondimento.
6. Prove testimoniali: cenni
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2697-2698, 2721-2739 – c.p.c. 202-209, 233-257.
BIBLIOGRAFIA: Taruffo 1988 – Beghini 1997 – Comoglio 1997 – Grasselli 1997 – Lombardo
1999 – Ambrosini 2006 – Barbagallo 2007 – Merz 2008 – Montesano-Arieta 2008 – Conte
2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi 2010 –
Proto Pisani 2010.
Si è detto che la prova testimoniale è il tipico esempio di prova costituenda, e cioè
di una prova a formazione endoprocessule che, a differenza del documento, classica prova
costituita, richiede per la sua formazione un provvedimento complesso che si sviluppa
attraverso le fasi della deduzione, dell’ammissione e dell’espletamento.
Le altre prove costituende sono l’interrogatorio e la confessione ex artt. 2730-2735 c.c. e
228-232 c.p.c.; il giuramento ex artt. 2736-2739 c.c. e 233-243 c.p.c.; l’ispezione giudiziale
ex artt. 258-262 c.p.c.; il rendimento dei conti ex artt. 263-266 c.p.c.; la stessa CTU, come
più oltre si vedrà, nei limiti in cui si tratta di CTU percipiente, quindi vera e propria
prova, piuttosto che mezzo di valutazione delle prove come la CTU deducente.
Pur se è quasi istintiva un’immediata associazione tra processo civile e
testimonianza, essendo quest’ultima evenienza molto frequente nell’istruttoria, è del tutto
evidente che il Legislatore non guarda con favore, e guarda anzi con grande diffidenza, alla
prova testimoniale, che è addirittura vietata nel processo tributario (cfr. art. 7, comma 4,
d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546); ed era vietata anche nel processo amministrativo (cfr. art.
44, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), ove invece è oggi ammessa con limitazioni (cfr. art. 63,
comma 3, d.lg. 2 luglio 2010, n. 104).
Quanto al processo civile, i limiti di ammissibilità della prova testimoniale posti dagli artt.
2721 e ss. c.c. e da altre specifiche norme (quali gli artt. 239 e 241 c.c. in tema di filiazione
legittima, 1417 c.c. in tema di simulazione, 2735 c.c. in tema di confessione stragiudiziale,
621 c.p.c. in tema di opposizione del terzo ad esecuzione mobiliare), derivano
presumibilmente sia da ragioni ricollegate alle necessarie lungaggini collegate alla
deduzione, articolazione ed assunzione della prova; sia soprattutto dalla ritenuta
ontologica inaffidabilità del mezzo di prova stesso.
Da quest’ultima angolazione, infatti, sono innegabili i naturali limiti della capacità di
percezione e di memoria delle persone, che ben può essere imprecisa, fuorviata od
influenzata; ed altrettanto innegabile è la possibilità che, consapevolmente od anche solo
inconsapevolmente, il teste tenda a favorire una delle parti in causa.
Ciò spiega perché le limitazioni alla prova per testi sono peculiarità di diversi ordinamenti,
tant’è che le limitazioni legali all’ingresso nel processo della prova testimoniale, trovano
un precedente storico sin dall’art. 1341 del Codice Napoleonico.
Detto del disfavore legislativo nei confronti della prova testimoniale, va però
evidenziato che, per i pacifici principi processualcivilistici, una volta che il mezzo
probatorio abbia superato il vaglio dell’ammissibilità, il medesimo fatto può essere
dimostrato sia con prova documentale, sia con prova testimoniale.
I principi costituzionali di uguaglianza delle parti, di rispetto del contraddittorio e di
diritto alla prova, infatti, impongono la piena equiparazione dei mezzi di prova sul piano
strettamente processuale, posto che tanto la prova costituita, quanto la prova
costituenda, sono espressione del diritto di difesa codificato dagli artt. 24 e 111 Cost.
Ne consegue che, mentre è più che doverosa un’oculata e ragionata valutazione circa
l’ingresso nel processo di prove testimoniali realmente ammissibili e rilevanti ai fini della
decisione; d’altro canto, è del tutto priva di spessore giuridico la formula, troppo spesso
utilizzata a livello di giurisprudenza di merito, per la quale un capo testimoniale sarebbe
inammissibile in quanto relativo a circostanza che ‘ben potrebbe essere provata per
iscritto’.
In realtà, tale assunto sembra piuttosto volto a censurare come inattendibile la
deposizione; mentre l’inattendibilità della deposizione deve necessariamente essere statuita
successivamente all’espletamento della prova ed in sede di valutazione della stessa, non già
in sede preventiva rispetto all’assunzione (tra le tante, Cass. civ., Sez. Lav., 12 maggio
2006,
n.
11034,
CED,
2006;
MGI,
2006).
Solo
infatti
il profilo
giuridico
dell’inammissibilità, all’evidenza parametro del tutto diverso dal profilo fattuale
dell’inattendibilità, può impedire in via preventiva l’ingresso della prova testimoniale nel
processo (Cass. civ., Sez. III; 30 marzo 2010, n. 7763, in CED, 2010).
Come più sopra illustrato in tema di prove libere, la valutazione delle risultanze
della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta tra le varie
testimonianze di quella più idonea a sorreggere la motivazione, involvono apprezzamenti
di fatto riservati al giudice del merito, il quale non incontra altro limite se non quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento e non è censurabile in Cassazione (Cass. civ.,
Sez. Lav., 5 ottobre 2010, n. 21412, in CED, 2006; MGI, 2006).
Qualora peraltro il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove
testimoniali, egli ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per
Cassazione, al fine di consentire il vaglio di legittimità, ma anche di specificare i punti
ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una
inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica
dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata
insufficiente o illogica (Cass. civ., Sez. Lav., 12 marzo 2009, n. 6023, CED, 2009).
Per completezza espositiva, occorre rimandare agli articoli 2721-2726 circa i limiti
di ammissibilità delle prove testimoniali e le eccezioni ai divieti; all’articolo 1417 c.c. circa
i limiti di prova nella simulazione; all’art. 421 comma 2 c.p.c. circa le eccezioni al divieto di
prova testimoniale nel caso di intervento d’ufficio del giudice nel rito del lavoro; all’art.
246 c.p.c. circa l’incapacità a testimoniare.
7. Testimonianza de relato
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2735 – c.p.c. 116.
BIBLIOGRAFIA: Beghini 1997 – Grasselli 1997 – Ambrosini 2006 – Barbagallo 2007 – Merz
2008 – Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010
– Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010.
Si ha deposizione de relato quando un teste narra fatti che non hanno formato
oggetto della sua diretta ed immediata percezione sensoriale, ma che sono invece stati
riferiti da terze persone, con la conseguenza che si tratta di una narrazione di secondo
grado.
E’ pacifico che la testimonianza de relato ha un’efficacia probatoria ben minore di quella
diretta, pur se è necessario al proposito distinguere tre differenti tipologie: la
testimonianza relativa a dichiarazioni fornite al teste da un terzo estraneo alla lite, la
testimonianza relativa a dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da una parte, la
testimonianza relativa a dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste da una parte.
Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni rese al teste da un terzo estraneo
alla lite, si parla genericamente di deposizione de relato. Tale testimonianza, integrando
una prova meramente indiziaria, può acquisire rilevanza attraverso il riscontro di altre
circostanze oggettive e concordanti che ne suffraghino la credibilità, ed in tal modo
influenzare il convincimento del Giudice (Cass. civ., Sez. Lav., 24 marzo 2001, n. 4306,
MGI, 2001). All’evidenza, ben è possibile, rispetto alla deposizione de relato, indurre come
teste di riferimento ex art. 257, comma 1, c.p.c. il terzo dal quale l’informazione è stata
resa, onde ottenere sul punto una testimonianza piena.
Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da
una parte, si parla di deposizione de relato ex parte. Tale testimonianza, se considerata di
per sé sola e senza il conforto di altri elementi, non ha valore probatorio, nemmeno
indiziario, e la sua rilevanza processuale, in tal caso, “è sostanzialmente nulla” (Cass. civ.,
Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8358, CED, 2007; MGI, 2007), potendo peraltro spiegare una
qualche efficacia probatoria alla sola rigorosa condizione che circostanze oggettive o
soggettive ad essa estrinseche ne confortino la credibilità o altre risultanze probatorie ne
suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a comportamenti intimi
e riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di indagine (cfr.
Cass. civ., Sez. I., 8 febbraio 2006, n. 2815, CED, 2006; MGI, 2006).
Nel caso infine la testimonianza relativa a dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste
da una parte, si parla di deposizione de relato ex parte contra se, la quale può integrare una
confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal Giudice con valutazione ex art.
2735 c.c.
8. Tipologia ed efficacia delle prove atipiche
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 116.
BIBLIOGRAFIA: Taruffo 1973 – Cavallone 1978 – Montesano 1980 – Viazzi 1999 – Taruffo
1999 – D’Alessandro 1999 – Ricci 1999 – Maero 2001 – Lazzaro 2003 – Merz 2008 –
Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 –
Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010.
Si possono definire prove atipiche quelle che non si trovano ricomprese nel catalogo
dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge.
Va in proposito osservato che nell’ordinamento civilistico manca una norma generale,
quale quella prevista dall’art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente
l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, l’assenza di una norma di
chiusura nel senso dell’indicazione del numerus clausus delle prove, l’oggettiva estensibilità
contenutistica del concetto di produzione documentale, l’affermazione del diritto alla
prova ed il correlativo principio del libero convincimento del giudice, inducono le ormai da
anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza, ad escludere che l’elencazione delle
prove nel processo civile sia tassativa, ed a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche
(cfr. da ultimo Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2010, n. 5440, CED, 2010. Negli stessi termini,
Cass. civ., Sez. II, 25 marzo 2004, n. 5965, CED, 2004; MGI, 2004; Gius, 2004, 3172. Per la
Sezione Lavoro, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 27 marzo 2003, n. 4666, AC 2004, 130; Gius,
2003, 15, 470; LG 2003, 879; MGI, 2003; MGL, 2004, 6, 227).
Se contrasto vi è tra dottrina e giurisprudenza, esso è forse nel senso che la dottrina
ha addirittura evidenziato il pericolo di una “utilizzazione indiscriminata” (Viazzi) e di un
“abuso delle prove atipiche” (Taruffo).
In realtà, è stato però efficacemente controbattuto che il rimedio a tale paventato rischio è
semplicemente dato dall’assoluto rispetto del contraddittorio delle parti (Montesano),
tenuto conto che l’ingresso della prova atipica nel processo civile non può che essere
effettuato con lo strumento della produzione documentale, e deve conseguentemente
soggiacere ai limiti temporali posti a pena di decadenza ed alla possibilità ex adverso di
replicare, interloquire e controdedurre, ciò che è peraltro confermato dalla giurisprudenza
richiedendo la produzione del documento integrante la prova atipica, nel rispetto delle
preclusioni istruttorie (inequivoca, sul punto, la recentissima Cass. civ., Sez. II, 5 marzo
2010, n. 5440, CED, 2010. Cfr anche le più datate Cass. civ., Sez. I, 4 giugno 2001, n. 7518,
MGI, 2001 e Cass. civ., Sez. II, 19 settembre 2000, n. 12422, MGI, 2000). All’evidenza,
secondo quanto vale in termini più generali per tutte le prove documentali, resta ferma la
possibilità per il Giudice di valutare rilevanza ed ammissibilità della prova atipica ai fini
della sua utilizzabilità, ad esempio sotto il profilo della tempestività della produzione, non
anche di espungerla materialmente dal fascicolo (Cass. civ., Sez. I, 7 marzo 1995, n. 2652,
MGI, 1995).
Detto quindi che non si dubita dell’ammissibilità delle prove atipiche e della loro
parificazione alle prove documentali per l’ingresso nel processo, la questione realmente
rilevante è quella relativa alla loro efficacia probatoria, che è comunemente indicata come
relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova (cfr. Cass. civ., Sez.
II, 9 settembre 2004, n. 18131, GDir, 2004, 46, 85), pur se è stato osservato che la dottrina
sembra più prudente della giurisprudenza nel valorizzarne l’efficacia probatoria.
Va peraltro segnalato come sia sostanzialmente impossibile ricondurre concettualmente ad
unità le prove atipiche conosciute dall’esperienza giurisprudenziale.
Invero, alcune di esse si caratterizzano per il fatto che l’atipicità dipende dalla circostanza
che la prova, pur se astrattamente tipica, è stata raccolta in una sede diversa da quella ove
viene adoperata (si pensi alla testimonianza resa in un processo penale ed utilizzata in un
processo civile); altre sono connotate dall’utilizzo di mezzi probatori tipici con una finalità
diversa da quella che tradizionalmente è loro riservata (si pensi ai chiarimenti resi dalle
parti al CTU ed alle informazioni da lui assunte presso i terzi); in altre ancora, l’atipicità
dipende dalla stessa fonte probatoria, e cioè dalla modalità con cui la prova viene acquisita
al giudizio (si pensi alle dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere
assunte come testi, od alle valutazioni tecniche delle perizie stragiudiziali che potrebbero
essere effettuate in sede di CTU).
9. Catalogo delle prove atipiche
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.c. 2699, 2700, 2702 – c.p.c. 62, 115, 116, 195, 214, 215; – c.p.p.
444, 654.
BIBLIOGRAFIA: Taruffo 1973 – Cavallone 1978 – Montesano 1980 – Viazzi 1999 – Comoglio
1998 – Taruffo 1999 – D’Alessandro 1999 – Ricci 1999 – Maero 2001 – Lazzaro 2003 –
Merz 2008 – Montesano-Arieta 2008 – Briguglio 2009 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena
2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010.
Diverse sono le fattispecie nelle quali la giurisprudenza ritiene processualmente
rilevanti ipotesi di prove atipiche.
a. Scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale.
A differenza di quanto previsto dall’art. 283 del codice di rito del 1865, l’attuale codice
civile non prevede tra le prove la scrittura attribuita a terzi; pertanto, la stessa, non
essendo assimilabile alla scrittura privata, non è soggetta alla disciplina sostanziale
dell’art. 2702 c.c., non avendo l’efficacia probatoria legale della scrittura privata, né è
soggetta alla disciplina processuale degli artt. 214-215 c.p.c., non dovendo essere
disconosciuta e non essendo necessaria impugnarla per falsità (Cass. civ., Sez. II, 27
novembre 1998, n. 12066, MGI, 1998), potendosi invece con qualsiasi mezzo di prova
contestarne il contenuto. Conseguentemente, tali scritti di terzi non sono idonei a
costituire, di per sé soli, fonte di convincimento del Giudice.
Tuttavia, la giurisprudenza è costante nel ritenere che le dichiarazioni a contenuto
testimoniale comprese in detti documenti, in difetto di contestazione ad opera della parte
contro cui sono prodotte ed in concorso con altri elementi, possono essere liberamente
apprezzate nel loro valore indiziario dal Giudice, ben potendo integrare fonte del suo
convincimento (Da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 23 giugno 2010, n. 15169, CED, 2010;
CorG, 2011, 2, 201. Così anche Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23554, CED, 2008;
MGI, 2008. Negli stessi termini, Cass. civ., Sez. III, 30 novembre 2005, n. 26090, CED,
2005; MGI, 2005). In tutta evidenza, laddove poi il terzo sia chiamato alla conferma
testimoniale del contenuto del documento, non si potrà parlare di scrittura privata
riconosciuta, non essendo il documento riferibile alla controparte bensì appunto ad un
terzo, ma nemmeno di mero indizio, in ragione della conferma testimoniale: in tal caso, si
avrà una normale prova testimoniale, come tale valutabile dal Giudice.
Ora, peraltro, la testimonianza scritta è stata espressamente disciplinata dal Legislatore,
che con la L. n. 69/2009, inserendo l’articolo 257 bis c.p.c. nel tessuto codicistico, l’ha
introdotta, sia pure circondandola da cautele preventive (comma 1: “Il giudice, su accordo
delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre”), e
successive (comma 8: “Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre
che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato”). Consegue
che, laddove la testimonianza scritta sia resa con le modalità indicate dalla novella
codicistica, si è in presenza di una prova tipica, e non già di una prova atipica; mentre,
secondo l’opinione che appare preferibile, non si ha la nullità di uno scritto di contenuto
testimoniale proveniente da terzi reso in forme diverse da quelle previste dall’articolo 257
bis c.p.c., continuando lo stesso ad integrare una prova atipica (Briguglio).
b. Verbali di prove espletate in altri giudizi.
Nel rito processualcivilistico manca una norma come quella dell’art. 238 c.p.p., che nel
processo penale disciplina in modo generale l’acquisizione di verbali di prove di altro
procedimento, conferendo loro, laddove esse siano state formate in processi in cui
l’imputato era parte, dignità di piena prova anche nel processo penale nel quale trovano
ingresso.
Nel processo civile, invece, l’unica norma di riferimento è quella specificamente posta
dall’art. 310, comma 3, c.p.c. relativa al valore indiziario delle prove raccolte in un
processo estinto (per un’applicazione, vedi Cass. civ., Sez. Un., 8 aprile 2008, n. 9040, in
CED, 2008; MGI, 2008). Tuttavia, sulla base di tale disposizione, è stato enucleato un
principio generale per il quale i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in giudizi
penali od amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnica-peritale, hanno
valore di mero indizio, e ciò non solo laddove le prove siano state raccolte in un processo
tra le stesse parti (Cass. civ., Sez. II, 11 giugno 2007, n. 13619, CED, 2007; MGI, 2007),
ma anche tra altre parti (Cass. civ., Sez. Lav., 25 febbraio 2011, n. 4652, CED, 2011. Cfr.
anche Cass. civ., Sez. III, 31 ottobre 2005, n. 21115, MGI, 205; CED, 2005. Con specifico
riferimento all’utilizzazione di una CTU espletata nel processo penale, cfr. Cass. civ., Sez.
Lav., 5 dicembre 2008, n. 28855, MGI, 2008; CED, 2008; LG, 2009, 6, 597); e dette prove
possono essere vagliate dal giudice senza che egli sia vincolato dalla valutazione fatta dal
giudice della causa precedente (Cass. civ., Sez. III, 2 marzo 2004, n. 4186, GDir, 2004, 15,
79; Cass. civ., Sez. Lav., 16 maggio 2000, n. 6347, MGI, 2000).
Nel caso di prova assunta in un giudizio straniero, non essendo la fattispecie regolata dalla
L. n. 218/1995, è stato convincentemente sostenuto che occorre preliminarmente valutare
la compatibilità del mezzo di prova con i principi dell’ordinamento, così come
indirettamente desumibile dagli artt. 64 e 69, comma 4, L. n. 218/1995, e soltanto in caso
di esito positivo vagliare il valore indiziario.
Ovviamente, del tutto diversa è la situazione della riassunzione della causa civile davanti
al giudice competente a seguito di provvedimento ex art. 50 c.p.c.: in tal caso, gli atti
istruttori disposti ed espletati dal giudice dichiarato poi incompetente, mantengono la
propria efficacia probatoria ordinaria, in quanto la translatio iudicii presuppone la valida
costituzione dell’intero procedimento e la mera prosecuzione della controversia davanti ad
altro Giudice.
c. Atti dell’istruttoria penale od amministrativa.
Relativamente agli atti assunti nel corso del procedimento penale da parte del P.M.
personalmente o tramite la polizia giudiziaria (quali ad esempio le informative della P.G.
relative agli incidenti stradali), ai verbali di accertamento amministrativo (quali ad
esempio quelli degli ispettori del lavoro o dei funzionari degli enti previdenzialiassistenziali), agli atti e certificati amministrativi (quali quelli anagrafici e catastali), va
osservato che essi, per un verso, non sono atti propri di un processo dibattimentale, ma per
altro verso sono atti formati da pubblici ufficiali.
Pertanto, come tali fanno fede sino a querela di falso della provenienza dal pubblico
ufficiale che li ha firmati e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua
presenza o essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze, quali le dichiarazioni
raccolte, sono soggette al prudente apprezzamento del Giudice e possono essere
controbattute con qualsiasi prova (giurisprudenza pacifica a partire da Cass. civ. Sez. Un.,
25 novembre 1992, n. 12545, FI, 1993, I, 2255; MGI, 1992; MGL, 1993, 547; RCP, 1993,
826; RGCT, 1993, 547; RGFAm, 1998, 47, 67. Da ultimo, Cass. Civ., Sez. III, 9 settembre
2008, n. 22662, in CED, 2008).
In particolare, il giudice di merito, in mancanza di divieto, può liberamente avvalersi delle
risultanze degli atti di indagini preliminare svolti in sede penale, le quali possono anche
essere sufficienti a formare il convincimento del Giudice, la cui motivazione non è
sindacabile in sede di legittimità quando la motivazione stessa è estesa a tutte le successive
risultanze probatorie e non si limita ad un apprezzamento della sola fonte di prova
penalistica, utilizzata invece come utile e concorrente elemento di giudizio (Cass. civ., Sez.
III, 15 ottobre 2004, n. 20335, CED, 2004; MGI, 2004. Cass. civ., Sez. III, 10 ottobre
2003, n. 15181, AC, 2004, 966; GIUS, 2004, 6, 839; MGI, 2003).
Quanto poi all’attestazione amministrativa, pur se non può costituire piena prova a favore
dell’Amministrazione da cui essa provenga e che di essa intenda avvalersi in causa, può
comunque assumere valore indiziario e formare il convincimento del giudice in
associazione ad altri elementi (Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2000, n. 1320, MGI, 2000).
d. Chiarimenti resi al CTU, informazioni da lui assunte, risposte eccedenti il
mandato e perizia resa in un diverso giudizio.
Circa l’efficacia probatoria dei chiarimenti resi dalle parti al CTU e dalle informazioni da
lui assunte da terzi, si rileva che i chiarimenti resi non hanno valore confessorio o
negoziale, mentre le informazioni assunte non possono essere considerate vere e proprie
prove testimoniali. In un caso e nell’altro, si è in presenza di elementi aventi valore
meramente indiziario di argomento di prova, rientranti nella categoria delle prove
atipiche.
Parimenti, nel caso di accertamenti e risposte fornite dal consulente oltre l’ambito dei
quesiti affidatigli, pur in materia attinente e comunque non estranea all’oggetto
dell’indagine peritale, dottrina e giurisprudenza parlano di argomenti di prova, ed in
particolare di prova atipica, non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di
trarre elementi di convincimento anche dalla parte di consulenza d’ufficio eccedente i
limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione
della quale è stata disposta (Cass. civ., Sez. II, 25 marzo 2004, n. 5965, CED, 2004; GIUS,
2004, 3172; MGI, 2004, 3172. Perfettamente in termini anche la più datata Cass. civ., Sez.
II, 18 dicembre 1999, n. 14272, MGI, 1999).
Circa infine la CTU espletata in un diverso giudizio fra le stesse od altre parti, come già più
sopra indicato, va ribadito che deve sempre parlarsi di principio di prova (con riferimento
alla perizia disposta dal Giudice penale, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 5 dicembre 2008, n.
28855, MGI, 2008; CED, 2008; LG, 2009, 6, 597. Con riferimento alla consulenza disposta
dal P.M., cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2004, n. 11013, GDir, 2004, 36, 49).
e. Perizie stragiudiziali.
Si tratta di accertamenti giurati, posti in essere da tecnici al di fuori del giudizio, che come
tutti i documenti preesistono al processo, ma che all’evidenza vengono formati al fine di
un utilizzo nell’ambito di un instaurando giudizio.
Vi è concordia nel ritenere che, anche in questo caso, si debba parlare di valore indiziario
discrezionalmente valutato dal Giudice (da ultimo, cfr. Cass. civ., Sez. III, 22 aprile 2009,
n. 9551, CED, 2009; MGI, 2009), senza che possa parlarsi di piena efficacia probatoria
nemmeno per i fatti che il perito asserisce di avere accertato (Cass. civ., Sez. II, 19 maggio
1997, n. 4437, MGI, 1997) e con la necessità da parte del giudice stesso, laddove utilizzi la
perizia stragiudiziale ai fini della decisione, di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto la
stessa attendibile e convincente, anche in relazione ad elementi di diversa provenienza
(Cass. civ., Sez. II, 11 ottobre 2001, n. 12411, MGI, 2001).
Nessun dubbio vi è però sul fatto che la parte che abbia prodotto la perizia giurata, possa
dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal
consulente, le quali, se confermate, diverranno prova testimoniale, che come tale dovrà
essere valutata dal Giudice.
f. Sentenze di altri processi civili.
La sentenza civile, oltre a produrre gli effetti propri del giudicato tra le parti ex art. 2909
c.c., può avere, anche rispetto ai terzi che non sono parti del giudizio, la diversa efficacia di
prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto
dell’accertamento giudiziale. Tale efficacia indiretta di prova documentale rispetto ai terzi
che non sono parti nel giudizio, pur se non vincolante per il giudice, può essere invocata da
chi vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale
scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di
giudizio presenti negli atti di causa (Cass. civ., sez. Lav., 5 novembre 2009, n. 23446, CED,
2009. Conforme la precedente Cass. civ., Sez. Lav., 9 luglio 2003, n. 11682, AC, 2004, 654;
GIUS, 2004; MGI, 2003; MGL, 2004, 6, 244).
g. Sentenze penali e sentenze di patteggiamento.
E’ noto che le sentenze penali, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., hanno efficacia di giudicato nel
processo civile o amministrativo, “nei confronti dell’imputato, della parte civile e del
responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale”, quando “si
controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende
dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti
accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non
ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”.
Al di fuori di tale ipotesi, il Giudice civile può comunque trarre elementi di giudizio, sia
pure non vincolanti, dalle sentenze penali non irrevocabili, utilizzando come fonti le
risultanze dei mezzi di prova esperiti e gli elementi di fatto acquisiti nel giudizio, pur se
occorre dare conto del procedimento di formazione del proprio convincimento attraverso
l’indicazione degli elementi sui quali esso si fonda, posto che il generico richiamo alla
pronuncia penale si tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione da
parte del giudice civile ed in omessa motivazione (Cass. Civ., Sez. III, 27 aprile 2010, n.
10055, CED, 2010. Cass. Civ., Sez. I., 15 febbraio 2001, n. 2200, MGI, 2001).
Quanto alla sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.c., spetta al giudice il potere-dovere
di accertare e valutare in via autonoma i fatti di causa per trarre elementi di giudizio,
sottoponendo la sentenza a vaglio critico. Detta sentenza, pur ontologicamente diversa da
una vera e propria pronuncia di condanna, non impedisce che, alla stregua dei pacifici
principi generali, possa procedersi, nel corrispondente giudizio in sede civile ed ai fini della
relativa decisione, all’accertamento autonomo ed incidentale dei fatti illeciti del giudizio
penale; e che tale accertamento autonomo ed incidentale del giudice civile possa fondarsi
sulla stessa sentenza di patteggiamento, quale “indiscutibile elemento di prova che ben può
essere utilizzato, anche in via esclusiva, per la formazione del proprio convincimento, dal
giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di
spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità
ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” ritenendo di non procedere al
proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (giurisprudenza consolidata ed utilizzata da tutte le
sezioni della Suprema Corte: ex pluribus, cfr. Cass. civ., Sez. V, 8 settembre 2008, n. 22548,
Cort, 2008, 39, 319. Cass. civ., Sez. Lav., 26 ottobre 2005, n. 20765, CED, 2005; MGI,
2005; LG, 2006, 5, 500. Cass. civ., Sez. I, 22 dicembre 2004, n. 23771, Soc, 2005, 465).
10. Prove illegittime ed irrilevanti
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 62, 115, 116 – L. 300/1970 2, 3, 4 – DPR 445/2000 47.
BIBLIOGRAFIA: Ricci 1987 – Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena
2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Proto Pisani 2010.
Dalla prova atipica va distinta la prova illegittima, perché mentre la prima è quella
non prevista dall’ordinamento, la seconda è quella effettivamente prevista dalla legge, ma
acquisita nel processo al di fuori delle regole stabilite dal diritto sostanziale (si pensi
all’assunzione testimoniale di un teste incapace) o processuale (quale ad esempio un mezzo
di prova assunto senza che una delle parti sia stata ritualmente notiziata).
Per dette prove vale il criterio di assoluta inutilizzabilità, non avendo cittadinanza nel
nostro ordinamento il brocardo latino male captum bene retentum.
Pertanto, si è così ad esempio esclusa l’utilizzabilità delle prove acquisite in violazione
degli artt. 2-4 L. n. 300/1970 (Cass. civ., Sez. Lav., 9 giungo 1989, n. 2813, NGiL, 1989,
289).
Parimenti, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, nessuna rilevanza
probatoria, nemmeno indiziaria, può avere la dichiarazione sostituiva dell’atto di
notorietà prevista dall’abrogato art. 4 L. n. 15/1968 e dal vigente art. 47 DPR n. 445/2000,
ovvero la dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, le quali
hanno attitudine certificatoria e probatoria, sino a prova contraria, solo nei confronti della
PA ed in determinate attività o procedure amministrative.
In difetto di diversa, specifica previsione di legge, nessuna rilevanza probatoria può infatti
essere attribuita a tale autocertificazione nel giudizio civile, caratterizzato dal principio
dell’onere della prova (per tutte e da ultimo, in tema di autocertificazione, cfr. Cass. civ.,
Sez. III, 28 aprile 2010, n. 10191, CED, 2010. In tema di dichiarazione sostitutiva di
certificazione reddituale, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 26 maggio 2009, n. 12131, CED, 2009;
MGI, 2009).
Ciò si spiega, per un verso, in ragione del fatto che la parte non può lucrare elementi di
prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c., da
proprie dichiarazioni; per altro verso, in ragione del fatto che, diversamente opinando, si
ammetterebbe, in contrasto con gli artt. 233 ss c.p.c., un giuramento decisorio non deferito
dalla controparte, unica cui l’ordinamento attribuisce la facoltà di sceglierne il rischio.
11. CTU come mezzo di prova
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 62, 115, 116, 191-201.
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1971 – Denti – 1972 – Taruffo 1992 – De Tilla 1993 – Protettì E.Protettì’ M.P. 1999 – Bellumat 2007 – Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 –
Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Potetti 2010 – Proto Pisani
2010.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio, pur non potendo certo essere considerata a stretto
rigore come un mezzo di prova in senso proprio, rientra tuttavia certamente tra i mezzi
istruttori in senso lato. E’ stato infatti acutamente osservato che tale collocazione
sistematica si impone in ragione del fatto che la CTU, disciplinata dagli articoli 191-201
c.p.c., è comunque collocata nell’ambito della sezione codicistica dedicata all’istruzione
probatoria, pur se prima di quella relativa all’assunzione dei mezzi di prova in generale di
cui agli articoli 202-209 c.p.c.
Secondo la tradizionale nozione che ne viene data, la CTU costituisce un
subprocedimento che determina l’ingresso nel processo di un ausiliario del Giudice, cui il
Giudice stesso fa ricorso per integrare le proprie conoscenze nell’attività di valutazione ed
apprezzamento delle prove che le parti hanno già offerto.
Ne consegue che la CTU non è fonte di prova nella disponibilità delle parti, ma piuttosto lo
strumento che consente al Giudice di acquisire un bagaglio di conoscenze ed esperienze
tecniche che sfuggono all’ordinaria preparazione di un magistrato.
Consegue altresì che la CTU rientra nella piena disponibilità, anche temporale, del
Giudice, e la sua eventuale sollecitazione ad opera delle parti non è quindi soggetta alle
preclusioni istruttorie poste dalla legge processuale per le parti stesse (Cass. civ., Sez. II, 15
aprile 2002, n. 5422, AC, 2002; AGCSS, 2003, 237; MGI, 2002. Con specifico riferimento al
rito del lavoro, cfr. Lav., 7 dicembre 2005, n. 27002, CED, 2005; MGI, 2005).
E consegue infine che la CTU non può essere utilizzata per esonerare le parti dal loro onere
probatorio, non essendo consentita una relevatio ab onere probandi ad opera della
consulenza (per tutte, Cass. civ., Sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, CED, 2007; MGI,
2007).
Tuttavia, le conclusioni sopra esposte circa l’inidoneità della consulenza tecnica ad
integrare un mezzo probatorio, apparentemente scontate e pacifiche secondo il
tradizionale insegnamento giurisprudenziale e dottrinale, diventano sfumate ed
evanescenti, sino ad essere del tutto disattese, nel caso di CTU relativa a fatti
determinabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche.
Hanno infatti chiarito dottrina e giurisprudenza che, laddove un fatto non sia percepibile
nella sua intrinseca natura se non con cognizioni o strumentazioni tecniche che il Giudice
non possiede, o comunque risulti di più agevole, efficace e funzionale accertamento, ove
l’indagine sia condotta da un ausiliario dotato di specifiche cognizioni tecnico-scientifiche,
la CTU può costituire una vera e propria fonte oggettiva di prova (in questo senso e con
riferimento alla CTU grafologica, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 19 gennaio 2011, n. 1149, CED,
2011. Più in generale, cfr. Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990, BLT, 2006, 2, 464;
CED, 2006; MGI, 2006).
In tali casi, ove si è detto la consulenza tecnica d’ufficio costituisce essa stessa fonte
oggettiva di prova in quanto diretta ad accertare fatti, si suole parlare di CTU percipiente,
per distinguere la figura dalla CTU deducente, id est la tradizionale forma di consulenza
destinata a valutare fatti già acquisiti al processo e quindi tendenzialmente esperita dopo
l’espletamento dei mezzi di prova.
Tra l’altro, che la CTU possa svolgere un ruolo non soltanto di valutazione di una prova
già acquisita, ma anche di integrazione della prova stessa, può normativamente desumersi
dall’art. 259 c.p.c., che in tema di ispezione giudiziale prevede la possibile partecipazione
del consulente; e dall’art. 261 c.p.c., che facoltizza l’esecuzione dell’esperimento giudiziario
mediante un esperto.
E’ stato poi convincentemente evidenziato che l’evoluzione giurisprudenziale non può che
volgere verso un utilizzo sempre più diffuso della CTU-prova, in ragione dell’incalzante
progresso tecnologico, che consente di ricorrere all’accertamento giudiziale dei fatti con
tecniche e metodologie scientifiche sempre più raffinate e sofisticate, in grado di superare e
soppiantare il sapere dell’uomo medio.
Anche peraltro nel caso di CTU percipiente, la parte non può comunque sottrarsi del tutto
all’onere probatorio e rimettere in toto l’accertamento della propria posizione processuale
all’attività del consulente, essendo comunque necessario che quantomeno vengano dedotte
le circostanze e gli elementi specifici posti a fondamento del diritto azionato; e non
potendo quindi la CTU risolversi nell’accertamento di fatti che non sono stati nemmeno
affermati ed allegati in giudizio a sostegno delle proprie domande ed eccezioni.
E’ appena il caso di evidenziare, attesa la notevole diversità delle tematiche, che
altro è la natura probatoria che assume la CTU percipiente, ciò che attiene alla tipologia
del quesito formulato; altro è la generale facoltà, attribuita a tutti i consulenti ex art. 194
comma 1 c.p.c., di “domandare chiarimenti alle parti” e di “assumere informazioni dai terzi”
a seguito di autorizzazione del Giudice, ciò che attiene invece alle modalità di svolgimento
delle operazioni peritali, comprese quelle che hanno ad oggetto una CTU deducente.
12. Valutazione della CTU nella motivazione della sentenza
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 62, 115, 116, 191-201.
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1971 – Denti – 1972 – Taruffo 1992 – De Tilla 1993 – Protettì E.Protettì’ M.P. 1999 – Bellumat 2007 – Montesano-Arieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 –
Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010 – Picardi 2010 – Potetti 2010 – Proto Pisani
2010.
Il noto brocardo latino a tenore del quale il Giudice resta comunque il peritus
peritorum pur dopo la nomina di un CTU, significa che il Giudice stesso non è mai
vincolato dalle conclusioni raggiunte dal CTU. Il principio, peraltro, merita almeno due
precisazioni.
Sotto un primo profilo, la libera valutazione del Giudice riguarda soltanto i pareri di
carattere tecnico e scientifico espressi dal consulente, mentre quando nella perizia siano
contenuti veri e propri accertamenti di fatto, il Giudice potrà trarre dai medesimi
argomenti di prova ex art. 116 comma 2 c.p.c.
Da una seconda angolazione, poi, è stato convincentemente sostenuto da autorevole
dottrina che la teoria della libera valutazione del Giudice quale peritus peritorum,
rappresenta spesso una ‘ipocrisia’ ed una ‘utopia’, di fatto sempre più incompatibile con
l’assegnazione, al consulente, di compiti che richiedono complicate indagini scientifiche,
magari svolte con l’ausilio di particolari strumenti tecnici.
Per tali motivi, ciò che davvero pare rilevante, più che la dogmatica statuizione che
il Giudice è il peritus peritorum, è piuttosto il rapporto tra la motivazione della sentenza e
le conclusioni cui giunge la CTU. E con riferimento a tale tematica, la giurisprudenza
distingue diverse situazioni.
Invero, laddove il Giudice riconosca convincenti le conclusioni cui è giunto il perito, e tali
conclusioni non siano fatte oggetto di specifiche e motivate censure ad opera delle parti o
dei rispettivi CTP, il Giudice non è tenuto ad esporre specificamente le ragioni del suo
convincimento, atteso che l’obbligo di motivazione è già assolto con l’indicazione delle
fonti del convincimento, e quindi con il richiamo alla perizia (per tutte, Cass. civ., Sez. I, 4
maggio 2009, n. 10222, CED, 2009; MGI, 2009. Cass. civ., Sez. Lav., 22 febbraio 2006, n.
3881, AGCSS, 2007, 1, 1996; CED, 2006; MGI, 2006). Resta ovviamente soltanto fermo,
ma ciò non attiene certo alla motivazione in ordine all’accoglimento delle conclusioni della
CTU, quanto piuttosto al generale iter motivazionale del provvedimento decisorio,
l’obbligo di redigere una motivazione completa in ordine alla rilevanza ed alla refluenza
del giudizio peritale sulla decisione adottata di fondatezza o infondatezza della domanda.
Parimenti, laddove il Giudice intenda aderire alle conclusioni peritali, e le stesse già si
siano fatte carico di replicare alle contrarie deduzioni delle parti, la motivazione può
limitarsi al richiamo dell’elaborato peritale, proprio perché già questo dà conto del
percorso logico che sorregge le conclusioni raggiunte e del superamento dei rilievi critici
mossi (per la pacifica giurisprudenza, cfr. Cass. civ., Sez. I, 9 gennaio 2009, n. 282, CED,
2009; MGI, 2009. Cass. civ., Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8355, CED, 2007; MGI, 2007).
Ove invece il Giudice ritenga di condividere le conclusioni della CTU pur in presenza di
critiche precise e puntuali mosse alla perizia, ed astrattamente idonee ad incidere sulla
decisione, relativamente alle quali la CTU stessa non prende posizione, l’onere di
motivazione sarà più pregnante, dovendo il Giudice giustificare l’adesione alle conclusioni
peritali e disattendere le particolareggiate e circostanziate critiche ad esse rivolte (per
tutte, Cass. civ., Sez. III, 24 aprile 2008, n. 10688, CED, 2008; MGI, 2008). Sul punto, poi,
è appena il caso di osservare che, costituendo la nomina del consulente di parte una mera
facoltà ex art. 201 c.p.c., ben potrebbe la parte stessa, anche in assenza del deposito di un
elaborato ad opera del CTP, ovvero in caso di mancata partecipazione del CTP alle
operazioni peritali od anche in caso di mancata nomina del CTP, formulare
successivamente rilievi critici alla CTU.
Allo stesso modo, in caso di dissenso rispetto alle conclusioni del CTU, il Giudice deve
motivare adeguatamente ed esaurientemente le ragioni che lo inducono a discostarsi dalle
valutazioni formulate (Cass. civ., Sez. Lav., 3 agosto 2004, n. 14849, AGCSS, 2005, 758;
CED, 2004; MGI, 2004).
Lo stesso obbligo di motivazione incombe sul Giudice quando, espletate più consulenze
con risultati difformi, ritenga di aderire ad uno dei pareri, a meno che, aderendo alla
seconda consulenza, la stessa non abbia già dato conto del perché debba essere disattesa la
precedente (per tutte, Cass. civ., Sez. Lav., 27 febbraio 2009, n. 4850, CED, 2009; MGI,
2009) o quando, nell’ambito di un’unica consulenza, opti per una tra le molteplici soluzioni
prospettate dal perito.
Come già poi si è visto nel paragrafo sulle prove atipiche, la CTU espletata in un
diverso giudizio fra le stesse od altre parti, può essere apprezzata come principio di prova.
13. Valutazione della CTP e della perizia stragiudiziale nella motivazione della sentenza
LEGISLAZIONE: Cost. 24 – c.p.c. 62, 115, 116, 191-201.
BIBLIOGRAFIA: Andrioli 1971 – Denti 1972 – Taruffo 1992 – De Tilla 1993 – MontesanoArieta 2008 – Conte 2009 – Leanza 2009 – Balena 2010 – Comoglio 2010 – Mandrioli 2010
– Picardi 2010 – Proto Pisani 2010.
Nel caso di nomina del CTU, e solo in tal caso, le parti possono nominare un CTP ai
sensi dell’art. 201 c.p.c. Sul punto, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale del citato articolo 201 c.p.c., con
riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., nella parte in cui, allorché non sia disposta la
consulenza tecnica d’ufficio, non viene consentito alle parti di nominare un proprio
consulente (Corte Cost., ord. 13 aprile 1995 n. 124, GiC, 1995, 970).
Il rispetto del termine fissato dal Giudice ex art. 201 c.p.c. per la nomina del CTP è
unicamente condizione per avere diritto alla partecipazione alle operazioni peritali,
essendo invece sempre consentita una successiva nomina per depositare osservazioni alla
relazione, eventualmente anche nel corpo di una memoria del difensore e pure nelle
comparse conclusionali. Le eventuali ammissioni del CTP non hanno alcun valore
confessorio (Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2003, n. 19189, AC, 2004, 1229; AGCSS,
2004, 1240; CED, 2004; GIUS, 2004, 2255; MGI, 2003), ma incidono solamente circa
l’onere di motivazione del Giudice nel caso di adesione alla CTU, così come più
diffusamente illustrato nel precedente paragrafo. Le spese sostenute dalla parte
relativamente alla CTP possono poi essere richieste in sede di domanda di condanna della
controparte alla rifusione delle spese di lite.
Resta in ogni caso salva la possibilità, anche in assenza di CTU, di produrre in
causa perizie stragiudiziali, sul cui valore probatorio occorre distinguere.
In particolare, come già puntualizzato nel paragrafo relativo alle prove atipiche, la perizia
stragiudiziale, con riferimento alle valutazioni tecniche espresse, integra sotto il profilo
giuridico un semplice mezzo difensivo, al pari delle deduzioni e delle argomentazioni
dell’avvocato, soggetto al libero apprezzamento del Giudice, che può discrezionalmente
valutare il contenuto di detta perizia a livello indiziario ed al pari di ogni documento
proveniente da un terzo. Discende quindi la necessità di un’adeguata motivazione solo
laddove le risultanze di tale perizia vengano poste alla base della decisione (Cass. civ., Sez.
II, 11 ottobre 2001, n. 12411, MGI, 2001); mentre vi è assenza di obbligo motivazionale,
senza necessità di una specifica ed analitica confutazione delle argomentazioni addotte,
laddove si intenda disattendere le conclusioni della perizia stessa (Cass. civ., Sez. III, 26
settembre 2006, n. 20821, AGCSS, 2007, 10, 1084; CED, 2006; MGI, 2006).
Con riferimento poi ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, la perizia
stragiudiziale non ha valore probatorio, non essendo prevista dall’ordinamento la
precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ma solo valore indiziario.
Tuttavia, “alla parte che ha prodotto la perizia giurata è riconosciuta la facoltà di dedurre
prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, che, se
confermate dal medesimo in veste di testimone, possono acquisire dignità e valore di prova,
sulla quale allora il giudice di merito dovrà, esplicitamente o implicitamente, esprimere la
propria valutazione ai fini della decisione” (Cass. civ., Sez. II, 19 maggio 1997, n. 4437,
MGI, 1997).
Infine, è opportuno segnalare che, per la nomina del CTP, le parti non sono tenute
a scegliere un professionista iscritto all’albo di cui all’art. 13 disp. att. c.p.c., per l’evidente
ragione che, in base al piano disposto letterale della norma, tale iscrizione è necessaria ai
soli fini della nomina del CTU, non anche del CTP.
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SATTA, Commentario al Codice di procedura civile, I, Milano, 1966, 465;
VECCHI, Piena discrezionalità del giudice di ricorrere alla richiesta di informazioni alla
p.a. disciplinata dall’art. 213 c.p.c., DG, 2009, 27;
VERDE, Prova- diritto processuale civile, Enc. Dir. XXXVII, Milano, 1988;
VERDE, Prova documentale-diritto processuale civile, Enc. Giur. Treccani, XXIV,
Roma, 1991;
VIAZZI, Poteri del Giudice e prassi giurisprudenziali nell’istruzione probatoria: una serie
di questioni aperte, Quaderni del CSM, 1999, n.108, 266;
ZINGALES, Diritto alla prova, coerenza normativa e profili di incostituzionalità degli
artt., 118 e210 c.p.c., GC, 2000, I, 2128.
Gianluigi Morlini
Giudice del Tribunale di Reggio Emilia
LA NON CONTESTAZIONE ED IL FATTO NOTORIO
COME LIMITI ALL’ONERE PROBATORIO
1. L’irrilevanza della prova di un fatto non contestato
In tutta evidenza, non abbisogna di essere provato, e pertanto una prova dedotta sul
punto dovrà essere dichiarata irrilevante, il fatto non contestato. Peraltro, in assenza di una
definizione normativa1, è proprio la nozione di non contestazione in senso giuridico ad essere
controversa in giurisprudenza, con la conseguenza che, a seconda delle ricostruzioni che si
intendono seguire relativamente a tale nozione, determinate prove, nel caso concreto, saranno
ritenute rilevanti od irrilevanti, in quanto vertenti su circostanze che accedendo ad una
definizione di non contestazione risulteranno pacifiche, ma accedendo ad una diversa
definizione tali non saranno2.
In particolare, la tradizionale e maggioritaria giurisprudenza, con massime da anni
ricorrenti ed ormai tralatizie, ritiene che i fatti allegati possano essere considerati pacifici
senza la necessità di darne prova, solo in tre casi, e cioè allorquando l’altra parte li abbia
esplicitamente ammessi; ovvero abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente
incompatibili con il disconoscimento; ovvero si sia limitata a contestare esplicitamente e
specificamente alcune circostanze, con ciò implicitamente riconoscendo le altre3. In sostanza,
più che di fatti non contestati, si tratta di fatti ammessi esplicitamente od implicitamente.
Tale assunto, che si fonda sul richiamo degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c., muove dalle
premesse logiche che non esiste nel nostro ordinamento un generale onere di contestazione, e
non esiste quindi il principio secondo cui il convenuto ha l’onere di contestare esplicitamente
tutte le circostanze dedotte dall’attore, se vuole evitare che esse vengano ritenute come
ammesse.
Conseguentemente, non solo dalla contumacia non è possibile desumere la non contestazione
rispetto ai fatti dedotti4 (ed ora anche l’art. 13 comma 2 D.Lgs. n. 5/2003 sul cd. rito
societario, che prevedeva la non contestazione a seguito di contumacia, è stato dichiarato
illegittimo dalla sentenza di Corte Cost. n. 340/2007, con motivazione che si riferisce alla
violazione dell’art. 76 Cost. circa il difetto di delega, ma che in parte motiva afferma come la
1
In dottrina, la contestazione in senso giuridico è stata definita come “l’attività processuale mediante la quale si
deducono e si offrono alla considerazione dell’avversario elementi positivi che si pongono come materia di
contrasto… Proprium della contestazione è di opporre all’avversario questioni in facto e in iure sulle quali si
appunta il contrasto sottoposto a giudizio: contrasto relativo all’esistenza di determinati fatti ed ai loro effetti
giuridici, palesato mediante il contributo prestato tanto dal convenuto, quanto, e prima ancora, dall’attore”:
BONA CIACCIA CAVALLARI, La contestazione nel processo civile, Milano, 1992, introduzione, XV-XVI.
2
Ulteriori esempi normativi della semplificazione probatoria derivante da un contegno di “non contestazione”
della controparte, pur con diverse sfumature ed implicazioni, possono rinvenirsi nell’art. 186 bis c.p.c.
(ordinanza di pagamento delle somme non contestate), art. 215 c.p.c. (riconoscimento tacito della scrittura
privata), art. 232 c.p.c. (mancata risposta all’interrogatorio formale), art. 423 c.p.c. (ordinanze per il pagamento
di somme), artt. 547 e 548 c.p.c. (dichiarazione del terzo nell’espropriazione presso terzi), art. 647 c.p.c.
(esecuzione per mancata opposizione o per mancata attività dell’opponente), art. 648 c.p.c. in tema di
provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo, art. 663 c.p.c. (mancata comparizione o mancata
opposizione dell’intimato), artt. 785 e 789 c.p.c. (non contestazione della domanda o del progetto di divisione).
Cfr. altresì l’abrogato art. 10 c. 2 bis D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, ancora in vigore “ad esaurimento” per le
cause introdotte con rito societario, nonché l’art. 2734 sul valore probatorio delle dichiarazioni aggiunte alla
confessione e non contestate.
3
Da ultimo ed ex pluribus, Cass. n. 14880/2002, Cass. n. 13814/2002, Cass. n. 9741/2002, Cass. n. 13904/2000,
Cass. n. 10434/2000, Cass. n. 9424/2000, Cass. n. 11513/1999, Cass. n. 4687/1999, Cass. n. 2524/1999, Cass. n.
1213/1999.
4
Ex pluribus, cfr. Cass. n. 5251/2006, Cass. n. 4822/1997.
regola della ficta confessio desunta dalla contumacia, sia in “contrasto con la tradizione del
diritto processuale italiano”); ma neppure silenzio e contestazione generica possono
equivalere a non contestazione, al più integrando violazione del dovere di lealtà processuale
ex art. 88 c.p.c. valutabile ex art. 116 comma 2 c.p.c.5
Né un generale onere di contestazione può ricavarsi in via interpretativa da specifici oneri di
contestazione che sono posti da apposite norme, quali l’onere di disconoscere la scrittura
privata nella prima difesa ex art. 215 c.p.c., ovvero con la tempistica di cui all’art. 293 comma
3 c.p.c. nel caso del contumace; l’onere di proporre istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c.;
l’onere di disconoscere la conformità della copia rispetto all’originale ex art. 2719 c.c.;
l’onere di contestare la verità dei fatti e delle circostanze aggiunte alla confessione ex art.
2734 c.c. Anzi, proprio muovendo dalla natura eccezionale, come tale non estensibile
analogicamente ex art. 14 delle preleggi, di tali norme, che impongono solo in determinati
casi la negazione specifica dei fatti allegati ex adverso, dovrebbe a contrario inferirsi
l’inesistenza di un generale obbligo di contestazione6.
Mutando orientamento e prendendo le mosse da un precedente minoritario indirizzo
dottrinale7 e giurisprudenziale8, teso a valorizzare maggiormente l’istituto della non
contestazione, Cass. Sez. Un. n. 761/20029, richiamata poi anche da Cass. Sez. Un. n.
11353/2004, afferma invece l’esistenza in via generale nel processo civile, sia nell’ambito del
rito ordinario, sia nell’ambito del rito del lavoro, del principio in parola in relazione ai fatti
principali del processo, pur se non anche in relazione ai fatti secondari, relativamente ai quali
il comportamento processuale andrebbe valorizzato solo come argomento di prova ex art. 116
c.p.c. Più convincentemente, poi, il principio è stato successivamente esteso anche ai fatti
secondari, non solo a quelli principali10; ed è stato chiarito che trova applicazione anche ai
5
Cfr. Cass. n. 4438/2001, Cass. n. 11495/2000, Cass. n. 11495/2000, Cass. n. 5359/1994, Cass. n. 10849/1990.
BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta a
Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 23.
7
Cfr. BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. It., 1996, IV, 279, secondo il quale anche
il mero silenzio renderebbe pacifiche le allegazioni avversarie;
CARRATA, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 330, che reputa come alla non
contestazione possano ricondursi non solo il mero silenzio e la contestazione generica, ma addirittura anche la
contumacia;
CEA, Il principio di non contestazione al vaglio delle Sezioni Unite, in Foro It., 2002, I, 2019;
PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 158.
8
Cfr. Cass. n. 5536/2001, Cass. n. 6230/1998, Cass. n. 7758/1997, Cass. n. 1576/1995, Cass. n. 4834/1988,
Cass. n. 6620/1982.
9
E’ stato convincentemente osservato che, essendo chiamate le Sezioni Unite a pronunciarsi su di uno specifico
tema lavoristico, “alcune massime ritratte dalla decisione in commento non rendono giustizia all’importanza”
della pronuncia: FAROLFI, I poteri istruttori del Giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione
tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 14.
10
Cfr. Cass. n. 13079/2008, Cass. n. 5191/2008, Cass. n.23638/2007, Cass. n. 10031/2004, Cass. n. 6936/2004,
Cass. n. 13467/2003 (quest’ultima resa con specifico riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo che si
svolge secondo le forme del rito del lavoro). Per la sezione lavoro della Suprema Corte, cfr. Cass. n. 12636/2005,
Cass. n. 6663/2004, Cass. n. 4556/2004, Cass. n. 405/2004, Cass. n. 3245/2003, Cass. n. 1562/2003, Cass. n.
535/2003, Cass. n. 13972/2002, Cass. n. 8502/2002, Cass. n. 5526/2002, Cass. n. 1902/2002. Per la
giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Ivrea 13/12/2006 n. 150/2006 (in Foro It. 2007, I, 968, con nota di De Santis;
in Guida al Diritto, 17/2/2007, 7/2007, 70; in N.G.L., 207, 1, 122); Trib. Ivrea 5/11/2003 n. 459/2003 (in Giur.
Merito, 2004, 2, 272 ed in Gius, 2004, 588) e Trib. Foggia 7/5/2002 in Foro. It., 2002, I, 2020).
In Dottrina, PROTO PISANI, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, in Foro
It., 2003, I, 608;
Contra, nel senso della non persuasività dell’estensione della non contestazione ai fatti secondari, cfr.
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 10 ss. In giurisprudenza, Cass. n. 5191/2008.
6
fatti principali su cui si fonda la riconvenzionale, che vanno quindi tempestivamente
contestati dall’attore11.
Si argomenta che il principio di non contestazione è già enunciato ed applicato in diverse
ipotesi ordinamentali (cfr. artt. 14 comma 3, 35, 186 bis e 423 comma 1, 215 comma 1, 263
comma 2, 316 comma 3, 512 comma 2, 541, 542, 548, 597, 598, 643, 647, 663, 666, 669
novies comma 2, 785, 789, c.p.c.; artt. 2712 e 2734 c.c.; artt. 30 comma 2 L. n. 392/1978, 4
comma 2 L. n. 118/1995, 101 LF); può essere fondato in via generale sugli artt. 167 comma 1
e 416 comma 3 c.p.c., che pongono al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti ex
adverso dedotti a fondamento della domanda12; si spiega, sotto un profilo logico,
argomentando che la non contestazione rappresenta una linea difensiva incompatibile con la
negazione del fatto, e sotto il profilo giuridico con la necessità di aumentare la concentrazione
e l’efficienza processuale; è un principio tendenzialmente stabile, in quanto le contestazioni
tardive sono possibili sino a quando non si verificano le preclusioni processualcivilistiche in
ordine alla emendatio libelli.
Muovendo da tali premesse e rafforzando ulteriormente le conclusioni raggiunte, in un
successivo arresto della Suprema Corte, si è apertis verbis esplicitato che l’onere di
contestazione deve ritenersi un principio generale che informa il sistema processuale civile,
poggiando le proprie basi non solo su specifiche norme, ma soprattutto sul carattere
dispositivo del processo, comportante una struttura dialettica a catena13; sulla generale
organizzazione delle preclusioni; sul dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c.; infine,
sul generale principio di economia processuale ricavabile dall’art. 111 Cost.14
Ovviamente, per essere rilevante, la non contestazione deve riguardare fatti storici, non già la
ricostruzione giuridica degli stessi o l’applicazione di norme giuridiche, che spettano sempre
al Giudice15; e la contestazione generica va assimilata alla non contestazione16.
In ogni caso, poi, il principio di non contestazione è comunque inapplicabile ai processi
relativi a diritti indisponibili ed a quelli in cui interviene il PM, proprio in ragione della
rilevanza dei diritti in discussione e della loro non disponibilità; ai contratti per i quali è
11
Cfr. Cass. Lav. n. 535/2003.
Per la necessità di verificare la persistente validità della tesi tradizionale sulla non contestazione, sopra
esposta, a seguito della novella dell’art. 167 comma uno c.p.c., in dottrina cfr. già:
BARRECA, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione tenuta
a Roma il 12/10/2001 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 41;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
7.
13
Si pensi che già MORTARA sosteneva come “dinnanzi al magistrato non si va per tacere ma bensì per
parlare, per far conoscere le proprie ragioni e i torti dell'avversario con dichiarazioni precise, positive e
pertinenti alla lite”.
14
Cfr. Cass. n. 12636/2005. Sulla stessa linea anche le successive Cass. n. 1540/2007, Cass. n. 23638/2007,
Cass. n. 25269/2007, Cass. n. 5191/2008, Cass. n. 7697/2008, Cass. n. 13078/2008, Cass. n. 27596/2008, Cass.
n. 5356/2009, Cass. n. 22837/2010.
15
Cfr. Cass. n. 11108/207.
In Dottrina, DEL CORE, Il principio di non contestazione è diventato legge: prime riflessioni su alcuni punti
ancora controversi, in Giust. Civ., 2009, II, 280.
16
In dottrina, cfr. per tutti IANNIRUBERTO, Lealtà delle parti ed economia del processo nel principio di non
contestazione posto dal novellato art. 115 c.p.c., relazione tenuta il 28/4/20
10 a Roma ad un corso di
formazione per magistrati organizzato dal CSM, 8-9.
Per la giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. n. 8933/2009, Cass. n. 5356/2009, Cass. n. 18202/2008, Cass. n.
13079/2008, Cass. n. 12231/2007, Cass. n. 10182/2007; per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Lamezia
Terme 18/3/2010 e Trib. Catanzaro 29/9/2009.
In particolare, per Cass. n. 5356/2009 “ l’assunto di aver ‘impugnato e contestato la domanda formulata dalla
controparte perché infondata in fatto ed in diritto’, riguarda una affermazione difensiva assolutamente
generica”, e come tale inidonea a ad evitare l’applicazione del principio di non contestazione; mentre Cass. Lav.
n. 8933/2009 ribadisce che negare il fatto avverso tout court equivale a contestazione generica.
12
prescritta la forma scritta, attesa la particolarità delle forme che presidiano la stessa esistenza
o comunque la prova di tale rapporto; ai processi contumaciali, perché la non contestazione è
stata ricostruita come riferita ad un comportamento della parte costituita17. Il principio va
invece applicato al processo tributario18 ed amministrativo19.
Quanto alle conseguenze, la non contestazione ha “effetti vincolanti per il Giudice, che dovrà
astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato, in quanto
l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti
richiesti”20.
La nuova posizione delle Sezioni Unite, non è stata seguita da una parte della
successiva giurisprudenza di legittimità, che peraltro, singolarmente, in motivazione
nemmeno dà conto del precedente contrario rappresentato dalle stesse Sezioni Unite, il cui
pronunciamento appare essere addirittura inconsapevolmente ignorato21.
Con riferimento invece al rito del lavoro, molto più chiaramente la giurisprudenza ha
sposato la più recente e più estesa nozione di non contestazione, fatta propria dalla citata
Cass. Sez. Un. n. 761/2002, sancendo che, per evitare l’applicazione del principio di non
contestazione, la contestazione non può comunque essere generica e concretizzarsi in clausole
di stile, in espressioni apodittiche od in asserzioni meramente negative, ma deve piuttosto
essere puntuale e circostanziata, avendo l’art. 416 c.p.c. un contenuto più rigido dell’art. 167
c.p.c.22. Peraltro, l’onere di contestazione è direttamente collegato alla completa esplicitazione
dei dati fattuali ad opera della controparte, e non riguarda anche i fatti che, pur configurandosi
come presupposti o elementi costitutivi del diritto, non sono esposti in modo specifico ed
espresso (cfr. sempre Cass. Sez. Un. n. 11353/2004).
Più in generale ed innovando rispetto alla precedente giurisprudenza23, testualmente Cass.
Lav. n. 3245/2003 acclara che “il sistema di preclusioni su cui si fonda il rito del lavoro
comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare a circoscrivere la materia controversa,
evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione; ne consegue che ogni volta che sia
posto a carico di una delle parti un onere di allegazione e di prova, il corretto sviluppo della
dialettica processuale impone che l’altra parte prenda posizione in maniera precisa rispetto
alle affermazioni della parte onerata, nella prima occasione processuale utile, atteso che il
principio di non contestazione, derivando dalla struttura del processo e non soltanto dalla
formulazione dell’art. 416 c.p.c., è applicabile, ricorrendone i presupposti, anche con
17
Per tutte, cfr. Cass. n. 14623/2009.
In dottrina, fra gli altri, cfr. GUAGLIONE, Il principio di non contestazione e la definizione del thema
probandum. Poteri del Giudice e delle parti, relazione tenuta a Roma il 26/11/2001 ad un corso di formazione
per magistrati organizzato dal CSM, 14-15.
18
Cfr. Cass. n. 1540/2007.
19
Cfr. Tar Piemonte n. 454/2010.
20
Cass. n. 14542/2009.
21
Cfr. Cass. n. 25281/2009, Cass. n. 12274/2009, Cass. n. 13958/2006, Cass. n. 12119/2006, Cass. n. 5488/2006,
Cass. n. 2273/2005, Cass. n. 20916/2004, Cass. n. 13830/2004, Cass. n. 2699/2004, Cass. n. 2299/2004, Cass. n.
20916/2004, Cass. n. 4909/2003, Cass. Lav. n. 1672/2003, Cass. Lav. n. 559/2003, Cass. n. 2959/2002.
Sul punto, cfr. le ineccepibili e pungenti osservazioni di CEA, Il principio di non contestazione tra fronda e
disinformazione, in Foro It., 2003, I, 2107; ID. La non contestazione dei fatti e la Corte di Cassazione: ovvero
un principio poco amato, in Foro It., 2005, I, 728, ove si parla di “tartufismo giurisprudenziale” posto che “si
può dissentire su tutto e, quindi, anche da una decisione delle sezioni unite (visto che il nostro ordinamento non
conoscere il vincolo dello stare decisis); ma il dissenso non può tradursi nell’ignoranza degli altrui argomenti,
soprattutto quando vengono dal supremo organo nomofilattico e soprattutto quando gli stessi sono stati (e lo
sono tuttora) oggetto di un’attenzione dottrinaria che oserei definire spasmodica”.
22
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 11353/2004; circa il fatto che silenzio e contestazione generica non evitano la non
contestazione, cfr. anche Cass. Lav. n. 18202/2008.
23
Relativamente a tale superata posizione, cfr. ex multis Cass. n. 9424/2000 e Cass. n. 5359/1994.
riguardo all’attore, ove oneri di allegazione gravino anche sul convenuto”; e tale
insegnamento è ormai divenuta giurisprudenza consolidata24 .
Similmente e con specifico riferimento all’usuale tematica dei conteggi elaborati dall’attore
circa la retribuzione dovuta, è stato ribadito che il convenuto ha l’onere della specifica
contestazione dei conteggi stessi, ai sensi dell'art. 167 primo comma e dell’art. 416 terzo
comma c.p.c., con la conseguenza che la mancata o generica contestazione, rappresentando, in
positivo e di per sé, l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto, rende i
conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice25. La contestazione, poi,
deve essere effettuata nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.26 ed è necessaria anche
laddove venga contestata in radice l’esistenza del credito27.
Ribadito poi che la non contestazione generica equivale a non contestazione, va precisato che
in tanto può operare il principio in quanto l’attore abbia chiaramente allegato i fatti costitutivi;
ed in quanto le circostanze da contestare siano nella sfera di conoscenza e di disponibilità del
contestatore28.
2. Segue: l’intervento normativo sull’art. 115 c.p.c.
Rispetto ad un panorama giurisprudenziale così configurato, la nozione di non
contestazione è ora legislativamente prevista dal novellato, ad opera della L. n. 69/2009
articolo 115 comma 1 c.p.c.29
Infatti, si statuisce che il principio di disponibilità delle prove è derogato non solo dalla
possibilità per il Giudice, già oggi prevista dalla norma, di porre a fondamento della decisione
i fatti notori, per i quali vedi infra; ma anche dalla necessità (lo si evidenzia, necessità e non
già possibilità) per il Giudice stesso di porre a fondamento della decisione “i fatti non
specificamente contestati dalla parte costituita”. Pertanto, la non contestazione diviene uno
“strumento di selezione del thema probandum… una tecnica semplificatoria diretta a
perseguire il fine dell’economia processuale, e come tale, dotata di copertura costituzionale
24
Conformi le successive Cass. Lav. n. 18598/2003; Cass. Lav. n. 12636/2005, che fa discendere il principio
anche dal precetto della ragionevole durata del processo; Cass. Lav. n. 17947/2006, Cass. Lav. n. 11107/2008,
Cass. Lav. n. 11108/2007, Cass. Lav. n. 12231/2007, Cass. Lav. n. 13878/2007, Cass. Lav. n. 27596/2008, Cass.
Lav. n. 23142/2009.
25
Cfr. Cass. Lav. n. 9285/2003, Cass. Sez. Un. n. 761/2002.
26
Cfr. Cass. Lav. n. 85/2003).
27
Cfr. Cass. Lav. n. 945/2006.
28
Cfr. Cass. Lav. n. 8933/2009.
29
Sulla codificazione del principio di non contestazione nel novellato articolo 115 c.p.c., cfr.:
BUFFONE, Il fatto non specificamente contestato, è provato, in Resp. Civ Prev., 2009, 2498;
CARRATTA, Principio della non contestazione e limite di applicazione nei processi su diritti indisponibili, in
Famiglia e dir., 2010, 572;
CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro It., 2009,
V, 268; ID., L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione, in Foro It., 2011, V, 99;
DEL CORE, Il principio di non contestazione è diventato legge, in Giust. Civ., 2009, II; 273;
DEL TORTO, Il principio della non contestazione alla luce della legge n. 18 giugno 2009 n.69: un punto di
svolta, in Giur. Merito, 2010, 983;
IANNIRUBERTO, Il principio di non contestazione dopo la modifica dell’art. 115 c.p.c., in Giust. Civ., 2010,
II, 309;
MAERO, Il principio di non contestazione prima e dopo la riforma, in Giusto Processo Civ., 2010, 455;
RASCIO, La non contestazione come principio, in Corr. Giur., 2010, 1243;
ROTA, I fatti non contestati e il nuovo art. 115 c.p.c., in Il processo covile riformato, a cura di Taruffo, 181 ss,
Bologna, 2011;
SASSANI, L’onere della contestazione, in Giusto processo civ, 2010, 401;
TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 76.
ex art. 111, nella parte in cui si prevede, tra i valori del giusto processo, anche quello della
ragionevole durata”30.
Sulla base del dato testuale della norma, può dirsi che, in conformità all’elaborazione
giurisprudenziale già formatasi in precedenza, a seguito del formale ingresso
nell’ordinamento giuridico del principio di non contestazione, lo stesso non opera nelle cause
contumaciali (riferendosi alla ‘parte costituita’)31; non può essere aggirato da una
contestazione generica, essendo invece necessaria una contestazione circostanziata che
introduca elementi fattuali idonei a contrastare nel merito quanto asserito da controparte32
(riferendosi a fatti ‘non specificamente contestati’); riguarda non solo l’attore, ma anche il
convenuto ed i terzi (riferendosi alla ‘parte’); è esteso non solo ai fatti principali, ma anche ai
fatti secondari (non essendovi nella norma traccia della distinzione)33.
Ragionevolmente, peraltro, il principio s’applica solo ai fatti od alle situazioni riferibili alla
parte destinataria dell’allegazione in quanto riferibili alla sua sfera di controllo e conoscenza,
e non invece ai fatti non conosciuti da controparte34; non si applica con riferimento ai
comportamenti tenuti nella fase pregiudiziale35; non s’applica infine ai contratti in cui è
richiesta la prova scritta ad substantiam, mentre s’applica nel caso di prova scritta ad
probationem36, relativamente ai quali è infatti anche ammesso il giuramento decisorio ex art.
30
Così, CEA, L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione, in Foro It., 2011, V, 101.
Nello stesso senso anche PATTI, La disponibilità delle prove, in Riv. Dir. Trim. dir e proc. civ., 2010, 84.
In precedenza, sempre negli stessi termini PROTO PISANI, Allegazione dei fatti e principio di non
contestazione nel processo civile, in Foro It., 2003, I, 606; ID, Ancora sulla allegazione dei fatti e sul principio
di non contestazione nei processi a cognizione piena, in Foro It., 2006, I, 343; CIACCIA CAVALLARI, La
contestazione nel processo cvile, II, Milano, 1993, 1 ss.
31
Questo rende la posizione del contumace più favorevole rispetto a quella della parte costituita, ciò che parte
della Dottrina considera irrazionale: DEMARCHI, L’onere di contestazione specifica tra rigore formale,
contumacia e conoscibilità dei fatti, in Giur. Merito, 2011, 4, 1044-1045; FABIANI, Il nuovo volto della
trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1169; PATTI, La disponibilità delle prove, in Riv. Dir. Trim.
dir e proc. civ., 2010, 87.
32
Così PAGNI, La riforma del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti nel nuovo processo di primo
grado, in Corr. Giur., 2009, 1313.
33
Cfr. Trib. Rovereto 3/12/2009.
In dottrina, cfr. CEA, L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione, in Foro It., 2011, V, 104;
DALFINO, Le novità per il processo civile del 2009 e il rito del lavoro, in Arg. dir. lav., 2010, 440; ,
MOCCI, La trattazione della causa. Appunti di viaggio nella novella del 2009, relazione tenuta a Roma il
24/5/2010 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 7;
FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1174;
SASSANI, L’onere della contestazione, in www.iudicium.it;
TARUFFO, in CARRATTA-TARUFFO, Dei poteri del Giudice, Bologna, 2011, 488 ss.;
TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 86 e 89.
Contra però, nel senso che il principio di non contestazione non opera relativamente ai fatti secondari, potendosi
in tal caso applicare al più la teorica del principio di prova ex art. 116 c.p.c., PATTI, La disponibilità delle prove,
in Riv. Dir. Trim. dir e proc. civ., 2010, 89.
34
Cfr., BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma sul processo
civile, in Giust. Civ., 2009, II, 259;
CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio di non contestazione, in Foro It., 2009,
V, 270;
DEMARCHI, L’onere di contestazione specifica tra rigore formale, contumacia e conoscibilità dei fatti, in Giur.
Merito, 2011, 4, 1046, secondo cui “la specificità della contestazione deve essere proporzionale al grado di
conoscenza del fatto da parte di colui contro il quale viene dedotto”.
35
Trib. Lamezia Termini, ordinanza 18/3/2010. Cfr. anche art. 9 D.Lgs. n. 28/2010, che impedisce l’utilizzo
delle dichiarazioni rese nel procedimento di mediazione pregiudiziale.
36
In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 231242/2009, Cass. n. 22365/2006, Cass. n. 11765/2002; nella giurisprudenza
di merito, Trib. Lamezia Terme 28/6/2010.
In dottrina, cfr. FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1174;
FAROLFI, Il principio di non contestazione tra definizione del thema probandum e del thema decidendum,
relazione tenuta a Roma il 4/10/2010 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 20;
2739 c.c.
Per tali motivi, si è sostenuto che l’intervento normativo ha efficacia sostanzialmente
meramente ricognitiva della situazione giurisprudenziale precedente37.
E’ invece discusso se il principio trova applicazione in tutti i processi, essendo la
norma prevista dal libro primo, o solo nel rito a cognizione piena38.
Parimenti discusso è se la norma s’applica alle controversie in cui si tratta di diritti non
disponibili.
La tesi preferibile offre una risposta negativa39, sul presupposto che, diversamente opinando,
le parti si approprierebbero in maniera surrettizia del potere di disposizione della situazione
sostanziale dedotta in giudizio; chiarendo peraltro che il principio può comunque considerarsi
operante per le situazioni che, seppure legate a diritti indisponibili, presentano carattere
disponibile, come avviene nel caso di pretese risarcitorie collegate alla violazione di un diritto
disponibile40.
In senso contrario è però un’altra tesi, che ritiene il principio di non contestazione applicabile
tout court anche alle controversie relative a diritti indisponibili41.
Problematico è anche il caso del rapporto tra processo litisconsortile, contumacia di
uno dei convenuti e non contestazione riferibile ad altro convenuto.
Secondo l’opinione preferibile, la circostanza che uno solo dei litisconsorti ammetta il fatto,
non contestandolo, non può rendere pacifico quel fatto in presenza di un convenuto
contumace, poiché si frustrerebbero le sue ragioni ed il suo diritto di difesa che si esplica nella
impossibilità di far conseguire dalla contumacia effetti pregiudizievoli; e deve quindi
propendersi per il mero argomento di prova di un fatto liberamente apprezzato dal giudice42.
Ciò è tra l’altro coerente con quanto accade anche nel caso di confessione, ove le Sezioni
Unite hanno ritenuto che, ai sensi dell'art. 2733 comma 3, c.c., la confessione resa da alcuni
soltanto dei litisconsorzi è liberamente apprezzata dal giudice, in relazione a tutti i
litisconsorzi e non solo in relazione ai non confidenti; e questo in quanto i rapporti non
possono essere regolati diversamente tra le parti del giudizio, essendo i fatti gli stessi43.
Rilevante questione è poi quella attinente all’efficacia temporale.
PAGNI, La riforma del processo civile, in Corr. Giur., 2009, 1314;
SASSANI, L’onere della contestazione, in www.iudicium.it;
TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 94.
37
Cfr. Trib. Piacenza 2/2/2010 n. 81.
38
Cfr. Trib. Catanzaro 29/9/2009 per l’estensione del principio anche ai procedimenti cautelari.
In questo senso anche CONSOLO, Una buona novella al c.p.c.: la riforma del 2009, in Corr. Giur., 2009, 737;
TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 93, che ritiene l’istituto
applicabile anche ai riti “a cognizione piena (con rito ordinario o speciale), o sommaria (cautelare e non
cautelare), in pubblica udienza come in camera di consiglio”; FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e
dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 14; PATTI, La disponibilità delle prove, in Riv. Dir. Trim. dir e proc. civ.,
2010, 88.
39
Cfr. Trib. Varese 27/11/2009; in dottrina, cfr. CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del
principio di non contestazione, in Foro It., 2009, V, 273; MOCCI, La trattazione della causa. Appunti di viaggio
nella novella del 2009, relazione tenuta a Roma il 24/5/2010 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 8.
40
DEL CORE, Il principio di non contestazione è diventato legge: prime riflessioni su alcuni punti ancora
controversi, in Giust. Civ., 2009, II, 280.
41
Cass. Lav. n. 15326/2009 ha infatti ritenuto che la non contestazione s’applica anche al contenzioso relativo a
prestazioni previdenziali, dovendosi ritenere che altro è la tematica della prova dei fatti costitutivi del diritto,
altro è la disponibilità del diritto. Per l’applicabilità del principio ai processi relativi ai diritti indisponibili, cfr.
anche FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1161.
42
Cfr. Trib. Varese 19/1/2010.
In Dottrina FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1174.
43
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 10311/2006.
Pacifica essendo la tardività della contestazione mossa per la prima volta in appello44,
l’opinione preferibile sembra quella di ritenere che la non contestazione sia tendenzialmente
irreversibile dopo lo spirare delle preclusioni assertive45, pur se parte della giurisprudenza
sembra addirittura indicare la barriera temporale già nella prima difesa utile46.
Infine e con riferimento al tema del valore probatorio della non contestazione, si
ritiene che dalla stessa derivi non già una ficta confessio; ma una mera esenzione del fatto non
contestato dalla verifica probatoria, tramite una relevatio ab onere probandi47, fermo però
restando che il Giudice non è costretto a ritenere vero tale fatto, se esso sia smentito da altre
risultanze, non trattandosi di prova legale e dovendosi quindi sempre bilanciare le diverse
risultanze probatorie in base al principio della libera valutazione e del libero convincimento48.
3. L’irrilevanza della prova di un fatto notorio
Ai sensi dell’art. 115 comma 2 c.p.c. ed a temperamento del principio di disponibilità
delle prove codificato nel comma precedente49, il Giudice, sulla base del principio in base al
quale notoria non egent probationem, può “senza bisogno di prove… porre a fondamento
della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
Chiariscono dottrina50 e giurisprudenza51 che la nozione di fatto notorio va intesa in senso
rigoroso, come fatto acquisito alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da
44
Cfr. Cass. n. 24381/2010.
Cfr. BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma sul processo
civile, in Giust. Civ., 2009, II, 264;
CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro It., 2009,
V, 269;
CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazione delle sentenza dopo la legge n. 69 del 2009, Padova,
2009, 190;
FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1172;
PAGNI, La riforma del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti nel nuovo processo di primo grado,
in Corr. Giur., 2009, 1314.
Per la giurisprudenza antecedente alla riforma, cfr. Cass. n. 5191/2008;
46
Cfr. Cass. n. 13079/2008, Cass. n. 5191/2008.
47
BALENA, La nuova pseudo riforma della giustizia civile, in Giusto proc. civ., 2009, 777 ss;
BUFFONE, Il fatto non specificamente contestato, è provato, in Resp. Civ Prev., 2009, 2509;
DEMARCHI, L’onere di contestazione specifica tra rigore formale, contumacia e conoscibilità dei fatti, in Giur.
Merito, 2011, 4, 1043;
FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. Giur., 2009, 1174;
FAROLFI, Il principio di non contestazione tra definizione del thema probandum e del thema decidendum,
relazione tenuta a Roma il 4/10/2010 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 11.
PAGNI, La riforma del processo: la dialettica fra il giudice e le parti, in Corr. Giur., 2009, 1312;
TARUFFO, in CARRATTA-TARUFFO, Dei poteri del Giudice, Bologna, 2011, 488 ss.;
TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2011, 86.
48
Cfr. BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di
giustizia civile, in www.iudicium.it;
CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c e le nuove frontiere del principio della non contestazione, in Foro It., 2009,
V, 272;
IANNIRUBERTO, Lealtà delle parti ed economia del processo nel principio di non contestazione posto dal
novellato art. 115 c.p.c., relazione tenuta il 28/4/2010 a Roma ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 10-11;
PATTI, La disponibilità delle prove, in Riv. Dir. Trim. dir e proc. civ., 2010, 90.
49
Cfr. Cass. n. 5232/2008 per l’affermazione che il notorio deroga al principio dispositivo ed a quello del
contraddittorio.
50
Cfr. BONI, L’attività istruttoria nel rito civile ordinario: poteri delle parti e poteri del giudice, relazione
tenuta a Roma il 21/10/2002 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 24;
BONIFACIO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 7/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 7;
45
apparire incontestabile, proprio perché il ricorso al fatto notorio comporta “una deroga al
principio dispositivo ed a quello del contraddittorio”52, al punto che sul fatto che ne forma
oggetto non è ammessa alcuna prova contraria53.
Così, secondo la Cassazione, sono notorie “le nozioni di fatto che fanno parte del
bagaglio di conoscenza di ogni uomo di media cultura in un certo luogo e in un certo
momento storico, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici”54.
In particolare, si tratta di “un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al tempo ed
al luogo in cui esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività ivi
stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne
faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull’interesse pubblico che
spinge ciascuno dei componenti della collettività a conoscerlo”55; tuttavia, al Giudice è data
la possibilità di far capo anche alla comune cultura di una specifica e particolarmente
qualificata cerchia sociale, così da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni
sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della
nozione in oggetto56.
In altre parole, il concetto di notorietà può essere ristretto sia sotto il profilo spazio-temporale
ad un certo tempo e luogo, sia sotto il profilo sociale ad una limitata cerchia di persone.
Non possono invece rientrare nel notorio quelle acquisizioni tecniche e quegli elementi
valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati57. Conseguentemente,
l’applicazione delle cosiddette tabelle utilizzate da alcuni uffici per la liquidazione del danno
biologico, non rientra nelle nozioni di fatto di comune esperienza ex art. 115 c.p.c., sicché il
Giudice che intenda utilizzarle, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, deve
dare conto dei criteri indicati ed utilizzati per il caso concreto58.
Necessariamente estesa e variegata è la casistica relativamente ai fatti che, a livello
giurisprudenziale, sono stati ritenuti notori. La fattispecie più ricorrente e rilevante è
certamente quella della svalutazione monetaria59 e del fenomeno inflattivo così come
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione , l’assunzione e la valutazione della prova;
la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 22 ss.;
MUNARO, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 21/6/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 23 ss.;
A. PAPPALARDO, I poteri istruttori delle parti e del giudice. Ammissione, assunzione e valutazione della
prova, con particolare riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, relazione tenuta a Roma il 11/6/2003 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 26-27;
SALARI, I poteri istruttori delle parti e del giudice. L’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova,
relazione tenuta a Roma il 6/6/2005 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 16;
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 17;
STEFANI, I poteri istruttori delle parti e del giudice. L’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova.
La decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 8/3/2000 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 11 ss.;
TRONCONE, La valutazione delle prove, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 12 ss.;
51
Cfr., ex pluribus e tra le ultime, Cass. n. 4862/2005, Cass. n. 3980/2004, Cass. n. 4556/2003, Cass. n.
11946/2002, Cass. n. 9623/2002, Cass. n. 5417/2002, Cass. n. 2698/2002, Cass. n. 16165/2001, Cass. n.
6396/2001, Cass. n. 5809/2001, Cass. n. 5680/2000.
52
Testualmente, Cass. n. 11141/2009, Cass. n. 3980/2004 e Cass. n. 4556/2003, Cass. n. 2698/2002.
53
DE STEFANO, Fatto Notorio, in Enc. Diritto, XVI, Milano, 1967, 1005.
54
Cass. n. 2859/1995.
55
Cass. n. 7181/1999. Cfr. anche Cass. n. 11946/2002 e Cass. n. 16165/2001.
56
Cfr. Cass. n. 5809/2001.
57
Cfr Cass. n. 5680/2000.
58
Cfr. Cass. n. 8169/2003.
59
Cfr. Cass. n. 10022/2003.
individuato dall’ISTAT; in particolare, con riferimento alla tematica del maggior danno
nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie ex art. 1224 comma 2 c.c., a partire dalla sentenza di
Cassazione n. 2368/1986 cd. sulle griglie presuntive, la Suprema Corte ha onerato l’istante
della prova di rivestire una determinata qualità personale (quella di imprenditore, di
risparmiatore abituale, di creditore occasionale o di modesto consumatore), dalla quale far poi
discendere il fatto notorio di un danno parametrato agli indici inflazionistici ISTAT previsti
per tale categoria; mentre con Cass. Sez. Un. n. 19499/2008, il notorio è divenuto
direttamente l’esistenza di un danno pari alla differenza tra inflazione e rendimento netto dei
titoli di stato di durata non superiore a 12 mesi.
Senza pretesa di completezza, tra gli altri esempi giurisprudenziali di fatti notori vanno
segnalati la natura endemica di determinate malattie tropicali60; l’apprezzamento del valore di
beni immobili di proprietà delle parti, quale indice della capacità del titolare di adempiere le
obbligazioni a suo carico, come nel caso di assegno di divorzio61; i canoni locativi correnti in
una determinata zona62; il livello retributivo di un funzionario statale di una determinata
qualifica63; la durata della stagione turistica in una determinata zona64; i valori di mercati delle
auto usate65; i tassi di interesse bancario correnti in un determinato periodo66; la svalutazione
con riferimento agli indici ISTAT67; il fatto che l’inattività forzata di un chirurgo sia
pregiudizievole per la sua manualità e quindi la professionalità68; la circostanza che gli
indumenti di lavoro forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta di rifiuti
necessitano di lavaggi periodici69; la circostanza che nei rogiti notarili i valori venali dichiarati
sono sensibilmente inferiori a quelli reali70; la maggiore proficuità, in un vendita esecutiva, di
un immobile liberato rispetto ad uno occupato71; un evento storicamente determinato ed
oggettivamente peculiare (quale una guerra, un terremoto, un’alluvione, una festa patronale,
un’insurrezione, un’epidemia, uno sciopero generale).
E’ poi pacifico che il Giudice di merito possa fondare la decisione sul notorio senza
obbligo di indicare gli elementi su cui la propria determinazione si basa. Infatti,
l’affermazione circa la sussistenza del fatto notorio, può essere censurata in sede di legittimità
solo se è stata utilizzata una inesatta nozione di notorio, non anche per inesistenza o difetto di
motivazione72.
La nozione di fatto notorio va distinta dalla scienza privata del giudice, la quale deve
riguardare norme giuridiche e non fatti, così come ribadito anche dall’art. 97 disp. att. c.p.c.73;
e dai cosiddetti ‘luoghi comuni’, ossia le nozioni di senso comune che non possono avere
rilevanza nel processo, perché non consistono in regole formatesi tramite un meccanismo di
rilevazione induttiva e non sono dotate di sufficiente attendibilità74.
60
Cfr. Cass. n. 4826/1987.
Cfr. Cass. n. 1133/1992
62
Cfr. Cass. n. 219/1979.
63
Cfr. Cass. n. 4787/1979.
64
Cfr. Cass. n. 12112/2003.
65
Cfr. Cass. n. 13056/2007.
66
Cfr. Cass. n. 16132/2005.
67
Cfr. Cass. n. 376/2005.
68
Cfr. Cass. n. 22880/2008.
69
Cfr. Cass. n. 11729/2009.
70
Cfr. Cass. n. 11643/2007.
71
Cfr. Cass. n. 22747/2011.
72
Per la pacifica giurisprudenza, ex pluribus e solo tra le ultime, cfr. Cass. n. 20695/2009, Cass. n. 13056/2007,
Cass. n. 9244/2007, Cass. n. 13073/2004, Cass. n. 5493/2004, Cass. n. 9263/2002.
73
Cfr. la recentissima Cass. n. 1696/2010 nonché le più datate Cass. n. 13426/2003 e Cass. n. 3160/1986.
74
CAMPESE, La fissazione dei fatti senza prova: non contestazione, fatto notorio e massime di esperienza,
relazione tenuta a Roma il 23/11/2009 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 24.
61
Parimenti, il notorio va distinto anche dal cosiddetto notorio giudiziale, cioè quel
complesso di fatti che il Giudice viene a conoscere per motivi d’ufficio.
L’orientamento di dottrina75 e giurisprudenza76, infatti, ammette il ricorso al notorio
giudiziale unicamente nei casi previsti dalla legge, quali gli articoli 273 e 274 c.p.c. in tema di
riunione di procedimenti, dovendosi per il resto “ricomprendere il notorio giudiziale
nell’ambito della scienza privata del giudice, per la quale si è detto vigere il relativo divieto
generale di utilizzazione delle percezioni ottenute al di fuori del processo”77.
E’ invece diffuso convincimento che anche le massime d’esperienza integrino la
nozione di fatto notorio, e come tali costituiscano una deroga al divieto per il Giudice di usare
la propria scienza privata.
In realtà, è stato in contrario avviso osservato78 che le massime d’esperienza si differenziano
dai fatti notori, atteso che questi ultimi coincidono con accadimenti individuali storicamente
precisati, mentre le prime rappresentano regole generali di carattere logico utilizzate per
valutare un fatto già accertato tramite un criterio di inferenza probatoria, non già il mezzo di
accertamento del fatto stesso79: tramite la massima d’esperienza è così possibile muovere dal
fatto probatorio al fatto accertato, e cioè operare il ragionamento presuntivo ex art. 2729 c.c.
In altre parole, i fatti notori si pongono sul piano delle circostanze, e sono veri e propri
accadimenti senza prova; le massime d’esperienza sono invece giudizi ipotetici fondati su
leggi scientifiche, naturali-statistiche o d’esperienza, e si pongono sul piano della valutazione,
sicché non sono oggetto del ragionamento probatorio, quanto strumento del medesimo.
Tipici esempi di massime d’esperienza sono le leggi matematiche e fisiche, la regola per la
quale una persona sotto turbamento psichico percepisce male o quella relativa al calcolo della
strada percorsa da una determinata vettura in determinate circostanze spazio-temporali.
Gianluigi Morlini
75
Cfr. ANGARANO, La struttura del ragionamento probatorio e la valutazione del Giudice: prova, argomenti
di prova, presunzioni, indizi, fatti notori e massime d’esperienza, relazione tenuta a Roma il 17/2/2010 ad un
corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 14;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione , l’assunzione e la valutazione della prova;
la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 27;
ZULIANI, La fase istruttoria nel processo civile ordinario: ammissione, acquisizione, assunzione e valutazione
delle prove, relazione tenuta il 18/6/2003 a Roma ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM,
16.
76
Cfr. Cass. n. 10285/2010, Cass. n. 29728/2008, Cass. Lav. n. 4862/2005, Cass. n. 3980/2004, Cass. n.
3087/1994 e Cass. n. 4223/1992.
77
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova;
la decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 27; DE SIMONE, L’ammissione dlela prova tra potere officioso del giudice e potere
dispositivo delle parti, relazione tenuta a Roma il 22/2/2011 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 8.
78
ANGARANO, La struttura del ragionamento probatorio e la valutazione del Giudice: prova, argomenti di
prova, presunzioni, indizi, fatti notori e massime d’esperienza, relazione tenuta a Roma il 17/2/2010 ad un corso
di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 12;
CAMPESE, La fissazione dei fatti senza prova: non contestazione, fatto notorio e massime di esperienza,
relazione tenuta a Roma il 23/11/2009 ad un corso di formazione per magistrati organizzato dal CSM, 24;
CORDER, I poteri istruttori delle parti e del giudice: l’ammissione, l’assunzione e la valutazione della prova; la
decadenza dall’assunzione, relazione tenuta a Roma il 14/5/2003 ad un corso di formazione per magistrati
organizzato dal CSM, 27
SCODITTI, La valutazione della prova, relazione tenuta a Roma il 23/5/2005 ad un corso di formazione per
magistrati organizzato dal CSM, 17-18.
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Cfr. anche Cass. n. 4326/1983
Giudice del Tribunale di Reggio Emilia
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