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perche` fidarsi della fiducia
Economia e Società
PERCHE’ FIDARSI DELLA FIDUCIA
Gli economisti faticano a comprendere per quali ragioni gli individui preferiscano spesso la
cooperazione all’opportunismo. In realtà aprirsi agli altri con una mossa onesta serve a
propagare altruismo
di Francesco Daveri
In una famosa pubblicità degli anni Sessanta, Johnny Dorelli concludeva che «la fiducia è una cosa
seria e si dà alle cose serie». E in effet ti scoprire come mai si generi la fiducia tra persone che non
si conoscono e quali siano, per così dire, le sue conseguenze sociali ed economiche è un tema che
ha tradizionalmente affascinato gli scienziati sociali.
Di istituzioni sociali e cultura ha parlato Guido Tabellini nella sua “presidential lecture” alla
riunione annuale della European economic association a Budapest. Nella sua lezione, Tabellini si
riferisce a un’ormai ampia letteratura cui hanno contribuito soprattutto economisti italiani all’estero
come, ad esempio, Alberto Bisin, Paola Sapienza e Luigi Zingales. Infine, sui paradossi della fiducia è anche appena uscito un libro erudito, ricco di riferimenti filosofici e di psicologia sociale, di
uno studioso di teoria dei giochi, Vittorio Pelligra. Insomma, il tema è di gran moda.
Gli economisti fanno tradizionalmente fatica a capire perché gli individui a volte collaborino e si
fidino gli uni degli altri. Tale difficoltà è ben esemplificata da una delle situazioni tipiche studiate
nella teoria dei giochi, cioè il dilemma del prigioniero. Ci sono due prigionieri, Bonnie e Clyde,
interrogati separatamente da un giudice che, pur essendo certo della loro colpevolezza, non ha
abbastanza elementi per condannarli. Per indurli alla confessione, il giudice disegna un mix di punizione e perdono che rende individualmente più conveniente a ognuno dei prigionieri la confessione,
anche se indirettamente danneggiano l’altro prigioniero.
Come si è fatto qualche anno fa con i pentiti di mafia, insomma. Dunque, se i prigionieri pensano al
loro esclusivo tornaconto personale trovano conveniente confessare (anziché cooperare tra di loro e
tenere la bocca chiusa). E ciò avviene malgrado sia evidente che il prevalere degli incentivi
individuali porta in questo caso i prigionieri-giocatori collettivamente alla rovina, poiché in questo
modo il giudice ottiene da tutti e due la confessione da lui auspicata.
Il dilemma del prigioniero è un esempio paradigmatico di tante situazioni di interazione strategica
che si manifestano di frequente soprattutto nei mercati oligopolistici. In questi casi - dice la teoria
dei giochi applicata alla microeconomia - ci si aspetta che i partecipanti al mercato si comportino in
modo opportunistico, non in modo cooperativo. Per questo, gli economisti, in prima
approssimazione, fanno fatica a comprendere la cooperazione (e la fiducia che, del risultato
cooperativo, è un ingrediente fondamentale).
Anche gli economisti matematici appassionati di giochi non possono però fare a meno di notare
come, nelle situazioni sociali, il verificarsi di comportamenti cooperativi sia un evento almeno
altrettanto tipico quanto la situazione in cui gli individui si comportano in modo opportunistico. Da
qui la domanda: da dove deriva la possibilità della cooperazione da parte di individui egoisti?
La tradizionale soluzione concettuale al quesito è il ricorso al concetto di reputazione. Individui che
si comporterebbero opportunisticamente in un dilemma del prigioniero giocato una volta sola
possono arrivare a percepire il costo della loro strategia opportunistica nel caso in cui il gioco sia
ripetuto nel tempo, almeno nel caso in cui non si conosca con precisione in anticipo il numero di
volte in cui tale gioco sarà ripetuto. Se non si sa quando il gioco finisce, vuol dire che c’è sempre un
futuro. E se c’è un futuro, allora vale (o può valere) la pena di guadagnarsi una reputazione, magari
rinunciando al proprio vantaggio individuale qui e ora, in cambio di un guadagno più elevato in futuro. Bonnie può trovare conveniente non confessare oggi e rimanere in prigione, perché in tal
modo Clyde può essere indotto anche lui a non confessare o a ritrattare (se ha già confessato).
Questa, tuttavia, è una spiegazione solo parziale del puzzle della fiducia, poiché si applica solo al
caso in cui le interazioni tra i partecipanti al gioco sociale siano ripetute nel tempo. Gli esperimenti
di simulazione effettuati dagli scienziati sociali indicano però che, anche quando gli individui sono
ragionevolmente certi che il gioco è one shot (prosaicamente traducibile con «in un colpo solo»),
l’eventualità della cooperazione è tutt’altro che peregrina. Almeno in alcuni casi, infatti, i nostri
comportamenti cooperativi non derivano dalla conclusione che, avendo confrontato i costi e i
benefici nel tempo delle nostre azioni, i benefici (futuri) della cooperazione sono più grandi dei suoi
costi (attuali). Piuttosto, ci viene da seguire determinate norme sociali, cioè regole di
comportamento apprese dal contesto sociale o familiare che ci inducono all’onestà o a fidarci
dell’altro anche contro un nostro individuale interesse egoistico. Si può così morire per Baghdad o
restituire alla polizia un portafoglio trovato per terra. E anche la decisione di andare a votare pur
sapendo che il nostro voto è completamente ininfluente nel determinare l’esito del voto complessivo
è un esempio - sia pure meno drammatico - di come le norme sociali ci aiutino ad evitare gli esiti
socialmente spiacevoli cui il perseguimento dell’interesse individuale va a volte incontro. Tra
l’altro, come discusso sia da Tabellini che da Pelligra, potrebbe essere proprio la diffusione della
fiducia a rendere più probabile la sostenibilità nel tempo dei comportamenti basati sulle norme
sociali. Nei Miserabili di Victor Hugo, l’ex-galeotto Jean Valjean viene redento proprio quando il
vescovo Myriel gli offre una seconda opportunità di tradire la sua fiducia.
Tutto risolto dunque? Non proprio. Ma i recenti progressi degli studiosi che analizzano l’affermarsi
della cooperazione con gli strumenti dell’economia indicano almeno alcune voci significative di
un’eccitante agenda futura della ricerca in questo campo.
o Guido Tabellini, «Institutions and culture», http;//www.igier.uni-bocconi.it/tabellini, articolo
basato sulla «presidential Letture» al meeting della European economic association, Budapest,
agosto2007;
o Paola Sapienza, Anna Toldra e Luigi Zingales, «Understanding trust», dattiloscritto, Università
di Chicago, http://research.chicagogsb.edu/igm/research/papers/11ZingalesUnder
standingTrust.pdf, 2007;
o Alberto Bisin eThierry Verdier, «The economics of cultural transmission and the dynamics of
preferences», Quarterly journal of economics, 2001;
o Vittono Pelligra, «I paradossi della fiducia», il Mulino, Bologna, pagg. 292, €23,50.
Da “Il Sole 24 Ore” – Domenica 30 settembre 2007
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