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A002435, 1 A002435 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da MENTE & CERVELLO del 15/9/2012, pag.63 <<TUO FIGLIO È GAY?>> di Jesse Bering. (vedi nota in fondo pezzo) Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato. Se un bambino gioca con la bambole o una femminuccia disdegna le gonne forse da grande mostrerà preferenze omossessuali, ma non è sempre così. E la scienza è ancora alla ricerca di chiari indicatori che possano aiutare a prevedere l’orientamento sessuale. Gli stereotipi li conosciamo tutti: un’aria insolitamente leggera e delicata nel passo del bambino, un certo interesse per bambole, ombrelli e vestiti, un deciso rifiuto del gioco rude con gli altri maschi. Nelle bambine l’ostentato atteggiamento mascolino, magari un debole per gli attrezzi, una marcata disponibilità alle zuffe con i maschietti e una forte avversione per le profumate trappole della femminilità. Questi schemi comportamentali sono temuti ed esecrati, e spesso considerati premonitori di omosessualità in età adulta. Ma solo in tempi recenti gli esperti di scienze comportamentali hanno iniziato a condurre studi sistematici per identificare segnali di omosessualità precoci e affidabili. Osservando attentamente l’infanzia di adulti gay, sta emergendo un interessante insieme di indicatori comportamentali che gli omosessuali sembrano avere in comune. È curioso che le vecchie paure omofobiche di molti genitori risultino in effetti premonitrici. In un articolo sui segnali infantili di omosessualità pubblicato nel 1995 gli psicologi J. Michael Balley e Kenneth J. Zucker prendono in esame i comportamenti sessuati, ossia quel lungo elenco di differenze innate nel comportamento infantile di maschi e femmine oggi riconosciuto a livello scientifico. Innumerevoli studi documentano che queste differenze tra i sessi sono in larga misura indipendenti dall’apprendimento, e sono presenti in tutte le culture esaminate. Ci sono, naturalmente, le debite eccezioni; è solo quando si confrontano i dati nella loro totalità che le differenze tra i sessi balzano nella sfera della significatività statistica. Le differenze fondamentali sono nell’ambito del gioco. I maschietti si cimentano più volentieri in quello che gli psicologi dell’età evolutiva chiamano «gioco della lotta»; le bambine preferiscono la compagnia delle bambole a una ginocchiata nelle costole. Un’altra differenza è nell’interesse mostrato per i giocattoli, con i maschi attratti da mitra e camion mastodontici, le femmine dai bambolotti e dalle immagini iperfemminilizzate. I bambini di entrambi i sessi amano il gioco di fantasia, ma con ruoli rigidamente distinti per genere già all’età di due anni. Le bambine impersonano, per esempio, madri amorevoli, ballerine o principesse delle favole, mentre i maschi preferiscono A002435, 2 immaginarsi soldati o supereroi. Non sorprende, quindi, che i maschietti scelgano spontaneamente altri maschi come compagni di giochi, e che le femminucce preferiscano di gran lunga giocare con altre bambine. Per questo, sulla base di ricerche precedenti, oltre che su una notevole dose di buon senso Bailey e Zucker hanno ipotizzato che gli omosessuali presentassero un’inversione nei comportamenti tipizzati infantili: maschietti rapiti dai rossetti della mamma, femminucce innamorate del calcio o della lotta. Ci sono due modi, spiegano gli autori, per verificare questa ipotesi: uno studio di tipo prospettico o di tipo retrospettivo. Nel primo caso i bambini che mostrano comportamenti di genere atipici vengono seguiti fino all’adolescenza e oltre, così da accertarne l’orientamento sessuale. Il metodo non è molto pratico: dato che solo una piccola frazione della popolazione è omosessuale, gli studi prospettici richiedono di seguire un gran numero di bambini. Il tempo necessario è molto lungo: almeno 16 anni. Infine, pochi genitori sono disposti ad autorizzare uno studio simile sui propri figli. Giusto o sbagliato che sia, si tratta di un argomento sensibile; inoltre, di solito sono solo i bambini che presentano comportamenti significativamente atipici a essere portati in clinica, e a fornire quindi il materiale ai ricercatori. UNA TENDENZA GENERALE In uno studio del 2008, per esempio, la psicologa Kelley Drummond e i suoi collaboratori hanno intervistato 25 donne adulte fatte visitare dal genitori in una clinica psichiatrica quando avevano un’età compresa tra i 3 e i 12 anni. Per tutte, all’epoca, diversi indicatori diagnostici indicavano un disturbo di identità di genere: per esempio preferivano compagni di giochi del sesso opposto o insistevano per portare vestiti maschili, affermavano che un giorno sarebbe loro cresciuto il pene, oppure si rifiutavano di urinare da sedute. Sebbene solo il 12 per cento di loro in età adulta abbia sviluppato disforia di genere -la spiacevole sensazione che il proprio sesso biologico non corrisponda al proprio genere- la probabilità di un orientamento omosessuale o bisessuale è risultata fino a 23 volte maggiore rispetto a un campione casuale di giovani donne. Non tutte le bambine «maschiaccio» diventano lesbiche, naturalmente, ma secondo questi dati spesso le lesbiche avrebbero storie di comportamenti tipizzati appartenenti al genere opposto. E lo stesso vale per gli uomini gay. Grazie a uno studio retrospettivo in cui adulti rispondevano a domande sul proprio passato, Bailey e Zucker rivelano che l’89 per cento di un campione casuale di uomini gay ricorda nella propria infanzia comportamenti tipizzati appartenenti al genere opposto in misura superiore alla media eterosessuale. Secondo alcuni critici i ricordi dei partecipanti potrebbero aver subito una distorsione per adattarsi alle aspettative sociali A002435, 3 e agli stereotipi. Ma in un brillante studio pubblicato su «Developmental Psychology» nel 2008 la prova rappresentata dai filmati casalinghi girati durante l’infanzia dà ragione al metodo retrospettivo. In questo studio viene chiesto a un gruppo di persone di classificare bambini sulla base dei loro comportamenti tipizzati visibili sullo schermo: il risultato è che «gli adulti dichiaratisi omosessuali erano stati individuati come bambini con comportamenti non conformi al genere». Da allora numerosi studi hanno riprodotto questa tendenza generale, rivelando una relazione tra le deviazioni dalla norma di genere nell’infanzia e l’orientamento sessuale in età adulta. Ci sono anche evidenze di un «effetto dosaggio»: quante più sono le caratteristiche non conformi al genere nell’infanzia, tanto più è probabile che in età adulta si presenti un orientamento omosessuale o bisessuale. UN MIX DI FATTORI Non tutti i maschietti a cui piace mettersi le gonne diventeranno gay, né tutte le bambine che le detestano diventeranno lesbiche. Molti di loro saranno etero, e alcuni, non dimentichiamolo, transessuali. Per quanto mi riguarda, ero abbastanza androgino e caratterizzato da un mosaico di comportamenti tipizzati, conformi e non al genere maschile. A dispetto della teoria preferita dai miei genitori, secondo i quali non ero che un precoce Casanova, i risultati di Zucker e Bailey potrebbero spiegare quella vecchia foto in cui si vede che 11 su 13 degli invitati al mio settimo compleanno erano bambine. Ma non ero un bambino effemminato, nessuno mi ha mai chiamato «checca» e all’età dl 10 anni ero diventato fastidioso, rozzo e sovreccitato esattamente quanto i maschi miei coetanei. A 13 anni ero perfettamente inserito nel modello sociale mascolino. Pur essendo un magrolino di 40 chili mi iscrissi al corso di lotta della scuola e paradossalmente questo mi fece prendere definitivamente coscienza del mio orientamento omosessuale. I dati raccolti in varie culture mostrano che i ragazzini preomosessuali sono più attratti da sport solitari come nuoto, ciclismo o tennis che da sport più rozzi e di contatto come il calcio o il football americano; è anche meno probabile che si comportino da bulletti. In ogni caso, io ricordo che in seconda elementare mi arrampicavo sulle spalliere da giardino assieme alle bambine durante la ricreazione, e guardando i maschi che giocavano a pallone pensavo che erano ben strani: chi glielo faceva fare di comportarsi così? I ricercatori ammettono che probabilmente i percorsi di sviluppo individuale che portano all’omosessualità in età adulta sono molteplici, e senza dubbio complicati. Fattori biologici ed ereditari interagiscono con le esperienze A002435, 4 ambientali e determinano l’orientamento sessuale. Dal momento che i dati rivelano spesso l’emergere di tratti precoci nei pre-omosessuali, per i bambini che mostrano comportamenti di genere atipici il peso della componente genetica potrebbe essere più rilevante, mentre per gli adulti gay che da bambini avevano comportamenti conformi al genere l’omosessualità potrebbe essere soprattutto dovuta a particolari esperienze infantili. Arriviamo ora alla domanda più importante. Perché i genitori si preoccupano tanto del fatto che i loro figli possano essere gay? A parità di ogni altra condizione, sospetto che avremmo grosse difficoltà a trovare genitori che preferirebbero avere prole omosessuale. Dal punto di vista evolutivo, l’omofobia genitoriale non ha bisogno di spiegazioni: un figlio gay o una figlia lesbica probabilmente non si riprodurrano, a meno che non siano particolarmente creativi. Ma ricordatevi, genitori, che ci sono altri modi in cui i vostri figli possono contribuire al vostro successo generico globale. Coltivate dunque i talenti innati del vostro piccolo preomosessuale e in ultima analisi il vostro successo genetico potrebbe, stranamente, essere perfino maggiore, grazie a un figlio gay speciale, di quanto lo sarebbe se dai vostri lombi fossero scaturiti dieci figli etero mediocri. Se gli scienziati dovessero mettere a punto un metodo infallibile per prevedere l’orientamento sessuale futuro dei bambini, i genitori lo vorrebbero sapere? Da ex moccioso pre-omosessuale posso dire che una preparazione mi avrebbe reso le cose più facili, invece di lasciarmi nella paura del rifiuto, o nel timore di lasciarmi sfuggire qualcosa che mi avrebbe «tradito». Come minimo mi avrebbe evitato tutte quelle imbarazzanti domande sul perché non uscissi con una bella ragazza, o le domande della bella ragazza sul perché uscissi con lei e rifiutassi le sue avance. Un’ultima cosa: non deve essere facile guardare nei limpidi occhioni il vostro pupo pre-omosessuale, pulirgli le guance dalle briciole, e sbatterlo fuori casa perché è gay. IN PIÙ LEVAY S., Gay, Straight, and the Reason Why: The Science of Sexual Orientation, Oxford University Press, Oxford, 2010. RIEGER G., LINSENMEIER J.A., GYGAX L. e B1LEY J.M, Sexual Orientation and Childhood Gender Nonconformity: Evidence from Home Videos, in «Developmental Psychology», Vol. 44, n. 1, pp. 48-58, genie 2008. DRUMMOND K.D., BRADLEYS.J., PETERSON-BADALI M. e ZUCHER K.J., A Follow-Up Study of Girls with Gender Identity Disorder, in <<Developmental Psychology>>, Vol. 44, n. 1, pp. 34-45, genie 2008. A002435, 5 L’AUTORE. JESSE BERING ha diretto l’Institute of Cognition and Culture della Queen’s University di Belfast. Oggi collabora con numerose riviste.