“C`è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. (Qoelet 3,7) Quale
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“C`è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. (Qoelet 3,7) Quale
IL TEMPO DEL SILENZIO Novembre 2011 “C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. (Qoelet 3,7) Nella vita di coppia si sottolinea molto la necessità di parlarsi e di ascoltarsi ogni giorno, senza dare nulla per scontato, nulla per chiarito, nulla per evidente. Siamo in evoluzione tutti i giorni e quindi è giusto che, per stare in sintonia, ci parliamo per mettersi nell’onda di reciproca accoglienza. Parto dallo Sposo Gesù. Ha parlato molto e con chiarezza alla folla e ai discepoli, ma anche ai Farisei e agli Scribi. Eppure quanto silenzio nella sua vita. Lui, la Parola di Dio fatta carne (Giovanni 1,14) è vissuto trent’anni a Nazareth nel più assoluto silenzio, interrotto da brevissime osservazioni nel tempio (Lc 2,49): il novanta per cento della sua vita è stata silenzio! Per i momenti della passione è scritto: “E Gesù taceva” (Mt 26,63; 27,14; Lc 23,9). Ci sono tempi di silenzio anche fra gli sposi. A quale scopo? Silenzio per ascoltarti Ascoltare è un’arte difficile che si può imparare. Anzitutto è necessario fare silenzio: un silenzio esteriore, per il quale non intervengo, non controbatto, non mi scuso, non metto in ridicolo quello che tu mi dici. E poi un silenzio interiore, con il quale faccio tacere tutte le mie ragioni, e forse rabbie, e mi dispongo a farti posto nel mio cuore: ti ascolto in tutto quello che mi dici dal profondo di me stesso. Semmai posso farti qualche breve domanda per capirti meglio. Silenzio per ritrovarmi Capita talvolta di essere trascinato dai fatti della vita, dalle delusioni nel lavoro o anche in casa, dalle arrabbiature a causa di dispiaceri di varia provenienza. Ritrovo in me un mare agitato nei pensieri e nei sentimenti. Ecco: il silenzio è necessario per ritrovare me stesso. Può essere un silenzio riempito di preghiera o che chieda una passeggiata all’aperto o porta ad un atto di amore per lasciar perdere diritti e idealismi e coprire il coniuge con un velo di pazienza e di misericordia. Silenzio per attenderti A volte a motivo di una contrarietà o di un litigio un po’ burrascoso o di decisioni non condivise pienamente si può alzare “il muro del silenzio”, detto più semplicemente “muso”. Uno o tutti e due i coniugi possono chiudersi nel “muso”: è necessario passare ad un silenzio vero per disporsi ad accogliersi di nuovo. Un silenzio di attesa, che spiana le cose nel proprio cuore, dispone alla comprensione e al perdono, e prima possibile fa fare il primo passo per ritrovarsi. Silenzio per contemplarti Prendersi tempo per guardarsi a lungo negli occhi senza dire niente e cogliere nel profondo del cuore l’amore che canta e gioisce: l’amore di Dio donato e ricevuto che avvolge e trasforma: “Io lo guardo e lui mi guarda!”, perdersi in un abbraccio di gioia! Silenzio per aprirsi a Dio E in particolare, pensando al tempo del silenzio, questo è da cercare per poter entrare in comunicazione con lo Sposo presente in ogni casa. Silenzio da tutte le occupazioni, silenzio dai nostri impegni per entrare nel silenzio dove è Dio: silenzio che lo ascolta, lo loda, lo ringrazia, chiede luce, invoca aiuto. Quale valore do al silenzio? Come lo vivo nella nostra relazione di coppia? Come lo viviamo per capire le necessità degli altri? Signore, facci scoprire l’angolo del silenzio, segreto per la soluzione di tanti problemi! 1 Dicembre 2011 IL TEMPO DEI FIGLI “Un tempo per strappare e un tempo per cucire” (Qoelet 3,7). Siamo nell'epoca in cui tutto è programmato, informatizzato. Ai bambini e alle bambine offriamo praticamente una settimana precisata nei minimi dettagli. Anche i loro iter scolastici e sportivi sono praticamente predefiniti. Non c'è spazio per l'ozio, l'imprevisto, l'auto-organizzazione infantile. Anche gli stessi spazi di gioco sono preorganizzati. E questo perché “non avendo tempo” (si dice!) organizziamo ogni cosa così da pensare che abbiamo fatto tutto verso di loro. Parto da Gesù, che, circondato da bambini, dà loro attenzione e affetto: “Prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro” (Marco 10,13-16). Tale gesto i Farisei ritenevano un perdere tempo e un’indecenza. Gesù sta con i bambini. Approfondiamo alcuni aspetti. Rispettare il tempo dei bambini Nel nostro programma per i figli c’è l’esigenza di organizzare tutto, appunto per compiere nei loro confronti i doveri di un bravo genitore e così sentirsi a posto in coscienza e poter dire al figlio: “Ho corso tanto per te, oggi. Cosa devo fare di più? Anche noi abbiamo le nostre esigenze da soddisfare!”. L’osservazione può essere giusta in qualcosa, ma non in tutto. Intanto dobbiamo considerare che l'infanzia va vissuta in quanto tale e non solo come periodo di preparazione all'età matura. Perciò dobbiamo imparare che non basta “fare dei servizi ai figli”, ma occorre anche "fare strada insieme a loro", attenti alla loro persona, all’età con tutte le sue esigenze e i suoi diritti. Noi grandi, noi genitori, dobbiamo, prendere coscienza che il tempo del gioco, il tempo della strada, il tempo del "non far niente insieme agli amici" è importante per i bambini: e noi glielo dobbiamo lasciare! Tutto questo anche senza la presenza di noi adulti. I bambini hanno bisogno di scoprire da soli quelle che sono le regole dello stare insieme, del giocare nello stesso luogo: e questo noi glielo dobbiamo consentire! Solo così matureranno e faranno proprie le "regole fondamentali di convivenza". Saranno regole, a quel punto, acquisite naturalmente nella coscienza personale e non imposte dagli altri, dall'adulto, dall'alto. Lasciare che abbiano dei tempi da vivere secondo la loro età non è abbandonarli a se stessi, ma dar loro fiducia, rispettarli e responsabilizzarli, consentire di vivere la fanciullezza senza bruciare le tappe e vivere da bambini-adulti. Certo noi genitori ci dobbiamo essere, ma con serenità, con delicatezza, pronti a fare la nostra parte, se la situazione lo chiede. Dare tempo ai bambini Ho visto mamme e papà che portano i figli da un impegno all’altro, sfinendo loro e se stessi! Sono proprio necessarie tutte quelle attività? Non conveniva averne ragionato un po’ insieme papà, mamma e figlio o figlia per scegliere quelle più consone alle proprie esigenze e fare a meno di qualcuna? Così da guadagnare tempo per “stare insieme” a loro, per “perdere” tempo accanto a loro, per seguirli in qualche avventura di cui si sono incuriositi, per adeguarsi ai loro giochi (senza voler vincere a tutti i costi o far vincere sempre, “Sennò si arrabbia!”), per abbracciarli, per pregare insieme, per parlare e ascoltarli senza fretta, per andare a Messa tutta la famiglia insieme, per fare una passeggiata tenendosi per mano, per interessarsi con discrezione delle loro amicizie. È chiaro che papà e mamma, qui, ci devono essere tutti e due insieme, senza accaparramenti e gratuitamente. I figli hanno bisogno dei genitori non solo perché “facciano” i doveri verso di loro, ma anche per “camminare insieme”, per sentirsi uniti, condivisi, amati, per essere una comunità che vive e fa vivere le persone. “Papà, quanto ti pagano per un’ora di lavoro?”. “40 euro!”. “Eccoti 40 euro. Compro un’ora del tuo tempo. Per me!”. (Ferrero, I fiori semplicemente fioriscono, LDC 2007, pg 15). Questo, forse, è troppo, ma non tanto! Quale attenzione do ai figli? Come mi sento quando faccio servizi verso di loro o quando sto con loro? In che modo responsabilizziamo i figli circa l’uso del loro tempo? Come conciliamo il tempo da garantire loro e quello da riservare a noi sposi/genitori? Signore, donaci il tuo Santo Spirito per capire che i nostri figli hanno bisogno dei nostri servizi e soprattutto della nostra vicinanza e affetto. Aiutaci ad essere genitori veri, che “generano i figli” camminando al loro fianco, custodendo la loro libertà e formando la loro coscienza; genitori che sanno valorizzare il tempo dei figli e quello che sono chiamati a donare loro. 2 Gennaio 2012 IL TEMPO DI NOI DUE “Un tempo per demolire e un tempo per costruire” (Qoelet 3,3). Nella vita di una coppia di sposi il tempo è di tutti e due, quello di uno appartiene all’altro e nessun tempo può essere vissuto da uno senza l’altro. Perché il matrimonio è una donazione incondizionata di sé nel tempo di “tutti i giorni della mia vita”. Per due sposi, esiste un tempo che non sia di “noi due”? Tutto il tempo, tutti i 1440 minuti di una giornata sono di noi due! Si tratta però non di continuata vicinanza (impossibile!) ma di convinzione, di presa di coscienza. Nel tempo, che appartiene a tutti e due, ci sono dei momenti speciali nei quali il nostro essere “uno” si esprime in maniera più forte. Penso sempre a Gesù, questa volta nel suo rapporto con il Padre. Tutto il suo tempo Gesù lo vive in stretta unione con il Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” e vive in perfetta sintonia con lui (Giovanni 8,29). Però ci sono dei momenti speciali: al mattino quando va a pregare (Marco 1,35) o alla sera e notte quando rimane alla presenza del Padre (Luca 6,12) o durante il giorno quando invoca il Padre (Giovanni 12,28) o si impegna a vivere la sua volontà (Giovanni 4,34). Il tempo è di noi due Nel momento della celebrazione del sacramento del matrimonio, abbiamo deciso insieme di accoglierci con responsabilità, come siamo e con tutto il bagaglio del nostro modo di essere e vivere. Poi ci siamo messi a camminare insieme verso una relazione d’amore, nella quale ci dedichiamo interamente l’uno all’altra. Questo cammino si sviluppa nel quotidiano. Tutto il tempo ci appartiene; non ci sono tempi solo per me o solo per te: il tempo di uno appartiene all’altro. Non ci sono vacanze, né eccezioni: per sempre, ogni giorno, ogni momento mio è anche tuo. Come posso dire “Il mio amato è per me ed io per lui”, se ritaglio spazi soltanto per me, dove tu in nessun modo puoi entrare? Ci devono essere tempi da vivere individualmente, ma sempre da sposati, il che significa in piena comunione di pensiero e di decisione. Diversamente il tempo può mettersi contro di noi: o perché non lo viviamo insieme con intensità e amore, o perché lasciamo che il suo trascorrere inesorabile ci appiattisca e ci allontani. Il tempo è per noi due 86.400 secondi al giorno sono davvero un capitale prezioso! Sono un bene messo a nostra disposizione affinché, nelle varie pedane dove la vita personale ci porta a lottare, possiamo sentirci in comunione e dimostrarci fedeltà e vicinanza (anche con un sms!). Ma soprattutto è importante che insieme decidiamo di riservare e vivere alcuni spazi solo per noi due, affinché in quei momenti ravviviamo e rafforziamo la nostra unione. Sono i momenti della preghiera insieme, soprattutto quando ci sono fatti impegnativi per noi o per i figli (la Messa insieme o l’adorazione o il rosario o la preghiera spontanea); quelli della intimità da vivere con sacra fantasia e nella gioia di appartenersi integralmente; quelli della vicinanza e delle coccole sopra il divano; quelli del dialogo per parlarci e ascoltarci con il cuore; quelli dello stare noi due soli (dopo aver affidato i figli) magari davanti ad una pizza o per una passeggiata o per vedere un film o ricordare un fatto speciale della nostra vita. Vivere il tempo in due “Al mattino presto mettere in una casseruola ben calda una grande porzione di gentilezza. Durante la giornata aggiungere uno sguardo o un pensiero amorevole e mescolare il tutto. Servire con un abbraccio caloroso. Con il caffè, servire dolcetti di lode guarniti con perle di ringraziamento. A cena insaporire le pietanze con un buon dialogo e una notevole disponibilità all'ascolto. Prima di andare a letto, bilanciare le amarezze con umorismo e perdono e concedere all'altro, anche se non lo merita, un'eccellente bevanda serale di dono di sé in una coppa ardente. P.S. Poiché durante la giornata svariati fattori potrebbero compromettere la piena riuscita di questa ricetta, è consigliabile, sin dal mattino, giungere le mani e chiedere l'aiuto di Dio”. (Ruth Trobisch-Heil) Cosa provo pensando che tutto il mio tempo ti appartiene? Quali momenti speciali viviamo o vorremmo vivere solo per noi due? Quanto ritengo importanti questi momenti dedicati a noi due? Come conciliamo il tempo da garantire ai figli e quello da riservare a noi sposi? Signore, il tuo Santo Spirito ci aiuti a prendere coscienza che noi due siamo uno in te e che il tempo che ci dai ci fornisce continue occasioni per crescere nell’amore, soprattutto quando troviamo la forza di riservarci degli spazi per vivere la nostra comunione più intensamente. 3 Febbraio 2012 IL TEMPO DELL’ASSENZA “Un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci” (Qoelet 3,5). “Vivremo sempre abbracciati!” è un’espressione che si sente dire dagli innamorati. Chi vive la vita matrimoniale sa che questo è impossibile. La vita, infatti, porta a vivere uniti, ma in spazi diversi a volte provvisoriamente, a volte sistematicamente per lavoro, per servizio, a volte per altro. Parto sempre da Gesù, in questo caso, nei suoi rapporti con la Madre. Hanno vissuto anni insieme. Poi c’è stata l’avventura di Gerusalemme con il tristissimo dolore degli sposi di non aver più Gesù con sé. E un giorno, Gesù parte e saluta la Madre: “Da oggi, mamma, il Padre mi chiama a predicare per la Palestina, non tornerò a casa, se non raramente”. Come avranno vissuto i tempi dell’unione a Nazareth e quello della distanza, quando Gesù era fuori? La vita porta anche gli sposi a vivere distanti l’uno dall’altro. Come vivere da sposati in luoghi diversi, come restare e sentirsi “uno”? Uniti dentro Il sacramento del matrimonio che ha unito in strettissima alleanza un uomo e una donna, prima di essere un insieme di gesti e comportamenti esterni, è un nuovo essere dentro: nel cuore, nella mente, nel discernere e nel decidere. Non sono più solo, e soprattutto non vivo per me, perché condivido la mia vita con… Accolgo la sua vita e gli consegno la mia. Ci chiamiamo “coniugi”, perché nella convinzione interiore, nella mentalità che ci guida uno completa l’altra, una motiva l’altro. Eravamo due “tu”, adesso siamo un “noi”. Una certezza che è fonte di gioia, perché so di poter contare sempre su di te, sai che io sono sempre il tuo sostegno. Una convinzione che ti fa essere spesso al centro dei miei pensieri, dei miei sentimenti. Una sicurezza che mi tiene lontano da ogni ricerca di avventure o di compensazioni, da atteggiamenti equivoci con le persone che avvicino, dal parlare in maniera dispregiativa di te o del nostro matrimonio. “Due in una sola carne”. Ciò non vuol dire rinunciare ai propri pensieri, gusti, fantasie, ma essere costantemente consapevoli che il sacramento, e quindi il Padre in persona, ha fatto di noi due un “unico noi”, che vive con la forza e l’amore di “due tu differenti”. Certamente l’opera di Dio ha bisogno della conferma reale nostra, ma intanto c’è: noi siamo uniti e niente e nessuno può separarci. Vivere in unione Però restano i tempi di lontananza forzata, per lavoro, per servizio, per impedimenti, per problemi nelle famiglie di origine, per impegni in parrocchia o nella società o nelle associazioni, per gli hobby. È possibile vivere ugualmente il nostro essere uniti dentro, “due in una sola carne”? Questa unione intima ha bisogno di espressioni, dato che nella vita matrimoniale la dimensione concreta è decisamente predominante (Non serve dirti: Ti amo! se almeno non ti abbraccio!). Nell’assenza deve, dunque, scattare la fantasia del nostro amore. Essa è personale e quindi ogni coppia deve fermarsi un tempo a riflettere su come dirsi “Ti amo!” stando lontani ore o giornate. Ci sono gli esempi comuni: un sms o una breve telefonata; un far trovare messaggi nell’agenda o nella tasca del pantalone o nella borsa… Per noi cristiani c’è una comunicazione profonda, a triangolo: mando una preghiera a Dio perché ti benedica. Il pensarsi pregando l’uno per l’altra, tutti e due ad un’ora precisa, dà molta serenità. È facile sentire il sostegno della preghiera e la gioia, dono di questo atto d’amore speciale. Partenze e ritorni È doveroso curare sempre bene la liturgia delle partenze e dei ritorni, del saluto al mattino e di quello del pranzo o della sera. La partenza: il guardarsi negli occhi per sentirsi uniti, l’abbraccio per avvolgere d’amore, il bacio come impegno di fedeltà, il dirsi parole tenere, il darsi un messaggio da coltivare tutti e due lungo la giornata, soprattutto se questo è uscito dalla parola di Dio del giorno… E il ritorno: il sorriso del rivedersi, le braccia aperte, il dirsi parole rassicuranti, il fermarsi un tempo per raccontarsi la giornata e lo stato d’animo che si vive in quel momento… Liturgie gioiose e intensamente vissute. Cosa provo quando tu sei lontano e non posso abbracciarti? Quale rapporto con te ho coltivato oggi, mentre eri al lavoro? Come superi i momenti di nostalgia che insorgono durante la giornata? Signore, il tuo Santo Spirito ci aiuti a prendere coscienza che noi due siamo uno in te e che il tempo che ci tiene lontani non ci divide, soltanto ci chiede di vivere l’amore in modo diverso. Donaci fantasia e grazia per trovare le vie giuste per raggiungerci e custodirci a vicenda nella gioia di appartenerci. 4 Marzo 2012 IL TEMPO DELLA MALATTIA “Un tempo per nascere e un tempo per morire” (3,2). “… fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia…”. Sono le parole del Rito con le quali gli sposi si promettono reciproca fedeltà in ogni stagione della loro vita insieme. Sembra scontata la salute, pensando al brillio dell’amore, ma la malattia può venire da un momento all’altro. Quando a Gesù portano la notizia della malattia di Lazzaro, risponde: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio” (Giovanni 11,4). Il Maestro offre una luce importante: si può crescere nella relazione d’amore nei tempi della malattia? Come vivere la malattia da sposati? La malattia La speranza degli sposi, come di tutti è quella di volersi bene, godendo sempre ottima salute, e secondo questo criterio si organizza la vita! Eppure la malattia bussa a tutte le case degli sposi che vivono una bella relazione come a quelli che sono in crisi. Parlo di malattia fisica e non tanto di dispiaceri, tristezze, abbattimenti, delusioni. Di malattia che talvolta si riesce a curare a casa e tal altra richiede giorni di ospedale, intervento chirurgico e degenze più o meno lunghe. Non mi riferisco alla morte, che è argomento diverso. In genere quando capita una malattia un po’ importante di uno dei due sposi si rischia di andare subito in crisi: Adesso come facciamo? Il coniuge che sta in piedi si trova con più servizi domestici, interni ed esterni: fare la spesa, portare i figli a scuola… e andare a lavorare. E la relazione? Viene sottoposta ad una prova importante: spariscono gli abbracci, i sorrisi, lo star seduti sul divano, il dialogo, la preghiera? Prendono piede in maniera esasperata tensioni, preoccupazioni, parole poco benevoli (a volta cattive) dell’uno verso l’altro? Se non si conduce la malattia nell’alveo della relazione, questa può diventare un’occasione per scaricare vecchi rancori, mettere in luce lati peggiori, accentuare rivalse… mentre può essere una preziosa prova di crescita. Condividere San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma, nel presentare alcune regole di vita cristiana, suggerisce: “Piangete con quelli che sono nel pianto” (12,15). Non vuol dire che gli sposi devono lasciarsi andare insieme ad atti di disperazione! Ma condividere il dolore di chi soffre. “Condividere” porta ad un atteggiamento da “sposati”. Mentre lo “scapolo” pensa esclusivamente ai propri problemi (il malato alla sua malattia, l’altro coniuge a tutti i problemi di casa e oltre). Condividere sollecita a porre attenzione alla condizione fisica e morale dell’altro, a fargli posto nel cuore, a mettersi nei suoi panni, a non giudicarlo nei comportamenti e neppure a lasciarlo chiudere nell’isolamento in cui potrebbe rifugiarsi. Bella cosa è sedersi vicini e in un dialogo affettuoso precisare le reciproche debolezze e fragilità, ed anche “i compiti”, gli aiuti, facendo leva sulle qualità che uno possiede. Nella malattia l’amore ha connotazioni nuove, che possono arricchire quelle normali. Il riferimento è sempre quanto Paolo dice in 1 Corinzi 13. Così la malattia non è contro l’amore, ma lo purifica e lo fa crescere. Crescere nell’amore Per Gesù è stato un crescendo d’amore per la sua sposa, la Chiesa, fino al sacrificio sulla croce: dal suo costato aperto escono sangue e acqua, simbolo dei sacramenti e quindi della Chiesa stessa. Come Adamo, Gesù riceve in dono la sua sposa, subito dopo essersi addormentato nella morte in croce e dopo che il suo costato è stato aperto. La malattia è un tempo speciale di consumazione nell’amore e crescita in unità. Guardando Gesù e la Chiesa, gli sposi (quando uno è malato) prendono coscienza che il loro amore può diventare passione che genera l’uno all’altro come dono di Dio. E diventa passione se la malattia è vissuta come tempo di purificazione del proprio io e delle proprie esigenze e chiusure, come tempo di premurosa vicinanza e dolce affetto, di comprensione e amorevolezza, e soprattutto se, nella luce della fede, sentono di riportare nella loro storia quello che Gesù ha fatto per la Chiesa, cioè dare la propria vita, davvero con gioia e gratuità, l’uno per l’altra. Come abbiamo vissuto i nostri tempi di malattia? Cosa insegnano Gesù e San Paolo per valorizzare in pieno il tempo della malattia? Quale atteggiamento dovrei imparare meglio per dare la mia vita per te? Signore, il tuo Santo Spirito ci aiuti a prendere coscienza che la malattia non è un attacco al nostro amore, bensì un tempo di maturazione. Aiutaci a capire che la malattia può purificare gli egoismi e far aprire ai gesti gratuiti, guardando te morente in croce. Così siamo “perfetti nell’unità” (Gv 17,23). 5 Aprile 2012 IL TEMPO DEL LAVORO “Un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato” (Qo 3,2) Il lavoro: oggi sta diventando un grave problema per tante famiglie. Gli sposi spaziano fra la mancanza di lavoro e il lavoro che occupa quasi tutta la vita, fra il lavoro sicuro e quello precario, fra il lavoro a orario fisso e quello con orari sempre diversi, fra il lavoro vicino a casa e quello lontano. Il lavoro è assolutamente importante, ma chiede agli sposi una quotidiana riflessione per viverlo non contro il loro amore, ma con equilibrio, tenendo sempre al primo posto il coniuge. “Cristo ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth” (Gaudium et spes, 67), accanto a Giuseppe prima e poi da solo. Il lavoro è importante per una famiglia, coinvolge marito e moglie. Come conciliare lavoro e relazione d’amore? Il lavoro e i bisogni della famiglia Nel giorno delle nozze viene letto l’articolo 143 del Codice: “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Il lavoro in generale può avere una molteplicità di scopi: fare soldi, o mostrare la propria abilità, sentirsi utili…Ma gli sposi e con una famiglia sono chiamati a finalizzare anche il lavoro alla costruzione del loro matrimonio. È bello, in proposito, l’elogio che la parola di Dio fa della donna che lavora: “Lavora lana e lino … Sorgono i figli e ne esaltano le doti, suo marito ne tesse l’elogio” (Proverbi 31,10-31). Oggi, molti mariti e mogli lavorano tutti e due sia per esigenze della famiglia e, talvolta, per esigenze personali. Il Signore chiede a voi sposi di verificare con quale spirito affrontate il lavoro di casa o esterno. Anzitutto se la finalità del lavorare è proiettata sulla famiglia oppure altrove; se quando siete al lavoro riuscite a mantenere qualche rapporto con il vostro coniuge e i vostri figli, se quando tornate a casa ignorate il “da fare” oppure vi rimboccate le maniche…; se il frutto del vostro lavoro lo tenete ciascuno per conto proprio o lo gestite insieme; se fate del lavoro un tema di dialogo e confronto tra voi; se nell’accogliere un tipo di lavoro o lasciarlo il criterio è la famiglia…. Conciliare lavoro e relazione di coppia Il lavoro occupa uno spazio molto lungo nella giornata, ma soprattutto nella mente, nei sentimenti, nelle decisioni. Il tipo di lavoro, la giornata lavorativa, soprattutto la mancanza di lavoro per il marito, ma anche per la moglie, condiziona pesantemente lo stato d’animo. Torniamo a casa imbronciati, delusi, arrabbiati, o anche entusiasti, contenti. Sicuramente i sentimenti che affollano il nostro spirito fanno sì che il ritorno a casa e l’incontro con il proprio coniuge assuma caratteri molto diversi, a seconda di come stiamo dentro. Gary Chapman insiste nel suggerire che gli sposi devono avere un atteggiamento sempre amorevole, anche quando non hanno uno stato d’animo amorevole. È perciò decisivo distinguere i sentimenti dai comportamenti, in modo che la ragione e ancor più il cuore non siano mai stravolti dall’insorgere di fatiche conseguenti al lavoro, ma possano sempre far leva su una amorevolezza che, come tavola, galleggia sull’acqua anche in tempesta. Il lavoro, dunque, è necessario alla vita del matrimonio, ma i suoi riflessi non devono stravolgere la relazione, che deve essere sempre su un piano di amore, di comprensione, e gentilezza. Malattia da lavoro Gary Chapman (in “Soluzioni d’amore”, LDC 2005, pgg. 85-97) titola il capito settimo così: Il coniuge malato di lavoro. Lo suggerisco perché possa essere letto per intero. “Chi è il malato di lavoro? È un uomo per il quale il lavoro è la vita. È ossessionato dal lavoro. Non comprende perché sua moglie non sia felice delle sue capacità e di tutte le cose materiali che procura alla famiglia… Al mattino salta giù dal letto con il desiderio di affrontare le sfide della giornata. Quando torna a casa, ha la valigia piena di lavoro. È sempre occupato, non ha tempo né attenzione per nessuno. Trova sempre un’altra opportunità, e lui deve coglierla prima che il sole tramonti.… È probabile che sua moglie sia critica nei suoi confronti, perché lui investe poco nel loro rapporto e si disinteressa della vita dei figli”. Chapman riporta una storia di normale carriera nel lavoro con riflessi pesanti sulla famiglia. La moglie cerca di capire il marito nelle sue motivazioni e comportamenti. Non va allo scontro diretto, ma con fermezza e tenerezza cerca una soluzione d’amore, movendo lei il primo passo. La malattia da lavoro non tocca sempre casi così pensanti, ma anche situazioni più leggere. Però occorre sempre vigilare, perché ogni volta che il lavoro inquina la persona, trovi gli sposi pronti a cercare una soluzione d’amore “perché la loro gioia sia piena”. Con quale stato d’animo vivo il mio lavoro e quello di mia moglie/marito? Con quale criterio e collaborazione affrontiamo il lavoro nella nostra casa? Quale atteggiamento dovrei imparare meglio perché la relazione prevalga sul lavoro? Signore, il tuo Santo Spirito ci aiuti a prendere coscienza che il lavoro non è lo scacco matto al nostro amore. Aiutaci a capire che lavorare con nel cuore la famiglia, purificando i nostri egoismi, ci realizza come persone e permette al nostro amore di arricchirsi di sicurezza e stabilità. 6 Maggio 2012 IL TEMPO DELLA RABBIA “Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli” (Qoelet 3,5). Un’espressione frequente per chiamarsi fra gli sposi è: “Amore!!!”, usando un tono di voce gentile e accattivante. Talvolta quell’espressione può uscire da una bocca arrabbiata, con toni aspri e di rimprovero, o semplicemente in modo deciso per richiamare qualcosa di importante. Ricordate Gesù quando entrò nel tempio di Gerusalemme? “Fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori” buttando all’aria e gridando: “Portate via di qui queste cose…!” Dobbiamo affermare che si trattava di un Gesù arrabbiato, cioè che aveva tirato fuori tutta la sua grinta di fedeltà al Padre. Quante parole e gesti rabbiosi entrano nella nostra relazione di sposi! Se fossero sassi saremmo tutti ammaccati! È vero che si tratta di un sentimento, ma esso può diventare comportamento cattivo ma anche buono. La rabbia, infatti, “fa parte della natura umana, fa parte dell’istinto di vita. Cosa faccio con la mia rabbia?”. Rimando ad un testo di Gigi Avanti: Il grande libro degli sposi, pagg. 125-126. La rabbia contro l'altra persona Ricatti, manipolazioni, parole dure, tutto nel tentativo di spingere il coniuge a cambiare, ad essere calmo, a diventare un po' più come vorrei io. C'è chi usa la sua energia, «rabbia», attivamente contro l'altra persona: strillando, urlando i peggiori insulti o parolacce, oppure sbattendo porte, pestando i pugni, rompendo cose o forse anche picchiando. E c'è chi usa la sua energia, «rabbia», contro l'altro passivamente: portando il muso, non parlando, o inventando i più raffinati dispetti. Per tante persone dare in escandescenze oppure offrire una resistenza passiva sono gli unici modi di usare questa energia che si chiama «rabbia». Purtroppo quest'uso molto comune della rabbia diventa un grosso spreco di energia e niente altro. E soprattutto dà alla relazione scossoni pesanti o crea fratture, ferite che, anche quando potessero guarire, lascerebbero un indelebile segno fastidioso. La rabbia contro se stessi C’è chi, anche fra gli sposi, sfoga la rabbia dentro di sé, sperimentando mal di testa, tachicardia, inappetenza, coliche, esaurimento nervoso! I motivi potrebbero essere attribuiti a fatti o parole che ho procurato al mio coniuge: una delusione, un’offesa, risposte nervose senza motivo, insistenza fino alla noia per ottenere qualcosa, insuccessi dovuti alla mia sbadataggine. Questa rabbia interna, dovuta a miei errori o stati d’animo, chiede l’umiltà di essere confidata alla persona che si ama: in questa condivisione facilmente sparisce o si riduce, e soprattutto se ne avvantaggia la relazione d’amore. C'è anche chi usa la rabbia che sente dentro di sé per un sottile ricatto o manipolazione del partner. Il messaggio - che non oserebbe mai verbalizzare - è del tipo: «Non vedi come soffro? È tutta colpa tua! Se tu cambiassi un po’, starei subito meglio. Almeno mi capissi e invece stai lì senza aiutarmi!”. Gli sposi sono chiamati ad essere onesti con se stessi: ognuno deve riconoscere le proprie responsabilità, cioè le colpe e gli errori, ed anche le possibilità e i carismi che può mettere a frutto. La rabbia in funzione della coppia Occorre entrare nell’ottica che la rabbia, anche se la parola evoca negatività, è un’energia che può essere utile, può aiutare a costruire quella relazione d’amore che tanto desideriamo. Come nel caso di Gesù, questo sentimento molto forte diventa “zelo per la coppia”, cioè grande forza che sostiene nel superare situazioni particolarmente difficili o per fare quella nostra parte che chiede intenso impegno o per lavorare con decisione a togliere quel difetto tanto fastidioso alla nostra relazione. Alcune indicazioni per usare positivamente la rabbia: Quando la rabbia riguarda un conflitto di bisogni, usala per far sì che tutti e due vinciate. Quando la rabbia riguarda il sentirsi incompresi, usala per comunicarti più chiaramente. Quando la rabbia riguarda il non capirsi, usala per dare tu più attenzione nell'ascolto. Quando la rabbia riguarda i tuoi difetti, usala per vincerli e per valorizzare i tuoi pregi. Quando la rabbia riguarda qualcosa che fai tu e non ti sta bene, usala per modificarti. Quando la rabbia riguarda i difetti del tuo coniuge, usala per evidenziare i suoi pregi. 7 Quando la rabbia riguarda un comportamento del tuo sposo/a che non approvi o ti dà fastidio, usala per agire tu con più pazienza e dolcezza. Quando la rabbia nasce dal fatto che ti sembra che tuo marito/moglie non prova tanto interesse e attenzione verso la tua persona, usala per renderti più amorevole e gentile. Quando la rabbia riguarda la mancata rispondenza del tuo sposo/a ai desideri che hai espresso, usala per adattarti, per fare spazio in te per ciò che lui/lei ti sta offrendo. Quando la rabbia riguarda ricordi spiacevoli del passato, parole, gesti, comportamenti deludenti e incresciosi del tuo coniuge, usala per donare e ridonare sincera misericordia. Con quale spirito vivo l’energia della rabbia nei confronti miei e del mio sposo/a? Con quali accorgimenti aiuto il mio sposo/a a superare la rabbia negativa? Quale impegno voglio prendere dopo la riflessione sulla rabbia? Signore, hai sperimentato anche tu la rabbia. Tu, quella buona. Io sperimento a volte quella negativa, facendo del male a me e al mio sposo/a. Il tuo Santo Spirito ci ricolmi di mitezza ed anche di volontà decisa per costruire fra noi una profonda relazione d’amore. 8 Giugno 2012 IL TEMPO DEL SORRISO “Un tempo per piangere e un tempo per ridere” (Qoelet 3,4). Sto scrivendo mentre in chiesa viene celebrato un matrimonio. Mi sono fermato ad accoglierli e li ho osservati: tutto lo splendore della loro bellezza e della loro gioia aveva un punto focale: il volto! Due volti sorridenti, sprigionanti una gioia proveniente da dentro: gioia che viene dall’amore e che invade la persona, esprimendosi anzitutto negli occhi brillanti, nel viso disteso, nello sguardo dolce; gli sposi al solo guardarsi si sorridevano intensamente! Mi risuona nel cuore una parola di S. Luca: “In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo” (10,17-24), e ancora: “Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore” (1,46-55). Ci sono i tempi della gioia e del sorriso anche nella vita degli sposi. Possono, però, essere sopraffatti e annullati dalle preoccupazioni non dominate, dalle tristezze non controllate, dalla pigrizia di riconoscere il bene. Sorridere è dono d’amore È vero che ci sono varie espressioni del sorriso di una persona. Siccome esso è espressione dei sentimenti, può avere connotazioni molto diverse. Adesso, però, penso soltanto a quel sorriso che mette la nostra persona, anima e corpo dentro l’espressione del volto affinché si apra, lasciando passare attraverso tutti i suoi pori la gioia e l’amore verso il proprio coniuge che si porta in cuore. Per cui il sorriso è una delle espressioni più ricche del dono d’amore che si vuol fare alla persona amata. I genitori esprimono il loro amore ai figli per mezzo di un sorriso, così i fidanzati ed anche gli sposi. In ogni caso attraverso il sorriso, quello che viene dal cuore, si vuol fare un dono d’amore; si vuol dire “Ti amo” al proprio sposo/sposa; si vuol comunicare incoraggiamento e fiducia; si vuol far capire che si è contenti di lui/lei, della sua presenza o delle sue parole o dell’espressione del suo volto o del suo abbraccio… Il sorriso è componente essenziale nell’amore! Sorridere è una scelta Se ci si lascia prendere dai sentimenti (paura, tristezza, gioia, rabbia…) il sorriso ci può essere, ma chissà quale significato vuol esprimere? Soprattutto in una relazione d’amore, il sorriso, che dona amore, non è frutto di emozioni ma è una scelta del cuore. La spontaneità darebbe al volto degli sposi il colore più diverso: trasmettere al proprio coniuge la delusione, o l’amarezza di qualche incomprensione, o la tensione di un litigio, o il silenzio per qualche problema di lavoro… Sorridere in ogni caso, anche se ho il cuore gonfio di dispiacere, anche se la stanchezza abbruttisce il mio volto, anche se il pianto mi ha sfigurato. Sorridere è voler far nascere dal proprio cuore un atto di amore per dirti che ti voglio bene, nonostante tutto, anche in mezzo a dispiaceri. Questo sorriso richiede sforzo di volontà. Sembra strano: il sorriso, quello più vero, non nasce dalla istintività, ma da una scelta, come del resto anche amare il proprio sposo/sposa sempre e comunque è una decisione che si rinnova continuamente, senza dar nulla per scontato. Sorridere è possibile Voler sorridere, dunque, richiede un atto di volontà che affida ad un impulso la ricchezza dell’amore e lo stampa nel volto, che è lo specchio del nostro cuore. Così l’altro/a, senza fatica, può leggervi che è accolto e amato. Dunque sorridere nell’amore è possibile, non è facile ma è alla nostra portata. Quanti volti cupi, rivolti a terra, quasi incapaci di sorridere! Sta a noi inframmezzare i tempi della quotidianità con momenti di sorrisi rasserenanti e gioiosi, e allenarsi a voler sorridere. Ricordate lo scritto di p. Faber? “Donare un sorriso rende felice il cuore: arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo rimane a lungo. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno né così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, dà sostegno nel lavoro ed è segno tangibile d'amicizia. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e nella tristezza è medicina. E se incontri chi non te lo offre, sii generoso e porgigli il tuo: Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo”. Verifichiamo insieme quanto sia vero anche per la nostra coppia! Quale espressione di volto offro più di frequente al mio sposo/sposa? Cosa mi impedisce di moltiplicare i tempi del sorriso nella nostra relazione d’amore? Quale impegno voglio prendere per sdrammatizzare le fatiche e le tensioni e metterci sopra un bello spazio di sorriso, voluto con amore verso di te? 9 Signore, hai mostrato a tutti il tuo sorriso; i primi a goderlo sono stati tua Madre Maria e S. Giuseppe, suo sposo. La vita è segnata spesso da tristezza, ma il sorriso può darle spunti di pace e di incoraggiamento. Insegnami a voler sorridere, aiutami a trasformare la tristezza in gioia. IL VALORE DI UN SORRISO Un sorriso non costa nulla e rende molto. Arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo a volte è eterno. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno. Nessuno è così povero da non poterlo donare. Crea felicità in casa, è sostegno negli affari, è segno sensibile dell'amicizia profonda. Un sorriso dà riposo alla stanchezza. Nello scoraggiamento rinnova il coraggio. Nella tristezza è consolazione. D'ogni pena è naturalmente rimedio. E' un bene che non si può comprare, prestare o rubare, poiché esso ha valore solo nell'istante in cui si dona. E poi se incontrerete chi non vi dona l'atteso sorriso, siate generosi e donategli il vostro: perché nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come chi non sa regalarlo agli altri. Madre Teresa di Calcutta 10