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Dove finiscono i nostri smartphone e pc? A Guiyu, Cina, capitale

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Dove finiscono i nostri smartphone e pc? A Guiyu, Cina, capitale
la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014 NUMERO 509
FOTO DI CHIEN-MIN CHUNG/CORBIS. GUIYU, CINA, UNO “SMANTELLATORE” SU UN CUMULO DI TASTIERE DI COMPUTER
Cult
La copertina. Il sesso dell’arte
Straparlando. Reichlin: “Non è l’Italia che sognavo”
La poesia. L’Itaca dei Caraibi di Derek Walcott
Dove finiscono i nostri smartphone e pc?
A Guiyu, Cina, capitale mondiale
dei rifiuti elettronici. Reportage
dal posto più inquinato del pianeta
G I A MP A OL O V I SE TTI
GUI DO V I A L E
GUIYU (CINA)
IRAMIDI DI SMARTPHONE,
tastiere
di computer e tablet occupano
le strade e nascondono le case.
Un branco di bufali d’acqua rumina in stagni neri da cui affiorano schermi di pc. Televisioni, cuffie e
stampanti sono ammassate nelle risaie.
L’aria è fetida, la nebbia spessa e arancione. Dopo pochi minuti occhi e narici bruciano. La discarica di immondizia elettronica più grande del mondo assomiglia in
modo sorprendente all’idea dell’inferno
che può agitare un uomo contemporaneo.
Una massa con il volto coperto da luride
mascherine guida risciò a motore, carichi
di sacchi bianchi da cui pendono cavi, batterie, schede di frigoriferi e dischetti.
P
Il cimitero
dell’hi-tech
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
Q
UESTA DESCRIZIONE DI GUIYU è la
traduzione attualizzata della
città di Leonia raccontata da
Italo Calvino ne Le città invisibili. Attualizzata nello spazio
perché, invece di accumulare i rifiuti prodotti da un consumismo compulsivo ai margini di una sola città, per poi esserne comunque sommersi come succedeva agli abitanti di Leonia, abbiamo pensato di risolvere il problema scaricandoli all’altro capo del
mondo: in Cina. Attualizzato nel tempo perché le fasi della produzione e dello smaltimento erano o sembravano fino a poco fa
due momenti distinti: si produceva in Cina
per risparmiare sui costi del lavoro e della tutela ambientale.
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
L’inedito. Le disperate lettere di De Sade alla moglie Spettacoli. Jimmy Page: “Sono sopravvissuto ai Led Zeppellin” Next. L’avatar
della porta accanto L’incontro. Michael Dobbs: “Volete sapere come finisce House of Cards? Ok, poi però devo ammazzarvi”
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
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FOTO DI VALENTINO BELLINI / LUZPHOTO
FOTO DI ALESSANDRO DIGAETANO / LUZPHOTO
Il reportage.
<SEGUE DALLA COPERTINA
GIAMPAO L O V I SET T I
ANALI PER L’IRRIGAZIONE e scoli straripano di liquami densi e oleosi che
incollano le suole alla terra. Il fragore di clacson e ferraglia compressa martella il cervello: scoppi e fumi di roghi plastici escono da
distese di capannoni pericolanti. Guiyu è la capitale globale dei rifiuti hi-tech e il disastro che devasta abitanti e natura rivela la faccia nascosta e inconfessabile del business del secolo. Smaltire apparecchi elettronici ed elettrodomestici rende oggi poco meno che
produrli: il prezzo da pagare è la vita di essere umani e ambiente.
Non è un caso se il mondo ha scelto questo vecchio villaggio del
Guangdong, a quattrocento chilometri da Guangzhou, per nascondere il cimitero della rivoluzione digitale. Guiyu, cronicamente sommersa dalle piene, non era l’ideale per l’agricoltura industriale. Trent’anni fa i contadini hanno cominciato a riciclare bottiglie. Poi sono passati alle lattine. Dai primi anni Duemila hanno conquistato il mercato tossico dell’e-waste. «Un’evoluzione naturale — dice lo smantellatore di computer Lai
Yun —: è lungo la costa sud della Cina che si concentrano le più importanti multinazionali dell’elettronica. Sono loro le nostre prime clienti. I
gadget hi-tech tornano a morire dove sono nati». Recuperare ciò che l’umanità butta via è
un’impresa da eroi. La tragedia è che, nel nome
del profitto, a Guiyu si sfruttano sistemi incompatibili con la dignità delle persone e con la salvaguardia della natura. Un paradosso: il massimo della tecnologia e del design viene oggi distrutto con il massimo degli espedienti anacronistici, dentro officine orribili. Quello che l’Onu definisce “il luogo più inquinato del pianeta” è oggi una
città con duecentomila abitanti. Otto su dieci lavorano nell’e-riciclaggio, monocoltura collettiva:
le imprese sono seimila, tutte famigliari. «Quest’anno — dice il segretario del partito, Zhang Chufeng — lavoreremo quasi due tonnellate di immondizie elettroniche, per un giro d’affari di ottocento milioni di dollari». Gli affari vanno a gonfie vele. Fino a cinque anni fa i rifiuti arrivavano in
nave da Usa, Europa, Giappone e Corea del Sud. Oggi la stessa Cina è un colosso delle scorie sintetiche. Il mondo nel 2014 produrrà 52 milioni di tonnellate di residui ad alta tecnologia: 8,3 negli Stati Uniti, 6,9 in Cina. Il resto si divide tra
Occidente, con il 73 per cento, e Paesi in via di sma, è una bomba a orologeria che può disviluppo, fermi all’11. Lo scenario è però desti- struggere l’intera regione. Oltre centotrentanato a mutare rapidamente. «La Cina — spiega mila uomini, donne e adolescenti ogni mattina
Li Yangpeng, dell’Accademia delle scienze — si arrampicano su montagne di macerie eletsfiora i 650 milioni di cellulari, entro il 2016 sor- troniche. Fino alla notte separano, smontano,
passeremo gli Usa anche nella produzione di ri- spaccano con martelli e trapani, sciolgono con
fiuti elettronici. Il mercato americano cresce gli acidi, bruciano, seppelliscono nei campi e didel 13 per cento all’anno, quello cinese del 50 sperdono nel fiume le polveri tossiche. Lavoraper cento. Entro il 2020 oltre la metà dei rifiuti no a mani nude e senza protezioni. Le case-discariche non sono dotate di filtri né di depurahi-tech del pianeta sarà prodotta in Cina».
Il business che Guiyu credeva di dominare tori. Il clima è di terrore e intimidazione. Qualsta sfuggendo a ogni controllo. Distruggere un cuno grida «via chi vuole toglierci il lavoro», almiliardo di telefonini all’anno, ottocento milio- tri assicurano che «un po’ di sporco non fa male
ni di pc e quasi due miliardi di televisioni al pla- a nessuno». Nemmeno l’Università di medicina
C
Acquainquinata,ariatossica,terraavvelenata
L’immondiziahi-techèilnuovobusiness
Per tenerselounacittàcineseèprontaamorire
Guiyu
La discarica
digitale
LE IMMAGINI
TRE FOTOGRAFIE DA GUIYU
(CINA MERIDIONALE).
DA SINISTRA: UN OPERAIO
SMANTELLATORE
TRA LE CARCASSE
DI COMPUTER; GIOVANI
LAVORATRICI ESTRAGGONO
MATERIALI PREZIOSI
PER IL RICICLO; UNA STRADA
DELLA CITTÀ CINESE (200MILA
ABITANTI) SOMMERSA
DAI RIFIUTI ELETTRONICI
Italia 240 mila tonnellate
di Shantou, controllata dal governo, osa però
negare l’impressionante evidenza. Nel suolo il
piombo supera di 212 volte la soglia di rischio. I
pozzi sono contaminati fino a tre chilometri di
profondità. L’acqua contiene gli stessi residui
rilevati a Chernobyl dopo l’esplosione e scoperti nel lago Karachay, dove l’Urss avviò l’arricchimento del plutonio. Tra gli abitanti la percentuale di tumori supera del 64 per cento la
media nazionale. Uno studio su 165 bambini da
uno a sei anni ha rivelato nel sangue livelli di
piombo “pericolosi”, l’80 per cento degli scolari è affetto da disturbi respiratori e al sistema
nervoso centrale. «Nonostante tutto questo —
la Repubblica
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FOTO DI VALENTINO BELLINI / LUZPHOTO
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
dice Ma Jun, direttore dell’ong Institute of Public and Environmental Affairs — Guiyu è oggi
il luogo di lavoro più ambito della Cina». I nuovi
schiavi dell’era digitale sperano di non essere
anche dei condannati a morte. Il loro obbiettivo
è fare più soldi possibile nel minor tempo possibile e poi fuggire lontano per sempre. Smantellare cellulari e pc frutta tra i 650 e gli 820 dollari al mese: il quadruplo di quanto potrebbero
guadagnare nei villaggi poveri dell’interno, o
in una miniera di carbone. Così i riciclatori cinesi dell’e-waste globale sono quasi sempre
giovani migranti dalle zone depresse, spesso
analfabeti che accettano la sfida a tempo sognando di cambiare vita. Molti, prigionieri dei
soldi, si fermano un giorno di troppo. Quattro cimiteri, anche loro assediati da cumuli di carcasse elettroniche, suggeriscono che se in questa città c’è qualcosa di semplice, è morire in
fretta. «Il problema — dice l’esperto Leo Chen
— non è vivere tra vecchie tv al plasma e
smartphone fulminati. È voler fare in modo che
l’immondizia si trasformi in oro». Letteralmente. Sono acidi e solventi che consentono di diventare ricchi. Una tonnellata di scorie hi-tech
contiene 300 grammi di oro, 10 di platino, 50 di
palladio, 2 chili d’argento, 25 di stagno e 130 di
rame. Chi non risparmia sulla chimica ricava
anche cadmio, berillio, terre rare, acciaio, plastica, vetro. Lo scorso anno il 5 per cento dell’oro cinese, pari a 15 tonnellate, è stato estratto
dai rifiuti elettronici, concentrato tra quaranta
e ottocento volte di più rispetto ai giacimenti
naturali. Il boom sommerso è tale che un piccolo smantellatore di Guiyu può guadagnare oltre quindicimila euro al mese, sei volte più di un
alto dirigente pubblico.
Nel Guangdong questa devastante industria
sotterranea, impegnata a rivendere i componenti pregiati agli stessi produttori di gadget
ad alta tecnologia, è oggi la prima responsabile
della dispersione di metalli pesanti, gas nocivi
e liquidi corrosivi. E il disastro non deriva dal riciclaggio, indispensabile proprio per salvare il
pianeta, ma dalla sete inesauribile di profitto.
«Esistono acidi, solventi e sostanze chimiche —
ci dice un operaio che si presenta come Fan —
che accelerano lo scioglimento di circuiti e microchip, separando quantità maggiori di elementi costosi. Usarli, consente di ingrandire
<SEGUE DALLA COPERTINA
GUIDO VIALE
I CONSUMAVANO QUEI PRODOTTI IN OCCIDENTE, e poi si rimandavano in
Cina i nostri scarti dopo essercene liberati per poterne comprare di
nuovi, in un ciclo sempre uguale a se stesso. Ma adesso non è più così;
e non lo sarà mai più. Presto i rifiuti prodotti direttamente in Cina
saranno molti di più di quelli che produciamo noi, anche perché, a
furia di delocalizzare, in Occidente non ci saranno più lavoratori in grado di
comprare tutto quel bendiddìo (o maldiddìo); e a rifornire le loro discariche ci
penseranno direttamente i cinesi. Così avremo trasferito in Cina tutta Leonia e
non solo i suoi margini. E dopo ancora, se tutto procederà nella stessa direzione,
saranno i cinesi a esportare i loro rifiuti elettronici in un’Europa impoverita dalle
delocalizzazioni e desiderosa di poter riciclare almeno i rifiuti altrui per cercare di
sopravvivere. Ma intanto, rispetto alla Leonia di Calvino, a Guiyu compaiono
anche gli umani. O meglio, degli esseri ridotti
allo stato di larve da quello che essi stessi si
fanno — che fanno alla loro salute, al loro
ambiente, alle loro vite — affondando sempre
più in quella palude di morte, sospinti dal
desiderio di evaderne al più presto.
Forse il martirio a cui sottoponiamo la Cina, e
non solo Guiyu, potrebbe aiutarci a rivedere il
nostro modo di guardare le cose. In un mondo
globalizzato quel riso avvelenato potrebbe
finire sulle nostre tavole, come potrebbero
finire tra le mani dei nostri bambini giocattoli
fabbricati con la plastica inquinata ricavata
smontando smartphone. E finisce nell’atmosfera la C02 di cui la Cina è il
principale produttore, che sta distruggendo la vivibilità del pianeta.
C’è un difetto di fondo in tutto ciò, a monte della produzione dei rifiuti. È quello a
cui ci ha abituato la civiltà industriale e consiste nel considerare gli oggetti che ci
passano per le mani come entità statiche e non come flussi; come essi si
presentano di volta in volta a chi li usa e non nel loro ciclo di vita, cioè come risorse
estratte dall’ambiente che all’ambiente saranno prima o poi riconsegnate. Per
cambiare il mondo occorre innanzitutto cambiare questo approccio alle cose, da
cui deriva anche la spinta a prendere in considerazione gli altri esseri umani solo
quando ci servono, e per quel che ci servono, per poi buttarli via. La nostra vita si
svolge dentro tutte le cose che compriamo, usiamo e poi buttiamo. Pensiamo di
dominarle e invece sono loro a dominare noi. Un po’ più di attenzione, un po’ più
di modestia, e ci accorgeremmo che noi umani non siamo che una parte
(degenere) della natura.
S
Il riso amaro
della Leonia
di Calvino
© RIPRODUZIONE RISERVATA
l’azienda e conquistare clienti tra i grandi marchi mondiali, nessuno escluso. Il resto del reddito si fa bruciando, seppellendo e gettando in
mare ciò che non rende». Guiyu è l’eldorado di
questa corsa clandestina e ufficialmente illegale. Attorno a Shenzhen, dove opera anche il
più grande stabilimento del colosso taiwanese
Foxconn, ruota però una galassia di e-villaggidiscarica, camuffati da aziende agricole e magazzini. Centinaia di container vengono scaricati ogni giorno dalle navi attraccate al largo,
nel Mar cinese meridionale. Ciò che nemmeno
i 130mila schiavi e sfruttatori della “capitale”
riescono a smaltire, sparisce in un universo criminale ancora più nascosto. Per il governo le imprese della zona autorizzate a trattare rifiuti
speciali sono novantuno. «La loro capacità — dice Ma Tianjie, portavoce di Greenpeace — ormai non arriva al 43 per cento e in realtà incide
sul 21 per cento dell’immondizia hi-tech. Quattro telefonini e tablet su cinque spariscono nel
mercato nero del riciclaggio, dove regna solo la
legge del massimo guadagno. È un cataclisma,
ma l’affare è tale che la corruzione arriva ai massimi livelli del partito». Guiyu resta così vittima
di se stessa. Gli indumenti lavati, stesi ad asciugare tra frigo sventrati e fuochi senza fine, risultano ingialliti, o marrone scuro. Le dita delle
donne, usate per aprire gli incastri dei pc, appaiono scarnificate. Ventenni deportati dal
Gaungxi, allettati dagli straordinari guadagni,
esibiscono il volto malato di un vecchio. Un operaio ci mostra il relitto del penultimo modello di
uno smartphone. La vita media di un cellulare
è ormai scesa sotto i due anni. La tecnologia è
sempre più sofisticata, la concorrenza sempre
più spietata, ci dice. Guiyu è il prezzo che il mondo accetta di pagare.
È notte, ma l’e-discarica di lavora a ciclo continuo. In periferia resistono alcune fattorie, nascoste dietro colonne di Tir che riportano nelle
fabbriche del Guangdong parti e sostanze riutilizzabili. Gli ultimi contadini rimasti qui coltivano riso che nessuno osa mangiare. «È un concentrato di cadmio — ci dice un uomo di nome
Hiu — sulle scatole viene scritto che è stato coltivato nel Sichuan. Noi lo chiamiamo “il riso
elettronico”. Finisce lontano. Dove, esattamente, nessuno lo sa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
FONTE: WWW.TREEHUGGER.COM- WWW.QUORA.COM - GREENPEACE.ORG
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
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L’attualità. Molto impegnati
Harold Pinter si schierò con i sandinisti,
Günter Grass se la prese invece con la Shell
e Solgenitsin accusò l’Onu di alto tradimento
Alla vigilia della cerimonia di Stoccolma
ecco di che cosa parlano i premiati
quando vogliono salvare il mondo
FA B IO GAMBARO
PARIGI
ERCOLEDÌ 10 DICEMBRE Patrick Modiano, il nuovo premio Nobel per la
M
letteratura, sarà a Stoccolma per pronunciare il suo discorso di ringraziamento davanti ai membri dell’Accademia svedese. Naturalmente non sappiamo di cosa parlerà, se si limiterà a semplici considerazioni letterarie o se invece spingerà il suo discorso sul terreno
della politica e del sociale. Sappiamo però che prima di lui molti laureati del prestigioso premio hanno sfruttato la ribalta del Nobel per
denunciare soprusi e ingiustizie, manifestare solidarietà a questo o
a quel popolo, e più in generale per esprimere le loro preoccupazioni di fronte alle derive del mondo contemporaneo.
Quanto importanti e frequenti siano state tali preoccupazioni extraletterarie, lo conferma la lettura delle quasi mille pagine di Tous
les discours de réception des Prix Nobel de Littérature (Flammarion). Il volume a cura di Eglal Errera
raccoglie per la prima volta la quasi totalità dei discorsi che i centodieci scrittori premi Nobel hanno fatto dal 1901, anno della creazione del premio, fino a mercoledì prossimo escluso. Naturalmente tra le tante allocuzioni non mancano quelle esclusivamente dedicate alla letteratura, come fece Montale, nel
1975, o Claude Simon, nel 1985, il quale rispose alle critiche fatte «senza capo né coda» alle sue opere
per poi parlare dei destini del romanzo nel XX secolo. E se Doris Lessing, nel 2007, deplora il declino della letteratura occidentale, molti laureati ne approfittano per ringraziare chi li ha avviati alla scrittura e
ricordare gli autori del passato a cui devono di più. Elias Canetti, nel 1981, ricorda ad esempio l’importanza che hanno avuto per lui Kraus, Kafka, Musil e Broch, ma anche il ruolo che hanno svolto nella sua
vita tre città, Vienna, Londra e Zurigo. Diversi scrittori, poi, raccontano quello che è capitato loro il giorno della proclamazione del Nobel, ad esempio Dario Fo, nel 1997, che peraltro è proprio uno dei tanti
premi Nobel che, con i loro discorsi militanti, hanno dimostrato di non vivere rinchiusi in una torre d’avorio. Così Czeslaw Milosz, nel 1980, denuncia l’annessione da parte dell’Unione Sovietica di Estonia,
Lettonia e Lituania, i tre paesi baltici che persero la loro indipendenza alla fine della Seconda guerra
mondiale. Séamus Heaney, nel 1995, ricorda vent’anni di drammatiche violenze nell’Irlanda del Nord,
mentre Wole Soyinka, nel 1986, invita a combattere il razzismo e l’apartheid in Sudafrica,
un paese definito un «campo medievale di terrori biblici e di sospetti primitivi». Senza dimenticare Herta Müller, premio Nobel nel
2009, che nel suo discorso di ringraziamento
racconta le vessazioni e le umiliazioni subite in
Romania quando si rifiutava di collaborare con
il partito unico al potere.
Un tema su cui insistono molto gli scrittori
premiati è naturalmente quella della censura e
della minacce che pesano sulla vita degli autori.
Così Gao Xingjian, nel 2000, ricorda «le spedizioni punitive condotte contro la cultura tradizionale cinese» ai tempi della rivoluzione culturale, mentre Nadine Gordimer, nel 1991, rende
omaggio ai molti scrittori, «da Thomas Mann a
Chinua Achebe», che hanno dovuto affrontare
il trauma dell’esilio. E se alcuni affrontano il tema della politica molto apertamente, come Harold Pinter, premio Nobel nel 2005, che intitola
il suo discorso “Arte, verità e politica”, altri in- WILLIAM FAULKNER (1949)
vece preferiscono disseminare le loro critiche al
potere all’interno di discorsi molto più letterari. Tutti però, di fronte ai mali e alle ingiustizie
L NOSTRO DRAMMA oggi è una paura
del mondo, sembrano conservare un’indistrutuniversale e generalizzata, una paura
tibile fiducia nel potere della letteratura. Come
che sentiamo fisicamente e che dura da
ad esempio lo scrittore yiddish Isaac Bashevis
Singer, che nel 1978 dichiara: «Non provo alcu- così tanto tempo che possiamo perfino
na vergogna a riconoscere di essere tra coloro sopportarla. Non si tratta più di preoccuparsi dei
che amano immaginare che la letteratura ab- problemi dello spirito umano. Ormai l’unica
bia il potere di aprire nuovi orizzonti e nuove domanda che conta è questa: quando mi
prospettive filosofiche, religiose, estetiche e disintegrerò?”.
perfino sociali».
“I
©FONDAZIONE NOBEL
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Discorsi
da Nobel
ALEKSANDR SOLGENITSIN (1970)
N QUARTO DI SECOLO FA nacque
“U
l’Organizzazione delle Nazioni Unite, su cui
l’umanità fondò molte speranze. Purtroppo,
in un mondo immorale, anche questa organizzazione non
poteva che essere immorale. Non è l’Organizzazione delle
Nazioni Unite, ma l’Organizzazione dei governi uniti,
dove quelli che sono stati liberamente eletti e quelli che si
sono imposti con la violenza o hanno conquistato il potere
con le armi sono messi sullo stesso piano. Per calcolo,
l’Onu privilegia la maggioranza. Si dà molto da fare per la
libertà di certi popoli, disinteressandosi però di quella di
altri. [...] L’Onu ha evitato di rendere obbligatorio il
miglior testo votato in venticinque anni — vale a dire la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo — evitando di farne
una condizione necessaria per diventare
membri dell’Organizzazione. Così
facendo, ha abbandonato la povera gente
in balia di governi che non aveva scelto”.
©FONDAZIONE NOBEL
(NELLA FOTO SOLGENITSIN NEL 1974 RITIRA IL PREMIO NOBEL VINTO NEL 1970)
la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
35
ALBERT CAMUS (1957)
GNI GENERAZIONE si crede
destinata a rifare il mondo.
La mia sa che non lo rifarà. Il
suo compito però è forse ancora più
grande. Deve impedire che il mondo
vada in pezzi. Erede di una storia corrotta
dove si mischiano rivoluzioni fallite,
tecniche folli, divinità morte e ideologie
estenuate, dove mediocri poteri possono
distruggere tutto ma sono incapaci di
convincere, dove l’intelligenza si è
abbassata fino a diventare serva
dell’odio e dell’oppressione, questa
generazione ha dovuto restaurare — in
sé e attorno a sé, e partendo dalla sola
negazione — un po’ di ciò che fa la
dignità del vivere e del morire. Davanti a
un mondo minacciato di disintegrarsi,
dove i grandi inquisitori rischiano di
imporre per sempre il regno dei morti,
essa è impegnata in una corsa folle
contro il tempo per restaurare una pace
tra le nazioni che non sia quella della
servitù”.
“O
©FONDAZIONE NOBEL/GALLIMARD
NADINE GORDIMER (1991)
VUNQUE NEI REGIMI repressivi — nel
“O
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ
(1982)
BBIAMO CONOSCIUTO cinque
guerre, diciassette colpi di
stato e visto l’apparizione di
un dittatore luciferino che, in nome di
Dio, ha avviato il primo etnocidio
dell’America Latina contemporanea.
Nello stesso periodo, venti milioni di
bambini sudamericani sono morti prima
di avere celebrato il loro secondo
compleanno. Quasi centoventimila
persone sono scomparse a causa della
repressione: è come se avessimo perso
traccia di tutti gli abitanti di Uppsala.
Numerose donne arrestate quando
erano incinte sono state costrette a
partorire nelle prigioni argentine senza
che si sappia dove siano finiti i loro figli,
adottati clandestinamente o rinchiusi
dai militari negli orfanatrofi. Per aver
voluto mettere un termine a tutto ciò,
quasi duecentomila donne e uomini sono
morti in tutto il continente, più di
centomila in tre piccoli paesi ostinati
dell’America centrale: il Nicaragua, El
Salvador e il Guatemala”.
“A
blocco Sovietico, in America Latina, in
Africa, in Cina — la maggior parte
degli scrittori imprigionati lo è per via della loro
attività di cittadini che lottano contro l’oppressione.
Altri invece sono stati condannati per aver servito la
società scrivendo meglio che potevano, giacché
l’avventura estetica diventa sovversiva quando
l’artista, spinto dalla sua integrità a ribellarsi contro
la realtà che lo circonda, si mette a esplorare segreti
vergognosi. I temi e personaggi dello scrittore sono
infatti inevitabilmente dettati dalle oppressioni e
dalle distorsioni della società in cui vive,
esattamente come la vita del marinaio è
determinata dal potere del mare”.
©FONDAZIONE NOBEL
JEAN-MARIE GUSTAVE LE CLÉZIO (2008)
GGI, ALL’INDOMANI
“O
della
decolonizzazione
per gli uomini e le donne del
nostro tempo la letteratura è
uno dei mezzi per esprimere
la loro identità, per
rivendicare il diritto alla
parola e il diritto di essere
ascoltati nella loro diversità.
Senza le loro voci, senza i loro
appelli, noi vivremmo in un
mondo silenzioso”.
©FONDAZIONE NOBEL
©FONDAZIONE NOBEL
GÜNTER GRASS (1999)
ENGO DAL PAESE degli
autodafé. Sappiamo che
oggi il desiderio di
distruggere i libri odiati è ancora
presente nello spirito dei tempi, e
talvolta può persino trovare una
dimensione telegenica — vale a dire
degli spettatori. Ma ciò che è più grave è
la diffusione dappertutto delle
persecuzioni nei confronti degli scrittori,
persecuzioni che possono giungere
perfino alla condanna a morte. E cosa
ancora più grave: tutti sembrano essersi
abituati a questo incessante terrore.
Certo, in questa parte del mondo che si
vanta di essere libera, si lanciano grida
d’indignazione quando, in Nigeria, nel
1995, lo scrittore Ken Saro-Wiwa, che ha
denunciato i disastri ecologici nel suo
paese, è stato condannato a morte e
giustiziato insieme ai suoi compagni di
lotta. Ma si passa subito ad altro, dato che
queste considerazioni rischiano di
danneggiare gli affari della Shell,
gigante del petrolio e potenza
planetaria”.
“V
©FONDAZIONE NOBEL
HAROLD PINTER (2005)
SANDINISTI non erano perfetti.
Avevano la loro parte di
arroganza e diverse
contraddizioni. Ma erano intelligenti,
razionali e civilizzati. Volevano una
società stabile, degna e pluralista. Hanno
realizzato la gratuità della scuola e dei
servizi sanitari. La mortalità infantile è
diminuita di un terzo. La poliomielite è
stata debellata. Ma per gli Usa questi
successi erano solo sovversione
marxista-leninista. Agli occhi degli
americani, il Nicaragua era un esempio
pericoloso. Alla fine sono riusciti a far
cadere il governo sandinista. Hanno
impiegato diversi anni e hanno dovuto
dar prova di notevole tenacia, ma
un’accanita persecuzione economica e
trentamila morti hanno finito per aver
ragione del coraggio dei nicaraguensi”.
“I
©FONDAZIONE NOBEL
MARIO VARGAS LLOSA (2010)
ETESTO OGNI FORMA di nazionalismo, d’ideologia — o
meglio di religione — provinciale, a base di idee
piccole ed esclusive, che riduce l’orizzonte
intellettuale e dissimula in sé pregiudizi etnici e razziali,
trasformando in valore supremo, in privilegio morale e
ontologico, la circostanza fortuita del luogo di nascita. Insieme
alla religione, il nazionalismo è stato la causa dei peggiori
massacri della Storia, come quelli delle due guerre mondiali e
come l’attuale carneficina in Medio Oriente. Nulla ha
contribuito di più alla balcanizzazione dell’America Latina,
insanguinata da battaglie e contenziosi insensati, e spinta a
sprecare risorse astronomiche in armi invece di costruire
scuole, biblioteche e ospedali”.
“D
©FONDAZIONE NOBEL
GLI ESTRATTI DEI DISCORSI SONO TRATTI DA “TOUS LES DISCOURS DE RÉCEPTION DES
PRIX NOBEL DE LITTÉRATURE” (FLAMMARION)
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
36
L’inedito. Eros e Thánatos
“Gatta celeste, mio pungiglione”
A duecento anni dalla morte
le ultime suppliche e invettive
del marchese disperato
De Sade
Lettere
a mia
moglie
D O NAT I EN - AL PH O N S E - FR A N Ç O I S D E S A D E
TORRIONE DI VINCENNES, 16 GIUGNO 1777
S
e sapeste Madame quanto sono inferocito dalle vostre lettere, e quanto è
crudele dopo quattro mesi della più
esecrabile delle situazioni vedersi inviare assolutamente le stesse banalità, gli stessi ragionamenti imbecilli e
le stesse imposture già usate fin dai
primi giorni. Se dal fondo della poltrona in cui certo digerite in tutto comodo poteste, dico, vedere qui, vi assicuro che mi fareste grazia di questo stile;
e dal momento che vi è facile, almeno
concepireste le lettere in modo da darmi qualche speranza o qualche consolazione. Perché vi giuro che dal momento in cui me le presentano, mi fanno una tale impressione che mi viene all’istante una febbre
causata dalla rabbia e dal dispetto che non mi
lascia un momento di riposo per quattro o
cinque giorni, fino a che arriva la visita del comandante che viene a
eccitarmi di nuovo con le stesse cattiverie; di modo che passo la vita
qui in un rimescolamento e una furia perpetua che mi brucia e divora il sangue; e le cui conseguenze saranno fatali per la mia condotta,
perché sapete a cosa conducono una tale agitazione e il sangue infiammato. Lo abbiamo già provato a Pierre-Encize (nel 1768) e a Miolans (in Savoia, 1771), dove pure ho sofferto infinitamente meno.
Che si giudichi da quei carceri questo, e si valuti se le prigioni sono
per il mio bene. Oh! Vi assicuro che vi toglierò quest’idea a tutti quanti siete, e soprattutto alla vostra fottuta pezzente di madre, a cui potete dire che se mi vuole bene, non è ricambiata, e che formo qui i voti solo di vederla crepare, e vorrei anche che fosse tra i più atroci tormenti.
VINCENNES, GIUGNO-LUGLIO 1783
Vi bacio le natiche.
Ecco la misura esatta di un fodero (godemiché) che vi prego di farmi
fare nel gusto di quello che mi avete mandato, ma in queste proporzioni qui, senza diminuire o aumentare una riga, facendo attenzione a farlo avvitare in alto a tre pollici; non fateci mettere anelli o bot-
IN LIBRERIA
IN OCCASIONE
DEL BICENTENARIO
SADIANO LA CASA EDITRICE
ELLIOT RIPROPONE,
A CURA DI ANTONIO
VENEZIANI, “STORIELLE”
(60 PAGINE, 8,50 EURO),
“FLORVILLE E COURVAL”
(A CURA DI ARDO REIM)
E IL “SADE” DI APOLLINAIRE
(CURATO DA GIUSEPPE
SCARAFFIA). I “CRIMINI
DELL’AMORE” COMPAIONO
INVECE PER L’ORMA
EDITORE A CURA
DI FILIPPO D’ANGELO
la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
37
Gli scandali, il carcere
le sudate carte
e la paura di morire solo
DA RI A GA L A TE RI A
DISEGNO DI DELPHINE LEBOURGEOIS
D
toni in avorio come in quello che mi avete inviato perché non tiene… Vi raccomando questa commissione al prima possibile, tutte
le mie carte sono in disordine e non so dove ficcarle. Mandatemi
quello che vi chiedo e smettete di scherzare su questo argomento, mandatemelo, mandatemelo, via, ho il tempo di usarlo.
VERSAILLES 4 FRIMAIO ANNO VIII (25 NOVEMBRE 1799)
Vi chiedo con tutte le forze, Madame, di permettermi di tornare a abitare con voi; la mia età deve credo rispondervi della mia
condotta, e del mio inviolabile attaccamento per voi… il mio rispetto, tutti i sentimenti che siete fatta per meritare devono pienamente rassicurarvi. Vorrei tanto, Madame, non morire solo…
lontano da voi e dai miei figli; riuniteci tutti, è un dovere. Non sarò
a vostro carico; non è mia intenzione infastidirvi in alcun modo.
Starò da voi come pensionante; vi pagherò alloggio e vitto sia a
Parigi che in campagna; e godrò della vostra compagnia solo nei
momenti in cui vorrete permetterlo. Il tempo, oso sperare, dovrebbe avere attenuato tutti i sentimenti che in voi potevano forse ingenerare ostilità a questo progetto, e aspetto dal vostro cuore una decisione favorevole. Se ho fortuna e accettate, mandate-
mi una traccia delle condizioni, e quali che siano, se la clausola è
la nostra riunione, non abbiate dubbi, saranno accolte all’istante. Non sono aiuti che vi chiedo, la legge sta per revocare il sequestro, se non è già avvenuto mentre vi scrivo; sarò dunque in
grado di far fronte agli impegni che mi vorrete dettare.
In caso di vostro rifiuto, Madame, rifiuto che mi metterà alla disperazione, ma insomma in questa crudele eventualità, vi prego
allora d’accettare la mia proposta di divorzio, riservandovi tutti i
vostri diritti, perché ho bisogno di una compagna e di persone che
nodi potenti incatenino a me fino al mio ultimo respiro e che abbiano cura di me per questi legami, e non per interesse o semplice amicizia, che è diverso. Star solo mi fa paura, non posso abituarmi all’idea di finire così la vita.
Aspetto con ansia una risposta — supplicandovi in ginocchio di
dare la preferenza tra le due opzioni a quella che deve riunirmi a
voi.
Sono con rispetto
Il Vostro
Sade
Abbraccio i miei figli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ELIZIA DI MAOMETTO, gatta celeste, pungiglione dei
miei nervi, viola del Paradiso, fresco porco dei miei
pensieri: Sade scriveva alla moglie rievocando il
«calore» e le contromovenze delle sue grazie
posteriori, e chiedendole di procurargli dagli
artigiani due flaconi. Uno per lei, da mettere sulla toilette, e uno
per sé («la circonferenza è essenziale») per gli usi privati su cui
pure si confidava: «una buona grande ora la mattina per cinque
maniglie, artisticamente graduate da sei a nove, una buona
mezz’ora la sera per tre, con minori proporzioni».
La corrispondenza di Sade è uno dei suoi capolavori. Di
novecento lettere, e cinquecento scritte in quasi trent’anni di
prigionia, la metà sono per la moglie — splendide di eleganza,
ferocia, ironia, disperazione; e di complicità. Possiamo leggerne
di inedite nella scelta di Cinquante lettres du marquis de Sade à
sa femme operata da qualche tempo da un grande e
appassionato collezionista, Pierre Leroy (con Cécile Guilbert, da
Flammarion). Ritroviamo gli aneddoti e i giudizi letterari, le
mille richieste — il burro di Bretagna, dei fiocchi, «dei libri dei
libri dei libri per l’amor di Dio»; e gli ordini: «Raccomandate al
sarto che la redingote stia più aderente al petto e alle maniche»;
«fate leggere appena potete Il padre di famiglia a nostro figlio,
c’è tutto Diderot». La sgraziata Renée-Pélagie (ma «seni
freschissimi» e «carattere stupendo», recente e facoltosa
famiglia di magistrati) ha condiviso
subito la vita libertina del marchese. Ma
Sade purtroppo le preferisce la sorellina,
Anne-Prospère, e fugge con lei in Italia.
La volitiva suocera, che già mal
sopportava gli scandali del genero,
decide a quel punto di liberarsi di lui.
Con una lettre de cachet condanna
Sade alla prigionia senza processo né
motivazioni. E dunque a ragione uno
dei temi più smaglianti delle lettere di
Sade alla moglie saranno proprio le
invettive alla suocera, la «Présidente»
da «scuoiare viva» e «immergere
nell’aceto». Solo la Rivoluzione
abolirà l’abuso di quelle carcerazioni
arbitrarie: nel 1790 Sade è libero,
ma Renée-Pélagie, che per stare
accanto alle prigioni del marito ha
vissuto in città, poveramente, in affitto, chiede spaventata la
separazione. Nel 1799, il marchese è in miseria; implora ancora
dalla moglie compagnia; finisce tra gli indigenti all’Ospedale di
Versailles — e l’attrice Constance Quesnet gli resterà poi
accanto fino alla morte, il 2 dicembre di duecento anni fa, nel
manicomio di Charenton. In tutti questi anni Sade non
dimenticherà mai Anne-Prospère. Ancora in una lettera alla
moglie, il marchese racconta di aver sognato una sua antenata,
la Laura di Petrarca che, velata di nero, gli dice «Seguimi!»; lui si
sveglia gridando «Mamma!» e nella lettera osa chiedere notizie
di Anne-Prospère. Ma lei sta morendo in convento, e in famiglia
non vogliono più nominargliela: la moglie tace.
Sade sta sempre tra libri e carte, si stupiscono i carcerieri.
Scrive, oppure riscrive; il critico Michel Delon ha dimostrato
che, per farsi la mano, ha ricreato le licenziose Storielle dalle
Lettres galantes, un successo dimenticato di Madame de Noyer.
E i manoscritti della Justine sono così travagliati che è
impossibile oggi pensare a Sade come sopraffatto e sospinto
dall’immaginazione. «L’opera più scandalosa mai scritta», «un
vero assoluto» ancora «invalicabile, troppo forte per l’uomo»
(Blanchot), i cui abissi restano comunque necessari a definire il
significato dell’erotismo, è stata composta in realtà da uno
scrittore sorvegliato, raffinatissimo. Uomo indomabile, ma non
certo un criminale (per uno stato delle riletture si veda
l’illuminata cura di Paola Decina Lombardi al Dialogo tra un
prete e un moribondo per Castelvecchi).
Se la Natura sadiana prevede il Male e la lussuria della crudeltà,
sono convocate alla festa del piacere anche le donne: Sade pensa
ai «bisogni del loro temperamento, ben più ardente del nostro»,
e prevede che sia reciproca «la cieca sottomissione ai capricci
degli uomini che la natura prescrive alle donne». Ma è nelle
lettere alla moglie che la dismisura del marchese nelle fantasie
di trasgressione, fatte convergere in cupi ambienti
concentrazionari, ritrovano tutta la grazia settecentesca:
«Fiaccola della mia vita, quando, quando le tue dita d’alabastro
verranno a sostituire questi ferri, contro le rose del tuo seno?
Addio, lo bacio, e mi addormento».
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la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
Spettacoli.
Stairway to Heaven
FOTO DI ROSS HALFIN. JIMMY PAGE OGGI
“Sui Led Zeppelin
sono state dette
tante cose
Violenze, abusi
Ma tutto questo
non c’entra
con la nostra musica”
Settant’anni, nonno,
il grande chitarrista
oggi si racconta
(quasi) senza filtri
Jimmy
Page
Sono
sopravvissuto
38
la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
LONDRA
NA LEGGENDA CON IL CODINO, un musicista oscuro, schivo, uno dei primi
U
a usare la chitarra con due manici. A suo tempo molto dedito alle droghe, segnato dalla tragedia, Jimmy Page non è più soltanto uno dei
migliori chitarristi di tutti i tempi. Oggi è un artista minuzioso, un perfezionista consapevole del ruolo che lui e la sua band hanno nella storia della musica. A settant’anni confessa che quando formò i Led Zeppelin, il gruppo che inventò l’hard rock soffuso di psichedelia e che indicò la strada dell’heavy metal, aveva le idee molto chiare. Non fu affatto un’improvvisazione, ma un progetto meditato: l’obiettivo era
diventare una star di livello mondiale. Mosse i suoi primi passi in uno
studio di registrazione come turnista e poi entrò a far parte degli
Yardbirds, dove suonarono anche Eric Clapton e Jeff Beck. Ma già sapeva che il suo gruppo sarebbe andato oltre, verso territori inesplorati del suono. E così fu. I Led
Zeppellin aprirono la strada verso una libertà sconosciuta e ispirarono storie di ogni genere. Prima gli innumerevoli pestaggi da parte delle loro guardie del corpo. Poi la morte, nel 1977, quando
aveva solo sei anni, del figlio di Plant: ucciso, dice la leggenda, da un rito satanico con abusi sessuali. E infine, tre anni più tardi, quella del batterista John Bonham: affogato nel proprio vomito
dopo una sbronza monumentale e per lui tutt’altro che rara. La band si sciolse.
L’appuntamento è in un hotel di Kensington poco distante dalla Royal Albert Hall. Page, oggi
nonno, ex-tossicodipendente, messi via gli allori si sente responsabile di un’eredità artistica che
ha appena finito di riordinare con la rimasterizzazione dei primi cinque album dei Led Zeppelin.
A proposito. E gli altri dove sono?
«Non lo so, non ho idea di che cosa facciano. E mio Dna. Poi cominciai a suonare con gli Yardpoi il produttore ero io. Comunque se abbiamo birds, e fu allora che potei dare un contributo
deciso di fare questo lavoro è perché non vole- con alcune idee mie. Quando quel progetto finì
vamo che le nostre cose finissero nelle mani sba- ormai sapevo esattamente cosa volevo».
Dunque prestissimo.
gliate. C’è dentro un bel po’ di materiale che non
«Avevo suonato in tuguri underground di
è stato niente affatto facile recuperare, e anche
ogni genere, senza contare l’esperienza acquiun bel po’ di frustrazioni».
sita in studio o nelle radio, dove si suonavano
Perché frustrazioni?
«Non sono mai soddisfatto, si può sempre mi- non solo canzoni, ma ampie parti da diversi dischi. Avevo accumulato esperienza tanto dal vigliorare».
Quando la traiettoria di un gruppo si conclu- vo che nelle sale di registrazione. Sapevo benisde è davvero così importante situarla nella simo che strada avrei preso. E non solo perché
storia della musica?
avevo cominciato a farmi sentire, che è una del«Certo. Ci sono tanti esempi di musicisti im- le prime cose che devi cercare di fare se vuoi faportanti di cui abbiamo già dimenticato il no- re questo mestiere, ma anche perché sapevo
me, e non voglio citarne nessuno. Grandi band quali erano le cose che servivano per formare
degli anni Sessanta, con tanti fan, che oggi nes- una buona band. Per riuscire a fare qualcosa di
suno ricorda. Ma non voglio essere frainteso, importante è decisivo come cominci. Non vale
non ho alcuna intenzione di celebrare la nostra la pena buttarsi in cerca del successo immediastoria pomposamente. Voglio solo dire che noi to con una canzone che arriva subito in vetta alsapevamo che la nostra musica sarebbe rima- la hit parade. Devi cercare di mettere su un
sta. Per questo motivo non mettevamo sul mer- gruppo che suoni bene e si faccia rispettare».
Ha menzionato gli Yardbirds, band in cui socato singoli ma solo il lavoro completo. Noi ofno passati tre dei migliori chitarristi di tutti
frivamo un concetto, non cercavamo di soddii tempi: Eric Clapton, Jeff Beck e lei. In che cosfare l’ansia di un pubblico che invece altri sfrutsa voleva che i Led Zeppelin fossero diversi?
tavano dandogli a mano a mano i pezzi di un tut«Jeff fece un lavoro fondamentale, ma io voto. Era questo che ci rendeva diversi. Ed è per
questo, credo, che in quegli anni siamo riusciti levo allargare gli orizzonti a un altro tipo di suoad ampliare gli orizzonti della musica. Tutti se- ni, entrare in territori più all’avanguardia. Voguivano molto attentamente quello che face- levo cambiare il panorama, fare un passo in
avanti rispetto a quello che si faceva e arrivare
vamo allora».
Cominciò a rendersi conto di tutto questo sin a sviluppare cose mai messe in pratica prima di
dai tempi in cui faceva il turnista suonando allora da chitarristi solisti. Avrei voluto concrecon varie band?
«Indubbiamente, imparai molto proprio in
quel periodo».
Mi sta dicendo che a furia di vedere i punti
deboli di altre band quando ne formò una seppe che cosa fare e cosa non fare?
«Diciamo che riuscii a chiarirmi molto le idee
nella mia testa. Prima di tutto su come non fare le cose. Da quelle più complesse alle più ovvie, come scrivere la musica. Tenga conto che
io non sapevo leggere uno spartito. Dovetti imparare».
Quasi come Paco de Lucía, che era totalmente autodidatta.
«Be’, lui era un genio. Io ho faticato di più. Ma
a poco a poco venni accettato in quel mondo. Il
lavoro mi piaceva, le band volevano che restassi, che mi impegnassi di più, e dovetti imparare
giorno dopo giorno. Ogni tipo di tecniche e di stili: acustico, elettrico, classico... Imparare e imparare. Ma mi interessava molto e seguivo particolarmente tutto il processo della registrazione. Cercavo di immaginare come avrei potuto
fare a registrare tutti i suoni che si accalcavano
nella mia testa perché si avvicinassero a ciò che
avrei voluto fare io. Imparavo strada facendo.
Mi si apriva un mondo davanti, da cui assorbivo
modi di lavorare, segreti che si aggiungevano al
SAPEVAMO CHE CIÒ
CHE STAVAMO CREANDO
SAREBBE RIMASTO.
PER QUESTO NON FACEVAMO
SINGOLI MA SOLO IL LAVORO
COMPLETO. CERCAVAMO
QUALCOSA DI MAI SENTITO
PRIMA. E CREDO
CHE LO ABBIAMO TROVATO
tizzare con loro alcune delle mie idee, ma prima
che fosse possibile si separarono. Fu allora che
mi sentii pronto per offrire una visione che il
pubblico già cominciava a pretendere. Qualcosa di fresco e di nuovo. Credo che ci riuscimmo».
Allora avevate ben chiari due concetti fondamentali: che cosa doveva essere un gruppo in studio e che cosa doveva essere dal vivo.
Crede che i Led Zeppelin raggiunsero i loro
obiettivi su entrambi i fronti? Come facevate a conciliarli?
«Esistevano, be’, sono sempre esistite, molte
band che dal vivo riproducono esattamente
quello che fanno in studio. Non era questo quello che noi volevamo. Nel nostro caso eravamo
già dei musicisti formati e intendevamo crescere tutti insieme, in gruppo. Non avevamo
una superstar da accompagnare. Lavoravamo
in uno spirito di comunione. Fin dal primo giorno. Prima provavamo tutti insieme e poi andavamo in studio. Sempre molto concentrati e, dal
vivo, anche molto impegnati sui cambiamenti,
sulle varianti, per creare diverse versioni. Non
abbiamo mai abbandonato questo modo di lavorare. E per questo era sempre una cosa per noi
molto eccitante. Ci sfidavamo e camminavamo
sul filo del rasoio».
Prima di formare i Led Zeppelin aveva una libreria. Esoterica. Perché la chiuse?
«Perché cominciammo a viaggiare molto con
la band, stavamo spesso all’estero. La chiusi
quando Robert Plant si ruppe una gamba a Los
Angeles. Era l’epoca in cui stavamo incidendo
Presence, credo. Molti clienti della libreria, inoltre, erano convinti di avere un diritto divino a
non pagare i libri».
Ah, sì? Rubavano?
«Più o meno. Be’, è così. La gente interessata
a quel tipo di argomenti in genere non ha un centesimo».
Un pessimo affare.
«Decisi di chiuderla, nemmeno di cederla».
Ha citato Presence: quel disco era molto influenzato dalle droghe.
«Per quanto riguarda l’influenza delle droghe dovremmo parlare degli album precedenti
più che di questo. Direi invece che Presence si
ispirava al concetto dell’intervento divino».
Influenza mistica?
«Musica divina».
LA BAND
DA SINISTRA ROBERT PLANT (VOCE),
JOHN PAUL JONES (BASSO), JOHN BONHAM
(BATTERIA) E JIMMY PAGE (CHITARRA)
FOTO DI ARMANDO GALLO
J E S ÚS RUIZ MANT I L L A
39
Nel solco della leggenda della sua passione
per le forze occulte?
«La definisca come vuole. Per me, che ormai
ho più di settant’anni, è lo stesso. Sono un sopravvissuto. La musica parla da sola e basta,
non c’entrano niente le circostanze mie personali, né le donne che ho avuto, né i miei figli. Parliamo di come si manifesta la musica sopra a tutte le cose; se vuole sapere di quelle altre faccende, ascolti la musica, sono tutte lì dentro».
Davvero potrei trovarcele?
«Cavolo, lo spero!».
Tutto viene dalle sue esperienze personali?
«Sì. Si tratta di un riflesso, di una dichiarazione di ciò che sei nella vita. Cambi, sperimenti
tragedie, felicità, grandi momenti, c’è tutto.
Forse la vita si lascia intravedere di più in chi
scrive i testi, perché sfiora continuamente
aspetti autobiografici; ma anche nel suonare la
chitarra io mi sento molto espressivo, molto lirico. E sento che la mia arte è coerente con quello che sono».
Crede che i dieci anni di attività dei Led Zeppelin abbiano lasciato, nel bene e nel male,
un segno nella sua parte di vita successiva?
«Sì. Anche se so bene di aver avuto una vita oltre i Led Zeppelin, devo ammettere che ho sempre avuto il senso di un debito nei confronti di
quella tappa della mia esistenza e adesso, con
questa raccolta, vorrei presentare qualcosa di
ben fatto che dimostri chi eravamo davvero. Io
non sono uno che parla sempre bene delle case
discografiche, ma devo dire che alla Warner
hanno fatto le cose in grande stile. È stato un lavoro durissimo in cui spero che abbia predominato la decenza, il gusto di fare le cose per bene,
l’etica di non dissipare un’eredità. Per questo
mi ci sono impegnato tanto e ho voluto controllare tutto. Sono cose che ho vissuto profondamente. E poi ricordo tutto. So dove eravamo
quando abbiamo inciso ogni singola canzone,
come era disposto ciascuno di noi».
C’è qualcosa che l’ha sorpresa nel ripassare
in rassegna tutti quegli anni?
«Il vincolo, la forza del vincolo che ci univa. La
ricerca della qualità in qualsiasi circostanza. Se
siamo riusciti a sfondare è grazie a questo sforzo d’insieme in cui ognuno di noi ha lavorato a
fondo. E questo ha dato luogo a un’opera d’insieme, molto potente e ampia come concezione
intellettuale. Posso dire che non mi pento di
quello che abbiamo fatto».
Sotto il profilo artistico, non c’è di che lamentarsi, indubbiamente. E da altri punti di
vista? Quelle storie di violenze, di abusi, di eccessi... C’è di che pentirsene?
«Questo non ha niente a che vedere con la musica».
Io penso di sì, e credo anche che sia evidente
nella sua musica. Lei non crede?
«Su di noi sono state dette tante cose. Ma credo che nessuno di noi avrebbe mai potuto trovarsi in una di quelle situazioni neppure per farne la colonna sonora. Mi capisce?».
Oggi avete un buon rapporto tra di voi?
«Assolutamente».
E perché crede che il gruppo si spaccò?
«Perché John Bonham morì, o no?».
Sì, ma esistono molte band che, pur avendo
perso qualche membro, sono andate avanti.
«La nostra creatività ne avrebbe risentito.
Era una band predestinata a esistere, non c’è
dubbio. Era come una profezia divina. Ma se uno
di noi fosse venuto a mancare, John Paul Jones,
Robert o io stesso, non avremmo potuto continuare, lo sapevamo. Fare entrare qualcuno di
nuovo ci avrebbe limitato. Ciò nonostante,
quando ci rimettemmo insieme per una sola
volta, con il figlio di John alla batteria, lo facemmo in un modo molto dignitoso. Riuscimmo a
sperimentare nuovamente quella tensione positiva, l’energia della nostra musica».
(Traduzione di Luis E. Moriones)
©El Pais Semanal
© RIPRODUZIONE RISERVATA
PASSIONE PER L’OCCULTO?
LA DEFINISCA COME VUOLE,
PER ME FA LO STESSO
SE VUOLE SAPERNE DI PIÙ
NON DEVE FARE ALTRO
CHE ASCOLTARE
LA NOSTRA MUSICA.
STA TUTTO LÌ DENTRO.
O ALMENO LO SPERO
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
40
Next. Minority Report
Michael Jackson è già resuscitato on stage
e l’India ha da poco sperimentato le prime
elezioni vinte a colpi (anche) di ologrammi
Dall’arte alla medicina in quali campi
la nostra vita sarà sempre più virtuale
MUSICA
GLI OLOGRAMMI
DI TUPAC
E MICHAEL
JACKSON
SONO GIÀ APPARSI
SUI PALCHI
IN GIRO
PER IL PIANETA.
E LE STELLE
DELLA CULTURA
POP DIVENTANO
ICONE. SARANNO
SEMPRE QUI,
A DISPOSIZIONE
DEGLI IMPRESARI
DI TUTTO
IL MONDO
CARMINE SAV I ANO
I ARRIVERÀ UNA NOTIFICA. Uno dei nostri dispositivi in perenne connessio-
C
ne ci segnalerà che tutto è pronto. E non appena il nostro indice scivolerà sullo schermo, le luci della stanza in cui siamo si abbasseranno e l’ologramma del candidato premier comparirà di fronte a noi. Pronto a convincerci, guardandoci negli occhi, della bontà della sua proposta. Fantapolitica? No, futuro prossimo. Perché gli ologrammi sono già tra noi,
crescono velocemente, sono ancora un po’ sfocati ma stanno passando
dall’adolescenza alla maturità. Serrano i ranghi per rivoluzionare la nostra quotidianità: dalla medicina all’intrattenimento, dalla fruizione
dell’arte e della cultura fino all’informazione e alla comunicazione. Il futuro è olografico. Abbiamo iniziato dalla politica perché è proprio in ciò
che attiene alla polis che l’olografia sta dimostrando le proprie possibilità: implementa la costruzione di comunità in una direzione dove reale e virtuale diventano categorie quasi sovrapponibili. Basta guardare verso Oriente, perché è lì che sorge il nuovo sole della comunicazione politica: le ultime elezioni in India non le ha vinte Narendra Modi, ma il suo ologramma. Merito della Hologram Usa che gli ha permesso di raggiungere con la sua immagine in 3d gli angoli più remoti del Paese. Comizi trasmessi in contemporanea, l’avatar del futuro premier che azzera per un attimo la distanza tra cittadini e istituzioni. Nuove frontiere della partecipazione. E quello indiano è solo un laboratorio. Perché la stessa Hologram Usa fornirà i suoi servizi a chi, tra i prossimi
candidati alla Casa Bianca, vorrà farne uso. Se l’Oriente è un laboratorio, gli Stati Uniti sono un modello. E se l’ologramma politico arriva lì, da Washington conquisterà il mondo.
Dipartimenti universitari di mezzo mondo ormai ci lavorano a pieno regime. Dal Mit di Boston a
Cambridge. In Inghilterra ciò su cui si sta concentrando non è la politica ma la medicina. Un prelievo per le analisi del sangue? Medioevo. Basterà una microtelecamera per proiettare l’immagine tridimensionale e in movimento del plasma o di un qualsiasi organo. Quanto questo possa servire alla
diagnostica è assolutamente intuitivo. E anche qui non si tratta di pii desideri: i lavori in corso sono
a buon punto. C’è di mezzo un gigante della tecnologia come Philips, che sta mettendo a punto un
impianto che consentirà di unire l’ologramma all’ecografia. I genitori potranno “vedere” il loro bambino, ne potranno seguire la crescita. E i medici
faranno analisi in diretta, assicurandosi che no probabili con Elvis che ruba la scena a Kurt Coogni cosa stia andando per il verso giusto. Osser- bain o maxi-produzioni hollywoodiane con Mavare la vita che prende forma. Con gli ologram- rilyn Monroe che fugge da un cattivissimo
mi non sarà possibile solo contemplare il futuro, Heath Ledger. Perché non avviene già? Qui la
ma anche rianimare la storia. Entrare in un libro, questione è solo economica: l’immagine delle
per esempio. C’è riuscito un team di ricercatori star è soggetta alla legge del marketing. Ciò che
delle università di Bologna e delle Marche: l’Uo- però si può già fare è affittare l’ologramma di un
mo Vitruviano finalmente osservabile da tutte dj per le feste, merito dell’italiana Overfest.
le prospettive, il farsi del tratto di Leonardo di
Infine, l’informazione. Alcune testate come la
fronte ai nostri occhi. «L’ologramma ci consente Cnn hanno già messo in cantiere alcuni esperidi riprodurre un manufatto in uno spazio vuoto menti, come la realizzazione di uno studio telecome se lo avessimo davanti a noi», ci dice Paolo visivo sulla falsariga del Ponte Ologrammi di
Clini del Centro studi Vitruviano di Fano. I van- Star Trek. Entrare nei luoghi delle notizie, ostaggi sono tanti: l’arte viene spettacolarizzata, servare i protagonisti della vita politica o econol’ipotesi di un Museo dei Musei prende corpo. mica, seguire gli inviati tra i conflitti che attra«Attraverso questa tecnologia diventa possibile versano il pianeta. Tutto in diretta 3d sul proprio
interrogare l’opera, interagire». Certo, c’è il pro- telefonino: Amazon, Microsoft e la cinese Takee
blema del contesto. Sottrarre un’opera al luogo Technology hanno già in cantiere dispositivi per
per cui è stata pensata va contro ogni storicismo. ricevere ologrammi. E sul versante Apple si par«Ma così si fanno passi avanti sul terreno della la da un po’ di un team di ricerca al lavoro su olodemocratizzazione dell’arte: il codice di Leonar- grammi da toccare.
do è visibile ogni cinque anni. Qui è davanti ai noIl futuro olografico è quindi alle porte. E non
stri occhi in ogni momento», suggerisce Clini.
sarà un tempo privo di polemiche. Perché un
Come saranno davanti ai nostri occhi in ogni mondo in cui “non si va mai a sbattere”, in cui la
momento tutte le star del rock o del cinema pas- resurrezione anche se virtuale è a portata di masate a miglior vita. Lo abbiamo già visto: l’olo- no, un mondo in cui la patina della storia si asgramma di Tupac e quello di Michael Jackson sottiglia, sarà un mondo che farà discutere. Il
hanno già fatto la loro comparsa davanti ai fan. punto è sempre quello: saremo all’altezza della
E in questo campo l’applicazione degli ologram- tecnica? Lo sapremo al primo apparire della
mi coincide con la fantasia, il limite del possibile Compagnia degli Ologrammi.
non esiste: aspettiamoci super-gruppi più o me© RIPRODUZIONE RISERVATA
TECNOLOGIA
LA APPLE CERCA
DI SPOSTARE
AVANTI
IL CONFINE.
A CUPERTINO
STANNO LAVORANDO
SU PROTOTIPI
CHE CONSENTIRANNO
DI TOCCARE
GLI OLOGRAMMI.
“MINORITY REPORT”
PASSERÀ
DALLA FANTASCIENZA
ALLA REALTÀ
DI TUTTI I GIORNI
Terza
dimensione
Avatar di tutto il mondo unitevi
l’uomo nuovo sarà olografico
la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
Come funziona
un ologramma
Ubiquità,
l’eterna sfida
tra scienza
e religione
U MB E R T O G A LI MBE RTI
O SEMPRE considerato il
H
MEDICINA
ANALISI
DEL SANGUE
E CONTROLLO
DEL DECORSO
DI UNA MALATTIA.
SENZA INVASIVITÀ.
L’UNIVERSITÀ
DI CAMBRIDGE
STA METTENDO
A PUNTO
UN DISPOSITIVO
PORTATILE
CHE PROIETTA
L’OLOGRAMMA
DELLA PARTE
DEL CORPO
INTERESSATA
ARTE
L’AVANGUARDIA
È IN ITALIA.
AL CENTRO STUDI
“VITRUVIANO”
DI FANO ALCUNI
RICERCATORI
HANNO
REALIZZATO
LA PRIMA MOSTRA
IN 3D DEDICATA
A LEONARDO.
I SUOI CODICI
NON SONO MAI
STATI COSÌ CHIARI:
L’“UOMO
VITRUVIANO”
OSSERVABILE
DA TUTTE
LE PROSPETTIVE
POLITICA
CAMPAGNE
ELETTORALI
INCORPOREE.
CANDIDATI
CON IL DONO
DELL’UBIQUITÀ.
I PRIMI
ESPERIMENTI
CON IL PREMIER
INDIANO
ASPETTANDOCI
SORPRESE
PER LE PROSSIME
PRESIDENZIALI
NEGLI USA:
I KENNEDY
ALLE CONVENTION
DEMOCRATICHE?
conflitto tra scienza e religione
che, a partire da Galileo, ogni
tanto si ripropone, come
un’increspatura di superficie
che sottintende una profonda alleanza e
una sotterranea continuità. Quando
Ludwig Feuerbach ci dice che “Dio è
l’ottativo del cuore umano” (e chi ha
studiato un po’ di greco sa che l’ottativo è
una forma verbale che esprime gli umani
desideri), dice una incontestabile verità,
già nota nel Paradiso terrestre, quando il
serpente, per emancipare l’uomo da Dio,
invita Eva a mangiare il frutto dell’albero
della conoscenza, a cui Dio aveva proibito
di accostarsi. “Se mangerete questo frutto
diventerete come Dio” furono le parole
profetiche del serpente. Adamo ed Eva
mangiarono il frutto e furono cacciati dal
Paradiso terrestre con due maledizioni:
per Eva “Partorirai nel dolore”, e per
Adamo “Ti procurerai il nutrimento con la
fatica del lavoro”. Passarono i secoli e, con
41
la nascita della scienza moderna,
Francesco Bacone scrive: “Con la scienza e
la tecnica noi ripareremo le pene
conseguenti il peccato originale,
riducendo la fatica del lavoro e il dolore”.
Le metafore religiose hanno sempre
prefigurato il sogno dell’uomo di diventare
come Dio, di acquisire le sue prerogative,
la sua potenza.
E tutto questo che c’entra con gli
ologrammi? C’entra. Perché l’ologramma
consente l’ubiquità. Ossia la possibilità di
apparire contemporaneamente in più
luoghi. In ambito medico rende possibile
vedere in tre dimensioni quel che un
tempo era invisibile, come il decorso delle
malattie o lo sviluppo di una gravidanza.
In ambito artistico rende decifrabili i
codici leonardeschi, giunge persino a
resuscitare virtualmente i morti, in una
parola oltrepassa i limiti dello spazio e del
tempo che Kant aveva segnalato come
strutture fondanti la condizione umana. E
così l’uomo viene ad appropriarsi in modo
virtuale, ma con l’ologramma molto simile
al reale, delle prerogative che la religione
aveva riconosciuto tipiche ed esclusive di
Dio. Con questa tecnica, ma non solo con
questa, la nostra percezione del mondo
subisce un radicale capovolgimento, e con
essa il nostro modo di pensare, di sentire,
di toccare, di immaginare. Dopo di che
resta sempre valido il monito di Günther
Anders, secondo il quale “La tecnica può
segnare quel punto assolutamente nuovo
nella storia, e forse irreversibile, dove la
domanda non è più: cosa possiamo fare noi
con la tecnica, ma che cosa la tecnica può
fare di noi”.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
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Sapori. Primordiali
UN TEMPO, PROPRIO
IN QUESTI GIORNI,
I CONTADINI
CELEBRAVANO
IL RITUALE
DELL’UCCISIONE
DAL MESSICO
(A CUBETTI
CON I TACOS)
AL GIAPPONE
(INFARINATO
CON ZUPPA DI MISO)
L’UNIVERSO SUINO
SODDISFA TUTTI
A OGNI LATITUDINE
10
piatti
internazionali
MESSICO
Tacos
de carnitas
TIJUANA
VIA GHIBELLINA 156/R
FIRENZE
TEL. 055-2341330
Tortillas di mais farcite
con cubetti di carne
— maciza (magra),
surtida (media),
cuerito (grassa) —
cotti in acqua speziata
o nello strutto,
spadellati con arancia,
pepe e coriandolo
STATI UNITI
Pulled pork
GRAPES
VIA DEI PESCATORI 7
CASTEL GANDOLFO (ROMA)
TEL. 06-93020889
Hamburger di spalla
parzialmente
sgrassata, marinata
con spezie miste,
infornata cinque ore
a 150° e sfilacciata,
con salsa barbecue
all’aceto
e insalata piccante
di cavolo e carote
(coleslaw)
SPAGNA
Lacón
L’appuntamento
Spostato di una settimana
per la piena del Po,
la tappa di Polesine Parmense
del tour “November Porc 2014”
si svolgerà il prossimo
fine settimana, tra menù
dedicati, artisti di strada
e visite nelle migliori
aziende della zona
DON JUAN
VIA SALLUSTIO 15
MONOPOLI (BA)
TEL. 080-747470
La spalla salata
(lacón) fiammeggiata,
lavata, lessata,
fatta riposare
per una notte.
Seconda bollitura
con le salsicce
— pre-cotte
per sgrassarle —
cime di rapa (grelos)
e patate
FRANCIA
Choucroute
La disputa
È polemica furibonda
tra i puristi del culatello di Zibello
dop, rigorosamente insaccato
nella vescica di maiale,
e i produttori che, utilizzando
la dicitura “culatello”,
commercializzano cosce
di maiale con cotenna
(ovvero culaccia)
LA LOUCHE
VIA LOMBRIASCO 4
TORINO
TEL. 011-4332210
Crauti in casseruola
con cipolla, chiodi
di garofano, aglio
e ginepro. Vino
sfumato, poi lardo
affumicato, il carré
e dopo due ore
aggiungere le patate.
Nel piatto,
anche salsicce
di Strasburgo
Porco mondo. Bollito,
al forno o in agrodolce?
Ecco perché del maiale
non si butta mai niente
LICIA GRANELLO
GERMANIA
Schweinshaxe
La sagra
Sagra del maiale e del cinghiale
oggi ad Antillo, Messina,
minuscolo paese di grande
tradizione norcina.
In programma, la riproposizione
del secolare mercato
“dî purcidditta e ddî gnarri”,
dedicato alla compravendita
dei lattonzoli
KAPUZINER KELLER
VIA POZZO DEL MARE 1
TRIESTE
TEL. 040-307997
Il maiale al forno
è tra i simboli
gastronomici
dell’Oktober Fest:
stinco rosolato
in pentola, infornato
con timo e rosmarino,
irrorato con la birra,
servito insieme
a patate bollite
o purè
“C
OI DENARI DEI PULCINI avrebbe anche comperato un maiale, per
non perdere le bucce dei fichidindia e l’acqua che serviva a
cuocere la minestra, e a fine
d’anno sarebbe stato come aver
messo dei soldi nel salvadanaio”. Ne I Malavoglia, Giovanni Verga mette in bocca a Mena
uno dei primissimi comandamenti dell’economia contadina: l’allevamento del maiale è
un investimento a costo zero. Affermazione che ne genera subito una seconda,
altrettanto benedetta: del maiale non si butta via niente.
Pensieri comuni e trasversali da una parte all’altra del pianeta, pur con le eccezioni figlie di convinzioni e convenzioni religiose. Ovunque sfugge al marchio
la Repubblica
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
Quel lontano
cugino
portato
in tribunale
Croccante
Coscia di maialino
da latte al forno
con luppolo
e salsa di malto
CINA
Gulao rou
BA ASIAN MOOD
VIA C. RAVIZZA 10
MILANO
TEL. 02-4693206
Spadellata di carne,
peperoni
e peperoncino,
insaporiti
in un condimento
di farina, acqua, salsa
di soia, brodo, sake,
aceto, sale, zucchero,
glutammato
e concentrato
di pomodoro
BRASILE
Virado
à paulista
JACARE
VIA NICOTERA 93
PELLEZZANO (SA)
TEL. 340-6130894
Costolette marinate
nel limone, rosolate,
finite di cuocere
in una polentina
di mais spezzato
insaporita con aglio,
cipolla, prezzemolo,
pomodoro. Nel piatto,
fettine di verza
RUSSIA
Svinina v kvase
marinovannaya
MATRIOSKA
VIA COLLINA VOLPI 6/G
ROMA
TEL. 06-659648341
di impurità — sostituito da oca e affini — il maiale occupa a tutto tondo i luoghi
del mangiare casalingo e non: dispense e cantine, frigoriferi e menù. E poco importa se il tempo è tiranno, la dieta incombe e i soldi scarseggiano: l’universo
suino sa adattarsi alla bisogna, modellandosi su esigenze e desideri, dalle ansie
crescenti degli ortoressici al palato vellutato dei golosi, discount e celiaci compresi.
Un tempo, questi erano i giorni delle maialate, che non avevano altra attinenza sessuale se non l’occasione di gran festa coincidente con l’uccisione del
maiale. Non un maiale seriale, di quelli stipati, ingrassati e siringati che stringono il cuore nei documentari-verità facilmente recuperabili in rete, ma al contrario cresciuto quasi come uno di famiglia, con tanto di nome scritto sulla porta della porcilaia. Proprio come nelle pagine di Verga, gli scarti della cucina erano il menù quotidiano, così che in ogni zona la carne di stinchi e salumi portava
la firma del territorio di appartenenza. Esempio mirabile, quello della tradizione agricola emiliana, dove l’alimentazione dei maiali era indissolubilmente legata alla produzione del Parmigiano Reggiano, e al pastone quotidiano veniva
aggiunto il siero di latte avanzato dalla ri-cottura (ingrediente unico della vera
ri-cotta). Certo, alla fine il maiale perdeva sempre, condannato a morte e assimilato in carne, ossa, sangue e perfino setole dalla comunità. Ma il rapporto uomo-animale/i sottostava comunque a un codice di comportamento. Un approccio non dissimile a quello di tanta parte del mondo, dove il maiale ha accompagnato la dieta quotidiana di uomini e donne, declinato tra bolliti e insaccati, sfamando famiglie e supportando le economie locali.
La logica del profitto globale ha stravolto i sistemi contadini e dato il via libera a epidemie sempre meno controllabili, dalla peste suina in su. Ma piccoli agricoltori resistono, da Upstate New York alla Nuova Zelanda, passando per Andalusia e monti Nebrodi, rivendicando sistemi di allevamento eco-compatibili,
virtuosi, sani per umani, ambiente e quattozampe.
Se avete dei dubbi, cercate in internet un piccolo, geniale cartone animato
battezzato Meatrix, ficcante parodia del film-culto Matrix in chiave ecologica.
Che festeggiate il Natale a casa o a spasso per il mondo, non accontentavi di mangiare del maiale purchessia. Saranno quelli cresciuti in allevamenti virtuosi a
trasformarsi in costine e agrodolci da sogno. Altro che porcate.
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Carne marinata
nel kvas (cereali
fermentati),
infornata, raffreddata,
avvolta in una sfoglia
di farina,
panna acida, burro,
uovo e sale, finita
di cuocere in forno
THAILANDIA
Moo pad king
MINTO
VIA ENRICO ALBANESE 30
PALERMO
TEL. 091-7730604
Bocconi infarinati,
spadellati con aglio,
poi zenzero
fresco grattugiato
e funghi.
A fiamma bassa,
salsa di soia,
salsa di pesce (oyster)
e poca acqua.
Alla fine,
peperoncino fresco
GIAPPONE
Tonkatsu
WABI-SABI
PIAZZALE G. MATTEOTTI 3
PESARO
TEL. 0721-67510
Cotoletta infarinata,
poi passata
nelle uova
e nelle briciole
di pane (panko),
prima di essere fritta,
tagliata a cubetti
e ricomposta.
Servita con riso,
zuppa di miso
e salsa di mele
MI CHE L P A STOURE A U
N
ELLA CULTURA ANTICA e
medievale, soltanto tre
animali sono considerati
“cugini dell’uomo”: l’orso
per via dell’aspetto, del
regime alimentare, delle abitudini e del
comportamento sessuale; il maiale per
l’anatomia interna, la fisiologia, le
malattie, il carattere onnivoro,
l’intelligenza e la sensibilità; e la
scimmia. Vero è che nessun altro piccolo
di animale assomiglia a un neonato più di
un maialino. E in Europa ci si mette
anche il colore della pelle: da quando i
maiali sono rosa, cioè dal Settecento, la
differenza fra un bebè e un porcellino
appena nato non è più tanto grande. Nel
Medioevo gli animali venivano talvolta
considerati addirittura come esseri
morali e perfettibili, dunque responsabili
delle proprie azioni. Da qui i processi che
a essi furono intentati a partire dal XIII
secolo, e le pene severe cui furono
condannati come se si trattasse di esseri
umani. Capitava che i tribunali
emettessero sentenze anche contro cani,
cavalli, muli e bovini, ma il vero
protagonista del bestiario giuridico
rimane il maiale. La prima ragione è
numerica (fra i quadrupedi domestici, il
maiale è uno dei più diffusi in Europa fino
all’epoca moderna) e la seconda è il suo
vagabondare, che provoca tanti
incidenti. Ma la presenza del porco in
tribunale ha sicuramente un’altra
spiegazione: la prossimità biologica con
l’uomo, che era già ben nota ai medici
greci e arabi. Un’idea ricorrente in molti
autori antichi e medievali sottolineava
come l’organizzazione dell’anatomia
interna dell’uomo e del maiale fossero
pressoché identiche. Benché la scimmia
possieda una percentuale più alta di Dna
in comune con l’uomo, oggi il modello
scientifico perfetto per studiare l’essere
umano è il maiale. Sul maiale si svolge un
numero elevatissimo di esperimenti; dal
maiale si estraggono molte sostanze
necessarie alla salute dell’uomo. La
maggior parte dei loro organi e dei loro
umori entra nella composizione di
decine di medicinali d’uso corrente:
fegato, milza, cistifellea, surreni e
tiroide, ovaie, cuore, sangue, stomaco,
intestino e pancreas. Nessun altro
animale fornisce all’industria
farmaceutica altrettante sostanze
curative, alcune, come l’insulina,
consumate su vastissima scala. Il porco
non è utile soltanto alla farmacologia, ma
anche alla chirurgia, perché molti dei
suoi organi — in particolare il cuore e il
fegato — possono essere trapiantati
negli esseri umani.
Creatura socievole, giocosa, sveglia
(citata nell’hit parade delle cinque
specie animali più “intelligenti”), capace
di affetto e di emozione, di manifestare
gioia e paura, il maiale si comporta
spesso come l’essere umano. Un cugino
identificato come tale fin da epoche
molto antiche, ma un cugino che a lungo
è stato malvisto, respinto, umiliato.
(Traduzione di Guido Calza)
Da Il maiale. Storia di un cugino
poco amato © 2014 Ponte alle Grazie
Gallimard, Paris, 2009
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
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L’incontro. Cinici
SONO UN DIRETTO
DISCENDENTE
DI GUGLIELMO
IL CONQUISTATORE
CHE PERÒ
PRIMA DI VINCERE
A HASTINGS
E DI DIVENTARE
RE D’INGHILTERRA
SI CHIAMAVA
GUGLIELMO
IL BASTARDO...
Per anni è stato il braccio destro della Thatcher, ma un giorno lei
lo cacciò su due piedi. “Mi ritrovai con mia moglie su un’isoletta a
leggere il best-seller del momento e a sbuffare. Mi disse: se credi
di poter fare di meglio provaci, basta che non mi rovini la vacanza”. E così è nato F.U., il protagonista dei suoi romanzi poi diventati la fortunata serie tv House of Cards. “Racconto la sola cosa
che conosco bene, la politica
mio eroe. Uno che dice: perché strappare solo un braccio al tuo nemico visto
ne ha due?». Dobbs dice di essersi ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare, ma qui sembra puro Machiavelli: le crudeltà funzionano solo se si fanper com’è e per come deve esse- che
no tutte insieme, al momento di prendere il potere. «Ma non immaginavo né
di diventare uno scrittore, né che avrei avuto tanto successo. Oggi, ventisetdopo, posso ringraziare, per tutto questo, la mia ex moglie». Ma perre: spietata e crudele, lì sta la techéanni
tanto successo, forse neanche Lord Michael riesce a spiegarselo sino in
fondo. F.U. è davvero un bastardo. Eppure, non possiamo fare a meno di stadalla sua parte. «Per fare House of Cards è bastato conoscere la politica per
sua grandezza. No, non posso recome
è realmente e darne una rappresentazione edulcorata: altrimenti nessuno mi avrebbe preso sul serio! Nel corso degli anni, ho incassato attestati
stima da molti politici, e a tutti ripetevo: non è un documentario sulla podirle come finirà la storia; se lo dilitica,
è finzione. Più di un politico mi si è avvicinato con fare da cospiratore
per chiedermi “sono io, vero? Il modello di F.U., dico. Si è ispirato a me?”. E a
ho risposto: per niente! F.U. è un personaggio immaginario». Sarà. Ma
facessi sarei poi costretto a uc- tutti
nemmeno il più scatenato antagonista riuscirebbe a concepire un simile concentrato di perfidia. «Tutti quelli che si avvicinano alla politica, per il novantacinque per cento del loro tempo, si sforzano di migliorare le cose o quanto
ciderla. E mi dispiacerebbe”
meno così descrivono se stessi, come servitori del bene comune. Il fatto è che
Michael
Dobbs
G I ANC AR L O D E CA T A LD O
ROMA
M
ICHAEL DOBBS HA LA STRETTA DI MANO FRANCA, la battuta pronta e
il sorriso caloroso che non ti aspetteresti da un nobile inglese.
E tanto meno dall’ex braccio destro di Lady Margaret Thatcher. Come dire: la spocchia è prerogativa degli arricchiti, o degli snob d’accatto, mentre uno come me non ha niente da dimostrare. «Sono diretto discendente di Guglielmo il Conquistatore. Ma prima di vincere a Hastings e diventare re d’Inghilterra si chiamava Guglielmo
il Bastardo...». Capita l’antifona? Michael Dobbs è uno che adora spiazzare.
Un bastian contrario per vocazione. Tifoso dell’Arsenal, «proprio perché cresciuto in un quartiere di Londra dove tutti tifavano per i Tottenham Hotspurs». Europeista convinto nel regno degli euroscettici: «Non parlatemi di
identità o di piccole patrie. Le differenze ci uniscono, e ci rendono più forti.
L’Europa è nella sua cultura, non nelle sue istituzioni, su cui c’è troppa enfasi. Le istituzioni passano, il Colosseo, Westminster, Notre-Dame restano. È da lì che dobbiamo ripartire». Da lì, e da House of Cards, la serie tv
originata dalla trilogia letteraria che ha regalato a Dobbs fama e successo (in Italia i primi due volumi sono usciti per Fazi, il terzo uscirà a
marzo). Quando ne parla, il Lord che non t’aspetti si accende d’entusiasmo. «Avevo davanti a me una brillante carriera politica. Poi Lady
Thatcher mi ha cacciato su due piedi. Non sarei mai più diventato
ministro o, chissà, ancora di più. Il presidente Mitterrand disse, una volta, che Margaret aveva le labbra di Marilyn Monroe e gli occhi di Caligola. A me, evidentemente, erano toccati gli occhi. Mi ritrovai con la mia allora moglie sull’isoletta di Gozo. Leggevo il best-seller del momento e sbuffavo.
Ero inquieto, insoddisfatto. Lei a un certo punto mi dice:
HO CONSERVATO UN INCARICO ALLA CAMERA DEI LORD
RICEVIAMO UN MUCCHIO DI MERDA DALLA CAMERA
DEI COMUNI, DOVE SI DECIDE, E PER SEI MESI
LA TENIAMO PARCHEGGIATA DA NOI. DOPO LUNGHI
DIBATTITI RESTITUIAMO UN PACCHETTINO DI COMPOST
“Piantala di fare l’arrogante. Se questo libro non ti piace, e
credi di poter fare di meglio, provaci, ma non rovinarmi la
prima vacanza da due anni a questa parte”. Me ne andai in
piscina con un taccuino, una penna e una bottiglia di vino.
Al termine di un lungo pomeriggio, il vino era finito (ovviamente) e sul taccuino avevo scritto solo due lettere. F.U.».
Come Frank Urquarth, deputato conservatore nei romanzi. Come Frank Underwood, il memorabile, cattivissimo Kevin Spacey della serie americana. «Come Fuck You, fottetevi,
per dirla tutta! Il modo migliore per descrivere il carattere del
il restante cinque per cento, il lato oscuro è maledettamente più affascinante. Ci insegna molto di più sulla vita stessa, attraverso la chiave drammatica
che meglio rappresenta la realtà. E per la verità, non ho mai conosciuto in tutta la mia vita un politico che fosse generoso, altruista, aperto, leale. Il politico vive nell’ossessione del potere, tutte le sue energie sono finalizzate alla
conquista, alla vittoria, alla distruzione del nemico. Troppi politici desiderano essere amati, mentre ciò di cui vive un politico è il rispetto. Per guadagnarsi il rispetto, occorre essere efficaci, fare cose che funzionano e che sono
ricordate. La politica può essere, anzi deve essere, spietata, persino crudele.
Ma è lì che sta la sua grandezza». Chissà se si può parlare di grandezza anche
per i pedofili — forse assassini — che pare imperversassero negli anni della
Thatcher. Lord Dobbs sembra perdere per un istante l’abituale understatement. «Per il momento sono solo rumors, voci. E poi, che dire? I politici sono
uomini come tutti gli altri. Come si fa a escludere che fra loro possano esserci anche dei pervertiti?». Inutile insistere. Lord Michael è troppo innamorato della politica per spingersi oltre. Anche se la politica l’ha tradito. Anche se
lui per primo la tradisce di continuo, svelandone il lato oscuro.
Siamo in una saletta del “palazzo Fandango”, in attesa dell’incontro con
il pubblico. Molti giovani, qualche aspirante scrittore. C’è fermento, persino emozione per il faccia a faccia con l’autore di House of Cards. Lord Michael sorseggia un altro po’ di tè. Si affaccia un ragazzo con la barba, mi fa
sottovoce «chiedigli di Renzi». Il Lord coglie il bisbiglio. «È vero, ho scritto
a Matteo Renzi qualche riga, dopo aver visto che si era fatto fotografare
mentre acquistava una copia del mio libro. Gli ho fatto presente che House
of Cards è un romanzo, non un manuale di istruzioni. Tuttavia, penso che di
politici come lui ci sia bisogno, perché è un uomo nuovo che non ha niente a
che spartire con l’eredità — terribile — della politica degli ultimi venti anni». Tutto qui? Eppure, gira voce di un, diciamo così, “feeling” con il nostro
UNA SIGNORA UNA VOLTA MI FERMA
E TUTTA ECCITATA MI STRINGE LA MANO:
“LEI È GRANDE! TUTTE LE SERE LEGGO
UNA O DUE PAGINE DEL SUO LIBRO.
VEDESSE COME MI CONCILIA IL SONNO”
premier... «Meglio essere riservati» sospira, in un furbo “direnon-dire” che rivela lo stratega delle comunicazioni. «In ogni caso, e questo vale per Renzi come per chiunque altro, ho imparato dalla Thatcher che la cosa più utile per un politico è un robusto paio di stivali chiodati. Per camminare comodamente e per
prendere a calci chi se lo merita».
Il presente di Dobbs è nella Camera dei Lord. «Un incarico consultivo, senza potere reale. Però ha un senso. Lo paragono a una
macchina per il compostaggio dei rifiuti. Riceviamo un mucchio di merda dalla Camera dei Comuni, dove si decide, e per
sei mesi la teniamo parcheggiata da noi. Dopo lunghi dibattiti, restituiamo un pacchettino di compost: che non sarà perfetto, ma è sempre meglio del magma originario. Questo fa
di me un lombrico parlamentare». Il futuro è ancora House
of Cards. «La terza serie è pronta. La vedrete presto anche
in Italia. E dopo... Potrei farle qualche anticipazione, ma poi
sarei costretto a ucciderla, e questo mi dispiacerebbe. Diciamo che dopo un quarto di secolo di vita in comune non
vorrei liberarmi di F.U. Perciò: come escludere che possa
continuare a vivere, mettiamo, dopo la morte? La verità
è che non ho idea di cosa accadrà in futuro». La folla, di là,
rumoreggia. Un ultimo sorso di tè, Lord Michael, e una dichiarazione al popolo dei lettori. «Lettori! Adoro i miei lettori! Una signora una volta mi ferma, dopo un reading. Tutta eccitata mi stringe la mano e mi fa: “Dobbs, lei è grande!
Tutte le sere, prima di addormentarmi, leggo una o due pagine del suo libro. Sapesse come mi concilia il sonno...”. Voleva essere un complimento. Beh, a quella signora e a tutti gli altri direi: leggete, divertitevi, non prendetelo troppo sul serio...».
Pausa. Lampo ironico nello sguardo. «Ma nello stesso tempo,
prendetelo tremendamente sul serio!».
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