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Manuale per i volontari - Io non rischio

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Manuale per i volontari - Io non rischio
Manuale per i volontari
La campagna Io non rischio è promossa e realizzata da
in collaborazione con
I
PARTE PRIMA
PARTE PRIMA
3
PARTE PRIMA
INTRODUZIONE
Questo manuale è uno strumento di lavoro per
vi consentirà di acquisire maggiore sicurezza
voi, volontari impegnati nella campagna di co-
nell’argomentare i contenuti dei materiali infor-
municazione Io non rischio. Qui potete trovare
mativi e acquisire, di massima, anche un modo
tutte le informazioni di cui avete bisogno per
più appropriato di raccontare concetti tutto
ripassare e approfondire gli argomenti affron-
sommato semplici, ma spesso delicati.
tati durante le giornate di formazione in aula.
Il manuale è suddiviso in tre sezioni. Nella pri-
Come vedremo, la campagna Io non rischio mira
ma parte trovate le informazioni riguardanti
a promuovere e diffondere le buone pratiche di
il Servizio Nazionale della Protezione Civile e
protezione civile a partire da specifici rischi na-
il Volontariato di protezione civile, oltre che la
turali che riguardano un territorio. E i protago-
spiegazione di che cos’è e a cosa serve un Pia-
nisti di questa campagna siete voi: i volontari di
no comunale di protezione civile. Nella secon-
protezione civile. Sarete voi ad avere il compito
da parte si parla degli strumenti, delle tecniche
di incontrare i cittadini nelle piazze delle nostre
e delle modalità che ci permettono di organiz-
città per raccontare loro quel che si deve sape-
zare, allestire e attuare una campagna ben riu-
re e ciò che si può fare per ridurre l’esposizione
scita. Nella terza e ultima parte, invece, trovate
al rischio di ciascuno e della comunità in cui si
tutte le informazioni tecniche e specifiche di
vive. Per farlo avrete a disposizione del materiale
ogni rischio, illustrate e approfondite a partire
informativo: un pieghevole in cui vengono illu-
dai singoli elementi del materiale informativo.
strate le cose essenziali da sapere su uno spe-
Per aiutarvi nella lettura, ci siamo serviti di al-
cifico rischio, e una scheda in cui vengono illu-
cuni simboli ed espedienti grafici.
strati i comportamenti giusti da adottare nel caso
in cui si verifichi una effettiva emergenza.
LEGENDA
Qualcuno potrebbe chiedersi perché per raccontare ai cittadini le informazioni contenute
testo
in un pieghevole e una scheda siano neces-
Cose essenziali da ricordare
sarie 160 pagine di manuale: ci serve davveConsigli su cosa fare
ro sapere tutta questa roba se poi dobbiamo
raccontarne solo una piccola parte? La risposta
Schede di approfondimento
a questa domanda è sì. Possiamo pensare al
pieghevole e alla scheda come alla punta di un
Testi contenuti nel pieghevole
iceberg, che per sostenersi ha bisogno di una
parte sommersa molto ma molto più grande:
Link per saperne di più
questo manuale. Proprio come un iceberg, la
conoscenza, per emergere, ha bisogno di una
Glossario
parte sommersa assai maggiore. Conoscere
bene gli argomenti illustrati in queste pagine
4
PARTE PRIMA
CONTATTI
MATERIALI E APPROFONDIMENTI: DOVE TROVARLI
Sono state attivate diverse email relative alla
Dal sito www.iononrischio.it si accede a un’a-
campagna:
rea riservata. Per ognuna delle piazze che
[email protected]: per comuni-
partecipano alla campagna sono state create
cazioni relative alla campagna.
delle credenziali di accesso, che saranno co-
[email protected]: per inviare foto e
municate al responsabile di piazza.
video sulla campagna.
Nell’area riservata sono disponibili:
Le foto devono essere in formato .jpg, 1.000 ×
• i materiali formativi (manuale, video e pre-
600 px, risoluzione a 72 DPI.
sentazioni delle lezioni, approfondimenti
I video devono essere della durata massima di
sulla costruzione del totem per la campa-
5 minuti, con un peso massimo di 200 MB.
gna Io non rischio – terremoto)
Per inviare i video il responsabile di piazza do-
• il pieghevole, la scheda e la locandina (que-
vrà utilizzare questa piattaforma di condivisio-
sti materiali sono scaricabili anche nell’area
ne: www.wetransfer.com. Indicate come indiriz-
pubblica dello stesso sito)
zo di destinazione [email protected].
• alcuni esempi di domande frequenti
Per ogni piazza saranno creati indirizzi mail
• un form di contatto per richieste di chiari-
specifici che ogni referente di piazza dovrà
menti ai docenti.
utilizzare e monitorare. L’indirizzo sarà costituito dal nome della piazza e da @iononrischio.
it. Per accedere alla propria casella di posta
basta inserire le proprie credenziali nel form di
accesso http://webmail.aruba.it//index.html?_v
_=v4r1b17.20120629_1045.
Le credenziali sono costituite dall’indirizzo completo e dalla password che per tutti
è: password. Vi consigliamo di modificare
la password al primo accesso dalla sezione Opzioni>Password nella colonna di sinistra. Vi ricordiamo che i contatti email saranno pubblicati sul sito www.iononrischio.
it e che i cittadini potranno utilizzare questi
contatti di posta elettronica per avere informazioni sulle iniziative che si svolgono nelle singole piazze. Invitiamo, quindi, i referenti di piazza a monitorare costantemente
le caselle di posta.
5
PARTE PRIMA
SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE
La protezione civile è l’insieme delle at-
ATTIVITÀ DEL SERVIZIO NAZIONALE
tività messe in campo per tutelare l’inte-
Il soccorso alla popolazione in emergenza è
grità della vita, i beni, gli insediamenti
l’attività che identifica la funzione principale
e l’ambiente dai danni o dal pericolo di
della protezione civile, anche se negli anni le
danni che derivano dalle calamità: previ-
competenze del Sistema si sono estese allo
sione e prevenzione dei rischi, soccorso
sviluppo della conoscenza dei rischi e alle
delle popolazioni colpite, contrasto e su-
azioni per evitare o ridurre al minimo i danni
peramento dell’emergenza e mitigazione
delle calamità.
del rischio.
La legge n. 225 del 1992 – che istituisce
La protezione civile non è un compito as-
il Servizio Nazionale – definisce le attività
segnato a una singola amministrazione,
di protezione civile: previsione e preven-
ma è una funzione attribuita a un sistema
zione dei rischi, soccorso alle popolazioni
complesso: il Servizio Nazionale della Pro-
colpite, contrasto e superamento dell’e-
tezione Civile.
mergenza, e mitigazione del rischio.
COMPONENTI E STRUTTURE OPERATIVE
IN ORDINARIO
Istituito con la legge n. 225 del 1992, il Servi-
Le componenti e strutture operative del Ser-
zio Nazionale ha come sue componenti le am-
vizio Nazionale sono impegnate, per i diversi
ministrazioni centrali dello Stato, le Regioni e
ambiti di competenza e responsabilità, in at-
le Province Autonome, le Province, i Comuni
tività di previsione e nella programmazione di
e le Comunità montane. Sono componenti an-
azioni di prevenzione e mitigazione del rischio.
che tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, in at-
In questo processo è centrale il coinvolgimen-
tività di protezione civile: enti pubblici, istituti
to della comunità tecnico-scientifica, attraver-
e gruppi di ricerca scientifica, istituzioni e or-
so la rete dei Centri funzionali – che realizzano
ganizzazioni anche private, cittadini e gruppi
quotidianamente, a livello centrale e regionale,
associati di volontariato civile, ordini e collegi
attività di previsione, monitoraggio, sorveglian-
professionali.
za e allertamento – e dei Centri di competen-
Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, le For-
za, strutture che svolgono ricerca o forniscono
ze Armate, le Forze di Polizia, il Corpo Fore-
servizi di natura tecnico-scientifica per finalità
stale dello Stato, la Comunità scientifica, la
di protezione civile. Comuni, Province e Pre-
Croce Rossa Italiana, le strutture del Servizio
fetture si dedicano inoltre all’aggiornamento
Sanitario Nazionale, le organizzazioni di vo-
dei piani di emergenza, strumenti indispensa-
lontariato, il Corpo Nazionale del Soccorso Al-
bili di prevenzione, sulla base delle linee gui-
pino e Speleologico costituiscono le strutture
da e agli indirizzi regionali e nazionali. Anche
operative.
il singolo cittadino, in quanto componente del
6
PARTE PRIMA
Servizio Nazionale, ha un ruolo di primo piano
vizio Nazionale affida al Dipartimento della
nelle attività di prevenzione dei rischi. Obietti-
Protezione Civile della Presidenza del Consi-
vo delle attività ordinarie di diffusione della co-
glio dei Ministri un ruolo di indirizzo e coor-
noscenza di protezione civile e di sensibilizza-
dinamento. Dal 1998 inizia un percorso verso
zione della popolazione è proprio formare un
il decentramento dallo Stato ai Governi regio-
cittadino più consapevole e preparato.
nali e alle Autonomie locali, che coinvolge anche l’organizzazione del Servizio Nazionale. Il
IN EMERGENZA
decreto legislativo n. 112, meglio conosciuto
Quando un evento colpisce un territorio, il
come “Decreto Bassanini”, trasferisce alcu-
Sindaco – unica Autorità di protezione civile
ne competenze in materia di protezione civile
nell’ambito del Servizio Nazionale – ha il com-
dallo Stato centrale al territorio. Il Dipartimento
pito di assicurare i primi soccorsi alla popola-
mantiene funzioni di indirizzo e coordinamen-
zione, coordinando le strutture operative locali
to, ma il coordinamento operativo in emergen-
sulla base del piani comunali di emergenza
za è riservato agli eventi di tipo c, per i quali
(evento di tipo “a”). Se i mezzi e le risorse a
viene dichiarato lo stato di emergenza sentito
disposizione del Comune non sono sufficien-
il Presidente della Regione interessata.
ti a fronteggiare l’emergenza, intervengono la
Nel 2001, con la Legge Costituzionale n. 3
Provincia, la Prefettura - Ufficio territoriale del
che modifica il titolo V della Costituzione si
Governo, e la Regione, che attivano le risorse
rafforza e si impone definitivamente nel nostro
disponibili sui territori di propria competenza
ordinamento il principio di sussidiarietà, già
(evento di tipo “b”).
affermato con la legge Bassanini.
Nelle situazioni più gravi, su richiesta del
Il decentramento amministrativo trova la
Governo regionale, subentra il livello na-
sua completa realizzazione: la protezione
zionale, con la dichiarazione dello stato
civile diventa materia di legislazione con-
di emergenza (evento di tipo “c”): il co-
corrente e quindi, nell’ambito di principi
ordinamento degli interventi viene assun-
generali stabiliti da leggi dello Stato, di
to direttamente dal Presidente del Con-
competenza regionale.
siglio dei Ministri, che opera attraverso il
questi casi che il Servizio Nazionale vie-
LA RIFORMA DEL SERVIZIO NAZIONALE DELLA
PROTEZIONE CIVILE
ne impegnato in tutte le sue componenti e
A vent’anni dalla sua nascita, il Servizio Nazio-
strutture operative.
nale della Protezione Civile viene riformato. Il de-
Dipartimento della Protezione Civile. È in
creto legge n. 59 del 15 maggio 2012 convertito
LEGISLAZIONE E DECENTRAMENTO
nella legge n. 100 del 12 luglio 2012 modifica
Nel 1992 la legge n. 225 che istituisce il Ser-
e integra la legge n. 225 del 1992, istitutiva del
7
PARTE PRIMA
Servizio. Le attività della Protezione Civile vengo-
Presidente del Consiglio dei Ministri o, per
no ricondotte al nucleo originario di competenze
sua delega, di un Ministro con portafoglio o
definito dalla legge n. 225/1992, dirette princi-
del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del
palmente a fronteggiare le calamità e a rende-
Consiglio dei Ministri Segretario del Consiglio.
re più incisivi gli interventi nella gestione delle
La richiesta può giungere anche dal Presiden-
emergenze. Viene ribadito il ruolo di indirizzo e
te della Regione interessata, di cui comunque
coordinamento del Dipartimento della Protezio-
va acquisita l’intesa.
ne Civile delle attività delle diverse componenti e
Lo stato di emergenza può essere dichia-
strutture operative del Servizio Nazionale.
rato anche “nell’imminenza” e non solo
La legge 100/2012 va a toccare – tra gli altri
“al verificarsi” dell’evento calamitoso.
– alcuni temi chiave per tutto il sistema: la
La durata può estendersi fino a 180 gior-
classificazione degli eventi calamitosi, le atti-
ni ed essere prorogato fino a ulteriori 180
vità di protezione civile, la dichiarazione dello
giorni.
stato di emergenza e il potere d’ordinanza.
L’amministrazione competente in via ordinaria
In questo senso, la legge ridefinisce la prima
allo scadere dello stato dell’emergenza viene
fase dell’emergenza, ponendo l’accento sul
individuata non più nella deliberazione dello
“fattore tempo”. Viene specificato che i mezzi
stato di emergenza del Consiglio dei Ministri,
e i poteri straordinari per fronteggiare le cala-
ma nell’ordinanza di subentro che viene ema-
mità (eventi di tipo “c”) vanno utilizzati per in-
nata allo scadere dello stato di emergenza.
terventi temporali limitati e predefiniti.
Risorse per i primi interventi: la delibera
Un anno dopo, la legge n. 119 del 15 ot-
con cui è dichiarato lo stato di emergenza
tobre 2013 modifica nuovamente la legge
individua le risorse finanziarie da destinare
225/1992 intervenendo sulla durata dello
agli interventi per l’emergenza – in partico-
stato di emergenza, sugli ambiti di inter-
lare quelle destinate alle attività di soccorso
vento delle ordinanze di protezione civile
e di assistenza alla popolazione – nell’atte-
e sulla definizione delle risorse necessarie
sa della ricognizione dei fabbisogni effetti-
a far fronte alle emergenze.
vi e indispensabili che farà il Commissario
delegato. La delibera autorizza la spesa
COS’È CAMBIATO?
nell’ambito dello specifico stanziamento del
“Fondo per le emergenze nazionali”. Se le
Dichiarazione e durata dello stato di emer-
risorse non sono sufficienti possono essere
genza: lo stato di emergenza viene delibera-
integrate con un’ulteriore delibera del Con-
to dal Consiglio dei Ministri, su proposta del
siglio dei Ministri.
8
PARTE PRIMA
Attività di protezione civile: accanto alle at-
Ordinanze di protezione civile
tività di “previsione e prevenzione dei rischi”
Sono di norma emanate dal Capo Dipar-
e di “soccorso delle popolazioni” viene me-
timento della Protezione Civile e non più
glio specificato il concetto di “superamento
dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
dell’emergenza”, cui si associa ogni altra attività necessaria e indifferibile diretta al “con-
Le ordinanze emanate entro trenta giorni dal-
trasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del
la dichiarazione dello stato di emergenza sono
rischio” connessa con gli eventi calamitosi.
immediatamente efficaci, mentre quelle suc-
Le attività di prevenzione vengono esplicita-
cessive richiedono il concerto del Ministero
te e per la prima volta si parla chiaramente
dell’Economia e delle Finanze. Le attività che
di allertamento, pianificazione d’emergen-
possono essere disposte tramite ordinanze,
za, formazione, diffusione della conoscen-
entro i limiti delle risorse disponibili, sono:
za di protezione civile, informazione alla
a) servizi di soccorso e di assistenza alla po-
popolazione, applicazione della normati-
polazione interessata dall’evento;
va tecnica e di esercitazioni. Il sistema di
b) ripristino della funzionalità dei servizi pub-
allerta nazionale per il rischio meteo-idro-
blici e delle infrastrutture di reti strategiche;
geologico e idraulico viene inquadrato in
c) interventi, anche strutturali, per la riduzio-
maniera organica, riprendendo così i vari
ne del rischio residuo strettamente connesso
provvedimenti che negli anni hanno disci-
all’evento, con priorità a quelli finalizzati alla
plinato le attività di allertamento ai fini di
tutela della pubblica e privata incolumità;
protezione civile.
d) ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture pubbliche e pri-
Piani di emergenza: la legge 100/2012 riba-
vate danneggiate, e dei danni subiti dalle attività
disce poi il ruolo del Sindaco come autorità
economiche e produttive, dai beni culturali e dal
comunale di protezione civile, precisandone
patrimonio edilizio, da realizzare sulla base di pro-
i compiti nelle attività di soccorso e assisten-
cedure definite con la stessa o un’altra ordinanza;
za alla popolazione. Una novità importante
e) attuazione delle prime misure per far fronte
riguarda i piani comunali di emergenza, che
alle esigenze urgenti definite dalla lettera d), se-
devono essere redatti entro 90 giorni dall’en-
condo le direttive dettate con delibera del Con-
trata in vigore della legge, e periodicamente
siglio dei Ministri, sentita la Regione interessata.
aggiornati.
9
PARTE PRIMA
PER SAPERNE DI PIÙ
• La protezione civile nella storia
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/storia.wp
• Le componenti
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/componenti.wp
• Le strutture operative
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/strutture_operative.wp
• Gli organi centrali
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/organi_centrali.wp
• Le attività
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/attivita.wp
• La legge 225/1992
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG1602
• La legge 100/2012
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG34883
10
PARTE PRIMA
VOLONTARIATO DI PROTEZIONE CIVILE
Il volontariato rappresenta una delle compo-
za sanitaria, l’antincendio boschivo, le teleco-
nenti più vitali del Sistema italiano di protezio-
municazioni, l’allestimento dei campi d’acco-
ne civile. Una risorsa straordinaria in termini
glienza, la tutela dei beni culturali.
di competenze e capacità operativa che conta
Essere preparati a svolgere i diversi compiti in
oltre 4mila organizzazioni in tutto il Paese.
situazioni di rischio è importante. Per questo
Il volontariato di protezione civile è costituito
motivo, per diventare volontario di protezione
da uomini e donne che hanno deciso di met-
civile, è necessario rivolgersi a una organiz-
tere a disposizione gratuitamente tempo ed
zazione riconosciuta e seguire un percorso di
energie per proteggere la vita e l’ambiente.
formazione. Il Dipartimento della Protezione
Per rendere più efficace la loro azione, i vo-
Civile e le Regioni promuovono esercitazioni
lontari di protezione civile sono associati in
periodiche per migliorare la capacità di colla-
organizzazioni, grazie alle quali condividono
borazione tra il volontariato e le altre strutture
risorse, conoscenze ed esperienze.
operative del Sistema.
Le organizzazioni di volontariato di protezione civile sono diverse per dimensioni, storia, approcci
UNA REALTÀ MULTIFORME
e specializzazioni. Affiancano le autorità di pro-
Organizzazioni nazionali, associazioni locali,
tezione civile in un’ampia gamma di attività, in-
gruppi comunali. Il volontariato di protezio-
tegrandosi con le altre componenti del sistema
ne civile è un mondo caratterizzato da una
di protezione civile. Le organizzazioni che fanno
molteplicità di forme associative ben radicate
parte del sistema sono iscritte in appositi registri.
sul territorio. Le grandi organizzazioni nazionali si caratterizzano per la presenza di una
COSA FA
struttura di coordinamento centrale e una
Il volontariato di protezione civile opera quoti-
rete di sezioni distribuite su tutto il territorio
dianamente nell’ambito della previsione e del-
nazionale. Il loro interlocutore principale è
la prevenzione dei rischi. In caso di calamità,
rappresentato dal Dipartimento della Prote-
interviene per prestare soccorso e assistenza
zione Civile.
alle popolazioni.
Le associazioni locali e i gruppi comunali,
di piccole e medie dimensioni, sono espres-
Il contributo di professionalità e competen-
sione di uno specifico ambito territoriale. I
ze diverse è indispensabile soprattutto nel-
gruppi comunali, in particolare, nascono con
le grandi emergenze. Il mondo del volonta-
la partecipazione o sotto la spinta dell’ammi-
riato di protezione civile presenta una vasta
nistrazione comunale, che ne disciplina con
tipologia di specializzazioni e abbraccia
propria delibera la costituzione, l’organizza-
molti campi.
zione e la regolamentazione. Gli interlocutori
principali di queste realtà associative sono i
Per citarne solo alcuni: il soccorso e l’assisten-
sistemi regionali di protezione civile.
11
PARTE PRIMA
IL SOSTEGNO DELLE ISTITUZIONI
espressione della cittadinanza attiva. Garan-
DI VOLONTARIATO ALL’ATTIVITÀ DI PROTEZIONE
CIVILE (DIRETTIVA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 9 NOVEMBRE 2012)
tendone l’autonomia e promuovendone lo
La Direttiva porta a compimento un percorso
sviluppo.
di approfondimento e aggiornamento delle
Le organizzazioni di volontariato iscritte nei re-
disposizioni del Decreto n.194/2001 del Pre-
gistri possono beneficiare di agevolazioni ed
sidente della Repubblica: il regolamento che
esenzioni fiscali, accedere a contributi e stipu-
tutela la partecipazione delle organizzazioni di
lare convenzioni con enti pubblici.
volontariato a tutte le attività di protezione civi-
In particolare, il Dipartimento della Protezio-
le e ne disciplina ogni aspetto.
Le istituzioni valorizzano il volontariato come
ne Civile e le Regioni promuovono il volontariato organizzato di protezione civile so-
A oltre dieci anni dal regolamento e a
stenendo progetti finalizzati a migliorare le
conclusione degli Stati Generali dell’apri-
capacità operative dei volontari, accrescere
le del 2012, gli Indirizzi operativi mirano
la sinergia tra il volontariato e le altre com-
a consolidare i risultati già raggiunti e a
ponenti del sistema e formare i cittadini alla
sostenere ulteriormente l’azione del volon-
cultura di protezione civile.
tariato di protezione civile nell’ambito del
Servizio Nazionale, adeguando procedure
IL VOLONTARIATO NEL SISTEMA DI PROTEZIONE
CIVILE
e strumenti al mutato quadro organizzati-
In Italia la protezione civile è una funzione
principi del Dpr 194/2001.
vo della Protezione Civile, nel rispetto dei
attribuita a un sistema complesso, il Servizio
Nazionale, che opera nel rispetto del principio
Ecco le principali novità introdotte.
di sussidiarietà. Questo sistema è coordinato
dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle
1. L’elenco nazionale: le organizzazioni che
Regioni e dagli Enti locali.
intendono partecipare alle attività di previsio-
Al volontariato la legge attribuisce il ruolo di
ne, prevenzione e intervento in vista o in caso
“struttura operativa”, insieme ai Vigili del Fuo-
di eventi calamitosi e svolgere attività formati-
co, le Forze Armate e di Polizia, il Corpo Fo-
ve e addestrative nello stesso ambito devono
restale dello Stato, la comunità scientifica, la
essere iscritte nell’elenco nazionale delle orga-
Croce Rossa Italiana, il Servizio Sanitario Na-
nizzazioni di volontariato di protezione civile.
zionale e il Corpo Nazionale del Soccorso AlpiTra le principali novità, il fatto che i requi-
no e Speleologico.
siti di idoneità tecnico-operativa necessari
INDIRIZZI OPERATIVI PER ASSICURARE L’UNITARIA PARTECIPAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI
per far parte dell’elenco dovranno essere
periodicamente verificati.
12
PARTE PRIMA
L’elenco nazionale è costituito dalla somma di:
Tra le più rilevanti novità, per le articolazioni
• Elenchi/albi/registri regionali, denominati
locali delle organizzazioni di rilievo nazionale
è prevista l’esigenza di individuare, al proprio
“elenchi territoriali”
interno, “aliquote” che le sezioni locali devono
• “Elenco centrale” istituito presso il Diparti-
indicare al momento dell’iscrizione all’elenco
mento della Protezione Civile
Tutte le organizzazioni iscritte negli elenchi
territoriale, specificando volontari, risorse e
territoriali e nell’elenco centrale possono es-
attrezzature che restano dedicate all’organiz-
sere attivate e chiamate a operare in caso di
zazione nazionale di appartenenza, nell’ambi-
eventi di rilievo nazionale.
to della rispettiva colonna mobile nazionale, e
quelle che, invece, sono riservate all’operati-
2. Gli elenchi territoriali:
vità sul territorio, per esigenze di natura locale. Le modalità per richiedere l’iscrizione negli
per intervenire e operare per attività ed
elenchi territoriali sono disciplinate dalle legi-
eventi di rilievo regionale/locale le orga-
slazioni regionali che determinano i requisiti di
nizzazioni devono essere iscritte nell’elen-
idoneità tecnico-operativa. I requisiti devono
co territoriale del volontariato della propria
però soddisfare i quattro criteri generali indivi-
Regione o Provincia autonoma.
duati dalla direttiva.
3. L’elenco centrale:
L’elenco territoriale è istituito separatamente dal registro previsto dalla legge 266/1991
(legge-quadro sul volontariato) e le organizza-
questa sezione dell’elenco nazionale ac-
zioni che ne hanno i requisiti possono iscriver-
coglie le organizzazioni che per caratte-
si a entrambi. Negli elenchi territoriali possono
ristiche operative e diffusione, assumono
iscriversi:
particolare rilevanza mediante un diretto
• organizzazioni di volontariato costituite ai
raccordo con il Dipartimento della Prote-
sensi della legge 266/1991 con carattere
zione Civile che assume rilevanza in caso
locale
di eventi di rilievo nazionale.
• organizzazioni di altra natura, ma con caratPossono richiedere l’iscrizione nell’elenco
tere prevalentemente volontario
centrale:
• articolazioni locali delle organizzazioni ri-
• le strutture nazionali di coordinamento di
chiamate nei punti precedenti, con diffusio-
organizzazioni costituite ai sensi della legge
ne nazionale
n.266/1991 diffuse in più Regioni
• gruppi comunali e intercomunali
• coordinamenti territoriali che raccolgono
• le strutture nazionali di coordinamento delle
più gruppi od organizzazioni delle tipologie
organizzazioni di altra natura a componente
precedentemente indicate.
prevalentemente volontaria
13
PARTE PRIMA
mento e le Regioni metteranno a punto mo-
• organizzazioni prive di articolazione re-
dalità di gestione informatizzata degli elenchi.
gionale, ma in grado di svolgere funzioni
specifiche ritenute dal Dipartimento della
Protezione Civile di particolare rilevanza e
5. Benefici normativi per i volontari di prote-
interesse a livello nazionale
zione civile:
• le strutture nazionali di coordinamento dei
per l’applicazione dei benefici previsti da-
gruppi comunali e intercomunali
La direttiva precisa i requisiti strutturali e le
gli articoli 9 (rimborsi ai datori di lavoro
caratteristiche di capacità tecnico-operativa di
dei volontari) e 10 (rimborsi delle spese
rilievo nazionale che le organizzazioni devono
vive sostenute in attività operative dal-
possedere per richiedere l’iscrizione nell’elen-
le organizzazioni di volontariato) del Dpr
co centrale. Tra questi è indicata espressa-
194/2001 è necessario che l’intervento
mente la rilevanza operativa nazionale, che va
delle organizzazioni di volontariato sia for-
argomentata con riferimento a specifici para-
malmente “attivato”.
metri, non necessariamente connessi alle attività finalizzate agli interventi di emergenza.
L’attivazione delle organizzazioni deve con-
L’iscrizione nell’elenco centrale di un’organiz-
tenere alcuni elementi di base che vengono
zazione diffusa in più Regioni può comportare
elencati: evento di riferimento, decorrenza, ter-
il riconoscimento anche delle sezioni locali e
mine delle attività/cessata emergenza, modo di
articolazioni territoriali operative per attività di
accreditamento dei volontari e rilascio attestati
rilievo nazionale.
e l’eventuale autorizzazione all’applicazione
Il Dipartimento della Protezione Civile e le Re-
dei benefici normativi utilizzando la modulisti-
gioni definiscono con le organizzazioni, per
ca ufficiale disponibile sui siti web di Diparti-
quanto di rispettiva competenza, accordi e
mento e Regioni.
protocolli operativi per assicurare la possibile
contestuale operatività, in contesi di emergen-
6. Attività formative e addestrative: per l’appli-
ze nazionali, di sezioni o articolazioni locali sia
cazione dei benefici di legge, le attività formative
nell’ambito della rispettiva colonna mobile re-
e addestrative devono essere autorizzate dal Di-
gionale o provinciale, sia nell’ambito della co-
partimento, anche se organizzate su scala locale.
lonna mobile nazionale dell’organizzazione di
Le organizzazioni iscritte nell’elenco centrale
appartenenza.
presentano direttamente istanza al Dipartimento.
Le sezioni territoriali/locali di organizzazioni iscrit-
4. Gestione informatizzata dell’elenco nazio-
te nell’elenco centrale presentano la richiesta di
nale: per consentire l’aggiornamento in tempo
autorizzazione al Dipartimento attraverso le strut-
reale dell’elenco nazionale delle organizzazio-
ture nazionali (informando anche le strutture di
ni e la sua pubblica consultazione il Diparti-
protezione civile della Regione di appartenenza).
14
PARTE PRIMA
Le organizzazioni iscritte negli elenchi territoria-
8. Casi particolari. Specifiche tipologie di
li devono presentare domanda esclusivamente
eventi di rilievo regionale o locale.
per il tramite della Regione di appartenenza.
I casi analizzati riguardano:
• eventi diversi dalle emergenze, che per il
7. Attività e interventi in vista/in caso di emer-
loro impatto possono mettere a rischio l’in-
genze/altri eventi: per eventi di tipo “c”, ossia
columità della popolazione, seppure in am-
di carattere nazionale, o per attività e interven-
bito territoriale limitato. In casi di questo
ti di rilievo internazionale l’attivazione delle or-
tipo l’applicazione di benefici normativi è
ganizzazioni e l’autorizzazione all’applicazione
subordinata all’attivazione del piano comu-
dei benefici è disposta dal Dipartimento della
nale e all’istituzione temporanea del Coc
Protezione Civile (con oneri a suo carico). Per
• ricerca di persone disperse al di fuori del
eventi di tipo “a” e “b”, l’attivazione delle orga-
contesto previsto dalla legge 225/1992 e
nizzazioni e l’autorizzazione all’applicazione dei
in ambiente diverso da quello montano o
benefici è a cura delle strutture di protezione
impervio.
civile delle Regioni (con oneri a loro carico).
Per le ricerche in ambiente urbano la richiesta
Secondo il Dpr 194/2001 l’autorizzazione
di concorso dei sistemi locali di protezione ci-
all’applicazione dei benefici normativi è com-
vile può riguardare il volontariato:
petenza dello Stato o della Regione, non dei
• se la richiesta è avanzata dall’autorità com-
Comuni o di altre istituzioni territoriali. In base
petente che ha anche il coordinamento del-
alla legge 225/1992, però, i Comuni hanno
le attività
titolo ad attivare le organizzazioni (ma non a
• se la richiesta è rivolta alla struttura di pro-
disporre dei benefici normativi). Per chiarire
tezione civile territorialmente competente
questo punto la direttiva precisa che la richie-
• se la struttura locale o regionale si assume
sta dei benefici normativi deve essere rivolta in
l’onere di individuare e attivare le organiz-
via preventiva alla Regione competente, così
zazioni utili per l’intervento richiesto, in rac-
da consentire la quantificazione degli oneri.
cordo con l’autorità richiedente.
15
PARTE PRIMA
PER SAPERNE DI PIÙ
Servizio Nazionale
• L 225/1992 - Istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile e individua il volontariato
come struttura operativa del Servizio, indicandone gli ambiti di attività.
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG1602
• DPR 194/2001 - Disciplina la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di
protezione civile, dall’iscrizione ai registri ai benefici previsti per i volontari iscritti.
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG20554
• D 13/04/2011 - Contiene disposizioni in attuazione del Dlgs 81/2011 a tutela della salute e
della sicurezza dei volontari di protezione civile.
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG26529
• Direttiva del 9 novembre 2012 – Punta ad assicurare unitaria partecipazione delle organizzazioni di volontariato all’attività di protezione civile e porta a compimento il percorso di approfondimento e aggiornamento delle disposizioni del Dpr n.194/2001
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?contentId=LEG37466
Volontariato
• L 266/1991 - Definisce il volontariato come attività personale, spontanea e gratuita e ne disciplina le forme associative
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_prov.wp?facetNode_1=f1_5&prevPage=provve
dimenti&catcode=&contentId=LEG21151
• Il ruolo del volontariato nel Servizio nazionale
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/il_ruolo_del_volontariato.wp
• Il percorso della sicurezza per i volontari di protezione civile
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS30059
• La Consulta nazionale del volontariato
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS22573
• Stati generali del volontariato
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/stati_generali.wp
16
PARTE PRIMA
PIANI DI EMERGENZA DI PROTEZIONE CIVILE
La pianificazione di emergenza consiste
• quali sono le responsabilità ai diversi li-
nell’insieme delle procedure operative di inter-
velli di coordinamento per la gestione
vento per fronteggiare una qualsiasi calamità
dell’emergenza?
attesa in un determinato territorio.
• come avviene lo scambio di informazioni
Pianificare significa prepararsi durante il pe-
tra i vari soggetti coinvolti nella gestione
riodo ordinario a fronteggiare l’emergenza sin
dell’emergenza?
dalle prime fasi, in modo da ottimizzare la
• come viene garantita l’informazione alla
gestione delle risorse disponibili e garantire
popolazione?
una prima risposta operativa, soprattutto per il
Il Piano di emergenza è dunque uno stru-
soccorso e l’assistenza alla popolazione.
mento di lavoro basato su una situazione
I Piani richiedono un continuo aggiornamento
verosimile, ipotizzata sulla base delle cono-
e devono tener conto dell’evoluzione dell’as-
scenze dello stato di rischio del territorio.
setto territoriale e dell’eventuale incremento
Il Piano è quindi utile a dimensionare pre-
della conoscenza scientifica dei relativi rischi.
ventivamente la risposta operativa neces-
Il Piano di emergenza deve rispondere alle
saria al superamento della calamità, con
domande:
particolare attenzione alla salvaguardia del-
• quali eventi calamitosi possono interessare
la vita umana.
il territorio?
Ogni Comune deve dotarsi di un proprio pia-
• qual è il danno presunto causato dall’even-
no di emergenza che consenta al Sindaco,
to calamitoso?
quale autorità di protezione civile, di garan-
• quale organizzazione operativa è necessa-
tire una prima risposta operativa e favorire,
ria per ridurre al minimo gli effetti dell’e-
al contempo qualora necessario, l’intervento
vento con particolare attenzione alla salva-
delle altre risorse provenienti dall’intero Si-
guardia della vita umana?
stema di protezione civile.
17
PARTE PRIMA
PER SAPERNE DI PIÙ
• Piano di emergenza
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piano_emergenza.wp
• Mappa dei piani di emergenza comunali
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piani_di_emergenza_comuna.wp
• Esercitazioni di protezione civile
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/esercitazioni.wp
18
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
COMUNICARE IN PIAZZA a cura di Valeria Bernabei, Francesca Dottarelli, Mariacristina
Giovannini, Elena Lombardo, Marianna Schiavon, Veronica Tretter
COME NASCE
scono e a loro volta sono conosciuti dalle istituzioni locali e dai cittadini. Chi meglio di loro
Io non rischio è una campagna di comuni-
per fare informazione sui rischi che su quel
cazione nazionale sulle buone pratiche di
territorio insistono?
protezione civile. Ma ancora prima di que-
Da questi presupposti è nata l’idea originaria
sto, Io non rischio è un proposito, un’esor-
di Io non rischio.
tazione che va presa alla lettera.
L’Italia è un paese esposto a molti rischi
Formare i volontari di protezione civi-
naturali, e questo è un fatto. Ma è altret-
le sulla conoscenza e la comunicazione
tanto vero che l’esposizione individuale
del rischio per poi farli andare in piazza,
a questi rischi può essere sensibilmente
nella loro città, a incontrare i cittadini e
ridotta attraverso la conoscenza del pro-
informarli.
blema, la consapevolezza delle possibili
conseguenze e l’adozione di alcuni sem-
Un’idea concepita e proposta dall’Associazio-
plici accorgimenti. E attraverso conoscen-
ne nazionale pubbliche assistenze e subito
za, consapevolezza e buone pratiche poter
sposata dal Dipartimento della Protezione Ci-
dire, appunto: “Io non rischio”.
vile, dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dalla Rete dei laboratori universitari
Il sistema più efficace per difendersi da un
di ingegneria sismica, e poi progressivamente
rischio è conoscerlo. Questo tipo di cono-
allargata ad altre associazioni di protezione ci-
scenza, per essere realmente utile, di solito
vile. Perché se è vero che le idee camminano
comporta un livello di approfondimento che
con le gambe delle persone, per un’idea come
difficilmente può essere comunicato con un
questa di gambe ce ne vogliono davvero tante.
semplice spot radiofonico o televisivo.
L’ideale, per un cittadino, sarebbe poter par-
COME SI SVOLGE
lare con qualcuno capace di raccontargli tutto
Ogni processo di comunicazione, informazio-
quello che occorre sapere sul terremoto, sul
ne o educazione è necessariamente un pro-
maremoto o su qualsiasi altro rischio, magari
cesso a cascata.
incontrandolo direttamente nella sua città, in
Tutti noi, a scuola come sul lavoro, siamo sta-
piazza, un sabato o una domenica mattina. Ed
ti formati da persone che, a loro volta, sono
è qui che si è accesa la lampadina: i volontari
state formate da altre persone. Quindi ci è
di protezione civile!
sembrato del tutto naturale utilizzare questo
Le associazioni di volontariato di protezione
processo anche nella formazione dei volon-
civile sono presenti in tutta Italia. I volontari vi-
tari e, di conseguenza, nella comunicazione
vono e operano sul proprio territorio, lo cono-
finale con i cittadini.
20
PARTE SECONDA
Ogni associazione locale individua i quin-
L’EDIZIONE 2014
dici volontari che incontreranno i cittadini
L’edizione 2014 di Io non rischio riguarda
in piazza nei giorni della campagna. Tra
tre rischi: terremoto, maremoto e alluvione.
questi, l’associazione ne sceglie tre che
Io non rischio Terremoto, giunta al quarto
parteciperanno alle giornate di formazio-
anno, si svolge il 14 e 15 giugno 2014 nelle
ne organizzate dai promotori dell’iniziativa
piazze di circa 230 comuni italiani a rischio
sui temi del rischio e della comunicazio-
sismico in tutta Italia.
ne. A quel punto i tre volontari, formati di-
La campagna è promossa e realizzata da:
rettamente da tecnici, scienziati e profes-
Dipartimento della Protezione Civile, Anpas
sionisti della comunicazione del rischio,
- Associazione Nazionale delle Pubbliche As-
hanno il compito di trasmettere le cono-
sistenze, Ingv - Istituto Nazionale di Geofisica
scenze acquisite agli altri dodici colleghi,
e Vulcanologia e ReLUIS - Consorzio della
diventando a tutti gli effetti dei volontari
Rete dei Laboratori Universitari di Ingegne-
formatori.
ria Sismica. Oltre all’Anpas, sono coinvolte
nell’iniziativa sezioni locali di organizzazioni
Alla fine del processo, per essere sicuri che tra
di volontariato di protezione civile e associa-
tutti ci sia omogeneità nel livello di conoscenze,
zioni regionali.
vengono organizzate delle giornate di refresh:
Nello stesso weekend si svolge la campa-
una specie di ripasso in cui ogni partecipante
gna Io non rischio Maremoto, in più di ven-
è chiamato a esercitarsi anche attraverso delle
ti comuni italiani a rischio tsunami.
simulazioni pratiche. Dopodiché, tutti i volontari
L’iniziativa, giunta al secondo anno, è pro-
sono formati e pronti a incontrare i cittadini.
mossa dagli stessi partner della campagna
Diciamo incontrare, e non informare, per por-
sul rischio simico, in collaborazione con
re l’accento sulla filosofia su cui si fonda la
Ispra - Istituto superiore per la Protezio-
campagna.
ne e la Ricerca Ambientale e Ogs - Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica
I volontari non fanno volantinaggio. Non
Sperimentale.
si limitano a lasciare il materiale informa-
Nel mese di ottobre, invece, si svolge in via
tivo alle persone, ma si fermano a parlare
sperimentale la campagna Io non rischio
con loro, illustrano il problema, in qualche
Alluvione.
modo lo raccontano e rimangono a disposi-
COSA COMUNICARE IN PIAZZA
zione per eventuali domande e chiarimenti.
Nei weekend dedicati alle campagne vengono
Anche dopo le giornate della campagna, visto
allestiti degli stand informativi nelle piazze dei
che, come abbiamo detto, i volontari operano
comuni interessati. I volontari distribuiscono i
e vivono sul territorio in cui comunicano.
materiali informativi e rispondono alle doman-
21
PARTE SECONDA
de dei cittadini sulle possibili azioni da fare per
• Pieghevole: cosa sapere e cosa fare
ridurre il rischio. Solo per la campagna Io non
prima, prevenzione. Spiega in termini
rischio – Terremoto, al centro dell’allestimen-
semplici cosa deve sapere il cittadino
to della piazza c’è un totem: un’installazione
per imparare a prevenire e ridurre i dan-
composta da scatoloni sovrapposti, colorati e
ni dei terremoti e cosa può fare nella
illustrati, che contiene giochi e interazioni sul
propria casa, con il consiglio di un tec-
rischio sismico, per facilitare la comunicazio-
nico, oppure da solo, fin da subito.
ne tra volontari e cittadini.
I contenuti di questo manuale servono per ca-
• Scheda: cosa fare durante e dopo, norme
pire meglio e approfondire i concetti chiave
di comportamento. Contiene informazio-
contenuti nei materiali informativi della cam-
ni utili a tutta la famiglia sui comporta-
pagna. Tutte le informazioni da comunicare in
menti da adottare durante il terremoto e
piazza, infatti, sono presenti nel pieghevole e
subito dopo. La scheda può essere con-
nella scheda.
servata e anche appesa.
22
PARTE SECONDA
IL LINGUAGGIO DI SCHEDA E PIEGHEVOLE. OBIETTIVO: FARSI CAPIRE!
I testi dei materiali informativi della campagna
evitato il burocratese “norme” (vigenti)
di informazione Io non rischio sono stati scritti
•Abbiamo usato parole comuni ed evitato le
rispettando alcune regole della semplificazione
espressioni di tono inutilmente elevato
del linguaggio. Scrivere con chiarezza, semplicità
“evento sismico”: “terremoto”
e precisione, con parole concrete e di uso comune
•Abbiamo usato parole concrete e dirette per aiutare
favorisce la comprensione del messaggio da parte
il lettore a visualizzare il concetto
di chi leggerà. Di seguito, trovi le regole principali
“la pianificazione comunale”: “il piano comunale”
che abbiamo seguito nella redazione della scheda
•Abbiamo usato preposizioni semplici, invece di
e del pieghevole. Pensiamo infatti possano esserti
quelle complesse
d’aiuto in futuro se ti troverai a scrivere materiali
“al fine di, a scopo di, con l’obiettivo di”: “per”
informativi rivolti a cittadini!
L’organizzazione delle informazioni
La costruzione delle frasi
I testi dei materiali della campagna sono lunghi e
•Abbiamo utilizzato frasi semplici, lineari e brevi
per questo li abbiamo suddivisi in piccoli paragrafi,
“È il crollo delle case che uccide, non il terremoto”
preceduti da un titoletto che ne riassume il
•Abbiamo preferito i verbi ai nomi, cioè evitato le
contenuto. Con questa operazione volevamo essere
nominalizzazioni
più precisi, chiari e sintetici possibili. Un titolo
“applicare modifiche”: “modificare”
come «Informazioni importanti» non serve a nulla,
•Abbiamo esplicitato il soggetto ed evitato le forme
perché non dà nessuna informazione sul contenuto
impersonali
e obbliga il cittadino a iniziare la lettura del testo.
“in caso di dubbi”: “se hai qualche dubbio”
Sono invece più efficaci titoli come: «Cosa fa lo
•Abbiamo preferito le frasi di forma affermativa
Stato per aiutarti?», «Gli effetti di un terremoto
“non ignorare”: “conosci, informati”
sono gli stessi ovunque?». Questi titoli individuano
immediatamente l’argomento del testo e possono
La scelta delle parole
essere letti dando un’occhiata veloce al pieghevole.
•Abbiamo preferito le parole italiane a quelle
La grafica
straniere, se ugualmente sostituibili
“tsunami”: “maremoto”
Nello scrivere i materiali informativi, abbiamo
•Abbiamo limitato i termini tecnico-specialistici,
fatto attenzione anche ad alcuni aspetti grafici per
definendoli la prima volta che li usavamo
facilitare la lettura ad esempio: lo spazio tra una riga
“classificazione sismica”: “il territorio italiano è
e un’altra, la scelta del carattere (leggibile e grande),
classificato in zone a diversa pericolosità”
i margini e la lunghezza delle righe. Abbiamo usato il
•Abbiamo usato espressioni della lingua comune ed
grassetto solo per evidenziare i concetti importanti.
23
PARTE SECONDA
COME STARE IN PIAZZA
• la prevenzione non riguarda solo le istitu-
Come volontari siete già abituati a parlare
zioni, ma ciascuno di noi.
con i vostri concittadini. Sicuramente il fatto
Da qui, illustrate ai cittadini il loro ruolo:
di organizzare la piazza nel vostro territorio vi
mostrate ai cittadini il pieghevole e la sche-
aiuterà a rompere il ghiaccio: la divisa che in-
da cercando di sintetizzarne il contenuto.
dossate è il vostro biglietto da visita e vi rende
Non tentate di fornire spiegazioni scientifi-
riconoscibili come interlocutori affidabili. Na-
che o tecniche ma attenetevi a quanto spie-
turalmente ci sono alcune regole che possono
gato nei materiali informativi. Per ulteriori
aiutarvi a rendere più efficaci le vostre giorna-
informazioni rimandate ai siti istituzionali o
te in piazza.
alle istituzioni competenti.
Sottolineate che:
• è importante informarsi al proprio Comune
COSA DIRE
per sapere se esiste un piano d’emergenza
Seguite le cinque “W” della
comunale e cosa prevede
buona comunicazione.
• bisogna sempre rivolgersi a veri esperti e
Who – Chi siamo: ogni approccio dovrebbe
non a tecnici improvvisati
iniziare con una presentazione di se stessi,
• la vostra associazione di appartenenza ope-
della propria associazione, della Protezione
ra sul territorio e rimane a disposizione per
Civile, dei promotori dell’iniziativa. Ricorda-
chiarimenti, approfondimenti ecc.
te che il volontariato è una componente del
Se si presentano in piazza rappresentanti di
Servizio Nazionale della Protezione Civile.
altre associazioni interessate, mostrate un at-
What/Where/When – Di cosa si tratta, dove
teggiamento inclusivo, create contatti. Ricor-
si svolge e quando: presentate brevemente
date che la campagna Io non rischio mira a
l’iniziativa Io non rischio e ricordate che non
coinvolgere un numero sempre maggiore di
si svolge solo nella vostra, ma in altre piazze
associazioni, anche territoriali.
in tutto il territorio nazionale.
Se si presentano le istituzioni (che vanno as-
Why – Perché: presentate le finalità di Io
solutamente invitate) come Sindaco, Prefetto,
non rischio:
ecc. accoglietele con attenzione e premura,
• è un’iniziativa di comunicazione che, sen-
sempre con un atteggiamento di inclusione e
za allarmismo, mira ad accrescere la cono-
coinvolgimento.
scenza e la consapevolezza rispetto ai di-
Apertura e chiusura del discorso: in media, la
versi rischi
conversazione in piazza con i cittadini durerà
• conoscenza e consapevolezza aumentano
cinque/dieci minuti. Tenete a mente che l’a-
la capacità individuale di autodifesa, contri-
pertura e la chiusura del discorso sono molto
buendo alla prevenzione generale
importanti:
24
PARTE SECONDA
Oltre che con le parole, la comunicazione av-
• l’apertura (cioè le frasi iniziali per “agganciare” i cittadini nelle piazze, il totem nel
viene anche attraverso:
caso della campagna sul terremoto), per-
• il modo di vestire
ché è il momento in cui si stabilisce un pat-
• la postura
to di fiducia tra le persone coinvolte e si di-
• l’espressione del volto
chiara la propria disponibilità a parlare e ad
• il contatto oculare
ascoltare;
• movimenti delle mani, delle braccia
e delle gambe
• la chiusura, perché ci si deve accertare che
l’altra persona sia soddisfatta. Accertatevi
• la tensione del corpo
che il cittadino non abbia dubbi, indicate
• la distanza spaziale
dove approfondire gli argomenti di mag-
• il contatto diretto
giore interesse e ribadite il messaggio della
• la voce (tono, ritmo, inflessione)
campagna.
La gestualità: è un mezzo di comunicazio-
Meccanismi di ripetizione: ripetere più volte i
ne visiva capace di trasmettere ciò che il
concetti chiave può risultare utile per chiarire
linguaggio verbale non sa comunicare. Ne
i temi che stiamo trattando o le finalità della
consegue che la forma di comunicazione più
campagna. Nell’interazione faccia a faccia è
efficace è quella in cui alle parole si accom-
meglio non dare per scontato nulla, per evita-
pagnano i gesti.
re fraintendimenti.
Per interpretare il messaggio non verbale dobbiamo sempre considerare tutti i gesti nel loro
COME DIRLO
insieme: i gesti presi singolarmente non signi-
Le parole che pronunciamo sono importanti,
ficano niente, ma se si presentano tutti insie-
ma il comportamento non verbale condiziona
me nel corso di una interazione, allora ci sono
in modo molto forte l’impressione che ricevia-
buone probabilità che la nostra interpretazio-
mo dagli altri e quella che gli altri ricevono da
ne sia corretta.
noi. Gran parte di ciò che comunichiamo agli
Nel comunicare con gli altri, dobbiamo
altri si esprime, infatti, attraverso il linguaggio
capire se le persone a cui ci rivolgiamo
non verbale, cioè mediante i segnali visivi e
manifestano:
vocali emessi dal corpo. Dobbiamo quindi ve-
• segnali di serenità/disagio e ansia
rificare che il messaggio verbale, cioè quello
• segnali di apertura/chiusura.
comunicato dalle parole effettivamente pro-
Il linguaggio non verbale che indica apertura
nunciate, sia coerente con il messaggio del
e uno stato interiore positivo è composto da
corpo. Se vogliamo comunicare un messag-
una serie di gesti: il corpo si espone al mon-
gio in modo credibile, è importante che ci sia
do senza barriere e, così facendo, è vulnera-
coerenza fra ciò che diciamo a parole e ciò
bile agli altri, ma ciò non provoca alcun disa-
che esprimiamo attraverso il corpo.
gio alla persona.
25
PARTE SECONDA
La postura: la postura che esprime vicinanza
Assumete una postura sciolta,
e calore si traduce in genere in un’impressio-
guardate negli occhi la perso-
ne migliore (e dunque simpatia) dell’altro su
na con cui parlate, cercate di
di noi. È composta da questi tratti:
non incrociare le braccia e parlate senza
• inclinazione in avanti del busto, che dimo-
mettere le mani in tasca.
Per una comunicazione efficace, mettetevi
stra interesse per l’altro
di fronte all’interlocutore per poterlo guar-
• tendenza ad avvicinarsi col corpo e orien-
dare direttamente e non al suo fianco o in
tarlo direttamente verso l’altro
• rilassatezza delle braccia e mani
posizione laterale.
• sguardo che mantiene il contatto con gli
Non dimenticate che in piazza anche un
occhi dell’altro/a senza però fissarlo/a in
sorriso può aiutare a stabilire un contatto
modo eccessivo, cosa che può esprimere
con il vostro interlocutore: accogliete i citta-
aggressività.
dini con un sorriso!
Il linguaggio non verbale che indica chiusu-
Non assumete un atteggiamento di chiusu-
ra si fonda, invece, su un complesso di gesti,
ra con il corpo, ma, al contrario, adottate
movimenti e posture con cui il corpo si richiu-
uno stile aperto, perché così è più probabi-
de in se stesso. Chi si sente minacciato, ten-
le che l’interazione abbia esito favorevole e
de a far apparire il corpo più piccolo di quan-
l’interlocutore eviti di chiudersi in sé stessa.
to lo sia realmente e a proteggersi erigendo
Durante la conversazione, variate e modu-
barriere difensive.
late il ritmo, il timbro, il tono e l’inflessione
La postura che trasmette lontananza (e dunque
della voce.
distacco) è composta in genere da questi tratti:
• posizione rigida delle braccia e gambe
Nel paragrafo dedicato allo storytelling (pagina
• inclinazione del busto laterale e tesa all’in-
35), trovate la lezione dedicata ai consigli utili
su come raccontare la campagna in piazza.
dietro (in piedi)
• sguardo che mantiene poco il contatto con
gli occhi dell’altro/a.
In questo caso può essere utile cambiare
strategia e/o cercare di scoprire il motivo della
sua insoddisfazione. Se la persona che avete
davanti persiste nell’atteggiamento di chiusura, porgetele qualcosa da guardare (il pieghevole, la scheda), per costringerla ad aprirsi e
a sciogliere le braccia conserte.
26
PARTE SECONDA
PER SAPERNE DI PIÙ
• Il sito dedicato alla campagna
www.iononrischio.it
• La campagna “Io non rischio”
http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/io_non_rischio.wp
• Dis.amb.ig.uando, blog di Giovanna Cosenza, professore associato di semiotica presso il
Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna
http://www.giovannacosenza.it/
• Pensieri sulla rete e sulla comunicazione, blog
http://gandalf.it/
• Teorie e pratiche della creatività, blog coordinato da Annamaria Testa, pubblicitaria e docente
di teoria della comunicazione all’Università Bocconi di Milano
http://www.nuovoeutile.it
• James Borg, Il linguaggio del corpo, Ed. Tecniche nuove, 2009
• David Cohen, Capire il linguaggio del corpo, Editori Riuniti, 2002
• Scrivere chiaro: una guida per il personale della Commissione europea
http://ec.europa.eu/translation/writing/clear_writing/how_to_write_clearly_it.pdf
• Linguaggio amministrativo chiaro e semplice, Università di Padova
30 regole per scrivere testi amministrativi chiari
http://www.maldura.unipd.it/buro/
• Direttiva dell’8 maggio 2002 sulla semplificazione del linguaggio delle pubbliche
amministrazioni
http://www.funzionepubblica.gov.it/TestoPDF.aspx?d=16872
27
PARTE SECONDA
COMUNICARE SULLA STAMPA E ONLINE a cura di Ilaria Salvi e Andrea Cardoni
RADIO, TV E GIORNALI LOCALI SONO ALLEATI
PREZIOSI
formiamo e sensibilizziamo sul tema del rischio
Attraverso radio, tv e giornali abbiamo l’oppor-
tribuendo a far arrivare in piazza più gente e 3)
tunità di far circolare un messaggio su una
costruiamo rapporti che potranno essere utili
platea di destinatari molto più ampia rispetto a
anche dopo la campagna, per promuovere le
quella del “passaparola” (che pure resta uno
attività quotidiane delle singole associazioni.
sismico, 2) diamo visibilità alla campagna con-
strumento potente). Per riuscirci, però, dobbiamo tenere presente che così come noi abbia-
IL COMUNICATO STAMPA
mo l’esigenza di far passare i messaggi della
Qualche settimana prima del weekend della
campagna, i giornalisti hanno a loro volta delle
campagna Io non rischio, riceverete un model-
esigenze (di tempo, di spazio, di tipologia di no-
lo di comunicato stampa, preparato dai refe-
tizia ecc.) e che solo rispettando il loro modo di
renti della comunicazione della campagna del
lavorare possiamo ottenere un risultato positivo.
Dipartimento della Protezione Civile e di An-
A questo proposito è bene ricordare che, in
pas per garantire un’informazione coordinata
Italia, la stampa locale ha una tradizione for-
fra tutti i soggetti della campagna. La traccia
te e molto radicata nel territorio: se andiamo
comune serve a rendere evidente la valen-
a guardare l’elenco dei 62 maggiori quotidiani
za nazionale dell’iniziativa, e ne trovate qui di
(esclusi quelli sportivi) sono solo 14 quelli a dif-
seguito un modello basato sulla campagna
fusione nazionale. Per le radio, poi, parliamo di
dell’anno scorso (si tratta quindi, lo ribadiamo,
appena una ventina di testate su oltre 300, e
solo di un esempio: il comunicato corretto vi
troveremmo percentuali ancora più alte se an-
arriverà qualche settimana prima dell’avvio
dassimo a guardare le testate online.
della campagna).
Se quindi per una testata nazionale può esse-
Si tratta di uno strumento di lavoro molto sem-
re difficile dare spazio a una campagna che
plice, con una parte (in nero) uguale per tut-
tocca circa 230 piazze (perché moltissimi dei
ti e una (in arancio nel testo) che va invece
suoi lettori/ascoltatori/spettatori, anche se po-
modificata secondo le informazioni relative ai
tenzialmente interessati, non hanno un gaze-
gazebo gestiti nelle diverse località da ciascu-
bo nella propria città in cui recarsi), per una
na associazione e, naturalmente, ai riferimenti
testata locale la presenza della campagna sul
di chi si occuperà dei contatti con la stampa.
proprio territorio è senza dubbio una notizia.
Questo per consentire a ciascuno di definire
Dobbiamo quindi considerare i mezzi di infor-
in autonomia la propria strategia di comuni-
mazione locali alleati preziosi per far sì che i
cazione (per alcune organizzazioni le notizie
cittadini sappiano che nel loro Comune c’è una
potranno essere diffuse dagli uffici stampa na-
piazza Io non rischio e ci vadano. I giornalisti
zionali o regionali, per altri dai singoli gruppi
locali, inoltre, sono prima di tutto cittadini della
sul territorio o magari dall’ufficio stampa del
zona. Otteniamo quindi un triplo risultato: 1) in-
Comune che vi ospita, ecc.).
28
PARTE SECONDA
29
PARTE SECONDA
COME UTILIZZARE IL COMUNICATO STAMPA
ferma della ricezione. La maggior parte dei
Di seguito alcuni consigli, basilari, su come
giornalisti preferisce ricevere tutto il materia-
utilizzare il comunicato stampa. Per molti di
le (comunicato stampa + il pieghevole della
voi si tratterà probabilmente di cose già note,
campagna + magari un paio di foto) via email,
ma che ci sembra utile condividere con tutti:
ma ci sono redazioni che ancora prediligono
se siete già esperti addetti stampa saltate pure
il fax (in questo caso, ovviamente, è del tutto
questo paragrafo!
inutile mandare il pieghevole o le foto, che si
1) Scegliete una persona che si occuperà dei
possono eventualmente consegnare a mano,
rapporti con la stampa (è preferibile, anche
se la redazione è nella vostra zona).
se non necessario, che abbia già una qualche
Naturalmente queste tempistiche valgono in
esperienza al riguardo). Il responsabile di ogni
generale, ma possono cambiare a seconda
piazza fornirà il nome e i contatti (email e cel-
della disponibilità delle diverse redazioni: se
lulare) della persona scelta ai referenti della
possono dare spazio alla campagna già nella
comunicazione della campagna presso il Di-
settimana precedente tanto meglio, ma l’im-
partimento della Protezione Civile e Anpas.
portante è che lo facciano nei giorni a ridosso.
2) Mappate le testate e le redazioni locali e
quelle di settore: può essere utile creare per
Il nostro obiettivo, infatti, è far sì che le
ciascun comune un elenco di tv, radio, quo-
persone sappiano della campagna e ven-
tidiani e siti web, completo di nomi, telefoni
gano al gazebo: quello che ci interessa,
(quando è possibile) ed email di giornalisti e
quindi, è che la notizia passi soprattutto
redazioni. A questo scopo, occorre procurar-
da venerdì fino a domenica a ora di pranzo
si sempre almeno un numero della testata e
(se poi esce una notizia domenica sera o
leggere/ascoltare qualche servizio sul web,
lunedì ovviamente ci fa piacere, ma non
per individuare quali giornalisti si occupano
porta persone in più al gazebo).
di protezione civile, di volontariato o di rischio
Tenete conto dei tempi: il comunicato
PROMUOVERE UNA CAMPAGNA NAZIONALE A
PARTIRE DAL PROPRIO TERRITORIO: CONSIGLI
PRATICI ED ERRORI DA EVITARE
stampa andrebbe inviato circa un mese
La forza della campagna Io non rischio sta
prima alle testate mensili, 15 giorni prima
nella capacità di lavorare assieme (tra volon-
ai settimanali, un paio di giorni prima a tv,
tari e volontarie provenienti da diverse orga-
radio, quotidiani e siti web
nizzazioni, tra ricercatori provenienti da diversi
sismico.
centri di competenza tecnica e scientifica e,
È sempre bene fare una telefonata prima, per
soprattutto, tra volontariato, comunità tecni-
avvisare e verificare di avere i contatti giusti, e
co-scientifica e Dipartimento della Protezione
magari una successivamente, per avere con-
Civile), con l’obiettivo di costruire un linguag-
30
PARTE SECONDA
gio comune per la diffusione della cultura di
• mappare blogger, profili Facebook, Twitter,
protezione civile. Per ottenere il risultato finale,
Flickr ecc. di singole persone o altre orga-
cioè una cittadinanza più sensibile e più infor-
nizzazioni, comitati o movimenti che po-
mata sui rischi con cui convive, pur rispettando
trebbero veicolare i contenuti e gli eventi
le specificità dei singoli territori, è necessario
legati alla campagna Io non rischio
• stringere rapporti amichevoli con gli uffi-
che la catena di informazioni sia ben coordina-
ci stampa di altre associazioni e istituzioni
ta e coerente con i messaggi della campagna.
locali che sono in contatto con la nostra
Quando sono previsti più gazebo, soprat-
associazione (anche in questo caso crea-
tutto se gestiti da organizzazioni diverse,
re un elenco è la soluzione più pratica per
è fondamentale raccordarsi nella comuni-
non dimenticarsi di nessuno)
cazione, per consentire alla stampa loca-
• aggiornare periodicamente ogni elenco e
le di dare notizia delle piazze della cam-
ogni contatto: i siti e i giornali chiudono ma
pagna Io non rischio in modo corretto (un
soprattutto ne nascono di nuovi ogni giorno
conto è ricevere tre comunicati diversi,
• realizzare un file standard per l’impagi-
ciascuno per un singolo gazebo, un altro
nazione della rassegna stampa: basta un
un comunicato stampa condiviso che in-
file Word o PowerPoint in cui inserire una
dica la presenza di più gazebo nello stes-
casella di testo con: data, titolo testata e
so posto).
numero di pagina (o link, se si tratta di
una testata online). Così ogni volta che
Di seguito vengono illustrati alcuni consigli
viene pubblicato qualcosa di nuovo ba-
pratici (e qualche cosa da evitare) per lavo-
sterà un semplice copia incolla per tene-
rare assieme in modo strutturato e creare un
re tutto in ordine.
piccolo ufficio stampa comune a tutte le associazioni, che dovrà lavorare in rete al fine di
5 cose da non fare, per evitare
rendere più efficace la campagna:
di creare confusione in chi rice-
• creare un archivio di immagini adatte a es-
ve le nostre informazioni:
sere inviate insieme ad articoli e comunicati,
• non modificare il logo della campagna
con fotografie dei volontari che distribuisco-
• non modificare l’immagine e i colori della
campagna
no materiale e immagini della campagna
• non modificare i loghi di nessuno degli
• fissare un calendario (con le scadenze per
enti che partecipano alla campagna
gli invii) delle attività che la persona incaricata di avere i rapporti con la stampa deve
• non modificare i contenuti della campagna
fare in parallelo con la comunicazione che,
• non utilizzare per i gazebo materiali
il Dipartimento della Protezione Civile e An-
vecchi o relativi a iniziative diverse da Io
pas metteranno in atto a livello nazionale
non rischio
31
PARTE SECONDA
E poi… Per ogni dubbio, idea, proposte ri-
chiedere sempre maggiori informazioni ai re-
guardanti la comunicazione della campagna,
ferenti, a livello nazionale, della campagna.
L’IMPORTANZA DELLE FONTI DI INFORMAZIONE
Dare informazioni corrette, ossia dire cose vere:
Quattro consigli:
è questo l’obiettivo principale della campagna
• siate pertinenti in base all’obiettivo del discorso
Io non rischio. La qualità delle informazioni che
• chiarezza: evitate espressioni oscure, ambigue o
questa campagna esprime passa direttamente dai
troppo complicate
ricercatori scientifici, che mettono a disposizione le
• veridicità: fornite solo informazioni validate
informazioni più corrette attualmente disponibili.
• quantità: fornite tanta informazione quanto
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la
richiesta in relazione all’obiettivo del discorso, né
rete degli ingegneri sismici ReLUIS e il Dipartimento
più né meno.
della Protezione civile sono fonti autorevoli che
Anche in momenti diversi, che non riguardano
forniscono informazioni elaborate e verificate
direttamente la campagna Io non rischio, per
con metodo scientifico, riconosciute a livello
avere informazioni corrette sui rischi naturali,
internazionale. La veridicità delle informazioni che
su cui spesso circolano notizie superficiali o
verranno condivise in piazza, su internet, sui social
sensazionalistiche, vi consigliamo di fare sempre
network riguardanti la campagna proviene, quindi,
riferimento direttamente agli enti ufficiali e
direttamente dagli enti che hanno elaborato la
scientifici, seguendo e consultando i relativi siti
campagna.
web, canali Twitter ecc.
SOCIAL NETWORK
• Facebook
Se i media locali ci consentono di far circola-
re la notizia tra i nostri concittadini, un altro
• Twitter
canale importante per attivare il passaparola
è rappresentato dai social network: è probabi-
(https://www.facebook.com/iononrischio)
(rispettivamente con il profilo @iononrischio
e l’hashtag, ossia l’etichetta #iononrischio)
le che nella vostra associazione o nel gruppo
• Instagram
abbiate già esperienza nell’uso di questi stru-
menti, quindi ci limitiamo a poche e semplici
Tre social network per condividere, parteci-
indicazioni per ottimizzare i risultati. Sono tre
pare e raccontare i contenuti, le fasi di pre-
i social network scelti per la diffusione della
parazione alla campagna, l’allestimento delle
campagna di comunicazione Io non rischio:
piazze, le giornate della campagna. Ma anche
(#iononrischio).
32
PARTE SECONDA
per dare un seguito alla campagna su internet
In generale, non collegare Fa-
con la diffusione delle buone pratiche e i com-
cebook, Instagram e Twitter
portamenti da adottare riportati nei materiali
per gli aggiornamenti di stato:
Io non rischio.
ogni strumento ha il suo linguaggio ed è
Una prospettiva, anche al di là della campa-
bene aggiornarli in parallelo.
gna iononrischio è quella rappresentata dallo
Per consentire di aggregare tutti i vostri
storytelling partecipativo, ovvero la pubblica-
contributi, è fondamentale la parola chia-
zione di contenuti sotto forma di storia: rac-
ve con cui etichettare ogni post, ogni foto e
contate le storie delle persone, dei volontari, le
ogni video: #iononrischio.
vostre storie in modo spontaneo, senza bisoFacebook
gno di mantenere un linguaggio istituzionale.
Quando lo storytelling è efficace produce due
risultati immediati: coinvolge, creando engagement (impegno, coinvolgimento), e produce
cambiamento.
CURA, QUALITÀ, PIANIFICAZIONE
Fondamentale importanza, nella condivisione di informazioni, è la cura di ciò che viene
raccontato: fondamentale è quindi personalizzare e contestualizzare la comunicazione per
il pubblico di riferimento che aiuti a capire il
valore e l’utilità di quella informazione.
Cosa fare:
La gestione dei social network da parte di
• cosa postare: frasi brevi, belle foto e im-
un’organizzazione non profit non dovrebbe es-
magini o disegni, ma anche brevi video
sere casuale, ma regolarmente programmata
(promo della campagna). Differenzia il
e calendarizzata.
contenuto (foto, testo, video)
Con la pagina di Facebook, per esempio, pos-
• descrivi sempre foto, video o link che
siamo attivare la pubblicazione programmata
posti: scrivi dove, quando, le emozioni
dei post e la pubblicazione delle fotografie in
che ti hanno spinto a condividere proprio
orari precisi della giornata. È la qualità e la
quel contenuto
pianificazione delle informazioni e del raccon-
• interagisci con altre pagine e coinvolgi
to che fate che ne determina il successo e la
tutta l’associazione. Non cancellare «er-
condivisione.
rori» segnalati, ma correggi e ringrazia
33
PARTE SECONDA
• non usare impropriamente gli «eventi»
mentre è consigliabile evitare le cosiddette
• non inserire la campagna in gruppi di di-
“foto di famiglia”: gli scatti di gruppo pos-
scussione che non sono interessati alla
sono certamente essere un bel ricordo, ma
campagna
non raccontano nulla ai cittadini. Quando si
scatta una foto si deve pensare che fa par-
• non taggare amici in foto o immagini in
te di una storia. L’ideale è realizzare un pic-
cui non compaiono.
colo reportage: dall’allestimento dello stand
Twitter
all’incontro con i cittadini, la consegna dei
materiali, l’illustrazione del Totem e così via.
Insomma, un percorso con immagini che
racconti e valorizzi il lavoro svolto insieme
da volontari e cittadini
• georeferenzia la foto con il tasto “Aggiungi alla mappa foto”. Descrivila con un
piccolo testo comprensibile a chi non conosce le realtà dove opera la tua associazione e poi aggiungi il tag #iononrischio
per indicizzare il tuo contenuto
• condividi e commenta le foto scattate da
altri con il tag #iononrischio.
Hai 140 caratteri, più la georeferenziazione,
per raccontare ciò che stai facendo. Ricorda
sempre di inserire il tag #iononrischio. Puoi inserire anche immagini e video.
Instagram
Puoi condividere fotografie della vostra attività georeferenziandole (ricorda sempre di
inserire #iononrischio).
Cosa fare:
• scatta la foto (evitando di inquadrare volti di
bambini, volontari che fumano o che mangiano o bevono). In generale, è meglio privilegiare le foto d’insieme di carattere operativo, ovvero che raccontino l’attività svolta,
34
PARTE SECONDA
STORYTELLING: UNA NARRAZIONE PER ENTRARE IN AZIONE a cura di Riccardo Rita
Qualche tempo fa mi trovavo a un convegno
rava ogni giorno da vent’anni. È inutile che vi
organizzato dal Ministero dei Beni Culturali.
dica che, come si scoprì solo in seguito, men-
Si discuteva delle strategie di comunicazione
tre noi discutevamo, l’entrata del museo si tro-
da adottare per far conoscere meglio ai citta-
vava esattamente dove si era sempre trovata,
dini la ricchezza del nostro patrimonio storico
anche negli ultimi vent’anni: ovvero alle spalle
e culturale. Dopo una serie di interventi molto
del parcheggiatore”.
tecnici (e altrettanto noiosi) basati su statistiche, percentuali e presentazioni in Power-
Questa storia non solo aveva catturato l’at-
Point che riportavano una serie di dati e nu-
tenzione di noi tutti, facendoci fare anche
meri impilati gli uni sugli altri, prese la parola
qualche sorriso, ma conteneva più sostan-
un dirigente di un certo progetto per la valoriz-
za di tutti quegli interminabili grafici stra-
zazione dei poli museali d’eccellenza.
colmi di dati e numeri.
“Eravamo andati in missione a Palermo per
Con una narrazione basata sulla propria
un sopralluogo al Museo Antonio Salinas”,
esperienza personale, quel dirigente ave-
attaccò il dirigente. “Il Salinas – continuò – è
va messo a nudo il problema: buona par-
tra i più importanti poli archeologici del no-
te del patrimonio culturale e artistico del
stro Paese e possiede, oltre a numerose testi-
nostro paese è pressoché sconosciuto alle
monianze della storia siciliana, una delle più
persone, perfino a quelle che ci lavorano
ricche collezioni d’arte punica e greca d’Ita-
davanti da vent’anni. E questa informazio-
lia. Viaggiando in automobile, cercavamo di
ne, a differenza dei precedenti interventi,
destreggiarci tra le vie del centro cercando di
c’era giunta attraverso un’emozione, non
intuire le indicazioni di un navigatore satelli-
attraverso un’analisi. Avevamo appena as-
tare che perdeva continuamente la connes-
sistito a un esempio di storytelling. La cui
sione. Arrivati a uno spiazzo, dopo aver fatto
peculiarità è proprio quella di far passa-
tre o quattro giri dello stesso isolato senza ri-
re le informazioni attraverso un processo
uscire a raccapezzarci, ci siamo accostati per
emozionale.
chiedere informazioni a un parcheggiatore
abusivo che si riparava dal sole in un ango-
DA DOVE VIENE
lo ombreggiato della via. Gli chiedemmo se
Il termine storytelling si può tradurre con “l’ar-
cortesemente poteva indicarci la strada per il
te di raccontare una storia” e individua una
Museo Salinas. L’uomo alzò le spalle e ci ri-
disciplina che, applicata al mondo della co-
spose che non l’aveva mai sentito nemmeno
municazione, è stata sviluppata soprattutto
nominare. Alla nostra insistenza cominciò a
negli Stati Uniti ed è arrivata in Europa princi-
scuotere la testa. Disse che sicuramente da
palmente attraverso le tecniche adoperate nel
quelle parti non c’era nessun museo, perché
marketing, nella politica e nel mondo del bu-
lui a Palermo c’era nato e in quella via ci lavo-
siness. Il motivo è semplice: ci si è accorti che
35
PARTE SECONDA
le storie sono un potente mezzo per influenza-
Perciò, a livello evolutivo, gli individui più ca-
re le persone. Nella nostra lingua, influenzare
paci di raccontare e ascoltare hanno avuto un
qualcuno di solito significa condizionarlo, per-
“aiuto” e, tendenzialmente, si sono riprodotti
tanto tendiamo ad assegnare a questo termi-
di più. Ecco perché noi siamo tanto sensibi-
ne un’accezione negativa. In inglese invece il
li alle narrazioni: ce l’abbiamo nel sangue.
verbo to influence significa soprattutto influire,
Raccontare storie serve a condividere espe-
affascinare, lasciare il segno. E in un mondo
rienze, in modo che non sia necessario vivere
in cui è sempre più difficile catturare l’atten-
in prima persona una situazione pericolosa
zione delle persone e coinvolgerle in un reale
per conoscere il modo corretto di agire per
processo di condivisione, riuscire a lasciare il
cavarsela. In questo senso, la narrazione ha
segno diventa sempre più essenziale.
rappresentato – e continua a rappresentare –
un potente vantaggio evolutivo.
CHE COS’È
Lo storytelling definisce alcune regole base per
LA DIFFERENZA TRA STORYTELLING E INFORMAZIONE
comunicare in un modo che, oltre a essere
Se raccontare storie serve a condividere espe-
chiaro, sia anche coinvolgente, e queste rego-
rienze e avvenimenti utili, che differenza pas-
le non le inventa, ma le va a pescare pari pari
sa tra fare informazione e fare storytelling? Ri-
dall’antica arte di raccontare storie. La narra-
sposta: la stessa differenza che passava tra le
zione ha origini ancestrali: ci ha accompagnato
presentazioni di interminabili elenchi numerici
per decine di millenni nel corso di tutta la no-
e la storia raccontata dal dirigente al conve-
stra evoluzione. Immaginate i nostri progenitori
gno sui Beni Culturali. Ed è una differenza di
preistorici al ritorno da una battuta di caccia,
modalità. Tra le due modalità esiste una con-
mentre, radunata la tribù attorno al fuoco in cui
nessione: sia i dati (informazione) sia la sto-
arrostiscono succose bisteccone di mammuth,
ria (narrazione) raccontano la stessa cosa e,
raccontano a tutti i momenti cruciali dello scon-
stranamente, ciascuna può essere vista come
tro con la gigantesca creatura e di come un
approfondimento e complemento dell’altra.
loro compagno, a causa di un comportamento
avventato, sia finito schiacciato sotto le zampe
Ma attraverso una storia possiamo far pas-
di quel primordiale pachiderma. Ebbene, tra i
sare l’essenza dell’informazione, facendo
giovani della tribù ci sarà stato chi ascoltava il
in modo che attraverso l’impatto emozio-
loro racconto con estrema attenzione e chi in-
nale proprio dello storytelling questa in-
vece si distraeva occupandosi d’altro. Ma solo
formazione essenziale possa fissarsi nella
chi era capace di ascoltare, una volta adulto,
mente e nell’animo dei nostri interlocuto-
trovandosi nella stessa situazione, avrebbe
ri. Gli studiosi delle tecniche narrative de-
avuto le informazioni necessarie per evitare di
finiscono questa essenza dell’informazio-
commettere le stesse avventatezze.
ne come concept, ovvero concetto.
36
PARTE SECONDA
Vale la pena di fare un esempio per chiarire la
ascoltare fa parte di noi, e quando qualcuno
cosa. Immaginiamo di avere il compito di tra-
si pone nei nostri confronti in modalità nar-
smettere una determinata informazione a dei
rativa ci predisponiamo quasi sempre con
bambini a scopo educativo.
un grande e istintivo interesse. E dopo che la
L’informazione consiste in una regola com-
persona in questione ci ha raccontato la sua
portamentale molto semplice: “Non bisogna
storia, avvertiamo con lei un legame, come
scherzare troppo”. Se ci limitassimo alla cru-
se averla ascoltata, in qualche modo, ci ren-
da informazione, non tutti i bambini potrebbe-
desse co-protagonisti di quella particolare vi-
ro comprenderne le implicazioni e le ricadute
cenda (fenomeno spiegato scientificamente
che un comportamento contrario a quell’indi-
con la scoperta dei neuroni-specchio). Avere
cazione potrebbe avere su di loro. Possiamo
una modalità narrativa consente di utilizzare
in questo caso servirci di una storia. Lo scher-
questa naturale predisposizione delle persone
zo del pastore di Esopo, per esempio, in cui si
(predisposizione non altrettanto diffusa se la
mostra come un pastorello che per due volte
modalità è semplicemente informativa).
grida “Al lupo! Al lupo!” solo per scherzo, alla
davvero, non viene creduto. Con questa storia
COME UTILIZZARE LA MODALITÀ NARRATIVA DELLE
TECNICHE DI STORYTELLING
i bambini afferrano al volo il concetto, con tut-
Come abbiamo visto, tutti raccontiamo co-
te le sue implicazioni.
stantemente episodi, aneddoti, storie, espe-
terza, quando sfortunatamente il lupo arriva
rienze. Quindi ciascuno di noi possiede, sen-
QUANDO USARLO
za magari esserne consapevole, delle doti da
Ogni volta che desideriamo stabilire un canale
storyteller. Un po’ come succede con la mu-
di comunicazione con una o più persone. Lo
sica: non serve conoscere l’armonia musicale
storytelling, più che essere un insieme di tec-
per fischiettare sotto la doccia, come non ci
niche, è una modalità attraverso cui stabilire
occorre conoscere il nome di una nota o la to-
una relazione con gli individui cui ci rivolgia-
nalità di una composizione per accorgerci di
mo. Questa relazione si crea grazie a una spe-
una stonatura. Allo stesso modo ciascuno di
cifica comunanza: come abbiamo visto, ogni
noi sa riconoscere una storia raccontata bene
essere umano possiede nel proprio bagaglio
o un messaggio comunicato efficacemente
culturale (e probabilmente anche genetico) il
senza dover essere per forza un narratologo
retaggio dei millenni passati ad ascoltare sto-
o un copywriter pubblicitario. In modo anco-
rie attorno al fuoco.
ra più preciso riusciamo a capire quando il
Ognuno di noi racconta storie, costantemen-
nostro interlocutore non è sincero, non è egli
te, da quando è nato. Il giorno ai colleghi, la
stesso interessato o non crede nel messaggio
sera agli amici o alla famiglia, raccontan-
che vuole trasmetterci. Questa informazione
do com’è andata la giornata. Raccontare e
passa attraverso una serie di indicatori che,
37
PARTE SECONDA
presi a uno a uno, hanno a che fare con la
coinvolgere e ingaggiare nel processo, mas-
postura, col tono di voce, con lo sguardo, con
simizzando la possibilità che diventi in segui-
i gesti e i micromovimenti dei muscoli faccia-
to egli stesso parte attiva nella diffusione del
li; ma se li prendiamo nel loro insieme, qui ci
messaggio.
basta sottolineare che hanno a che fare con la
MAI SPINGERE, MA SEMPRE ATTIRARE
mancanza di autenticità.
AUTENTICITÀ
Tutte le modalità che tendono a esercitare
La prima regola da rispettare è essere sempre
una forma di pressione sulle persone ven-
autentici. Questo accade quando siamo con-
gono percepite come sgradevoli.
vinti e sicuri di quello che stiamo comunicando e quando le motivazioni che ci spingono a
Al contrario, le modalità che tendono ad atti-
farlo risiedono nel desiderio sincero di essere
rare gradualmente l’attenzione delle persone
utili, nel rispetto della libertà dell’interlocuto-
sono percepite come piacevoli. Le scuole di
re (che ha sempre il diritto di non ascoltarci).
business management e comunicazione d’im-
Ciò si traduce in un desiderio di stabilire un
presa distinguono tra push-strategies e pull-
canale comunicativo biunivoco che consenta,
strategies. Le prime tendono a obbligare le
all’interlocutore, di interagire con chi comuni-
persone all’interno di un processo prestabilito;
ca. Inoltre, non si deve mai tentare di nascon-
le seconde mirano a farle aderire spontanea-
dere eventuali zone d’ombra dell’informazio-
mente a un processo che sia il più possibile
ne: sarebbe percepito come manipolatorio.
condiviso. In un processo comunicativo queste strategie si incarnano in un mero trasfe-
RECIPROCITÀ
rimento delle informazioni (push-strategy) o
Come abbiamo visto, l’approccio narrativo alla
vivecersa nell’instaurazione di una relazione,
comunicazione mira a stabilire una relazione
anche umana, capace di invogliare l’interlocu-
tra chi parla e chi ascolta. Questa relazione
tore a saperne di più o perfino a impegnarsi in
deve essere basata sull’etica della reciproci-
prima persona (pull-strategy).
tà: se il nostro interlocutore decide di donarci
FIDUCIA
parte del suo tempo, noi dobbiamo fare altrettanto, restando pienamente concentrati su di
lui per il tempo necessario. Basta distogliere
Quando ci si pone nei confronti di qual-
l’attenzione un attimo dal nostro interlocutore
cuno in modo autentico, dedicandogli la
per spezzare questo implicito patto di reci-
nostra più attiva e presente attenzione at-
procità. Se il comunicatore si appassiona alla
traverso un processo basato su una pull-
costruzione della relazione comunicativa con
strategy, di fatto si crea con lui un rap-
l’interlocutore, quest’ultimo tenderà a lasciarsi
porto di fiducia. Ciò che va assolutamente
38
PARTE SECONDA
notato è che la fiducia non viene emanata
campagnolo, dal professore universitario al
dal comunicatore, ma dal che cosa e (so-
manovale con appena la licenza elementa-
prattutto) dal come egli lo comunica.
re. Accanto a me sedeva un agricoltore dalla
lunga barba grigia che ostentava una spilletta
La modalità narrativa consente di illuminare
della NRA (National Rifle Association, L’asso-
le persone che ci ascoltano con la luce del-
ciazione dell’ultradestra americana pro armi
la fiducia. I più influenti esperti statunitensi di
da fuoco) infilata sul cappello. Quando sul
storytelling si spingono addirittura a definirla
palco un uomo afroamericano prese la parola,
faith, fede. È la luce emanata dalla storia (o
l’agricoltore si voltò verso la moglie sussurran-
più generalmente dal processo di comunica-
dole qualcosa con un tono irritato, qualcosa
zione narrativo) che si riverbera sull’oratore
che includeva la parola negro. Nella mia testa,
conferendogli un’aura di affidabilità. (Di nuo-
lo sfidai immediatamente a ripeterlo. Ma lui
vo, gli americani usano un termine più forte:
si limitò a incrociare le braccia cominciando
dicono che la modalità narrativa è capace di
a esaminare la struttura del tetto del tendone.
rendere trustworthy l’oratore agli occhi dell’a-
Lo storyteller afroamericano iniziò a raccon-
scoltatore. Trustworthy significa, sì, affidabile,
tare la storia di una notte trascorsa nel cuore
ma anche leale, attendibile, degno di fiducia).
più profondo dello stato del Mississippi. Erano
È importante comprendere questo punto. Si
gli anni sessanta. Lui e altri sei attivisti per i
potrebbe obiettare che, indipendentemente
diritti civili si erano accampati nel buio della
da quello che dicono, alcune persone vengo-
campagna e non riuscivano a non pensare ai
no istintivamente percepite come più o meno
rischi che avrebbero corso l’indomani, duran-
affidabili delle altre. Non mi soffermerò a ca-
te una dimostrazione contro la segregazione
villare sul fatto che qualsiasi percezione, an-
razziale. Raccontò di come fissavano il fuoco
che quella che talvolta definiamo “a pelle”, si
in silenzio e di come uno di loro a un tratto
fonda su dei precisi, per quanto sottili, proces-
incominciò a cantare e, con quel canto, ad
si comunicativi. Mi limiterò a sottolineare che
alleggerire il cuore di tutti. La sua storia era
la comune disposizione ad accordare fiducia
talmente reale che riuscivamo a percepire la
può dipendere da molti differenti fattori, al-
stessa paura e vedere la stessa luce scoppiet-
cuni dei quali attinenti a eventuali pregiudizi.
tante di quel fuoco da campo. D’un tratto ci
Ascoltate questa:
chiese di cantare insieme a lui. Lo facemmo.
“Nell’ottobre del 1992, circondata da altre
Quattrocento gole umane che vibravano all’u-
quattrocento persone, sedevo in un freddo
nisono sulle note di Swing Low, Sweet Chariot
tendone nei pressi di Jonesborough, nel Ten-
come un immenso organo a canne. Accanto a
nessee, aspettando di ascoltare il prossimo
me, anche l’agricoltore cantava. E vidi una la-
storyteller. Sotto quel tendone c’era una varia
crima che gli scendeva giù, lungo la guancia.
umanità: dal ricco al povero, dal cittadino al
Ero appena stata testimone della potenza di
39
PARTE SECONDA
una storia. Se un attivista afroamericano pote-
narrazione. Eppure, a ben vedere, è proprio
va riuscire a toccare il cuore di un agricoltore
quello che è. Già Sant’Agostino aveva intuito
ultraconservatore e razzista, be’, volevo impa-
che è solo nella memoria che un essere uma-
rare a riuscirci anch’io”.
no può trovare se stesso: quando ci riferiamo
A raccontare questa sua esperienza è stata
a noi stessi, in realtà ci riferiamo a ciò che di
Annette Simmons, che da quel giorno comin-
noi ricordiamo, e da quei ricordi stratificati
ciò a studiare assiduamente lo storytelling fino
nel tempo ricaviamo una narrazione coerente
a diventare uno dei massimi esperti mondiali
della nostra identità. Lo stesso, naturalmente,
della materia. Qualsiasi altra modalità comu-
facciamo con gli altri.
nicativa molto probabilmente non sarebbe ri-
Perciò:
uscita ad attirare dapprima l’attenzione e infine stabilire un reale contatto tra due realtà
• ogni nostra azione, l’azione di
umane tanto diverse. L’agricoltore, a causa
chiunque altro e qualsiasi avve-
del suo retaggio culturale e sociale, sulle pri-
nimento, si manifestano all’in-
me non ha ritenuto degno di fiducia l’oratore
terno di un processo narrativo
• non esiste la non-comunicazione. Non
afroamericano.
comunicare è un modo di comunicare
Ma la modalità narrativa è uno strumen-
(pensate a quando evitiamo qualcuno
to potente: riesce a compiere il miracolo
dopo un litigio). Ugualmente, non esiste
dell’immedesimazione.
la non-narrazione: se non raccontiamo
una storia, il nostro interlocutore se ne
racconterà una autonomamente
Nessuno di solito si immedesima in un grafico, in una tabella o in una bella frase. Ma tut-
• quando interagiamo con il prossimo as-
ti possiamo identificarci con i protagonisti di
sumiamo istintivamente una differente
una storia.
modalità espressiva: lo storytelling è l’arte di rendere consapevole questo pro-
QUALCHE RIFLESSIONE E UN PAIO DI SUGGERIMENTI
cesso e di affinarlo, massimizzandone
L’uso dello storytelling, alla fine di questa
l’efficacia
breve presentazione, dovrebbe risultare ab-
• prepariamoci al gesto di comunicare,
bastanza chiaro in tutte quelle occasioni in
riflettiamoci sopra. Se dobbiamo comu-
cui ci capiterà di salire su un palco, ma pro-
nicare qualcosa inerente a un argomen-
babilmente assai più fumoso in tutte le altre
to specifico, non basta documentarsi e
situazioni. Questo accade perché non siamo
imparare a memoria la lezione. Soffer-
abituati a pensare a noi stessi come anima-
miamoci a ragionare sul cuore dell’argo-
li narranti. Ma soprattutto non siamo abituati
mento. Cerchiamo di ricordare se abbia-
a pensare alla nostra stessa vita come a una
mo mai avuto, nel corso della vita, una
40
PARTE SECONDA
qualche esperienza diretta al riguardo,
E se non lo sappiamo spiegare, facciamoci
qualcosa che possa essere trasmesso,
aiutare da chi sa farlo. Le persone si senti-
all’occorrenza
ranno rispettate nella propria autonoma capacità di giudizio.
• se abbiamo il compito di fornire informazioni utili su un determinato argomento,
confrontiamoci dapprima, in modo di-
CONCLUSIONI
retto, con il maggior numero di persone
Se non esistesse un sostanziale equivoco alla
possibili. Discutiamone con calma e at-
base di ciò che di solito consideriamo co-
tenzione, cercando di individuare i punti
municazione, forse non avremmo nemmeno
di forza e di debolezza di quello stesso
bisogno della parola storytelling. Gli uffici di
confronto. Ci torneranno utili sul campo
comunicazione di imprese e istituzioni trop-
• interroghiamoci sempre così: “Riguardo
po spesso si limitano a emettere comunicati
a questo, io cosa vorrei sapere?”. Di solito
stampa, manifesti o pagine web informative,
alle persone serve sapere quello che oc-
come se la comunicazione fosse un processo
corre anche a noi. Oppure: “Detta così, se
unidirezionale che va dall’alto verso il basso
non ne sapessi nulla, io la capirei?”
invece di un gesto di comunione bidireziona-
• quando l’interlocutore ci interrompe, non
le. Siamo abituati a dire, piuttosto che a co-
interrompiamolo a nostra volta. Ascoltia-
municare. Non è un caso che il motto di un
mo a cosa vuole arrivare anche quando
grande narratore come Ernest Hemingway
dovesse sembrarci inutile o prevedibile.
fosse: “Show, don’t tell”, Mostralo, non dirlo.
Se vogliamo avere tempo, dobbiamo dare
La modalità narrativa serve appunto a mostra-
tempo
re, e contribuisce a instaurare un vero canale
• mai nascondere i propri punti deboli,
di comunicazione. Comunicare significa lette-
come la timidezza o l’insicurezza su alcu-
ralmente mettere in comune, rendere parte-
ni argomenti (nessuno può sapere tutto):
cipi, e nessuno (ovviamente) è partecipe se
sono un potente strumento d’immedesi-
non partecipa, né può essere obbligato a sen-
mazione per chi ascolta
tirsi tale quando non lo è (come accade nelle
• non proviamo mai a nascondere parte
push-strategies). L’uso delle modalità narrative
dell’informazione. La gente capisce al
dello storytelling (pull-strategies) mettono in
volo quando qualcuno tenta di manipo-
moto un meccanismo naturale di condivisione
larla. Se ci sono zone d’ombra, insicurez-
e partecipazione. Siamo stati geneticamente e
ze implicite nel messaggio o episodi del
culturalmente selezionati per fornire e acqui-
passato che contraddicono il messaggio
sire informazioni attraverso racconti e narra-
stesso, affrontiamoli. Spieghiamo perché,
zioni. E scegliere di non tenerne conto signi-
nonostante quelle zone d’ombra, noi pro-
ficherebbe, semplicemente, scegliere di non
poniamo quel messaggio.
comunicare.
41
PARTE SECONDA
COMUNICARE CON UN GIOCO. TOTEM IO NON RISCHIO a cura di Delia Modonesi
e Flaminia Brasini
Il totem è una installazione che fa parte
locandolo insieme agli altri sulla linea del tempo.
solo dell’allestimento della campagna Io
Il volontario, mostrando al visitatore la mappa
non rischio-Terremoto.
delle massime intensità osservate in Italia, fa
quindi la domanda: vivendo in questa zona che
Il totem è composto da scatoloni sovrapposti,
tipo di evento sismico possiamo aspettarci? Ora
colorati e illustrati, e contiene piccole proposte
che hai visto la storia sismica del tuo territorio,
di interazione per facilitare la comunicazione
e gli effetti che ha avuto in passato, pensi che
tra volontari e cittadini.
abbia un qualche significato per il futuro?
Si compone di quattro facce, ognuna dedicata
Come si presenta: la prima interazione con-
a un’interazione su un aspetto del rischio.
siste in una linea temporale: un filo teso che
parte da uno spigolo del gazebo lo segue per
INTERAZIONE 1: LA LINEA DEL TEMPO
due lati e infine si aggancia al totem. Come si
Come si presenta: la prima interazione con-
usa: il volontario invita il visitatore a percorre-
siste in una linea temporale: un filo teso che
re la linea del tempo dal passato ad oggi e a
parte da uno spigolo del gazebo lo segue per
guardare le tracce che il terremoto ha lasciato
due lati e infine si aggancia al totem.
sul territorio. Il volontario, mostrando al visita-
Lungo il filo, appesi con mollette, ci sono im-
tore la mappa delle massime intensità osser-
magini e documenti riferibili a eventi sismici
vate in Italia, fa quindi la domanda: vivendo
locali, collocati in ordine cronologico dal più
in questa zona che tipo di evento sismico pos-
lontano al più vicino. Si tratta di segnali della
siamo aspettarci? Ora che hai visto la storia
presenza del terremoto nella storia del luogo.
sismica del tuo territorio, e gli effetti che ha
Come si usa: il volontario invita il visitatore a
avuto in passato, pensi che abbia un qualche
percorrere la linea del tempo dal passato ad
significato per il futuro?
oggi e a guardare le tracce che il terremoto ha
lasciato sul territorio.
INTERAZIONE 2: RISCHIO E RESPONSABILITÀ
Finito il percorso il volontario può porre alcune
Tema/contenuto: scoperta la storia e la si-
domande per discutere: cosa si capisce dai
smicità del territorio, indaghiamo i diversi at-
documenti? Cos’è successo in questo territo-
teggiamenti che le persone possono avere di
rio? Che conseguenze ci sono state nella città,
fronte al rischio sismico: dal fatalismo alle più
sugli edifici, alle persone?
estreme ipotesi di controllo. La domanda di
Le cose viste potrebbero suscitare ricordi, sti-
fondo è: “Cosa ci posso fare io?”.
molare le conoscenze dei visitatori e provocare
Come si presenta: al centro della facciata è
emozioni (di stupore, preoccupazione, ecc): in
presente una illustrazione con una coppia di
questo caso il volontario li inviterà a lasciare le
persone e dei palazzi in una zona sismica. Le
loro tracce, appuntandole su un foglietto e col-
figure “pensano”: cosa posso fare io? Intorno
42
PARTE SECONDA
ci sono alcune piccole scene che rappresenta-
Come si presenta: come un quadernone ad
no diversi atteggiamenti che si possono avere
anelli agganciato ad una faccia del totem. Sol-
di fronte alla situazione di rischio. Ogni scena
levando la copertina il visitatore trova un gio-
è incollata su una “finestrella” che si può solle-
co illustrato, una immagine in cui individuare
vare: al di sotto c’è una immagine che rappre-
elementi di arredamento su cui è possibile
senta la conseguenza dell’atteggiamento scelto
intervenire per aumentare la sicurezza della
sulla incolumità delle persone e delle strutture.
propria casa.
Come si usa: il volontario chiede ai visitatori di
Come si usa: il visitatore può tranquillamente
leggere l’immagine: cosa rappresenta? Si par-
giocare da solo e rendersi conto, aguzzando
la e si condivide la comprensione della situa-
vista e ingegno, di quali sono le modifiche
zione di partenza.
possibili per rendere sicuro l’arredamento del-
Il volontario mostra quindi le immagini che
la propria casa. La presenza del volontario è di
rappresentano le diverse possibilità di scelta.
verifica e stimolo delle scoperte. Analizzando i
Ogni visitatore indicherà la scena che meglio
diversi elementi il volontario spingerà i visita-
rappresenta il suo atteggiamento. Potrà deci-
tori a riflettere sulla situazione reale delle loro
dere di informarsi, di riparare la sua casa, di
diverse case.
fidarsi delle previsioni, di affidarsi alla fortuna,
Questa facciata del totem è la resa ludica e tri-
di non fare nulla, di scappare…
dimensionale delle indicazioni del pieghevole.
Sollevando la finestrella della soluzione scelta si troverà un’immagine che faccia riflettere
INTERAZIONE 4: SE ARRIVA UN TERREMOTO...
sulle conseguenze della scelta fatta.
Tema/contenuto: la quarta faccia del totem
Il gioco è uno stimolo alla riflessione e non un giu-
riguarda i comportamenti corretti durante e
dizio sui modi di sentire e comportarsi. Il visitatore
dopo un terremoto.
si confronterà quindi da solo con le conseguenze
Come si presenta: sulla faccia del totem sono
delle sue scelte. Il volontario, se richiesto, potrà
rappresentati un ambiente casalingo e un am-
esplicitare meglio il significato di ogni figura.
biente esterno. Sulle figure sono poste diverse
L’idea su cui si basa questa proposta è che al-
finestrelle da sollevare per trovare indicazioni di
cune scelte ci mettono in sicurezza (informarsi,
luoghi e azioni corrette e segnali di pericolo. Si
ristrutturare casa ecc.), altre non ci danno ga-
tratta di un gioco per indovinare quali sono i po-
ranzie. Obiettivo dell’interazione non è dare un
sti sicuri e quelli pericolosi durante un terremo-
giudizio alle persone, ma renderle consapevoli
to. A seconda della scelta fatta c’è una risposta.
del loro spontaneo atteggiamento verso il rischio.
Come si usa: viene chiesto al visitatore di scegliere in caso di terremoto dove andrebbe a
INTERAZIONE 3: DA SOLO, FIN DA SUBITO
ripararsi e cosa crede che possa succedere
Tema/contenuto: la terza faccia del totem par-
nell’ambiente in cui si trova.
la di cosa ognuno può fare fin da subito.
Il gioco si spiega da solo e non ha bisogno
43
PARTE SECONDA
di grosso intervento da parte del volontario.
Come si presenta: la quarta faccia del cubo
Questo deve essere presente a commentare
presenta una frattura che la attraversa da
eventualmente le varie scelte fatte, ma il vi-
cima a fondo.
sitatore deve essere lasciato libero di esplo-
Come si usa: il volontario chiede ad ogni visi-
rare il più possibile gli amibenti e scoprire
tatore di disegnare il profilo di una sua mano
cosa ci può far stare sicuri e cosa ci mette
su un foglietto colorato e di lasciare una sua
in pericolo.
traccia: un messaggio, un consiglio, un desiderio… Ognuno può poi incollare la sua mano
INTERAZIONE 5: FUTURO E COMUNITÀ
lungo la frattura, come a chiuderla: alla fine
Tema/contenuto: il quarto lato del totem par-
della manifestazione al posto di un territorio
la di cura del proprio territorio, collaborazio-
“spaccato” avremo un territorio tenuto insie-
ne e futuro.
me dal contributo di tutti.
44
PARTE SECONDA
FARE FORMAZIONE: 10 PASSI PER AIUTARE AD APPRENDERE a cura di Angela Spinelli
Questo capitolo è rivolto solo
perché è solo attraverso l’uso delle parole che
ai volontari formatori
riusciamo ad esprimere concetti e pensieri;
senza la parola, quasi, è assente il pensiero.
Il primo oggetto di condivisione della comuni-
PASSO NUMERO 1: CONDIVIDERE IL CODICE
cazione formativa è perciò il codice (le parole): l’effettiva comprensione di un messaggio
dipende strettamente dalla condivisione dei
significati, chi parla e chi ascolta deve condividere almeno in parte il significato delle parole
che usa (dunque, per il linguaggio specialistico è bene fornire spiegazioni e definizioni).
La costruzione di un codice condiviso è
perciò un obiettivo formativo esso stesso e,
come detto, deve tendere al rialzo: cioè ad
innalzare le conoscenze e le competenze
dei partecipanti (quando escono dalla nostra
Comunicare per formare: non siamo in televi-
aula, devono “saperne di più”).
sione! La comunicazione è il fondamento del-
Ogni comunicazione, però, è costituita da di-
la didattica: non è possibile svolgere attività
versi codici oltre a quello linguistico: prossemi-
di formazione senza comunicazione.
co (gesti, occupazione dello spazio, gestione
Affinché la comunicazione sia formativa,
della distanza reciproca), gestuale, mimico,
però, è necessario che abbia alcune caratte-
tono, timbro e ritmo della voce. Pensate che, di
ristiche. Infatti, anche la televisione, la radio,
norma, un messaggio è percepito come segue
una chiacchiera al bar, la pubblicità sono
(Mehrabian, 1972):
comunicazione, eppure non sono (almeno
• movimenti del corpo e espressioni facciali
intenzionalmente) formative. Ecco dunque la
55%
prima caratteristica della comunicazione for-
• aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38%
mativa: è intenzionale e progettata.
• aspetti verbali (le parole)7%.
Inoltre, necessita di un “ritorno di informa-
PASSO NUMERO 2: PRESTARE ATTENZIONE A CIÒ
CHE COMUNICHIAMO SENZA DIRLO
zione” (il feedback) che apra al dialogo: una
comunicazione unidirezionale non è formativa
perché per raggiungere tutti gli interlocutori
senza necessità di interazione e domande, ha
Non solo codice (contenuto)
bisogno di utilizzare un linguaggio semplice e
Il passaggio dal linguaggio verbale a quello
spesso povero, mentre la formazione aspira
non verbale introduce due assunti (assiomi)
ad innalzare anche le competenze linguistiche
fondamentali della comunicazione:
45
PARTE SECONDA
trati sui contenuti che spesso tralasciamo
gli elementi di relazione che, invece, sono
la base che permette ai contenuti di essere
compresi, condivisi, accettati e anche rinnovati! Dunque: la comunicazione è fatta di
contenuto e relazione.
Tra contenuto e stile di relazione deve esserci coerenza, diversamente si instaurano
condizioni comunicative conflittuali o totalmente incomprensibili all’interlocutore.
PASSO NUMERO 3: COSTRUIRE LA RELAZIONE
CON I PARTECIPANTI
• non si può non comunicare
• la comunicazione è costituita da un elemento di contenuto e da uno di relazione
Dalla comunicazione come trasmissione alla
(Watzlawick, 1971).
Il primo assioma ci dice che qualsiasi com-
comunicazione come relazione
portamento umano è comunicazione, anche
Non esiste alcun messaggio che passi dall’e-
il silenzio, il non voler comunicare o – para-
mittente al ricevente in una versione “ogget-
dossalmente – il sonno, purché ciò avvenga
tiva” perché le interpretazioni della comuni-
in interazione con un’altra persona.
cazione sono soggettive e legate alla persona
Il secondo assioma, invece, ci aiuta a fo-
e al suo contesto culturale, ai suoi valori, alle
calizzare l’attenzione sull’importanza del
esperienze e conoscenze pregresse. L’interpre-
“come” si dice, più che sul “cosa”, elemen-
tazione dipende da come la nuova conoscenza
to che – in genere – è principale nelle pre-
è elaborata all’interno della precedente. Sof-
occupazioni dei formatori e che è oggetto di
fermarsi sul livello di contenuto perciò è fon-
preparazione: siamo sempre molto concen-
damentale, ma non sufficiente perché è solo
Quando non spieghiamo il codice (nella vignetta: “tutti quei numeri”) non siamo chiari in merito ai contenuti e chi ci ascolta non capisce
46
PARTE SECONDA
la base di partenza per trasformare la comu-
Solo se l’interazione si trasforma in terreno di
nicazione come trasmissione di contenuti in
co-costruzione (costruire insieme) di signifi-
una comunicazione che sia anche relazionale
cati, senso e prospettive la comunicazione si
e formativa. Ciò appare evidente se si conside-
trasforma in relazione positiva. Un terreno im-
ra che la comunicazione si costruisce nell’in-
portante verso questo passo è la comprensio-
terazione, così come le identità individuali si
ne delle altrui motivazioni perché è in questo
costruiscono solo in relazione all’alterità.
spazio che risiedono le potenziali disponibilità
La comunicazione come relazione, perciò, si
al cambiamento. Non si tratta di esser “buoni”
sofferma sulla reciproca comprensione dei
o “comprensivi” nel senso deteriore del ter-
messaggi “profondi”: il non detto, il vissuto
mine, piuttosto di capire la storia e l’universo
personale, le reciproche percezioni, le aspet-
dell’altro per condividere un progetto che sia
tative, le motivazioni, i progetti personali.
di crescita.
Quando non capiamo il significato del non-detto dei messaggi verbali non riusciamo a costruire relazioni efficaci e chi comunica con noi si
sente frustrato, incompreso, mal disposto a fare uno sforzo per apprendere qualcosa (ricorda che: apprendere vuol dire cambiare!).
PASSO NUMERO 4: SPOSTARE L’ATTENZIONE DA
“ME CHE INSEGNO” A “TE CHE APPRENDI”
• abbiano un margine di autodeterminazione
(possibilità di scelta);
• tutto il loro essere sia coinvolto in situazio-
Le condizioni dell’apprendimento
ne (mente, corpo, sentimenti);
Affinché le persone apprendano (quando sono
• possano “incastrare” le nuove conoscenze
in un’aula) bisogna che:
e competenze su quelle pregresse;
• siano a loro agio anche dal punto di vista
Tutti aspetti, questi, su cui il formatore può
emotivo;
(deve) influire con determinazione creando si-
• si sentano immerse in un setting (vedi più
tuazioni formative corrispondenti alle esigenze
avanti) stimolante, in cui possano prendere
descritte. Come? Cercando di concentrarsi sulle
serenamente la parola, possano imparare
esigenze dei corsisti (che nel nostro caso sono
anche dagli altri oltre che dal formatore;
degli adulti) e organizzando, appunto, il setting.
47
PARTE SECONDA
PASSO NUMERO 5: LASCIARE FUORI DALL’AULA I
VECCHI MODELLI DI FORMAZIONE SCOLASTICA
• la disponibilità ad apprendere è rivolta alla
soluzione di problemi (il formatore può portare esempi di situazione problematiche
Perché e come l’adulto impara?
già accadute per evidenziare l’importanza
Quando l’adulto impara? Si chiedeva un noto
di prepararsi prima di andare in piazza: “se
studioso un po’ di anni fa (Knowles, 2002).
ti accade questo puoi risolverlo così…”);
Ebbene, ora sappiamo che gli adulti hanno
• l’orientamento verso l’apprendimento è
esigenze e caratteristiche piuttosto diverse
centrato sulla vita reale (teoria sì, ma che
da quelle dei bambini, dunque, per aiutare e
giustifichi la pratica, non per far vedere
facilitare il loro apprendimento ricorriamo ad
quanto sono preparato);
una disciplina che si chiama “andragogia” (da
• la motivazione è più interna che esterna
andragos, uomo in greco. Termine moderno
(gli adulti imparano non perché sono pre-
coniato sulla falsariga di “pedagogia”) che of-
miati ma perché hanno deciso di farlo per
fre indicazioni utilissime per l’allestimento e la
rispondere ad un proprio bisogno).
conduzione di ambienti di apprendimento de-
PASSO NUMERO 6: SVEGLIARE I PARTECIPANTI,
APPRENDERANNO MEGLIO!
dicati agli adulti, che possono essere riassunte come segue:
• l’adulto impara ciò di cui sente il bisogno
(il formatore deve sottolineare l’importanza
Non si apprende solo con la testa
del corso sulla prevenzione per affrontare
Comodi e rilassati o sotto pressione? Contra-
una situazione concreta: la piazza);
riamente a quanto sembra intuitivo per ap-
• l’adulto si percepisce come autonomo dal
prendere dobbiamo uscire dalla nostra zona
formatore, (il formatore non è colui che sa
di comfort per entrare in una situazione meno
tutto, se ci sono partecipanti all’altezza la-
nota, meno comoda, che sia stimolante e ri-
sciateli parlare e fate in modo che diventi-
chieda di risolvere problemi e di essere pre-
no un aiuto alla vostra “lezione”);
senti e attenti. È dunque bene che il formatore
• il nuovo apprendimento deve integrarsi con
si impegni nel creare situazioni in cui i par-
l’esperienza precedente (il formatore può
tecipanti siano “leggermente stressati”, cioè
far parlare i partecipanti per capire cosa
concentrati, attivi, interessati, diversamente
già sanno sulla prevenzione e aiutarli a inserire tutte le nuove conoscenze in quelle
Comfort Zone
Familiar - Relaxed
già esistenti. Questo è importantissimo anche per capire cosa credono di sapere: a
Learning Zone
Challenged - Sensitive
volte ci sono conoscenze … sbagliate! Meglio cominciare ad eliminare quelle prima
Panic Zone
Threatened - Fight, Flight or Freeze
di passare alle nuove);
48
PARTE SECONDA
PASSO NUMERO 8: COSTRUIRE IL SETTING
non avranno nessuno stimolo ad apprendere
e, dunque, a cambiare. Contemporaneamente deve fare attenzione a non entrare in quella
Come organizzarsi per facilitare l’apprendimento
zona definita “panic zone” in cui una persona
Il setting è un elemento fondamentale della
non può più apprendere perché impegnata a
progettazione formativa perché influisce positi-
difendersi da una situazione troppo pesante o
vamente o negativamente sull’esito dell’evento.
frustrante da sopportare.
È definibile come il contesto (spazio e tem-
Fate attenzione: ogni persona reagisce in
po) all’interno del quale si svolge un qualsiasi
modo diverso alle situazioni, perciò Caio e
evento sociale.
Sempronio hanno diverse zone di comfort,
Lo spazio e il tempo hanno un valore comu-
stress e panico, dunque è bene essere ricet-
nicativo molto potente perché implicito. Per
tivi rispetto alle reazioni individuali dei parte-
esempio un’aula universitaria, pensata per
cipanti per calibrare individualmente l’uscita
una lezione cattedratica in cui il docente parla
dalla loro zona di comfort.
e molti studenti ascoltano, determina uno stile
di relazione e un rapporto di potere abbastan-
PASSO NUMERO 7: STIMOLARE L’ATTENZIONE E LA
DISCUSSIONE
za esplicita e forte. La cattedra, la sua peda-
Teaching by prompting significa “insegnare
che si danno le spalle: lo spazio è pensato per
stimolando”, “insegnare stimolando, sugge-
una interazione che non sia fra pari, ma con il
rendo”, in altri termini “stare alle calcagne!”.
solo docente che va ascoltato, e guai a distrar-
Nella gestione dell’attività d’aula il formato-
si o a copiare!
re, per sollecitare il feedback e l’interazione,
Attivare i partecipanti affinché imparino me-
pone domande all’aula, spiega, illustra, forni-
glio, invece, richiede un’organizzazione del
sce esempi e... non aspetta (semplicemente)
tempo e dello spazio diversa, se possibile, de-
che i partecipanti reagiscano ma li sollecita
vono: potersi guardare tra loro (per conoscer-
direttamente a farlo (per esempio: avete do-
si, farsi domande reciproche, lavorare in grup-
mande?... nessuna?... allora ve ne faccio una
pi); sentirsi a loro agio, accolti; interagire con
io. E ancora: vado avanti, ci siete tutti? Molto
tempi che prevedano discussioni “ariose”:
bene, prima qualcuno ricapitoli quanto detto
diversamente possiamo fare un convegno (in-
fino ad ora...).
terventi brevi e domande concise; comunica-
Significa assumersi la responsabilità del con-
zione uno a molti) ma certo non formeremo le
tatto, dell’interazione e della relazione e non
persone! Il setting è determinato da elementi
lasciarla nelle mani dei partecipanti che, in al-
fisici e psicologici. Per il setting fisico, ad ec-
cuni casi, hanno come obiettivo ritrarsi dalla
cezione delle condizioni su cui non possiamo
zona di stress per tornare nel comfort del loro
apportare cambiamenti (i vincoli di un’aula),
silenzio. (Muzzarelli, 2007)
ricordiamo che:
na, i banchi posizionati di fronte, i compagni
49
PARTE SECONDA
Se, invece, come può accadere, le doman-
• i membri del gruppo dovrebbero sedere
de non arrivano la discussione va comunque
faccia a faccia
• i diversi gruppi dovrebbero essere suffi-
stimolata, pena l’assenza di un feedback che
cientemente distanziati così da non distur-
dà un riscontro immediato sull’andamento
barsi reciprocamente
della formazione; è allora possibile che sia il
• le aree destinate ad attività diverse dovreb-
formatore a farne e attenda le risposte anche
bero essere definite e i materiali comuni
se comportano l’attesa di un lungo (apparen-
accessibili
temente troppo) e imbarazzante silenzio.
• accertarsi che le persone siano a proprio
Infine, anche le domande aggressive, opposi-
agio, che ci siano gli spazi adeguati per
tive o fuori luogo vanno eluse, ma in modo più
poter svolgere le attività comodamente e in
fermo e veloce, così da non compromettere
sicurezza.
l’andamento della parte proficua e costruttiva
della discussione.
Il setting psicologico (metaforicamente lo spa-
Ricorda che un intervento polemico o una do-
zio della relazione) fate attenzione a:
• il gruppo è un luogo di emozioni forti, in cui
manda imbarazzante può far mutare radical-
ciascuno mette in gioco la propria indivi-
mente il clima d’aula, aprendo a dinamiche
dualità e identità attraverso meccanismi di
latenti. È dunque importante tenere a mente
affermazione e omologazione, rifiuto e ac-
alcune considerazioni di base se la domanda:
cettazione di sé e dell’altro
• non è pertinente all’argomento trattato:
• per questo i ruoli formalizzati possono es-
rispondere comunque nel modo più sin-
sere di grande aiuto: il setting diventa uno
tetico possibile e chiudere chiedendo un
spazio simbolico di comportamenti attesi.
feedback (“ho risposto alla domanda?”)
• riguarda un argomento già trattato o una
PASSO NUMERO 9: RISPONDERE SEMPRE, RISPONDERE COMUNQUE
risposta già data: ripetere la risposta (non
sottolineare il “già detto”). Assicurarsi di
utilizzare una modalità di rappresentazione
La gestione le domande
della risposta diversa rispetto alla prece-
Le domande sono fondamentali: danno la
dente (per es.: se si è risposto solo verbal-
possibilità al formatore di approfondire le di-
mente in seconda battuta tentare una rap-
namiche cognitive e relazionali con l’aula ma,
presentazione alla lavagna). Accertarsi che
come tutti gli elementi legati alla formazione,
non ci siano altri che hanno simili dubbi:
sono determinate anche da fattori emozionali.
il problema, in questo caso, potrebbe es-
Vanno perciò affrontate con serenità e, se ne-
sere del formatore (“altri hanno un dubbio
cessario, valgono il sacrificio della spiegazione
simile?”)
che non si riesce a concludere per via delle
• riguarda un argomento che non è stato
tante domande in arrivo.
ancora trattato: rispondere in modo conci-
50
PARTE SECONDA
so (se possibile con un “sì” o un “no”) e
te entrando in una situazione “patologica”
rassicurare sul fatto che l’argomento verrà
che rischia di trasformarsi in polemica o
trattato successivamente
in un attacco/diverbio sulla incapacità del
• abbonda di particolari aggiuntivi all’argo-
formatore di comprendere. Bloccatela nel
mento, lo approfondisce rispetto alla vostra
modo più cortese, ma fermo possibile. In
spiegazione: in genere proviene da perso-
ogni caso non entrate in una spirale a due
ne che si sentono preparate sull’argomento
che vi farebbe perdere il senso del vostro
affrontato e vogliono dimostrarlo. Valutate
intervento e il resto dell’aula. Se vi pare ne-
se c’è stata una domanda: se sì rispon-
cessario, anche a vostro beneficio, chiama-
dete brevemente, diversamente “grazie
te una pausa e chiudere la discussione al
dell’approfondimento!”
rientro, ad animi più tranquilli
• è polemica: fate attenzione a non alzare
• In ogni caso non utilizzare mai frasi che
tono e volume della voce, a non entrare
possano classificare le persone, quali “tu
in simmetria con il partecipante, a man-
non capisci; tu non sai parlare insieme
tenere la voce ferma, così come il vostro
agli altri…” ma se è necessario sottoli-
punto di vista. Se la polemica persiste e
neare quel dato comportamento, allora
non si giunge a una sintesi o a una media-
contestualizzarlo: “in questa situazione tu
zione sottolineate che le opinioni diverse
non hai capito; questa volta non hai sapu-
sono comunque rispettabili, anche se non
to discutere correttamente”. Questo è un
si condividono. Fate attenzione alla comu-
elemento molto importante per non demo-
nicazione non verbale: non indietreggiate
tivare e, specialmente, per evitare che la
e non distogliete lo sguardo, la condu-
persona si attesti su comportamenti nega-
zione e la responsabilità dell’andamento
tivi che percepisce come attesi dagli altri.
della discussione rimane comunque del
(Guarguaglini, Cini, Corti, Lambruschini,
2007: 148 - 149).
formatore
• è incomprensibile: fate domande per capire meglio, quando pensate di aver colto
PASSO NUMERO 10: IL TUO!
il senso riformulate la domanda per accet-
Infine, il tuo passo, le tue specificità, ciò che ti
tarvi che sia la giusta interpretazione (“vuoi
piace e che sai fare meglio e con maggiore si-
dire …?”). Spesso le domande di difficile
curezza. Valuta le tue possibilità e i tuoi limiti,
comprensione sono anche quelle che ten-
prova a sentirti sicuro e a tuo agio, sii te stes-
dono ad essere commenti, più che doman-
so e preparati nei minimi dettagli, controlla il
de, perciò decidete se è il caso di rispon-
tuo passo (tono della voce, gesti, occupazione
dere o di ringraziare e andare avanti.
dello spazio, interazione con i partecipanti),
• si trasforma in un dibattito (“sì, ma … Se è
adegualo a quello dell’aula e del progetto e sii
così allora…”): fate attenzione perché sta-
convinto che anche la formazione è un cam-
51
PARTE SECONDA
• spostare l’attenzione da “me che inse-
mino di miglioramento per le persone e per la
società in cui vivono.
gno” a “te che apprendi”. Le condizioni
Sei pronto per entrare in aula: guarda dove
dell’apprendimento
• lasciare fuori dall’aula i vecchi modelli di
sei, sorridi, e fai un passo avanti!
formazione scolastica Perché e come l’aI dieci passi per aiutare ad
dulto impara?
apprendere:
• svegliare i partecipanti, apprenderanno
meglio! Non si apprende solo con la testa
• condividere il codice. Comuni-
• stimolare l’attenzione e la discussione
care per formare: non siamo in televisione.
• costruire il setting. Come organizzarsi per
• prestare attenzione a ciò che comuni-
facilitare l’apprendimento
chiamo senza dirlo. Non solo codice
• rispondere sempre, rispondere comun-
(contenuto)
que. La gestione le domande
• costruire la relazione con i partecipanti.
• sei pronto per entrare in aula: guarda
Dalla comunicazione come trasmissione
dove sei, sorridi, e fai un passo avanti!
alla comunicazione come relazione
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PARTE SECONDA
PER SAPERNE DI PIÙ
• Knowles M., Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, Franco Angeli, Milano 2002
Guarguaglini, A., Cini, S., Corti, F. P., Lambruschini, L., Gestire gruppi in formazione. Teorie e
strumenti, Erickson, Trento 2007
• Mehrabian A., Non Verbal Communication, Aldine-Atherton, Chicago, Illinois, 1972 Watzlawick P., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie
e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971
• Muzzarelli F., Guidare l’apprendimento, Franco Angeli, Milano 2007
• Spinelli A. (a c. di), Io insegno, io apprendo. Manuale teorico-pratico del formatore nazionale
http://www.anpasnazionale.org/Allegati/Formazione/Manuale_per_la_formazione.pdf
53
PARTE SECONDA
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