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La Nomina degli Arbitri
La Nomina degli Arbitri - diritti e doveri (Avv. Luigi Cecchini) 1. La nomina degli arbitri (o dell’arbitro) è, in genere, la manifestazione negoziale immediatamente susseguente alla convenzione di arbitrato. Almeno lo è nella maggior parte dei casi. Il codice di rito, infatti, disciplina al capo I del titolo VIII la Convenzione d’Arbitrato e, subito dopo al Capo II,[1] si occupa dei soggetti che dovranno pronunziare l’atto finale voluto dalle parti, al quale è preordinato tutto il procedimento: il lodo; ponendo così l’accento sulla consequenzialità, non solo logica ma, il più delle volte, anche cronologica della condotta delle parti. [1] Capo, comprendente gli articoli dall'809 all'815, così sostituito dall'art. 21 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 274 d.lgs. n. 40, cit., le disposizioni del Capo « si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto ». La precedente formulazione del Capo comprendeva gli articoli da 810 a 815. Non è esatto, però, affermare che la nomina degli arbitri costituisce, in ogni caso, la necessaria ed ulteriore manifestazione di volontà delle parti, dopo la convenzione di arbitrato. Infatti, come stabilisce l’art. 809, le parti possono nominare gli arbitri già nella convenzione di arbitrato anche se, nella prassi, l’eventualità è piuttosto remota, specie se ricorre l’ipotesi della clausola compromissoria e non del compromesso. Una ulteriore deroga, molto significativa in quanto sempre più frequentemente ricorrente, si verifica allorché le parti abbiano deciso di demandare la nomina dell’Arbitro ad un terzo, che può essere anche l’Autorità Giudiziaria. A tale riguardo, il nuovo art. 816 quater [1], disciplinando l’arbitrato pluriparte, prevede, tra l’altro, che la designazione dell’arbitro da parte del terzo costituisca condizione di procedibilità dell’arbitrato in caso di litisconsorzio necessario. Nell’Arbitrato societario, introdotto dal d.lgs. n. 5/2003 art. 34[2], è indispensabile la nomina dell’arbitro da parte del terzo. Tra l’altro, l’ immissione delle nuove regole inderogabili ha giuocato un ruolo non secondario nel favorire gli arbitrati amministrati, imponendo tuttavia un adeguamento dei regolamenti di procedura delle istituzioni di arbitrato alla materia societaria. Proprio l’Arbitrato Amministrato, sia in campo societario che non, costituisce, l’esempio più frequente di esercizio del potere di nomina dell’Arbitro da parte del terzo[3]. Ricorre l’Arbitrato Amministrato, allorché le parti abbiano inteso, nella convenzione d’arbitrato, adottare una procedura arbitrale già “confezionata”, per così dire, da un soggetto terzo, un Ente o una Associazione, mediante la predisposizione di un Regolamento Arbitrale apposito, che le parti ovviamente conoscono o dovrebbero conoscere bene. Regolamento che può prevedere la nomina dell’arbitro o degli arbitri da parte di un soggetto esterno o interno, quello che viene definito dal diritto anglosassone Appointing Authority . Ad esempio, il Regolamento Arbitrale dell’AGA prevede che all’art. 9 che “L’Associazione, senza indugio, provvede alla nomina di un arbitro unico, ove questo non sia già stato indicato nella clausola compromissoria, ovvero designato concordemente dalle parti. In caso di mancato accordo delle parti circa la scelta dell’Arbitro Unico, questi viene designato, senza indugio, dal Garante, tra i soci iscritti nell’Albo”. Nel caso di Arbitrato Amministrato al duplice negozio giuridico che presiede al fenomeno arbitrale, il contratto tra le parti ed il contratto – mandato – tra queste e gli Arbitri [4] , si aggiunge un terzo contratto che è quello che disciplina i rapporti tra le parti della convenzione di arbitrato e l’Ente o l’Associazione che amministra l’arbitrato secondo il proprio Regolamento. E’ indubbio come il meccanismo di nomina dell’Arbitro da parte di un terzo, rafforzi i profili paragiurisdizionali dell’arbitrato e diminuisca in modo sensibile l’autonomia delle parti nella scelta dei loro giudici privati, contribuendo, tuttavia, ad un rafforzamento del principio di imparzialità. Al di fuori del ricorso all’Arbitrato Amministrato, quindi rimanendo nel campo dell’arbitrato “ad hoc”, nulla toglie che le parti, con la convenzione di Arbitrato, decidano di attribuire ad un soggetto terzo, che potrà essere anche l’Autorità Giudiziaria, la nomina dell’arbitro o degli arbitri. Infine: la nomina potrà competere al Presidente del Tribunale, con funzione integrativa o suppletiva, nei casi previsti dall’art. 809 co. 2 (nomina degli arbitri in numero pari), o dall’art. 810 co. 2 nel caso di inerzia della parte alla quale spetta il potere di nomina, oppure, infine, (art. 810 co. 4) nell’ipotesi di inerzia del terzo al quale le parti hanno attribuito tale potere [5], o, ancora, nell’ipotesi di sostituzione dell’arbitro di cui all’ultimo periodo dell’art. 811 o nel caso previsto dall’art. 813 bis (c.d. sostituzione punitiva), sempre riconducibile, comunque, all’inattività della parte o alla lacunosità della convenzione arbitrale ed infine il caso disciplinato dall’art. 34 D.lgs 5/2003 che prevede il potere di nomina di tutti gli arbitri in capo a soggetto estraneo alla società, e, ove il soggetto designato non provveda, da parte del Presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale. Come già detto, l’affidamento della nomina degli arbitri ad un terzo maggiormente garantisce in punto di rispetto del principio di imparzialità degli arbitri.[6]; principio di ordine pubblico la cui violazione comporta la nullità della convenzione di arbitrato[7] [8]. Sull’imparzialità ritorneremo in seguito, trattando della ricusazione dell’arbitro dato che, con la riforma del 1994, che ha modificato l’art. 815 è stata inserita una significativa innovazione; segnaliamo, per il momento; che l'art. 34 comma 2 d.lgs. n. 5 del 2003, disponendo l'obbligo di estraneità del soggetto a cui viene affidato il potere di nomina degli arbitri, ha consolidato l'indipendenza ed imparzialità dell'arbitro, definitivamente eliminando le ipotesi di arbitrato endosocietario. 1 2. Il codice di rito si preoccupa di dettare, per la nomina degli arbitri, poche regole, lasciando alle parti la scelta di adottare quelle che ritengono più idonee alla disciplina dei propri interessi; come è giusto sia, del resto, essendo la Convenzione di Arbitrato un contratto, come tale destinato ad essere regolato dall’autonomia privata. Autonomina e disponibilità dei diritti che trova conferma indiretta nella rilevabilità ad istanza di parte delle eccezioni attinenti la regolare costituzione del collegio arbitrale nell’ambito del procedimento arbitrale, a pena di inammissibilità della eccezione di nullità del lodo in sede di impugnazione[9]; restando confinata, la rilevabilità d’ufficio, solo al difetto di potestas iudicandi del collegio arbitrale [10]. L’intervento normativo, nel procedimento di nomina degli arbitri, ha, pertanto, carattere quasi esclusivamente, suppletivo, intervenendo il codice laddove le parti, intenzionalmente o meno, non abbiano dettato le regole, oppure siano divenute inerti rispetto al compimento di atti dovuti, senza i quali, giocoforza, la procedura sarebbe destinata ad arrestarsi. Prima della riforma, l’art. 809 c.p.c., nella sua originaria formulazione, richiedeva esplicitamente che il compromesso o la clausola compromissoria contenessero la nomina degli arbitri oppure l’indicazione del numero e del modo di nominarli; con la conseguenza che in difetto di tali requisiti il patto compromissorio doveva ritenersi nullo[11]. Anche la giurisprudenza si era assestata su tali posizioni e, in applicazione del disposto codicistico, aveva dichiarato nulle tutte le nomine contenute in convenzioni arbitrali, che fossero carenti di ogni indicazioni circa le modalità di nomina (ritenendosi, da parte della dottrina meno rigorosa, sufficiente anche il semplice richiamo ad un regolamento intercorso tra le parti).[12] Ben diverso e`, ivece, lo spirito sotteso alla nuova formulazione dell’art. 809 c.p.c., che, pur ribadendo la necessità che i patti compromissori indichino la nomina di un numero dispari di arbitri o almeno contengano il numero e le modalità di nomina, ha sostituito la sanzione della nullita` con la predisposizione di una serie di strumenti atti a sopperire alla carenza della formulazione della convenzione arbitrale. Pertanto, ad eccezione delle regole di cui all'art. 809 c.p.c., relative al numero dispari degli arbitri ed al modo di nominarli, la cui funzione è garantire l'operatività del giudizio arbitrale e l'imparzialità dell'organo giudicante, non è prevista nessuna altra prescrizione sanzionata da nullità, essendo contemplato il ricorso all'autorità giudiziaria ogni qualvolta sia necessario salvaguardare la volontà delle parti di devolvere ad arbitri la soluzione della controversia. [13] [14] 3. Qualunque sia il procedimento delineato dalle parti per giungere alla nomina degli arbitri [15] e per regolare l’arbitrato (arbitrato ad hoc regolato dalle norme pattizie e/o codicistiche, ricorso all’arbitrato amministrato, arbitrato societario), gli arbitri devono essere nominati dalle parti. La regola è conseguenza della natura contrattuale dell’arbitrato e si ricava dal disposto degli artt. 809, 810 e 829 n. 2 . Se l’arbitro non è stato nominato dalla parte il lodo è nullo ai sensi dell’art. 829 n. 2, ma la nullità deve essere stata dedotta nel procedimento arbitrale. L’art. 829, n. 2 c.p.c., oltre ad indicare il motivo di impugnazione per nullità del lodo, individua anche una eccezione al regime generale della rilevabilità delle nullità processuali, generalmente applicabile in campo arbitrale laddove non siano previste deroghe, in via diretta o mediata, da altre norme che regolano la materia.[16] Come abbiamo visto la parte può esercitare la facoltà di nomina dell’arbitro tramite un terzo. Si tratta di una applicazione del generale principio della rappresentanza. Ad esempio, nel momento in cui le parti prevedono nella convenzione arbitrale di definire la controversia con il rinvio alla disciplina del Regolamento Arbitrale dell’AGA, conferiscono mandato a tale associazione affinché, mediante il “garante” (organo previsto dal Regolamento) venga designato l’arbitro monocratico. Così come quando la convenzione d’arbitrato rimette la nomina degli arbitri all’Autorità Giudiziaria, quest’ultima si inserirà nel procedimento di autonomia privata nell’esercizio della giurisdizione volontaria, con poteri limitati soltanto ad una sommario esame di non manifesta inesistenza della convenzione d’arbitrato. Nell’arbitrato societario, poi, la nomina da pare del terzo estraneo alla società è prevista, come già detto, dall’art. 34 D.lgs 5/2003 a pena di nullità.[17] La parte esercita la facoltà di nomina dell’arbitro nei modi stabiliti nella convenzione arbitrale, come previsto dall’art. 809. Siamo nel campo del c.d. arbitrato ad hoc, oggi sempre meno adottato in ragione degli elevati costi della procedura. Tuttavia, le medesime regole valgono anche nel caso di arbitrato amministrato, qualora il regolamento Arbitrale rimetta alle parti la nomina degli arbitri dettando le relative regole oppure rinviando all’art. 810. L’atto di nomina deve rivestire la forma scritta ad substantiam in quanto atto che si ricollega alla convenzione arbitrale per la quale detta forma è prescritta[18] Un primo problema che si pone è quello della sufficienza o meno della procura ad litem, conferita al difensore con mandato a margine della domanda di arbitrato, al fine di legittimarlo alla nomina dell’arbitro o degli arbitri. La giurisprudenza della S.C. è orientata nel senso di ritenere che “la procura alle liti relativa al giudizio arbitrale non legittima il difensore alla nomina dell' arbitro nell'interesse del suo assistito (non potendo la stessa essere configurata, di per sé, come mandato speciale rispetto alla nomina ) a meno che, in essa, non possa ravvisarsi anche un mandato a procedere a tale designazione”[19]. La nomina dell' arbitro è atto negoziale di integrazione della convenzione arbitrale e pertanto deve essere fatta personalmente dalle parti o da procuratore munito del 2 relativo potere negoziale.[20] Il difetto di potere di rappresentanza può essere sanato con il ricorso all’istituto della ratifica consistente in un successivo atto scritto della parte, giudiziale o stragiudiziale, idoneo a manifestare la propria volontà di investire l' arbitro del potere di decidere la controversia. La S.C., ad esempio, ha ritenuto integrare la ratifica la memoria, sottoscritta personalmente dalla parte, depositata nel giudizio arbitrale davanti al collegio a suo tempo designato in modo inefficace.[21] In altri termini per aversi valida ratifica, con conseguente sanatoria del vizio della designazione, occorre che con il successivo scritto la parte manifesti comunque la volontà di investire l'arbitro del potere di decidere la controversia. [22] Un ulteriore problema che, nella pratica può sovente verificarsi, è dato dalla successione a titolo particolare nel diritto controverso. A chi compete la nomina dell’arbitro ? Alla parte originaria o al successore a titolo particolare ? Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la risposta è collegata alla modifica del giudizio arbitrale a seguito della riforma del 1994. Per effetto delle modifiche introdotte nel c.p.c. e nel c.c. dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25, il procedimento arbitrale è pendente al momento della notificazione della domanda di arbitrato, è quindi logico affermare che tutti gli atti successivi — compresa la nomina degli arbitri — hanno natura di atti processuali. Pertanto, posto che all’arbitrato (rituale) si applica l’art. 111 c.p.c., tali atti vanno compiuti dalla parte legittimata ad agire (o a contraddire), che nell’ipotesi di successione a titolo particolare è la parte originaria. E`soltanto questa che conserva la titolarità del potere di nomina dell’arbitro per cui la nomina effettuata dal successore a titolo particolare è invalida, a meno che non sia fatta propria o ratificata dal dante causa e notificata alla controparte.[23] 4. La norma di riferimento per la disciplina del procedimento di nomina degli arbitri è l’art. 810. La nomina potrà essere contenuta nella domanda di arbitrato, contenente il più delle volte anche la formulazione dei quesiti[24]. E’ necessario, però, che l’atto preveda l’invito all’altra parte a procedere alla designazione del proprio arbitro. Cosa accade se la parte destinataria dell’invito non provvede nel termine di cui all’art. 810 (venti giorni) o nell’altro eventualmente previsto nella convenzione d’arbitrato ? Il termine non è considerato perentorio dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, non essendo ciò previsto esplicitamente dalla legge, né essendo ricavabile dalla funzione del termine stesso[25]. La facoltà di nominare l’arbitro permane in capo alla parte sino a quando non sia intervenuta la nomina ad opera del presidente del tribunale su richiesta della controparte, ai sensi del comma 2 del richiamato art. 810 c.p.c. Ne consegue che il collegio arbitrale, composto da arbitro nominato in via sostitutiva dal presidente del tribunale pur in presenza di precedente - ancorché tardiva - nomina notificata dalla parte interessata alla controparte, deve ritenersi costituito irregolarmente ed il lodo pronunciato sarà nullo sensi dell’art. 829 n. 2. Tuttavia, la S.C. [26] ha ritenuto sussistere a carico della parte l'onere di informare della nomina sopraggiunta il presidente del tribunale da essa adito, salva la responsabilità della parte tardivamente adempiente al dovere di nominare il proprio arbitro per gli eventuali danni. Al di fuori di tale ipotesi, (l’intervento sostitutivo del presidente del tribunale è previsto a garanzia della concreta attuazione del principio di conservazione del patto compromissorio ispirato a favor arbitrati, al preciso scopo di supplire a carenze delle parti, integrando piuttosto che limitando la loro facoltà di scelta[27]) la nomina degli arbitri, compreso "a fortiori" il presidente del collegio, non può che essere attribuita alle parti, alla stregua del principio fondante contenuto nel c.p.c.[28] Proprio nel caso di ricorso al Presidente del Tribunale per la nomina del terzo arbitro con funzioni di Presidente del Collegio arbitrale può verificarsi l’eventualità, non infrequente nella pratica, che entrambe le parti, certo per un difetto di coordinamento tra i difensori, depositino il ricorso ex art. 810 nella cancelleria del tribunale ed il Presidente nomini, con due separati provvedimenti, due diversi arbitri. In tale ipotesi si dovrà tener conto solo della prima nomina, anche se conseguente alla seconda istanza della parte, in quanto, con l’emanazione del decreto il Presidente del Tribunale esaurisce il potere sostitutivo della autonomia negoziale attribuitogli dall’art. 810. L’ordinanza di nomina dell'arbitro da parte del presidente del tribunale, ex art. 810 c.p.c., non ha contenuto decisorio, ma integra gli estremi del provvedimento di giurisdizione volontaria con funzione sostitutiva di attività manchevole delle parti, non è quindi assoggettabile a reclamo ex art. 739 c.p.c.,[29] né è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost. in quanto provvedimento insuscettibile di produrre effetti sostanziali o processuali di cosa giudicata.[30] Quanto all’arbitrato irrituale, dopo un iniziale contrasto giurisprudenziale, le S.U. della S.C , con la sentenza 03 luglio 1989 n. 3189, hanno fissato il principio di diritto secondo il quale l'art. 810 comma 2 c.p.c. [31]si applica anche all’arbitrato libero . 5. A questo punto, finalmente, tutti gli arbitri, per l’una o per l’altra via, sono stati nominati. Ma, proprio per la natura negoziale del rapporto parti-arbitro, occorrerà un ulteriore manifestazione di volontà: l’accettazione del mandato da parte degli arbitri. La nuova formulazione dell’art. 813 [32] stabilisce la necessità della forma scritta per l’accettazione, in linea, ovviamente, con la natura di contratto, per il quale è richiesta la forma scritta, del patto compromissorio. L’accettazione da parte di tutti gli arbitri, che può risultare anche dalla sottoscrizione del compromesso o del verbale di prima riunione, costituisce il perfezionamento del rapporto arbitrale e da quel momento l’arbitro 3 assumerà tutti gli obblighi e le responsabilità inerenti all’incarico arbitrale. Ne consegue che ciascun arbitro, dopo la propria accettazione, e` tenuto al compimento di ogni atto idoneo a consentire lo svolgimento del procedimento arbitrale. Pertanto, nel caso di mancata collaborazione dell’arbitro, ad esempio alla costituzione del collegio, si potrà configurare una forma di inadempimento tale da giustificare la sostituzione ex art. 813 bis. c.p.c., . Il fatto che il rapporto arbitrale si perfezioni con l’accettazione e che, dal quel momento, l’arbitro assuma gli obblighi che gli fanno carico per contratto e/o per legge, non significa che il procedimento arbitrale possa dirsi pendente solo a seguito della nomina degli arbitri e della loro accettazione . Come abbiamo visto parlando dell’applicazione dell’art. 111 c.p.c. al processo arbitrale, a seguito dell'entrata in vigore della legge di riforma n. 25 del 1994 si può senz’altro ritenere che il momento iniziale del giudizio coincida con la notificazione della domanda arbitrale. La notifica della domanda, infatti, è, di per sé, idonea a costituire un rituale rapporto processuale; infatti, nella domanda di arbitrato, vengono identificati dalla parte, sulla base della clausola compromissoria, tanto l'organo deputato a decidere la controversia, quanto la controparte, nei confronti della quale il lodo dovrà essere pronunciato. [33] Inoltre, nell’atto iniziale, deve essere individuata la domanda con sufficiente indicazione della causa petendi, dell’oggetto e delle conclusioni; come si può desumere, tra l’altro in via interpretativa, dal fatto che la domanda di arbitrato e` idonea a essere trascritta e ad interrompere la prescrizione. 6. A questo punto, costituitosi l’organo arbitrale, il procedimento entrerà nella sua fase centrale. Le regole che disciplineranno il procedimento saranno quelle stabilite dalle parti (816 bis) nella convenzione arbitrale, oppure, in difetto, quelle dettate dagli arbitri stessi. Il potere di disciplinare le regole del procedimento, tuttavia, non attribuisce all’arbitro poteri pubblici, assimilabili a quelli del Giudice dello Stato; egli non e` investito di pubblica funzione, come si premura di specificare l’ultimo comma dell’art. 813. L’attività degli arbitri ha termine con l’emanazione e la trasmissione del lodo, salvo l’ipotesi di loro riconvocazione per la correzione dell’errore materiale.[34] La cessazione dalla carica può, tuttavia, intervenire, per altre cause, anche prima della sua naturale conclusione. Innanzi tutto, ad esempio, per morte o sopravvenuta incapacità naturale o legale (812). In tal caso soccorre la disposizione di cui all’art. 811. Ma, gli eventi processuali che maggiormente interessano il mutamento della compagine arbitrale (o la sorte dell’arbitro unico), sono la ricusazione e la decadenza, rispettivamente disciplinati dall’art. 815 e dall’art. 813 bis. Diversamente da quanto disponeva il vecchio art. 815[35], prima della riforma introdotta con il d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, con il semplice rinvio alle cause di astensione (obbligatoria) del giudice previste dall’art. 51 c.p.c., [36] il nuovo 815 elenca dettagliatamente sei motivi di ricusazione. Le novità consistono in due specifiche cause di ricusazione, non previste dall’art. 51 in quanto proprie dell’arbitro e non del giudice. Per il resto il nuovo 815 ripropone, con opportuni adattamenti (es: l’uso del termine coniuge in luogo di moglie) gli stessi motivi di ricusazioni previsti dall’art. 51. La prima novità è prevista dal n. 1 dell’art. 815 e si riferisce alla mancanza delle qualifiche espressamente convenute dalle parti nella convenzione di arbitrato. La seconda è prevista dal n. 5 e consiste nella sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita con una delle parti, con una società da questa controllata, con il soggetto che la controlla, con una società sottoposta a comune controllo. La norma dovrebbe portare ad escludere dal novero degli arbitri tutti quei soggetti, liberi professionisti, che hanno un rapporto di consulenza professionale continuativa non solo con la società parte dell’arbitrato ma anche, ad esempio, con la sua capogruppo. Assume così rilievo positivo una condotta altrimenti destinata il più delle volte a rimanere confinata nell’ambito deontologico. La norma, quindi, contribuisce a creare chiarezza nei rapporti tra parti ed arbitri, anche se la legge di riforma avrebbe potuto fare di più. Infatti, se è pur vero che sull’arbitro non può gravare l’obbligo di astensione, quale invece grava sul giudice, sarebbe stato auspicabile imporgli l’obbligo di dichiarare alle parti l’esistenza di una situazione che potrebbe renderlo sospetto, come avviene, ad esempio, in alcune legislazioni straniere e in molti regolamenti per arbitrati amministrati[37]; prevedendo, altresì, un autonomo vizio del lodo[38] ed un profilo di responsabilità dell’arbitro ogni qualvolta egli abbia omesso di dichiarare alle parti la situazione che potrebbe giustificare la ricusazione. Altra novità è costituita dalla previsione, quale causa di ricusazione, della esistenza di “altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza” . Anche in questo caso può destare qualche perplessità il riferimento ai rapporti di natura associativa. Basti pensare all’appartenenza dell’arbitro e della parte alla stessa associazione sportiva! Tuttavia, ricorrerà l’ipotesi esclusivamente laddove, i rapporti, siano di una intensità tale da minare in radice il requisito della imparzialità. Un caso che si presenta di frequente nella pratica è quello dell’assunzione della carica di arbitro da parte di un collega di studio del difensore della parte. La fattispecie dovrebbe rientrare nella previsione del n. 3 dell’art. 815 (”se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori”), ed era già prevista dal n. 2 dell’art. 51. La giurisprudenza della S.C ha ritenuto di escludere la sussistenza della causa di ricusazione nel caso di semplice condivisione dello studio o comunque dello stesso ambiente da parte dell’arbitro con i difensori di una delle parti del procedimento arbitrale, a meno che non risulti che la condivisione del medesimo ambiente di lavoro non si sia limitata all'utilizzazione di ambienti contigui, ma abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle 4 rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico – organizzativo.[39] Il co. 2 dell’art. 815 stabilisce che l’arbitro non può essere ricusato dalla parte che lo ha nominato. A tale riguardo, una parte della dottrina[40], ha criticato siffatta esclusione allorché, la parte che ha nominato l’arbitro, venga a conoscenza della situazione pregiudicante in epoca successiva alla nomina. La procedura di ricusazione è disciplinata dai co. 3, 4 e 5 dell’art. 815. Innanzitutto il termini per la proposizione dell’istanza al Presidente del Tribunale: dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il termine è perentorio, a pena di decadenza e la prova dell’osservanza del termine sarà a carico della parte ricorrente. Spetterà, ovviamente, al Presidente valutare il rispetto del termine, la qual cosa potrà presentare aspetti problematici, in ordine alla conoscenza successivamente acquisita, quando la causa dedotta presenti i connotati del fatto notorio[41]. Il termine preclusivo alla presentazione dell’istanza è dato dalla sottoscrizione del lodo[42], perché con la sottoscrizione esso viene ad esistenza ed acquista efficacia vincolante per le parti, l'istanza proposta successivamente non può avere alcuna efficacia[43] Il provvedimento presidenziale (ordinanza) che definisce il procedimento è dichiarato espressamente non impugnabile; neppure con il ricorso straordinario per cassazione. In effetti, l’ordinanza non ha contenuto decisorio e non è definitiva, essendo suscettibile di riesame nel giudizio d'impugnazione[44] del lodo attraverso il controllo sulla pronuncia resa dall'arbitro.[45] La giurisprudenza della S.C., sul punto, registrava orientamenti contrastanti prima dell’intervento delle Sezioni Unite[46] che hanno ribadito quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione “non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. poiché, pur trattandosi di provvedimento avente natura decisoria - in quanto decide su un'istanza diretta a far valere concretamente il diritto all'imparzialità del giudice, la quale costituisce non solo un interesse generale dell'amministrazione della giustizia ma anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte ai sensi dell'art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'uomo e dell'art. 111 Cost. nel testo novellato manca tuttavia del necessario carattere della definitività, in quanto la non impugnabilità ex sé dell'ordinanza non esclude che il suo contenuto sia suscettibile di essere riesaminato nel corso dello stesso processo attraverso il controllo della pronuncia, convertendosi l'eventuale vizio derivante dall'incompatibilità del giudice invano ricusato in motivo di nullità dell'attività spiegata dal giudice stesso e, quindi, in motivo di gravame della sentenza da lui emessa”. La S.C, ritornando in seguito sulla questione[47] ha affermato che non può validamente sostenersi, con particolare riferimento all'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, che la violazione del dovere di astensione dell'arbitro esulerebbe dalle previsioni dell'art. 829, cod. proc. civ., secondo cui il lodo sarebbe nullo solo se pronunciato da arbitro privo dei requisiti e delle capacità richieste per la sua nomina dall'art. 812 cod. proc. civ., in quanto, dopo l'intervento delle Sezioni Unite, non può più dubitarsi che l'impugnazione per nullità sia ammessa non solo quando l'arbitro abbia pronunziato nonostante la sua avvenuta ricusazione ovvero in assenza dei requisiti formali richiesti per la sua nomina o perché privo della capacità ad essere nominato, ma anche quando egli abbia nella controversia un interesse proprio e diretto che lo renda assolutamente incapace di assumere e di svolgere le funzioni di arbitro. Prima di concludere sul punto merita ricordare che la norma sulla ricusazione dell’arbitro non è applicabile all’arbitrato irrituale , stante la diversa natura tra i due istituti, dell’arbitrato libero e di quello rituale, in conseguenza della quale, nell’arbitrato irrituale, non si ravvisano quei connotati tipici della funzione giurisdizionale, tra i quali quello, indefettibile, della terzietà del giudice. Ne consegue che, il problema dell'imparzialità degli arbitri nell'arbitrato libero o irrituale, si configura come problema di esatto e fedele adempimento del mandato da parte degli arbitri, i quali risponderanno verso la parte danneggiata dall'esecuzione non imparziale del mandato [48]. 7. Con riguardo alla sostituzione dell’arbitro il sistema delinea due distinte ipotesi. La prima è quella disciplinata dall’art. 811 e disciplina la sostituzione per così dire “fisiologica”, ovvero qualora l’arbitro venga a mancare per un motivo qualunque (morte, impedimenti fisici, mancata o invalida accettazione, pronuncia di ricusazione, interdizione od altro). La seconda, introdotta dalla Legge 5 gennaio 1994, n. 25, è stata definita dalla dottrina sostituzione sanzionatoria[49], ed era disciplinata dell’art. 813 ed ora, a seguito della riforma del 2006, dal nuovo art. 813 bis. La sostituzione sanzionatoria è resa legittima dall’omissione o dal ritardo di cui si renda responsabile l’arbitro nel compimento di un atto relativo alle proprie funzioni. Mentre per quanto riguarda la sostituzione ex art. 811 possiamo solo richiamare quanto già detto circa l’intervento sostitutivo del Presidente del Tribunale, laddove le parti o il terzo non provvedano, con ordinanza non avente natura decisoria e, pertanto, non suscettibile di impugnazione; per quanto riguarda la sostituzione ex art. 813 bis le problematiche che la dottrina si è posta sono più complesse, come sommariamente vedremo. Si farà ricorso alla sostituzione sanzionatoria in presenza di un inadempimento dell’arbitro ai doveri derivanti dalla sua funzione, osservata la procedura delineata dall’articolo in rassegna che prevede la previa diffida. Il primo problema, peraltro di facile soluzione, che si pone riguarda la esperibilità o meno della procedura sin dal momento dell’accettazione da parte dell’arbitro. La risposta è positiva. Infatti se è vero che il rapporto arbitrale e` perfetto solo con l’accettazione di tutti gli arbitri e` altrettanto evidente che ciascun arbitro, dopo la propria accettazione, e` tenuto al compimento di ogni atto idoneo a consentire lo svolgimento del procedimento 5 arbitrale. Sembra pertanto plausibile ipotizzare che la mancata collaborazione alla costituzione del collegio integri una forma di inadempimento tale da giustificare la sostituzione ex art. 813 bis, norma tesa (anche) ad assicurare la sollecita definizione del processo arbitrale. La seconda problematica riguarda, invece, l’eventuale diverso sistema di impugnazione del provvedimento presidenziale reso all’esito della procedura delineata dalla’art. 813 bis. Orbene, se l’ordinanza del Presidente con la quale l’arbitro venuto a mancare è provvedimento non soggetto ad alcuna forma di impugnazione[50], si può dire altrettanto dell’ordinanza ex art. 813 bis ? Gran parte della dottrina ritiene di inquadrare il procedimento di cui si discute pur sempre nella giurisdizione volontaria, essendo comunque volto ad accertare, sentite le parti, se si siano verificati l’omissione o il ritardo che dovrebbero giustificare la rimozione dell’arbitro; altri autori attribuiscono al procedimento natura sommaria, sostenendo che esso culmina in un provvedimento a carattere decisorio, pertanto impugnabile con il ricorso straordinario in Cassazione[51]. La soluzione maggiormente condivisibile appare essere la prima, per le stesse considerazioni che sono state svolte parlando dell’impugnabilità dell’ordinanza resa al termine del procedimento di ricusazione. In altri termini la parte, che ha visto la propria istanza disattesa, non solo potrà riproporla ma potrà far valere, previa eccezione da sollevarsi nel corso del procedimento arbitrale, la nullità di cui al n. 2 dell’art. 829 per vizio di costituzione dell’organo arbitrale. Quanto alla sostituzione dell’arbitro nell’arbitrato irrituale abbiamo visto come, a seguito dell’intervento di S.U. 03 luglio 1989 , n. 3189, questa sia senz’altro possibile anche nel caso disciplinato dall’art. 811. Va, invece, esclusa, per la natura dell’arbitrato irrituale, la sostituzione sanzionatoria, ferma restando la responsabilità dell’arbitro ex contratto. 8. La riforma del 2006 ha introdotto uno specifico articolo (813 ter) che disciplina la responsabilità degli arbitri. In precedenza l’art. 813 prevedeva espressamente la responsabilità degli arbitri in due distinte ipotesi: il deposito del lodo oltre il termine di legge o quello stabilito dalle parti, la rinunzia, senza giustificato motivo, all’incarico. In siffatte ipotesi l’arbitro era tenuto al risarcimento del danno. Già prima della riforma del 2006 parte della dottrina si era posta il problema di regolare la responsabilità degli arbitri sulla base dell’art. 2 legge n. 117 del 1988 (responsabilità dei magistrati). [52]. La giurisprudenza della cassazione aveva delineato il sistema di responsabilità degli arbitri partendo dalla natura contrattuale dell’arbitrato, dalla quale deriva, da un lato, l'obbligazione degli arbitri di decidere la controversia ad essi devoluta compiendo tutte le attività necessarie strumentali o consequenziali e, dall'altro, a carico solidale dei committenti, l'obbligo di corrispondere agli arbitri il compenso per l'opera prestata e di rimborsare ai medesimi le spese anticipate per il giudizio. Per cassazione civile, sez. I, 04 aprile 1990, n. 2800, essendo l’arbitrato un negozio riconducibile nello schema del contratto di opera intellettuale (art. 2230 c.c.), andava esclusa la responsabilità degli arbitri in base all'art. 2236 c.c., se non in caso di dolo o colpa grave, per i danni conseguenti alla loro attività propriamente giustiziale (applicazione di norme giuridiche, individuazione ed attuazione del principio di equità, valutazione dei fatti e delle prove, qualificazione e verificazione della validità della clausola compromissoria, interpretazione delle domande e delle eccezioni, congrua motivazione della decisione), dal momento che la esatta realizzazione comporta di per sé difficoltà di rilevante entità sul piano tecnico-giuridico ed intellettivo. L’esigenza di tipizzare le cause di responsabilità degli arbitri, avvertita da parte della dottrina prima della riforma del 2006 [53], è stata recepita dal legislatore del D.ls. 40/2006 che, con l’introduzione del nuovo art. 813 ter, ha disciplinato, sotto un unico articolo, le varie ipotesi di responsabilità dell’arbitro, stabilendo il principio della responsabilità solo per dolo o colpa grave. Il primo comma dell’articolo in rassegna prevede, infatti, la responsabilità dell’arbitro per i danni cagionati alle parti qualora: 1) con dolo o colpa grave abbia omesso o ritardato atti dovuti e sia stato perciò dichiarato decaduto, ovvero abbia rinunciato all'incarico senza giustificato motivo; 2) con dolo o colpa grave abbia omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine fissato a norma degli articoli 820 o 826. Al di fuori dei casi disciplinati dal primo comma troverà applicazione la l’art. 2 co. 2 e 3 della legge sulla responsabilità dei magistrati[54]. La parte non può promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dell’arbitro, in pendenza del procedimento arbitrale, se non nel caso di omissione o ritardo nel compimento di atti dovuti e conseguente dichiarazione di decadenza ai sensi dell’art. 813 bis ovvero in caso di rinunzia all'incarico senza giustificato motivo. Al di fuori di tali ipotesi l’azione di responsabilità potrà essere proposta solo dopo l’accoglimento dell’impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l’impugnazione è stata accolta. Oltre al risarcimento del danno l’arbitro perderà il diritto al compenso ed al rimborso delle spese e, nel caso di nullità parziale del lodo, tali emolumenti saranno ridotti. In considerazione della previsione del co. 6 dell’articolo in esame, la definizione del procedimento di cui è investito il Presidente del tribunale ai sensi dell'art. 814 comma 2 per la liquidazione del corrispettivo e del rimborso delle spese spettanti agli arbitri, dovrà ritenersi dipendente dalla definizione della causa di impugnazione per nullità del lodo, ne deriva che il procedimento per la liquidazione del corrispettivo e del rimborso delle spese degli arbitri dovrà essere sospeso ex art. 295 c.p.c. in pendenza del giudizio di impugnazione del lodo.[55] Infine, il comma 5 dell’art. 813 ter, prevede una limitazione di responsabilità, quantificando la misura massima del risarcimento dovuto, nel caso in cui l’arbitro risponda a titolo di colpa grave. 9. 6 Gli arbitri sono parte d'un contratto, il cd. "contratto di arbitrato", con il quale le parti gli attribuiscono l'incarico di risolvere una vertenza insorta tra le stesse. Prescindendo da ogni indagine sulla natura del contratto è certo che, a fronte dell'obbligazione assunta dagli arbitri di portare a compimento l'incarico ricevuto, sussiste quella delle parti di remunerare tale attività [56], con vincolo solidale a loro carico come stabilito dall’art. 814 . In genere le parti, per la difficoltà obbiettiva di predeterminare il compenso, non stabiliscono, nella convenzione di arbitrato, la remunerazione degli arbitri. In considerazione di ciò e, soprattutto, per agevolare la determinazione del quantum e quindi facilitare la successiva riscossione del compenso in ragione della peculiare natura dell’attività arbitrale finalizzata alla soluzione stragiudiziale delle vertenze, il codice ha previsto che gli arbitri possano sottoporre alle parti la propria pretesa di rimborsi e compensi, lasciando i destinatari liberi d'accettarla o meno. In quest’ultimo caso l'ammontare delle spese e dell'onorario sarà determinato dal presidente del tribunale. Si tratta di un procedimento volto, non all’accertamento dell’an debeatur, bensì del solo quantum e la decisione del presidente sarà vincolante sia per tutte le parti che per i singoli arbitri. La giurisprudenza di merito e di legittimità si era interrogata sulla natura di tale procedimento, giungendo a soluzioni non univoche [57] che portavano ad ammettere od escludere la natura di provvedimento destinato ad incidere sul diritto soggettivo degli arbitri e quindi ad ammettere od escludere la sua natura di provvedimento giurisdizionale decisorio e definitivo.[58] Il contrasto all’interno delle sezioni semplici della S.C è stato di recente risolto con l’intervento delle Sezioni Unite[59] che, analogamente per quanto avviene nel caso di intervento sostitutivo del presidente del tribunale ai sensi degli artt. 809, 810 e 811, hanno escluso il carattere decisorio, non incidente sul diritto soggettivo degli arbitri, del provvedimento presidenziale ex art. 814, attribuendogli natura di procedimento camerale non contenzioso carente del carattere giurisdizionale, con conseguente l'inesperibilità dei rimedi di giurisdizione contenziosa, anche quale il ricorso per cassazione previsto dall'art. 111 Cost. Il nuovo testo dell’art. 814, così come modificato a seguito del D.ls 40/2006, ha introdotto la reclamabilità alla Corte di Appello dell’ordinanza presidenziale che, all’esito del procedimento delineato nel medesimo articolo, stabilisce il compenso degli arbitri. La disciplina applicabile al procedimento di reclamo è quella prevista dall’art. 825 per il caso di reclamo avverso il provvedimento del tribunale che dichiara l’esecutività del lodo e pertanto l’impugnazione andrà proposta alla Corte di Appello nel termine di 30 giorni dalla comunicazione. La Corte provvederà in camera di consiglio, con ordinanza, sentite le parti. A differenza di quanto avveniva vigente la precedente versione dell’art. 814, la previsione di un mezzo di impugnazione tramite il reclamo alla Corte di Appello esclude il connotato di non definitività del provvedimento del tribunale. Occorre, pertanto chiedersi se, alla luce della riforma, il principio di diritto affermato da S.U 3.7.2009 n. 15586 (resa in fattispecie rientrante nella disciplina del previgente art. 814) sia sempre valido per quanto concerne la impugnabilità ex art. 111 cost. dell’ordinanza camerale resa dalla Corte d’Appelo ex art. 825. A tale riguardo si osserva che la giurisprudenza di legittimità in punto di ricorribilità ex art. 111 cost. del provvedimento reso dal Tribunale a seguito di reclamo avverso il decreto pretorile negativo dell'esecutorietà del lodo arbitrale (art. 825 comma ultimo c.p.c.) ha seguito i vari mutamenti normativi che sono succeduti nel tempo. Un primo orientamento [60], in relazione ad un testo normativo (quello originario del C.P.C. del 1942) che attribuiva al deposito del lodo all'exequatur del Pretore di un rilievo sostanzialmente diverso a maggiore di quello conferitogli dopo la riforma intervenuta con la legge n. 28 del 1983, ravvisando nell’ordinanza contenuto sostanzialmente decisorio, non essendo altrimenti impugnabile, riconosceva la impugnabilità per cassazione , ai sensi dell'art. 111 della cost. [61] Un più recente orientamento [62], espresso tuttavia in fattispecie regolata dalla riforma del 1994, opta, invece, per la non impugnabilità ex art. 111 cost. del provvedimento del tribunale in quanto in quanto non idoneo a pregiudicare con efficacia di giudicato i diritti soggettivi scaturibili dal rapporto definito con il lodo. La modifica introdotta con l’art. 23 del D.Ls 40/2006 ha eliminando la espressa previsione di non impugnabilità contenuta nel testo previgente. Il provvedimento emesso dalla Corte è quindi un provvedimento non definitivo, per espressa previsione normativa; ma sembrerebbe essere anche un provvedimento destinato ad incidere sul diritto soggettivo. Invero, il diniego di esecutorietà del lodo produce un definitivo pregiudizio sui diritti scaturenti dal rapporto definito con il lodo stesso, considerato che, ai sensi dell’art. 824 bis, il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria. Ne deriverebbe, quindi, l’esigenza di consentire il controllo di legittimità ai sensi dell’art. 111 cost. Si può giungere ad identica conclusione riguardo al provvedimento emesso dalla Corte di Appello su reclamo avverso il provvedimento del tribunale ex art. 814 ? I principi affermati da Cass. S.U. cit. sembrerebbero mantenere valore anche a seguito della riforma. Invero, il procedimento ex art. 814, mantiene natura di funzione giurisdizionale non contenziosa, integrativa della autonomia privata e quindi priva di “vocazione al giudicato”- Pertanto dovrebbe essere esclusa, anche sotto la nuova disciplina, l’impugnazione ai sensi dell’art. 111 cost. Ci si e posti il problema, risolto in senso difforme dalle sezioni semplici della S.C.,[63] se il procedimento di liquidazione del compenso ex art. 814 possa essere o meno promosso da ciascun arbitro, senza necessità dell’unanimità. La S.C., investita di nuovo della questione, con ordinanza 5980 del 5 marzo 2008 ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il presidente del tribunale, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali limitati soltanto dall'esigenza d'una logica applicazione dei criteri equitativi che presiedono alla liquidazione salvo l'obbligatorio ricorso a specifiche tariffe 7 professionali ove la natura dell'incarico o la condizione degli arbitri lo richieda, non sarà affatto condizionato, per la liquidazione del compenso, dall'eventuale predisposizione della parcella, già oggetto del tentativo d'accordo, i termini della quale potranno, nella decisione rimessagli, trovare conferma ma anche variazioni in melius od in peius[64]. Il titolo esecutivo ottenuto all’esito del procedimento delineato dagli art. 814 e, in caso di reclamo, dall’art. 825 potrà (anche) essere oggetto di contestazione con tutte le garanzie della giurisdizione, mediante le opposizioni all'esecuzione, mentre, la previsione normativa dell'agile strumento di liquidazione del quantum dovuto agli arbitri di cui si discute non osta a che le parti possano determinarsi a perseguire il medesimo risultato con un ordinario processo di cognizione. Firenze 22 ottobre ’09 [1] così sostituito dall'art. 20 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 273 d.lgs. n. 40, cit., le disposizioni del Capo « si applicano alle convenzioni di arbitrato stipulate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto ». [2] Il cui comma 2 stabilisce che: “La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale”. [3] L’art. 832 prevede espressamente la possibilità per le parti di inserire, nella convenzione d’arbitrato, il rinvio ad un Regolamento Arbitrale. [4] Alla base del fenomeno arbitrale vi sono due contratti: quello che le parti stipulano tra di loro, ossia propriamente il contratto d’arbitrato (Schiedsvertrag), e quello che esse concludono con gli arbitri, ossia con le concrete persone che dovranno fornire loro il lodo (Schiedsrichtervertrag). M. Bove L’Estinzione del patto compromissorio (in Judicium). [5] “Poiché dal disposto degli art. n. 809, comma 2, e n. 810, comma 3, c.p.c. emerge in modo univoco che le parti possono validamente pattuire l'attribuzione della nomina degli arbitri all'autorità giudiziaria, non inficia il principio della nomina diretta degli arbitri da parte dei litiganti la clausola compromissoria contenuta in un contratto plurilaterale con la quale si stabilisca che in caso di controversia tra più di due parti il collegio arbitrale sarà composto di tre membri, nominati dall'autorità giudiziaria (nella specie: uno. dal Presidente del tribunale di Torino, uno dal Presidente del tribunale di Parma ed il terzo dal Presidente del tribunale di Cremona, cioè dai Presidenti dei tribunali nella cui circoscrizione hanno rispettivamente sede le tre parti contraenti), dovendosi altresì escludere che detta clausola dia luogo (e sia per tale profilo nulla), ad un arbitrato obbligatorio o alla costituzione di una giurisdizione speciale, in quanto l'istituto dell'arbitrato obbligatorio si configura solo in presenza di una disposizione di legge che imponga il ricorso all'arbitrato quale strumento necessario ed indefettibile per la risoluzione di particolari controversie, e non anche quando siano le parti stesse a scegliere negozialmente un metodo di risoluzione delle liti diverso dalla giurisdizione ordinaria”. Cassazione civile , sez. I, 16 marzo 2000, n. 3044. [6] “È nulla la clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società cooperativa, che deferisca le controversie tra la società e i soci ad un collegio arbitrale formato dai sindaci della società, per difetto del requisito dell'imparzialità degli arbitri (essenziale tanto nel caso di arbitrato rituale, quanto in quello di arbitrato libero), in quanto i sindaci, oltre alla funzione di controllo - che, peraltro, rappresenta anch'essa un aspetto dell'amministrazione dell'ente societario - hanno un potere di iniziativa analogo a quello degli amministratori, o in sostituzione o in unione con essi, di modo che il collegio sindacale assume una importante partecipazione nella vita societaria e nell'elaborazione del relativo indirizzo, il che rende oggettivamente incompatibile, da parte dei componenti di tale organo, l'esercizio di una funzione "terza", quale quella di giudicare le predette controversie . Cassazione civile , sez. I, 11 ottobre 2006, n. 21816”. [7] “Il semplice conferimento di alcuni incarichi ad un professionista autonomo non è di per sé circostanza idonea ad escludere la imparzialità, considerata la prassi frequentissima delle parti di ricorrere alla nomina come arbitri di persone comunque conosciute e con le quali vi sono stati rapporti pregressi” Tribunale di Monza 1 luglio 2003. [8] COLLEGIO ARBITRALE (Vigotti Pres., Bertossi, Parodi), lodo reso in Genova il 5 dicembre 1997. “L’accettazione di più nomine provenienti dalla stessa parte, in diversi processi arbitrali, non importa che debba presumersi la parzialità dell’arbitro, essendo arbitraria, in tal caso, l’automatica assimilazione dell’arbitro di parte al difensore.” [9] Il vizio che inficia la nomina del terzo arbitro rituale, perché effettuata dagli altri due e non dal presidente del 8 tribunale così come previsto dalla clausola compromissoria, non è deducibile come motivo di impugnazione per nullità del lodo in difetto di preventiva prospettazione in sede arbitrale. Cassazione civile , sez. I, 03 giugno 2004 , n. 10561 [10] A norma dell'art. 829 c.p.c., il difetto di potestas iudicandi del collegio arbitrale può essere rilevato anche d'ufficio, indipendentemente dalla sua precedente deduzione nella fase apud arbitros, soltanto qualora derivi dalla nullità del compromesso o della clausola compromissoria (che, ad esempio, prevedano l'affidamento di un incarico arbitrale a soggetti diversi da quelli previsti dalla normativa in tema di appalti pubblici, dispongano la devoluzione delle controversie fra società e soci ad un collegio di probiviri nominato senza il voto favorevole del socio in conflitto, ecc.), mentre, in tutti gli altri casi - e, cioè, nelle più semplici ipotesi di nomine avvenute con modalità diverse da quelle previste dalle parti o, in mancanza, dal codice di rito civile - l'irregolare composizione del collegio decidente può costituire motivo di impugnazione soltanto quando essa sia stata già denunciata nel corso del giudizio arbitrale. (Nella specie, asserite violazioni dei criteri di nomina degli arbitri di cui alla clausola compromissoria; asserito superamento dei limiti del compromesso, afferente alle sole controversie in tema di interpretazione ed esecuzione del contratto). Cassazione civile , sez. I, 03 giugno 2004 , n. 10561 [11] Anche la giurisprudenza (cfr. tra tutte: Cass. 26 febbraio 1981, n. 1190) si era assestata su tali posizioni ed, in applicazione del disposto codicistico, aveva dichiarato nulle tutte le nomine contenute in convenzioni arbitrali, che fossero carenti di ogni indicazioni circa le modalita` di nomina, ritenendosi , invece, da parte della dottrina (SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 338) meno rigorosa sufficiente anche il semplice richiamo ad uno regolamento intercorso tra le parti. [12] Riguardo alla efficacia e validità alle clausole compromissorie per relationem vedi: Sez. Un. 19 maggio 2009 n. 11529. [13] Cassazione civile , sez. II, 06 dicembre 1997, n. 12429. [14] Si veda anche la disposizione dell’art. 832 per il caso di inapplicabilità del Regolamento Arbitrale. [15] “La nomina degli arbitri — ove il compromesso o la clausola compromissoria non la disciplini specificamente — avviene secondo le formalità previste dall’art. 810 c.p.c., che prevede che la parte, la quale ha nominato per prima l’arbitro, deve rivolgere un invito formale all’altra per la nomina dell’arbitro di sua spettanza concedendogli un termine non inferiore a 20 giorni. Si tratta di attivita` riservata alla parte, alla quale va rivolto e notificato l’invito, essendo inammissibile a tale proposito un’iniziativa dell’arbitro gia` eventualmente nominato” (Cass., 6 maggio 1953, n. 1242). [16] Anche in materia di opere pubbliche: “La violazione dell’art. 45 del D.P.R. n. 1063/1962, che disciplina le qualita` rivestite dai soggetti chiamati a comporre il collegio arbitrale nell’arbitrato dello oo.pp., non integra il difetto di sostituzione del giudice insanabile e rilevabile d’uffıcio ex art. 158 c.p.c., stante la natura privata dell’arbitrato rituale e quindi anche dell’arbitrato delle oo.pp., bensı` vizio di nomina degli arbitri, rilevabile solo dalla parte nel corso del processo arbitrale e solo in tal caso deducibile con il motivo di nullita` dall’art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.” Cass. Sez. I civile; sentenza 3 ottobre 2002, n. 14182. [17] Il mancato adeguamento dello statuto sociale al contenuto di cui all’art. 34 d.lg. n. 5 del 2003 introduttivo del c.d. rito societario, concernente la nomina degli arbitri comporta la nullità della clausola statutaria difforme. [18] “La forma scritta ad substantiam richiesta per la nomina degli arbitri (in virtù sia della natura negoziale dell'atto, ricollegantesi al compromesso per il quale detta forma è prescritta, sia della necessità che l'atto stesso sia notificato) è richiesta anche per la ratifica della nomina stessa (nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha escluso che la nomina del difensore , deliberata da un comune, potesse essere ritenuta come atto di ratifica della nomina di un arbitro illegittimamente designato)” Cassazione civile , sez. I, 26 settembre 1997 , n. 9453. [19] Cassazione civile , sez. I, 23 novembre 2000 , n. 15134. [20] V. Cass. S.U. 11529/2009 [21] Cassazione civile , sez. I, 04 giugno 1992 , n. 6866. [22] Cassazione civile , sez. I, 04 giugno 1992 , n. 6866. [23] CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, Sez. I civile; sentenza 9 settembre 1999; Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Consorzio Napoli 10 . In precedenza sempre la stessa Corte partenopea con la sentenza n. 68-98 depositata il 13-01-98 confermata da Cassazione civile , sez. I, 25 luglio 2002 , n. 10922 che ha ritenuto l’art.. 111 c.p.c., applicabile in via analogica anche al giudizio arbitrale . [24] “L'art. 810 c.p.c., che disciplina la nomina degli arbitri, non prevede che l'atto con il quale una parte rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri, contenga anche la precisa formulazione dei quesiti. Pertanto, qualora il c.d. atto di accesso contenga soltanto una sommaria, ma inequivoca indicazione di quale sia la materia del contendere, ben può il collegio arbitrale fissare un temine per la precisazione dei quesiti”. Cassazione civile , sez. I, 31 gennaio 2007 , n. 2201. [25] Cassazione civile , sez. I, 02 dicembre 2005 , n. 26257 - Contra: “Il termine di venti giorni, entro il quale, ai sensi 9 dell'art. 810 comma 1 c.p.c., la parte cui è rivolto, mediante atto notificato, l'invito a procedere alla designazione del proprio arbitro, deve notificare le generalità di quello da essa nominato, ha carattere perentorio” Collegio arbitrale, 15 giugno 2001 Scandolera e altro c. Soc. Casamercato Foro it. 2001, I, 3014. [26] Cassazione civile , sez. I, 02 dicembre 2005 , n. 26257. [27] BRIGUGLIO, in BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 35; VERDE, Diritto dell’arbitrato rituale, II ed., Torino, 1997, 81; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, I, 359. [28] “Ne consegue che è illegittimo e deve essere annullato l'art. 150 comma 3 d.P.R. n. 554 del 1999, nella parte in cui sottrae alla libera determinazione delle parti la scelta dell’arbitro con funzioni di presidente, attribuendola invece alla Camera arbitrale per i lavori pubblici” Consiglio Stato , sez. IV, 17 ottobre 2003, n. 6335 [29] Cassazione civile , sez. III, 19 gennaio 2006 , n. 1017. [30]Il principio è stato applicato al ricorso per cassazione proposto avverso il decreto di revoca della nomina e la successiva revoca della revoca in un caso in cui due tribunali avevano proceduto alla nomina di un arbitro. Cassazione civile , sez. I, 18 maggio 2007, n. 11665. [31] Le ragioni della decisione delle S.U.sono pienamente persuasive anche con riferimento all’ipotesi di sostituzione di cui all’art. 811 c.p.c. [32] così sostituito dall'art. 21 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. [33] Cassazione civile , sez. I, 28 maggio 2003 , n. 8532. [34] GIOVANNI VERDE “La posizione dell’arbitro dopo l’ultima riforma”. [35] Il testo prima della riforma era il seguente: “La parte può ricusare l’arbitro che essa non ha nominato, per i motivi indicati nell’art. 51. La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l'arbitro ricusato e assunte, quando occorre, sommarie informazioni”. [36] Art. 51 c.p.c. : “Il giudice ha l'obbligo di astenersi : 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [74 ss. c.c.] o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa” . [II]. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore. [37] Gli artt. 12 e 13 della legge modello UNCITRAL prevedono che l’arbitro debba dichiarare alle parti le circostanze che possano giustificare la sua ricusazione e che la sostituzione e` consentita soltanto se tali circostanze diano luogo a giustificabili dubbi sulla sua imparzialità o sulla sua indipendenza (per altre informazioni sugli ordinamenti stranieri [38] Cosi : VERDE cit. [39] come, ad esempio, si verifica con la abituale condivisione della difesa tecnica nei medesimi processi, ovvero anche solo dal punto di vista economico, in misura tale da potersi assimilare alla confidenza ed alla reciproca fiducia che connotano i rapporti tra conviventi o tra commensali abituali. Cassazione civile, sez. I, 28 agosto 2004 , n. 17192. [40] VERDE cit. [41] Tribunale Milano, 24 novembre 2008 , n. 2968 - c. - Riv. arbitrato 2008, 2 261 (NOTA) nota PANZAROLA. [42] Cassazione civile , sez. I, 29 ottobre 2002 , n. 15227. [43] Cass., 22 giugno 1995, n. 7044. [44]La parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione dell'arbitro, può chiedere il riesame di tale pronuncia attraverso l'impugnazione per nullità del lodo alla cui deliberazione abbia concorso l'arbitro invano ricusato. Cassazione civile , sez. I, 28 agosto 2004 , n. 17192. 10 [45] Nell’arbitrato internazionale precedentemente al d.lgs. n. 40 del 2006 l'ordinanza resa dal presidente del tribunale sull'istanza di ricusazione di un arbitro internazionale era suscettibile di ricorso ex art. 111 avendo contenuto decisorio e definitivo, non essendo suscettibile di riesame nel giudizio d'impugnazione del lodo attraverso il controllo sulla pronuncia resa dall'arbitrato, stante l'inapplicabilità all'arbitrato internazionale dell'art. 829, comma 2 c.p.c. Cassazione civile , sez. I, 08 febbraio 2007 , n. 2774. [46] sentenza del 20 novembre2003, n. 17636 [47] Cass. 17192/2004. [48] Cassazione civile, sez. II, 25 giugno 2005, n. 13701. [49] LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, 56. [50] La parte che abbia senza successo proposto l’istanza potrà comunque sempre ripresentarla, oppure potrà far valere come motivo di nullità per vizi di costituzione dell’organo giudicante per mancato rispetto delle previste forme di nomina ex art. 829 n. 2 e, secondo alcuni autori (V. LANFRANCHI, Nomina degli arbitri e diritto all’arbitrato), infine potrebbe proporre una azione ordinaria al fine di ottenere in sede contenziosa la nomina dell’arbitro che gli sia stata negata. [51] ORICCHIO, L’arbitrato, Napoli, 1994, 51. [52] LA CHINA, op. cit., 56. [53] Per VERDE cit. il contratto d’arbitrato è un contratto tipico che trova la sua disciplina primaria nel codice di procedura civile. In questa prospettiva le cause di responsabilita` degli arbitri finiscono con l’essere anch’esse tipiche: l’avere agito con dolo; l’aver pronunciato il lodo fuori termine; l’aver rinunziato all’incarico senza giustificato motivo (ex art. 813 c.c.). Discutibile e` il caso in cui l’arbitro sia dichiarato decaduto, che l’art. 813, comma III, annovera tra i casi di perdita del compenso . Sono ipotesi assimilabili ai casi di dolo e colpa grave che possono essere a base della responsabilita` del magistrato, cosı` che per via indiretta si finisce con l’omologare il regime di responsabilità degli arbitri a quello dei giudici (scritto anteriore all’introduzione dell’art. 813 ter). [54] Art. 2 “Responsabilità per dolo o colpa grave. 1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. 3. Costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”. [55] Tribunale Sondrio, 06 ottobre 2006 Riv. arbitrato 2007, 4613 nota SANTAGADA [56] artt. 1709 e 1720 c.c. per il mandato, 2233 per la locatio operis [57] Secondo la tesi contrattualistica, ravvisando nella manifestazione di volontà costituita dal provvedimento presidenziale un atto integrativo, ex art. 1349 c.c., della volontà negoziale delle parti del "contratto d'arbitrato", va esclusa la ricorribilità ex art. 111 Cost;l’altra tesi detta processualistica, ravvisando nell’ordinanza un accertamento del diritto soggettivo di credito degli arbitri (o anche di un solo arbitro) afferma la ricorribilità ex art. 111 Cost., come per qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale decisorio e definitivo che sia espressamente dichiarato dalla legge non altrimenti impugnabile. [58] Per l’impugnabilità ex art.111: Cassazione civile , sez. I, 23 aprile 2004 , n. 7764 Per la non impugnabilità: Cassazione civile , sez. I, 20 febbraio 2004 , n. 3383 [59] In fattispecie regooata dalla riforma del 1994. Cassazione civile , sez. un., 03 luglio 2009 , n. 15586: "Il contratto d'arbitrato che, salva rinunzia espressa da parte degli aventi diritto, non contenga la quantificazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l'incarico, è automaticamente integrato, ex art. 814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribunale; questi, officiato in alternativa all'arbitratore, svolge funzione giurisdizionale non contenziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica, privo, in quanto tale, di vocazione al giudicato e, quindi, insuscettibile d'impugnazione con ricorso straordinario per cassazione; siffatta natura del procedimento esclude l'ipotizzabilità d'una soccombenza ed osta, quindi, all'applicazione del relativo principio ed all'adozione delle consequenziali determinazioni in tema di spese". [60] Cassazione civile , sez. I, 09 novembre 1988 , n. 6021. [61] Nello stesso senso, ossia per l’affermazione del carattere decisorio del provvedimento destinato ad incidere sul diritto soggettivo: Cassazione civile, sez. I, 11 marzo 1995, n. 2826. 11 [62] Cassazione civile, sez. I, 15 luglio 1996, n. 6407. [63] nel senso che il procedimento speciale di cui alla citata norma può essere introdotto anche da alcuni soltanto dei componenti del collegio arbitrale v. tra le tante, sentenze 8/9/2004 n. 18061;29/3/1999 n. 2972; 25/11/1993 n. 11664 . Contra: Cass. sentenza 14/4/2006 n. 8872 [64] Sez. Unite cit. Succ. > [Indietro] 12