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L’OMICIDIO DELL’AVVOCATO FABRIZIO FABRIZI Premettendo che il sottoscritto ha vissuto in prima persona le vicende appresso raccontate perché nato e vissuto nei luoghi teatro di questa storia e perché figlio di un Sottufficiale dei Carabinieri che beneficiò del sacrificio (purtroppo) di un tenace uomo come l’Avvocato Fabrizio Fabrizi, racconto quanto segue. Nel 1981, con la legge nr. 121, il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza fu smilitarizzato e sindacalizzato, assumendo la denominazione di “Polizia di Stato”. La nuova legge prevedeva, fra l’altro, l'istituzione di un nuovo ruolo, quello degli “Ispettori”, sovraordinato ai Marescialli dei Carabinieri, pur avendo questi ultimi funzioni quanto meno pari ai primi. Inevitabilmente crebbe il malumore fra i sottufficiali dell'Arma, che non venne raccolto inspiegabilmente del Comando Generale. Nel luglio del 1988 veniva eletto a Presidente del COCER Carabinieri il Ten. Col. Antonio Pappalardo, che elaborava il documento sullo “Stato del morale e del benessere del personale”, in cui si denunciavano angherie da parte di alcuni ufficiali, che avevano conservato una mentalità fascista, nei confronti del personale, nonché l'emarginazione dell'intera Arma da parte di una classe dirigente politica, poco attenta a recepire i tanti problemi dei Carabinieri. I politici e i vertici dell'Arma, perfettamente affiatati, reagivano scompostamente, addirittura denunciando l'intero COCER alla magistratura militare. Tale fatto suscitava grande scalpore e disapprovazione nell'opinione pubblica, che vide nell'atto una grave rappresaglia contro i legittimi rappresentanti dei Carabinieri. A causa della riprovazione generale il Procuratore militare si vedeva costretto a chiedere l'archiviazione del caso. Nel maggio del 1989, il COCER Carabinieri approvava una delibera con cui si invitavano i sottufficiali dell'Arma a ricorrere al TAR contro l'iniqua sperequazione che li vedeva sottordinati agli ispettori. Pochi giorni dopo 572 sottufficiali della Legione Carabinieri di Chieti (città in cui abito e lavoro fin dal 1974), sotto il patrocinio legale dell'Avv. Fabrizio Fabrizi, raccoglievano l’invito ricorrendo al TAR Lazio. Qualche tempo dopo, l'Avv. Fabrizi si incontrava con il Ten. Colonnello Pappalardo per chiedere il suo sostegno e quello del COCER al suo ricorso. Il sostegno gli fu concesso. In poco tempo ben 22.000 sottufficiali dell'Arma e 9.000 della Guardia di Finanza presentarono ricorso sulla materia controversa. A fianco dei ricorrenti si poneva solo il COCER Carabinieri, in quanto quello della Guardia di Finanza preferiva non schierarsi, mentre i COCER delle tre Forze Armate, i sindacati di Polizia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministri dell'Interno, della Difesa, della Funzione Pubblica e il Comando Generale dell'Arma si opponevano decisamente al ricorso. Il braccio di ferro durò ben due anni. Nel giugno del 1991, la Corte Costituzionale, nonostante la “Grande Alleanza” che si era formata contro il ricorso, decideva di dare ragione ai sottufficiali dei Carabinieri. Fu un giorno di grande festa per i marescialli e per l’Arma intera, in quanto con questa decisione veniva soprattutto sconfitto il Comando Generale dell’Arma, che non aveva inteso sostenere i propri graduati. Nel luglio del 1991, il Ten. Colonnello Pappalardo lasciava, per scadenza del mandato, la Presidenza del COCER. Il nuovo COCER (si possono fare i nomi e i cognomi di quei traditori) si mostrava, inaspettatamente, subito ostile nei confronti dell'Avv. Fabrizi, che capiva che ormai era finito il sostegno al suo ricorso. E ciò era molto grave atteso che proprio in quel momento si stava procedendo con i giudizi per l'ottemperanza al pagamento degli arretrati agli aventi diritto (circa 15-20 milioni a testa, che moltiplicati per 22.000 voleva dire un esborso da parte dello Stato di ben 330-600 miliardi). L'avvocato si sentì solo e abbandonato. Tentò di rimanere collegato con i sottufficiali tramite un “Comitato”, che però non riuscì a decollare. Cercò, altresì, di convincere il Ten. Colonnello Pappalardo, ormai fuori dal COCER e Comandante del Gruppo Carabinieri Roma 3, a preparare la propria candidatura alle politiche della primavera del 1992 nel PSI, partito non gradito ai vertici dell'Arma, ancora legati alla vecchia DC. Nel mese di settembre del 1991, Fabrizi invitò Pappalardo e moglie, e il Brigadiere Di Sotto Antonio ad una cena al ristorante “Harry's Bar”, di Via Veneto. Era presente la sua compagna e segretaria, Patrizia. L'avvocato era da tempo separato dalla moglie. Durante la colazione esortò esplicitamente l'Ufficiale a costituire un sindacato nei Carabinieri, anche a costo di farsi arrestare. Sia Pappalardo che Di Sotto, sorpresi da questa insolita richiesta, invitavano l'avvocato ad astenersi in futuro dal fare simili esortazioni, in quanto parlare di sindacato nell'Arma poteva costituire un grave pericolo. Qualche giorno dopo l'avvocato chiamò Pappalardo al telefono e gli ripeté la richiesta di costituire un sindacato nell'Arma. Pappalardo lo rimproverò aspramente dicendogli che il suo telefono era sotto controllo e certe affermazioni non si sarebbero dovute fare nemmeno per scherzo. Alla fine di settembre l'Avv. Fabrizi incontrò Pappalardo e gli disse che dal 1° ottobre sino all'11 dello stesso mese, giorno in cui il Consiglio di Stato avrebbe deciso definitivamente sul ricorso dei sottufficiali, sarebbe rimasto a Roma per dedicarsi unicamente alla preparazione del processo. Nel frattempo, l'avvocato, mai indomito, aveva fondato un giornale “Progetto 2000”, che dava ampio spazio alle lamentele del personale dell'Arma. Una vignetta rappresentante un carabiniere, la cui benda sugli occhi veniva tagliata da una forbice, suscitava viva disapprovazione al Comando Generale dell'Arma. Redattori di questo giornale risultavano due coniugi romani, che Fabrizi aveva conosciuto occasionalmente pochi mesi prima. L'omicidio Il giorno 5 ottobre 1991, nel pomeriggio, l'Avv. Fabrizi riceveva una telefonata sul suo cellulare. Decideva di lì a poco, nonostante la promessa fatta a Pappalardo, di partire per Pescara, con Patrizia e i due coniugi romani. A costoro, che gli facevano presente che il giorno dopo, sebbene di domenica, si doveva stare a Roma per completare l'ultimo numero del giornale “Progetto 2000”, egli replicava che a Pescara sarebbero rimasti solo una notte. I quattro giungevano a Pescara e, dopo una cena consumata in un noto ristorante del luogo, Fabrizi accompagnava i coniugi romani in un albergo. Egli, con Patrizia, rientrava a casa intorno alle ore 01.00 del 6 ottobre. Alle ore 03.00 dello stesso 6 ottobre, squillava il telefono di casa Fabrizi. Rispondeva Patrizia. L'interlocutore riferiva di essere un ispettore di polizia e che poco prima alcuni ladruncoli erano stati sorpresi a rubare nel suo studio, per cui era necessario che egli si recasse in Questura per riconoscere la refurtiva. L'avvocato, mezzo intontito dal sonno, si vestiva alla meno peggio e non prendeva con sé la pistola. Patrizia, nonostante l'invito di Fabrizi a rimanere a letto, preferiva accompagnarlo. In strada, mentre Patrizia si portava dall'altra parte dell'autovettura, parcheggiata all'esterno, un uomo, che si trovava nell'ombra di un albero, usciva allo scoperto e con una pistola di piccolo calibro sparava alcuni colpi contro Fabrizi. Quest'ultimo cadeva a terra, ma solamente ferito. L'assassino si avvicinava e, nonostante le urla disperate di Patrizia, sparava altri due colpi a Fabrizi, dall'alto verso il basso. Alle ore 04.00 del mattino, il Ten. Colonnello Pappalardo riceveva una telefonata da parte del brigadiere Di Sotto che lo informava dell'accaduto. I due si precipitavano a Pescara e quivi trovavano Patrizia, in preda ad una forte agitazione, che chiedeva aiuto ai carabinieri, pur essendo stato il caso affidato alla polizia. Ella riferiva che aveva già visto lo sparatore qualche giorno prima mentre stava per entrare nello studio dell'avvocato. Spaventata per la sua presenza, aveva chiuso precipitosamente la porta. Pappalardo si recava all'ospedale dove Fabrizi era ricoverato in gravissime condizioni. Quivi veniva avvicinato da alcuni giornalisti che gli facevano delle domande sulla condotta dell'avvocato, che veniva dipinto come un uomo senza scrupoli, capace di commettere qualsiasi azione pur di conseguire i suoi profitti. Pappalardo si meravigliava di queste affermazioni e chiedeva ai sottufficiali presenti se essi fossero a conoscenza di tali fatti. Ma costoro dichiaravano di non saperne nulla. Pappalardo non riusciva a comprendere come mai egli in ben due anni, insieme a 22.000 sottufficiali, non avesse mai percepito nulla su Fabrizi, mentre alcuni giornalisti di provincia in poche ore fossero entrati in possesso di simili notizie. Fabrizi moriva alle ore 10.00 circa del 6 ottobre 1991. Qualche giorno dopo si svolgevano i suoi funerali nella Chiesa di San Giustino di Chieti. La bara veniva portata a spalla da alcuni militari dell'Arma in uniforme, alla presenza di centinaia di Carabinieri, giunti da ogni parte del territorio nazionale. Pappalardo, presente, veniva esortato dai carabinieri a svolgere una breve orazione funebre. Raccoglieva l’invito e nella circostanza affermava che l'avvocato Fabrizi aveva ricevuto un castigo crudele. Qualche giorno dopo, il Sostituto Procuratore della Repubblica di Pescara lo interrogava, sulla base di un rapporto, non si sa da chi redatto, in cui si denunciava che Pappalardo con quelle espressioni avrebbe paventato il delitto di Stato. L'Ufficiale chiariva che egli voleva solamente dire che Fabrizi era stato punito da un destino crudele in quanto qualche giorno dopo (l'11 ottobre) avrebbe definitivamente vinto il ricorso dei sottufficiali. Per il delitto Fabrizi veniva incriminato un balordo del luogo, che in seguito sarebbe stato del tutto prosciolto. Pappalardo, pur essendo stato vicino all'avvocato per circa due anni, e pur potendo fornire interessanti notizie sull’avvocato, non fu mai sentito. Il processo di secondo grado non è mai stato fatto, perché il Procuratore della Repubblica di Pescara, oggi Procuratore della Repubblica di Bologna, si era dimenticato di impugnare la sentenza di primo grado, così facendo trascorrere inutilmente i tempi per l'appello. Una grave dimenticanza! Il caso è rimasto così irrisolto, ma i Carabinieri non dimenticheranno il loro piccolo avvocato, di provincia, dagli occhietti furbi e sospettosi. Essi aspettano che un giorno si faccia luce su questa inquietante pagina della storia nazionale. Su cui nessuno sta indagando. I giornalisti, che di tanto in tanto tirano fuori i casi irrisolti di omicidio, pare abbiano paura a parlarne! Oggi a Pescara e a Chieti, sottovoce, qualcuno dice che l'ordine di ammazzare Fabrizi sia partito da Napoli, da taluni ambienti della vecchia DC e della camorra per far pagare all'avvocato talune sue ingerenze in attività connesse allo smaltimento dei rifiuti urbani di alcune città abruzzesi, ma anche per togliersi dai piedi un uomo che era divenuto incomodo con le sue iniziative all'interno dell'Arma, che non potevano più essere tollerate. Chissà dove sta la verità! Attendiamo che un pentito un giorno ci racconti chi ha ucciso l’avvocato Fabrizio Fabrizi e per quale motivo. Perché raccontarvi questa storia, la racconto per far capire a quanti credono che parlare della legge 121 e del decreto legge 195/95 sia cosa distaccata dagli uomini normali cosa di alta giurisprudenza o di attività sindacale ad alti livelli. Nulla di più falso, le cose sono molto più semplici di quello che si vorrebbe far credere e partendo dal caso dell’omicidio dell’Avvocato Fabrizi spero riflettiate sulla fondatezza della necessità vitale di essere inseriti nell’Art. 16 della Legge 121 del 1981, riflessioni che il Corpo forestale dello Stato nei non lontani anni 80 concretizzo con il proprio inserimento nel comma 2 dell’Art.16 della Legge 121/81 scongiurando così la regionalizzazione. La sola appartenenza all’Art.16 comma 2 della 121/81 ha fatto si che i sottufficiali dei Carabinieri venissero equiparati ai colleghi della Polizia di Stato e questa appartenenza a fatto si che su sentenza della corte costituzionale dovette essere varata la Legge 216/92 di “Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri a quelli della Polizia di Stato nonche' perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia” (tutte nessuna esclusa) e il Decreto Legge 195/95 tanto decantato come il decreto che ci vedrebbe equiparati in tutto e per tutto alle altre forze di polizia, INVECE non è altro che l’attuazione dell’Art.2 della Legge 216/92 CHE E’ LA NORMA DI PEREQUAZIONE DEGLI APPARTENENTI ALLA LEGGE 121/81, insomma il cerchio si chiude; dunque senza l’inserimento dei vigili del fuoco nell’Art.16 comma 2 della legge 121/81 non ci sarà mai perequazione economica con gli altri corpi dello stato ma soltanto una probabile uniformità negli aumenti economici contrattuali che mai colmerà il gap di alcune centinaia di euro tra noi e gli altri corpi ricompresi nel comma 2 Art.16 della Legge 121/81. QUESTA LA SENTENZA AL RICORSO DELL’AVVOCATO FABRIZIO FABRIZI SENTENZA N. 277 ANNO 1991 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma diciassettesimo, e della tabella C della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'ammi nistrazione della pubblica sicurezza), come sostituita dall'art. 9 della legge 12 agosto 1982, n. 569 (Disposizioni concernenti taluni ruoli del personale della polizia di Stato e modifiche relative ai livelli retributivi di alcune qualifiche e all'articolo 79 della legge 1° aprile 1981, n. 121), nonché della nota in calce alla tabella, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1991 dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, nel ricorso proposto dal Ministero dell'interno ed altri contro Asci Gabriele ed altri, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di costituzione di Asci Gabriele ed altri nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Uditi gli avvocati Lucio V. Moscarini, Fabrizio Fabrizi e Maurizio Gargiulo per Asci Gabriele ed altri e l'avvocato dello Stato Francesco Cocco per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto in fatto ………………………. ……bla bla bla bla…….. ………………….. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Sulla base delle considerazioni che precedono deve essere dichiarata l'illegittimità ostituzionale dell'art. 43, comma diciassettesimo, della legge 1° aprile 1981, n. 121, della tabella C allegata a detta legge nonché della nota in calce alla tabella, nella parte in cui non includono, ai fini della equiparazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'arma dei carabinieri, le qualifiche degli ispettori della polizia di Stato, così omettendo l'individuazione della corrispondenza con le funzioni connesse ai gradi dei sottufficiali dell'arma dei carabinieri. Sulla base della sentenza summenzionata fù varata la Legge 216/92 LEGGE 6 marzo 1992, n. 216 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, recante autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 312 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonche' perequazione dei trattamenti conomici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia. Delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia e del personale delle Forze armate nonche' per il riordino delle relative carriere, attribuzioni e trattamenti economici. (GU n.56 del 7-3-1992 ) Art. 2. 1. Il Governo della Repubblica e' delegato ad emanare, entro il 31 dicembre 1992, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della difesa, delle finanze, di grazia e giustizia, dell'agricoltura e delle foreste, per la funzione pubblica e del tesoro, un decreto legislativo che definisca in maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti, ivi compresi quelli stabiliti dalla legge 11 luglio 1978, n. 382, le procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia anche ad ordinamento militare, ai sensi della legge 1 aprile 1981, n. 121, nonche' del personale delle Forze armate, ad esclusione dei dirigenti civili e militari e del personale di leva. Fino alla riforma della contrattazione collettiva del pubblico impiego nulla e' innovato per cio' che concerne i dipendenti civili delle amministrazioni. 2. Lo schema di decreto legislativo sara' trasmesso alle organizzazioni sindacali del personale interessato maggiormente rappresentative sul piano nazionale e agli organismi di rappresentanza del personale militare, perche' possano esprimere il proprio parere entro il termine di trenta giorni dalla ricezione dello schema stesso, trascorso il quale il parere si intende favorevole. Esso sara', inoltre, trasmesso, almeno tre mesi prima della scadenza del termine di cui al comma 1, al Parlamento affinche' le competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica esprimano il proprio parere secondo le modalita' di cui all'articolo 24, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. 3. Nell'ambito di quanto stabilito al comma 1 il decreto legislativo dovra' prevedere: distinte modalita' per il procedimento, relativamente al personale ad ordinamento civile, al personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e a quello appartenente alle Forze armate, per pervenire a distinti provvedimenti che saranno emanati con decreti del Presidente della Repubblica rispettivamente per le Forze di polizia e per le Forze armate; le materie da disciplinare, ivi compresi gli aspetti retributivi; la composizione delle delegazioni di parte pubblica e rappresentative del personale. Il procedimento dovra' essere tale, per il personale militare, da pervenire ad una concertazione interministeriale nella quale la delegazione di ciascun dicastero sia composta in modo da assicurare un'adeguata partecipazione degli organismi di rappresentanza militare. 4. Ferma restando la sostanziale unitarieta' dell'intera materia da disciplinare, il decreto legislativo di cui al comma 1 potra' anche avere riguardo a materie diverse, a seconda dello status del personale interessato, tenuto conto delle disposizioni attualmente in vigore. E' comunque riservato alla disciplina per legge o per atto normativo o amministrativo emanato in base alla legge, l'ordinamento generale delle seguenti materie: a) organizzazione del lavoro, degli uffici e delle strutture, ivi compresa la durata dell'orario di lavoro ordinario; b) procedure per la costituzione, la modificazione di stato giuridico e l'estinzione del rapporto di pubblico impiego, ivi compreso il trattamento di fine servizio; c) mobilita' ed impiego del personale; d) sanzioni disciplinari e relativo procedimento; e) determinazione delle dotazioni organiche; f) modi di conferimento della titolarita' degli uffici e dei comandi; g) esercizio della liberta' e dei diritti fondamentali del personale; h) trattamento accessorio per servizi prestati all'estero. 5. Fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento generale della dirigenza, il trattamento economico retributivo, fondamentale ed accessorio, dei dirigenti civili e militari delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e' aggiornato annualmente con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e del tesoro, nel rispetto delle norme generali vigenti, in ragione della media degli incrementi retributivi realizzati, secondo le procedure e con le modalita' previste dalle norme vigenti, dalle altre categorie di pubblici dipendenti nell'anno precedente. ((1)) 6. Per il personale gia' compreso fra i destinatari dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, e per quello della Polizia penitenziaria, le disposizioni del comma 4 si applicano in quanto compatibili, rispettivamente, con le disposizioni degli articoli 2 e 3 della legge 29 marzo 1983, n. 93, e dell'articolo 19 della legge 15 dicembre 1990, n 395. 7. Gli oneri finanziari recati dall'applicazione delle procedure previste dal decreto legislativo di cui al comma 1 non possono superare gli appositi stanziamenti di spesa determinati dalla legge finanziaria nell'ambito delle compatibilita' economiche generali definite dalla relazione previsionale e programmatica e dal bilancio pluriennale. In attuazione dell’Art.2 della Legge 216/92 summenzionato fù emanato Decreto Legge 195/95 D. Leg. 12.05.1995 n. 195- Attuazione art.2 L.06.03.92 FFPP "Attuazione dell'art.2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate "