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Modelli Cosmologici e Gravità Modificata
Università di Roma “La Sapienza” Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di laurea specialistica in Fisica Tesi di Laurea Specialistica in Fisica Modelli Cosmologici e Gravità Modificata Relatore: Prof. Alessandro Melchiorri Anno Accademico 2007-2008 Candidato: Matteo Martinelli si vedrà Indice Introduzione 1 1 Cosmologia Standard 5 1.1 9 1.2 1.3 1.4 2 Metrica ed Equazione di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Universo Piatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.1.2 Universo curvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Seconda equazione di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.2.1 Redshift e Distanza di Luminosità . . . . . . . . . . . . . 18 1.2.2 Test di Sandage-Loeb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Prove del Modello Cosmologico Standard . . . . . . . . . . . . . 23 1.3.1 Nucleosintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 1.3.2 Radiazione di fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Materia Oscura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 La costante cosmologica: problemi e modelli alternativi 37 2.1 Età dell’Universo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2.2 Deviazioni dalla legge di Hubble . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 2.3 Problemi della Costante Cosmologica . . . . . . . . . . . . . . . 41 2.4 Modelli Alternativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2.4.1 Modelli di Quintessenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2.4.2 Modelli Phantom . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 2.4.3 Gas di Chaplygin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 III 3 Teorie f(R): il modello di Hu e Sawicki 55 3.1 Validità Cosmologica dei modelli f(R) . . . . . . . . . . . . . . . 60 3.2 Il modello di Hu e Sawicki . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 3.3 Evoluzione del modello Hu e Sawicki . . . . . . . . . . . . . . . 65 3.3.1 Integrazione Numerica e Phantom Crossing . . . . . . . . 68 Test Locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 3.4 4 Confronto con i dati osservativi 79 4.1 Supernovae come Candele Standard . . . . . . . . . . . . . . . . 79 4.2 Osservabili cosmologiche, la costante cosmologica e i modelli 4.3 5 alternativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 Osservabili cosmologiche e il modello di Hu e Sawicki . . . . . . 92 Conclusioni 105 Ringraziamenti 107 Bibliografia 108 Introduzione La cosmologia è una disciplina che ha come obiettivo la comprensione dell’evoluzione dell’universo e la spiegazione delle sue caratteristiche osservabili. Per raggiungere questo scopo si ricorre, a seconda degli aspetti in esame, a molte teorie fisiche, dalla spettroscopia alla fisica delle particelle, ma soprattutto alla relatività generale di Einstein. É infatti nel 1917 che possiamo porre la nascita della cosmologia moderna, ossia nell’anno in cui Einstein applicò per la prima volta la sua teoria della gravità allo studio dell’Universo; la concezione dell’epoca richiedeva che l’Universo fosse finito e statico e per questo Einstein fu costretto a introdurre nelle sue equazioni un termine detto costante cosmologica (Λ) che rendesse soddisfatte queste assunzioni. Un Universo statico e finito ha infatti la tendenza a collassare sotto l’effetto della gravità e il termine di costante cosmologica evita questo problema introducendo una forza repulsiva che contrasta appunto con quella gravitazionale. Il modello di Universo utilizzato da Einstein appare oggi superato; sappiamo infatti che l’Universo è in espansione. Il superamento del primo modello di Universo è stato possibile grazie al miglioramento delle tecniche osservative che ha permesso lo studio di sorgenti a distanza sempre più grande portando, nel 1929, alla scoperta del moto di recessione delle galassie, scoperta che ha spinto ad abbandonare il modello statico. Il modello cosmologico attualmente in uso si basa sull’ipotesi che l’Universo sia, in prima approssimazione, omogeneo ed isotropo, ipotesi che trova riscontro dalle osservazioni della radiazione di fondo cosmico, una delle principali prove della validità del modello. Per determinare quantitativamente l’evoluzione dell’Universo è necessario identi1 ficare le componenti energetiche che lo compongono; queste sono generalmente divise in due tipi: materia non relativistica e radiazione. Studiando il comportamento di un Universo composto in questa maniera si nota come la relatività generale produca l’espansione dell’Universo osservata da Hubble nel 1929. Recenti misure hanno però mostrato come l’espansione dell’Universo sia da poco entrata in una fase accelerata che materia e radiazione non possono spiegare. Queste osservazioni hanno riportato in auge la costante cosmologica, termine introdotto da Einstein per rendere statico l’Universo, ma che, inserito in un modello di Universo in espansione, è in grado di generarne l’accelerazione. Tale termine è però affetto da seri problemi interpretativi che hanno spinto alla ricerca di modelli alternativi, la maggior parte dei quali fondati sull’introduzione di una componente energetica, da affiancare a radiazione e materia, che potesse rendere conto dell’espansione. L’introduzione di componenti energetiche ulteriori non è però l’unica via che può essere intrapresa; si potrebbe infatti supporre che le componenti dell’Universo siano solo radiazione e materia, ma che la relatività generale debba essere modificata. Questa ipotesi ha portato alle teorie f (R), basate sulla generalizzazione della teoria di Einstein in modo che essa possa rendere conto dell’espansione accelerata di un Universo composto esclusivamente di radiazione e materia. In questo lavoro analizzeremo una particolare famiglia di queste teorie, evidenziandone le caratteristiche peculiari e studiando il tipo di espansione che esse producono. Procederemo inoltre, attraverso l’utilizzo di un set di dati osservativi, a vincolarne alcuni parametri che, oltre a determinare le caratteristiche evolutive dell’Universo, ne determinano la differenza dal modello costruito tramite la costante cosmologica. 2 Questa tesi è organizzata nel modo seguente: Nel capitolo 1 mostreremo come, a partire dalla teoria della relatività, si possa giungere al modello cosmologico standard, ossia quel modello basato sull’ipotesi di Universo omogeneo e isotropo in espansione. Evidenzieremo alcuni punti fondamentali del modello e come questi trovano riscontro nelle osservazioni, prendendo ad esempio i fenomeni della nucleosintesi primordiale e della radiazione di fondo. Accenneremo anche alle evidenze osservative che portano a ipotizzare la presenza di un nuovo tipo di materia accanto alla materia ordinaria, detta materia oscura. Nel capitolo 2 introdurremo le osservazioni che portano alla necessità di supporre l’esistenza di una componente che produca un’espansione accelerata dell’Universo, che inizialmente identificheremo con la costante cosmologica. In seguito presenteremo i principali problemi concettuali di cui soffre questo modello e accenneremo ad alcuni modelli alternativi basati sull’introduzione di campi scalari che possano giustificare l’espansione accelerata, senza soffrire degli stessi problemi a cui è soggetta la costante cosmologica. Nel capitolo 3 inizieremo accennando ai fenomeni, non solo cosmologici, che hanno portato all’introduzione dei modelli f (R) e spiegheremo quali sono le modifiche fondamentali che essi apportano alla trattazione della gravità. Successivamente introdurremo delle condizioni a cui le modifiche della lagrangiana di Einstein devono sottostare per essere ritenute cosmologicamente accettabili, ossia in buon accordo con l’evoluzione pre accelerata dell’Universo. Mostreremo come una particolare famiglia di modelli, introdotta da Wayne Hu e Ignacy Sawicki, rispetti queste condizioni e procederemo analizzando le caratteristiche di questa famiglia a partire dal tipo di fase accelerata che essa produce. Nel capitolo 4 introdurremo le candele standard portando come esempio le supernovae e mostrando come esse possano essere utilizzate per determinare l’andamento della distanza di luminosità. Utilizzando poi una recente survey di supernovae ricaveremo indipendentemente alcuni dei risultati, esposti in precedenza, relativi alla costante cosmologica e alle possibili alternative. Infine utilizzeremo la survey per porre dei limiti a uno dei parametri che determinano la famiglia dei 3 modelli di Hu e Sawicki, vincolandone il valore al variare della quantità di materia non relativistica presente nell’Universo. Noteremo che tale analisi comporterà delle difficoltà dovute al modo in cui il modello è costruito e che il parametro non potrà essere vincolato con efficacia. Nonostante questo l’analisi effettuata fornirà degli elementi da cui si possono trarre indicazioni sull’andamento dei parametri e sulla possibilità di effettuare altri tipi di analisi. Inoltre possiamo supporre che future survey di supernovae possano porre dei vincoli più stringenti ai parametri del modello, a patto che contengano osservazioni a redshift più elevati di quelle utilizzate in modo da osservare i redshift in cui il parametro w effettua il phantom crossing per poi risalire verso il valore di costante cosmologica. 4 Capitolo 1 Cosmologia Standard Delle quattro forze esistenti in natura, su scale cosmiche quella dominante è ovviamente la gravità. Le componenti dell’Universo interagiscono tra loro tramite questa forza, l’unica in grado di influenzare corpi così distanti tra loro dato che l’Universo a grandi scale è complessivamente neutro e che quindi l’altra forza che potrebbe agire su queste scale, quella elettromagnetica, non è influente. L’evoluzione dell’Universo sarà quindi descritta dalla teoria della relatività generale di Einstein. Nel suo evolvere l’Universo seguirà una legge ricavabile dalle Equazioni di Einstein [1] dove Gµν 1 8πG Gµν = Rµν − Rgµν = 4 Tµν (1.1) 2 c è il tensore di Einstein, Rµν il tensore di Ricci, R lo scalare di curvatura e Tµν il tensore impulso energia dell’Universo. Più avanti in questo lavoro modificheremo la lagrangiana di Einstein per la gravità √ L = −gR ottenendo delle equazioni modificate. É pertanto utile introdurre l’analisi che conduce alle equazioni di Einstein, le quali si possono ottenere da un principio di minima azione. Partiamo quindi dalla lagrangiana di Einstein affiancata ad una lagrangiana di materia Lm e scriviamo l’azione in unità c = 1: Z √ 1 S= d4 x −g(R + 16πGLm ) 16πG Imponiamo ora il principio di minima azione δS = 0 Z √ 1 δS = d4 x δ[ −g(R + 16πGLm )] = 0 16πG 5 (1.2) (1.3) dove la variazione è eseguita rispetto alla metrica gµν a estremi fissi. In realtà esistono due modi di procedere, dipendenti dall’interpretazione che si dà alla forma del tensore di Ricci Rµν ; questo è infatti legato al tensore metrico λ , un oggetto geometrico necessario a definire la derivata gµν e alle connessioni Cµν in uno spazio curvo (derivata covariante). I due metodi, pur portando alle stesse equazioni, si distinguono per come vengono trattate le connessioni: • Metodo di Einstein-Hilbert Le connessioni vengono identificate con i simboli di Christoffel (Γλµν ) i quali sono completamente definiti dalla metrica 1 Γλµν = g λα (gαµ,ν + gαν,µ − gµν,α ) 2 (1.4) dove il , indica la derivata ordinaria. Secondo questo metodo, il tensore di Ricci viene trattato come una funzione della metrica e delle sue derivate prime e seconde. • Metodo di Palatini In questo caso le connessioni vengono trattate come variabili proprio come la metrica gµν . A differenza del metodo di Einstein-Hilbert, dove il tensore di Ricci è funzione esclusivamente della metrica e delle sue derivate, il metodo di Palatini tratta Rµν come una funzione della metrica gµν , della λ connessione Cµν e della derivata prima di questa. Procediamo utilizzando il metodo di Einstein-Hilbert; esplicitando la forma dello scalare di curvatura in termini del tensore di Ricci nella (1.3) otteniamo Z √ 1 δS = d4 x δ[ −g(g µν Rµν + 16πGLm )] = 16πG Z √ √ 1 d4 x δ −gg µν Rµν + −g(δg µν Rµν + g µν δRµν ) + 16πG Z √ + d4 xδ( −gLm ) = 0 (1.5) Si può mostrare [2] che √ 1√ δ −g = − −ggµν δg µν 2 6 (1.6) δRµν = δΓλµν;λ − δΓλµλ;ν (1.7) Utilizzando le due relazioni precedenti, la variazione dell’azione prende la forma Z √ √ 1 1 λ λ µν µν 4 δΓµν;λ − δΓµλ;ν + δS = −g Rµν − gµν R δg + −gg dx 16πG 2 Z √ δLm 1 µν 4 +16πG d x (1.8) − g Lm δg µν −g = 0 µν δg 2 Si può dimostrare [2] che il termine contenente i simboli di Christoffel si comporta come la divergenza di un vettore; di conseguenza quel termine verrà integrato sul bordo del dominio per cui, essendo le variazioni nulle al bordo, esso sarà nullo. Se invece del metodo di Einstein-Hilbert avessimo utilizzato il metodo di Palatini, il termine non sarebbe stato identicamente nullo, ma lo avremmo dovuto porre a zero per continuare ad avere delle equazioni di Einstein al secondo ordine √ λ λ e, imponendo l’annullarsi dell’integrale di −gg µν δCµν;λ − δCµλ;ν , avremmo ottenuto che le connessioni rispettano la (1.4). Si può inoltre mostrare che δLm 1 µν 1 − g Lm = − Tµν µν δg 2 2 Otteniamo a questo punto Z √ 1 1 4 µν δS = d x −gδg Rµν − gµν R − 8πGTµν 16πG 2 (1.9) (1.10) Perché l’uguaglianza sia valida qualsiasi sia δg µν dovrà annullarsi l’integrando. Otteniamo quindi le equazioni di Einstein 1 Gµν = Rµν − gµν R = 8πGTµν 2 (1.11) Abbiamo ricavato le equazioni che governano l’evoluzione dell’Universo e possiamo quindi iniziare a descriverla quantitativamente partendo dal modello originariamente proposto da Einstein, il quale si basava su due assunzioni: • l’Universo è finito 7 • l’Universo è statico La prima assunzione fu introdotta per fare in modo che il campo metrico fosse determinato unicamente dal tensore impulso energia. La seconda invece non ha motivazioni di carattere matematico, ma era un’assunzione più che ragionevole al tempo di Einstein; bisogna infatti ricordare che nel 1917, anno in cui Einstein propose per la prima volta una soluzione ‘cosmologica’ delle sue equazioni, le osservazioni mostravano solo stelle le cui velocità relative erano molto piccole suggerendo quindi una situazione come quella proposta da Einstein. Solamente più tardi, nel 1922, si scoprì che quelle che apparivano come nebulose erano in realtà sistemi stellari indipendenti, le galassie, che si trovano al di fuori della Via Lattea. Le due assunzioni non si accordavano però con le soluzioni delle equazioni, in quanto la gravità farebbe collassare un Universo finito; per questo Einstein introdusse un termine Λ costante, compatibile con i principi della relatività generale e coerente con l’identità di Bianchi ∇ν T µν = 0. Le equazioni di campo modificate prendono dunque [3] la forma Gµν = 8πGTµν + Λgµν (1.12) Queste equazioni implicano, nell’Universo statico di Einstein 8πGρ = 1 =Λ r2 (1.13) dove ρ è la densità di massa dell’Universo, costituito da materia, e r è il raggio di curvatura. Il termine cosmologico Λ ha la funzione di generare una forza repulsiva che contrasti la tendenza a collassare, dovuta alla gravità, di un Universo statico. Questa soluzione è però instabile in quanto variando Λ, intorno al valore critico che rende statico l’Universo, l’Universo tenderà a collassare o ad espandersi, facendo così cadere l’assunzione di staticità. Nel 1922 venne proposto da Friedmann un modello in cui si eliminava l’assunzione di staticità dell’Universo. L’idea di Friedmann fu quella di considerare un Universo omogeneo, isotropo e in espansione. 8 Il modello di Friedmann fu inizialmente respinto proprio in quanto l’Universo appariva statico alle osservazioni. Solo nel 1929 quando Hubble scoprì il moto di recessione delle galassie, si ebbe la prova che l’Universo è in espansione e il termine di costante cosmologica venne abbandonato in quanto superfluo. 1.1 Metrica ed Equazione di Friedmann Descriviamo ora la metrica introdotta da Friedmann nel 1922 [4], basata sulle assunzioni di Universo omogeneo e isotropo in espansione. Nonostante l’assunzione di Universo in espansione sia verificata, come detto in precedenza, dalla scoperta di Hubble, l’ipotesi di omogeneità e isotropia potrebbe sembrare non supportata dalle evidenze osservative; osservando le stelle e le galassie che ci circondano notiamo infatti che l’Universo sembra essere formato da zone dove la materia si aggrega e da altre vuote. Se però osserviamo la struttura a grande scala dell’Universo ci accorgiamo che le sovradensità e le sottodensità sono sempre più piccole all’aumentare della scala d’osservazione, fino ad arrivare alla radiazione di fondo cosmico dove le anisotropie sono di una parte su diecimila. Questo accordo con le osservazioni rende quindi plausibili le assunzioni fatte da Friedmann e ci consente di proseguire lo studio dell’Universo utilizzandone la metrica. Descriviamo l’Universo esprimendo la distanza ds tra due punti dello spaziotempo nel formalismo general relativistico, ossia, fissando un sistema di coordinate {xµ } con µ = 0, 1, 2, 3: ds2 = gµν dxµ dxν (1.14) Nel caso di un Universo omogeneo e isotropo, la metrica più generale è, esprimendola in coordinate polari e in unità dove c = 1 ds2 = dt2 − R2 (t)dσ 2 9 (1.15) dove t è la coordinata temporale, e R(t) è una funzione che descrive la variazione delle distanze spaziali dovuta all’espansione e che potrà successivamente essere determinata dalle equazioni di Einstein. dσ 2 è l’elemento di distanza nella parte spaziale dello spazio-tempo e può essere espressa come dσ 2 = γij (u)dui duj (1.16) dove (u1 , u2 , u3 ) sono coordinate spaziali e γij è la metrica tridimensionale. Le coordinate che stiamo utilizzando in cui la metrica è priva di termini misti g0i sono dette coordinate comobili e seguono l’espansione isotropa dell’Universo. Ponendoci in uno spazio a simmetria sferica otteniamo [5] dσ 2 = dr̄2 + r̄2 dΩ2 1 − kr̄2 (1.17) dove r̄ è la coordinata radiale e dΩ2 = dθ2 + sin2 θdφ2 , mentre k è legato alla curvatura dalla relazione (3) R (1.18) 6 in cui (3) R è lo scalare di curvatura nello spazio tridimensionale, ossia calcolato a k= partire dalla trimetrica γij . Usualmente k viene normalizzato in modo che assuma i valori −1 per un Universo aperto, dove la curvatura dello spazio tridimensionale è negativa, 0 per un Universo piatto e +1 nel caso di curvatura positiva, ossia per un Universo chiuso. Definiamo ora dr̄ dχ = √ 1 − kr̄ (1.19) r̄ = Sk (χ) (1.20) sin(χ), k = +1 χ, k = 0 Sk (χ) ≡ sinh(χ), k = −1 (1.21) da cui otteniamo dove Queste definizioni permettono di visualizzare il comportamento chiuso, aperto o piatto dell’Universo dalla relazione dσ 2 = dχ2 + Sk2 (χ)dΩ2 10 (1.22) Ritornando alla (1.17), possiamo scrivere l’elemento di linea come dr̄2 ds = dt − R (t) + r̄2 dΩ2 2 1 − kr̄ 2 2 2 (1.23) In questa forma, le dimensioni della parte spaziale sono contenute in R(t). Definiamo ora il fattore di scala adimensionale a(t) = R(t) R0 (1.24) Data questa definizione possiamo passare alla coordinata r = R0 r̄, che ha le dimensioni di una lunghezza, e al parametro di curvatura k̄ = k , R02 che ha le di- mensioni dell’inverso di una lunghezza al quadrato. In queste nuove coordinate, ponendo k̄ = k, otteniamo la metrica di FriedmannRobertson-Walker dr2 + r2 dΩ2 ds = dt − a (t) 1 − kr2 2 2 2 (1.25) Avendo costruito l’elemento di linea e, di conseguenza, la metrica di uno spaziotempo omogeneo, isotropo e in espansione, possiamo procedere alla soluzione dell’equazione di Einstein che ci consentiranno di ricavare l’andamento del fattore di scala a(t). Le equazioni sono adesso risolvibili in quanto, avendo ricavato la metrica, possiamo calcolare i simboli di Christoffel e, da questi, le componenti del tensore di Ricci e lo scalare di curvatura [5]: R00 = −3 R11 = ä a aä + 2ȧ2 + 2k 1 − kr2 R22 = r2 (aä + 2ȧ2 + 2k) R33 = r2 (aä + 2ȧ2 + 2k)sin2 θ " # 2 ä k ȧ R=6 + + 2 a a a 11 (1.26) (1.27) 1.1.1 Universo Piatto Poniamoci ora nel caso di Universo piatto k = 0. In questo caso l’elemento di linea è: ds2 = dt2 − a (t)2 dx2 + dy 2 + dz 2 (1.28) La metrica di Friedmann per un Universo piatto è quindi simile ad una metrica di Minkowski dove però le coordinate spaziali sono moltiplicate per il fattore di scala a (t) costruito in modo che esso valga 1 al tempo attuale e dove le coordinate x,y e z sono comobili; tutta l’informazione sull’espansione è quindi data dal fattore di scala. Riscrivendo la prima equazione di Einstein G00 = 8πGT00 , nel caso in cui k = 0, si ottiene la prima equazione di Friedmann: 2 ȧ = 8πGT00 3 a (1.29) Per poter utilizzare questa equazione, dobbiamo esplicitare il tensore energiaimpulso per l’Universo omogeneo ed isotropo. Se consideriamo l’Universo come un fluido con densità di energia ρ (t) e pressione p (t), otterremo: ρ 0 Tνµ = 0 0 0 p 0 0 0 0 p 0 0 0 0 p (1.30) Data la forma di questo tensore, possiamo riscrivere la (1.29) come: 2 ȧ 8πG ρ (t) = a 3 (1.31) Per poter risolvere l’equazione dobbiamo legare ρ al fattore di scala; è quindi necessario identificare le componenti dell’Universo, le cui densità scaleranno in modo diverso durante l’espansione. Nell’Universo abbiamo sicuramente materia e radiazione, ossia particelle non relativistiche e relativistiche. Per le prime si ha che ρm = diazione ρR = ρR 0 a4 dove ρm 0 e ρR 0 ρm 0 , a3 mentre per la ra- sono le densità di energia delle componenti per a = 1, ossia al tempo attuale, e sono quantità misurabili. L’andamento di queste 12 densità di energia può essere spiegato considerando la natura delle componenti: per la materia non relativistica, la densità di energia sarà data dalla massa a riposo delle particelle moltiplicata per la loro densità numerica ed essendo questa inversamente proporzionale al volume, avremo che ρm ∝ a−3 . Per quanto riguarda la componente relativistica dobbiamo considerare il fatto che l’energia di particelle relativistiche è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda; di conseguenza l’energia di queste particelle nel passato sarà stata più grande di quella attuale di un fattore 1/a. Considerando questo effetto unito alla normale espansione del volume avremo che ρR ∝ a−4 . Se consideriamo un Universo composto di sola materia, sostituendo ρm nella (1.31), otteniamo: 2 a (t) ∝ t 3 (1.32) Se ne deduce quindi che una volta tolta l’ipotesi di staticità, l’espansione dell’Universo deriva direttamente dalle equazioni di Einstein utilizzando la metrica di Friedmann senza ulteriori assunzioni. Se invece consideriamo solo la radiazione, otteniamo: a (t) ∝ √ t (1.33) e quindi quello che cambia tra i due universi è il rate di espansione. Tramite l’equazione di Friedmann è possibile studiare l’effetto della costante cosmologica sul rate di espansione dell’Universo, considerandola non come nelle intenzioni di Einstein, ossia come un termine introdotto per rendere statico l’Universo, bensì come un’ulteriore componente. Consideriamo le equazioni di Einstein: Gµν = 8πGTµν + Λgµν (1.34) Il termine Λ si comporta come una densità di energia che rimane costante durante l’espansione dell’Universo. Considerando il caso in cui l’unica componente sia la costante cosmologica, si ottiene: 2 √Λ ȧ Λ = ⇒ a (t) = e 3 t a 3 13 (1.35) Alla luce di quanto detto, possiamo considerare un’Universo in cui queste componenti coesistano e scrivere la generica equazione di Friedmann: 2 ȧ 8πG ρm ρR Λ 0 0 = + 4 + a 3 a3 a 8πG (1.36) Da questa equazione si può notare che l’evoluzione dell’Universo sarà divisa in 3 diverse fasi; all’aumentare di a dall’inizio dell’Universo (a = 0) a oggi (a = 1) le varie componenti saranno più o meno determinanti per le modalità di espansione, ad esempio la radiazione, dominante per piccoli fattori di scala verrà soppiantata dalle altre componenti, tanto da essere oggi praticamente trascurabile, come vedremo in seguito. Nell’equazione (1.36), le densità di energia delle varie componenti appaiono sommate tra loro; questa trattazione è valida finché l’interazione tra le varie componenti è piccola e cade qualora si abbia un accoppiamento, come ad esempio tra fotoni e materia. L’equazione (1.36) può essere riscritta introducendo il parametro di Hubble H = ȧ , a che fornisce il rate di espansione, e la densità critica ρc = 3H02 , 8πG dove H0 , valore attuale del parametro di Hubble, è detto costante di Hubble. Ponendo Ωi = 1.1.2 ρi0 , ρc si ottiene: H H0 2 = Ωm ΩR + 4 + ΩΛ a3 a (1.37) Universo curvo Fino ad ora abbiamo considerato un’Universo piatto, ossia il caso in cui k = 0. Al tempo attuale (a = 1 e H = H0 ) si ha quindi: Ωm + ΩR + ΩΛ = 1 (1.38) Se invece consideriamo un modello più generale in cui k 6= 0 abbiamo visto che l’elemento di linea prende la forma: 2 2 2 ds = dt − a (t) dr2 + r2 dΩ2 1 − kr2 14 (1.39) Figura 1.1: Andamento del fattore di scala per un Universo piatto contenente esclusivamente materia (linea nera), radiazione (linea verde) o costante cosmologica (linea rossa). Il tempo è calcolato in miliardi di anni rispetto ad’ora. L’espansione viene modificata dalla presenza della curvatura come se questa fosse un’ulteriore componente dell’Universo. L’equazione di Friedmann in questa nuova metrica diventa infatti: 2 H Ωm ΩR k = 3 + 4 + ΩΛ − 2 2 H0 a a H0 a (1.40) Il caso k = 0 ci riporta all’espansione di un Universo piatto, mentre se la curvatura non è nulla l’espansione sarà modificata: • k<0 Consideriamo un Universo aperto che abbia come sola componente la curvatura; l’equazione di Friedmann porta ad avere a ∝ t. Se quindi affianchiamo la curvatura alle altre componenti, questa introduce un’ulteriore fase di espansione successiva a quella di materia, con rate diverso dalle altre. • k>0 Poniamoci nel caso di Universo chiuso dove sia presente anche materia non 15 relativistica. Dall’equazione di Friedmann calcolata al tempo attuale si ha che 1 = Ωm − k H02 da cui si deduce che Ωm deve essere maggiore di uno. Possiamo riscrivere l’equazione di Friedmann come: 2 Ωm 1 − Ωm H = 3 + H0 a a2 (1.41) L’espansione di un Universo così composto sarà inizialmente dominata dal termine in a3 . Successivamente si avrà un’equivalenza tra i due termini in cui l’espansione si ferma per poi passare ad una contrazione. Gli universi chiusi con sola materia espandono e poi ricollassano fino ad un Big Crunch. Possiamo introdurre una densità di curvatura Ωk = − Hk2 in modo da riscrivere 0 l’equazione di Friedmann come: 2 H Ωk Ωm ΩR = 3 + 4 + ΩΛ + 2 ⇒ 1 − Ωk = Ωm + ΩR + ΩΛ H0 a a a (1.42) Detto questo, è possibile distinguere tra i vari tipi di universi a partire dalla densità totale ρ0T = ρ0R + ρ0m + ρ0Λ . Si ha infatti: • ρ0T > ρ0c ⇒ Ωk < 0 Universo chiuso • ρ0T < ρ0c ⇒ Ωk > 0 Universo aperto • ρ0T = ρ0c ⇒ Ωk = 0 Universo piatto La densità totale è quindi un’osservabile utilizzabile per comprendere il ruolo della curvatura nell’espansione dell’Universo. 1.2 Seconda equazione di Friedmann Quanto detto fino ad ora sull’espansione dell’Universo deriva esclusivamente dalla prima delle equazioni di Einstein; tuttavia ci aspettiamo almeno due soluzioni indipendenti. Se consideriamo la parte spaziale delle equazioni di Einstein Gij = 8πGTji otteniamo, in un Universo piatto: 2 ä ȧ k +2 + 2 2 = 4πG (ρ − p) a a a 16 (1.43) Se in questa equazione inseriamo la (1.42) in termini delle ρ, otteniamo la seconda equazione di Friedmann: ä 4πG =− (ρ + 3p) (1.44) a 3 dove il termine in k si elimina sostituendo la prima equazione di Friedmann. Questa equazione ci dà informazioni sulla derivata seconda del fattore di scala e quindi ci permette di conoscere con che accelerazione l’Universo si espande. Per poterla risolvere è però necessaria un’equazione di stato p = p (ρ) per ogni componente dell’Universo. Derivando la (1.31) e utilizzando la (1.44) si ottiene l’equazione di continuità: dρ 1 da = −3 (ρ + p) dt a dt (1.45) Utilizzando un’equazione di stato di fluido perfetto p = wρ e sostituendo nella precedente equazione si ottiene: • se w non dipende dal fattore di scala ed è costante: dρ 1 da ρ0 = −3ρ (1 + w) ⇒ ρ = 3(1+w) dt a dt a (1.46) • se w = w(a): R 1 3[1+w(a)] 1 da dρ da a = −3ρ (1 + w(a)) ⇒ ρ = ρ0 e a dt a dt (1.47) Da questa equazione è possibile vedere analiticamente in che modo scalano le densità di energia delle varie componenti al variare del fattore di scala; se conhv2 i = 3µc2 ρ si ottiene per la materia non sideriamo l’equazione dei gas p = ρkT µc2 relativistica w ≈ 0, mentre per quella relativistica w ≈ 13 , possiamo quindi scrivere gli andamenti della densità di energia per queste componenti, ossia ρm ∝ a−3 e ρR ∝ a−4 . A partire da queste considerazioni è possibile ottenere un’equazione di stato anche per la componente Λ; infatti per avere una ρ costante, è necessaria w = −1 e quindi si ha pΛ = −ρΛ . 17 Ora che abbiamo le equazioni di stato delle varie componenti, possiamo vedere, dalla seconda equazione di Friedmann, come queste influenzino la derivata seconda del fattore di scala nelle varie fasi: • Universo di sola materia. p = 0 ⇒ ä < 0 espansione decelerata. • Universo di sola radiazione. p = 31 ρ ⇒ ä < 0 espansione decelerata. • Universo di sola Λ. p = −ρ ⇒ ä > 0 espansione accelerata. Per visualizzare contemporaneamente l’effetto delle varie componenti sul fattore di scala, introduciamo il parametro di decelerazione q0 , il quale indica un’espansione decelerata se positivo e accelerata se negativo: ä 1 q0 = − 2 H0 a t=t0 (1.48) Considerando un Universo composto da materia, radiazione e costante cosmologica, si ottiene dalla (1.44): Ωm + ΩR − ΩΛ (1.49) 2 Si nota subito come per avere un’Universo accelerato (q0 < 0) sia necessaria la q0 = costante cosmologica o una componente la cui equazione di stato si comporti in modo analogo. 1.2.1 Redshift e Distanza di Luminosità Dalla metrica di Friedmann è possibile calcolare la distanza infinitesima percorsa da un fotone nel sistema di riferimento comobile. Dato che ds2 = 0, si ha: cdt cda = 2 (1.50) a (t) aH Se consideriamo un fotone emesso al tempo te la distanza che esso percorre per dτ = arrivare fino a noi sarà l’integrale del dτ tra il tempo di emissione e il tempo attuale t0 . La successiva cresta dell’onda sarà emessa a te + t0 + λ0 , c λe c e osservata a quindi: Z t0 + λ0 c τ= te + λce cdt = a (t) 18 Z t0 te cdt a (t) (1.51) Questa relazione può essere riscritta come: Z te + λce cdt = a (t) te Essendo H0−1 >> λ0 , c Z t0 + λ0 c t0 cdt a (t) (1.52) a (t) può essere considerato praticamente costante e quindi λe λ0 = a (te ) a (t0 ) (1.53) Ponendo generico il tempo di emissione, possiamo definire il redshift z: z= λ0 − λe a (t0 ) 1 ⇒1+z = = λe a (te ) a (te ) (1.54) Questo spostamento verso il rosso delle lunghezze d’onda può essere visto come causato dell’allontanamento delle sorgenti e quindi, in prima approssimazione e per piccoli redshift, come un effetto Doppler. Il redshift può essere legato alla distanza propria d (z), ossia la distanza nel sistema di riferimento comobile. Supponendo l’Universo composto di sola materia, in cui H = H0 a−3/2 , si ha: Z d (z) = c Z 1 −1 √ da H0 da √ = 2cH0−1 1 − a =c 2 a a a H a √ 1 sviluppando per z << 1 si ha che a = √1+z ≈ 1 − z2 e quindi 1 d (z) ≈ czH0−1 (1.55) (1.56) Questa distanza non è però misurabile, ma può essere legata alla distanza di luminosità dL . In un Universo piatto si ha che il flusso F di una sorgente, sulla sfera che ha per raggio la distanza tra questa e l’osservatore, è legato alla luminosità L della sorgente stessa dalla relazione F = to comobile F = La2 (t) 4πd2 L 4πd2L mentre nel sistema di riferimen- , dove il fattore di scala è presente perché l’espansione causa la perdita di energia dei fotoni e la diminuzione del loro numero; da queste relazioni è possibile legare le due distanze: dL (z) = d (z) = d (z) (1 + z) a (t) 19 (1.57) Per z << 1 si ha la legge di Hubble dL = czH0−1 ; come abbiamo detto in precedenza, la verifica sperimentale di questa legge fu la prova definitiva che spinse ad abbandonare l’idea di Universo statico. Possiamo scrivere gli ordini superiori dell’andamento della distanza di luminosità considerando che Z 1 1 cda dL (a) = a a a2 H (a) (1.58) Sviluppando il fattore di scala tramite le equazioni di Friedmann, a ≈ 1+H0 (t − t0 )− 1 q H2 2 0 0 (t − t0 )2 , otteniamo: cz 1 dL (z) = 1 + (1 − q0 ) z + O(z 3 ) H0 2 (1.59) Le deviazioni dalla legge di Hubble dipendono dunque dal parametro di decelerazione; a grandi redshift, se l’Universo è in accelerazione, la distanza di luminosità devierà dalla legge di Hubble apparendoci maggiore rispetto al caso decelerato. 20 Figura 1.2: Andamento della distanza di luminosità in un modello con Ωm = 1 (linea tratteggiata) e in un modello con Ωm = 0.3 e ΩΛ = 0.7 1.2.2 Test di Sandage-Loeb Abbiamo appena visto come il contenuto dell’Universo possa essere determinato dall’andamento della distanza di luminosità; la deviazione di questa dalla legge di Hubble ci consente di sapere se l’Universo subisce una fase accelerata e, di conseguenza, quali sono i rapporti tra le densità di energia dei fluidi che lo compongono. Questo tipo di misure è sensibile ai parametri cosmologici attraverso un integrale del parametro di Hubble. É interessante domandarsi se una misura dell’accelerazione dell’Universo possa avvenire per via diretta, ossia misurando direttamente la variazione nel tempo del redshift delle sorgenti osservate in modo da conoscere l’evoluzione dell’Universo localmente e non globalmente, in quanto questa variazione temporale è direttamente collegata al rate di espansione al redshift della sorgente. Negli anni in cui la cosmologia sviluppata con il modello del Big Bang andava affermandosi, Sandage [6] studiò un possibile metodo per effettuare questa misura 21 diretta su sorgenti extra-galattiche. Purtroppo la tecnologia disponibile al tempo non consentiva l’acquisizione di segnali significativi per misure eseguite a tempi separati da meno di 107 anni [6]. Nel 1998 questa idea venne ripresa da Loeb [7] il quale propose di utilizzare le tecniche di precisione volte all’identificazione dei pianeti extrasolari, tramite i loro effetti sul moto delle stelle, per studiare la variazione del redshift delle linee di assorbimento Lyman-α dei Quasar. Questo test è particolarmente utile per osservare a quali redshift l’energia oscura inizia ad accelerare l’Universo e quindi per capire se è verosimile che sia la costante cosmologica a portare all’accelerazione o se piuttosto essa debba essere attribuita a una forma non standard di energia oscura. Grazie a questo test si possono infatti sondare redshift dove non sono disponibili altri metodi di misura e dove i modelli possono essere sensibilmente differenti tra loro: la costante cosmologica infatti sarebbe praticamente trascurabile per z & 2 mentre altri modelli potrebbero avere influenza non nulla sulla variazione del redshift [8]. Dalla definizione del redshift cosmologico, sappiamo che 1 + zs (t0 ) = a(t0 ) a(ts ) (1.60) dove ts è il tempo a cui la sorgente emette e t0 è il tempo a cui la radiazione viene osservata. Consideriamo ora segnali emessi dalla sorgente dopo un periodo ∆ts ossia al tempo ts + ∆ts e osservati al tempo t0 + ∆t0 ; otteniamo il redshift della sorgente al tempo t0 + ∆t0 : 1 + zs (t0 + ∆t0 ) = a(t0 + ∆t0 ) a(ts + ∆ts ) (1.61) Misurando quindi il redshift ai due tempi, osserveremo una variazione di redshift ∆zs definita come: ∆zs ≡ a(t0 + ∆t0 ) a(t0 ) − a(ts + ∆ts ) a(ts ) (1.62) Supponendo ∆t/t << 1 possiamo approssimare la variazione come [8]: ∆zs ≈ ȧ(t0 ) − ȧ(ts ) ∆t0 a(ts ) 22 (1.63) Possiamo riesprimere la variazione del redshift come uno shift di velocità ∆v ≡ c∆zs /(1 + zs ) e, utilizzando l’equazione di Friedmann (1.36), otteniamo [7]: ∆v E(zs ) = H0 ∆t0 1 − (1.64) c 1 + zs dove E(z) ≡ H(z)/H0 , nel caso in cui l’Universo sia composto da materia, curvatura e un fluido con densità di energia Ωx e parametro di equazione di stato wx , prende la forma: 1 E(z) = Ωm (1 + z)3 + Ωx (1 + z)3(1+wx ) + Ωk (1 + z)2 2 (1.65) Il test ci consente quindi di prendere in esame non solo la costante cosmologica (wx = −1), ma anche altri fluidi con diverse equazioni di stato. Ponendoci nel caso di un Universo piatto composto da materia e costante cosmologica, con H0−1 ≈ 1010 yr e ∆t0 = 10yr si ottiene: cm km · 10−9 ≈ 10 (1.66) ∆v ≈ 105 s s Il redshift varia quindi molto lentamente e perché questa variazione sia rivelata è necessaria una precisione che non è disponibile attualmente. Supponendo che gli strumenti futuri saranno dotati della precisione necessaria all’utilizzo di questo metodo è interessante chiedersi come la variazione del redshift vari a seconda del modello di Universo utilizzato; ponendoci nel caso in cui ∆t0 = 10yr, possiamo osservare in figura 1.3 come, variando il parametro dell’equazione di stato w e il parametro Ωm , la variazione del redshift cambi il suo andamento. Possiamo generalizzare al caso di fluidi con w variabile, a partire dall’equazione (1.47), modificando l’espressione di E(z): h i1 R z 3[1+w(z)] dz 3 2 2 0 1+z E(z) = Ωm (1 + z) + Ωx e + Ωk (1 + z) (1.67) In definitiva questo test ci consentirebbe di distinguere tra i vari tipi di energia oscura analizzando la variazione nel tempo del redshift delle sorgenti. 1.3 Prove del Modello Cosmologico Standard Ora che abbiamo sviluppato un modello di evoluzione dell’Universo, è necessario verificarne la validità. 23 Figura 1.3: Andamento di ∆v causata da un fluido di energia oscura con w pari a −1 (linea nera), −0.7 (linea rossa) e −1.3 (linea verde), nel caso Ωm = 0.3 (linee solide) e Ωm = 0.4 (linee tratteggiate) La prima proprietà da analizzare è l’espansione, assunzione fondamentale per la metrica di Friedmann. Come abbiamo visto, per piccoli redshift vale la legge di Hubble, la quale prevede un allontanamento delle sorgenti tanto più rapido quanto più le sorgenti sono lontane. Questa legge fu scoperta nel 1929 analizzando la relazione tra il redshift di alcune galassie e la loro distanza dalla Terra; Hubble notò come lo spostamento verso il rosso delle galassie aumenta quanto più esse sono distanti. Assumendo che la Terra non sia un sistema di riferimento privilegiato e che quindi questo moto di allontanamento si presenti identico da qualsiasi punto di osservazione, questa legge può essere interpretata come una prova del moto di espansione dell’Universo; fu infatti questa scoperta a spingere Einstein ad abbandonare l’idea che l’Universo fosse statico, portandolo quindi ad eliminare la costante cosmologica dalle sue equazioni. L’andamento dL = czH0−1 può essere verificato utilizzando candele standard come le galassie, attraverso la relazione di Tully-Fisher [9], ottenendo così il valore del parametro di Hubble ridotto h0 = H0 100km s−1 M pc−1 dalla pendenza della retta; attraverso l’Hubble Space Telescope si ottiene h0 = 0.72 ± 0.07. 24 Figura 1.4: Confronto tra la legge di Hubble e la distanza di luminosità sperimentale ottenuta tramite la relazione di Tully-Fisher, supernovae e lo studio della luminosità delle galassie Vedremo in seguito come, aumentando la profondità delle osservazioni, i dati sperimentali non verifichino più la legge di Hubble, ma sarà necessario tener conto delle correzioni (1.59). Sarranno proprio queste deviazioni dall’andamento osservabile a basso redshift a farci capire che l’espansione dell’Universo è in una fase accelerata e che quindi è necessario affiancare un ulteriore fluido accanto alle normali componenti di radiazione e materia. 1.3.1 Nucleosintesi Una volta verificato il modello di Universo in espansione, possiamo utilizzarlo per capirne le proprietà in tempi passati, in modo tale da poter ricercare altri effetti, predetti dalla teoria, che possano essere verificati, fornendo così ulteriori prove della validità del modello. In un Universo che contenga materia, radiazione e costante cosmologica, procedendo a ritroso nel tempo il fattore di scala diventa sempre più piccolo; questo 25 implica che la densità dell’Universo diventa sempre più grande procedendo verso il suo inizio. L’aumento della densità porta inevitabilmente ad un aumento della temperatura T e questo ci fa supporre che la materia nelle fasi primordiali dell’Universo fosse completamente ionizzata. Il fluido primordiale era quindi essenzialmente popolato da fotoni, elettroni, neutroni, protoni e le relative anti particelle, tenuti all’equilibrio dalle reazioni: γ + γ e− + e+ n + νe p + e − n + e+ p + ν̄e Al passare del tempo la temperatura dell’Universo scenderà fino ad essere sufficientemente più bassa dell’energia di legame dei nuclei più leggeri pari ad alcuni MeV. A questo punto si inzieranno a formare i primi nuclei; questo processo è detto nucleosintesi primordiale. Possiamo scrivere la funzione di distribuzione per le specie all’equilibrio termodinamico: −1 f = eE/kT ± 1 (1.68) dove il segno positivo vale per i bosoni mentre quello negativo per i fermioni e k è la costante di Boltzmann. Da questa funzione possiamo ottenere densità numerica, densità di energia e pressione: Z ∞ g 4πp2 n= dp (2π~)3 0 eE/kT ± 1 Z ∞ 4πp2 g E ρ= dp (2π~)3 0 eE/kT ± 1 Z ∞ 2 1 g p 4πp2 P = dp 3 (2π~)3 0 E eE/kT ± 1 (1.69) (1.70) (1.71) dove g rappresenta il numero di gradi di libertà della specie considerata, P è la pressione e p l’impulso. Per determinare l’abbondanza di un elemento con numero di massa A partiamo 26 dalla sua densità numerica, calcolata tramite l’equazione di Saha che, nel limite non relativistico, si presenta come: nA = gA mA T 2π 3/2 mA − µA exp − T (1.72) In condizioni di equilibrio, il potenziale chimico µA di un nucleo è la somma dei potenziali chimici dei suoi componenti, quindi, riesprimendo µp e µn come np e nn si ottiene: −A nA = gA 2 m Z mp mnA−Z 3/2 2π~ kT 3(A−1)/2 nZp nA−Z exp n BA kT (1.73) dove BA è l’energia di legame del nucleo. Sembrerebbe quindi che, una volta che la temperatura sia scesa al di sotto dell’energia di legame, l’abbondanza della specie in questione aumenti rapidamente. In realtà bisogna considerare il fatto che la densità di barioni è molto bassa rispetto a quella dei fotoni e, di conseguenza, è necessario che la temperatura scenda sensibilmente al di sotto dell’energia di legame. Introduciamo quindi il parametro η definito come il rapporto tra queste due densità, il quale può essere misurato e risulta essere [10]: η= nb = (5.5 ± 0.5) · 10−10 nγ (1.74) La frazione in massa della specie A può a questo punto essere scritta come: XA = A nA nA = A η −1 nb nγ da cui, sostituendo la relazione per nA , si ottiene: BA A−1 XA ∝ η exp kT (1.75) (1.76) Un altro importante parametro che influenza l’abbondanza degli elementi formati è il rapporto tra il numero di neutroni e di protoni. Definendo Q = mn − mp ≈ 1.29M eV , si ha che finché kT >> Q il numero di neutroni è sostanzialmente uguale a quello di protoni essendo la reazione che li lega efficiente nei due versi. Se invece kT << Q il numero di neutroni scende in quanto è preferita la reazione 27 che va verso i protoni. Il rapporto si fissa non appena si esce dalla condizione di equilibrio; questo fatto permette di verificare la validità del modello di Universo che abbiamo costruito, in quanto le abbondanze dipendono dal momento in cui cessa di esistere l’equilibrio e quindi dall’andamento dell’espansione. In particolare questo rapporto influenza pesantemente l’abbondanza primordiale dell’elio; essendo questo composto da due neutroni e due protoni nHe ≈ nn /2 e quindi l’abbondanza in massa può essere scritta come: nn 4 2n AnHe Y = = nn p ≈ 0.25 +1 nb np (1.77) Questo valore è in ottimo accordo con l’abbondanza dell’elio misurata attualmente nell’Universo [10] e possiamo quindi concludere che la nucleosintesi fornisce un’ulteriore prova del modello di Universo in espansione. 1.3.2 Radiazione di fondo Come abbiamo detto precedentemente, il modello di Universo in espansione ci porta a supporre che in tempi passati la temperatura dell’Universo fosse molto più alta e, di conseguenza, la materia fosse completamente ionizzata. La ionizzazione della materia porterà ad un accoppiamento tra fotoni e materia che andranno quindi a formare un unico plasma primordiale dominato dallo scattering Thomson: γ + e− → γ + e− Questo tipo di interazione avrebbe quindi portato le due componenti a raggiungere l’equilibrio termico. Il processo ha un tasso di interazione dato da Γ = ne σe c (1.78) dove ne è la densità numerica degli elettroni e σe = 6.65 · 10−29 m2 è la sezione d’urto dello scattering Thomson. L’interazione ha un tempo scala associato dato da τ = 1/Γ il quale deve essere minore di quello che caratterizza il rate di espansione dell’Universo per poter mantenere l’equilibrio; si deve perciò verificare che τ < 1/H. 28 Durante tutta la fase dominata dalla radiazione τ ∝ t3/2 e 1/H = 2t e si può verificare. Dopo l’equivalenza tra radiazione e materia, avvenuta a z ≈ 3570 si passa ad avere 1/H = 3t/2 e τ ∝ t2 ; la condizione verrà ad un certo punto violata, in particolare a z ≈ 1100. Verrà quindi a mancare l’accoppiamento e i fotoni saranno liberi di propagarsi, ma avranno memoria dell’equilibrio termico raggiunto presentandosi con uno spettro di corpo nero il cui picco andrà a cadere nelle microonde a causa della diminuzione della densità di energia dei fotoni dovuta all’espansione ργ = σT 4 ∝ 1 a4 (1.79) Il nostro modello di Universo prevede quindi che la fase primordiale abbia lasciato come traccia una radiazione a microonde di fondo detta CMB (Cosmic Microwave Backgroung). Una radiazione di questo tipo, ossia proveniente da ogni direzione del cielo e nel range delle microonde, fu effettivamente scoperta nel 1964 e, tramite misurazioni del suo spettro, si è potuto notare come l’andamento riproducesse perfettamente (figura 1.5) quello di un corpo nero a temperatura T0 = (2.726 ± 0.004)K [11]. 29 Figura 1.5: Fit dello spettro della CMB con un andamento di corpo nero La temperatura della CMB ci consente di notare come la radiazione non sia più importante nel bilancio energetico dell’Universo in quanto a T ≈ 2.726K corrisponde Ωr ≈ 8.4 · 10−5 . La CMB ci consente, inoltre, di estendere la scala di osservazione per l’omogeneità e l’isotropia dell’Universo, altrimenti osservabile tramite la disposizione delle galassie. Si può infatti costruire una mappa della CMB, osservando le fluttuazioni di temperatura rispetto al valore medio T0 = hT i: δT T (θ, φ) − hT i (θ, φ) = T hT i (1.80) Le fluttuazioni quadratiche medie sono molto piccole suffragando ulteriormente l’assunzione di Universo omogeneo ed isotropo: v* u 2 + u δT t ≈ 10−5 T (1.81) Le fluttuazioni possono essere legate, tramite l’energia dei fotoni, alla presenza di sovradensità e sottodensità, in quanto la presenza di buche di potenziale più o meno profonde influisce sullo spostamento verso il rosso dei fotoni e quindi sulla 30 temperatura misurata. Questa radiazione potrebbe in realtà essere prodotta nelle fasi attuali dell’Uni- Figura 1.6: Mappa della radiazione cosmica di fondo verso e non nei suoi primordi. Questa possibilità può però essere esclusa considerando l’andamento di corpo nero mostrato il quale richiede necessariamente un equilibrio termico tra i fotoni e la materia che non può essersi instaurato in tempi recenti, in quanto l’Universo attuale è trasparente ai fotoni della CMB; questa trasparenza si può inferire dal fatto che si osservano radiogalassie come sorgenti puntiformi fino a z ≈ 4 e qusto ci garantisce una trasparenza ai fotoni nel range del microonde almeno fino a tale redshift. La radiazione di fondo cosmico può essere utilizzata per studiare l’evoluzione delle strutture presenti nell’Universo; le piccole disomogeneità in temperatura osservabili nella CMB possono, come già detto, essere legate alle disomogeneità della distribuzione di materia. Queste perturbazioni, amplificate dalla gravità portano alle attuali galassie e ammassi di galassie. Osservando lo spettro di potenza di queste perturbazioni, si possono vincolare i parametri cosmologici tali da produrre un’evoluzione delle strutture compatibile con ciò che oggi osserviamo. Uno dei risultati che si possono ricavare da queste informazioni è che l’Universo è praticamente piatto e che quindi la somma delle densità di energia delle varie componenti è molto vicina alla densità critica (Ωm + ΩΛ = 1). Questo fatto giustifica il nostro utilizzo della metrica piatta di Friedmann per il calcolo della distanza di luminosità. 31 Figura 1.7: Limiti su Ωm e ΩΛ forniti da survey di supernovae (linea rossa) e dall’analisi della CMB (linea blu) compiuta grazie all’esperimento Boomerang [11] 1.4 Materia Oscura Come abbiamo visto in precedenza le misure dei parametri cosmologici portano ad ottenere un valore del parametro di densità attuale di materia Ωm ≈ 0.3. Questo valore è supportato da moltissimi tipi di misure, derivanti ad esempio dallo studio della distanza di luminosità e dall’analisi delle anisotropie del fondo cosmico. La materia presente nell’Universo non sarà tutta abbastanza calda da emettere una quantità di radiazione tale da poter essere rivelata e quindi il valore di Ωm dovrà essere spiegato sommando i contributi della materia racchiusa nelle sorgenti osservabili con i contributi derivanti dalla materia oscura, ossia quella materia che non può essere osservata direttamente, ma solo attraverso i suoi effetti gravitazionali. La prima evidenza di questo tipo di materia venne fornita dall’osservazione della massa dei cluster di galassie; osservando ad esempio il cluster Coma contenente alcune centinaia di galassie, si può stimare la massa totale del sistema misurando la luminosità delle stelle contenute nel cluster e tenendo conto del rapporto massa32 luminosità, ottenendo in questo modo un valore pari a Mc = 3 · 1013 M . La massa del cluster può anche essere stimata da considerazioni dinamiche infatti, considerando l’ammasso un sistema autogravitante che si trova in uno stato stazionario, possiamo utilizzare il teorema del viriale: W + 2K = 0 (1.82) dove K e W sono rispetivamente l’energia cinetica e gravitazionale dell’ammasso. Otteniamo quindi la relazione K=− W 1 α GMc2 ⇒ Mc hv 2 i = 2 2 2 rh (1.83) in cui α è un parametro dell’ordine dell’unità legato al profilo di luminosità del cluster, hv 2 i è la velocità quadratica media e rh è il raggio di una sfera avente per centro il centro dell’ammasso e contenente metà della sua massa. hv 2 i è misurabile dalla dispersione radiale delle velocità al quadrato σr2 , mentre dalla distribuzione dell’ammasso si può calcolare rh . Otteniamo così: Mc ≈ 2 · 1015 M (1.84) ossia un valore notevolmente maggiore rispetto a quanto trovato in precedenza. La quasi totalità della massa del cluster non è quindi contenuta in stelle, ma in materia oscura che ne influenza il comportamento dinamico. Un’altra evidenza della presenza della materia oscura è riscontrabile dall’osservazione dell’andamento della velocità di rotazione delle galassie. Le stelle orbitano infatti attorno al centro galattico subendo un’accelerazione gravitazionale dipendente dalla distanza che, assumendo che la materia sia distribuita sfericamente, può essere espressa nella forma a= GM (r) r2 (1.85) dove M (r) è la massa contenuta fino alla distanza r dal centro. Esprimendo l’accelerazione come a = v 2 /r otteniamo: r GM (r) v= r 33 (1.86) Considerando che in un sistema sferico M (r) ∝ r3 avremo un andamento della velocità con la distanza dal centro dato da v∝r (1.87) La distribuzione delle stelle nella galassia è però legata al profilo di luminosità che, tipicamente, mostra un andamento r I(r) = I0 e rs (1.88) dove rs è una lunghezza caratteristica, dell’ordine di alcuni Kpc, che racchiude la maggior parte della massa della galassia. Le stelle che si trovano a distanza r > rs subiranno tutte, in prima approssimazione, l’azione della stessa quantità di massa e, pertanto, avranno un andamento della velocità: 1 v∝√ r (1.89) Osservativamente però, questo andamento è verificato solo per valori r ≈ rs mentre a distanze più grandi la velocità tende ad assumere un valore costante. 34 Figura 1.8: Andamento della curva di velocità galattica in funzione della distanza dal centro. Questo tipo di andamento è possibile solo se ipotizziamo la presenza di un alone di materia che circondi la galassia, ma che noi non riusciamo ad osservare. La presenza di questa massa non osservabile non è però interpretabile considerando solo la materia barionica ordinaria. Nell’Universo infatti il rapporto tra le densità numeriche di barioni e fotoni è fortemente vincolato al valore [10] η = (5.5 ± 0.5) · 10−10 (1.90) Questo rapporto, contenendo la densità numerica di barioni nb , può essere utilizzato per determinare il contributo totale dei barioni alla densità di energia della materia non relativistica (Ωb ): −8 η = 2.74 · 10 2.73K T 3 Ωb h2 (1.91) Dal valore del parametro η e misurando il valore della costante di Hubble ridotta h0 otteniamo Ωb = 0.04 ± 0.01 35 (1.92) Confrontando questo valore con quello di Ωm ci accorgiamo che circa l’80% della materia dell’Universo deve essere di natura non barionica. Il valore di Ωb è vincolato dalla nucleosintesi che, come abbiamo visto, è in ottimo accordo con i dati osservativi, così come il valore di Ωm è confermato da molte misure indipendenti; dobbiamo quindi supporre che la materia oscura, non barionica, contribuisca con una densità pari a Ωdm ≈ 0.26. 36 Capitolo 2 La costante cosmologica: problemi e modelli alternativi Fino ad ora abbiamo trattato la costante cosmologica Λ insieme alle usuali componenti di materia e radiazione, accennando al fatto che essa introduce una fase accelerata nell’evoluzione dell’universo che sembra essere in buon accordo con i dati osservativi. Vogliamo ora analizzare più in dettaglio le evidenze che spingono all’introduzione di questa componente, la cui presenza, proprio come avviene per la materia oscura, può solo essere inferita in modo indiretto dall’influenza che essa ha sull’evoluzione dell’universo. Due metodi possibili per determinare la presenza di questa componente coinvolgono le due equazioni di Friedmann: dalla prima è possibile calcolare l’età dell’Universo predetta dai modelli e confrontarla con il valore osservativo, mentre dalla seconda si può determinare teoricamente l’effetto di accelerazione e decelerazione sulla distanza di luminosità e confrontare con l’andamento sperimentale di questa. 2.1 Età dell’Universo Un limite inferiore all’età dell’Universo può essere posto datando le stelle più vecchie; queste sono le stelle a bassa metallicità che si trovano all’interno degli ammassi globulari e dallo studio del loro stato di evoluzione si ottiene un’età di 37 tu > 13.5 ± 2Gyr [12]. Vogliamo ora calcolare, tramite il nostro modello di Universo in espansione, il tempo t0 trascorso dal momento iniziale, ossia dal momento in cui il fattore di scala era nullo, detto Big Bang; questo tempo varia a seconda di quali componenti formano l’Universo. Considerando un Universo di sola materia, Ωm = 1, l’equazione (1.42) si riduce a: 2 √ H 1 (2.1) = 3 ⇒ ada = H0 dt H0 a Integrando per t che varia tra zero e t0 e a tra zero e uno, con h0 = 0.7, si ottiene: 2 t0 = H0−1 ⇒ t0 ≈ 9.3Gyr 3 (2.2) Se quindi è presente solo materia non relativistica il modello è incompatibile con i dati sperimentali. Considerando invece solamente la radiazione si otterrebbe un’età ancora inferiore, t0 = 12 H0−1 e quindi non è possibile spiegare i risultati delle osservazione nemmeno considerando un Universo composto da materia e radiazione. Tramite lo stesso procedimento, si può calcolare l’età di un Universo vuoto composto da sola curvatura o da sola costante cosmologica; nel primo caso si ottiene t0 = H0−1 ≈ 14Gyr mentre nel secondo t0 = +∞ e non si ha il Big Bang. Queste due componenti possono essere utilizzate all’interno di un modello composto da materia e radiazione per far aumentare l’età dell’Universo descritto. Ad esempio nel caso di costante cosmologica e k = 0, si può vedere che: √ 2 H0−1 1 − Ωm + 1 √ t0 = √ ln 3 1 − Ωm Ωm (2.3) Considerando Ωm ≈ 0.3 e h0 = 0.7: t0 ≈ 13.5 (2.4) Un modello con materia e costante cosmologica comparabili in densità di energia è quindi compatibile con questo tipo di osservazioni, ma date le incertezze in gioco questo non è ancora un argomento definitivo a favore della presenza della Λ o di una componente analoga. 38 2.2 Deviazioni dalla legge di Hubble Abbiamo visto come la legge di Hubble sia solamente una prima approssimazione per l’andamento della distanza di luminosità dL . L’approssimazione fatta, cade per valori del redshift vicini o superiori all’unità infatti, estendendo il range di osservazione delle supernovae, notiamo che la legge di Hubble non si accorda più con i dati sperimentali, ma dobbiamo tenere conto degli ordini successivi, come notiamo dalla figura 2.1. Figura 2.1: Confronto con i dati sperimentali di supernova SnIa [14] delle distanze di luminosità dalla legge di Hubble (linea rossa), dallo sviluppo (1.59) (linea verde) e dalla distanza di luminosità esatta per Ωm = 1 (linea tratteggiata) e Ωm = 0.3 ΩΛ = 0.7 (linea nera). La deviazione dalla legge di Hubble può dare informazioni precise sulle componenti dell’Universo e sui loro rapporti. Come abbiamo visto, infatti, le deviazioni dipendono dal parametro di decelerazione q0 , legato ai parametri cosmologici tramite la 1.49. Si possono confrontare con le osservazioni modelli che contengono materia e costante cosmologica in vari rapporti tra loro per capire quale si accorda meglio con i dati. 39 Figura 2.2: Confronto dei dati sperimentali con la dL generata da un modello di pura materia e un modello con Ωm = 0.3 ΩΛ = 0.7. La figura 2.2 suggerisce che l’Universo sia attualmente in una fase di espansione accelerata. L’Universo non può quindi contenere esclusivamente materia e radiazione, ma queste componenti dovranno essere affiancate da uniulteriore componente energetica che contribuisca negativamente al parametro di decelerazione; l’unica possibilità che abbiamo attualmente è quella di introdurre la costante cosmologica, vincolandone la densità di energia studiando l’andamento osservativo della distanza di luminosità (figura 2.3). 40 Figura 2.3: Vincoli sui parametri ΩΛ e Ωm ottenuti dal confronto tra la distanza di luminosità teorica e i dati osservativi ottenuti dalla survey di Supernovae di Riess et al. [14]. Nella figura 2.3 è riportato lo stato attuale delle osservazioni di supernovae SnIa. Come possiamo notare , nel caso di Universo piatto si ha ΩΛ ≈ 0.7. La presenza di una costante cosmologica è quindi fortemente suggerita dai dati sperimentali. 2.3 Problemi della Costante Cosmologica Le considerazioni appena fatte mostrano come introducendo la costante cosmologica nelle equazioni di Einstein si possa rendere il modello di Universo in 41 espansione compatibile con vari dati osservativi come l’età dell’Universo e l’andamento della distanza di luminosità in funzione del redshift. Nonostante questo, la costante cosmologica soffre alcuni problemi di interpretazione teorica come il Why Now e il Fine Tuning. • Why Now Attualmente, le densità di energia della componente di materia e della costante cosmologica sono dello stesso ordine di grandezza nonostante il loro rapporto vari molto rapidamente col redshift ρΛ ∝ a3 ρm (2.5) Basta infatti considerare epoche passate per accorgersi di come la densità di energia di materia superasse di molti ordini di grandezza q la costante cosmologica; ad esempio al tempo di Planck, ossia tp = ~G c5 = 5.3906 · 10−44 s dopo il Big Bang si aveva ρΛ /ρm ≈ 10−123 [15]. Figura 2.4: Andamento di ΩΛ in funzione del fattore di scala. Sono indicati il tempo di Planck, la transizione di fase eletttro-debole e il tempo della nucleosintesi. 42 Considerando che ρΛ = ρ0Λ e ρm (z) = ρ0m (1 + z)3 possiamo trovare a quale redshift le due componenti si equivalevano: 1 ΩΛ 3 (1 + zT ) = Ωm (2.6) Ponendo Ωm ≈ 0.3 e ΩΛ ≈ 0.7, otteniamo quindi zT ≈ 0.3. Il problema risiede nel fatto non c’è apparentemente nessun meccanismo che predica il punto di transizione tra le due componenti, in quanto Λ è costante. Come possiamo notare dalla figura 2.4, la costante cosmologica è stata totalmente trascurabile per l’intera vita dell’universo e non c’è alcun motivo fisico per cui essa debba cominciare a dominare oggi alle attuali scale energetiche. • Fine-Tuning La costante cosmologica si comporta come un fluido la cui densità di energia resta invariata all’espandersi del volume e possiamo quindi pensare di interpretarla come energia di vuoto. Considerando l’accoppiamento con la gravità, l’energia di vuoto si comporta infatti come una costante cosmologica: prendendo il valor medio sul vuoto del tensore impulso energia nello spazio-tempo di Minkowski, osserviamo che, essendo lo stato di vuoto un invariante di Lorentz, il valore d’aspettazione sarà un tensore simmetrico invariante e quindi proporzionale al tensore metrico. Quanto detto resta valido anche nel caso di metrica curva se tralasciamo i termini di ordine superiore < Tµν >vac = gµν ρvac (2.7) La costante cosmologica effettiva che governa il comportamento a grande scala dell’Universo è data da [16] Λ = 8πGρvac + Λ0 (2.8) dove Λ0 è una costante. Sappiamo, avendo visto che l’universo è essenzialmente piatto, che ρΛ ≡ 43 Λ/8πG non può essere più grande della densità critica ρcrit = 3H02 = 8 · 10−47 h20 GeV 4 8πG (2.9) dove h0 = 0.7 [13]. Per avere un valore con quest’ordine di grandezza i termini dell’equazione (2.8) dovrebbero cancellarsi quasi esattamente. Utilizzando la teoria dei campi non è però chiaro come questo possa avvenire, infatti, decomponendo i campi quantistici in oscillatori armonici, l’energia di vuoto sarebbe: Z ∞ hT00 i = √ k 2 + m2 kdk = ∞ (2.10) 0 La quantità dovrebbe pertanto essere rinormalizzata al valore necessario, finito, piccolo, ma non nullo. La teoria dei campi trascura però l’interazione gravitazionale; la trattazione sarà quindi valida fino ad una certa energia di cut off alla quale la gravità non è più q trascurabile. La scala in questione è quella della massa di Planck (mp = ~c G = 2.1767 · 10−8 kg) e ponendola come cut off otteniamo: Z ρvac = m4p √ k 2 + m2 kdk ≈ 1076 Gev 4 (2.11) 0 Confrontando ρvac con ρΛ appare evidente come tra le due quantità vi siano moltissimi ordini di grandezza: ρΛ = 10−123 ρvac (2.12) La situazione può essere migliorata cambiando la scala di cut-off o utilizzando teorie di supersimmetria introducendo quindi, accanto alle particelle usuali, delle particelle che possano rendere minore ρvac , ma non si riesce a raggiungere in ogni caso il valore osservato. Non riusciamo quindi a trovare un’interpretazione fisica per la costante cosmologica, nonostante essa sia coerente con i dati osservativi. L’idea di associare Λ all’energia di vuoto predetta dalla teoria dei campi va infatti incontro al problema che abbiamo appena descritto. 44 2.4 Modelli Alternativi La presenza di questi problemi concettuali ha dato impulso alla ricerca di componenti alternative che potessero spiegare il principale fenomeno che necessita della costante cosmologica, ossia l’espansione accelerata dell’Universo. Sostituendo Λ con una componente incognita la cui equazione di stato è px = wx ρx , possiamo ricavare i valori di wx per cui questa componente rende negativo il parametro di accelerazione; in un Universo costituito da materia (Ωm ≈ 0.3) e da questo nuovo fluido (Ωx ≈ 0.7) si deve avere: q0 = 1 Ωm 1 (1 + 3wx ) Ωx + ≤ 0 ⇒ wx ≤ − 2 2 2 (2.13) Il parametro w dell’equazione di stato può essere misurato determinando il valore di q0 tramite lo studio della distanza di luminosità una volta note le percentuali di materia ed energia oscura che compongono l’Universo. Si pongono quindi dei vincoli sul parametro wx dell’equazione di stato per capire se le osservazioni possano escludere il modello di costante cosmologica; questo però non avviene come vediamo dalla figura 2.5 dove sono riportati i vincoli prodotti dalla survey di Riess et al. [14] confrontati con i vincoli prodotti da altre survey di supernovae Ia e da WMAP [17]. Figura 2.5: Vincoli sul parametro w al variare di Ωm . 45 Per tentare di alleviare i problemi legati alla costante cosmologica si può anche pensare che il fluido responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo possieda un parametro dell’equazione di stato variabile con il redshift che può essere parametrizzato come w(z) = w0 + w0 z (2.14) In questo modo si trova una possibile spiegazione al problema del Why Now dato che il fluido varia il suo andamento nel tempo e può essere costruito in modo da rispettare i dati osservativi. Inoltre verificare la verosimiglianza di questo andamento è molto importante in quanto evidenze di un wa 6= 0 escluderebbero la possibilità che l’energia oscura possa essere associata con la costante cosmologica, dato che wx non sarebbe più costante. Figura 2.6: Vincoli sperimentali su w0 e wa ottenuti dalla survey di supernovae di Riess et al.[14] Vediamo dalla figura 2.6 come la costante cosmologica (w0 = −1, wa = 0) sia compatibile con i risultati sperimentali, ma le misure non eliminino altre possibilità. Questa considerazione lascia libero il campo alla costruzione di vari modelli che 46 tentano di eliminare i problemi legati alla costante cosmologica pur continuando a spiegare gli stessi fenomeni. La prima soluzione possibile è quella di eliminare la costante cosmologica sostituendola con altri fluidi che rispettino le condizioni necessarie all’espansione accelerata dell’Universo; vogliamo quindi modificare il contenuto di materia all’interno del tensore energia impulso Tµν . Il modo più semplice di fare questo è di introdurre, accanto alle componenti di materia e radiazione, una componente energetica legata ad un campo scalare φ, il quale avrà il compito di generare la fase di espansione accelerata. I vari tipi di modelli saranno distinti dalla diversa costruzione della lagrangiana che descrive questo campo scalare. I modelli costruiti su questo principio sono moltissimi ([18], [19]); riporteremo qui solo alcuni esempi. 2.4.1 Modelli di Quintessenza I modelli di Quintessenza sono basati sull’introduzione di campi scalari accoppiati in maniera minima con la gravità ([20], [21]). Questi campi danno luogo ad un’equazione di stato variabile nel redshift in modo analogo ai fluidi di materia e radiazione andando così ad alleviare i problemi legati alla costante cosmologica. Vogliamo dunque introdurre un campo scalare φ descritto dall’azione: Z √ 1 µν 2 4 S = d x −g − (g ∂µ φ∂ν φ) − V (φ) 2 (2.15) dove V (φ) è il potenziale del campo. Sarà la forma di questo a determinare se il campo può dare luogo alla fase di espansione accelerata dell’Universo. Possiamo ottenere il tensore energia-impulso del campo φ variando l’azione rispetto a g µν : Tµν 2 δS 1 αβ = −√ = ∂µ φ∂ν φ − gµν g ∂α φ∂β φ + V (φ) −g δg µν 2 (2.16) Nella metrica piatta di Friedmann otteniamo la densità di energia e la pressione del campo: 1 ρ = T00 = φ̇2 + V (φ) 2 47 (2.17) 1 (2.18) p = Tii = φ̇2 − V (φ) 2 Dalle due equazioni di Friedmann si ha: 8πG 1 2 2 H = φ̇ + V (φ) (2.19) 3 2 i ä 8πG h 2 =− φ̇ − V (φ) (2.20) a 3 Si nota immediatamente che il campo contribuisce negativamente al parametro di decelerazione se φ̇2 < V (φ). Si possono quindi costruire dei campi per i quali i potenziali siano tali da soddisfare le condizioni di espansione accelerata. Perché si possa verificare un modello di questo tipo, dobbiamo introdurre un’equazione di stato da confrontare con le osservazioni: wφ = p φ̇2 − 2V (φ) = ρ φ̇2 + 2V (φ) (2.21) Supponiamo che l’Universo contenga le componenti ρk , dove consideriamo i fluidi a noi noti (materia e radiazione), e ρφ ; possiamo riscrivere l’equazione di Friedmann come 8πG ρφ (a) = H 2 (a)[1 − Q(a)] 3 dove Q(a) è definito come Q(a) ≡ 8πGρk (a) 3H 2 (a) (2.22) (2.23) Detto questo possiamo legare il parametro dell’equazione di stato wφ alle quantità note [22]: 1 d ln[(1 − Q)H 2 a3 ] (2.24) 3 dlna Il parametro può quindi essere ottenuto in linea di principio misurando H(a) e wφ = − ρk (a); se è nota l’evoluzione di H sarà anche possibile costruire la lagrangiana del campo φ in modo che esso dia luogo all’espansione osservata, tramite le relazioni [22] 3H 2 (a) (1 − Q)(1 + wφ ) 8πG 3H 2 (a) 2V (a) = (1 − Q)(1 − wφ ) 8πG φ̇2 (a) = 48 (2.25) (2.26) Un’importante classe di potenziali sono quelli che portano ai modelli tracker. L’equazione di stato di questi modelli ha la particolarità di seguire la componente dominante nell’Universo per la maggior parte della loro evoluzione. Un esempio di potenziale che porta ad un modello tracker è: V (φ) = V0 φα (2.27) Questo potenziale dà luogo ad un fluido di quintessenza la cui densità di energia ρφ è legata a quella del background di energia dominante ρB in modo che ρφ /ρB ∝ t4/(2+α) , mentre il parametro dell’equazione di stato rimane vicino al background: wφ = αwB − 2 α+2 (2.28) Applicando la condizione (2.13) di Universo in espansione accelerata alle forme (2.21) e (2.28) del parametro dell’equazione di stato, otteniamo le condizioni che il modello deve soddisfare per portare ad un’evoluzione plausibile dell’Universo: 2 φ̇2 < V (φ) 3 (2.29) 2 α< (2.30) 2wB + 1 Considerando quindi la materia come energia dominante di background, si ha wB ≡ wm = 0 e otteniamo dunque la condizione α < 2. Figura 2.7: Andamento della densità di energia di un modello tracker (linea verde) 49 Si possono anche teorizzare modelli di quintessenza costruiti in modo tale da eliminare il problema del Fine Tuning; per fare questo è necessario ottenere ρ0φ ≈ 10−47 Gev 4 . Prendiamo ad esempio un potenziale del tipo: V (φ) = M 4+α φα (2.31) dove α è un numero positivo ed M è una costante. Si può costruire il modello variando M ed α in modo da far sì che la densità di energia sia compatibile con il valore osservativo; per α = 2, ad esempio, si deve avere M ≈ 1Gev [23]. In questo modo si ottiene la scala di energia alla quale i vincoli osservativi sulla densità di energia sono soddisfatti. Il problema di un modello così costruito è che il campo scalare deve accoppiarsi alla materia ordinaria, introducendo così delle nuove forze [24]. Perché i vincoli sperimentali sulle forze esistenti siano rispettati, il campo deve avere una massa piccolissima mφ ≈ 10−33 eV in modo tale che il range delle nuove forze sia così piccolo che esse sfuggano alla rivelazione. Se la massa è così piccola sarà però molto difficile verificare l’esistenza di un’eventuale particella descritta da questo campo. 2.4.2 Modelli Phantom Come abbiamo visto, i dati osservativi indicano che il valore di w deve essere nell’intorno di −1; esiste quindi la possibilità che questo assuma valori più negativi e, in questo caso, si parla di phantom dark energy [25]. In generale un fluido di questo tipo (p + ρ ≤ 0) viola quella che si chiama Condizione di Energia Dominante (DEC); i fluidi che violano questa condizione possono causare delle instabilità dovute al fatto che l’energia può propagarsi al di fuori del cono di luce, ma è possibile mostrare che sotto opportune condizioni si può costruire una teoria di campo che descriva un fluido, con parametro w < −1, per il quale i tempi scala dell’instabilità sono maggiori dell’età dell’Universo e quindi trascurabili [26]. Il modo più semplice per spiegare questo tipo di energia oscura è quello di in50 trodurre un campo scalare il cui termine cinetico abbia segno opposto rispetto ai normali campi scalari, ottenendo l’azione: Z √ 1 µν 4 S = d x −g g ∂µ φ∂ν φ − V (φ) 2 (2.32) Da un’azione di questo tipo si può esplicitare il parametro dell’equazione di stato per questo fluido: wφ ≡ φ̇2 + 2V (φ) p = ρ φ̇2 − 2V (φ) (2.33) Per avere wφ < −1 si ha quindi la condizione φ̇2 /2 < V (φ). I modelli phantom presentano una singolarità nel fattore di scala per tempi finiti. In questo caso si ha infatti che, ponendo teq l’epoca in cui la densità di energia di materia e di phantom dark energy si equivalgono, la soluzione alle equazioni di Einstein che produce l’espansione dell’Universo porta ad un fattore di scala che va come a(t) ≈ a(teq ) (1 + w) t teq 2 3(1+w) −w (2.34) Come possiamo vedere, essendo w < −1, l’esponente sarà negativo e quindi avremo una divergenza del fattore di scala per t → tBR = w teq 1+w Oltre al fattore di scala divergerà anche la densità di energia data da 2 t ρ(t) ∝ (1 + w) − w teq (2.35) (2.36) che chiaramente porta a ρ(t) → ∞ per t → tBR . Si può mostare come insieme al fattore di scala e alla densità di energia, divergano anche il rate di espansione (H) e la curvatura dello spazio-tempo (R). Questo tipo di modello porta quindi ad un’evoluzione dell’Universo dove, successivamente all’era di materia, si instaura un’accelerazione drammatica culminante in una singolarità detta Big Rip dove perde di significato lo spazio-tempo classico. In realtà il Big Rip può essere evitato se il potenziale V presenta un massimo [27]. In questo caso il campo evolve, data la sua forma peculiare, verso la cima 51 del potenziale per poi oscillare intorno al massimo. Dopo un certo periodo di tempo il campo si stabilisce sul massimo e si comporta come se wφ = −1. Questo tipo di campo scalare ha, oltre alle peculiari proprietà che abbiamo appena descritto, almeno due problemi particolarmente gravi: • La velocità del suono nel mezzo cs , definita come s dp cs = dρ (2.37) nel caso di equazione di stato ultra-negativa può diventare addirittura maggiore della velocità della luce. • Per costruire una lagrangiana di campo scalare che rispetti la richiesta di generare un fluido con w < −1, abbiamo dovuto invertire il segno usuale del termine cinetico; così facendo il modello va incontro ad instabilità quantistiche che lo rendono poco plausibile [28]. 2.4.3 Gas di Chaplygin Esiste un ulteriore modello teorizzato per spiegare l’espansione accelerata dell’Universo: il Gas di Chaplygin. Questo è un caso particolare di una famiglia di modelli descritti dai parametri w0 , α e Ω0ch . Al tempo attuale l’equazione di stato è definita dal parametro w0 come w(a = 1) = − |w0 |, mentre il parametro α ne specifica l’evoluzione: w0 Ω0ch ρ0 p=− ρα (2.38) dove ρ0 è l’attuale densità di energia totale dell’Universo. Il caso in cui α = 1 è quello del gas di Chaplygin. Dall’equazione di continuità (1.45) otteniamo: ρ̇ + 3H(1 + w)ρ = 0 che ammette soluzioni per ρ(a) specificate dai parametri del modello: 1 1 − |w0 | 1+α 0 ρ(a) = Ωch ρ0 |w0 | + 3(1+α) a 52 (2.39) (2.40) Otteniamo quindi che l’evoluzione del parametro w dell’equazione di stato è data da w(a) = − |w0 | |w0 | + (2.41) 1−|w0 | a3(1+α) Osserviamo come per grandi fattori di scala il gas di Chaplygin si comporta come una costante cosmologica, portando all’espansione accelerata dell’Universo. Resta però da interpretare l’andamento tipo materia a piccoli a. Questo potrebbe essere legato alla problematica della materia oscura, infatti il peculiare andamento del parametro dell’equazione di stato del gas di Chaplygin potrebbe suggerire che materia ed energia oscura siano in realtà lo stesso fluido responsabile per a piccoli degli effetti gravitazionali attribuiti alla presenza di materia oscura, mentre a piccoli redshift porterebbe all’espansione accelerata dell’Universo. Il parametro α del modello determina il redshift della transizione tra i due andamenti asintotici; infatti più è grande il valore di α più è piccolo il redshift a cui avviene la transizione. Durante l’evoluzione, l’ammontare di materia con w ≈ 0 raggiunge il valore asintotico 1 Ω0m,ef f = Ω0m + Ω0ch (1 − |w0 |) 1+α (2.42) dove Ω0m è la densità barionica e di materia oscura. Osserviamo come, per α = 0, l’evoluzione è identica a quella di un modello di costante cosmologica con ΩΛ,ef f = Ωch |w0 | e Ωm,ef f = Ωm + Ωch (1 − |w0 |). Poiché è dall’evoluzione, attraverso H, che si determina l’andamento della distanza di luminosità, questo modello non potrà essere distinto da un modello di costante cosmologica attraverso le supernovae. Per eliminare la degenerazione bisognerebbe quindi abbandonare le misure basate sul background e andare invece studiare l’evoluzione perturbazioni sulla metrica omogenea di Friedmann. Il grande pregio di questo modello è che, oltre ad unificare materia ed energia oscura, si tenta di spiegare l’espansione accelerata dell’Universo non con un campo scalare, ma con un fluido perfetto in analogia con le trattazioni dei fluidi di radiazione e materia. 53 Tuttavia questo modello, per quanto intrigante, modifica pesantemente l’evoluzione delle strutture presenti nell’Universo, portandola al limite della compatibilità con le osservazioni [29]. 54 Capitolo 3 Teorie f(R): il modello di Hu e Sawicki Fino ad ora abbiamo interpretato l’espansione accelerata dell’Universo come una modifica del tensore impulso energia che appare nelle equazioni di Einstein, vale a dire introducendo componenti energetiche di natura più o meno esotica sotto forma di campi scalari, di fluidi con particolari equazioni di stato o di costante cosmologica. Quest’ultima può però essere intesa come modifica sia al tensore energia-impulso che al tensore di Einstein: introdurre una costante all’interno della lagrangiana di Einstein è infatti equivalente a considerare un termine costante o nel tensore Tµν o in Gµν . Esaminiamo adesso la possibilità che una modifica del tensore Gµν spieghi l’espansione accelerata dell’Universo senza soffrire degli stessi problemi incontrati con la costante cosmologica. In realtà i primi tentativi di modificare la gravità di Einstein furono fatti ben prima che si scoprisse l’espansione accelerata dell’Universo: già nel 1919 Weyl [30] e nel 1923 Eddington [31] proposero di modificare la relatività generale includendo nella lagrangiana invarianti di ordine superiore. Questi tentativi non erano però spinti da osservazioni sperimentali, ma erano solo proposte di teorie alternative. Solo negli anni ’60 si ebbero le prime indicazioni che le modifiche alla lagrangiana di Einstein potessero essere necessarie; in questo periodo si andava formando il problema della Gravità Quantistica ossia il tentativo di coniugare la forza di 55 gravità con le altre forze, elettromagnetica, debole e forte, formalizzate tramite la meccanica quantistica e la teoria dei campi; uno dei problemi incontrati in questo sforzo è la non rinormalizzabilità della teoria di Einstein. Per aggirare il problema si modifica la lagrangiana di Einstein introducendo termini che includano ordini superiori dello scalare di curvatura, in quanto la non rinormalizzabilità viene in questo caso alleviata [32]. Queste motivazioni derivano però da esigenze quantistiche e quindi suggeriscono che le modifiche alla gravità debbano essere importanti solo a grandi energie o in regimi di alta curvatura, quindi, a livello astrofisico, nei primi istanti dopo il Big Bang o vicino alle singolarità dei buchi neri. Il problema dell’espansione accelerata ci porta invece su scale completamente opposte in quanto un’eventuale modifica della gravità dovrà agire nelle condizioni attuali dell’Universo, ossia in regime di bassa energia e bassa curvatura. Concentriamoci su una particolare classe di teorie di gravità modificata, le teorie f(R). Questo tipo di modelli deriva da una generalizzazione diretta della lagrangiana di Einstein: si modifica infatti l’azione di Einstein-Hilbert (1.2) che, come abbiamo visto nel primo capitolo, genera il tensore di Einstein Gµν , generalizzando al caso in cui lo scalare di curvatura appaia nella lagrangiana attraverso una funzione generica: 1 S= 2 2k Z √ d4 x −gf (R) (3.1) dove k 2 = 8πG. Osservando questa azione, possiamo chiederci perché la generalizzazione venga fatta introducendo solo ordini superiori dell’invariante R e non rendendo ancor più generale la lagrangiana tramite l’introduzione di altri invarianti, come ad esmpio lo scalare costruito dalla contrazione di due tensori di Ricci Rµν Rµν ; la scelta è dovuta principalmente a due motivi: • le f (R) sono già molto generali infatti se prendiamo come esempio una serie di potenze f (R) = ... α2 α1 R2 R3 + − 2Λ + R + + + ... R2 R β2 β3 56 (3.2) dove αi e βi sono costanti con le giuste dimensioni fisiche, notiamo come si introducano termini interessanti, importanti a basse o alte curvature. Le f (R) permettono quindi di visualizzare gli aspetti fondamentali delle teorie di gravità modificata, senza essere troppo complicate. • si può dimostrare [33] che le teorie f (R) sono teorie stabili sotto certe condizioni, mentre l’introduzione di altri invarianti nella lagrangiana fa cadere questa possibilità. Vogliamo ora analizzare in dettaglio quali sono le principali modifiche introdotte adottando la lagrangiana L= √ −gf (R) (3.3) Da una lagrangiana di questo tipo si ottengono, variando l’azione con il metodo di Einstein-Hilbert, le equazioni 1 fR (R) Rµν − f (R) gµν − ∇µ ∇ν fR (R) + gµν 2fR (R) = 0 2 dove fR ≡ df dR (3.4) e 2 ≡ g µν ∇µ ∇ν . Introduciamo le nuove variabili (g̃µν , p) legate alla vecchia metrica dalle relazioni p = fR (R) g̃µν = pgµν (3.5) in cui si prende p > 0 in modo da mantenere la stessa segnatura della metrica. √2 Definendo un campo scalare φ tale che risulti p = e 3 φ si ottiene [34] la lagrangiana nel frame di Einstein ossia riespressa nella forma usuale della relatività generale con l’introduzione del campo φ: i p h µν L̃ = −g̃ R̃ − g̃ φ,µ φ,ν − 2V (φ) (3.6) dove il potenziale V dipende dalla forma della funzione dello scalare di curvatura utilizzata per definire la langrangiana iniziale, detta lagrangiana nel frame di Jordan. La gravità è descritta nel frame di Jordan dalla sola metrica gµν , mentre nel frame di Einstein è presente un campo sorgente di materia; nel caso fino ad ora esaminato 57 non abbiamo ancora introdotto alcuna materia e quindi il campo scalare introdotto appare come un aspetto non metrico della gravità stessa. Si osserva quindi come i due frame, nonostante siano matematicamente equivalenti, sono differenti al livello fisico visto che nel frame di Einstein la gravità non è più rappresentata dalla sola metrica. Alla luce di questo, il frame di Jordan sembrerebbe essere quello fisico, ma, d’altra parte, si potrebbe anche assumere che la teoria f (R) descriva un modello ‘unificato’, dove sia cioè contenuto un grado di libertà non gravitazionale che appare esplicitamente solo nel frame di Einstein riscalando il tensore metrico. Partendo quindi da una teoria f (R) ‘vuota’, priva cioè di campi di materia espliciti, non c’è modo di decidere a priori quale dei due frame sia quello fisico e di conseguenza quale sia la metrica che descrive la gravità. D’altra parte se si formula una teoria gravitazionale che includa fin dall’inizio dei campi di materia, si perde questa ambiguità; i due tensori metrici gµν e g̃µν interagiscono infatti in modo diverso con i campi esterni. Questo permetterebbe di identificare la metrica fisica richiedendo che le particelle test neutre seguano le sue geodetiche. Decidere quale dei due sia il frame fisico è il principale problema di questo approccio in quanto le leggi di conservazione derivanti da una teoria f (R) dipendono da questo; vediamo quali sono le quantità conservate nei due casi [34]: • La metrica fisica è gµν In questo caso, la lagrangiana per la gravità e per i campi di materia è √ L = [f (R) + 2Lm (Ψ, g)] −g (3.7) dove Ψ rappresenta i campi di materia descritti dalla lagrangiana Lm . Dalla variazione dell’azione si ottengono le equazioni di campo per la gravità: 1 fR (R)Rµν − f (R)gµν − ∇µ ∇ν fR (R) + gµν 2fR (R) = Tµν (Ψ, g) (3.8) 2 √ dove Tµν = − √2−g δgδµν ( −gLm ). Il teorema di Nother dà in questo caso l’identità di Bianchi ∇ν T µν = 0 [34]. Passando al frame di Einstein scriviamo la lagrangiana: L̃(g̃, φ, Ψ) = [R̃(g̃) − g̃ µν φ,µ φ,ν − 2V (φ) 58 +2e−2 √2 3 φ Lm (Ψ, e− √2 3 φ p g̃)] −g̃ da cui possiamo ottenere le equazioni di campo √ √ − 23 φ − 23 φ G̃µν = tµν (φ, g̃) + e Tµν (Ψ, e g̃) (3.9) (3.10) dove tµν , il tensore energia-impulso dello scalare φ, è dato da 1 tµν = φ,µ φ,ν − g̃µν g̃ αβ φ,α φ,β − V (φ)g̃µν 2 L’identità di Bianchi diventa h i √ √ ν − 23 φ − 23 φ ˜ ∇ tµν (φ, g̃) + e Tµν (Ψ, e g̃) = 0 (3.11) (3.12) I due tensori non si conservano separatamente, dato che il campo scalare interagisce con la materia, come si può vedere dalla lagrangiana (3.9). • La metrica fisica è g̃µν In questo caso il frame di Jordan fornisce le equazioni, espresse tramite gµν , per la teoria unificata che include i gradi di libertà gravitazionali e scalari. Prima di aggiungere l’interazione con la materia, dobbiamo quindi portarci alla lagrangiana del frame di Einstein: h i L̃ = R̃ − g̃ µν φ,µ φ,ν − 2V (φ) + 2Lm (Ψ, g̃) (3.13) In questo caso la lagrangiana di materia è indipendente da φ dato che non c’è nessun motivo fisico per cui la materia debba essere accoppiata al campo scalare, mentre nell’ipotesi precedente questo doveva avvenire essendo il campo una manifestazione della gravità. In questo caso le equazioni di campo saranno G̃µν = tµν (φ, g̃) + Tµν (Ψ, g̃) 2̃φ = dove Tµν ≡ − √2−g̃ dV dφ (3.14) (3.15) p δ (Lm −g̃) = 0 (3.16) δΨ √ δ (l −g̃). Data l’assenza di interazione tra materia δg̃ µν mat e campo scalare, si avrà la conservazione, oltre al tensore energia impulso ˜ ν tµν = ∇ ˜ ν Tµν = 0. totale tµν + Tµν , dei due tensori separati, ∇ 59 Nel caso a cui siamo interessati, ossia per spiegare la frazione di energia dell’Universo, non interpretabile tramite materia e radiazione nell’ambito della relatività generale, tutto ciò che non è materia o radiazione deve essere attribuito alla modifica della gravità ovvero all’introduzione della funzione f (R). Le osservazioni stesse ci spingono quindi ad utilizzare come punto di partenza il frame di Jordan dove vengono unificati tutti gli eventuali i termini che contribuiscono all’energia oscura. 3.1 Validità Cosmologica dei modelli f(R) La modifica della lagrangiana di Einstein, porta alla modifica delle equazioni che governano il moto di espansione dell’Universo; possiamo quindi tentare di costruire una f (R) che faccia espandere l’Universo in modo compatibile con le osservazioni, introducendo quindi un’espansione accelerata dopo le fasi di materia e radiazione. In realtà molti modelli di gravità modificata cambiano pesantemente anche l’andamento del fattore di scala durante le epoche di materia; l’andamento che si avrebbe in questa fase con il modello di costante cosmologica è però ben supportato dalle osservazioni. Abbiamo dunque la necessità di trovare sotto quali condizioni una teoria f (R) possa essere ritenuta cosmologicamente accettabile, ossia quale debba essere la sua forma perché l’espansione prodotta nelle fasi pre-accelerazione non sia rigettata dai dati osservativi. Definiamo i parametri RfRR fR (3.17) RfR f (3.18) m(r) = r=− dove fR = df dR e fRR = d2 f . dR2 Si può mostrare [35] che per determinate f (R) valgono le seguenti condizioni: • un modello f (R) possiede un’epoca standard di materia solo se soddisfa m(r) ≈ 0 e m0 (r) > −1 per r ≈ −1 60 (3.19) dove la seconda condizione è richiesta perché l’Universo esca dalla fase di materia ed entri nella fase accelerata. • la fase di materia è seguita da una fase accelerata che asintoticamente tende a wef f = −1, dove wef f è il parametro dell’equazione di stato complessiva, se 0 ≤ m(r) ≤ 1 per r = −2 (3.20) • l’espansione è di tipo non phantom (wef f ≥ −1) solo se m = −1 − r (3.21) Si può visualizzare la validità di un modello osservando il grafico del parametro m(r); nel quarto quadrante, questo deve essere compreso tra l’asse r e la retta m = −r − 1. Queste condizioni eliminano molti dei modelli f (R), come ad esempio il semplice modello f (R) = R − R−n (3.22) Questo modello sembra avere delle buone caratteristiche, come il fatto che la modifica alla lagrangiana di Einstein diventa importante solo per basse curvature. Nonostante questo si può dimostrare [35] che l’era di materia da esso introdotta possiede un fattore di scala che va come a ∝ t1/2 invece del normale a ∝ t2/3 . Se infatti tentiamo di verificare le condizioni che abbiamo introdotto, si vede subito che esse non sono soddisfatte; il parametro m(r) prende la forma m(r) = − n(1 + n) n + −n+r 1+r corrispondente all’andamento in figura 3.1. 61 (3.23) Figura 3.1: Andamento del parametro m(r) nel caso di f (R) = R − R−n Dalla figura 3.1 possiamo vedere come il parametro m(r) non attraversi la regione che ne indicherebbe la validità. Questo tipo di modello deve pertanto essere scartato in quanto non valido dal punto di vista cosmologico. 3.2 Il modello di Hu e Sawicki Utilizziamo adesso il modello di Hu e Sawicki [36] in cui l’azione modificata della gravità risulta essere Z S= √ R + f (R) d x −g + Lm 2k 2 4 (3.24) dove Lm è la lagrangiana della materia, barionica e oscura, e n f (R) = −m2 con m2 = k2 ρ̄ , 3 c1 (R/m2 ) 1 + c2 (R/m2 )n (3.25) ρ̄ densità media dell’Universo e c1 e c2 costanti. Vogliamo indagare la validità di questo modello perché presenta, come vedremo in seguito, una notevole particolarità, superando i test locali di gravità senza avere vincoli troppo stringenti. Calcoliamo il parametro m(r) ponendoci per semplicità nel caso n = 1 ricordando 62 però che, scrivendo l’azione come nella (3.24): f (R) = R + f (R)Hu (3.26) Svolgendo i calcoli otteniamo due soluzioni 4(1 + r)2 m1 (r) = √ √ c1 r2 − c1 r 4 + 4r + c1 r2 (3.27) 4(1 + r)2 √ √ c1 r2 + c1 r 4 + 4r + c1 r2 (3.28) m2 (r) = Come vedremo successivamente, le costanti c1 e c2 , sono legate ai parametri cosmologici Ω̃m e Ω̃x ; questi sono parametri cosmologici efficaci visto che in un modello di gravità modificata si ha Ωm = 1. I parametri efficaci descrivono un Universo governato dalla gravità di Einstein in cui le modifiche introdotte sono rappresentate dal parametro Ω̃x . Prendendo i valori Ω̃m = 0.3 e Ω̃x = 0.7 otteniamo gli andamenti rappresentati nella figura 3.2. Figura 3.2: Andamento dei parametri m1 (r) (linea solida) e m2 (r) (linea tratteggiata) nel caso della f (R) descritta dalla (3.25) per n = 1, Ωm = 0.3 e ΩΛ . La linea rossa è la retta m(r) = −r − 1. 63 Notiamo dalla figura 3.2 come la soluzione m2 (r) non sia accettabile, mentre la soluzione m1 (r) si mantiene nella regione accettabile. L’andamento asintotico per r → ∞ di m1 (r) indica che il modello evolve [35] verso un’evoluzione tipo De Sitter (w = −1), ma questo sembra in contrasto con la forma della f (R) in quanto, come possiamo vedere dalla figura 3.3, per R → 0 si ha che f (R) → 0 e quindi il modello di gravità non tenderebbe ad uno spazio √ di De Sitter, dove la lagrangiana della gravità è del tipo L = −g(R − Λ), ma √ alla normale relatività generale (L = −gR). Figura 3.3: Andamento del rapporto tra il modulo della f (R) e m2 in funzione di R/m2 . In realtà per valori plausibili dei parametri c1 e c2 , lo scalare di curvatura R non diminuisce indefinitamente all’aumentare del tempo, ma piuttosto tende a bloccarsi ad un valore fissato portando il modello ad emulare, asintoticamente, la costante cosmologica [36]. Alla luce di questi fatti, il modello (3.25) è un possibile candidato per spiegare l’espansione accelerata dell’Universo dato che preserva gli andamenti accettabili delle fasi di materia e radiazione. Resta comunque da analizzarne il comportamento su piccole scale, la compatibilità con i test di gravità locali e il tipo di fase accelerata che esso produce. 64 3.3 Evoluzione del modello Hu e Sawicki Come vedremo, il modello (3.25) supera i test solari senza che questi ne vincolino in modo stringente i parametri. Possiamo ora studiare l’evoluzione dell’Universo che ne deriva in modo da analizzare il tipo di espansione prodotto. Partiamo dall’azione: Z S= √ R + f (R) d x −g + Lm 2k 2 4 (3.29) Variando questa rispetto alla metrica, come abbiamo fatto nel primo capitolo, otteniamo le equazioni di Einstein modificate: f − 2fR gµν − ∇µ ∇ν fR = k 2 Tµν Gµν + fR Rµν − 2 (3.30) Il tensore energia-impulso contiene solo i termini di materia in quanto le correzioni date dalla modifica della lagrangiana gravitazionale sono importanti solo a piccoli redshift dove il contributo della radiazione è trascurabile. Considerando la metrica di Friedmann abbiamo R = 12H 2 + 6HH 0 (3.31) dove H = H(lna) e 0 ≡ d/dlna. Dalle (3.30) otteniamo l’equazione di Friedmann modificata: 1 k 2 ρ̄ H 2 − fR (HH 0 + H 2 ) + f + H 2 fRR R0 = 6 3 (3.32) Riscriviamo l’equazione in termini delle variabili con m2 = yH ≡ H2 1 − m2 a3 (3.33) yR ≡ R 3 − 3 2 m a (3.34) k2 ρ̄ . 3 Otteniamo così il sistema di equazioni differenziali: 1 0 yH = yR − 4yH 3 65 (3.35) yR0 −3 = 9a 1 1 1 −3 1 f 1 − yH − fR yR − yH − a + yH + a−3 m2 fRR 6 2 6 m2 (3.36) Riesprimiamo ora il modello modificando l’equazione di Friedmann tramite l’introduzione di un fluido con densità di energia ρ̃x . Utilizzando l’equazione di continuità (1.45) si ottiene l’andamento di questa componente con il fattore di scala: 3[1+w(a)] da a R1 ρ̃x = ρ̃0x e a (3.37) dove wx è il parametro di equazione di stato. Possiamo quindi scrivere l’equazione di Friedmann: R 1 3[1+w(a)] H2 Ω̃m da a a = + Ω̃ e x 2 3 H0 a (3.38) Utilizzando l’equazione (3.33) possiamo ottenere, essendo m2 = Ω̃m H02 : yH + a−3 = H2 Ω̃x R 1 3[1+w(a)] da Ω̃x R 1 3[1+w(a)] da −3 a a a = a + e ⇒ y = ea H m2 Ω̃m Ω̃m (3.39) Derivando logaritmicamente questa relazione si ricava: 0 yH = −3(1 + wx ) Ω̃x R 1 3[1+w(a)] da a ea Ω̃m (3.40) Possiamo dunque ottere il parametro wx dal sistema di equazioni differenziali, grazie alla relazione wx = −1 − 0 1 yH 3 yH (3.41) Dobbiamo ora esprimere la f (R) e le sue derivate in funzione di yH e yR . Queste assumono la forma n c1 (R/m2 ) f (R) = −m 1 + c2 (R/m2 )n 2 (3.42) n−1 fR (R) = − n fRR = c1 m2 n (R/m2 ) c1 n (R/m2 ) (3.43) 2 (1 + c2 (R/m2 )n ) n n 1 + c2 (R/m2 ) + n −1 + c2 (R/m2 ) R2 (1 + c2 (R/m2 )n ) 66 3 (3.44) Utilizzando la definizione di yR , possiamo esprimere lo scalare di curvatura come R = m2 (yR + a−3 ) ottenendo la f (R) e le sue derivate in funzione di yR . Se poniamo R >> m2 , il modello assume la forma n c1 2 c1 m2 f (R) ≈ − m + 2 (3.45) c2 c2 R Come abbiamo visto in precedenza, lo scalare di curvatura R non diminuisce indefinitamente, ma si blocca ad un valore finito. L’approssimazione fatta sarà quindi valida per l’intera evoluzione dell’Universo [36]. Scriviamo quindi c1 2 m c2 in modo da legare le due costanti ai parametri cosmologici R ≈ k2ρ + 2 (3.46) Ω̃x c1 (3.47) ≈ 6c2 Ω̃m I soli parametri che controllano ora quanto il modello sia prossimo a quello di costante cosmologica sono n e c1 /c22 . L’espansione di un Universo piatto, in cui i soli fluidi presenti sono quelli rappresentati da Ω̃m e Ω̃x , ci dà Ω̃x a−3 + 4 Ω̃m R ≈ 3m2 ! (3.48) Derivando la (3.45) si ottiene n+1 c1 m2 fR (R) ≈ −n 2 (3.49) c2 R Esprimendo ora lo scalare di curvatura, al tempo attuale e in un Universo piatto, come 12 R0 ≈ m −9 (3.50) Ω̃m otteniamo l’espressione di fR0 , derivata di f (R) al tempo attuale, ossia n+1 12 −n−1 − 9 c1 12 c1 Ω̃m fR0 = −n 2 −9 ⇒ 2 =− fR0 (3.51) c2 Ω̃m c2 n Siamo ora in grado di risolvere il sistema di equazioni differenziali dato dalle 2 equazioni (3.35) e (3.36) dove le variabili incognite sono yH (a) e yR (a), con a fattore di scala, e i parametri che controllano la teoria sono i valori di n e fR0 . 67 3.3.1 Integrazione Numerica e Phantom Crossing Una volta riscritte le equazioni che compongono il sistema in funzione delle variabili yH e yR , possiamo procedere alla sua integrazione; questo è stato fatto utilizzando la funzione di integrazione numerica del programma Mathematica, la quale seleziona automaticamente l’algoritmo di soluzione numerica più adatto al sistema in questione. Per integrare il sistema dato dalle equazioni (3.35) e (3.36) è necessario però definire le condizioni iniziali. Le variabili yH e yR sono definite in modo da risultare nulle in un’epoca di pura materia. Quella che in realtà consideriamo come epoca iniziale per il sistema di equazioni differenziali è dominata dalla materia, ma contiene un fluido di energia oscura con parametro dell’equazione di stato wx . Pertanto possiamo costruire il parametro di Hubble iniziale a partire dall’equazione di Friedmann R 1 3[1+wx (a)] H2 Ωm da a = 3 + Ωx e a H0 a (3.52) Il modello di costante cosmologica è in accordo con i dati sperimentali nelle epoche precedenti alla fase accelerata. Vogliamo quindi che il nostro modello emuli la ΛCDM nella fase in cui domina la materia; poniamo quindi che all’istante iniziale wx = −1. Otteniamo quindi: 2 Hin = m2 (a−3 + Ωx ) Ωm (3.53) Sostituendo nella definizione di yH otteniamo: in yH = Ωx Ωm (3.54) Per ottenere la yRin dobbiamo utilizzare la (3.31) e quindi definire la derivata logaritmica del parametro di Hubble. Utilizzando la (3.52) 2HH 0 = −3m2 a−3 ⇒ R = 12H 2 + 6HH 0 = m2 ( Ωx 3 + 12 ) 3 a Ωm (3.55) Sostituendo nella definizione di yR si ottiene quindi: yRin = 12 68 Ωx Ωm (3.56) Possiamo a questo punto risolvere numericamente il sistema ottenendo gli andamenti di yH e yR in funzione del fattore di scala a o del redshift z = −1 + (1/a), mostrati nelle figure 3.4 e 3.5. Figura 3.4: Andamento di yH in funzione del redshift z, nel caso in cui n = 1 e fR0 = −0.1. Figura 3.5: Andamento di yR in funzione del redshift z, nel caso in cui n = 1 e fR0 = −0.1. Una volta ricavate le funzioni yH e yR possiamo ottenere l’andamento del parametro dell’equazione di stato wx che abbiamo definito come wx = −1 − 69 0 1 yH 3 yH (3.57) 0 dove yH si può ottenere dalla yR grazie all’equazione (3.35). Figura 3.6: Andamento del parametro wx nel caso di n = 1 e per fR0 pari a −0.1 (linea nera), −0.03 (linea rossa) e −0.01 (linea verde). Notiamo dalla figura 3.6 il peculiare andamento del parametro dell’equazione di stato in questo modello; wx parte da un valore superiore a −1 al tempo attuale e decresce fino ad compiere un phantom crossing passando oltre la barriera w = −1. Andando verso grandi redshift il parametro tende asintoticamente a −1 al passato. Questo andamento si ripete per qualsiasi valore dei parametri n e fR0 . Diminuendo fR0 diminuisce la distanza di wx dal valore −1, mentre aumentando il valore di n, come notiamo in figura 3.7, diminuisce il redshift a cui avviene il phantom crossing, diminuzione attribuibile anche al variare di fR0 , ma in maniera praticamente trascurabile. 70 Figura 3.7: Andamento del parametro wx nel caso di n = 2 e per fR0 pari a −0.1 (linea nera), −0.03 (linea rossa) e −0.01 (linea verde). Possiamo inoltre studiare l’andamento del parametro wef f = −1 − 2Ḣ 3H 2 (3.58) che esprime l’andamento del parametro dell’equazione di stato complessiva dell’Universo, fornendo un’indicazione sul passaggio dalla fase dominata dalla materia alla fase di espansione accelerata. In questo formalismo il parametro assume la forma wef f = −1 − 0 1 yH − 3a−3 3 yH + a−3 71 (3.59) Figura 3.8: Andamento del parametro wef f nel caso di n = 1 (linea nera) e n = 2 (linea rossa). Osserviamo nella figura 3.8 come il parametro segua l’andamento aspettato partendo da un valore al passato, dove domina la materia, che tende a 0 per poi scendere verso −1 portando così l’espansione dell’Universo nella fase accelerata. Il modello produce quindi un’evoluzione plausibile, seppur peculiare, con una fase di materia a grande redshift dove l’Universo si comporta come un fluido con wef f = 0 e con una fase accelerata dove il wef f diminuisce. Dalla funzione yH è possibile ricavare l’andamento del parametro di Hubble che può essere ottenuto dalla definizione di yH : H= p m2 (yH + a−3 ) 72 (3.60) Figura 3.9: Andamento del parametro di Hubble in funzione del redshift nel caso di n = 1 e fR0 = −0.1. Il prossimo passo che faremo sarà quello di vincolare i parametri del modello attraverso il confronto dell’andamento della distanza di luminosità predetto dal modello con quello osservato. Figura 3.10: Distanza di luminosità per il modello di gravità modificata con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) e n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa) e per un modello di costante cosmologica (linea verde). La figura 3.10 mostra come il modello predica una distanza di luminosità che non 73 si discosta molto da quella prevista dal caso di costante cosmologica. Possiamo quindi pensare che sarà difficile vincolare in modo forte i parametri della teoria utilizzando solo questa osservabile. 3.4 Test Locali Per finire, accenniamo a come il modello di Hu e Sawicki riesca a superare agevolmente i vincoli locali di gravità che invece creano solitamente problemi ai modelli f (R). Qualitativamente la modifica della gravità deve introdurre un meccanismo che agisca su scale cosmologiche portando all’accelerazione dell’espansione, mentre su piccola scala, dove sono disponibili verifiche sperimentali della gravità di Einstein, non può discostarsi troppo dalla relatività generale. Come abbiamo detto, nel frame di Einstein la modifica alla relatività generale è contenuta nel campo scalare φ; questo campo è accoppiato con la materia allo stesso modo della gravità e introduce quindi una quinta forza il cui potenziale può essere espresso tramite un andamento tipo potenziale di Yukawa. Il range della forza sarà quindi inversamente proporzionale alla massa del campo mφ . Perché si abbiano effetti su scale cosmologiche questa forza deve essere a lungo range, ma in questo modo la modifica alla relatività generale non sarebbe compatibile con i test locali che ben supportano la gravità di Einstein [37]; l’entità di questa forza aggiuntiva dovrebbe quindi essere così piccola da sfuggire ai nostri esperimenti, ma in tal modo essa non potrebbe produrre l’espansione accelerata dell’Universo. Alcune f (R) esibiscono però un meccanismo, il meccanismo camaleonte [38], che rende possibile soddisfare i test locali senza che la teoria coincida con la relatività generale associata ad una costante cosmologica (ΛCDM ); si possono costruire infatti delle funzioni tali che il campo associato φ, introdotto nel passaggio al frame di Einstein,abbia una massa piccola quando la densità dell’ambiente è bassa e una massa grande, tale da portare il range a scale che sfuggono ai test, dove la densità è alta. Vediamo il funzionamento di questo meccanismo utilizzando come esempio il 74 modello (3.25). Possiamo ottenere dall’azione le equazioni di campo per fR : 32fR − R + fR R − 2f = −k 2 ρ (3.61) dove k 2 = 8πG. Prendiamo la generica metrica a simmetria sferica ds2 = −[1 − A(r) + 2B(r)]dt2 + [1 + 2A(r)](dr2 + r2 dΩ) (3.62) In relatività generale B(r) → 0; saranno quindi le misure su questo parametro effettuate nel sistema solare a fornire i vincoli sulle modifiche alla gravità. Si può mostrare [36] che nel limite |fR | << 1, |f /R| << 1 si ha 1 ∇2 B ≈ (k 2 ρ − R) 3 (3.63) La sorgente di B è quindi la deviazione della curvatura R dal valore k 2 ρ assunto in relatività generale. Le equazioni di campo per fR nel caso statico diventano 3∇2 fR − R + fR R − 2f = −k 2 ρ (3.64) 1 ∇2 fR ≈ (R − k 2 ρ) ⇒ B(r) = −fR (r) + a1 3 (3.65) da cui si ottiene Assumendo che a grandi distanze dalla sorgente del campo metrico fR → fR∞ e B→0 B(r) = −[fR (r) − fR∞ ] ≡ −∆fR (r) Possiamo inoltre definire una massa effettiva Z R Mef f = 4π (ρ − 2 )r2 dr k (3.66) (3.67) tale da poter esprimere la deviazione dal caso general relativistico γ−1≡ B 2Mef f →− A−B 3Mtot + Mef f (3.68) dove Mtot è la massa totale del sistema. L’equazione di campo (3.64) per fR ha due tipi di soluzioni locali, distinte dal 75 confronto della lunghezza Compton del campo (λfR ) con la densità della sorgente, dove λfR ≡ m−1 fR ≈ p 3fRR (3.69) La prima classe di soluzioni ha alta curvatura R ≈ k 2 ρ e piccoli gradienti di campo ∇2 fR << k 2 ρ, mentre per la seconda classe si ha R << k 2 ρ e ∇2 fR ≈ −k 2 ρ/3 [36]. Una condizione necessaria per la soluzione ad alta curvatura è che i gradienti di campo possano essere trascurati in confronto ai gradienti di densità; questo implica che la densità del sistema varia su scale molto più grandi della lunghezza Compton del campo. Equivalentemente, la forza introdotta dal campo scalare, la quale segue un potenziale tipo Yukawa (e−mfR r /r), sarà altamente soppressa se vale questo rapporto tra la lunghezza Compton e la scala di variazione della densità. Se questa condizione, detta condizione Compton, è valida per ogni r, allora anche la soluzione ad alta curvatura sarà valida per qualsiasi raggio e le deviazioni dalla relatività generale saranno fortemente soppresse. Se invece la condizione Compton non vale oltre un certo raggio, una porzione dello spazio si troverà a bassa curvatura (R << k 2 ρ). Inoltre, dato che il teorema di Birkhoff non vale in questa situazione [39] la zona esterna può modificare la parte ad alta curvatura. La soluzione interna dipende quindi dalle condizioni esterne. Possiamo notare come il massimo cambiamento di fR dall’interno all’esterno sia imposto dall’assunzione di bassa curvatura R << k 2 ρ o, equivalentemente, Mef f = Mtot ; si ha 2 ∆fR (r) ≤ Φm (r) 3 (3.70) dove Φm è il potenziale Newtoniano generato dalla sorgente (Φm ≈ GMtot /r). Se abbiamo |∆fR (r)| << Φm (r), allora Mtot >> Mef f e da qualche parte deve esistere una regione ad alta curvatura dove R → k 2 ρ. Per stimare dove si trova questa regione consideriamo una versione locale dell’equazione (3.70): ∆fR (r) . k 2 (ρ − ρ∞ )r2 76 (3.71) Muovendoci dall’esterno verso l’interno, non appena questa condizione è soddisfatta, è possibile passare dal valore esterno a quello interno del campo. Il campo esterno sarà quindi generato da una shell di massa Mef f . La relazione |∆fR (r)| << Φm (r) è detta condizione di thin shell. Il modello f (R) tale da generare un campo fR che rispetti questa condizione esibisce il meccanismo camaleonte; nella zona più vicina alla sorgente di massa varrà infatti la soluzione ad alta curvatura e le deviazioni dalla relatività generale saranno soppresse, mentre nella zona esterna le deviazioni possono manifestarsi. Ponendo come sorgente centrale il Sole, questo meccanismo consente di soddisfare i vincoli sulla gravità posti dagli esperimenti nel sistema solare dato che la zona centrale si troverà ad alta curvatura [36], mentre all’esterno il campo potrà portare all’espansione accelerata dell’Universo. Consideriamo l’equazione (3.64) data la ρ(r) misurata nei dintorni del Sole e poniamo fR∞ = fRg = fR (R = k 2 ρg ) (3.72) dove ρg è la densità galattica media nella zona vicina al Sole. In questa situazione, la condizione di thin-shell è soddisfatta finchè |fR0 | . 10−1 e le deviazioni dalla relatività generale saranno soppresse nelle vicinanze del Sole fino al punto dove la condizione viene violata. Il picco di discrepanza dalla teoria di Einstein è [36] |γ − 1| ∼ 10−15 (3.73) e il modello supera il vincolo solare [37] |γ − 1| < 2.3 × 10−5 (3.74) Se si ripete la stessa analisi con la galassia come zona centrale in modo da studiare il passaggio alla densità cosmologica, si ha un vincolo più stringente sul valore di fR0 , infatti si ottiene che la galassia evolverà, durante la fase accelerata, verso un regime di bassa curvatura, a meno che non si abbia fR0 . 10−6 . Questo vincolo è però legato alla struttura dell’alone galattico, il quale incide sulle modalità di penetrazione della soluzione a bassa curvatura all’interno della galassia. Questo suggerisce però che effettuando simulazioni sui modelli di aloni galattici 77 sia possibile porre vincoli ai modelli f (R) più stringenti di quelli dovuti ai test di gravità effettuati nel sistema solare. 78 Capitolo 4 Confronto con i dati osservativi Vogliamo ora effettuare un confronto tra il modello di gravità modificata che abbiamo analizzato nel capitolo precedente e i dati sperimentali. Il confronto verrà effettuato sfruttando le relazioni che legano la distanza di luminosità dL con i parametri del modello, in particolare con i parametri cosmologici Ωm e Ωx e con il parametro dell’equazione di stato w. Necessitiamo quindi di una qualche osservabile astrofisica che ci consenta di campionare sperimentalmente la distanza di luminosità a vari redshift. Per avere questo tipo di informazioni utilizziamo le supernovae di tipo Ia. Nella prima parte di questo capitolo analizzeremo rapidamente le principali proprietà fisiche di queste sorgenti e il metodo di analisi utilizzato. Nelle sezioni successive passeremo all’analisi sperimentale vera e propria confermando alcuni risultati già presenti in letteratura, per poi passare all’analisi del modello di Hu e Sawicki. 4.1 Supernovae come Candele Standard Gli oggetti che ci consentono di ottenere sperimentalmente la distanza di luminosità sono detti candele standard. Per queste sorgenti riusciamo ad ottenere la magnitudine assoluta M senza conoscere la loro distanza dal punto di osservazione. La magnitudine assoluta è un indice della luminosità intrinseca della sorgente ed 79 è legata alla magnitudine apparente m, un indice della luminosità osservata, e alla distanza di luminosità dalla relazione µ = m − M = 5log10 (dL ) + 25 (4.1) dove µ è detta magnitudine ridotta. Le candele standard ci consentono quindi di risalire alla distanza di luminosità a partire dalla loro magnitudine assoluta. Una classe di questo tipo di sorgenti è quella delle supernovae; queste sono classificate come stelle variabili, ossia come stelle la cui luminosità varia nel tempo. In particolare queste stelle sono delle variabili esplosive una categoria che racchiude le variabili la cui magnitudine aumenta improvvisamente fino ad arrivare ad un massimo per poi decrescere. Tra queste le supernovae sono quelle con variazioni maggiori, mostrando cambiamenti di intensità di circa 20 magnitudini legati a espulsioni di energia di circa 1049 −1051 erg; questo fatto consente la loro osservazione anche a grandi distanze. Lo studio dell’andamento della luminosità nel tempo, detto curva di luce, dello spettro della luce emessa e delle proprietà statistiche consentono la distinzione delle supernovae nei tipi SnI e SnII. Esiste una classificazione più fine dei due tipi di supernovae, dove si distinguono i sottotipi Ia, Ib e Ic, dalle diversità negli spettri e nelle curve di luce, e i sottotipi IIL e IIP , a seconda che la decrescità della curva di luce sia lineare o presenti un plateau. Quello delle SnIa è il sottotipo che contiene le supernovae più luminose e osservate più di frequente. 80 Figura 4.1: Curva di luce tipica di un supernova in varie bande spettrali dove il tempo è misurato in giorni a partire dal massimo. Si pensa che le SnIa siano il risultato della distruzione termonucleare di nane bianche composte da carbonio e ossigeno; le nane bianche sono stelle in una fase avanzata di vita che si presentano come una struttura di gas compatto e degenere che possiede un massa limite, la massa di Chandrasekhar Mc = 1.44 · M , dove M è la massa del Sole. Se le nane bianche superano questa massa limite, ad esempio acquisendo massa da una stella compagna, si innescano delle reazioni termonucleari che portano all’esplosione della stella producendo l’aumento improvviso di magnitudine che caratterizza le supernovae. Dal punto di vista spettroscopico, le SnIa sono caratterizzate da un forte assorbimento a 615nm dovuto al SiII e da ben marcate righe del CaII e del M gII, mentre sono deboli o assenti le righe dell’idrogeno, segno che la stella che ha prodotto l’esplosione si trovava effettivamente in una fase di vita avanzata. Grazie all’uniformità delle curve di luce delle supernovae SnIa, è stato possibile calibrare la magnitudine assoluta del massimo tramite le cefeidi, variabili che 81 consentono di misurare con precisione la distanza delle galassie in cui si osservano le supernovae; in questo modo è stata misurata una magnitudine di picco in banda B pari a MB = −19.48 ± 0.07. Per giungere a questa calibrazione, è necessario eliminare una serie di effetti sistematici come l’attenuazione dovuta alla polvere interstellare, la presenza di eventuali lenti gravitazionali e gli errori sistematici dovuti principalmente a effetti di selezione: saranno infatti scoperte più facilmente supernovae più luminose e quindi una magnitudine media calcolata senza correzioni risulterà più brillante della media reale (effetto Malmquist). Queste proprietà, in particolare la piccola dispersione sulla magnitudine di massimo, fanno delle SnIa delle ottime candele standard. L’acquisizione delle supernovae viene effetuata determinando la curva di luce dall’andamento della luminosità in funzione del tempo e determinando dallo spettro la classe di appartenenza una volta sottratto lo spettro della galassia ospite. Quello a cui siamo interessati è la determinazione della magnitudine assoluta della supernova osservata, la quale ci consente di risalire alla sua distanza di luminosità dL ; questa operazione risente di tre problemi principali, ossia lo spostamento dovuto al redshift, l’estinzione galattica e la dispersione nella magnitudine assoluta del picco, risolvibili attraverso il confronto delle supernovae ad alto redshift con quelle a piccoli z. L’azione del redshift può essere corretta attraverso il metodo K-Correction [40] che consente di ottenere la magnitudine assoluta della supernova in un sistema di riferimento che sia ad essa solidale. Per fare questo si parte da una supernova a basso redshift di cui si abbia la fotometria nelle bande B e V e si modifica lo spettro come se essa subisse un redshift z in modo da determinare le bande fotometriche che restituiscono le stesse magnitudini. In questo modo misurando la magnitudine degli oggetti ad alto redshift è possibile effettuare il confronto con le supernovae campione. L’estinzione galattica AR può invece essere legata all’eccesso di colore EB−V , ossia la differenza di emissione della sorgente nelle bande B e V; questa può essere calcolata e tramite il confronto con le supernovae a basso redshift è possibile risalire al parametro di estinzione AR . 82 Il terzo problema è invece dovuto al fatto che le supernovae non presentano tutte la stessa magnitudine assoluta; le differenze possono essere calibrate a partire dalle curve di luce attraverso diversi metodi che elenchiamo brevemente: • Si può sfruttare l’esistenza di una relazione lineare tra la magnitudine in banda B osservata 15 giorni dopo il massimo e la magnitudine massima [41] • Si può utilizzare il metodo detto Multicolor Light Curve Shape Method (MLCSM) basato sul fit della curva di luce osservata, legata alla luminosità di picco [41] • Un terzo metodo si fonda sull’utilizzo di una correzione espressa da una funzione monotona s, la quale rappresenta quanto la curva di luce della supernova osservata si discosta dalla curva usata come riferimento per le supernovae SnIa [42], [43] Nonostante l’utilizzo di questi metodi, permane un errore sulla magnitudine di picco di circa 0.17 magnitudini che andrà poi a ripercuotersi sull’analisi sperimentale. Oltre ai problemi relativi alla magnitudine di picco, esistono altri errori sistematici, ad alcuni dei quali abbiamo già accennato, che influiscono sull’acquisizione del campione: • Estinzione galattica La galassia che ospita la supernova può causarne una diminuzione apparente di intensità a causa delle polveri che essa contiene. Per verificare se questo effetto è presente occorre un confronto tra la curva di luce della supernova osservata e quella di supernovae a basso redshift • Effetto Malmquist La strumentazione utilizzata per la ricerca delle supernovae impone un limite inferiore sulla luminosità misurabile. Sorgenti con magnitudine apparente troppo debole vengono automaticamente escluse dalla survey inficiando 83 la coda a bassa magnitudine del campione. Inoltre le sorgenti a bassa magnitudine sono difficilemente rivelabili anche perché presentano curve di luce più strette il cui massimo dura quindi per meno tempo. • Lensing Gravitazionale Una supernova osservata lungo una linea di vista che presenta una densità di materia più elevata del normale presenterà una magnitudine amplificata a causa del lensing. • Evoluzione La fisica che porta alla formazione delle supernovae non è ancora del tutto chiara; non si conoscono infatti gli effetti dell’abbondanza e della distribuzione degli elementi sull’esplosione e questo può portare ad assunzioni non giustificate dalla teoria. • Contaminazione del campione Nelle survey di supernovae vengono inevitabilmente osservati oggetti non appartenenti al gruppo SnIa a cui siamo interessati; queste sorgenti devono quindi essere riconosciute ed eliminate dal campione per non inficiare l’analisi sperimentale Una volta tenuti in considerazione e corretti, per quanto possibile, questi effetti, possiamo ottenere un campionamento sperimentale della distanza di luminosità dL dalla misura della magnitudine ridotta µ utilizzando la relazione (4.1). Nel seguito useremo per la nostra analisi sperimentale un set di 157 supernovae, ricavato da Riess et al. [14], composto da una serie di osservazioni effettuate a terra e da 16 effettuate con l’Hubble Space Telescope. Il set fornisce, oltre alla magnitudine ridotta µ e al redshift, l’errore statistico su µ. 4.2 Osservabili cosmologiche, la costante cosmologica e i modelli alternativi Prima di iniziare l’analisi del modello di Hu e Sawicki, vogliamo decrivere qui brevemente il tipo di analisi statistica utilizzato, ricavando alcuni risultati 84 già presenti in letteratura, in particolare in Riess et al. [14]. Produrremo infatti,utilizzando il modello di costante cosmologica, dei vincoli sui parametri cosmologici Ωm e ΩΛ analizzando anche il caso di Universo piatto e otterremo l’andamento di Ωm in funzione del valore della costante di Hubble H0 . Otterremo anche dei vincoli sul parametro dell’equazione di stato w nel caso costante e nel caso in cui w = w0 + w1 z mostrando come il modello di costante cosmologica non sia confutato dalle osservazioni, le quali non escludono però possibilità alternative. Per prima cosa vogliamo capire i rapporti tra le densità di energia delle varie componenti dell’Universo. Trascurando la componente di radiazione, il parametro di Hubble in un modello di costante cosmologica assume la forma r Ωm ΩΛ H2 2 −3 = + Ω ⇒ H = Ω H (a + ) m Λ 0 H02 a3 Ωm (4.2) Da questa relazione possiamo calcolare la distanza di luminosità dL tramite la relazione (1.58), ottenendo c dL (a) = a Z a 1 da q a2 Ωm H02 (a−3 + ΩΛ ) Ωm (4.3) Per poter confrontare il modello con i dati sperimentali dobbiamo ricostruire una magnitudine ridotta teorica µth attraverso la relazione µth = 25 + 5log10 dL (a) (4.4) A questo punto possiamo analizzare il modello costruendo una variabile di chi quadro (χ2 ) definita come 2 χ = n X (µi − µth )2 i σi2 i=1 (4.5) dove µi è il valore sperimentale della magnitudine per la supernova osservata al redshift zi , σi è il suo errore statistico, µth i è il valore teorico calcolato al redshift zi e n è il numero di supernovae osservate nella survey di Riess et al. [14]. 85 In realtà, prima di calcolare il χ2 al variare di Ωm e ΩΛ , abbiamo marginalizzato sul parametro H0 ; l’eliminazione di H0 dall’analisi rispecchia il fatto che questo parametro gioca nella definizione di µ un ruolo di calibrazione. Possiamo infatti riscrivere la magnitudine ridotta come µ = 25 + log10 d˜L − log10 H0 dove c d˜L = a 1 Z a da q a2 Ωm (a−3 + ΩΛ ) Ωm (4.6) (4.7) Variare H0 porta quindi ad uno spostamento verso l’alto o verso il basso della curva, ma non ad un cambio di pendenza. La marginalizzazione è stata eseguita selezionando alcuni valori dei due parametri di interesse e calcolando il χ2 minimo al variare di H0 . Ai valori di Ωm e ΩΛ campionati è stato assegnato il valore corrispondente creando così una tabella di valori {Ωm , ΩΛ , χ2 }. Interpolando questi valori otteniamo l’andamento del χ2 in funzione dei due parametri cosmologici. A questo punto possiamo trovare il minimo e sottrarlo alla funzione, ottenendo così il chi quadro normalizzato χ2norm . Da quest’ultimo possiamo costruire una funzione L definita come L = e− χ2 norm 2 (4.8) Questa funzione, detta Likelihood o funzione di massima verosimiglianza, ha valori compresi tra 0 e 1. In prima approssimazione possiamo supporre che questa curva si comporti come la funzione che restituisce la densità di probabilità di ottenere un certo punto {Ωm , ΩΛ } nello spazio dei parametri. Possiamo quindi ottenere i livelli di confidenza per i parametri come notiamo in figura 4.2 86 Figura 4.2: Livelli di confidenza al 68%, al 95% e al 99% per i valori di Ωm e ΩΛ . Come possiamo osservare i dati sperimentali suggeriscono fortemente la presenza di una componente di costante cosmologica da affiancare alla componente di materia; questo fatto conferma l’espansione accelerata dell’Universo. La retta in figura 4.2 rappresenta i valori dei parametri per cui l’Universo risulta piatto; come detto precedentemente le misure di altre osservabili supportano un Universo 87 di questo tipo, restringendo ulteriormente lo spazio dei parametri. Per ottenere questa misura abbiamo dovuto marginalizzare sulla costante di Hubble per eliminarla dall’analisi; questo suggerisce un’altra interessante misura, ossia identificare l’andamento del parametro Ωm al variare di H0 . Ponendoci in caso di Universo piatto, in modo da eliminare il parametro ΩΛ , utilizzando la (4.3) otteniamo c dL (a) = H0 a Z a 1 da a2 p Ωm a−3 + (1 − Ωm ) (4.9) Procedendo in totale analogia con il caso precedente, fatta eccezione per la marginalizzazione su H0 , possiamo costruire il χ2 e da esso la likelihood L, ottenendo così i livelli di confidenza mostrati in figura 4.3 Figura 4.3: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per il valore di Ωm al variare di H0 . 88 Osserviamo come i valori di Ωm che risultano accettabili dalla nostra analisi sono in buon accordo con i valori ottenuti da altri esperimenti come possiamo vedere confrontando i nostri risultati con la figura 2.3; i valori del parametro H0 sono invece leggermente inferiori all’intervallo di valori generalmente accettato e questo può essere dovuto a effetti di calibrazione della distanza di luminosità sperimentale. Fino ad ora abbiamo identificato l’energia oscura come un fenomeno prodotto dalla costante cosmologica, ma l’analisi delle supernovae ci consente anche di verificare se questa ipotesi è plausibile o se piuttosto l’accelerazione dell’Universo sia imputabile ad un diverso tipo di fluido. Per fare questo possiamo ripetere il procedimento lasciando libero il parametro dell’equazione di stato w senza fissarlo quindi al valore di −1 associato alla costante cosmologica. Assumendo che l’Universo sia piatto, la distanza di luminosità prende la forma Z 1 c da p (4.10) dL (a) = 2 −3 aH0 a a Ωm a + (1 − Ωm )a−3(1+w) In questo caso stiamo assumendo che il fluido incognito, identificabile con l’energia oscura, possieda un parametro w costante. Marginalizzando su H0 e costruendo la funzione di massima verosimiglianza, otteniamo i livelli di confidenza mostrati nella figura 4.4. Possiamo notare come il modello contenente la costante cosmologica non sia escluso dai dati sperimentali, ma osserviamo comunque una certa evidenza per un w < −1; i vincoli imposti dall’analisi non sono però così stringenti da spingerci a scartare l’ipotesi che l’espansione accelerata sia prodotta dalla costante cosmologica. 89 Figura 4.4: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per i valori di w e Ωm . Supponendo invece che il parametro w abbia un andamento dipendente dal redshift, possiamo parametrizzarlo nella forma: w = w0 + w1 z (4.11) Ripetendo la stessa analisi con parametri liberi w0 e w1 , scegliendo un Universo piatto in cui Ωm = 0.3, otteniamo i vincoli sui due parametri che possiamo osservare nella figura 4.5 90 Figura 4.5: Livelli di confidenza al 68%, 95% e 99% per i valori di w0 e w1 . Possiamo notare come anche da questa analisi, il modello di costante cosmologica non risulta escluso, ma non abbiamo nemmeno evidenze conclusive che questo sia il modello da utilizzare. 91 4.3 Osservabili cosmologiche e il modello di Hu e Sawicki Prima di procedere all’analisi statistica dei parametri del modello vogliamo studiare alcune principali osservabili astrofisiche, nell’ambito del modello di Hu e Sawicki. In primo luogo possiamo analizzare l’età dell’universo predetta dal modello, integrando l’equazione di Friedmann ricordando che yH = H2 − a−3 2 Ω̃m H0 (4.12) Ricaviamo quindi: 1 H02 2 q ȧ = Ω̃m (yH + a−3 ) a (4.13) Integrando questa equazione si ottiene l’andamento dell’età dell’universo in funzione del fattore di scala a 1 p t= H0 Ω̃m Z a 0 da p a yH + a−3 (4.14) Da questa equazione otteniamo l’andamento mostrato in figura 4.6. Figura 4.6: Andamento dell’età dell’universo nel caso di costante cosmologica (linea verde) e nel caso del modello di Hu e Sawicki con fR0 = −0.1 e n = 1 (linea nera) o n = 2 (linea rossa). 92 Notiamo come l’andamento sia molto simile se si eccettuano i grandi redshift dove si osserva una lieve differenza tra il modello di costante cosmologica e il modello di Hu e Sawicki per il quale gli andamenti per n = 1 e n = 2 sono completamente sovrapposti a tali redshift. Un’altra differenza può essere riscontrata, come vediamo dalla figura 4.7 nell’età attuale dell’universo, ma questa è così lieve che non è possibile escludere nessuno dei modelli tramite le attuali misure sperimentali [12]. Figura 4.7: Andamento dell’età dell’universo nel caso di costante cosmologica (linea verde) e nel caso del modello di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) o n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). Un altro possibile test per la validità del modello è dato dal confronto tra l’andamento predetto del parametro di Hubble e i dati osservativi [44] ottenuti dalla relazione H(z) = 1 dz 1 + z dt 93 (4.15) Figura 4.8: Confronto con i dati osservativi dell’andamento del parametro di Hubble nel caso di costante cosmologica (linea verde) e nel caso del modello di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) o n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). Come si nota dalla figura 4.8, gli andamenti prodotti dai due modelli sono molto simili e si raccordano abbastanza bene con i dati osservativi a basso redshift; per grandi redshift l’andamento dei dati osservativi non sembra accordarsi bene con le previsioni teoriche, ma questo può essere dovuto ad errori sulle misure effettuate a grande distanza. Analizziamo ora l’andamento del parametro di decelerazione in funzione del redshift; questo andamento ci fornisce una prima stima di come il modello di gravità modificata cambi l’espansione dell’universo. Abbiamo definito il parametro di decelerazione attuale tramite l’equazione (1.49), ma possiamo definire anche un parametro di decelerazione dipendente dal fattore di scala: 1 ä H(a)2 a Partiamo dall’equazione (4.13) derivandola: " 2 # 2 ȧ ä ȧ ȧ 0 − = Ω̃m (yH − 3a−3 ) H0 a a a a q(a) = − (4.16) (4.17) dove yh0 = dyH /dlna. q L’equazione può essere riformulata, ricordando che ȧ/a = H/H0 = Ω̃m (yH + a−3 ), come q(a) = −1 − 0 1 yH − 3a−3 1 3 = + wef f −3 2 yH + a 2 2 94 (4.18) dove wef f è il parametro dell’equazione di stato complessiva dell’Universo descritto dal modello di Hu e Sawicki, definito dalla (3.59). Procedendo allo stesso modo nel modello di costante cosmologica, il parametro di decelerazione assume la forma q(a) = Ωm − ΩΛ 2 −3 Ωm a + ΩΛ (4.19) che, calcolata al tempo attuale in un universo piatto, restituisce la definizione del q0 . Possiamo quindi ottenere gli andamenti del parametro di decelerazione rappresentati in figura 4.9 Figura 4.9: Andamento del parametro di decelerazione nel caso di costante cosmologica (linea verde) e nel caso del modello di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) o n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). Osserviamo dalla figura 4.9 come l’andamento del q(z) resti essenzialmente invariato passando dal modello di costante cosmologica a quello di Hu e Sawicki; la principale differenza tra i due modelli può essere riscontrata a redshift bassi dove il modello di Hu e Sawicki si discosta leggermente dal modello di costante cosmologica, portando ad un valore meno negativo del parametro. Un altro esempio delle modifiche apportate dall’introduzione del modello di Hu e Sawicki può essere rintracciato nell’andamento della distanza angolare dA , definita come dA (z) = dL (z) (1 + z)2 95 (4.20) Ricordando la definizione di yH , possiamo ottenere l’andamento del parametro di Hubble yH = H2 − a−3 2 Ω̃m H0 (4.21) da cui otteniamo la distanza di luminosità predetta dal modello di Hu e Sawicki, la quale può essere scritta nella forma c dL (a) = aH0 Z a 1 da q a2 Ω̃m (yH + a−3 ) (4.22) Possiamo confrontare l’andamento della distanza angolare nel modello di Hu e Sawicki con i dati osservativi. La distanza angolare in funzione del redshift può essere ottenuta sperimentalmente grazie all’effetto Sunyaev-Zel’Dovich; questo descrive l’interazione dei fotoni con il gas caldo e ionizzato presente all’interno dei cluster di galassie. Dallo spostamento in frequenza dei fotoni che attraversano un cluster, si può risalire alla dimensione del cluster e, da questa, alla distanza angolare dello stesso [45]. Tramite il set di dati di distanza angolare ottenuta da Bonamente et al. [46], possiamo costruire un grafico di confronto (figura 4.10) tra il modello di costante cosmologica, il modello di Hu e Sawicki e i dati osservativi. Figura 4.10: Andamento della distanza angolare nel modello di costante cosmologica (linea verde) e nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) e n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). I vari andamenti sono confrontati con l’andamento sperimentale. 96 Osserviamo come l’andamento nel modello di Hu e Sawicki sia diverso da quello dato dalla costante cosmologica; quest’ultima genera infatti un andamento simile a quello di Hu e Sawicki con n = 2 e fR0 = −0.1 per piccoli redshift, mentre a redshift più grandi si avvicina al caso n = 1; è quindi interessante visualizzare l’andamento dei tre casi a redshift più alti in modo da verificare se eventuali survey più profonde possano fornire vincoli più stringenti sulla differenza tra i modelli. Notiamo dalla figura 4.11 come il modello di Hu e Sawicki con n = 1 e quello di costante cosmologica siano molto simili mentre il caso con n = 2 si discosta dagli altri, in particolare per redshift z ≈ 2. Possiamo quindi supporre che, nel caso fossimo in possesso di osservazioni di distanza angolare a tali redshift, potremmo distinguere tra i due casi. Figura 4.11: Andamento della distanza angolare nel modello di costante cosmologica (linea verde) e nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) e n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). Le considerazioni fatte fino ad ora ci forniscono un quadro qualitativo dell’influenza del modello di gravità modificata di Hu e Sawicki su alcune osservabili astrofisiche. Per ottenere dei risultati quantitativi, vogliamo ora procedere in analogia con il paragrafo precedente, dove l’analisi dei dati osservativi ci consente di porre dei vincoli sui parametri che determinano le teorie di evoluzione dell’Universo; utilizziamo quindi lo stesso procedimento con il modello di gravità modificata di Hu e Sawicki [36] in modo tale da porre dei limiti sui parametri n e fR0 che de97 terminano quanto esso si discosta dal modello di Universo in cui è la costante cosmologica a provocare l’espansione accelerata. Per prima cosa possiamo ripetere l’analisi dell’andamento di Ω̃m in funzione di H0 utilizzando la distanza di luminosità nella forma espressa dall’equazione (4.22), dove i parametri n ed fR0 entrano attraverso yH soluzione del sistema di equazioni differenziali definito dalla (3.35) e dalla (3.36). Va ricordato che l’Ω̃m che stiamo utilizzando in questo caso è in realtà una densità di energia effettiva, ossia il valore che viene misurato se si suppone erroneamente che l’Universo sia governato dalla gravità di Einstein; utilizzando il modello di gravità modificata il valore misurato sarebbe invece pari ad uno in quanto non è prevista la presenza di ulteriori componenti. Possiamo ripetere il procedimento utilizzato per il modello di costante cosmologica, una volta fissata una coppia di valori per i due parametri. Ponendoci nel caso di Universo piatto, in modo tale da eliminare il parametro Ω̃x che interviene all’interno del sistema di equazioni differenziali, otteniamo la figura 4.12 che descrive i livelli di confidenza per il valore della densità di energia della componente di materia al variare della costante di Hubble Figura 4.12: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per il valore di Ω̃m in funzione di H0 nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 1 e fR0 = −0.1. 98 I valori dei due parametri suggeriti dall’analisi effettuata utilizzando il modello di gravità modificata sono prossimi a quelli ottenuti tramite il modello cosmologico standard. L’intervallo di valori che Ω̃m può assumere è leggermente spostato verso valori più bassi rispetto al caso analizzato in precedenza, ma questi valori non sono comunque in conflitto con i limiti ottenuti da altre verifiche sperimentali. Quanto detto suggerisce che l’ipotesi che sia la modifica della gravità descritta in precedenza a portare all’espansione accelerata dell’Universo sia plausibile. L’Universo conterrebbe quindi una quantità di materia tale che Ωm = 1, ma effettuando le misure assumendo il modello gravitazionale di Einstein otteniamo dei valori diminuiti. La teoria di Hu e Sawicki descrive però una famiglia di modelli che si distinguono dal valore dei parametri n ed fR0 ; il prossimo passo è quindi quello di utilizzare i dati sperimentali a nostra disposizione per porre dei limiti a questi parametri. In particolare ci proponiamo di determinare il valore di fR0 al variare della densità di energia effettiva Ω̃m fissando alcuni valori del parametro n; Per fare questo risolviamo il sistema di equazioni differenziali lasciando liberi i parametri. La distanza di luminosità continua ad assumere la forma (4.22), ma in questo caso abbiamo yH = yH (a, n, fR0 , Ωm ) (4.23) Procediamo adesso fissando il valore di n = 0.5, 1, 2 e marginalizziamo, come visto in precedenza, sul parametro H0 ; otteniamo quindi dei valori del χ2 associati a coppie di valori {Ωm , fR0 }. Minimizziamo e normalizziamo ad uno il χ2 in modo da poter definire la likelihood; otteniamo così i livelli di confidenza mostrati nelle figure 4.13, 4.14 e 4.15 99 Figura 4.13: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per il valore di fR0 in funzione di Ω̃m nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 0.5. 100 Figura 4.14: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per il valore di fR0 in funzione di Ω̃m nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 1. 101 Figura 4.15: Livelli di confidenza al 68% e al 95% per il valore di fR0 in funzione di Ω̃m nel modello di gravità modificata di Hu e Sawicki con n = 2. 102 Osserviamo come sia presente una completa degenerazione sul parametro fR0 ; questo infatti non può essere vincolato dal valore del parametro cosmologico Ω̃m , ma è libero di variare nell’intervallo accettabile per il modello (fR0 < 0 con |fR0 | < 0.1 [36]). Notiamo però come all’aumentare di n l’intervallo di valori possibili per Ω̃m si sposti verso un più alto valore del parametro; questo fatto lascia supporre che si possano porre dei vincoli su n in quanto valori troppo grandi di questo parametro porterebbero a valori di Ω̃m non supportati dalle misure. In conclusione mostriamo in che modo è possibile visualizzare le modifiche apportate al modello cosmologico dalla teoria di Hu e Sawicki tramite il test di Sandage-Loeb. Utilizzando l’equazione (1.67), dove il w è ottenuto dalla (3.57), otteniamo la figura 4.16 Figura 4.16: Andamento della variazione nel tempo del redshift per il modello di costante cosmologica (linea verde) e per il modello di Hu e Sawicki con n = 1, fR0 = −0.1 (linea nera) e con n = 2, fR0 = −0.1 (linea rossa). Notiamo che, se disponessimo della risoluzione necessaria ad osservare le variazioni di z nel tempo, potremmo utilizzare questo test per porre dei vincoli più stringenti sui parametri del modello di Hu e Sawicki visto che gli andamenti sono abbastanza distinti. 103 Capitolo 5 Conclusioni In questo lavoro abbiamo descritto le principali proprietà di una particolare famiglia di modelli di gravità modificata, al fine di vincolarne i parametri. Abbiamo visto come il modello cosmologico standard necessiti di una qualche componente, affiancata a materia non relativistica e radiazione, che possa spiegare l’espansione accelerata dell’Universo evidenziata dalle osservazioni degli ultimi anni. Inizialmente abbiamo identificato questa nuova componente con la costante cosmologica di Einstein, evidenziando i dati sperimentali che rendono tale modello un buon candidato per la spiegazione della fase accelerata. Abbiamo mostrato anche come la costante cosmologica soffra di pesanti problemi concettuali e come questo fatto abbia spinto alla ricerca di alternative. Ci siamo a questo punto soffermati sui modelli di gravità modificata mostrando le principali questioni, non solo di natura cosmologica, derivanti da considerazioni teoriche e sperimentali, che hanno portato all’idea di una modifica della lagrangiana di Einstein. Abbiamo quindi affrontato le conseguenze teoriche derivanti dall’utilizzo delle teorie f (R) per descrivere la gravità, soffermandoci in particolare sulle caratteristiche che questa funzione deve avere perché sia in accordo con i dati che descrivono la fase pre accelerata; questo è stato fatto ponendo delle condizioni sul parametro m(r) = RfRR /fR dove fR e fRR sono le derivate prima e seconda della funzione rispetto allo scalare di curvatura. Abbiamo quindi selezionato il modello f (R) di Hu e Sawicki, il quale soddisfa 105 le suddette condizioni, e abbiamo analizzato il tipo di espansione accelerata che esso produce, notando come esso porti ad un Universo che può essere descritto da una componente di energia oscura, affiancata alla materia non relativistica, che possiede un parametro w particolare; il modello produce infatti un’energia oscura il cui parametro w è attualmente maggiore di −1, mentre procedendo verso redshift alti si osserva un phantom crossing dove il parametro diventa minore di −1. A grandi redshift invece, muovendoci verso la fase dominata dalla materia, il w emula il modello di costante cosmologica (w = −1) a tempi passati, trovando così accordo con i dati osservativi. Infine, utilizzando i dati osservativi sull’andamento della distanza di luminosità ottenuti dalla survey di supernovae di Riess et al. [14], abbiamo effettuato un’analisi statistica del modello di Hu e Sawicki al fine di vincolare il parametro fR0 al variare del valore di Ωm . L’analisi però non ha consentito di porre vincoli su questo parametro, mostrando una completa degenerazione; abbiamo però notato come all’aumentare del parametro n aumenti anche il contenuto necessario di materia. Da queste considerazioni possiamo supporre che un diverso tipo di analisi possa giungere a porre dei limiti sul parametro n grazie proprio alla sua influenza sul valore del parametro Ωm . Inoltre va considerato il fatto che ci siamo limitati all’analisi del background omogeneo ed isotropo dell’Universo studiando l’amdamento della distanza di luminosità; potremmo in futuro effettuare uno studio dell’evoluzione delle perturbazioni primordiali, evoluzione che determina la formazione delle strutture presenti nell’Universo. L’analisi della formazione delle strutture prodotta dal modello di gravità modificata potrebbe infatti portare a dei vincoli più stringenti sui parametri che caratterizzano il modello. In futuro, aumentando la precisione degli strumenti di osservazione, potremo anche porre dei vincoli ai parametri del modello utilizzando il test di Sandage-Loeb [8] analizzando quindi la variazione nel tempo del redshift di una sorgente indotta dalla teoria di gravità modificata di Hu e Sawicki. 106 Ringraziamenti Un grande ringraziamento va ai miei genitori per avermi dato la possibilità di studiare quello che più mi piaceva, appoggiandomi in tutte le mie scelte e permettendomi di arrivare fin qui. Un grazie di cuore a Laura che ha sopportato tutto il mio nervosismo, la mancanza di tempo libero e la mia distrazione, sperando che possa sopportare tutto per molto altro tempo. Ringrazio siceramente il mio relatore, Alessandro Melchiorri, per la grande disponibilità dimostrata: mai avrei pensato di ricevere consigli e correzioni sulla chat di Gmail. Un grande ringraziamento al Prof. Luca Amendola per tutti i chiarimenti che mi ha dato e il tempo che mi ha dedicato nello sviluppo di questa tesi. Ringrazio gli amici di fisica, compagni di innumerevoli caffè e spettatori di lunghe invettive contro quell’infernale programma che è Mathematica. Infine un grazie agli amici ‘non fisici’ per non aver pensato che li stessi evitando vista la mia latitanza di questi ultimi mesi; mi è stato anche chiesto se non fossi per caso emigrato in Perù. 107 Bibliografia [1] Einstein A., Sitzungsber. Preuss. Akad. Wiss. phys.-math. Klasse VI, 142 (1917) [2] Misner C.W., Thorne K.S., Wheeler J.A., Gravitation, W. H. Freeman and Company (1973) [3] N. Straumann, General Relativity and Relativistic Astrophysics, SpringerVerlag (1984) [4] Friedmann A., Z. 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