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Stephen Jay Gould

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Stephen Jay Gould
Ediesse s.r.l.
Viale di Porta Tiburtina, 36 - 00185 Roma
tel. 06 44870283 - 44870325 fax 06 44870335
@
In Internet:
Catalogo: www.ediesseonline.it
E-mail: [email protected]
Alessandro Ottaviani
Stephen Jay Gould
Dagli esordi alla teoria degli equilibri punteggiati.
Le prime controversie. Scale e cespugli.
Da Ontogeny and Phylogeny ai Pennacchi di San Marco
Da Il Pollice del Panda a The Mismeasure of Man.
«Exaptations» e livelli di realtà. La freccia del tempo,
il ciclo del tempo
Collana
Formato
Pagine
Prezzo
Codice ISBN
Codice arg.
Uscita
fondamenti
12 x 20
218
12,00
978-88-230-1713-9
59
Gennaio 2013
A
dieci anni di distanza dalla sua morte, il panorama editoriale italiano registra l’assenza di una presentazione della vita e del pensiero di Stephen Jay Gould, il paleontologo americano, storico e teorico della biologia, che è stato uno dei protagonisti del dibattito scientifico e culturale dell’ultimo
quarto del secolo scorso. L’autore, stilandone la biografia intellettuale, analizza i temi salienti della sua parabola scientifica, attribuendo il maggior risalto possibile a quegli aspetti che hanno reso così inconsueta e affascinante la sua fisionomia. Nella volontà di raccordare la ricerca biologica ad una politica culturale più
comprensiva, Gould ha inteso qualificare la propria opera sottolineando costantemente la dimensione sociale della scienza ed esprimendo l’opportunità di esperire modi e forme per ricucire lo strappo fra la cultura
scientifica e quella umanistica. Il filo biografico condurrà il lettore attraverso le evoluzioni e le ricorrenze del
pensiero gouldiano: dalla teoria degli equilibri punteggiati alla nozione di exaptation, dalla riflessione sulla
natura della storia alla lotta contro le «sociobiologie» e a favore del «pluralismo darwiniano».
Alessandro Ottaviani. Dottore di ricerca in Filosofia e Storia delle Idee presso l’Università degli Studi di
Catania, ha pubblicato diversi saggi e alcune monografie di storia e filosofia della scienza, nonché
l’edizione critica del De natura iuxta propria principia (2006), curata nell’ambito dell’Edizione nazionale
delle opere di Bernardino Telesio.
In mancanza di strumenti di alta divulgazione e dotati di approccio critico nell’attuale panorama
editoriale, Ediesse ha deciso di fare tesoro della feconda esperienza dei “Libri di base” avviata alla
fine degli anni Settanta da Tullio De Mauro per Editori Riuniti: un’operazione di “alfabetizzazione” di
alto livello destinata a un pubblico ampio. Ediesse ha raccolto l’idea di un gruppo di giovani ricercatori
che ha pensato di rileggere quel progetto, con l’obiettivo di presentarsi sullo scenario culturale italiano
con una collana in grado di rivolgersi a un vasto bacino di lettori curiosi e appassionati.
Fondamenti, nata poco più di otto mesi fa e con già sette titoli all’attivo, è innanzitutto un progetto
culturale pensato per dimostrare la dinamicità del pensiero critico e per provare a costruire uno
spazio di riflessione che non rimanga chiuso nello stretto circuito dell’università, ma, al contrario,
giunga a una vasta platea: un tentativo, dunque, di raggiungere tutti i destinatari di quella che proprio
Tullio De Mauro ha recentemente definito “cultura non necessaria”, con l’obiettivo di combattere
quella povertà di competenze diffuse che è all’origine dell’attuale declino italiano.
Le caratteristiche dei volumi sono la semplicità e la chiarezza della scrittura, il carattere monografico,
l’omogeneità della struttura, la pluralità e la varietà degli argomenti trattati e degli ambiti disciplinari a
cui si fa riferimento, il ricco apparato di approfondimento e di indici e infine l’approccio critico, ovvero
l’intenzione di intervenire su tematiche che sono al centro della discussione culturale con un taglio
allo stesso tempo accessibile e originale. Fondamenti si articola in sottocollane immediatamente
riconoscibili: cos’è in cui si trattano temi determinati; chi è in cui si svolgono profili biografici; piccoli
classici in cui si ripubblicano brevi testi; sguardi d’insieme in cui si introducono singole materie.
I CURATORI
La collana è guidata da un gruppo composto da cinque ricercatori universitari competenti in ambiti disciplinari diversi,
tutti accomunati dalla ferma volontà di reagire alla condizione di minorità “critica” imposta alla generazione di chi è
nato negli anni Settanta.
Un giurista, Marco Benvenuti (1978): dottore di ricerca in cotutela con label europeo presso La Sapienza Università
di Roma e l’Università di Montpellier è attualmente professore aggregato e ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico
presso nonché autore di due monografie sul diritto di asilo e sul principio costituzionale del ripudio della guerra.
Uno scienziato, Michele Gianfelice (1970): dottore di ricerca in Matematica e Fisica in cotutela presso l’Università di
Bologna e l’Università della Provence, è attualmente ricercatore di calcolo delle probabilità e statistica matematica
presso l’Università della Calabria, ed è autore di diverse pubblicazioni scientifiche sulle applicazioni della teoria dei
processi e dei campi aleatori alla fisica matematica.
Una storica, Chiara Giorgi (1974): dottore di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di
Siena, , è attualmente professore aggregato e ricercatore di Storia delle istituzioni politiche presso l’Università degli
Studi di Genova, nonché autrice di tre monografie sulla sinistra nel dibattito costituzionale, sulla previdenza sociale
durante il fascismo e sul colonialismo italiano.
Un letterato, Antonio Montefusco (1979): dottore di ricerca in Filologia e letterature romanze presso La Sapienza
Università di Roma è stato assegnista di ricerca in Storia Medievale presso la stessa università e attualmente è
borsista presso l’EHESS di Parigi. È autore di una monografia su Iacopone da Todi e prepara un volume sulla
circolazione dei saperi nell’età di Dante.
Un economista, Michele Raitano (1973): dottore di ricerca in Economia politica presso La Sapienza Università di
Roma, è attualmente professore aggregato e ricercatore di Politica economica presso la stessa università. I suoi
principali temi di ricerca riguardano le diseguaglianze economiche, i sistemi di welfare e il mercato del lavoro. È
autore di numerose pubblicazioni a carattere nazionale e internazionale.
Un filosofo, Dario Gentili (1975): dottore di ricerca in Etica e Filosofia politico-giuridica presso l’Università di Salerno,
è attualmente assegnista di ricerca presso il Sum (Istituto Italiano di Scienze Umane) e collabora con la cattedra di
Filosofia Morale dell’Università di Roma Tre. Ha pubblicato tre monografie e diversi saggi su argomenti che variano
dalla filosofia della storia, alle topografie politiche, al pensiero italiano contemporaneo.
I TITOLI PUBBLICATI
Diego Giachetti, L’AUTUNNO CALDO
Giachetti ci racconta il ’69 operaio, che non fu affatto un episodio minore e separato dal ’68 studentesco, né fu un
evento solo italiano. Uno spaccato a tutto tondo di tutto ciò che scaturì dalle proteste: un cambiamento della
coscienza di classe; un mutamento delle rivendicazioni per le quali lottare; infine, nuove forme di organizzazione e di
lotta, anche in contrasto critico con quelle tradizionali del movimento operaio.
Barnaba Maj, BÜCHNER
Un ritratto a tutto tondo, biografico, intellettuale e spirituale - dal taglio divulgativo - del drammaturgo più innovativo
della prima metà dell’Ottocento europeo. È stato il teatro di Georg Büchner a rivelare la componente nichilista del
nuovo concetto di storia elaborato nella cultura europea fra secondo Settecento e primo Ottocento, con tale
sbalorditivo anticipo sui tempi che sarà solo l’espressionismo a inserirlo nella costellazione dei più grandi
drammaturghi e dei più acuti pensatori del tragico nell’orizzonte storico del Moderno.
Massimiliano Caprara, IL TEATRO CONTEMPORANEO
Dopo un accurato percorso dalle origini fino alle soglie del secolo passato, l’autore intraprende il viaggio nella storia
contemporanea del teatro fino a quello più recente, con un corposo spaccato sulla scena italiana e un quadro
aggiornato delle ultimissime tendenze. Una piccola guida in grado di orientare lo spettatore più inesperto nelle sue
scelte critiche, fornendogli strumenti indispensabili, una buona dose di informazioni e stimoli per intraprendere e
sviluppare la propria esperienza teatrale.
Andrea Orlandini, Luca Polese Remaggi ROLLING STONES
A conclusione del cinquantenario della nascita dei Rolling Stones, il volume ripercorre la storia della band,
delineando il ruolo decisivo che Mick Jagger e i suoi compagni ricoprirono nella trasformazione del costume delle
nuove generazioni occidentali. Gli autori intrecciano magistralmente le tematiche storiche e sociali con quella che fu
una delle più grandi rivoluzioni musicali di tutti i tempi.
Alessandro Ottaviani, STEPHEN JAY GOULD
A dieci anni di distanza dalla sua morte, il panorama editoriale italiano registrava l’assenza di una presentazione
della vita e del pensiero di Stephen Jay Gould. Il libro propone la biografia intellettuale del grande paleontologo
statunitense, storico e teorico della biologia, uno dei protagonisti del dibattito scientifico e culturale dell’ultimo quarto
del secolo scorso.
Antonello Ciervo, BENI COMUNI
Cosa sono i “beni comuni”? Il libro ne spiega senso e contenuto, per fare chiarezza su un concetto troppo spesso
utilizzato, nella più recente letteratura scientifica come nel dibattito pubblico, in maniera impropria. L’autore conduce
un’analisi storica e comparativa da cui emerge la pluralità di usi e di interessi che hanno caratterizzato questa
tipologia di beni nel tempo e nello spazio.
Andrea Capocci, IL BREVETTO
Il libro copre un vuoto nell’analisi e nella critica della proprietà intellettuale, ripercorrendo la storia, le vicende
giuridiche e il ruolo economico del brevetto. In Italia si parla molto di diritto d’autore, relegando a un residuo del
passato l’istituto del brevetto. L’autore contesta questa lettura marginale e spiega come i brevetti siano invece delle
norme che legittimano, molto più del copyright, la privatizzazione della conoscenza.
Andrea Baldassarri, TEMPERATURA, ENERGIA ENTROPIA
Il libro conduce il lettore alla scoperta di una triade indissolubile di concetti fisici, fondamentali nella moderna visione
della natura. Un bagaglio indispensabile per chiunque voglia inquadrare e comprendere criticamente le sfide del
nostro tempo: il problema energetico, i cambiamenti climatici e l’impatto sull’ambiente delle nostre economie.
Simone Celani, FERNANDO PESSOA
Una breve ed efficace guida all’universo di Pessoa, alla luce delle più recenti acquisizioni critiche e scientifiche.
Comprende le principali tappe biografiche, le opere e gli indizi critici che lo scrittore ci ha lasciato, un’analisi del suo
immenso fondo, ancora in parte sconosciuto al pubblico, e una breve antologia di testi, scelti tra i più illuminanti a
livello critico, a cui si aggiunge un breve, sorprendente inedito.
Renato Foschi, MARIA MONTESSORI
Il libro propone una trattazione critica della biografia e della pedagogia di Maria Montessori, con particolare riguardo
al contesto storico, politico e scientifico in cui ha operato. Si tratta di una biografia intellettuale e scientifica non
agiografica né ideologica di un’icona mondiale della pedagogia.
Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli, IL RAZZISMO
Il libro ripercorre a maglie larghe le vicende storiche dei due grandi filoni del razzismo moderno, quello antisemita e
quello coloniale, con l’obiettivo di formulare un’ipotesi teorica in grado di descrivere il dispositivo logico sotteso alle
ideologie razziste dall’Ottocento ai giorni nostri.
Info
Ufficio stampa Casa editrice Ediesse _Carla Pagani
Viale di Porta Tiburtina 36 - 00185 Roma
tel. 06 44870286 [email protected]
www.ediesseonline.it
pagina facebook
twitter @ediesse
Indice
Introduzione
9
Biografia cronologica
17
Indice cronologico delle opere
19
1. Opere originali pubblicate in vita
2. Opere pubblicate postume
3. Opere in lingua italiana
19
21
21
Capitolo primo
Dal Queens alla teoria
degli equilibri punteggiati
1. Premessa
2. A spasso per New York con Papa Joe
3. La teoria degli equilibri punteggiati
23
23
23
33
Capitolo secondo
L’età delle controversie
1. Premessa
2. Le sfide della sociobiologia
3. Scale e cespugli
49
49
49
58
Capitolo terzo
Da Ontogeny and Phylogeny all’Exaptation
1. Premessa
2. Il grande libro «accademico»:
Ontogeny and Phylogeny
3. I «Pennacchi» di San Marco
4. Da The Panda’s Thumb
a The Mismeasure of Man
5. Exapation e livelli di realtà
6. A tavola con i gesuiti e ricette per la torta
71
71
71
75
84
94
107
Capitolo quarto
Il corso della natura, il tempo della storia
1. Premessa
2. La freccia del tempo, il ciclo del tempo
3. L’ombra di Charles Lyell e il film della vita
4. La teoria degli equilibri punteggiati si espande
5. Gli ultimi anni
Finestra di approfondimento
Stephen Jay Gould - Cosa significa essere radicale?
di Richard C. Lewontin e Richard Levins
115
115
115
123
135
146
163
163
Glossario
175
Bibliografia
185
1. Sentieri per approfondire
2. Bibliografia, audiovideografia
e sitografia critico-tematica
185
189
Indice dei nomi
209
Indice analitico
215
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA Capitolo quarto
Il corso della natura, il tempo della storia
La fede nel progresso – in una perfettibilità infinita quale compito infinito
della morale – e l’idea dell’eterno ritorno
sono complementari. Esse costituiscono
le indissolubili antinomie rispetto alle
quali va sviluppato il concetto dialettico
del tempo storico.
Walter Benjamin, I «passages» di Parigi
1. Premessa
A partire dal 1987 la riflessione di Gould si va
sempre più concentrando sul tema della natura del
tempo e del cambiamento. Un lungo percorso che
porterà il paleontologo americano a interrogare fino
all’estremo della sua vita, con crescente intensità, il
nodo cruciale del modo in cui intendere i rapporti fra
scienza, religione, arte, filosofia e letteratura.
2. La freccia del tempo, il ciclo del tempo
Nel 1987 Gould ha dato alle stampe Time’s Arrow,
Time’s Cycle (La freccia del tempo, il ciclo del tempo). Il libro, precisa Gould, in apparenza potrebbe
dare ai lettori l’impressione di essere stato ridotto a una
qualche unità in un modo razionale, come un prodotto,
in altri termini, di una struttura immanente riflessa nella
metafora della circolarità del tempo (Gould, 1989: 9).
In realtà, gli strati, i livelli che si sono depositati su
questo lavoro sono davvero molteplici: risalendo indietro nel tempo, tutto è cominciato dal fatidico primo incontro con il tirannosauro; ma anche il regalo
115
CAPITOLO QUARTO di una copia seicentesca della Telluris theoria sacra per
mano di Georg White, «grande signore e bibliofilo»; e
poi gli anni di formazione presso l’Antioch College,
ove John Lounsbury, introducendo il corso di geologia, «illustrò l’uniformismo con un esempio che fondeva insieme significati distinti»; per non dire dell’incontro con David Hume, che gli chiarì il motivo per
cui intuitivamente avesse notato qualcosa di profondamente errato in quegli esempi; ma come non includere l’illuminante visita a Portrush Sill, nell’Irlanda
del Nord, «nell’ambito di un corso primaverile» durante l’anno di studio all’estero presso l’Università di
Leeds, in cui ebbe modo di «osservare la dicotomia di
nettunismo e vulcanismo scolpita sulle rocce»?; infine, la visione mista di «orrore e incantamento, dinanzi allo scheletro di Rita e Cristina, le sorelle siamesi
sarde, esposte in un museo di Parigi»; e altri «[m]inuscoli eventi», originariamente privi di significati,
divenuti retrospettivamente «chiodi» su cui «rinsaldare la struttura finale». Eppure la lista degli eventi non
è finita, poiché non si può passare sotto silenzio l’episodio più direttamente implicato, ovvero il viaggio nell’aprile 1985 a Gerusalemme, ove Gould fu
invitato a tenere un ciclo di conferenze. L’occasione
fu offerta dalle Harvard-Jerusalem Lectures, un’iniziativa
pensata e realizzata da Arthur Rosenthal, allora direttore della Harvard University Press.
Ancor più in generale si dovrà forse tener conto
che la possibilità di ripercorrere lo sviluppo storico di
quell’intreccio di saperi, da cui nell’Ottocento ha
originato la moderna geologia, era favorito dalla disponibilità di una letteratura ricca e articolata. E
Gould, che fin da subito mai mancò di sottolineare
116
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA il proprio debito verso questo settore di studi di storia della scienza, continuò negli anni successivi a
seguire con attenzione l’uscita di opere, sovente ricche
di erudizione e metodologicamente assai innovative
(cfr. Hookyaas, 1963; Davies, 1969; Rudwick, 1972;
Porter, 1977; Rossi, 1979; Rudwick, 1985; Laudan,
1987; Buffetaut, 1991; Rappaport, 1997).
Dal punto di vista strettamente concettuale, Time’s
Arrow, Time’s Cycle poggia il proprio baricentro sulla
nozione di «tempo profondo». Nozione che è assurta
al rango di concetto chiave nella geologia ed è anche
divenuta, con un significato storico più pregnante,
un’«icona» della «rivoluzione scientifica», ovvero di
quel vasto movimento di idee che, inarcato fra Galileo e Newton, ha dato origine all’Europa moderna.
Scrive difatti Gould:
La genesi di questo libro si colloca nello stesso conflitto
e interazione di metafore – direzionalità della storia e
cicli di immanenza – che alimentarono la scoperta del
tempo profondo in geologia (Gould, 1989: 9).
In seconda istanza, la monografia è anche la summa
di una riflessione che da anni si è venuta affacciando
alla mente di Gould, certamente a partire dalla lezione della geologia e della paleontologia, sistematicamente illuminata nella sua profonda e ineliminabile
facies historica. Un percorso duplice che Gould ha già
più volte indagato, assecondando ora istanze più
esplicitamente metodologiche (cfr. il saggio The Eternal Metaphors of Paleontology: Gould, 1977a); ora più
squisitamente storiografiche, coltivate mediante alcuni intensi «profili critici»: quello di Nicolò Stenone
(1638-1686), il medico danese, considerato uno dei
117
CAPITOLO QUARTO padri fondatori della «geologia» (cfr. Gould, 1984: 6979; su Stenone cfr. ora Cutler, 2007); quello di James
Hutton (Gould, 1984: 80-94). Proprio Hutton, e
Charles Lyell, e Thomas Burnet, figura tanto interessante quanto meno catalogabile nella casella del
«geologo di professione», furono da Gould scelti
per rappresentare i tre case studies, su cui articolare la
monografia. Il tempo profondo è però al tempo
stesso nozione fondativa della geologia e mitologema. Ed è per questa sua doppia natura che necessita
di essere decostruito:
È importante – scrive Gould − che noi, in quanto
scienziati, combattiamo questi miti della nostra professione presentati come qualche cosa di superiore e di
separato. […] Il mito geologico che circonda la scoperta del tempo profondo potrebbe essere la più persistente delle leggende che ancora rimangono» (Gould,
1989: 19-20).
Dal punto di vista della mera architettura il libro si
divide in tre grandi capitoli (più un’appendice finale)
dedicati, come si accennava, a queste tre figure, interrogate principalmente sulla scorta di un’approfondita
esegesi della loro opera più rappresentativa, ovvero la
Telluris theoria sacra, che Burnet pubblicò nel 1681, la
Theory of the Earth di Hutton, risalente al 1788 e, infine, i Principles of Geology di Lyell, editi in tre volumi fra
il 1830 e il 1833.
Come è accaduto più volte di verificare, Gould raramente pone all’attenzione del lettore una questione
teorico-disciplinare o un tema squisitamente storico
senza che questo lo abbia a sua volta già sollecitato ad
una riflessione di carattere metodologico. Nel caso in
118
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA esame la questione riguarda la tendenza a leggere la
realtà in termini dicotomici, o, per meglio dire, mediante coppie contrapposte:
Qualsiasi studioso impegnato a lottare con i particolari
di un problema complesso vi dirà che la sua ricchezza
non può essere ridotta per astrazione a una dicotomia,
a un conflitto fra due interpretazioni opposte. Eppure,
per ragioni che non ho neppure cominciato a capire, la
mente umana ama la dicotomia. […] Tutte le dicotomie
sono semplificazioni, ma la presentazione di un conflitto lungo assi diversi di dicotomie ortogonali potrebbe fornire un’ampiezza di spazio intellettuale appropriata, senza costringerci ad abbandonare i nostri strumenti di pensiero più confortevoli. […] Il problema
non consiste tanto nella nostra tendenza alla dicotomia, quanto nel fatto che imponiamo alla complessità
del mondo divisioni in due sbagliate o svianti. […] Io
non intendo sostenere che ci siano altre dicotomie
«più vere». Le dicotomie sono utili o fuorvianti, non
vere o false. Esse sono modelli semplificanti per organizzare il pensiero, non modi del mondo (Gould,
1989: 20-22).
La dicotomia, con cui Gould invita il lettore a misurarsi, ha un rilievo del tutto particolare in quanto
espressione comune a tutte le «grandi» teorie. Le quali, nota Gould, riprendendo un motivo che il lettore
troverà ormai quasi consueto:
tendono a ripercuotersi in ambiti molto vasti, e tutte le
nozioni di così grande portata e di tale ricchezza di implicazioni si appoggiano a visioni della natura delle cose. Possiamo chiamare queste visioni «filosofia», o «metafora», o «principio di organizzazione», ma una cosa sicuramente non sono: esse non sono semplici induzioni
da fatti osservati del mondo naturale (ivi: 22).
119
CAPITOLO QUARTO FIGURA 2. Illustrazione dell’antiporta della Telluris theoria
sacra di Thomas Burnet.
Percorrendo la storia della dicotomia fra ciclo e freccia ci si imbatte in un autentico mare magnum, le cui
sponde toccano da un lato l’ordinaria esperienza del
quotidiano, dall’altro gli aspetti più profondi della speculazione filosofica e religiosa:
120
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA Noi viviamo immersi nel trascorrere del tempo, una matrice contrassegnata da tutti i criteri possibili di giudizio: da
cose immanenti che non sembrano cambiare; da ricorrenze cosmiche di giorni e stagioni; da eventi unici di battaglie e catastrofi naturali; da un’apparente direzionalità della
vita dalla nascita alla crescita, alla decrepitezza, alla morte e
alla putrefazione. In mezzo a questa multiforme complessità, interpretata dalle diverse culture in un numero di
modi così vario, le tradizioni ebraico-cristiane si sono
sforzate di comprendere il tempo manipolando e bilanciando due estremi di una dicotomia primaria sulla natura
della storia. […] Ad un estremo della dicotomia – lo
chiamerò la freccia del tempo – la storia è una sequenza
irreversibile di eventi irripetibili. Ogni momento occupa la
sua posizione distinta in una serie temporale, e tutti i momenti, considerati nella sequenza appropriata, narrano una
storia di eventi connessi fra loro che muovono in una direzione. All’altro estremo – lo chiamerò il ciclo del tempo –
gli eventi non hanno alcun significato come episodi distinti
con un impatto causale su una storia contingente. Gli stati
fondamentali sono immanenti nel tempo, sempre presenti e
mai soggetti a mutamento. I moti apparenti sono parti di cicli che si ripetono, e differenze del passato saranno realtà del
futuro. Il tempo non ha una direzione (ivi: 22-23).
È stata la tradizione speculativa ebraico-cristiana a
introdurre e a rendere prevalente nella percezione comune l’immagine della freccia, a correzione di un’iniziale tendenza, manifestatasi nella maggior parte dei popoli antichi, a preferire la visione ciclica del tempo, poiché più rassicurante. Con tutto ciò
Il contrasto fra frecce e cicli – scrive Gould – è radicato
così in profondità nel pensiero occidentale sul tempo
che un movimento così centrale come la scoperta del
tempo geologico non poteva non risentire di queste visioni antiche e persistenti (ivi: 25).
121
CAPITOLO QUARTO FIGURA 3. Tratta da un disegno di John Clerk of Eldin,
amico di James Hutton, l’incisione è inserita in The Theory
of the Earth (1795) con lo scopo di mostrare la cosiddetta
«maggiore non-conformità». Hutton interpretava la congiunzione angolare fra i due strati (orizzontale e verticale)
come prova della successione ciclica dei mondi.
Ed è anzi proprio la persistenza della visione ciclica a
fornire una delle chiavi per comprendere il movimento
di idee che rimbalza da Burnet ad Hutton fino a Lyell.
D’altro canto – prosegue Gould – a prescindere
dalla delusione che questo «stile di spiegazione» può
ingenerare, sarà bene tenere a mente che
frecce e cicli, dopo tutto, sono solo categorie della nostra
invenzione, escogitati per conseguire una maggiore chiarezza. Essi non si fondono, ma rimangono compresenti in
uno stato di tensione e di interazione feconda» (ivi: 211).
Ne consegue che da un lato la sola freccia del tempo non può da sola esaurire la storia:
La freccia del tempo della «sola storia» contrassegna
ogni momento del tempo con un marchio unico. Nella
122
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA nostra ricerca per comprendere la storia non possiamo
però accontentarci solo di un marchio come mezzo per
riconoscere ciascun momento e come guida per ordinare gli eventi in una sequenza temporale. L’unicità è l’essenza della storia, ma noi abbiamo un grande bisogno
anche di una qualche generalità sottostante, di un qualche
principio d’ordine che trascenda la distinzione di momenti, se non vogliamo essere ridotti alla pazzia dalla visione di Borges di una nuova immagine ogni duemila pagine in un libro senza fine. Abbiamo bisogno anche, in
breve, dell’immanenza del ciclo del tempo (ivi: 207).
Ma anche la biologia evolutiva non può limitarsi a
«manovrare» con uno solo dei due estremi dialettici:
I biologi evoluzionisti hanno riconosciuto da molto
tempo come l’operazione fondamentale della loro professione la distinzione fra le somiglianze proprie della
freccia del tempo e quelle proprie del ciclo del tempo.
Noi chiamiamo tali somiglianze con nomi diversi, designando come omologia la conservazione passiva di caratteri condivisi in virtù di un’ascendenza comune lungo la freccia del tempo della genealogia; e come analogia
l’evoluzione attiva di forme simili in linee genealogiche
separate in conseguenza del fatto che princìpi immanenti di funzione specificano una varietà limitata di soluzioni a problemi comuni (ivi: 209).
3. L’ombra di Charles Lyell e il film della vita
Stavamo cercando, senza dubbio immodestamente e, a
quanto risultò poi, con poco successo, di trovare un
nuovo approccio allo studio della storia della vita. […]
Decidemmo di lavorare su modelli casuali di origine e
di estinzione, trattando le specie come particelle senza
alcuna speciale proprietà connessa alla loro posizione
123
CAPITOLO QUARTO tassonomica o al tempo della loro fioritura. Mentre
procedevamo nel nostro lavoro, ci rendemmo conto
che i nostri modelli presentavano notevoli somiglianze
concettuali col metodo di Lyell per la datazione del Terziario. Riconoscemmo, in effetti, che la sua visione del
solenne ciclo del tempo era diventata il fondamento
della nostra proposta. Così quattro giovani scienziati
che volevano cambiare il mondo rimasero per varie ore
attorno ad un tavolo a parlare di Charles Lyell (Gould,
1989: 190).
I fatti narrati ci riportano indietro nel tempo, al
biennio 1972-1973. Se il sipario, calato sulle gesta di
questi quattro moderni moschettieri – all’anagrafe
Raup, Schopf, Simberloff e Gould ovviamente –,
evocava il nome di Lyell, un motivo c’era, e la riflessione sulla freccia e sul ciclo, condotta a tre lustri di
distanza, ne era per l’appunto la sua più chiara testimonianza:
Potrei sommergere il lettore di parole – come in realtà
ho già fatto – sulla forza e sull’importanza della visione
di Lyell. Ma ogni scienziato potrà dirgli che l’utilità nella
pratica è l’unico criterio significativo di successo. Io
non posso offrire un omaggio migliore a Lyell della mia
personale testimonianza che il mondo della mia ricerca
è dominato dalla sua ombra gigantesca» (ivi: 191).
Volendo verificare quanto estesa sia stata l’ombra
di Lyell, basterebbe rivolgere lo sguardo in direzione
dei due temi che con il volgere degli anni divennero
sempre più rilevanti, ovvero l’estinzione e la contingenza. La prima fu indagata da Gould già nei primi
anni settanta, assieme a Raup, Schopf e Simberloff, e
si snodò come un filo rosso negli anni successivi (una
precisa esposizione delle riflessioni gouldiane sull’e124
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA stinzione è in Kendrick, 2009). Un catalizzatore potente fu l’ipotesi dell’impatto dell’asteroide che il fisico Luis Walter Alvarez (1911-1988) assieme al figlio
Walter, nato nel 1940 e geologo di professione, proposero nel 1980 per spiegare l’improvvisa estinzione
dei dinosauri avvenuta alla fine del Cretaceo, circa 60
milioni di anni addietro. L’ipotesi, che ora sappiamo
essere tutt’altro che peregrina, allora generò più che
altro commenti e reazioni piuttosto negative. Gould
fu tra i pochi che invece ne soppesò le ragioni con
equanimità in un saggio uscito su «Natural History», e
poi raccolto in Hen’s Teeth and Horse’s Toes (cfr. Gould,
1984: 321-333, con titolo Il botto dell’asteroide). La disponibilità di Gould verso l’ipotesi di Alvarez si
comprende bene: si tenga conto che essa cadeva in
un contesto propizio, cioè nel momento in cui Gould
cercava di aggredire con ogni mezzo a sua disposizione l’equivalenza evoluzione/progresso nel quadro
della critica della tesi dell’onnipotenza della selezione
naturale. All’estinzione Gould riconosceva un peso
fondamentale, come evidenziava il saggio successivo,
intitolato Le ricchezze del caso:
Se certi gruppi ne sostituiscono lentamente altri, alcuni
producendo un maggior numero di specie nel corso di
milioni di anni mentre altri ne perdevano con ritmo
ugualmente costante, una spiegazione fondata su un
controllo selettivo potrebbe sembrare irresistibile. Ma la
maggior parte dei gruppi scomparvero durante gli episodi di estinzione di massa che hanno punteggiato la
storia (ivi: 340).
Un’ulteriore sollecitazione giungeva a Gould dalle
ricerche che l’amico e collega David Raup stava compiendo, sia da solo, sia in collaborazione con Jack
125
CAPITOLO QUARTO Sepkoski. I risultati fornirono in itinere materiale per la
scrittura di un terzo intervento, uscito sulle colonne
di «Natural History», e poi raccolto da Gould in Hen’s
Teeth and Horse’s Toes, giusto per costruire un trittico
sull’estinzione (ivi: 346-355, con titolo O morte, dov’è
la tua vittoria?). Questa traiettoria, iniziata nel 1972, si
concluse «idealmente» nel 1991, anno in cui Gould ha
firmato le pagine introduttive a Extinction: Bad Genes
or Bad Luck? (L’estinzione. Cattivi geni o cattiva sorte?) di
David Raup, in cui tornava, ovviamente, in filigrana
l’ombra di Lyell:
Eppure, da due differenti punti di vista (teorico ed empirico) il credo di Lyell ha poco senso, e il suo status
come dogma può solo riflettere le nostre preferenze
sociali e psicologiche. Innanzitutto, qual è la probabilità
che la nostra sottilissima fettina di tempo osservabile
possa includere la gamma completa dei processi che
potrebbero alterare la Terra? […] Secondariamente,
come può il gradualismo di Lyell spiegare un fatto fondamentale della paleontologia: gli estesi e apparentemente rapidi rivolgimenti faunistici («estinzioni di massa») frequentemente ripetutisi nella storia della vita?
(Gould, 1994: X).
Per altra via la critica dell’idea di progresso, passando per il saggio intitolato On Replacing the Idea of
Progress with an Operational Notion of Directionality, era di
lì attesa in coincidenza di ben più ponderate riflessioni. Nel 1989 usciva Wonderful Life. The Burgess Shale
and the Nature of History (La vita meravigliosa), libro destinato, come The Mismeasure of Man, a divenire un
autentico best-seller. Quale sia l’argomento in sintesi
e come sia stato confezionato è Gould medesimo a
comunicarlo al lettore nelle battute di esordio:
126
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA Questo libro, per citare qualche metafora del mio sport
meno preferito [Gould si riferisce evidentemente al football
americano], tenta di aggredire uno dei problemi più vasti
che la scienza possa affrontare – la natura della storia
stessa – non per mezzo di un attacco centrale diretto
ma per mezzo di un end run, un aggiramento, attraverso
i dettagli dello studio di un caso veramente mirabile. I
dettagli di per sé non possono spingersi oltre; nella migliore delle ipotesi, presentati con una poesia che non è
alla mia portata, possono emergere come un mirabile
«scritto della natura». Ma gli attacchi frontali a nozioni
di carattere generale cadono inevitabilmente nella noia
o nella tendenziosità. La bellezza della natura risiede nei
particolari; quella del messaggio nella generalità. Un
giudizio ottimale richiede entrambe le cose, e io non
conosco una tattica migliore che l’illustrazione di principi di grande interesse attraverso particolari ben scelti
(Gould, 1990: 9).
C’è, come suol dirsi, molta carne al fuoco. Anzi,
questa volta ancor più del consueto, a soppesare tutti
gli ingredienti del libro, il lettore può non solo appassionarsi al tema centrale, «la natura della storia stessa», ma può in scorcio misurarsi con tutto l’arco delle
questioni che a Gould stanno più a cuore.
Il plot di Wonderful Life è incentrato sul «mirabile caso» dei fossili conservati in uno strato di argillite scura, situato in Canada, nella Columbia Britannica, all’interno del Parco nazionale di Yoho, presso la cittadina di Field, non lungi dal Monte Burgess, da cui il
nome del giacimento. Per comprendere appieno l’importanza di questo giacimento fossilifero bisogna tenere a mente due aspetti: l’età e lo stato di conservazione dei reperti fossili. Quanto alla prima, si tratta
del Cambriano medio, ovvero di una sottoepoca che,
127
CAPITOLO QUARTO secondo la scala dei tempi geologici in uso, va dai 513
ai 501 milioni di anni addietro. Riguardo allo stato di
conservazione, il dato sorprendente è l’alta percentuale di resti che hanno per così dire restituito anche
le parti molli, che raramente si conservano. La vicenda raccontata nel libro si è svolta in due atti, fra loro
ben distinti: nel primo è inscenata la scoperta vera e
propria; l’azione si svolge nel 1909 e l’attore umano
principale risponde al nome di Charles Doolittle Walcott (1850-1927), che Gould icasticamente descrive
come «il paleontologo più autorevole e uno fra gli
amministratori più potenti della scienza americana»
(ibidem). Nel secondo si narra la storia della revisione
dell’interpretazione di Walcott che compì fra gli anni
settanta e ottanta un affiatato gruppo di ricercatori
coordinato da Herry Whittington (composto da due
allievi di Whittington, Simon Conway Morris e Derek
Briggs, e dal collega Chris Hughes). Una storia apparentemente incolore, ma che invece è stato «un dramma intensamente intellettuale».
Per aiutare il lettore a comprendere attraverso quali
vie i fossili di Burgess potettero apparire così diversi,
Gould compie una lenta immersione nella visione
della vita di Walcott. Questi «considerava se stesso un
seguace di Darwin»; nel darwinismo, che Walcott
professava, era enfatizzato un aspetto che Darwin
avrebbe stentato ad accettare come pienamente conforme alla sua teoria, ma che era divenuto tratto tipico della temperie intellettuale di cui Walcott era espressione: ovvero una forte credenza nel progresso, o
meglio in un «certo ordine di progressione» che tiene
unita senza soluzione di continuità la storia della vita
sulla terra, dai cefalopodi al telegrafo elettrico. In sin128
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA tesi Walcott dava per scontato che dall’archivio delle
testimonianze fossili, se mai completato, sarebbe scaturita una rappresentazione dell’ordine naturale come
una catena comprensiva di tutti gli anelli.
Forte di queste profonda e radicata convinzione,
Walcott affrontò lo studio dei fossili, dentro la logica
del «cono». Di cosa si trattava? Per comprendere questo fenomeno – spiega Gould − è innanzitutto necessario essere disposti a lasciare il terreno delle teorie scientifiche per avventurarsi in quello più sfuggente delle immagini, mediante le quali è stata trasmessa una precisa idea dell’evoluzione. La vita, scrive Gould, assomiglia ad «un cespuglio che si ramifica
copiosamente, continuamente sfrondato dalla sinistra
mietitrice dell’estinzione, non una scala di progresso
prevedibile» (Gould, 1990: 30). Ma se si volge l’occhio all’iconografia dominante, si traggono queste due
conclusioni: primo «[l]a marcia del progresso è la
rappresentazione canonica dell’evoluzione: l’unica
immagine che venga afferrata immediatamente e
compresa visceralmente da tutti» (ivi: 25); secondo,
con il tempo «[l]a camicia di forza del progresso lineare va oltre l’iconografia, investendo la definizione
stessa di evoluzione: la parola diventa un sinonimo di
progresso» (ivi: 30).
La potenza e la persistenza di questa immagine,
oltre a infiltrarsi nella sensibilità comune, è stata alla
base di una serie di distorsioni prospettiche, assecondate dalla pratica scientifica. Gould ne descrive due,
denominandole «errori»: il primo, che chiama «il piccolo scherzo della vita», in cui
noi siamo virtualmente costretti all’errore sorprendente
di citare come classici «casi da manuale» dell’«evoluzio129
CAPITOLO QUARTO ne» linee genealogiche che non hanno avuto in realtà
molto successo» (ivi: 31).
Il caso più eclatante è stata la scala evolutiva dei
cavalli, che ad una più rigorosa analisi si è rivelata essere assai intricata, per nulla avvicinabile ad una scala
o ad una linea genealogica unitaria.
Il secondo errore è più comune e di gran lunga più
subdolo:
può accadere – continua Gould − che noi abbandoniamo la scala e riconosciamo il carattere ramificato
delle linee evolutive, continuando però a rappresentare
l’albero della vita in un modo convenzionale, scelto per
convalidare le nostre speranze di un progresso prevedibile. L’albero della vita è limitato nella sua crescita da
alcune costrizioni cruciali sulla forma. Innanzitutto,
poiché ogni gruppo tassonomico ben definito può ricondurre la sua origine a un singolo progenitore comune,
un albero evolutivo deve avere alla base un unico tronco.
In secondo luogo, tutti i rami dell’albero o muoiono e si
ramificano ulteriormente. La separazione è irrevocabile;
rami separati non possono tornare a unirsi. Eppure, all’interno di queste costrizioni della monofilia e della divergenza, le possibilità geometriche degli alberi evolutivi sono
quasi infinite. Un cespuglio può espandersi rapidamente
sino a raggiungere la massima larghezza e crescere poi di
continuo in altezza, come un albero di Natale. Oppure
può diversificarsi rapidamente, mantenendo poi appieno
la sua larghezza grazie ad un equilibrio continuo di innovazione e di morte. Oppure, come le erbe mobili che si
staccano dalle radici e vengono fatte rotolare dal vento,
può ramificarsi disordinatamente in un groviglio confuso
di forma e grandezze (ivi: 33-34).
Questa gamma infinita di possibili soluzioni, benché teoricamente contemplata, è stata di fatto icono130
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA graficamente sempre oscurata. Un esempio tipico è
l’albero filogenetico, di cui diede i primi e più efficaci
esempi il biologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919)
(v. figura 4), in cui si finiva per veicolare un’idea complessivamente assimilabile a quella della scala:
Ignorando tutte queste molteplici possibilità, l’iconografia convenzionale si è fissata su un modello primario, il «cono della diversità crescente», un albero di natale capovolto. L’evoluzione si sviluppa come se l’albero stesse crescendo dentro un imbuto, riempiendo il
cono in continua espansione delle possibilità. Nella sua
interpretazione, il cono della diversità trasmette un’interessante combinazione di significati. La dimensione
orizzontale manifesta la diversità: pesci più insetti più
lumache più stelle di mare in alto occupano lateralmente molto più spazio dei soli platelminti alla base.
Ma che cosa rappresenta la dimensione verticale? A una
lettura letterale le posizioni sull’asse verticale rappresentano solo il prima e il poi, il più recente e il più antico, nel tempo geologico: gli organismi che si trovano in
prossimità del cannello dell’imbuto sono antichi; quelli
situati in prossimità del bordo superiore sono recenti.
Noi leggiamo però il movimento verso l’alto anche come un passaggio dal semplice al complesso, o dal primitivo all’evoluto. La posizione nel tempo si combina con un
giudizio di valore (ivi: 35; corsivi nel testo).
Come contrastare la forza di queste due efficaci e
convenzionali immagini della scala e del cono rovesciato? Gould suggerisce di compiere un primo e
fondamentale passo, di natura squisitamente concettuale: distinguere nettamente la nozione di disparità
da quella di diversità; ascrivere l’uso della seconda
esclusivamente ai fenomeni che investono il numero
delle specie; della prima per indicare «la differenza nei
131
CAPITOLO QUARTO piani corporei» (ivi: 46). La «morale» che si potrebbe
tirare a chiusura della storia dei fossili di Burgess è
proprio questa: stai attento a non confondere fra diversità e disparità.
Walcott, che era condizionato dall’immagine della
scala e del cono rovesciato, fu naturalmente portato
ad interpretare gli animali, in quanto prossimi al cannello dell’imbuto, come le forme primitive e semplificate dei corrispondenti gruppi moderni.
FIGURA 4. Un tipico esempio di albero filogenetico di Ernst
Haeckel.
132
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA La revisione operata dal gruppo di Whittington,
che si è compiuta senza il peso esercitato da questa
pregiudiziale, dimostrò, fra dubbi e iniziali perplessità, che «la maggior parte degli organismi di Burgess
non appartengono a gruppi a noi familiari» e che supera «probabilmente, per varietà anatomica, l’intero
spettro degli invertebrati che vivono oggi negli oceani» (ivi: 19). Gli organismi di Burgess restituiscono
insomma una fase iniziale della fauna marina, dotata
di caratteristiche assolutamente impreviste rispetto a
quelle attese da una pedissequa proiezione all’indietro
della logica della scala e del cono rovesciato.
Ma se la disparità può essere utilmente indicata
come concetto-chiave, Gould sa altrettanto bene che
per contrastare efficacemente la «potenza iconica» della
scala e del cono rovesciato bisogna elaborare un’immagine adeguata. Entra in scena il motivo di un esperimento mentale a cui Gould dà il nome di «ripetizione del film della vita»:
Noi viviamo, come sostengono gli umoristi, in un
mondo di buone e di cattive notizie. Una buona notizia
è che possiamo progettare un esperimento per decidere
fra l’interpretazione convenzionale e l’interpretazione
rivoluzionaria delle estinzioni, risolvendo in tal modo il
problema più difficile che possiamo formulare sulla storia della vita. Una cattiva notizia è che non possiamo
eseguire l’esperimento. Io chiamo questo esperimento
la «ripetizione del film della vita». Riavvolgiamo la videocassetta e, accertandoci di aver cancellato tutto ciò
che è accaduto, riportiamoci a un certo tempo e luogo
nel passato: diciamo, ai mari in cui vissero gli organismi
i cui resti si sono conservati nel giacimento di Burgess.
Poi giriamo di nuovo il film e vediamo se la ripetizione
è uguale all’originale. Ma supponiamo che le versioni
133
CAPITOLO QUARTO sperimentali fornissero tutte risultati ragionevoli sorprendentemente diversi dalla storia della vita (ivi: 46).
Su questo crinale può subentrare anche la variabile
dell’estinzione, ovvero quella decimazione radicale
che interviene sul corso della storia e ne stravolge
completamente il corso, ogni volta in modo diverso,
secondo una dinamica del tutto estranea alla logica
della scala che prevede un solo primo gradino e un’unica direzione. Da questo punto di vista il caso degli
organismi di Burgess è addirittura eclatante, poiché la
loro storia racconta di una prodigiosa disparità iniziale e di una vera e propria ecatombe:
[l]a storia della vita è una storia di eliminazioni di massa
seguite da differenziazione all’interno dei pochi ceppi
superstiti e non il racconto convenzionale di un progresso costante verso una sempre maggiore eccellenza,
complessità e diversità» (ivi: 19).
Si dovrà per questo concludere che tutto è in balia
del puro caso? Gould respinge questa conclusione, che
soggiacerebbe alla logica dell’alternativa secca:
Scrivo questo libro per suggerire una terza possibilità,
fuori della linea. Io credo che la fauna di Burgess ricostruita, interpretata alla luce del tema della ripetizione
del film, offra un forte sostegno alla seguente concezione diversa della vita: ogni ripetizione del film condurrebbe
l’evoluzione su una via radicalmente diversa da quella intrapresa in realtà. Ma le differenze conseguenti nell’esito
non significano che l’evoluzione sia priva di significato, e
priva di un ordine significante; la via divergente della ripetizione sarebbe altrettanto interpretabile, altrettanto spiegabile, a posteriori, quanto la via reale. La diversità dei possibili itinerari dimostra però che i risultati finali non possono essere predetti fin dal principio (ivi: 47).
134
IL CORSO DELLA NATURA, IL TEMPO DELLA STORIA Questa possibilità per Gould è la «contingenza»,
intesa come quel tertium che si sottrae alla duplice
morsa del determinismo e del caso:
Questa terza possibilità rappresenta né più né meno
che l’essenza della storia. Il suo nome è contingenza,
e la contingenza è una cosa a sé, non un’attenuazione
del determinismo per opera del caso. La scienza è
stata lenta ad ammettere nel suo campo il diverso
mondo esplicativo della storia, e le nostre interpretazioni sono state impoverite da questa omissione. La scienza – quando è stata costretta a un confronto – ha presentato anche la tendenza a denigrare la storia, considerando
ogni invocazione della contingenza meno elegante o meno significante di spiegazioni fondate direttamente su immutabili «leggi di natura» (ivi: 48).
4. La teoria degli equilibri punteggiati si espande
Fra gli aspetti che stanno sullo sfondo del lungo
ragionamento svolto in Wonderful Life è compreso
anche il tentativo di contrastare la tentazione antropocentrica. In riferimento alla iconografia della scala,
Gould notava che
le iconografie familiari dell’evoluzione tendono tutte –
a volte rozzamente, altre volte in modo più sottile – a
rafforzare un’immagine confortevole dell’inevitabilità e
superiorità umana (ivi: 22).
Il motivo riaffiorava poco dopo in coincidenza
della critica dell’immagine del cono rovesciato. Se
infatti aveva assecondato la «fallace» costruzione della
linea genealogica dei cavalli, presto fu incaricata di
applicazioni ben più significative:
135
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