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EDITORIALE Il licenziamento nullo: nuove ipotesi e nuove tutele.

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EDITORIALE Il licenziamento nullo: nuove ipotesi e nuove tutele.
EDITORIALE
Il licenziamento nullo: nuove ipotesi e nuove tutele.
Il licenziamento nullo, oggi disciplinato all’Art. 18, commi 1 e 2, St.lav.,
potrebbe sembrare uno dei pochi istituti rimasti invariati dopo l’entrata in
vigore della Riforma Fornero (L. 92/2012).
In realtà, la nuova disciplina ha introdotto alcune modifiche rilevanti, le
quali hanno cambiato la fisionomia dell’istituto.
La prima riguarda l’ambito di applicazione dell’art. 18, commi 1 e 2, St.lav., che ora riguarda anche i
lavoratori delle imprese con meno di quindici dipendenti, quando sia accertata la nullità del
licenziamento.
In secondo luogo, la nuova disciplina del licenziamento nullo si applica anche ai dirigenti.
Conseguenza: il Giudice potrà ordinare, ex art. 18 St. lav., la reintegra dei dirigenti, invece
tradizionalmente esclusi dalle tutele previste per il licenziamento individuale (Art. 10, L. 604/1966).
Quanto alle specifiche ipotesi di nullità, da un lato, la legge ha aggiunto l’ipotesi di nullità del
licenziamento intimato per motivo illecito determinante (ai sensi dell’art. 1345 c.c.) e, dall’altro, ha
chiarito come le ipotesi di nullità non si esauriscano in quelle indicate dal comma 1, Art. 18 St.lav.
(dove vengono richiamati “altri casi di nullità previsti dalla legge”).
Rimane invece invariata la sanzione che il Giudice applicherà una volta verificata la nullità del
licenziamento: reintegra e risarcimento del danno pari all’ultima retribuzione globale di fatto, dalla
data del licenziamento sino alla data di effettiva reintegra, da cui potrà essere dedotto solo quanto
effettivamente percepito medio tempore dal lavoratore, non anche quanto il dipendente avrebbe
potuto percepire attivandosi con ordinaria diligenza.
In questi casi, il datore di lavoro dovrà anche pagare i contributi al lavoratore, maggiorati degli
interessi e delle sanzioni civili.
Resta ferma la possibilità del lavoratore licenziato di chiedere un’indennità sostitutiva della
reintegra, non assoggettata a contribuzione (Art. 18, comma 3 St.lav.).
Altra novità importante è il riconoscimento della cessazione immediata del rapporto di lavoro dal
momento della richiesta dell’indennità sostitutiva. In questo modo, superando il precedente
orientamento giurisprudenziale, il rapporto non potrà più considerarsi in essere sino al momento del
pagamento dell’indennità, con esclusivo lucro del lavoratore che aveva già manifestato l’intenzione
di non riprendere il servizio.
In merito alla ripartizione dell’onere probatorio, valgono ancora i principi sino ad oggi applicati.
Pertanto, l’onere di provare la discriminazione invocata rimane a carico del lavoratore, in favore del
quale sono previste talune agevolazioni probatorie che ribaltano la prova (in questo caso, negativa)
sul datore di lavoro.
Nelle altre ipotesi menzionate dal comma 1, Art. 18 St.lav, è comunque onere del lavoratore
licenziato fornire prova o della violazione del divieto o del motivo illecito invocato nell’atto
introduttivo (e immodificabile) del giudizio.
Proprio in merito a quest’ultimo aspetto, nonostante le difficoltà legate alla dimostrazione del motivo
illecito, è facile prevedere che quest’ultima ipotesi di nullità del licenziamento sarà in futuro invocata
molto più di frequente di quanto oggi avviene, potendo infatti travolgere interamente gli effetti del
licenziamento e garantire la reintegrazione del lavoratore, quale che sia il numero dei dipendenti
occupati o la qualifica di chi invoca la tutela reale.
Si segnalano inoltre:
- Vetture aziendali e calcolo del trattamento di fine rapporto: Cassazione civile, Sezione Lavoro, 1
ottobre 2012, n.16636: “Il concetto di retribuzione recepito dagli art. 2118, comma 2 c.c. e 2120 c.c.
è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli
emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono
istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati all’effettiva prestazione lavorativa.
Pertanto, deve essere ricompreso nel calcolo del trattamento di fine rapporto il controvalore dell’uso
dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro, utilizzata anche per motivi personali, le relative
spese di assicurazione e accessorie, nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a
favore del lavoratore”.
- Sul licenziamento del dipendente in malattia: Cassazione civile, Sezione Lavoro, 26 settembre
2012, n. 16735: “Pur non sussistendo nel nostro ordinamento un divieto per il dipendente di
prestare attività lavorativa, anche presso terzi, durante l’assenza per malattia, tale comportamento
può costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una
violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà. Ciò avviene quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del
dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità
addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o
quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura e alle caratteristiche della infermità
denunciata, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in
servizio del lavoratore, con violazione di un’obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla
corretta esecuzione del contratto”.
- Sul rifiuto ad eseguire le mansioni ritenute demansionanti: Cassazione civile, Sezione Lavoro, 17
luglio 2012, n. 12250: “L’adibizione a mansioni ritenute dequalificanti consente al lavoratore di
richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di
appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un avallo
giudiziario che il lavoratore potrebbe anche richiedere e conseguire in via d’urgenza, di eseguire la
prestazione richiestagli. Conseguentemente costituisce grave insubordinazione, come tale passibile
del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore
che si rifiuti di eseguire la prestazione”.
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