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2 novembre Quel giorno dovevo fare il turno di

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2 novembre Quel giorno dovevo fare il turno di
2 novembre
Quel giorno dovevo fare il turno di notte. Mi
ricordo che stavo in macchina sulla strada che
collega Predazzo a Bellamonte, per controllare
se in giro fosse tutto a posto. Pensavo che sarebbe stata una nottata tranquilla come al solito, dato che in quelle ore per quelle strade montane generalmente girano pochissime macchine, ma...
Verso le due ero stato chiamato dalla centrale
via radio perché c’era stato un terribile incidente lungo la strada che stavo percorrendo: una
macchina aveva investito una persona che camminava a piedi. La centrale mi informò che quelli in macchina erano amici della persona investita.
Arrivai sul luogo dopo pochi minuti. L’autoambulanza non era ancora arrivata.
C’erano due ragazzi davanti al corpo immobile dell’investito. Uno era rannicchiato e l’altro
in piedi. Appena vide la volante, anche quello rannicchiato si alzò. Uno era moro e l’altro biondo,
ma non riuscii a vederli bene in quel momento,
così da lontano e con il buio che c’era.
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Martin Toebec
Stavano a circa venti metri dietro la loro
macchina, che era in posizione quasi orizzontale rispetto alla strada. Questo mi fece capire che
stavano viaggiando abbastanza velocemente prima dell’incidente.
Oltre al buio, c’era una nebbia abbastanza
fitta, probabilmente i due ragazzi erano talmente incoscienti che pensavano di conoscere quel
tragitto alla perfezione, senza badare a tutti gli
incidenti che possono accadere sulle strade.
Un altro fatto strano fu che trovai il corpo in
mezzo alla strada. Se l’investito avesse camminato sul ciglio, il suo corpo sarebbe stato trovato più o meno ai bordi della strada, considerando che l’impatto era stato sicuramente frontale.
Non era però da scartare l’ipotesi che i due
ragazzi lo avessero spostato dal bordo al centro
della strada prima che io arrivassi. I due avrebbero sicuramente avuto il tempo per farlo, siccome a quell’ora di notte, in genere, passano pochissime macchine per quelle strade montane.
Mentre facevo queste osservazioni, ero arrivato dai due ragazzi per controllare le condizioni dell’investito e fare a entrambi qualche domanda. Erano sconvolti.
Innanzitutto ordinai al collega che quella sera lavorava con me di mettere la segnaletica per
far rallentare le rare macchine che sarebbero
passate; e poi mi occupai della dinamica dell’incidente.
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Luce Notturna
Controllai il corpo. Aveva il viso squartato,
come se fosse passato sotto gli arnesi di un
macellaio. Gli mancava una mascella e la testa
era mezza aperta. Una visione orrenda. Forse
era stato quel freddo a irrigidire la carne a tal
punto da strapparsi a strati. Non c’era dubbio:
era morto.
Chiesi la patente e la carta di circolazione al
conducente dell’automobile; poi la carta d’identità al passeggero, e docilmente me le dettero.
Il conducente si chiamava Enrico Gubert e il
passeggero Marco Dipari, e in quel momento mi
stavano guardando con uno sguardo a metà fra
il triste e l’impaurito.
Andai in macchina per controllare i dati dei
due ragazzi e questi rimasero nella posizione in
cui li avevo lasciati. Mentre stavo dentro l’auto
aspettando risposte dal comando, li guardai dal
parabrezza. Parlavano tra loro, entrambi guardando il corpo del ragazzo morto ai loro piedi. Dicevano qualcosa che io dall’interno della macchina non riuscivo a capire.
Entrambi vivevano a Bellamente e non erano
mai stati schedati.
“A che velocità andavate?” chiesi ai due, mentre riconsegnavo la carta d’identità a Marco Dipari.
“E la mia patente?” mi chiese Enrico Gubert.
“L’ho presa in custodia al momento. Però,
penso che te la revocheranno. Non avresti
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Martin Toebec
dovuto correre! Avresti dovuto pensarci prima!”
“Già!” esclamò il ragazzo con voce debole e
abbassando lo sguardo.
“Insomma, a che velocità andavi?”
“A circa settanta chilometri all’ora,” rispose
abbastanza timidamente.
“C’è nebbia. Non ti hanno mai consigliato di
rallentare quando c’è nebbia?” chiesi, pensando
che probabilmente la macchina fosse andata più
veloce e che il ragazzo stesse mentendo.
“Sì, ma...” e si interruppe.
“...ma?!” insistetti io.
“...ma sono le due di notte... a quest’ora non
passa nessuno per strada e poi... poi conosco
molto bene questa strada...” rispose timidamente il ragazzo, interrompendosi numerose volte;
probabilmente per la paura che gli potesse
accadere peggio di una semplice revoca di
patente.
“Non hai mai sentito il detto ‘meglio prevenire che curare’?” domandai con tono acidulo,
soprattutto per la visione orrenda del corpo dell’investito che mi faceva tramutare il ribrezzo
in rabbia.
Arrivò l’autoambulanza. Dopo esser stata
accertata la morte del cadavere, il corpo fu portato via.
Successivamente arrivò il carro attrezzi per
portare via l’automobile.
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Luce Notturna
Il conducente e il passeggero dell’autoveicolo rimasero.
“Eravate suoi amici, no? Così mi è stato riferito dalla centrale!” continuai a fare domande.
“Sì!” rispose il conducente indicando l’amico. “Ma l’incidente è stato tutto una coincidenza! Se al posto di Tommaso ci fosse stata un’altra persona, sarebbe accaduta la stessa cosa!”
“Ah! Così l’investito si chiama Tommaso...
Ma come mi spieghi che il suo corpo è al centro della strada, invece di essere al bordo?”
“In che senso?”
“Se l’avete preso in pieno, perché il corpo è stato
ritrovato in mezzo alla strada anziché ai bordi, dove
suppongo che camminasse il ragazzo?”
“Camminava in mezzo alla strada e non si
era nemmeno voltato! Vero?” rispose convinto
il conducente dell’automobile, chiedendo conferma all’amico, che ammiccò con lo sguardo.
“Voi state dicendo che il ragazzo non si era
accorto della macchina che stava correndo dietro di lui ad alta velocità e con i fari accesi?”
“Sì! Non si era voltato, e nemmeno aveva cercato di farlo!” rispose per la prima volta il passeggero dell’automobile.
“Mi dispiace ma vi devo portare al comando.
Vi interrogheremo laggiù!”
Arrivai a questa conclusione, poiché non
avevo capito molte cose. Possibile che quel ragazzo, prima di essere stato investito, non si
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Martin Toebec
fosse accorto che una macchina stava giungendo da dietro con i fari accesi, anche qualche
centesimo di secondo prima dell’impatto?
Perché il corpo era al centro della strada e non
al bordo? Dicevano la verità i due ragazzi che
lo avevano investito, anche se sembravano sconvolti per l’accaduto? E che due persone avessero investito un loro amico poteva essere una
coincidenza?
Così chiamai il mio collega e insieme portammo i ragazzi al comando. Non misi nemmeno le manette ai due, perché erano giovani e io
credevo che fosse stato un incidente fortuito.
Dall’interrogatorio seppi più cose riguardo
all’investito.
Era di Predazzo e proprio dalle parole di Enrico Gubert e Marco Dipari seppi pure il cognome: si chiamava Tommaso Galas.
Chi raccontò la storia di quella serata fu il
conducente dell’automobile, Enrico Gubert.
Prima di uscire, verso le dieci di sera, questi
avrebbe telefonato al ragazzo che poi sarebbe
stato investito per chiedergli di uscire. Quest’ultimo gli avrebbe risposto di no perché gli faceva male la testa e si sentiva male.
Alla domanda perché il ragazzo avesse mentito, nessuno dei due seppe dare una risposta e
neppure rispondere cosa quel ragazzo facesse
appena fuori paese a piedi, in una strada isolata, a quella tarda ora e a più di cinque chilome12
Luce Notturna
tri da casa sua, considerando che si sentiva
male.
Se le cose fossero andate davvero come avevano spiegato i due, sicuramente l’amico aveva
nascosto qualcosa.
Prevedevo che il giorno seguente il maresciallo avrebbe chiamato qualcuno dal reparto
investigativo, non solo per il caso dell’incidente, ma anche per capire cosa nascondesse Tommaso Galas.
Finito l’interrogatorio, alla luce dell’alba, accompagnai in macchina i due giovani verso le
loro rispettive case.
Per tutto il viaggio stettero appoggiati ai sedili con gli occhi chiusi. Probabilmente ripensavano a quella traumatica nottata, al loro amico
e alla loro colpevolezza.
Pensai che la cosa migliore fosse di lasciarli
cuocere nella loro acqua; quindi non parlai per
tutto il tragitto.
Non sapevo ancora che quello sarebbe stato
il primo giorno di una storia che mi ha sconvolto molto e persino ora faccio fatica a crederci. E talvolta penso che tutto potrebbe essere
stato frutto della mia immaginazione. Ma, purtroppo, non è così!
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