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LA DIMOSTRAZIONE IN AMBITO ARITMETICO: QUALE SPAZIO
LA DIMOSTRAZIONE IN AMBITO ARITMETICO: QUALE SPAZIO NELLA SCUOLA SECONDARIA? Nicolina A. Malara INTRODUZIONE Dato il tema del convegno, desidero iniziare con una riflessione sulla valenza educativa generale della dimostrazione, a prescindere dal suo valore intrinseco alla matematica e alla sua didattica e sui presumibili motivi del suo declino. Per questo riporto, in ordine temporale, quanto espresso da due noti studiosi, i quali evidenziano implicazioni importanti della dimostrazione, di tipo socio-politico, di solito poco considerate. G.Hanna (1995): La Dimostrazione è un argomento trasparente, in cui tutte le informazione usate e tutte le leggi di ragionamento sono chiaramente espresse e aperte alla critica. E’ proprio per la natura stessa della dimostrazione che la validità della conclusione scaturisce non da alcuna autorità esterna ma dalla dimostrazione stessa. La dimostrazione veicola agli studenti il messaggio che essi possono ragionare da se stessi, che non hanno bisogno di piegarsi alla autorità. Dunque l’uso della dimostrazione in classe è in realtà anti-autoritario L. Russo (2000): La tendenza ad eliminare le dimostrazioni è oggi molto forte e segue varie strade contemporaneamente: mentre il metodo dimostrativo è quasi completamente scomparso dalle scuole secondarie dell’occidente, si stanno diffondendo (in particolare negli USA) corsi di “fisica senza matematica”, nei quali la fisica è insegnata con un metodo puramente descrittivo; inoltre le dimostrazioni tendono a sparire anche dai corsi universitari di matematica (in Italia i corsi di matematica generale per Economia e gli altri corsi “di servizio” hanno già quasi completato la trasformazione; per i corsi di laurea in matematica e fisica un importante passo avanti in questa direzione sarà compiuto con le lauree triennali appena istituite). In definitiva il metodo dimostrativo si sta rifugiando in una “riserva indiana” costituita da pochi corsi di dottorato e pochi settori della ricerca matematica (dove, essendo usato solo per fare carriera accademica, potrà in breve essere sostituito da una qualsiasi altra tecnica sufficientemente astrusa). Le conseguenze di questo processo sulle capacità argomentative diffuse sono facilmente verificabili (e costituiscono la controprova dell’antico rapporto tra dimostrazioni, capacità argomentative e democrazia). Come è evidente dalla loro lettura, questi brani esaltano della dimostrazione non tanto l’attitudine al ragionamento conseguenziale e coerente quanto aspetti educativi più generali riguardanti la convivenza civile ed il confronto democratico. Il secondo brano inoltre punta l’indice sul declino della dimostrazione nell’insegnamento a livelli anche avanzati e prefigura come conseguenza il diffondersi nella società di una scarsa coscienza critica e una passività intellettuale tragicamente nocive all’affermarsi di un reale spirito democratico (questo tema è ampiamente trattato anche in Russo 1998). La responsabilità degli insegnanti al riguardo va dunque ben oltre gli aspetti disciplinari, pure molto importanti. Ciò premesso, svilupperemo il nostro tema in due parti. Nella prima tratteremo questioni di carattere generale sulla dimostrazione in matematica e su aspetti logicolinguistici ad essa connessi, soffermandoci sul problema delle scarse conoscenze al riguardo degli studenti in ingresso all’università. Nella seconda parte affronteremo 97 specificamente la questione della dimostrazione in ambito aritmetico e al ruolo del linguaggio algebrico; ci soffermeremo a descrivere i risultati di uno studio, condotto con futuri insegnanti di matematica, sui processi dimostrativi da loro messi in atto in relazione a problemi nell’ambito dei numeri naturali; affronteremo poi un argomento classico dell’educazione algebrica nord-europea: l’induzione di regolarità in sequenze numeriche, in relazione a questo accenneremo al principio di induzione ed a problemi connessi con la sua concettualizzazione. LA DIMOSTRAZIONE IN MATEMATICA DAL PUNTO DI VISTA DIDATTICO La dimostrazione è elemento cardine dello sviluppo della conoscenza matematica. Davis ed Hersh (1981) sostengono addirittura che la dimostrazione caratterizzi univocamente la matematica e che non vi sia matematica se non vi è dimostrazione. Rilevano che, rispetto ad un dato argomento, la dimostrazione determina la validità di enunciati, in genere non evidenti ed a volte insospettati, ed aumenta la conoscenza e comprensione dell'argomento stesso. Richiamano poi il valore sociale della dimostrazione, per il costante processo di critica e di conferma cui è sottoposta, che ne suggella la rispettabilità e l'autorità. A commento di queste tesi si può osservare che il significato da attribuire al termine dimostrazione va inteso non tanto, o non solo, nell’aspetto di sistemazione di un processo di ragionamento deduttivo ma riguarda anche l’attività di indagine in un certo ambito, di formulazione di congetture e scoperta di nuove conoscenze. Questa visione della dimostrazione, induttiva e deduttiva insieme, tipica della cultura di matrice anglosassone, è presente anche in nostri importanti classici autori; ad esempio Vailati, a proposito dell’insegnamento della geometria euclidea, nel 1904 scriveva “E’ di somma importanza che l’allievo arrivi il più presto possibile a vedere nel processo di dimostrazione un mezzo per passare dal noto all’ignoto, uno strumento cioè di prova e, ancor più, di ricerca, mentre solo più tardi potrà apprezzarne e gustarne l’efficacia come strumento di analisi, e di riduzione al minimo, dei concetti e delle ipotesi fondamentali”1. Riguardo alla validazione sociale della dimostrazione non va dimenticato che essa risente di tutte le dinamiche della comunità di riferimento e della rilevanza che tale comunità dà a certi risultati (Marchini 2000), cosa inoltre legata alla personalità ed al ruolo nella comunità del loro autore. Ciò porta anche alla considerazione, a livello internazionale, delle leadership politico-culturali dei vari paesi: non è un caso che generalmente sia misconosciuto il primato di Ruffini sulla dimostrazione della impossibilità dell’esistenza di una formula risolutiva per radicali di una equazione algebrica di grado superiore al quarto o, ancor più semplicemente, che il suo metodo per la divisione di un polinomio per uno lineare monico, molto applicato in ambito informatico, sia denominato oggi, paradossalmente anche in Italia, come metodo di Horner. Tradizionalmente in Italia l'iniziazione dell'allievo alla dimostrazione avviene all'ingresso della scuola secondaria superiore con lo studio della geometria euclidea. Il passaggio dalla scuola media, dove lo studio della geometria è essenzialmente di tipo operativo e 1 Su questo aspetto si veda in questi atti il contributo di Lolli, in particolare quanto da lui riportato circa i processi dimostrativi di Eulero; più in generale sull’evoluzione nella storia della domostazione si veda Lolli (1988). 98 basato sull'intuizione, alla scuola secondaria, dove lo studio si concentra sulle proprietà delle figure geometriche che si desumono per inferenza logica da un sistema di assiomi (o meno rigorosamente da un insieme di proprietà elementari assunte come vere), determina negli allievi un grosso disorientamento. Questo stato di cose è comune a molti altri paesi, come testimoniato da vari interventi al Congresso Internazionale "Perspectives on the Teaching of Geometry for the 21-st century" promosso dall'ICMI (si vedano gli atti a cura di Mammana & Villani, 1998). Altrettanto comune è il poco spazio dato alla dimostrazione al di fuori dalla geometria ed in particolare all’ambito aritmetico-algebrico, come è anche testimoniato dalle poche ricerche didattiche su questo versante rispetto alla mole di quelle in ambito geometrico. Tuttavia vi sono paesi, come l’Inghilterra, in cui l’insegnamento della matematica ha un carattere costruttivo più che descrittivo (si educano cioè gli allievi a “fare matematica” più che ad apprendere fatti matematici), ove, con l’implementazione dei nuovi programmi (1995), l’insegnamento della dimostrazione è ora prescritto tassativamente sin dai dodici anni2, ed in ambito numerico questa è proprio vista in intreccio con l’apprendimento del linguaggio algebrico (Hoyles 19973). Nel porsi specificamente il problema didattico dell'avvio alla dimostrazione va innanzi tutto operata una distinzione tra gli aspetti che ad essa concorrono e le corrispondenti tipologie di attività. Una cosa è infatti proporsi di educare gli allievi a costruire una dimostrazione attraverso attività di indagine e/o di problem solving dimostrativo, altra cosa è condurre gli allievi a leggere, comprendere e apprendere una dimostrazione. A questi aspetti, entrambi importanti e complementari, fa capo il più generale problema della comunicazione, connesso sia alla capacità espositiva in lingua italiana sia all’apprendimento/gestione del linguaggio algebrico e di quello grafico-simbolico. Un ulteriore ed importante aspetto, che richiede un insegnamento di tipo metacognitivo ed attento agli aspetti sintattico-strutturali riguarda la rete di connessioni logiche soggiacenti ad una dimostrazione e più in generale i metodi di dimostrazione e relativi schemi deduttivi (Marchini, 1995). Classici ed interessanti studi sui comportamenti degli allievi impegnati in attività di indagine e costruzione di una dimostrazione sono quelli di Bell (1976) e Balacheff (1988). Entrambi gli autori, seppure con diverse impostazioni e terminologia, distinguono essenzialmente tre momenti: 1) degli esperimenti o verifiche empiriche in cui l’allievo esplora la situazione per la formulazione di congetture o per convincersi della validità di un assegnato enunciato e cercare le ragioni che ne stanno alla base; 2) dell’illuminazione e convincimento personale in cui l’allievo intuisce-coglie-e chiarisce a se stesso le ragioni che stanno alla base della validità della tesi; 3) della sistemazione e della prova in cui l’allievo ricostruisce il proprio ragionamento al fine di comunicarlo agli altri e convincerli della correttezza dello stesso. Balacheff inoltre svolge un’interessante distinzione tra prove empiriche e prove intellettuali sottolineando come nelle prime sia presente il soggetto e l’azione e siano caratterizzate dall’uso di un linguaggio familiare, nelle seconde vi sia un distacco dal soggetto e dall’azione ed il 2 3 Nei programmi inglesi vi è uno specifico tema “Using and applying mathematics to solve problems” dedicato sia al problem solving dimostrativo sia agli aspetti logici della dimostrazione, in relazione ad esso sono obbligatorie specifiche prove d’esame. Per questioni di reperibilità si è riportata la data ed il luogo di pubblicazione della versione italiana. 99 linguaggio usato sia astratto e atemporale. Tali classificazioni consentono una lettura fine delle produzioni degli allievi e possono essere letti in termini di criteri di valutazione degli stessi. E’ ben noto che allievi con difficoltà di apprendimento di fronte ad un teorema si trovano a confondere premesse con conseguenze, o lo utilizzano impropriamente scambiando ipotesi con tesi o più in generale non colgono la concatenazione logica tra passi dimostrativi. Al riguardo alcuni studiosi evidenziano come alcuni allievi riescano a comprendere i singoli passi di una dimostrazione riuscendo ad esercitare un controllo locale della deduzione ma che non riescano ad avere una visione globale della rete di connessioni (Galbraith, 1981); altri indicano strategie didattiche per portare l’allievo ad oggettivare tale rete di connessioni ed in particolare a rilevare il diverso stato operatorio di una data proposizione a seconda della sua collocazione nella rete (si veda ad esempio Duval 1991). Notevoli inoltre sono le difficoltà degli allievi a livello linguistico, che sono correlate con la più generale capacità espressiva e la padronanza del linguaggio sia naturale che matematico. Per ovviare a tali difficoltà è opportuno dedicare una particolare cura agli aspetti logici del linguaggio e in particolare alle proposizioni condizionali portando gli allievi a riconoscerle quando espresse implicitamente attraverso l’uso di articoli indeterminativi o di quantificatori universali (es. “un numero divisibile per quattro è divisibile per due”, “ogni rettangolo ha le diagonali uguali”) ed a convertirle in termini di “se ed allora” (per approfondimenti su questi aspetti si veda Malara 1996 o Malara e Iaderosa 1996)4. Ancora occorre abituare gli allievi a distinguere tra implicazione, sua inversa, sua contronominale e sua contraria, a riconoscere l’equiveridicità di una implicazione e della sua contronominale5 ed il ruolo di quest’ultima nelle dimostrazioni per assurdo. Al riguardo una cura particolare va attuata circa la negazione di proposizioni quantificate (gli studenti frequentemente identificano la negazione con il contrario e conseguentemente credono che la negazione di “tutti”6 sia “nessuno”). 4 5 6 Sarebbe addirittura assai meglio che gli enunciati dei teoremi non fossero visti come affermazioni condizionali, bensi’ come frasi ipotetiche cioè se + congiuntivo, allora + condizionale. Questo mostrerebbe che la matematica non e’ il repertorio di certezze: la condizionale dice: se F e G sono derivabili anche F+G e’ derivabile, l’ipotetica afferma: se F e G fossero derivabili, anche F+G sarebbe derivabile. Un esempio classico di diffusa difficoltà a livello anche del primo anno dell’università, per la la mancanza di riconoscimento della equiveridicità tra implicazione e sua contronominale, riguarda la caratterizzazione delle rette del piano mediante equazioni algebriche lineari a due variabili. Per questo occorre dimostrare che data una retta r del piano, introdotto in esso un riferimento cartesiano, esiste una equazione lineare che è soddisfatta dalle coordinate di tutti e soli i punti della retta. Per dimostrare che questa condizione è caratteristica della retta r, ossia che valgono le due implicazioni “data una retta r del piano e introdotto in esso un riferimento cartesiano esiste una equazione lineare che è soddisfatta dalle coordinate di tutti i punti della retta” e viceversa “considerata l’equazione associata alla retta r, se si considera una coppia di numeri reali soluzione di questa equazione allora tale coppia necessariamente rappresenta un punto della retta data” si procede ricorrendo alla contronominale di quest’ultima proposizione, ossia si prova che se si considera un punto del piano fuori dalla retta r allora le sue coordinate non soddisfano l’equazione individuata. Ci riferiamo qui al “tutti” in senso distributivo. In italiano tutti viene usato almeno in due sensi, es. 1) tutti i gatti di Carlo sono bianchi; 2) tutti i gatti di Carlo sono consanguinei. Queste due frasi hanno la stessa struttura, ma nella prima tutti è distribuitivo, nella seconda no. Questo e’ un ostacolo, messo in luce da Frege; per altri esempi si veda Iacomella et al. (1997) 100 Un discorso a parte merita la questione delle condizioni necessaria e sufficiente. Solitamente queste si introducono in presenza di coppie di teoremi uno inverso dell’altro, per sottolineare l’equivalenza delle proprietà espresse da tali condizioni. Esempi elementari di questo sono, nell’ ambito dei naturali, le condizioni “essere quadrato di un numero primo” ed “avere esattamente tre divisori”, equivalenti per effetto dei due teoremi condensati nell’enunciato “un numero naturale è quadrato di un numero primo se e solo se ha esattamente tre divisori”; o nell’ambito dei triangoli del piano le condizioni “avere due lati uguali” ed “avere due angoli uguali” equivalenti per il “doppio” teorema “un triangolo è isoscele se e solo se ha almeno due angoli uguali”. Raramente di fronte ad un teorema si analizzano con gli allievi le condizioni espresse rispettivamente dalla ipotesi e dalla tesi motivando le rispettive denominazioni di “condizione sufficiente” e “condizione necessaria”. Questa omissione genera una diffusa incomprensione del loro significato e spesso sta all’origine di atteggiamenti di passivo apprendimento mnemonico. Riflessioni su questi aspetti sono invece indicate dalla ricerca didattica come essenziali e da avviarsi precocemente e trasversalmente sin dalla scuola dell’obbligo, né mancano proposte esplicitamente rivolte agli insegnanti finalizzate alla trasposizione didattica di questi temi (si vedano ad esempio il volumetto “Logica” del progetto Nuffield (1974), dedicato alla scuola elementare o la recente monografia di Navarra (1998) dedicata alla educazione logica nella scuola media). U NA DIVAGAZIONE RISPETTO AL TEMA: “LO STATO DELL’ ARTE ” CIRCA CONOSCENZE E CONCETTI LEGATI ALLA DIMOSTRAZIONE DI STUDENTI IN INGRESSO ALL’UNIVERSITÀ Le carenze circa la didattica della dimostrazione nella scuola secondaria e più in generale sugli aspetti di tipo logico-linguistici e metacognitivi ad essa connessi, sono documentate da diversi studi (Ferrari 1996, Zan 1997, 2000). Per dare un’idea tangibile delle concezioni assenti o errate di tale fascia di studenti riportiamo qui in dettaglio i risultati di un questionario7 sottoposto ad in campione di studenti della Facoltà di Scienze di Modena in ingresso all'università8. Il questionario era volto a rilevare negli studenti: A) la conoscenza e il controllo del significato di dimostrazione e di termini specifici ad essa inerenti; B) la capacità di individuare nell’enunciato di un teorema non in forma condizionale l’ ipotesi, la tesi, la condizione necessaria e quella sufficiente ad esso associate; C) la capacità di valutare la correttezza di una conclusione asserita sulla base di date premesse o di trarre conclusioni da una serie di premesse. Esaminiamo i risultati di alcuni dei questiti proposti in relazione ai punti indicati. Punto A Agli studenti è stato chiesto di dire se conoscevano il significato dei termini: 7 8 Il questionario è stato gentilmente concesso da R. Zan dell’Università di Pisa. Gli studenti, frequentanti i corsi di azzeramento della Facoltà, non appartenevano a corsi di laurea in Matematica o Fisica. 101 Enunciato, Definizione, Ipotesi, Tesi, Teorema, Dimostrazione, Lemma, Corollario, Controesempio, Dimostrazione per assurdo, Condizione necessaria, Condizione sufficiente, Condizione necessaria e sufficiente ed in caso affermativo di spiegarne il significato. I termini più frequenti dichiarati sconosciuti sono stati: lemma; condizione necessaria; condizione sufficiente; condizione necessaria e sufficiente; dimostrazione per assurdo; controesempio; definizione. Le spiegazioni dei termini dichiarati noti sono state date correttamente da pochissimi studenti, la maggior parte hanno rivelato concezioni errate, frammentate e distorte. Ciò che fa riflettere è che queste concezioni si sono rilevate anche in studenti della fascia medio-alta e provenienti dai licei. Le riportiamo per ciascun termine. Riguardo al termine Enunciato vi sono studenti che pur avendone una visione corretta lo considerano in associazione al valore di verità, rivelando l’influenza negativa dello studio dei primi elementi di logica (es.: Frase di senso compiuto che ha una verità9), altri che ne hanno una visione esclusivamente in riferimento ai teoremi (es.: l'enunciato è il testo del teorema; Affermazione di un teorema, Condizioni iniziali del teorema Racchiude un'ipotesi ed una tesi) o addirittura alle tesi (es.: Conclusione di una dimostrazione), o alle definizioni (es. Condizione che mi determina una definizione). Circa il termine Definizione ci sono studenti che lo identificano con quello di assioma (es.: E’ un postulato certo; Condizioni vere che non hanno bisogno di dimostrazione; Qualcosa di non soggetto ad alcuna dimostrazione, che deve essere accettato per quello che è; Frase che spiega un determinato evento o oggetto e ne delinea le caratteristiche - sempre vera non necessita di dimostrazione), altri studenti lo identificano con quello più generale di enunciato vero (es. Esposizione di una legge, teorema, ecc), altri ancora centrano l’attenzione sulla semantica (es.: Significato di un concetto più importante; Dare un significato) o sul suo valore esplicativo (es.: Spiega il concetto in breve; Proposizione che spiega una determinata situazione; Proposizione esplicativa di un solo oggetto). Per quanto riguarda i termini Ipotesi e Tesi le concezioni espresse sono in genere più corrette. Tuttavia si è riscontrato, circa l’ipotesi, una visione che potremmo definire “assoluta”, che non tiene conto della sua assunta validità (es.: Sono i dati di un teorema; Dati e informazioni su un teorema da risolvere; Nozioni certe da cui parto per la dimostrazione), non mancano comunque le visioni vaghe in semplice associazione alla tesi (es. affermazione legata alla tesi che la segue). Più carenti le concezioni riguardanti la tesi. Alcuni studenti la identificano con la dimostrazione (es.: E’ la dimostrazione del teorema, o delle ipotesi del teorema, e serve a verificare se esso sia vero o falso; Procedimento che mi permette di confermare la mia ipotesi dire se è vera o falsa l'implicazione logica); altri la vedono semplicemente correlata all’ipotesi (es. Conclusione dell'ipotesi; Affermazione legata all'ipotesi che potrebbe essere vera ma deve essere verificata). Circa il termine Teorema in alcuni studenti appare una concezione di enunciato e dimostrazione congiunti assieme, a volte malamente (es: Comprende un enunciato e la sua dimostrazione”, E’ quel testo dove viene indicata l'ipotesi e la tesi quindi, tramite la dimostrazione si capisce se è vero o no l'enunciato; Enunciato composto da due parti: l'ipotesi che si suppone vera e la tesi che è dimostrata vera mediante una serie di passaggi logici; Enunciato a cui si arriva mediante una dimostrazione); 9 Le frasi riportate in corsivo qui di seguito sono quelle date dagli studenti. 102 in altri prevale l’idea di enunciato vero in assoluto (es. implicazione logica sempre vera), in altri ancora l’idea di dimostrazione (dimostrazione di un assunto attraverso procedimenti logici); oppure una concezione di legge o regola ( es: legge verificata; legge che risulta vera perché dimostrata; regola matematica già precedentemente dimostrata; è una regola, o meglio è l'insieme delle ipotesi e della sua dimostrazione, quindi è già definito) Vi sono anche concezioni inesistenti o errate (es. l'enunciazione di relazioni tra più elementi; insieme di ipotesi che mi dimostrano la tesi). Riguardo alla Dimostrazione prevale, in modo preoccupante, una concezione di spiegazione o verifica anche attraverso rappresentazioni grafiche od esempi (es.: verifica della tesi o dell'ipotesi; spiegare qualche cosa; spegazione (anche grafica) di un teorema o di un problema; usando alcuni esempi dimostro la veridicità e la non veridicità del teorema; passaggi matematico/induttivi attraverso i quali giungere alla prova della veridicità della tesi; verifica la tesi (con esempi)) o anche concezioni errate (es. rendere vero un risultato (o tesi) ottenuto (di un teorema)) Circa la Dimostrazione per assurdo sono presenti concezioni improprie, o di tipo tautologico (es. E’ una dimostrazione molto particolare nella quale per dimostrare una tesi faccio un'ipotesi falsa; L'enunciazione di relazione tra più elementi; Modo per verificare la tesi legata a ipotesi non vere ma utili per la dimostrazione; Verifica della tesi e della ipotesi, ragonamento per assurdo; E’ un metodo per dimostrare il teorema e si fa rendendo assurdo l'enunciato) concezioni ambigue o scorrette, ove si scambiano i ruoli di ipotesi e tesi (es.: Procedimento che utilizzo per verificare la mia tesi, che non ha come riferimento l'ipotesi del teorema, ma l'opposto dell'ipotesi; Dimostrare una proposizione utilizzando la sua negazione: aÆ b lo dimostro con non aÆ non b; Dimostrazione dove dimostro la tesi negando (per assurdo) l'ipotesi; E’ una dimostrazione che ha in partenza la non veridicità dell'ipotesi) o concezioni platealmente scorrette (es.: dimostrare qualche cosa banalmente in modo da dare una verifica banale). Inconsistenti appaiono le concezioni circa il Controesempio, in particolare si distinguono quelle di: esempio che nega un esempio precedente (es.: Esempio che nega l'esempio precedente; Esempio che mi permette di contraddire l'esempio primario); esempio a sostegno di un altro esempio (es.: esempio per verificare l'esempio precedente); esempio a sostegno di una dimostrazione (es.: Provare con un ulteriore esempio a dimostrare una determinata cosa; Ulteriore verifica della dimostrazione e perciò dell'esempio; Serve per spiegare un concetto utilizzando un procedimento inverso a quello del primo esempio dato; e' importante per affermare la verità di una dimostrazione). Nessuno degli studenti rivela una concezione corretta di Corollario, queste quelle espresse: Enunciato assunto per vero, che parte da un teorema precedentemente dimostrato; Enunciato ritenuto vero senza bisogno di dimostrarlo; Teorema secondario; Serie di esempi che dimostrano un teorema. Circa i significati delle singole locuzioni Condizione necessaria; Condizione sufficiente sono date risposte campate in aria (es.: Condizione del teorema per far si che questo sia vero; Condizione senza la quale non possiamo dimostrare il nostro teorema; Condizione che da sola non è sufficiente per una dimostrazione; è una condizione necessaria per verificare l'ipotesi (risp. la tesi)) o errate che tuttavia riflettono usuali modi di dire nello sviluppo della dimostrazione di una doppia implicazione (es.: E’ necessaria la 103 Tabella 1 Quesito sulla concettualizzazione di: ipotesi, tesi, condizione necessaria, condizione sufficiente Dei seguenti teoremi indica: a) l'ipotesi e la tesi; b) la condizione necessaria e la condizione sufficiente. a) un polinomio di grado n ha al più n radici b) se due triangoli hanno i lati uguali allora hanno anche gli angoli uguali c) le diagonali di un rettangolo sono uguali d) la composizione di due funzioni crscenti è una funzione crescente e) il prodotto di due funzioni dispari è una funzione pari f) un polinomio ha come radice il numero a se e solo se è divisibile per x-a condizione in cui (date due proposizioni) la prima implica la seconda; è sufficiente la condizione in cui (date due proposizioni) seconda implica la prima). Circa il significato della locuzione Condizione necessaria e sufficiente sono date spiegazioni improprie (es.: condizione che verifica l'ipotesi e la tesi; Si deve verificare per dimostrare il teorema) o altre che tuttavia rivelano una qualche concettualizzazione (es: condizione che scambia il ruolo dell'ipotesi e della tesi garantendo comunque la veridicità del teorema). Punto B Agli studenti è stato proposto, in relazione ai teoremi riportati in tabella 1, di: 1) riconoscere l'ipotesi e la tesi; 2) indicare quale sia la condizione necessaria e la condizione sufficiente. I risultati ottenuti sono stati deludenti. Gli studenti hanno riconosciuto ipotesi e tesi solo nel caso b) in cui l'enunciato ha la struttura "se ...allora ...". Molti hanno identificato l'enunciato del teorema come tesi. Persino il quesito c) si è rivelato difficile, ed ha dato luogo ad una variegata gamma di risposte errate (si veda tabella 2). Circa il punto 2) la metà hanno omesso di rispondere, alcuni hanno sbagliato clamorosamente, i restanti hanno risposto solo in relazione al caso f) affermando, più o meno correttamente, che ogni condizione espressa da ipotesi e tesi è insieme necessaria e sufficiente. Questi risultati si commentano da soli. Tabella 2 Risposte scorrette date circa ipotesi e tesi del teorema “Le diagonali di un rettangolo sono uguali” - ipotesi: le diagonali di un rettangolo sono uguali ; tesi: ipotesi: le diagonali sono uguali; tesi: la figura è un rettangolo ipotesi: diagonali di un rettangolo; tesi: sono uguali ipotesi: se le diagonali sono uguali; tesi: è rettagolo ipotesi: esiste un rettangolo; tesi: ha le diagonali uguali ipotesi: diagonali di un rettangolo; tesi: uguali ipotesi: se un rettangolo ha diagonali; tesi: allora le diagonali di un rettangolo sono uguali ipotesi: A, B diagonali di un rettangolo; tesi: le diagonali sono uguali ipotesi: dato un rettangolo, date (e definite in precedenza) le due diagonali; tesi: sono uguali Punto C E’ stato proposto un compito, riportato in tavola 3, in cui si richiedeva agli studenti di riconoscere se quelle elencate fossero dimostrazioni di un dato teorema10 . Il compito 10 Facciamo osservare che la dimostrazione del teorema, non richiesta né presente tra quelle elencate, è alla portata di uno studente di biennio di scuola secondaria; essa si basa sui seguenti passi: - il passaggio dalla rappresentazione abcabc a quella polinomiale, ossia a105 +b104 +c103 +a102 +b10+c (con a, b, c numeri naturali da 0 a 9 ed a non nullo); - il riconoscimento dell’espressione a102 +b10+c come fattore del termine a105 +b104 +c103 e 104 Tavola 3 Quesito sul controllo critico di procedimenti dimostrativi Considera il seguente "teorema": Un numero di sei cifre con le cifre che si ripetono a tre a tre, cioè del tipo abcabc, è divisibile per 13.11. Per dimostrare il teorema: 1. faresti alcuni esempi (come 771771 o 254254) per controllare: se il teorema funziona per parecchi numeri, allora è dimostrato; 2. prenderesti un numero particolare di quel tipo e cercheresti di dimostrare che è divisibile per 13; 3. si dovrebbe dimostrare che abcabc è divisibile per 13 in generale, senza scegliere a, b e c. Ma siccome è impossibile dimostrare una proprietà per un numero che non si conosce, si può solo fare qualche esempio per convincersi che il teorema è giusto; 4. altro; 5. non so. era volutamente distraente, proprio perché concepito per testare l’atteggiamento critico. A questo quesito hanno risposto tutti gli studenti con la seguente distribuzione di risposte per i punti da 1 a 5: 13%; 17%; 47%; 13%; 10%. Come è evidente la risposta più gettonata è stata la terza, cosa che rivela la scarsa dimestichezza degli studenti con il processo dimostrativo. Vi sono state due categorie di risposte date da chi ha risposto ad “altro”, la prima comprende alcuni allievi che pensano di procedere per assurdo, la seconda comprende allievi che pensano che il teorema sia falso. Questi due prototipi di risposte: Categoria.1: cerco di dimostrarlo per assurdo: abcabc = 13x + n cercando così di trovare che n non esiste, cioè nego che esista un n che sommato a 13x mi dia un numero del tipo abcabc. Categoria. 2: Bisogna dimostrare che tutti i numeri di sei cifre con le cifre che si ripetono a tre a tre sono divisibili per 13. Per negare il teorema è sufficiente che almeno uno dei suddetti numeri non sia divisibile per 13. E’ molto indicativo il fatto che circa la metà degli studenti pensino che per la prova sia sufficiente l’esecuzione di un certo numero di verifiche e che nessuno degli studenti consideri la possibilità di affrontare la dimostrazione diretta. Quanto riportato globalmente nei punti A, B, C documenta in modo preoccupante la povertà di conoscenze degli studenti e le loro profonde carenze difficilmente colmabili a questo livello d’età e di studio. Non possiamo non riflettere sulle implicazioni sociali del fatto che molti di loro presto insegneranno matematica e scienze alle scuole secondarie inferiori e paradossalmente avranno il compito di gettare le basi per (e dare significato a) la conoscenza di argomenti come questo, che invece non controllano assolutamente. LA DIMOSTRAZIONE IN AMBITO ARITMETICO l’applicazione della proprietà distributiva due volte con l’esecuzione delle due trasformazioni a105 +b104 +c103 +a102 +b10+c = 105 (a102 +b10+c) +a102 +b10+c = a102 +b10+c (105 +1); - la considerazione che per l’arbitrarietà delle cifre a, b, c perché un numero di questo tipo sia divisibile per 13, essendo 13 numero primo bisogna che lo sia il numero 1001 e la verifica che lo è effettivamente. 11 La rappresentazione abcabc non è corretta ma è chiara nel contesto in cui è inserita. E’ stata adottata per facilitare la comprensione del testo da parte degli studenti. 105 La dimostrazione in ambito aritmetico è poco o nulla praticata in Italia, anche per ragioni connesse alla storia dell’insegnamento dell’aritmetica e dell’algebra nelle nostre scuole (Vita, 1986) che ha visto un approccio all’aritmetica centrato sull’apprendimento cieco di algoritmi e sui processi di calcolo ed un successivo, distorto, approccio all’algebra, in prevalenza centrato sugli aspetti sintattici del linguaggio algebrico invece che su quelli di codifica di relazioni e di produzione di pensiero (Chevallard 1989, Kieran 1992, Arzarello et. al. 1994, Malara 1994). L’aritmetica ed in particolare l’ambiente dei numeri naturali costituiscono invece terreno ideale per la attività di esplorazione, di formulazione di congetture, e di dimostrazione. In particolare queste attività offrono un importante contesto per il passaggio dalla argomentazione, centrata sull’uso del liguaggio verbale, alla dimostrazione, centrata sull’uso del linguaggio algebrico. Inoltre, semplici problemi dimostrativi in ambito aritmetico (e non solo) se ben introdotti nella classe possono servire da base e motivazione ad uno studio autonomo delle trasformazioni algebriche. Questo è anche implicitamente proposto dai programmi della scuola media, che indicano le attività di individuazione di regolarità come privilegiate per l’introduzione all’algebra vista come linguaggio per la loro codifica in termini generali, ma di fatto, salvo casi eccezionali, per nulla praticato. Occorre poi osservare che, a differenza dell’ambito geometrico, è possibile fare ciò senza dover affrontare la questione della costruzione del sistema formale e degli assiomi dell’aritmetica: le operazioni di addizione, moltiplicazione e relative proprietà, nonché l’usuale ordinamento affondano la loro verità in esperienze molto precoci, risalenti addirittura alla scuola dell’infanzia, con l’appoggio della teoria ingenua degli insiemi. Le dimostrazioni di regolarità in ambito aritmetico, quando realizzate, saranno, ovviamente, risultati “locali”, ciò non esclude tuttavia, che questi stessi risultati possano essere riconsiderati a livelli scolari successivi nell’ottica di un sistema teorico. Prendendo in considerazione problemi circa la dimostrazione di proprietà aritmetiche, non tutti i ricercatori sono concordi sulla opportunità di utilizzare il linguaggio algebrico in casi in cui la dimostrazione verbale è più intuitiva e semplice di quella formale. Come esempio si consideri il quesito “provare che il prodotto di tre numeri consecutivi è necessariamente divisibile per sei” (che si risolve semplicemente pensando che, essendo i tre numeri consecutivi, almeno uno dei tre deve essere pari e che almeno uno dei tre diviso per 3 ha resto zero) o anche il quesito, “provare che il quadrato di un numero dispari è dispari”, che si può risolvere considerando il fatto che un numero dispari è caratterizzato dall’avere -nella rappresentazione canonica in base 10- cifra delle unità dispari, e che, essendo il quadrato delle cifre dispari uno numero dispari, avendo il quadrato del numero dato come cifra delle unità quella delle unità di questo, allora sarà un numero dispari. Non vogliamo negare l’intuitività e semplicità di queste deduzioni, ma non si può non riflettere sulla loro complessità espositiva; occorre perciò portare gli allievi ad apprezzare il linguaggio algebrico proprio perché consente di codificare e risolvere situazioni difficilmente gestibili con il solo linguaggio naturale. Interessante al riguardo è realizzare con gli allievi un confronto tra strategie intuitive-verbali e strategie algebriche. Ad esempio, in un caso come quest’ultimo, l’insegnante potrà proporre la questione della traduzione formale del procedimento e, nella discussione di confronto delle strategie risolutive, fare osservare innanzi tutto come la dimostrazione verbale dipenda dalla rappresentazione del numero mentre quella algebrica no, e potrà fare notare la maggiore generalità della 106 seconda formulazione, comprensibile anche da persone che non capiscono l’italiano, esaltando così il carattere di “esperanto scientifico” del linguaggio algebrico. Un altro interessante aspetto su cui lavorare riguarda la formulazione del testo. Una stessa attività può essere presentata in modo che attivi comportamenti diversi. Ad esempio, i due testi seguenti hanno finalità diverse: Testo 1. Fissa un numero naturale minore di 10, ad esempio 4. Scegli un numero di due cifre, ad esempio 57 e fai: 5x4+7 = 27, poi fai 57 – 27 = 30; Ripeti con un altro numero di due cifre, ad esempio 33; fai 3x4 +3 = 15 e poi 33-15 = 18 ripeti ancora con un altro numero, ad esempio 82: 8x4 +2 = 34 ; 82-34 = 48. Cosa hanno in comune i numeri ottenuti? Vedi un collegamento fra la regolarità osservata ed il numero 4. Pensi che quello che hai osservato succeda in generale? Testo 2. Fissa un numero naturale minore di 10. Procedi così: Scegli un numero di due cifre. Moltiplica il numero delle sue decine per il numero inizialmente fissato ed aggiungi al risultato il numero delle sue unità. Sottrai quanto ottenuto al numero di due cifre scelto. Prova che il numero che ottieni è un multiplo del completamento a 10 del numero inizialmente fissato. Chiaramente il primo testo è più rivolto alla ricerca e scoperta di una particolare regolarità più che alla sua generalizzazione e ancor più alla giustificazione del suo perché. Il secondo testo invece cortocircuita la parte sperimentale ed è decisamente rivolto alla dimostrazione. Sarebbe opportuno che questi aspetti diversi e complementari nell’insegnamento venissero armonizzati producendo una visione unitaria dell’intera attività, secondo il modello definito da alcuni autori “unità cognitiva” (Garuti et al. 1997) Studi sperimentali realizzati con allievi dai 12 ai 16 anni sulla dimostrazione in ambito aritmetico, a vari livelli di difficoltà, (Bell, 1976, Frielander et al 1989, Garuti et al., Malara & Gherpelli 1997, Savadosky 1999, Healy & Hoyles 2000) ci permettono di affermare che gli allievi, quando opportunamente educati, riescono a produrre buone dimostrazioni sin dalla scuola media, e vengono ad acquisire nel tempo il giusto significato e ruolo degli esempi (induttivo-esplicativo di congetture e propedeutico alla dimostrazione) e dei controesempi (risolutivi rispetto alla non validità di una congettura) ed a comprendere il ruolo della dimostrazione, necessaria per sostenere la validità di una proposizione in termini generali. Da un punto di vista linguistico lo sviluppo di una dimostrazione in tale ambito richiede per gli allievi: - la conoscenza dei significati di specifici termini nel linguaggio naturale caratterizzanti predicati in associazione con il verbo essere (doppio, consecutivo, pari, maggiore di, minore di, divisibile per, multiplo di, etc e loro combinazioni); - la capacità di: - riformulare proposizioni in modo adeguato allo scopo (esempio esprimere il “maggiore” in termini di “uguale”) - tradurre dal linguaggio naturale a quello algebrico; - interpretare espressioni algebriche trasformate di altre nei termini della situazione in esame; 107 - controllare le conseguenze degli assunti fatti (se n rappresenta un numero dispari riconoscere nella scrittura n+1 un numero pari). In questo il ruolo dell’insegnante è fondamentale, egli dovrà porsi come modello mostrando agli allievi, attraverso varie e ben scelte situazioni, come: a) tradurre le ipotesi in linguaggio algebrico, b) trasformare una scrittura in più modi per aprire il campo a sue diverse interpretazioni; c) interpretare formule ottenute per elaborazione sintattica e selezionare quelle utili ai fini della tesi. Tuttavia, se si vuole puntare a dare spazio alla dimostrazione in aritmetica nell’insegnamento secondario occorre investire molto sulla formazione dei futuri insegnanti, come vedremo qui di seguito anche quelli con un retroterra culturale matematico rivelano difficoltà e scarse capacità nel risolvere un problema dimostrativo. E questo getta un’ombra preoccupante sulla qualità formativa (all’insegnamento) dei corsi di laurea in matematica. Una sperimentazione con futuri insegnanti Ci soffermiamo qui sui risultati della somministrazione di alcuni problemi dimostrativi nell’ambito dei numeri naturali (si veda tavola 4), a 15 studenti dell’ultimo anno dell’indirizzo didattico del corso di laurea in matematica ed a 13 specializzandi SISS12 per la classe A05913. Gli obiettivi che intendevamo raggiungere proponendoli erano molteplici. Volevamo da un lato verificare le capacità dimostrative e rilevare eventuali blocchi o difficoltà dei futuri insegnanti ma volevamo soprattutto porli in situazione per attirare la loro attenzione sul problema della dimostrazione e discutere il ruolo di questo genere di attività per l’educazione matematica a livello di scuola secondaria. La nostra ipotesi è che gli insegnanti, per tradizione d’insegnamento e per l’inveterato costume di affidarsi a quanto proposto dai libri di testo, non siano consapevoli della importanza né della fattibilità di questo genere di problemi da parte degli studenti ed inoltre, per la poca dimestichezza e le difficoltà che incontrano nella loro risoluzione siano lontani dal concepire di dare loro uno spazio ad hoc nell’insegnamento. I problemi I problemi considerati sono stati tratti dal testo di G. Peano “Giochi d’aritmetica e problemi interessanti”, scritto nel lontano 1924 per la formazione degli insegnanti elementari. Essi sono centrati sull’uso della rappresentazione polinomiale del numero, e richiedono la capacità di: - esprimere formalmente le condizioni verbali espresse dal testo di un problema; - distinguere tra date rappresentazioni di un numero quella polinomiale, soggiacente alla rappresentazione posizionale in base 10; - rappresentare in forma polinomiale un numero naturale del quale siano date indicazioni o condizioni sulle cifre; - operare trasformazioni ragionate ai fini di ciò che occorre provare ed interpetarne i risultati, in particolare applicare in modo funzionale alla risoluzione del problema le 12 13 I problemi sono stati proposti ai laureandi nell’ambito di esercitazioni del corso di didattica della matematica, agli specializzandi SISS nell’ambito di esercitazioni dopo i cicli di lezioni rispettivamente sul tema aritmetica e sul ruolo del linguaggio algebrico nella modellizazione e la dimostrazione. La classe A059 è preparatoria all’insegnamento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e naturali nella scuola media, ed è frequentata da molti non laureati in matematica, nel nostro caso erano undici su tredici. 108 Tavola 4 I Problemi proposti, tratti da G. Peano “Giochi d’aritmetica e problemi interessanti” 1. 2. 3. 4. 5 Scrivi un numero di tre cifre, inverti l'ordine delle cifre e fai la differenza dei due numeri maggiore meno minore, dammi l'ultima [prima] cifra della differenza ti dirò la differenza. Scrivi un numero di più cifre, moltiplica per 10 e sottrai a questo quello di partenza, cancella nella differenza una cifra non nulla e dammi la somma delle rimanenti. Io indovinero' quella che tu hai cancellato. Spiegami come è possibile. Scrivi un numero di tre cifre decrescenti, inverti l'ordine delle cifre, fai la differenza dei due numeri. A questa differenza aggiungi la medesima con le cifre invertite. Qualunque sia il numero si ottiene sempre 1089. Perché? Un numero di due cifre ha questa caratteristica: il suo quadrato diminuito del quadrato del numero precedente è uguale al numero stesso con le cifre invertite. Qual è il numero. Scrivi un numero naturale di due cifre. Scrivi quello che ottieni da questo invertendo le cifre. Prova che la somma è divisibile per 11. Indaga cosa accade quando il numero è di tre o quattro cifre. principali proprietà delle operazioni aritmetiche; - effettuare generalizzazioni. Da un punto di vista generale, le principali difficoltà presentate nella loro risoluzione, al di della consapevolezza di cosa significhi e consista una dimostrazione, riguardano la capacità di: - interpretare il testo verbale (l’italiano è discorsivo e ottocentesco); - formalizzare proprietà e relazioni tra i dati considerando condizioni implicite ed elaborarle ai fini di ciò che occorre provare; - interpretare correttamente rappresentazioni originate dalla esecuzione di dati algoritmi su numeri espressi mediante la loro rappresentazione polinomiale; - produrre trasformazioni funzionali a ciò che occorre provare e di interpretarne i risultati; - cogliere la generalità della situazione in gioco (ad es. passando dal caso di un numero dell'ordine delle centinaia ad uno dell'ordine di 10n). Più precisamente il primo quesito richiede l’ndividuazione della rappresentazione polinomiale della differenza di due numeri correlati e la conseguente evidenziazione di una regolarità, chiave risolutiva del quesito. Il secondo presenta difficoltà dovute all’influenza reciproca tra rappresentazione polinomiale e algebrica, inoltre la dimostrazione diretta del problema nel caso si ricorra alla rappresentazione polinomiale è più intricata e, se non si prova a parte che un numero multiplo di 9 ha somma delle cifre anch’essa multiplo di 9, è di fatto impraticabile. Il terzo quesito è analogo al primo, e richiede il coordinamento tra gli aspetti algoritmici delle operazioni di addizione e sottrazione e gli aspetti algebrici conseguenti alla messa in formula del problema. Il quarto presenta una variante rispetto ai precedenti, occorre applicare il principio di identità dei polinomi e coordinare opportunamente le informazioni date distinguendo vari casi. Il quinto quesito è più semplice rispetto ai precedenti, un elemento di difficoltà che lo distingue risiede nella richiesta di indagare sulla eventuale estensione della regolarità provata per numeri di due cifre al caso di numeri di ordine di grandezza superiore14. I comportamenti rilevati Agli studenti era stato chiesto di risolvere i problemi, analizzare i propri percorsi di pensiero ed esprimere le proprie difficoltà. 14 In appendice sono riportate le loro soluzioni. 109 Circa l’atteggiamento iniziale nell’affrontare i problemi, tutti eccetto una laureanda in matematica sono partiti con il fare prove numeriche per verificare il risultato della tesi. I loro comportamenti si possono classificare nelle seguenti categorie: Categoria 1. Gli sperimentali naïve. Comprende coloro che si sono limitati ad eseguire verifiche numeriche senza porsi il problema di provare in generale la tesi o di dichiarare di non saper procedere nella dimostrazione; Categoria 2. Gli sperimentali consapevoli. Comprende coloro che hanno dichiarato di non sapere analizzare le ragioni delle regolarità da loro verificate su casi numerici. Categoria 3. I teorici. Comprende coloro che sono andati al di là delle prove numeriche e si sono cimentati verso la dimostrazione del perché delle regolarità indicate, anche se a volte non sono riusciti a farlo correttamente. Categoria 4. I teorici metacognitivi. comprende coloro che non solo hanno affrontato la dimostrazione in termini generali ma hanno anche analizzato più o meno dettagliatamente i propri percorsi di pensiero o hanno espresso le loro difficoltà. Tra coloro che hanno affrontato la dimostrazione dei quesiti (categorie 3 e 4) si possono distinguere due diversi atteggiamenti: ci sono quelli che privilegiano lo sviluppo verbale della dimostrazione; altri che privilegiano lo sviluppo algebrico limitando l’intervento verbale alla interpretazione dei risultati algebrici conclusivi. Ovviamente la scelta della dimostrazione verbale è stata in genere fuorviante, anche se in qualche caso, come nel problema 2, per il ricorso a teoremi noti si è rivelata fruttuosa. Per quanto riguarda gli aspetti di controllo metacognitivo, solo alcune laureande in matematica, anche perché educate attraverso precedenti attività, hanno analizzato i loro percorsi di ragionamento mettendo bene a fuoco i vari cambiamenti di frame (Arzarello et al. 1994) ed esplicitando le loro difficoltà; i restanti si sono limitati a “risolvere” i quesiti, annotando semplicemente quando qualcuno era risultato loro difficile. I problemi ritenuti più difficili sono stati il secondo ed il quarto, la ragione principale sta nel conflitto dovuto alla gestione contemporanea di due diversi generi di rappresentazione, quella algebrica, utilizzata per tradurre le relazioni espresse tra i numeri, quella polinomiale (o posizionale generalizzata) per rappresentare i numeri stessi. La traduzione formale della somma, prodotto o differenza di numeri generici rappresentati in forma polinomiale ha dato luogo a blocchi, difficoltà o errori dovuti alla incapacità di controllare in termini generali gli algoritmi delle operazioni aritmetiche e di interpretare o convertire convenientemente elaborazioni sintattiche di tali rappresentazioni ai fini del riconoscimento di quella polinomiale relativa al risultato delle operazioni prodotte. Un atteggiamento comune tra i solutori nel passare dal particolare al generale è stato quello di rappresentare un generico numero naturale con una sequenza di lettere. Anche se impropria e conflittuale con la rappresentazione algebrica standard (dove la giustapposizione di due o più lettere rapresenta il loro prodotto) tale codifica “naïve”, generalizzazione della posizionale, è stata sufficientemente da loro controllata nello svolgimento del processo dimostrativo, tuttavia ad un certo momento (non il medesimo per tutti gli studenti) questi si sono resi conto dell’ambiguità ed hanno sentito la necessità di passare alla rappresentazione polinomiale. Questo passaggio è stato realizzato da alcuni in relazione al quesito 2 (cosa non strettamente necessaria e addirittura ostacolante) da altri per la risoluzione del problema 4. La messa in atto di 110 questa rappresentazione non è stata dunque immediata o spontanea ma è stato il punto di arrivo di un percorso rappresentativo “sporco” e conflittuale. Un errore frequente è stato quello di interpretare come rappresentazione polinomiale della somma o differenza di due numeri così rappresentati il risultato della semplice esecuzione della corrispondente operazione algebrica, senza il controllo delle condizioni sui coefficienti e dell’ambito numerico per l’eventualità di considerare i riporti. Il problema 2 si è rivelato il più difficile per tutti coloro che non hanno fatto ricorso al teorema che caratterizza i multipli di 9 come numeri la cui somma delle cifre è un multiplo di 9. Come già detto la strategia di collegare verbalmente le informazioni date con altre conoscenze è risultata vincente. Un altro atteggiamento caratteristico si è avuto nella risoluzione del problema n. 4. Rappresentato con 10a+b il numero di due cifre da determinare, sulla base delle condizioni date si giunge alla uguaglianza 19a-8b =1. Solo uno studente ha tenuto conto delle condizioni su a e b conseguenti alle relazioni poste dal problema e svolto in conseguenza considerazioni di carattere generale, la maggioranza ha proceduto per verifiche numeriche. Due o tre hanno evocato, a volte malamente, un noto teorema sul massimo comun divisore, senza per altro utilizzarlo. Un altro atteggiamento comune è stato il considerare implicitamente uguali due polinomi esprimenti lo stesso numero. Solo uno studente ha esplicitamente richiamato il principio di identità dei polinomi. Differenziazioni nei comportamenti si sono rilevate circa il secondo punto del quesito 5, che richedeva l’indagine della possibile estensione della regolarità provata nel caso di numeri dell’ordine delle decine a numeri di ordine di grandezza superiore. La cosa interessante è che tale regolarità si mantiere per numeri di ordine di grandezza dispari (ossia numero di cifre pari), mentre nel caso di ordine pari non vi è alcuna regolarità. Come anticipato, i comportamenti rispetto a questo punto sono stati vari. La maggior parte degli studenti si è limitata ad individuare un controesempio numerico nel caso di numeri di tre cifre ed ha fermato lì la propria indagine dichiarando la non validità della regolarità nel caso di numeri di ordine maggiore; ci sono stati stati alcuni studenti che pur avendo individuato il contro esempio numerico si sono posti il problema studiare in generale le eventuali condizioni cui i numeri devono soddisfare perché si verifichi la regolarità, altri ancora che hanno affrontato la questione in termini generali deducendo correttamente ciò che accade nei casi di ordine di grandezza pari o dispari. Gli studenti SISS non laureati in matematica hanno avuto notevoli difficoltà e sui loro documenti si sono trovate dichiarazioni di vario genere, eccone un campione: Mi sono trovato completamente incapace di formulare un ragionamento sensato; Ho grosse difficoltà a dimostrare le regolarità; Per la formazione che ho gli espedienti matematici sono un’esperienza arcaica, difficile da attingere con immediatezza e dimestichezza. Va comunque segnalato che una laureanda in matematica non è riuscita neppure a condurre verifiche sperimentali adeguate ed a verificare o individuare le regolarità in gioco. Molto interessante è stato per gli allievi il momento in cui sono stati presentati per un confronto e discussi prototipi delle diverse “soluzioni”, soprattutto per gli studenti che avevano dichiarato forrfait; anzi tra questi alcuni (tra i più curiosi e vivaci degli studenti SISS non laureati in matematica) si erano mostrati sin dall’inizio particolarmente ansiosi di capire come avrebbero potuto procedere. 111 Questa esperienza è stata molto importante per la maggior parte dei partecipanti, proprio per la loro presa di coscienza, oltre che delle loro carenze o difficoltà rispetto a particolari quesiti studiati, del più generale problema dell’insegnamento della dimostrazione. Un altro importante genere di attività: l’osservazione di sequenze numeriche Attività dimostrative possono essere affrontate anche in relazione alla osservazione di sequenze numeriche, tali attività non sono tradizionali nelle nostra scuola anche se oggi sono presenti nei programmi della scuola elementare sotto la voce “seriazioni”. Frequenti nella tradizione anglosassone sono a livello di scuola media le attività di osservazione di sequenze finalizzate alla individuazione di una legge di generazione della successione di cui esse costituisce la parte iniziale. Solitamente le sequenze che si propongono riguardano successioni di tipo lineare o al più quadratico. Numerose ricerche (si veda ad esempio Sasman et al. 1999) rilevano che negli studenti prevale una visione locale che li induce a formulare una legge di generazione ricorsiva. Tuttavia una tale legge, seppure corretta, si rivela poco agibile, quando si voglia determinare l’elemento della successione avente un posto dell’ordine di grandezza già delle decine o peggio ancora delle centinaia, migliaia etc. Occorre pertanto charire molto bene al momento della consegna che ciò che si cerca è una legge formale, se esiste, che consente di ottenere un dato termine in funzione del numero di posto che occupa. Per facilitare negli allievi una tale visione, di tipo globale, è opportuno rappresentare la sequenza numerando i posti ed indicando sotto a ciascuno (o accanto se i posti sono elencati verticalmente) il numero che gli compete, in modo da evidenziare l’eventuale legame tra l’indice del posto ed il suo termine corrispondente. A titolo esemplificativo consideriamo la sequenza: 9; 14; 21; 30; 41; … . Questa non è di immediata generalizzazione e si presta ad una analisi fine e da più punti di vista. Come indicato in precedenza, conviene scrivere accanto a ciascuno posto il termine corrispondente invitando gli allievi ad esprimere in più modi ciascun termine della sequenza in funzione dell’indice di posto, e di indagare se vi sono rappresentazioni analoghe15. La pluralità di rappresentazioni di ogni termine è essenziale per l’individuazione della eventuale comune forma di rappresentazione tra i vari termini. Ad esempio, nel nostro caso, l’esplorazione della situazione16 può portare a queste visioni della situazione: 1Æ 2Æ 3Æ 4Æ 5Æ 9 = 32 = 32 - 0 = (1+2)2 – 2x(1-1) 14 = 42 – 2 = (2+2)2 – 2x(2-1) 21 = 52 – 4 = (3+2)2 – 2x(3-1) 30 = 62 – 6 = (4+2)2 – 2x(4-1) 41 = 72 – 8 = (5+2)2 – 2x(5-1) oppure 1 Æ 2Æ 3Æ 4Æ 5Æ 9 = 4 +5 = 22 + 5 14 = 9 + 5 = 32 + 5 21 = 16 + 5 = 22 + 5 30 = 25 + 5 = 52 + 5 41 = 36 + 5 = 62 + 5 che si prestano ad essere facilmente generalizzante ottenendo rispettivamente: n Æ f(n) = (n+2)2 – 2x(n-1) n Æ g(n) = (n+1)2 +5 15 Perché gli allievi riescano con facilità ad esprimere i vari numeri della sequenza in una varietà di modi è necessario aver affrontato in precedenza attività sulle rappresentazioni plurime di numeri come quelle indicate in Malara e Gherpelli,1997. 16 Questa fase di lavoro è molto ricca e importante, richiede una grossa abilità dell’insegnante ad indirizzare le visioni degli allievi, consentendo loro di scrivere le “giuste” rappresentazioni in modo da rilevare le somiglianze. 112 Si porrà allora il problema della verifica dell’uguaglianza delle due leggi individuate, cosa che motiverà l’esecuzione di trasformazioni sintattiche mirate delle espressioni, nel nostro caso di f(n) e g(n), e per questo basta in f(n) esprimere n+2 come (n+1) + 1 ed esplicitare il quadrato scrivendo f(n) = (n+2)2 – 2x(n-1) = (n+1)2+2x(n+1) +1–2x(n-1) = (n+1)2 +4 +1; cosa che porta al riconoscimento dell’ipotizzata uguaglianza. Nel caso di una formulazione ricorsiva della legge, nel nostro esempio si avrebbe: 1 Æ 9 = 4 +5 2 Æ 14 = 9 + 5 = a1 + 5 3 Æ 21 = 9 + 7 +5 = 9 +5 + 7= a2 + 7 = a2 +2x3+1 4 Æ 30 = 21+4 + 5 = a3 + 9 = a3 +2x4+1 5 Æ 41 = 36 + 5 = 62 + 5 = a4 +2x5+1 didatticamente si pongono due problemi : - come giungere alla formulazione ricorsiva in termini generali; - come provare l’equivalenza della formulazione ricorsiva della legge con quella generale. In entrambi i casi occorre utilizzare il procedimento di induzione. Il caso a) darà luogo alla definizione: a1 = 22 + 5 e an+1= an +2xn+1 Il caso b) richiede di provare che ("n) an = g(n), che si effettua nei due seguenti passi: 1. a1 = g(1); 2. nell’ipotesi che an=g(n) è an+1 = g(n+1) La prova del punto 1 è semplice poiché: 22 + 5 = (1+1)2 + 5 Per provare il punto 2., da an+1 = an +2xn+1, se an = (n+1)2 +5 si ha: an+1 = an +2 xn+1 = an+1 = (n+1)2 +5 +2 xn+1 = (n+1)2 +2 xn+1+5 = [(n+1) +1]2 +5 = (n+2)2 +5. Dai punti 1 e 2 segue che per ogni naturale n è: an = g(n) = f(n) E’ tutta la esplorare la fattibilità di percorsi didattici su questi temi. E’ noto che il principio di induzione è previsto come argomento di insegnamento solo in alcuni trienni sperimentali anche se non mancano insegnanti che lo propongono con successo sin dal biennio di liceo scientifico. Esso comunque pone problemi delicati da un punto di vista didattico su cui ci soffermiamo. Un cenno al principio di induzione Il principio di induzione è uno degli strumenti dimostrativi (e definitori) più raffinati dal punto di vista logico17. Esso è noto anche come uno degli assiomi di Peano per i numeri naturali, anche se in alcune teorie degli insiemi, per esempio Zemelo-Fraenkel diviene un teorema18. I due modi di guardare ad esso, come regola di inferenza o come enunciato in una certa teoria (assioma o teorema che sia) sono nella didattica spesso indistinti (allo stesso modo come lo sono modus ponens ed implicazione), cosa che, anche se da un punto di vista logico è scorretta per la mesolanza dei piani sintattico e semantico, è tuttavia legittimata dalla prassi, anche per questioni connesse alla tipologia degli studi. La struttura di regola di inferenza del principio si può più facilmente cogliere se nella sua formulazione si distinguono, anche tipograficamente, premesse e conseguenza, come sotto indicato: 17 18 Per un’ampia trattazione su questo principio rinviamo a Lolli, 1993. Occorrerebbe a rigore distinguere tra principio di induzione con formule (proprieta’) e principio di induzione insiemistica, cioe’ quello in cui si chiede che un sottinsieme di N cui appartenga 0 e chiuso per successivo coincida con N. Questo è un teorema di ZF, ma bisogna, e non è banale, dare una definizione di numero naturale. 113 Considerata una proposizione P(n) che abbia significato per i numeri naturali, SE a) la proposizione P(n) si prova essere vera per n = 019 b) se fissato un naturale k ad arbitrio si prova che dalla verità di P(k) segue quella della proposizione P(k+1) ALLORA Per qualunque numero naturale n la proposizione P(n) è vera. Ossia ("n)P(n) è un teorema. Tale scrittura, che riflette la rappresentazione verbale del principio, può vedersi come una buona mediazione rispetto a quella dello schema formale di deduzione, dove una sbarra sottolinea e rappresenta il legame inferenziale tra premesse e conseguenza. Volendo provare che una certa proposizione P(n) è un teorema in N basta provare la verità delle premesse ossia i punti a) e b) dello schema. E’ noto che il punto a), dimostrazione di P(0), è detto passo base dell’induzione, il punto b) in cui, per un dato k, assunta per ipotesi la verità di P(k) si dimostra che da essa segue quella di P(k+1), si dice passo di induzione. Molti sono gli studi che denunciano negli studenti di scuola secondaria e universitari la scarsa comprensione e l’applicazione automatica, spesso cieca, del metodo (Erne st 1984, Fischbein 1989, Hanna 1989) e focalizzano l’attenzione sulle diverse difficoltà di tipo sia logico sia psicologico. Queste principalmente riguardano: 2. i giochi di quantificazione e il ruolo delle variabili k ed n (che essendo saturate sono rappresentabili da una stessa lettera, cosa che, quando avviene, viene ad aumentare le difficoltà di comprensione); 3. la scarsa capacità di vedere, per la per poca dimestichezza con il processo di particolarizzazione, l’infinità delle implicazioni rappresentate dalla proposizione ("k)P(k)ÆP(k+1) 4 la capacità di cogliere nella sua interezza il processo deduttivo soggiacente alla prova dei punti (a) e (b). 5 Il carattere di verifica più che di scoperta che contraddistingue le dimostrazioni per induzione. Gli studi citati però, sono tipicamente diagnostici, non ci sono invece report di studi di innovazione didattica sul principio di induzione, centrati sull’attuazione di percorsi didattici mirati alla chiarificazione dei vari aspetti logici connessi ed al significato intrinseco del principio stesso. Eppure ci sono metafore forti, che potrebbero essere utilizzate anche a livelli scolastici non elevati, come il “passa parola” in una fila. Questo gioco è una buona esperienza che rende chiaro il significato del passo base, rappresentato dalla comunicazione di un certo messaggio al capofila con la consegna “passa parola a chi ti sta al lato sinistro”; l’esecuzione di tale consegna da parte di tutti rappresenta bene la catena di trasmissione generata dalla consegna innescata con la comunicazione del messaggio al capofila. Ciò che occorre concettualizzare è il fatto che l’attuarsi dell’intera catena di trasmissione dipende dall’attuarsi della trasmissione ad ogni anello della catena e che l’intero processo può essere rappresentato dal processo di trasmissione in un generico anello della catena, la cosa essenziale è il verificarsi della trasmissione in una qualsiasi, generica, coppia di elementi consecutivi. 19 Oppure, più in generale, la proposizione P(n) si prova essere vera per il primo numero naturale per cui essa abbia significato. 114 Da un punto di vista più strettamente matematico, si potrebbe lavorare anche con studenti attorno ai 15 anni, affrontando la dimostrazione di semplici regolarità secondo il principio di induzione ma in modo più diluito, particolarizzando la serie di primi passi dimostrativi, cosa essenziale per dare significato alla successiva sintesi dell’intero processo. L’idea chiave è che, dopo aver proceduto alla dimostazione del passo base, proposizione P(0), si particolarizzi il passo d’induzione ai primi casi, ossia si dimostri che dalla verità di P(0) segue quella di P(1), che dalla verità di P(1) segue quella di P(2), dalla verità di P(2) segue quella di P(3) e, cosa più importante, si mostri che in ciascuno dei vari casi il il percorso dimostrativo presenta un’analogia di struttura che lo rende generalizzabile. Solo dopo aver colto la regolarità nel processo dimostrativo innescato, con l’individuazione del pattern nei vari casi particolari esaminati è possibile passare alla generalizzazione del singolo processo e configurare il passo di induzione come sintesi e rappresentazione dell’infinità di deduzioni insite in tale generalizzazione. A titolo di esempio riportiamo questo percorso su un quesito classico molto semplice. Considerata la sequenza: 2+4 ; 2+4 + 6 ; 2+4 +6 +8 ; 2+4+6+8+10; … ; essa si può riscrivere nei seguenti termini: 2+22 ; 3 + 32 ; 4 + 42 ; 5 + 52 ; … . Nasce la congettura “la somma dei primi n numeri naturali pari e positivi è esattamente il quadrato di n più n stesso”. Particolarizziamo la congettura al caso n=2. Si ha la proposizione P(2):“la somma dei primi 2 numeri naturali pari e positivi è esattamente il quadrato di 2 più 2 stesso”, cosa banalmente verificata. Proviamo che da P(2) segue P(3):“la somma dei primi 3 numeri naturali pari e positivi è esattamente il quadrato di 3 più 3 stesso” 2+4+6 = 22+2 + 2(2+1) per P(2) ; ossia 22+2 + 2*2+ 1 +1 = (22+ 2*2 +1) + (2 + 1) = 32 + 3 Proviamo che da P(3) segue P(4): 2 + 4+ 6 + 8 = 32 + 3 + 2(3+1) per P(3) , ossia 32 + 3 + 2*3+ 1 + 1 = 32 +2*3+ 1 + 3 + 1 = 42 + 4 Proviamo che da P(4) segue P(5) 2+4 + 6 + 8 +10 = 42 + 4 + 2(4+1) per P(4) ossia 42 + 4 + 2*4 + 1 +1 = 52 + 5 Cogliendo la regolarità del procedimento, analogo nei vari casi, è facile portare gli allievi a formularlo in termini generali: 1+2+4 + … + 2n + 2(n+1) = n2+n+2(n+1) per P(n) , ossia n2+2n+1+n+1 = (n+1)2 + (n + 1). Desideriamo dire che questo è stato sperimentato con successo dalla prof. M.G. Pincella in una sua classe di fine terza media. Certo è un pò azzardato concludere che i ragazzi attraverso alcuni di questi quesiti abbiano capito il principio di induzione, ma di certo sono andati al di là della semplice conquista empirca della legge, in ogni caso hanno realizzato un bagaglio di esperienze certamente importanti perché nel prosieguo dei loro studi lo possano acquisire consapevolmente. NOTA CONCLUSIVA Ci rendiamo conto della ampiezza del problema affrontato e della conseguente frammentarietà e a volte della poca profondità delle considerazioni svolte; ci auguriamo tuttavia che quanto esposto possa offrire agli insegnanti stimolo a dare spazio alla dimostrazione ed ad introdurre nell’insegnamento dell’algebra quesiti dimostrativi come quelli sopra considerati, anche come attività ludica e di sfida intellettuale. Il ritorno sarà duplice sia sul piano dei contenuti, circa l’apprendimento del linguaggio 115 algebrico e l’affinamento nella sua gestione per la ricerca e costruzione di una dimostrazione, sia sul piano più trasversale delle attività logico-relazionali, per l’educazione al concatenamento conseguenziale delle informazioni, e più in generale sul piano della motivazione al fare matematica, per la curiosità, il fervore, e a volte l’accanimento, verificato in molti studenti, originato dal desiderio di trovare da sé la dimostrazione dei quesiti proposti. BIBLIOGRAFIA Arzarello F., Bazzini, L., Chiappini, G.: 1994, L'Algebra come strumento di pensiero: analisi teorica e considerazioni didattiche, progetto CNR-TID, collana FMI, vol. 6. 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Scrivi un numero di tre cifre, inverti l'ordine delle cifre e fai la differenza dei due numeri maggiore meno minore, dammi l'ultima [prima] cifra della differenza ti dirò la differenza Un numero u di tre cifre è rappresentato da un polinomio a102 + b10 + c con a, b, c, compresi tra 0 e 9. Invertendo l'ordine delle cifre abbiamo il numero: v = c102 + b10 + a. Considerati a e c, essendo confrontabili (la relazione di minore un ordinamento totale), uno deve precedere l'altro. Supponiamo sia a > c. In questa ipotesi u > v. La differenza u - v rappresentata come a102 + b10 + c - (c102 + b10 + a). non dà la rappresentazione polinomiale; per ottenerla, essendo c < a, occorre scrivere u come (a1)102 +[10+(b-1)]+ (10 + c). Pertanto u - v diviene: [(a-1)-c]102 +[(10+b)+(b-1)]10+[(10 + c)-a]. Si osserva che il coefficiente di 10 è [(10+b)+(b-1)] = 9, la somma dei restanti coefficienti è: [(a-1)-c] + [(10 + c)-a] = 10-1 = 9. Conoscendo quindi l'ultima [la prima] delle cifre si risale facimente all'intera differenza. Problema 2 Scrivi un numero di più cifre, moltiplicalo per 10 e sottrai questo a quello di partenza, cancella nella differenza una cifra non nulla e dammi la somma delle rimanenti. Io indovinero' quella che tu hai cancellato. Spiegami come è possibile.20 Passo 1 n Preso un qualsiasi numero naturale sia an10 + an-1 10n-1 + an-2 10n-2 + …. + a0 la sua rappresentazione polinomilae, moltiplicando il numero per 10 e sottraendo a tale prodotto il numero stesso possiamo rappresentare la differenza raccogliendo ogni cifra, si ottiene a0(10-1) + a1(102-10) + a2(103-102) + …. + ai+1(10i+1-10i) …+ an(10n+1-10n). Ogni termine (10i+1-10i)= 10i(10-1), i= è un multiplo di 9, la nostra differenza essendo somma di multipli di 9, per la proprietà distributiva, è un multiplo di 9. Passo 2 n Sia an10 + an-1 10n-1 + an-2 10n-2 + …. + a0 , con ai naturali minori di 10 il generico naturale. Dall’identità 10i = (10i -1) +1 , poiché per ogni i = 0, 1, ….n, (10i -1) è un multiplo di 9, il numero può scriversi come somma di un multiplo di 9 più il numero costituito dalla somma delle sue cifre. Ossia: an(10n -1) + an-1 (10n-1 -1) + an-2 (10n-2 -1) + …. + a1 (10 -1) + (an+ an-1 + an-2 + …. + a1+ a0). Questa rappresentazione del numero mostra che se un numero è divisibile per 9 allora la somma delle sue cifre deve essere divisibile per 9 e, viceversa, se la somma delle cifre di un numero è divisibile per 9 allora anche il numero lo è. Passo 3 Dal passo 1 la nostra differenza è un multiplo di 9, dal passo 2 la somma delle sue cifre deve essere un multiplo di 9. Cancellando una cifra non nulla dalla differenza e dichiarando la somma delle restanti, per individuare la cifra cancellata basta considerare il più piccolo multiplo di 9 maggiore della somma delle restanti cifre e sottrarre ad esso tale somma. Problema 3 Scrivi un numero di tre cifre decrescenti, inverti l'ordine delle cifre, fai la differenza dei due numeri. A questa differenza aggiungi la medesima con le cifre invertite. Qualunque sia il numero si ottiene sempre 1089. Perché? 20 Il testo è impreciso, se il numero fosse di due cifre, come ad esempio 11, seguendo il procedimento si otterrebbe la differenza 110 – 11 = 99 e cancellando una cifra di questo non ha senso parlare di somma delle restanti. Occorrerebbe specificare che nel caso il numero differenza sia di due cifre basta dirne una delle due per individuare l’altra. 119 Scelto un numero u=a102 + b10 + c (a, b, c naturali minori di 10), sia v=c102 + b10 + a. Supposto a<c è v>u. La rappresentazione polimomiale della differenza è: v-u= [(c-a)-1]102 + [10+(b-1) -b]10 + [(10+c)-a]. Considerato il numero w avente come cifre quelle di v-u nell'ordine inverso, esso è rappresentato da: [(10+c)-a]102 + [10+(b-1) -b]10 + [(c-a)-1]. Sommando rispettivamente le unità, le decine e le centinaia di v-u e w si ha: [(10+c)-a] + [(c-a)-1] = 10-1=9 unità [10+(b-1) -b] + [10+(b-1) -b] = 20-2=(10+8) decine [(c-a)-1] + [(10+c)-a] = 10-1=9 centinaia La rappresentazione polinomiale di tale numero è pertanto: (9+1)102 + 8* 10 + 9 = 1089 Problema 4 Un numero di due cifre ha questa caratteristica: il suo quadrato diminuito del quadrato del numero precedente è uguale al numero stesso con le cifre invertite. Qual è il numero. Qualunque sia u>0 la differenza u2 -(u-1)2 = 2u-1. Sia u=10a + b (a, b naturali minori di 10). u 2 - (u-1)2 =2(10a + b)-1. Le condizioni poste dal problema ci dicono che tale numero deve essere 10b + a. Non è detto che l'espressione 10* 2a + (2b-1) sia la rappresentazione polinomiale del numero. Per uguagliare le due rappresentazioni occorre perciò trasformarle a seconda dei casi che si possono presentare. Perché 2a e 2b-1 siano le cifre del numero occorre che a e b siano entrambi minori di 5. Consideriamo allora i casi: 1) a<5 e b<5; 2) a>5 e b>5 ; 3) a>5 e b<5 ; 4) a<5 e b>5. Nel caso 1), per il principio di identità dei polinomi, si dovrebbe avere 2a=b e (2b-1)=a, cosa chiaramente impossibile perche' a è naturale. I casi 2) e 3) non possono verificarsi perchè la condizione a>5 porta ad un numero dell'ordine delle centinaia che non può essre uguale ad uno dell'ordine delle decine. Nel caso 4) scrivendo 2b-1=10+r, per il principio di identità dei polinomi, si hanno le condizioni 2a+1=b ed r=a, quest'ultima porta alla condizione 2b-1=10+a. Sostituendo in questa l'espressione di b in funzione di a si ottiene 2(2a+1)-1=10+a, che si trasforma in 3a=9 ossia a=3. Sostituendo in 2b-1=10+a il valore di a si ha 2b=14 ossia b=7. Problema 5 Scrivi un numero naturale di due cifre. Scrivi quello che ottieni da questo invertendo le cifre. Prova che la somma è divisibile per 11. Indaga cosa accade quando il numero è di tre o quattro cifre. Sia u=10a + b (a, b naturali minori di 10). E' v=10b + a. u+v= (a+b)10 + (b+a)= (a+b)(10+1)=11(a+b). Sia n di tre cifre, ossia n=a102 + b10 + c. Invertendo l'ordine delle cifre abbiamo il numero: m = c102 + b10 + a. E' n+m= (a+c)102 + 2b10 + (c+a)=(a+c)(102+1) + 2b10. Tale numero sarà divisibile in generale da un numero d se ammetterà d come divisore indipendentemente dai valori di a, b e c, d dovrebbe perciò essere divisore comune a 101 e 20, ma tali numeri sono primi tra loro. Sia n di quattro cifre, ossia n=a103 + b102 + c10 +d. Invertendo l'ordine delle cifre abbiamo il numero: m=d103 + c102 + b10 +a. n+m= (a+d)(103+1)+10(b+c)(10+1).E' 1001 =91* 11, pertanto n+m= [91(a+d)+10(b+c)]* 11. 120