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Riciclaggio, rapina e un progetto di rapimento
Toscana IL TIRRENO LA GANG DI LIVORNO UN BUSINESS MILIONARIO Domenica 28 Gennaio 2007 13 Un’inchiesta durata 8 mesi, i tre imprenditori accusati sono molto noti. Nel giro, che finiva all’estero, anche olio e pellami. Altri 9 indagati Riciclaggio, rapina e un progetto di rapimento Arrestati tre spedizionieri, padre e due figli. Un maxi-traffico di auto di lusso FIRENZE di Roberto Cestari Simulava l’incidente e chiedeva 500 euro Ma Piero Giovannini è accusato anche di aver fatto da basista ad una rapina in banca a Livorno, poi sventata dalla polizia: come se non bastasse, con i soldi di quella rapina la banda avrebbe anche progettato un rapimento. A finire in manette tre noti personaggi dell’ambito portuale livornese, Piero Giovannini, 57 anni, titolare della casa di spedizioni “P.G. Logistics”, di via Salvatore Orlando 20 (zona porto), e i figli Francesco, più conosciuto come Franco, trentenne, e Simone, 28 anni. Francesco è titolare della “P.G. Italia”, mentre il fratello Simone di altre due ditte di trasporti, la “N.T.” e la “H&T”, tutte con sede nel capannone di via Orlando. I tre abitano in via dei Gerani 32, a Montenero, in una delle zone più “in” della città, in una villa su tre piani lussuosamente arredata e con ogni comfort. Ed è proprio in questa abitazione, che i Giovannini hanno ricevuto, venerdì mattina, la visita degli agenti della Polstrada e della Polmare che hanno contestato loro le accuse e li hanno arrestati su ordine di custodia emesso dal gip su richiesta del pm Massimo Petralia che ha coordinato le complesse indagini. Ai due figli sono successivamente stati concessi i domiciliari. Altre nove persone, tra le quali un cittadino olandese, un novarese, un bosniaco residen- Ai giovani concessi i domiciliari, sono contro il genitore le accuse più pesanti PENTAFOTO LIVORNO. Tre noti spedizionieri livornesi, Piero Giovannini e i due figli Francesco e Simone, arrestati, altre 9 persone indagate e merce rubata, e recuperata, per un oltre un milione di euro. E’ il bilancio di un’operazione condotta dalla Polmare e dalla Polizia Stradale di Livorno che ha sgominato una banda accusata di riciclare all’estero merce rubata, auto di lusso ma anche i carichi di tir, fra i quali spiccano tonnellate olio di oliva e di pellame. Le accuse sono riciclaggio, ricettazione, furto e falso. L’abitazione dei Giovannini sulla collina livornese FIRENZE L’usuraio lo minaccia al telefono mentre la vittima lo sta denunciando alla Finanza: arrestato FIRENZE. Mentre sta denunciando alla finanza il presunto usuraio che pretendeva interessi del 130% su una somma prestata, questo gli telefona per minacciarlo ancora, ascoltato in diretta dai finanzieri. Così gli uomini del Gico sono riusciti a arrestare Giuseppe Palermo, detto Piccio, 45 anni, originario della provincia di Enna e trapiantato in Toscana da trent’anni. Un agente di commercio fiorentino di 54 te a Livorno e altri sei livornesi sono denunciate con l’accusa di aver preso parte con ruoli diversi al giro di riciclaggio: da quello di autori materiali dei furti a ricettatori. L’inchiesta ha preso le sue mosse nel maggio dello scorso anno, quando la polizia di frontiera di Livorno aveva notato dei movimenti anomali in porto. In particolare si trattava di anni si è rivolto alla finanza per le continue minacce dell’usuraio: mentre stava denunciando l’accaduto, Palermo ha chiamato e l’ha minacciato ancora ma il fiorentino ha messo il vivavoce e ha fatto ascoltare la telefonata ai finanzieri. Palermo intimava all’agente di commercio di consegnargli assegni post-datati maggiorati di nuovi interessi tanto che l’importo dovuto sarebbe lievitato da 22 a 30mila euro. container che indicavano parti di ricambio oppure autoveicoli dismessi: alla fine i container vennero ispezionati e dall’esame con i raggi x saltarono fuori delle auto di lusso: Porsche Cayenne, Volkswagen Touareg, Mercedes, e due Bmw X5, che erano state rubate in Italia del Nord, con dei colpi in villa, ma anche semplicemente messe a disposizione dal proprieta- rio che aveva simulato un furto per incassare l’assicurazione. Iniziò così una lunga indagine, che vide gli agenti della Polmare e della Stradale inziare una serie di pedinamenti mentre venivano messi sotto controllo una decina di telefoni. Così si arrivò a definire il giro: le auto sarebbero dovute arrivare in Africa (Libia, Togo e Se- negal), e sempre all’estero sarebbe dovuta finire la merce di due tir, uno carico con 30 tonnellate di olio di oliva, (valore 120mila euro), l’altro di pellame da lavorare per altri 80mila euro, che furono rubati nei mesi scorsi ma che sono stati ritrovati con il carico ancora a bordo dalla Polizia stradale nella zona di Livorno. Ma il sodalizio è accusato di aver deciso di ricorrere ad altre forme di finanziamento: rapine in banca e un sequestro di persona. Per quanto riguarda la rapina in banca i Giovannini sono stati accusati di aver fatto da basisti al colpo fallito alla Banca Toscana di via Provinciale pisana a Livorno, il 16 ottobre scorso, quando la polizia si appostò e prese con le mani nel sacco Luigi Rotterdam, novarese, 58 anni, e Riccardo Del Vivo, livornese di 57 anni, pluripregiudicati. I due avevano appena rapinato la banca di 32mila euro, un colpo per il quale Piero Giovannini è accusato di aver fatto da basista. Ma la banda avrebbe proget- LA NOVITA’ tato un colpo ancora più redditizio: sembra infatti che fossero venuti a sapere di un imprenditore bresciano che faceva riciclaggio di soldi con l’Austria, e che avrebbe portato con sé una forte somma, un milione di euro in contanti. Da qui il progetto di rapirlo, progetto che comunque venne mandato all’aria per il semplice fatto arrivarono per primi i carabinieri che scoprirono e arrestarono l’imprenditore. Da segnalare infine, che, a margine dell’inchiesta, ci sono stati altri due arresti: due giovani livornesi che pur non facendo parte della banda, vennero scoperti dalla polizia con 20 grammi di cocaina. Sui motivi che avrebbero spinto i tre imprenditori, tutti incensurati, a mettere in piedi questo giro, sembra che lo facessero soprattutto per poter mantenere un alto tenore di vita. Ora Piero Giovannini, che pare il personaggio di spicco della vicenda, è in una cella delle Sughere, mentre i figli sono agli arresti domiciliari. SALUTE “Lince”, il blindato anti-bomba per le missioni più pericolose Terapie palliative a Firenze nasce un nuovo master di Giovanni Neri di Marco Agnoletti LIVORNO. Si chiama Lince e sarà il nuovo mezzo blindato da trasporto per le truppe italiane impegnate in operazioni di peace-keeping all’estero. Interamente costruito dalla Iveco, assomiglia alla grossa jeep «Hummer» dell’esercito americano ma, secondo gli esperti, ha caratteristiche migliori tant’è vero che è stato già comprato da Gran Bretagna e Norvegia, mentre l’Us Army intende testarlo. Presentato a Livorno dalla Folgore: made in Italy, già 7 spediti tra Afghanistan e Libano La prima assegnazione italiana, otto mezzi, è stata destinata alla Brigata Folgore che ha già inviato sette di questi veicoli tra Libano e Afghanistan lasciandone uno a Livorno per l’addestramento. Nei prossimi mesi, compatibilmente ai continui tagli di bilancio, altri «Lince» saranno distribuiti alla forze armate italiane e Livorno verrà probabilmente utilizzata come base di smistamento. Fortemente blindato, potente, veloce, il «Lince» andrà a sostituire in linea il vecchio Vm-90P, lo «Scarrafone», il veicolo utilizzato fino ad ora e sul quale numerose sono state le vittime e sulla cui capacità di difesa passiva agli attacchi terroristici si sono giustamente aperte polemiche feroci. Grazie alla disponibilità della Brigata Paracadutisti Folgore è stato possibile testare un «Lince» sul terreno. Soldati più sicuri. Il Vtlm offre rispetto allo «Scarrafone» un’ottima difesa dagli Ied (gli ordigni esplosivi improvvisati) sia per la blindatura laterale e superiore che per quella inferiore, vero e proprio punto debole dei vecchi mezzi che per questo erano soggetti ad incendiarsi. La pancia del «Lince» è invece fatta come la carena di una barca e la forma a V serve a deviare verso l’esterno l’ener- esplosivo così come è inattaccabile ai colpi di mitra kalashnikov e di mitragliatrice. I punti deboli. Gli alloggiamenti sono un po’ angusti per una persona alta o di corporatura robusta, mentre l’accesso ai depositi posteriori può avvenire solo dall’esterno. La guida poi non è facile e necessita di un buon addestramento. Missioni più sicure. Il concet- gia di una bomba sepolta nella sede stradale. Made in Italy. Il mezzo è stato progettato e realizzato da Iveco con la consulenza dell’Esercito e sarà prodotto in numerose versioni: ambulanza, centrale radio, veicolo comando, veicolo per forze speciali. Su una stessa base possono infatti essere montati diversi kit che ne cambiano le caratteristiche di impiego. Costruito con materiali radar non riflettenti è in grado di guadare, grazie allo snorkel, un corso d’acqua profondo fino a un metro e mezzo e può essere caricato agevolmente sui nuovi aerei C-27J o sui C130J e può anche essere lanciato con il paracadute. Tecnicamente si tratta di un velivolo all’avanguardia. Dispone di quattro centraline elettroniche che controllano gli apparati più importanti e il suo motore diesel da 3000 cc è stato provato in Norvegia con una temperatura a meno 12 e nel deserto oltre i 45 gradi. Le sue gomme possono essere adeguate al terreno con un sistema di gonfiaggio e sgonfiaggio automatico. Una bomba fino a 8 chili. I test assicurano che la blindatura è in grado di resistere all’onda d’urto di una bomba improvvisata costruita con 8 chili di FIRENZE. Truffava automobilisti anziani, simulando incidenti stradali mai avvenuti e chiedendo 500 euro in contanti. L’uomo, 37 anni residente a Firenze e di origini napoletane, è stato denunciato dai carabinieri, che lo hanno sorpreso proprio mentre, a Scarperia, stava mettendo in atto l’ennesimo raggiro ai danni, stavolta, di un 69enne. Il trucco consisteva nel seguire un automobilista anziano, aspettare che parcheggiasse e poi spruzzare sulla carrozzeria dell’auto del malcapitato un po’ di colore uguale a quello della vettura del truffatore. In questo modo, veniva creata la prova dell’incidente. to che sta alla base del veicolo è quello di rendere più sicure le missioni. In Iraq come in Afghanistan i convogli si sono dimostrati il momento più vulnerabile delle operazioni e ben un terzo dei caduti americani sono morti in questo genere di attacchi e questo spiega perché il “Lince” abbia suscitato come si è detto l’interesse della stessa US Army. Un’immagine del Lince; in alto l’interno del blindato FIRENZE. «La medicina deve cambiare strada, non può basarsi solo sulla chimica e sulle sue reazioni, deve farsi carico anche della spiritualità del paziente». Quelle che potrebbero sembrare considerazione di un santone, sono in realtà le valutazione del professor Angelo Raffaele De Gaudio, medico dell’Asl fiorentina e responsabile del master “Medicina Palliativa e Terapia del Dolore” dell’Università di Firenze. E sulla medicina palliativa, spiega, ci sono da dire tante cose e soprattutto da cancellare opinioni diffuse sbagliate: «Molti associano al termine palliativo o leniterapia il concetto di inutile o poco efficace — spiega il professor De Gaudio — ma in medicina questo non è affatto vero». Al centro della leniterapia c’è sicuramente il periodo di fine vita dovuto a gravi malattie, ma più in generale c’è il trattamento della sofferenza che può esserci in molti altri casi. L’idea di fondo di questo tipo di medicina comunque si incentra sull’integrazione fra l’attività medica e quella di natura più psicologica. In sostanza si affianca alle cure tradizionali e punta ad amplificarne gli effetti positivi cercando prima di tutto di diminuire le sofferenze del paziente. «E il master dell’università di Firenze — aggiunge De Gaudio — è l’unico in Italia che ha un percorso formativo che cerca di integrare queste due figure». E poi secondo la medicina palliativa l’assistenza non deve riguardare solo il paziente ma anche chi gli sta intorno. «Attualmente solo in alcuni reparti, in particolare quelli oncologici — continua De Gaudio — ci sono psicologi a disposizione di malati e paziente, ma dovrebbero essercene molti di più, a cominciare dai reparti di rianimazione». E la Toscana sulle applicazioni di questa medicina è all’avanguardia, insieme alla Lombardia. Nel 2004, per fare un esempio, alla Asl di Firenze dei 2600 malati terminali di cancro il 35% è stato curato anche con trattamenti di medicina palliativa, e secondo le prime rilevazioni sui dati del 2006 questa percentuale dovrebbe essere salita di altri 10 punti.