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N° 6 - GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 • ANNO XLIX - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma
ISRAELE
ITALIA
ISRAELE
INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE
NAOR GILON
ADDIO HAVER
PANNELLA
I DRUSI
SUPER SIONISTI
‫בס’’ד‬
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Sharialand
Nelle piazze d’Europa
dove si applica la legge coranica
Intitolare una strada ad Almirante? Proposta bocciata
FOCUS
COPERTINA
Da Houellebecq a Molenbeek
P
L’illusione fatale dell’Islam in Europa
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
er uno dei casi che talvolta aiutano sventuratamente le
vendite dei libri, il contestatissimo romanzo Sottomissione
di Michel Houellebecq uscì in Francia nel 2015 subito dopo
le stragi a Charlie Hebdo e all’Hypercacher. A contrastare
l’azione terroristica c’erano stati anche musulmani, come un commesso africano e il poliziotto che sacrificò in strada la propria vita.
Houellebecq raccontava il futuro immediato di una Francia che lo
2
scrittore vede rapidamente scivolare sotto il controllo politico dell’Islam radicale. Sulle qualità letterarie del volume, forse scarse, pochissimi interventi.
Tuttavia, il perbenismo bacchettone della sinistra specializzata in
banalità aprì l’ineluttabile fuoco di sbarramento contro uno scrittore molto furbo e del tutto politically incorrect. Il titolo puntava
tutto su un facile equivoco, giocando sul termine “sottomissione”
(al-’Islam in arabo), il quale risulta traduzione letterale del concetto
teologico che accomuna l’Islam all’Ebraismo e al Cristianesimo: e
cioè la sottomissione del credente all’Autorità divina. Houellebecq
effettua un’operazione letteraria molto simile, in buona sostanza,
alle storie alternative con le quali tre scrittori avevano narrato le
vicende di un mondo e di un’America governati dai nazisti: Philip
K. Dick già nel 1962, poi Robert Harris (1992) e Philip Roth (2004).
Ma anziché nel passato hitleriano si era proiettato in un possibile
futuro parigino radicalmente islamizzato.
Ormai è di moda dire “finiremo come a Tel Aviv”, finiremo come
all’aeroporto Ben Gurion. Forse, ma non nel senso sottinteso dai
mezzi d’informazione. La verità è quella di sempre: si comincia con
gli ebrei, e poi arriva il turno di tutti gli altri. Il problema dell’insediamento dei musulmani in ogni parte del mondo consiste molto
semplicemente nel fatto che sono in molti ad arrivare portando con
sé una mentalità di maggioranza e di proselitismo esasperato. E’
l’equivalente contemporaneo del Cristianesimo al tempo dell’Impero sotto Teodosio (379-395). E come L’Islam, anche le altre grandi
tradizioni spirituali non prevedono distinzioni tra la fede e la politica. Ma la storia d’Europa ha provveduto a regolare e bilanciare il
rapporto, anche se Sua Maestà la Regina Elisabetta II d’Inghilterra
è tuttora a capo della Chiesa Anglicana.
Per di più al mondo dell’immigrazione musulmana manca il correttivo imposto dalla tradizione ebraica nella diaspora: “La Legge
dello Stato è Legge”. Finché non colpiscono fisicamente la presenza ebraica e fino a quando le leggi consentono l’osservanza
dei fondamenti halachici dell’Ebraismo, gli Stati devono essere
onorati e rispettati.
Parlare adesso di esclusione e di emarginazione dei giovani musulmani a Barbes (Parigi) oppure a Molenbeek (Bruxelles), di fallita
integrazione, è ridicolo. Le seconde e le terze generazioni, i nati
in Europa e cittadini a pieno titolo con pienezza di diritti e doveri,
rifiutano la società che li ha accolti e alfabetizzati fino al diploma.
Se di esclusione si tratta, è una auto-esclusione e una segregazione
che si sceglie in quartieri dove gli “altri” non sono più ospiti graditi. Le rivolte giovanili marcano la storia di ogni tempo. I ragazzi
e le ragazze del ’68 sognavano il comunismo egualitario, qualcuno
scivolò nelle bande armate, molti si innamorarono delle guerriglie
e dei terroristi del cosiddetto “Terzo Mondo”.
Al marxismo estremista si è sostituito il fondamentalismo religioso.
Quella dell’Islam appare la situazione più inquietante. L’estremismo insegnato e praticato come unica fede impone il rifiuto della
dialettica e del dialogo, l’obbedienza cieca ai teologi più aggressivi.
L’Italia ha conosciuto qualcosa di simile al tempo delle grandi crisi
che aprirono e poi chiusero l’età dell’Umanesimo, con Bernardino
da Siena e Girolamo Savonarola. Una parte dell’Islam rifiuta l’idea
di modernità e di libertà che ha aiutato la civile convivenza tra diversi, dopo le sventure della Seconda guerra mondiale. In Europa la
tolleranza è stata praticamente assoluta. E ha indignato nel corso
degli anni non pochi esuli dai paesi islamici.
Finché sotto attacco si sono trovati soltanto Israele e il sionismo,
Islam uguale “buoni”. Senza se e senza ma. Dimenticando naturalmente che vittime dei terroristi e delle dittature arabe sono stati
soprattutto altri arabi e altri musulmani, sciiti o sunniti che fossero.
In Francia le cose sembrano più difficili. Però bisogna riesumare la
memoria storica, non soltanto quando è rito istituzionale. Sotto le
presidenze Pompidou (1968-1974) e Giscard d’Estaing (1974-1981)
i francesi hanno fatto di tutto e di più per conservare il controllo del
petrolio nelle ex-colonie e della manodopera per le industrie nazionali, fornita dall’Algeria e dal Marocco a un paese in perenne crisi
demografica. L’origine delle banlieues è questa.
Durante gli anni delle guerre arabo-israeliane le monarchie feudali e le dittature nazionaliste furono gli amici privilegiati. Il Belgio
seguì strade analoghe, ed evidentemente nulla aveva appreso dal
disastro provocato -1960 - nella sua antica colonia del Congo. Ma i
servizi sociali per gli immigrati non mancavano, e neppure i sussidi, le case e le opportunità. Qualcuno provi a mostrare le immagini
delle periferie parigine agli abitanti di Scampia o delle borgate romane, e poi verifichi se per caso non sarebbe gradito uno scambio.
Quanto alla disoccupazione giovanile e alla complessiva assistenza
per i giovani - musulmani, ebrei, evangelici, cattolici o magari atei
- in Francia e in Belgio ci pensa lo Stato. Qui da noi, in Italia, la
mission appare affidata a mamma e papà, e soprattutto ai nonni.
PIERO DI NEPI
Sharia, la legge di Dio che colpisce
il corpo per educare l’anima
È un sistema normativo che si occupa di tutti gli aspetti, sia privati che pubblici.
Le sanzioni corporali che applica (dalla pena di morte, alle amputazioni e fustigazioni)
sono incompatibili con le garanzie giuridiche dell’occidente
disponibili sul suo sito. La definizione che ne dà la Library of
Congress di Washington è “la totalità dei comandi e delle esortazioni di Dio, finalizzate a regolare tutti gli aspetti della condotta
umana e a guidare i credenti sulla via della salvezza eterna”.
La Sharia prevede due categorie di
reati: “hadd”, crimini seri (furto, adulterio) per cui sono previste severe
sanzioni (amputazioni, pena di morte),
e “tazir”, per i quali la punizione è lasciata alla discrezione del giudice.
Tuttavia, la Sharia resta un argomento molto complesso. Dal IX secolo in
poi il potere di interpretare il diritto
nelle società islamiche tradizionali è
spettato agli ulema, gli eruditi di norme religiose. Ma si presenta anche
frammentata: ci sono cinque diverse
scuole della sharia, quattro dottrine
sunnite (Hanbali, Maliki, Shafi’i e Hanafi) e una dottrina sciita (Shia Jafari).
Le differenze con il diritto di stampo occidentale sono comunque
notevoli, soprattutto per quel che concerne le libertà personali e
l’uguaglianza dei sessi. Senza dimenticare le punizioni corporali:
sono previste decapitazione, lapidazione e fustigazione, sebbene la pena di morte sia ammessa solo in alcuni casi (omicidio,
adulterio, bestemmia, apostasia). Anche le Nazioni Unite si sono
espresse contro pratiche come la lapidazione, ritenendole forme di tortura o trattamento inumano e degradante. Una serie di
norme che dunque difficilmente possono essere integrate in un
sistema giuridico di stampo occidentale, costituendo così un ulteriore elemento di distanza che esaspera uno scontro che è già
sociale, politico ed economico.
DANIELE TOSCANO
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
L
a nascita dell’ISIS, la sempre più consistente presenza di
musulmani in Europa, i fragili equilibri mediorientali e
gli scontri intra-islamici: questi e altri fattori hanno portato sempre più spesso a sottolineare il ruolo della Sharia nella società islamica. Ma di cosa si
tratta esattamente?
Secondo il dizionario Treccani, la Sharia si può definire come la “legge sacra
dell’islamismo, basata principalmente
sul Corano e sulla sunna o consuetudine, che raccoglie norme di diverso
carattere, fra le quali si distinguono
quelle riguardanti il culto e gli obblighi rituali, da quelle di natura giuridica e politica; di quest’ultimo gruppo
fanno parte le prescrizioni che regolano la conduzione della guerra santa
(jihad)”. L’etimologia del termine significa “percorso chiaro e ben tracciato dall’acqua”; indica un corpo di norme morali e religiose che
si distinguono dalla legislazione degli uomini, individuando in
essa l’infallibilità del diritto divino. Lo scopo è quello di indicare
all’uomo come dovrebbe condurre ogni aspetto della vita quotidiana secondo il volere di Dio. Molteplici sono dunque le tematiche di cui si occupa: crimini, politica, contratti di matrimonio,
regolamenti commerciali, prescrizioni religiose, economia, nonché questioni personali come rapporti sessuali, igiene, alimentazione, preghiere, comportamenti quotidiani, il digiuno.
La Sharia è la principale fonte di ispirazione per numerosi Paesi
islamici, tra cui Arabia Saudita, Sudan, Iran, Iraq, Afghanistan,
Pakistan, Brunei, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Mauritania.
Molta attenzione scientifica e mediatica è stata riservata al tema
della Sharia. La BBC ha proposto vari approfondimenti, tuttora
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COPERTINA
I quartieri europei dove
l’integrazione non esiste…
e nessuno la vuole
Vi sono intere zone a Londra, Parigi, Marsiglia,
Bruxelles, Amsterdam, Copenaghen,
dove i musulmani sono maggioranza
e dove impongono la ‘loro’ legge
L
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
a popolazione di religione musulmana nel mondo è in
continua crescita e sempre più significativa è la sua
presenza in Europa. Un trend demografico che pone interrogativi di
stampo politico e sociale: è possibile e come
realizzare una felice integrazione? Come bisogna gestire questa multietnicità?
Gli attentati di Bruxelles di novembre 2015
hanno portato sotto la luce dei riflettori il
quartiere di Molenbeek, che già aveva legato il suo nome all’estremismo islamico in occasione dell’attentato al Museo ebraico della Capitale belga nel giugno 2014 e di quello
di Parigi di gennaio 2015. Centomila persone, prevalentemente di etnia araba, in pochi
chilometri quadrati non lontano dal centro,
che possono usufruire di oltre 20 moschee.
Ma Molenbeek non è che uno dei molteplici
esempi di questo tipo di presenze in Europa.
Eredità dell’epoca coloniale, diverse ondate
migratorie e qualche opportunità in più rispetto ai Paesi d’origine tra le motivazioni
principali.
Tra i quartieri europei dove i musulmani
sono prevalenti spiccano numerose città
francesi, come Lille, Lione, Parigi. Nel nord
della Capitale, Boulevard Barbés, nel quartiere Goutte d’Or, è dal 2012 inserito dal governo francese nella
64 zone di sicurezza prioritaria: aree degradate, dove circolano
armi e in cui il controllo delle strade sembra di competenza della
criminalità organizzata; disoccupazione, delinquenza e traffico di
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droga diventano terreno fertile anche per i predicatori più estremisti. Discorso che si amplia ancor più se applicato ai Quartieri
nord di Marsiglia, ma che si ritrova anche in centri minori come a
Fafet-Brossolette, ad Amiens, definita “area
priva di diritto”.
La questione si pone inevitabilmente anche
nella multietnica Londra, dove i musulmani costituiscono la più ampia minoranza
religiosa: oltre 600mila persone secondo il
censimento del 2001, più del 12% della popolazione secondo i dati del 2011, superando il 30% nei quartieri di Newham e Tower
Hamlets. La peculiarità dell’Islam londinese
che lo distingue da quello francese è l’origine dei suoi fedeli, provenienti soprattutto
da India, Pakistan, Bangladesh, Turchia, Afghanistan: un’origine che spesso si traduce
in una maggiore moderazione, come ha mostrato anche il neosindaco Sadiq Khan all’indomani della sua elezione. Ciò non toglie
che vi siano anche comunità originarie del
Maghreb e della Somalia, nonché tensioni
sociali nelle aree più degradate come East
Ham, Barking e Dagenham: da qui parte anche il successo dell’estrema destra del British National Party.
Il problema dell’integrazione e della convivenza è comunque comune a quasi tutto
il continente e non fanno eccezione i Paesi dell’Europa settentrionale. Ad Amsterdam c’è il popolare quartiere Slotevart, dove
sono affluiti numerosi arabi e turchi; a Copenaghen ci sono
Mjølnerparken e Norrebro, a cui sono riconducibili i terroristi
degli attacchi di febbraio 2015. A Malmö, Rosengård è dai primi anni 2000 considerato il primo quartiere islamico d’Europa:
quando nel 2009 la nazionale di tennis israeliana fu impegnata in
Coppa Davis proprio contro la Svezia, scattò il boicottaggio, con
violente proteste in piazza della popolazione di fede musulmana.
In alcune periferie si è raggiunta una pacifica convivenza, come
a Neukölln a Berlino; prevalgono però i casi in cui le differenze
etnico-religiose si sono sommate alle tensioni socio-economiche
preesistenti e sono aumentati i rischi di contaminazione del fondamentalismo islamico: in Europa l’integrazione sta diventando una
sfida sempre più complessa e non si arresterà nel breve periodo.
Il Pew Research Center ha riportato a questo proposito alcuni dati
utili: la popolazione musulmana nel continente europeo (Turchia
esclusa) era di circa 30 milioni nel 1990, 44 milioni nel 2010 e ci si
aspetta un incremento fino a 58 milioni nel 2030. Francia (4,8 milioni) e Germania (4,7) sono i Paesi dell’Unione Europea con il più
ampio numero di musulmani; sull’intero continente, il record è
comunque della Russia con i suoi 10 milioni. Recentemente, l’aumento di musulmani in Europa è stato dell’1% ogni decennio, dal
4% del 1990 al 6% nel 2010: un trend determinato a proseguire e
ad aumentare, con previsioni per il 2030 di un 8% di musulmani
sulla popolazione europea; i musulmani sono infatti anche più
giovani (età media 32 anni) degli altri europei (40).
DANIELE TOSCANO
A Brescia e ad Eboli sono sorti
quartieri a totale presenza musulmana,
con alcuni casi di jihadismo
A
ll’indomani dei tragici attentati di Bruxelles su tutti i
media, nazionali ed internazionali, si è parlato a lungo
di Molenbeek, il quartiere situato alla periferia ovest
della capitale belga. Divenuto famoso per essere stato il quartier generale da dove sono stati pianificati gli attacchi
jihadisti e per aver dato rifugio al super
ricercato Salah Abdeslam dopo il 13 novembre di sangue a Parigi, il quartiere
multiculturale si è trasformato nell’estremo esempio di cosa si può generare nei
luoghi dove tendono ad aggregarsi quelle minoranze che non si riconoscono nella
società occidentale fondata sul laicismo e
sullo stato di diritto.
In Italia casi del genere non si sono ancora verificati, probabilmente a causa della
diversa provenienza degli immigrati, che
nella maggior parte dei casi non arrivano
da paesi in cui è in vigore la legge coranica, ma è possibile constatare in particolari aree del nostro paese una certa
tendenza che lascia pensare che l’Italia
non sia del tutto immune da fenomeni di
questo tipo. Due casi meritano attenzione: Brescia ed Eboli. Nella città lombarda, a pochi metri dal centro storico, esiste
un quartiere chiamato “il Carmine” in cui
vivono circa trentasettemila immigrati. Si
tratta in prevalenza di pakistani e nordafricani che hanno totalmente ridisegnato
la zona eliminando ogni traccia delle tradizionali attività artigiane rimpiazzandole con macellerie halal, call center e negozi di
frutta e verdura. Il Carmine però non ha mai goduto di buona
fama ed è stato considerato per secoli un luogo malfamato, legato ad attività illecite e frequentato solo dai clienti delle prostitute
che vi lavoravano. La presenza massiccia di immigrati non è di
per sé un problema ma, come a Molenbeek, hanno trovato qui un
posto sicuro diversi jihadisti di casa nostra: nel 2009 Mohammad
Yaqub Janjua, 60 anni, e suo figlio Aamer Yaqub, 31 anni, furono
arrestati dalla Digos e dalla Guardia di Finanza perché ritenuti
coinvolti negli attentati di Mumbai del 2008 e per aver effettuato
più di trecento trasferimenti di denaro, attraverso la loro attività
di money transfer, a favore di personaggi indagati per terrorismo
in Pakistan, furono poi in seguito rimessi in libertà dal Tribunale del riesame; Essaadi Moussa Ben Amor Ben Ali, latitante
dal 2009, ha vissuto per un lungo periodo di tempo nel quartiere
bresciano prima di fuggire in seguito alla diffusione di una lista
nera stilata da Washington, un’inchiesta successiva lo ha definito “uomo-ponte” fra l’Italia e le reti terroristiche di al-Qaeda;
infine il caso più recente, quello di Abu Rawaha Al-Itali, il primo
kamikaze italiano fra i foreign fighters in Siria, passato per il Carmine prima di andare a combattere per lo
Stato Islamico.
Ad Eboli invece una zona della Piana del
Sele è stata ribattezzata “Selestan” per
l’elevata presenza di immigrati islamici. Qui la presenza di elementi legati al
jihadismo è ridotta ad un caso relativo a
due algerini arrestati dalle forze dell’ordine con l’accusa di far parte di al-Jamaa
al-Islamiyya al-Musallaha, un gruppo
fondamentalista nordafricano. La trasformazione del quartiere è però molto simile
a quella avvenuta al Carmine dove le insegne dei negozi sono rigorosamente in
arabo e gli immancabili call center sono
ad ogni angolo. A marzo 2016 si è verificato anche un triste incidente: al grido di
“maledetti cristiani” un uomo si è messo a fracassare le statue della Madonna
di Lourdes scatenando l’ira dei residenti
cristiani. Solo l’intervento congiunto di
imam e preti ha scongiurato il peggio.
Questi casi non servono ad indicarci l’Islam come portatore di un virus incompatibile con il nostro modo di vivere ma
devono farci tenere a mente l’idea che lo Stato ha il dovere di
vigilare nei quartieri più a rischio perché sono proprio quelli i luoghi dove il fondamentalismo islamico procede al reclutamento.
Fra i disperati e gli emarginati, fra chi non trova le sue opportunità di vita e lavoro e chi sceglie autonomamente di rinchiudersi
in una enclave religiosa come al Carmine o nel Selestan.
MARIO DEL MONTE
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Quelle piccole
Molenbeek italiane
5
ISRAELE
Un assedio perenne
Fin dalla sua nascita Israele è stata accerchiata da eserciti nemici,
isolata diplomaticamente, minacciata dal terrorismo arabo, demonizzata dalla stampa
internazionale. In un libro il racconto degli ultimi quindici anni
N
on si capisce nulla della cronaca
tumultuosa delle vicende internazionali che riguardano lo Stato
di Israele se non si parte da un
dato di fatto: Israele è sotto assedio. Lo è
da sempre, da prima che fosse fondato. Da
un lato il mondo islamico e in particolare
quello arabo non vuole (anzi religiosamente
non può) accettare che vi sia uno stato dei
miscredenti in terra già conquistata dall’Islam, che dei non musulmani governino su
minoranze musulmane, anche se lo fanno in
maniera democratica. Dall’altro l’Europa e
in genere l’Occidente si sono pentiti di aver
concesso (con la dichiarazione Balfour, col
mandato britannico, con i voti della Società
delle Nazioni nel 1922 e dell’Onu nel 1947)
che si costituisse uno stato ebraico. Lo considerano oggi un errore strategico, anche se
per lo più non osano parlarne esplicitamente in questi termini, e vorrebbero tornare
indietro o almeno depotenziare Israele. Se
almeno gli israeliani non avessero avuto
successo nella loro economia, nella cultura, nella scienza, se non fossero riusciti a
difendersi da soli dalle minacce arabe...
forse allora Israele sarebbe stato tollerabile
come protettorato oggetto di compassione,
o piuttosto come nuovo ghetto. Ma lo Stato
di Israele è il più grande successo politico
del XX secolo e allora bisogna fermarlo,
umiliarlo, ridimensionarlo.
L’assedio è stato prima di tutto militare, con
le guerre tradizionali fra il ‘48 e il ‘73, con
il terrorismo dei dirottamenti fra il ‘68 e la
ASSOCIAZIONE
D.A.N.I.E.L.A
DI CASTRO
AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA
L’“Associazione Daniela Di Castro
Amici del Museo Ebraico di Roma”
è nata per aiutare il Museo Ebraico
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
di Roma nella tutela, conservazione,
6
promozione, diffusione e sviluppo
della ricchezza del suo patrimonio.
PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI:
www.associazionedanieladicastro.org
[email protected]
Tel. 334 8265285
metà degli anni Settanta, poi con
le sollevazioni degli anni Ottanta, con il terrorismo suicida del
2000-2003, i missili da Gaza e dal
Nord, i tunnel e i rapimenti. Poi
è stato diplomatico, con infinite
deliberazioni anti israeliane delle
agenzie internazionali e giuridiche, con i rapporti Goldstone e le
denunce in ogni sorta di tribunali
e mediatico con la diffamazione generalizzata da parte della
stampa di tutto il mondo.
Tutte questa minacce sono state respinte a
caro prezzo. Oggi resta una miscela di tutte
queste cose: accoltellamenti e conferenze
internazionali e odio mediatico e minacce
giuridiche e accordi diplomatici. E’ l’ ”assedio postmoderno”. Anche contro queste minacce Israele si difende bene dappertutto,
salvo forse nel campo immateriale ma decisivo dell’opinione pubblica internazionale.
Se fino a un certo punto la politica e i media
occidentali vedevano Israele per quel che
è, un miracolo di democrazia e di progresso isolato nel sanguinoso caos mediorientale, oggi questo fatto è progressivamente
oscurato dall’ideologia antioccidentale e
terzomondista che ha sempre più peso nei
media e nella politica europea e nordamericana. A peggiorare le cose vi è il ritorno di
una mentalità antisemita, in parte alimentata dall’immigrazione islamica, in parte dal
riemergere di vecchie pulsioni d’odio, oggi
presenti ancor più nella sinistra politica che
nella destra.
Di qui l’importanza della controinformazione su Israele: per smascherare le menzogne, fare memoria sulle aggressioni che lo
stato ebraico subisce, chiarire le sue politiche e le sue leggi democratiche ma spesso
grottescamente diffamate, far conoscere
i successi e i meriti di Israele. Dato che i
media, a parte alcune significative ma rare
eccezioni di giornalisti preparati ed onesti,
non fanno questo lavoro e che non possono svolgerlo compiutamente i giornali che
si rivolgono in primo luogo alle
comunità ebraiche, sono importantissime quelle iniziative che
si rivolgono alla popolazione
generale e innanzitutto a chi a
sua volta ha responsabilità di
comunicazione, per informarli e
denunciare gli errori e le diffamazioni.
In Italia il primo è più importante
di questi giornali, “Informazione
Corretta” (www.informazionecorretta.it), fondato e diretto da
Angelo Pezzana, ha compiuto in questo
periodo i suoi quindici anni di attività. Per
festeggiare l’anniversario “Informazione
corretta” ha pubblicato un libro intitolato
“Israele - Diario da un assedio” (Proedi
Editore, pag 622, €18). Essendone l’autore,
non è certamente mio compito giudicarlo.
Si tratta di una scelta di scritti degli ultimi
otto anni, che fanno la cronaca degli eventi tumultuosi che si sono svolti in questo
periodo intorno a Israele, secondo le linee
che vi ho esposto qui sopra. Voglio solo
dire che è importante prendere la parola,
cercare di spiegare, discutere, polemizzare
intorno alle posizioni politiche che si manifestano in Europa su Israele. Perché lo
stato ebraico certamente è in grado di difendersi e progredire da solo come ha fatto da quasi settant’anni, secondo la logica
della sua crescita organica. Nessuno per
esempio gli ha imposto la svolta verso la
liberalizzazione dell’economia e lo sviluppo dell’alta tecnologia come ha fatto negli
ultimi decenni. Ma che l’assedio di Israele
si saldi anche in Europa, che il tentativo di
soffocare lo stato ebraico prenda slancio o
trovi ostacoli nell’opinione pubblica dipende anche da noi, dalla nostra capacità di
parlare, di prendere posizione, di non aver
paura a difendere la sola democrazia del
Medio Oriente e anche lo stato del popolo
ebraico, libero di nuovo dopo venti secoli
di esilio.
UGO VOLLI
Da terroristi a combattenti
per la libertà. L’evoluzione
della retorica palestinese
È stato dichiarato che è lecito uccidere
i soldati israeliani
di terrorismo” (solo nella democratica Israele può succedere che
un partito con quel nome elegga un rappresentante che sostiene
posizioni simili!).
Se i soldati sono il simbolo dell’occupazione, allora è giusto ucciderli. Viene cancellata tutta la storia, almeno dal 1948 a oggi, di
tutte le guerre che Israele ha dovuto combattere per difendersi,
ha diritto di esistere soltanto la vulgata palestinista, nella quale il terrorista diventa, appunto, un ‘combattente per la libertà’, non più un
assassino.
Dietro la parola magica ‘occupazione’ sappiamo invece che c’è l’obiettivo di distruggere lo Stato ebraico,
non di crearne uno arabo, l’ennesimo, ma di negare agli ebrei il diritto
a vivere nel loro proprio stato, per
sostituirlo con un Califfato, perché
questo è quanto ci insegnano le
guerre civili che stanno distruggendo stati e popolazioni in Medio
Oriente. La cecità, per non dire di
peggio, dei commenti sui media occidentali, e le posizioni di governi e istituzioni internazionali, è impressionante.
Invece di sottolineare l’esempio di Israele, che continua a mantenere forte il proprio sistema democratico pur vivendo da sempre
sotto attacco, con un parlamento dove si possono esprimere tutte
le opinioni, anche le più aberranti, come quelle di Zouheir Bahloul,
si continua con insistenza a presentare la soluzione dei due stati
per due popoli, quando è ormai chiaro a chiunque abbia una anche minima conoscenza della storia mediorientale, che l’obiettivo
palestinista non è uno stato accanto a Israele, ma l’appropriazione
di quello degli ebrei. Quando ci sarà un premier occidentale a riconoscerlo apertamente? Ci vuole poi tanto coraggio a dire chiaro
e forte ‘il Re è nudo’?
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GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
L’
estrema, totale pratica delle libertà democratiche rendono in Israele estremo e totale anche il dibattito politico su temi e discussioni che, in altri paesi, verrebbero catalogati senza ulteriori approfondimenti. Come
avvenne in Italia durante gli anni del terrorismo, quando quelle
componenti auto-definitesi ‘rivoluzionarie’ avevano cercato di presentarsi quali ‘resistenti’, ‘combattenti per la libertà’, nel tentativo di
convincere l’opinione pubblica della giustezza dei loro crimini contro
cittadini indifesi, in nome di una
nuova guerra partigiana.
Qualcosa di simile sta accadendo
in Israele, dove il terrorismo palestinese non veste più soltanto i
panni dell’attentatore di strada o
di chi si suicida per provocare una
strage per ubbidire a un fanatismo
religioso che esalta la morte invece della vita. Ci sono questi, ma la
categoria dei ‘terroristi presentabili’ si è arricchita di nuovi rappresentanti per dare un nuovo significato alle parole. Perché definire
terroristi, quando chi si macchia di crimini orrendi lo fa in nome
della libertà di un popolo?
La storia è piena di esempi nei quali l’attentato, persino la strage, era motivato da profondi ideali di giustizia. Perché, allora, non
smetterla di chiamare terroristi quegli uomini, donne, bambini che
uccidono, si fanno esplodere, sentendosi dei ‘combattenti per la
libertà’? Del loro popolo, dicono, ottenendo risultati da non sottovalutare, essendo la storia del Medio Oriente – e di Israele in
particolare – sottomessa alla narrativa di parte arabo-palestinese,
con l’esclusione – sempre e comunque - delle ragioni di Israele. Un
esempio recente è quello di Zouheir Bahloul, un deputato del partito ‘Unione Sionista’, il quale ha dichiarato che “attaccare i soldati
con la volontà di ucciderli, non deve essere considerato un atto
7
ISRAELE
Politica, economica, cultura:
i tre campi in cui si gioca
l’amicizia tra Italia e Israele
A poche settimane dalla fine del suo
mandato diplomatico, l’ambasciatore
israeliano Naor Gilon concede
in esclusiva un’intervista a Shalom:
“lascio un pezzo del mio cuore”
L’ambasciatore dello Stato di Israele, Naor Gilon,
sta terminando il suo mandato in Italia e ha concesso
un’intervista esclusiva al nostro giornale. In questi anni,
sulla scia dei suoi predecessori, ha lasciato un’impronta
significativa nei rapporti tra i due Paesi. E non solo con
le istituzioni italiane. Ha promosso relazioni a largo raggio,
grazie a un’attività costante di partecipazione a eventi e
iniziative, contribuendo a rafforzare nella popolazione la
simpatia nei confronti di Israele - malgrado un antisemitismo
diffuso nel resto di Europa in cui crescono a dismisura
i movimenti estremisti e razzisti - e riuscendo a far conoscere
la vitalità dello Stato ebraico in molti settori, spesso poco
comunicata sui media. Ha mostrato un Paese che cambia in
modo veloce e che offre opportunità e innovazione anche al
mondo imprenditoriale italiano, che guarda con attenzione alle
sfide che attendono le nuove generazioni. Abbiamo incontrato
l’ambasciatore Gilon presso la sede diplomatica e ha risposto
alle nostre domande in un ottimo italiano, rivelando
ancora una volta il profondo amore che nutre per il Paese
che lo ha ospitato questi ultimi quattro anni.
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Q
8
ual è lo stato dei rapporti tra Italia e Israele?
Sono ottimi, in tutti i campi: dallo scambio commerciale, alla ricerca e sviluppo, all’università. La bilancia
commerciale va bene, considerando la congiuntura internazionale. Si aggira sui 4 miliardi di scambio, però il rapporto
è misurato tre a uno: l’Italia esporta tre e Israele esporta uno. Qui
si compra di meno, perché c’è crisi. E anche per il turismo vale la
stessa proporzione: su tre turisti israeliani che vengono qui c’è
ne è un italiano che va in Israele. Come partner commerciale con
Israele, l’Italia è il secondo o terzo in Europa, e tra i primi dieci dei
Paesi del mondo.
Nei confronti del governo di Gerusalemme, l’Italia sembra un’isola felice rispetto agli altri Paesi europei, o no?
In generale sì. Sebbene ci siano anche elementi meno filoisraeliani. Credo che rispetto ad altri Paesi la stampa italiana sia più
obiettiva, parlo della stampa scritta. Per quanto riguarda la televisione, ci dobbiamo aspettare di più dalla Rai. Lì vivono delle
realtà che sono ancorate al passato, quando, negli anni Settanta,
l’approccio nei confronti di Israele era negativo. Va detto che il
vero cambiamento l’ha compiuto Berlusconi e grazie a lui c’è stata
una svolta nell’opinione pubblica italiana. Grazie anche a Renzi
che è il leader del centrosinistra la posizione è cambiata anche in
questo schieramento. Non voglio dimenticare anche l’azione di
obiettività di Napolitano e Prodi.
C’è stata continuità o ha avvertito delle differenze nei rapporti
del governo Netanyahu, tra Monti, Letta e Renzi?
Posso dire che con tutti e tre sono stati e sono rapporti molto
buoni. Voglio dire che i primi due, Monti e Letta, per le loro prime
uscite fuori dall’Europa, hanno scelto di andare in Israele, e questo è significativo. Certo, tra Renzi e Netanyahu c’è un rapporto
personale di amicizia. Anche perché Renzi ha proprio a cuore il
legame verso Israele. E si vede che a ogni livello della compagine
governativa italiana si è stabilito un ottimo rapporto con gli omologhi israeliani. Tra poco ci sarà un’altra visita del ministro dell’Istruzione, Giannini che segue l’attività di circa millecinquecento
ricercatori italiani in Israele che cooperano in diversi campi. Oltre
agli ottimi rapporti istituzionali, c’è molta attività congiunta nei
diversi settori tra i due Paesi.
Recentemente Israele ha aperto un ufficio nel quartiere generale della Nato a Bruxelles. Perché?
Si, è stato fatto ora perché avevamo avuto dei problemi con la Turchia per l’apertura e avevamo bisogno di un consenso europeo,
che ora c’è stato.
L’immagine di Israele è uscita molto bene sui media con l’esposizione del padiglione all’Expo: un impegno che è stato ripagato?
È andata benissimo. Al di là di ogni previsione. Il padiglione israeliano è stato il quarto o quinto più visto dell’intera esposizione dai
visitatori. Addirittura più di quello dell’Italia. Ma questo è facile
da spiegare: perché il tour nel nostro padiglione durava diciotto minuti. Per vedere quello italiano ci si impiegava ore soltanto
per la fila. Abbiamo dato un messaggio fondamentale attraverso
l’esposizione: siamo il numero uno al mondo nella tecnologia applicata all’acqua. È stata un’ottima opportunità per comunicare il
nostro know-how.
Nei mesi scorsi c’è stato un incontro importante del governo
israeliano con i vertici dell’Eni per lo sfruttamento energetico,
ci può spiegare di che cosa si tratta?
Israele, come sa, negli ultimi anni ha scoperto nelle proprie acque
territoriali importanti riserve di gas. Più di quello che serve al
nostro Paese, e abbiamo necessità di esportarlo. Anche l’Eni nella
zona mediterranea ha trovato altro gas. La loro idea è quella di
convertire in liquido e dall’Egitto condurlo in Europa attraverso
dei tubi. Noi abbiamo già accordi con l’Egitto. E questa potrebbe
essere una buona idea. Dato che tutto il processo non è terminato è ancora prematuro però firmare accordi. Voglio aggiungere
che circa tre anni fa abbiamo firmato un accordo con Finmeccanica, con la controllata Alenia Aermacchi, per la fornitura di 30
addestratori M-346, per circa tre miliardi di dollari. Tra qualche
settimana ci sarà un evento per celebrare la consegna degli ultimi
caccia.
Sul piano degli scambi culturali c’è una forte presenza israeliana in Italia, è soddisfatto?
Molto. A Venezia ogni anno siamo presenti alla Biennale da più
di sessant’anni: un anno ci dedichiamo all’archeologia e un altro
anno all’arte. Poi abbiamo la Triennale a Milano con cui partecipiamo con il design. Poi durante l’anno siamo sempre presenti
nelle varie manifestazioni internazionali con il jazz, la danza, il
cinema, le mostre al Vittoriano. Siamo quasi tutte le settimane impegnati in eventi a cui partecipano artisti ed esponenti del
mondo culturale israeliano. Facciamo tanto. La promozione culturale è fondamentale per la conoscenza reciproca dei due Paesi. Abbiamo appositamente creato nel 2012 una Fondazione che
merciale qui in Italia è di poca valenza. È stata importante la dichiarazione del premier Renzi che ha ribadito che il boicottaggio
nei confronti di Israele rappresenta boicottare se stessi, e la posizione del Ministro Giannini con la lettera dei trecento professori
contro il boicottaggio. Noi in ambito universitario facciamo tanto.
Tra poco accompagneremo il terzo gruppo di rettori accademici
italiani per fare conoscere il Paese, per siglare accordi con le Università israeliane. Appena noi comunichiamo agli enti locali che è
in procinto l’organizzazione di un evento anti israeliano i sindaci
ci rispondono che non lo patrocineranno. Gli italiani sono contro
il boicottaggio. Fanno rumore questi Bds, ma va ricordato che il
loro fine non è cercare la pace ma fare un’azione ostile ad Israele.
A novembre prossimo e poi a gennaio con l’insediamento, alla
Casa Bianca siederà un altro Presidente. Cambierà qualcosa in
Medio Oriente?
È prematuro dire qualcosa ora.
Io, in passato in missione diplomatica sono stato negli Usa e
devo dire che i rapporti tra i due
Paesi sono molto forti. Rimane
il migliore alleato di Israele. È
vero che nei rapporti personali
il rapporto che Netanyahu ha
con Renzi non lo ha con Obama.
Vero però che tutto l’apparato
istituzionale americano è vicino
allo Stato ebraico. Io sono ottimista che continueremo le ottime relazioni perché le basi sono
solide.
Signor Ambasciatore, lei per
missione diplomatica è stato
in molte parti del mondo. Qual è la peculiarità della Comunità
ebraica nei confronti di Israele?
La comunità romana è molto sionista e molto vicina a Israele. Qui
c’è una comunità piccola ma si vede che sono parte integrante
del Paese. Quando domando a un non ebreo quanti siano gli ebrei
qui, mi rispondono: un milione. Va detto che è una comunità sempre attiva. Anche in Italia non manca l’antisemitismo perché c’è
quello nascosto, visto che quello pubblico non sarebbe politically
correct. E così trasferiscono questo odio verso Israele.
Quali ricordi porterà con sé di questa esperienza italiana?
È un’esperienza unica vivere in questo meraviglioso Paese con una
comunità ebraica forte. Grazie anche a tanti amici che promuovono
l’amicizia tra Italia e Israele. La mia intenzione è continuare a lavorare tra i due Paesi perché lascio qui una parte del mio cuore.
A CURA DI JONATAN DELLA ROCCA
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
prevede il lavoro congiunto delle due Ambasciate per organizzare eventi di rilevanza che hanno molto successo.
Dopo la visita dell’on. Salvini, ci dovrebbe essere la visita
dell’on. Di Maio nelle prossime settimane in Israele. Che rapporti ci sono con il Movimento Cinque Stelle?
La visita di Salvini è andata bene. Noi siamo aperti e disponibili
a parlare con tutti. Basta che non siano fascisti, antisemiti, che
non siano negazionisti e che non paragonino la Shoah alla politica
contemporanea. In questa direzione siamo pronti ad ospitare Di
Maio perché lui risponde bene a tutti i requisiti. Il dialogo è importante con tutti. Questo è l’approccio di Israele da sempre, di
parlare, anche con i paesi arabi, a volte anche in modo indiretto.
Parlare significa anche prevenire incidenti.
Visti i rapporti ravvicinati dell’Italia con il mondo arabo, cosa
può fare l’Italia per favorire il riconoscimento di Israele da parte dei Paesi che ne minacciano
la distruzione come l’Iran?
L’atteggiamento iraniano non è
cambiato, basta sentire Khamenei con le sue minacce e vedere i
missili prova, che portano incisa
la scritta di distruggere Israele.
È meno pubblicizzato questo
ruolo sui media perché siamo
sulla scia dell’accordo.
Noi vediamo il dossier Iran
in modo diverso dall’Italia e
dall’Occidente. L’Iran, secondo
noi, ha un ruolo fortemente destabilizzante del Medio Oriente, invece di esserne un attore
che partecipi alla distensione.
La sua azione, in Libano, Siria, con Hamas, è sotto gli occhi di
tutti. L’Italia pensa che l’Iran possa dare un contributo positivo.
Noi possiamo dire al governo italiano di stare molto attenti e di
mettere in agenda con gli interlocutori di Teheran nei colloqui
diversi temi importanti: Israele, i diritti umani, delle minoranze,
dei gay, del negazionismo della Shoah. Insomma ci deve essere
da parte dei Paesi occidentali quello che noi chiamiamo “un dialogo critico”.
In Europa vi sono numerose azioni di boicottaggio nei confronti
di Israele, sia quello commerciale che quello scientifico e universitario: in Italia com’è la situazione?
Non è molto forte in Italia, ma esiste. È però un atteggiamento
importato dall’estero, dove l’attività anti-israeliana è molto forte.
Ci sono pochi italiani coinvolti; quelli che partecipano provengono dall’estremismo politico e dal mondo musulmano. Quello com-
Contatti: Yael Ilmer Giron 349 251 6993 I [email protected] I www.masaitalia.org
Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod
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STATI UNITI
Un super ricco in aiuto
di un super ricco
Sheldon Adelson, uno degli ebrei più ricchi del
pianeta, ha annunciato il sostegno economico
alla campagna elettorale di Donald Trump
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
N
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EW YORK – L’annuncio ha messo a soqquadro il mondo ebraico Usa. L’82enne Sheldon Adelson - il più importante e controverso sponsor del partito Repubblicano dopo i fratelli Koch - ha annunciato che verserà
100 milioni di dollari nelle casse (secondo i media Usa ormai prosciugate o forse a secco da anni) del front-runner repubblicano
Donald Trump.
Adelson, uno degli ebrei più ricchi del pianeta (nel 2008 era il terzo uomo più ricco degli USA dopo Bill Gates e Warren Buffett, e
dodicesimo uomo più ricco del mondo secondo la rivista Forbes)
è proprietario di un impero dei casinò che include il Las Vegas
Sands Corp., the Marina Bay Sands a Singapore e il Venetian di
Macao. Tra le sue tante proprietà annovera anche Israel Hayom,
il quotidiano più letto d’Israele e il Las Vegas Review-Journal,
acquistato di recente per influenzare le sorti legali e finanziare
delle sue case da gioco, finite più volte nel mirino di giudici e
tribunali (da allora si è assistito all’autolicenziamento in massa
della redazione).
“Perché no?”, ha risposto Adelson durante una festa di gala a chi
gli chiedeva perché mai avesse deciso di dare il suo endorsement
al candidato aborrito dall’establishment ebraico Usa. “Mi viene
in mente la celebre barzelletta
ebraica”, ha proseguito tra le risate generali, “Un ebreo chiede
ad un altro ebreo se sa perché
gli ebrei rispondono ad una domanda sempre con un’altra domanda. ‘Perché non dovrebbero
farlo?’, gli risponde quello”.
Ma fuori dalla ristretta cerchia
dell’ebraismo di destra, il mondo
ebraico americano non ha trovato niente da ridere nella battuta
del self-made man nato a Boston
in una poverissima famiglia di
origine ucraina e lituana che in
passato si è divertito a scioccare
l’America proponendo di bombardare l’Iran con l’atomica e di buttare alle ortiche i diritti dei
palestinesi. In un editoriale firmato dalla direttrice Jane Eisner
il più antico e autorevole giornale ebraico americano, il Jewish
Forward, si scaglia contro l’ ‘amorale’ Adelson, definendo Trump
‘un’anomalia assoluta’. “Le sue idee non sono solo anti-ortodosse”, teorizza la Eisner, “ma violano anche i valori americani ed
ebraici più antichi e radicati. Il suo linguaggio è volgare, istigatore, intollerante, razzista e offensivo”.
Al palazzinaro newyorchese il Forward non perdona di “essersi ripetutamente rifiutato di prendere le distanze dal crescente,
odioso e pericolosissimo antisemitismo dei suoi fans”, da lui stesso incoraggiato. “Ciò dovrebbe bastare a delegittimarlo agli occhi
del mainstream ebraico”, teorizza. Ma non a quelli di Adelson. In
un op-ed pubblicato sul Washington Post, il magnate chiama a raccolta gli sponsor repubblicani, invitandoli a “far quadrato attorno
a Trump”. Le sue motivazioni, si scopre, non sono proprio disinteressate. “In quanto a loschi affari, i due sono praticamente gemelli”, ironizza Newsweek, che paragona le tante magagne legali di
Trump (ultimo lo scandalo della fantomatica Trump University che
avrebbe defraudato legioni di studenti) ai processi per corruzione
e frode intentati contro Adelson in vari continenti.
La speranza di Adelson (che si autodefinisce ‘l’anti-George Soros’ e ha speso 90 milioni di dollari per bloccare la rielezione di
Obama) è spedire alla Casa Bianca un “amico”.
Una sorta di scudiero che si sentirebbe in obbligo di ripagargli il
salatissimo favore. Ironicamente proprio quest’aspetto mercenario della politica americana è stato il grande cavallo di battaglia
di Trump, che ha sconfitto i rivali presentandosi come l’unico
“in grado di sponsorizzare la propria campagna presidenziale
e quindi libero da ricatti”. “I contributi elettorali delle élite finanziarie che hanno in pugno l’America corrompono i politici”,
ha insistito per mesi Trump, assicurando il Paese che “nessuno
potrà influenzarmi o dirmi cosa fare perché non accetto soldi da
nessuno”,
Bussando alla porta di Adelson, Trump ha pubblicamente ammesso di aver finito i fondi e di essere pronto, qualora eletto presidente, a servire in tutto e per tutto il suo ‘benefattore’. Che
cosa gli ha chiesto in cambio Adelson? “Gli ho assicurato che
Israele non avrà amico migliore di me”, replica Trump che alcuni
mesi fa è stato fischiato ad un incontro con la Republican Jewish Coalition di Washington, quando si rifiutò di schierarsi per
Gerusalemme capitale indivisibile di Israele, mettendo in forse
persino i futuri aiuti economici
Usa allo Stato ebraico. Settimane
prima aveva scatenato un putiferio affermando che davanti
al conflitto Israelo-palestinese
“sarò un presidente neutrale”,
perché comunque un accordo
di pace “dipende da Israele e se
vorrà trovarlo”. Per reintrodurlo all’amico Netanyahu (che lo
scorso dicembre aveva disinvitato Trump dopo le sue incendiarie
dichiarazioni anti-musulmani),
Adelson ha annunciato che sta
organizzando un incontro ufficiale tra i due a Gerusalemme.
La travagliata biografia di Adelson (il cui figlio Mitchell è morto di overdose di eroina a soli 44
anni, dopo aver fatto causa al padre e l’altro figlio, Gary, combatte da anni contro la tossicodipendenza) ha fatto sì che ben pochi
sponsor repubblicani abbiano risposto al suo appello. Da quando
Trump è emerso come il candidato ufficiale del GOP, le grandi
corporation, tra cui Apple, Google e Wal-Mart stanno rivedendo i
loro piani di partecipare alla Convention Repubblicana di luglio.
Altre, come Coca-Cola, hanno decurtato la loro presenza, spinte
dalla petizione popolare che invita a boicottare l’evento di Cleveland “perché esserci equivale ad appoggiare la sua retorica
razzista”.
Contro Trump si sono mobilitati molti autorevoli ebrei repubblicani. Dal magnate Paul Singer ai giornalisti Jonathan Tobin e
Jennifer Rubin all’influente Anti-Defamation League che ha pubblicato ben cinque comunicati stampa anti-Trump negli ultimi sei
mesi. “La nostra tesi è che certe idee non possono esistere nel
mainstream”, spiega al Forward Jonathan Greenblatt, il nuovo
capo dell’ADL, “il nostro compito è fare tutto il possibile perché
la gente lo capisca”.
ALESSANDRA FARKAS
@afarkasny
Bernie Sanders e i concetti
di unione e fratellanza
nostro egoismo con l’unione e la fratellanza. Venendo quindi a mancare l’elemento che sin dalla nostra nascita ci aveva tenuti insieme
come una nazione, non siamo riusciti a restare insieme e ci siamo
dispersi in esilio. E tuttavia, in ognuno di noi c’è un ricordo impercettibile. Potremmo non essere in grado di definirlo, ma esso ci dice
che al centro stesso siamo tutti uniti, e dobbiamo proiettare questa
unione al mondo.
Anche Bernie Sanders lo sente. Egli è ben consapevole non solo del
fatto che l’unione sia fondamentale, ma anche che tutti dobbiamo
realizzarla. In un consiglio cittadino (town hall) delle Presidenziali
Democratiche trasmesso dalla CNN, tenutosi nel South Carolina,
Sanders ha affermato: “Ogni grande religione nel mondo ... proviene essenzialmente da ‘Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse
fatto a te’. Quello che io ho creduto, e l’ho creduto per tutta la mia
vita ... è che siamo in questo insieme. Queste non sono solo parole.
La verità è che a un certo livello, quando tu fai del male, quando i
vostri figli fanno del male, fate male a me, mi fate male! E quando
i miei figli fanno del male, vi fanno del male. Credo che la natura
umana riguardi il fatto che tutti in questa stanza abbiano un impatto su tutti gli altri in modi che non possiamo nemmeno capire, ed
è un concetto al di là dell’intelletto. È una cosa spirituale, emotiva.
Quindi credo che ... se dicessimo che quel bambino che ha fame è
mio figlio, penso saremmo più umani rispetto a quando si dice ‘Io
sono il mondo intero, ho bisogno sempre di più, non mi importa di
nessuno’. Questa è la mia religione; io credo in questo e penso che
la maggior parte delle persone ... condivida questa convinzione, che
siamo in questo insieme come esseri umani. ... Perciò dobbiamo lavorare insieme, ed è di questo che tratta la mia spiritualità”.
In Sanders il “ricordo” dell’importanza dell’unione è chiaramente
molto attivo. Ma come si spiega la sua alienazione da Israele? La
risposta è semplice: semplicemente non vede che Israele sta diffondendo lo spirito dell’unione e della fratellanza, così ci si sente
alienato. Egli può esprimerlo contestando la politica o le azioni di
Israele, ma al di sotto di questo si trova l’aspettativa non detta che
lo Stato di Israele diventi “Una luce per le nazioni”, per diffondere
l’unione e la fratellanza. Dire che “quel bambino che ha fame è il
mio bambino” ci fa più umani di quando diciamo “Non mi interessa
nessun altro”, è la cosa più vicina per arrivare a dire “Dobbiamo
coprire il nostro egoismo con l’unione e la fratellanza e diventare
‘Come un solo uomo con un solo cuore’”.
Essere contro Israele non aiuterà la causa di Sanders. Non porterà
l’unione o la fratellanza, e non renderà il mondo un posto migliore.
Tuttavia, dovremmo usarlo come un promemoria di ciò che gli ebrei
devono fare in questo mondo, ossia, portare l’unione e la fratellanza
a tutta l’umanità.
Non saremo in grado di fare questo finché non copriremo i nostri
crimini con l’amore, e mostreremo al mondo un esempio di come
questo possa essere fatto. Come ha detto Sanders “Tutti hanno un
impatto su tutti gli altri in modi che non possiamo nemmeno capire,
ed è un concetto al di là dell’intelletto”. E quando influenziamo gli
altri con la gentilezza, siamo davvero più umani rispetto a quando
portiamo odio, che purtroppo è ciò che Sanders sta facendo in questo momento nei confronti di Israele.
Se vogliamo porre fine al conflitto in Medio Oriente, noi, gli ebrei,
dobbiamo prima mettere fine ai nostri conflitti interni e unirci al di
sopra di essi. La nostra riaccesa unione si diffonderà come onde in
uno stagno, quando noi dimostreremo come possiamo veramente
“Fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.
MICHAEL LAITMAN
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
B
ernie Sanders, candidato democratico alle presidenziali
americane, ha affermato in un’intervista al Daily News che
nel recente conflitto con i palestinesi a Gaza (Margine di
protezione), nell’estate del 2014, Israele abbia ucciso “più
di 10.000 persone innocenti”. Il fatto è che persino il conteggio delle
vittime fatto dagli stessi palestinesi non supera i 2.300, e questo
include attivisti di Hamas, ovvero, terroristi.
Tuttavia, le opinioni di Sanders, ai limiti dell’antisemitismo, non
sono una novità. Con sostenitori come Noam Chomsky, devoto
attivista anti-Israele, e sostenitori antisemiti come il ministro Jesse Jackson quando era un candidato per la nomina presidenziale
democratica, le sue opinioni riguardo l’ultimo conflitto a Gaza non
sono una sorpresa per nessuno.
Anche così c’è da chiedersi come Sanders sia giunto alla conclusione che: a) 10.000 palestinesi siano stati uccisi durante il conflitto,
e b) che questi palestinesi fossero delle “persone innocenti”. Da
un lato egli afferma che “gli attacchi di Israele contro Gaza siano
stati indiscriminati e che siano state uccise molte persone che non
avrebbero dovuto esserlo”, dall’altro egli afferma che “abbiamo una
situazione in cui Hamas sta lanciando missili su Israele, che è un
fatto, e sappiamo da dove provengono alcuni di questi missili. Arrivano da aree popolate; questo è un dato di fatto”. Così egli è consapevole che Hamas spari dall’interno di aree popolate, ma sceglie di
incolpare Israele perché colpisce in queste aree.
Può sembrare complicato, e in effetti lo è. Il rapporto di amore-odio
verso Israele è qualcosa che ogni ebreo sente, e deriva dalla radice
stessa della nostra nazione.
Come ho scritto nel mio articolo “Perché la gente odia gli ebrei”,
dalla nascita del nostro popolo, siamo stati diversi da tutte le altre
nazioni. La nostra popolazione non si è formata attraverso vincoli di
parentela biologica o vicinanza geografica, ma aderendo ad un’idea.
Alla base del nostro popolo vi sono due elementi: l’unione e la fratellanza. Siamo diventati una nazione ai piedi del Monte Sinai nel momento in cui abbiamo preso l’impegno di unirci “Come un solo uomo
con un solo cuore”, e siamo rimasti una nazione fino a quando siamo
stati in grado di coprire i nostri conflitti con un manto di unione.
A dire il vero, la natura degli ebrei è egoista come quella di tutti
gli altri. Siamo arrivati da ambienti diversi e da nazioni diverse, e
ci siamo uniti sotto la guida di Abramo. Osservando il modo in cui
siamo riusciti a fondare il nostro popolo nonostante le nostre origini
diverse, ci si rende conto che il popolo ebraico è stato guidato da
un principio chiave: “L’odio provoca liti, ma l’amore copre tutte le
colpe” (Proverbi, 10:12). In altre parole, gli antichi ebrei non erano
meglio dei loro vicini di casa, ma avevano trovato un modo per coprire i loro ego con l’amore.
Questo è il motivo per il quale siamo diventati una nazione solo nel
momento in cui abbiamo accettato di essere “Come un solo uomo
con un solo cuore”. E quando ci siamo riusciti, ci è stato affidato un
compito: essere “Una luce per le nazioni” al fine di mostrare che
chiunque può unirsi al di sopra dell’ego.
L’unione al di sopra delle differenze non è solo uno slogan ma è
l’essenza della nostra esistenza. Nel nostro mondo tutto è fatto
di opposti che cooperano per formare un insieme che funziona in
modo armonico. Proprio come inspirare ed espirare, ogni azione e
ogni cosa è costituita da periodi di lavoro e riposo che si alternano,
e di una dualità che alterna il positivo al negativo. I nostri antenati
avevano trovato la formula della vita, la “Teoria del Tutto”, imparando a completare l’ego con l’unione. Questa è la “luce” che siamo
incaricati di trasmettere al mondo.
Circa 2.000 anni fa, abbiamo perso la nostra capacità di coprire il
La sua spiritualità e religiosità
prescindono però da Israele
11
FOCUS
Via Almirante… dalle strade di Roma
Dedicare una strada a qualcuno significa ricordare ciò che di più grande una persona
ha compiuto in vita, elevandolo ad esempio morale in una memoria condivisa.
Sono state dedicate vie a personaggi imbarazzanti, mentre su Elio Toaff è caduto il silenzio
C’
è chi vanta un premio
Nobel, chi è stato il padre
di scoperte scientifiche,
chi ha conseguito meriti
politici, artistici o sportivi. Chi è caduto
per la patria. I valori a cui ci si richiama
per intitolare una via a qualcuno sono
molteplici, d’altronde la toponomastica
è regolata da leggi antiche che risalgono
al 1927, poi aggiornate da un decreto
presidenziale del 1989 e via via da
circolari ministeriali. Difficile però
considerare meritevoli la firma in calce
al Manifesto per la difesa della Razza
(1938), l’adesione alla Repubblica di Salò
o la carica di segretario di redazione
della rivista “La Difesa della Razza”.
Questi alcuni dei punti salienti della
vita di Giorgio Almirante, storico
segretario del Movimento Sociale
Italiano, cui la candidato sindaco di
Roma Giorgia Meloni vuole dedicare, in
caso di elezione e a perenne memoria,
una strada di Roma. Un’ardita sfida
toponomastica quella della Meloni
che vede nella proposta un giusto
riconoscimento per “un patriota e una
persona che amava gli italiani, che
credeva nella democrazia e nell’onestà
della politica. Esattamente come
la sinistra in questi anni ha potuto
intitolare ai suoi padri fondatori delle
vie o delle piazze nella Capitale,
vogliamo farlo anche con un uomo che
è stato importante nella storia della
destra”.
Certo non è la prima volta che un
nome su una via faccia discutere. A
Roma c’è via Edoardo Zavattari tra i
principali teorici, in Italia, del razzismo
biologico; sempre a Roma, ci sono via
e largo Arturo Donaggio, candidato
premo Nobel ma anche estensore
del Manifesto della Razza, all’epoca
presidente della Società Italiana di
Psichiatria. Nel 1995 l’allora sindaco
di Roma Francesco Rutelli propose
di intitolare una targa al gerarca
fascista Giuseppe Bottai ma a seguito
A volte gli errori si correggono:
storia di una strada napoletana
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
A Napoli una strada era dedicata ad un antisemita,
il presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti.
Dallo scorso anno la via ha cambiato nome in memoria
di Luciana Pacifici, piccola vittima della Shoah
12
L
a legge del contrappasso è un principio che regola la pena
che colpisce i rei mediante il contrario della loro colpa o
per analogia ad essa. In questo caso a subire la proverbiale
legge è stato un giurista fascista e, in particolare, Gaetano
Azzariti, consumato antisemita nonché presidente del Tribunale
della Razza e in seguito Presidente della Corte Costiuzionale
dell’Italia Repubblicana.
La targa di Azzariti, che si affacciava su una delle strade alle spalle
di Piazza Borsa a Napoli, è stata rimossa lo scorso 17 novembre e
al suo posto è stata sistemata, con buona pace dell’Azzariti, quella
di Luciana Pacifici, piccola bambina ebrea napoletana, morta a
otto anni su un vagone che la stava deportando ad Auschwitz.
delle polemiche, soprattutto della
Comunità ebraica, fece poi un passo
indietro.
Certo la Storia metabolizza e la
toponomastica tritura giudizi
storici e anche il buon senso: in
Italia esistono 8 vie Ho Chi Minh,
5 via Lenin, 2 Mao Tse Tung e
persino 2 vie intitolate a Stalin.
Gettonatissimo anche Che Guevara,
icona rivoluzionaria che secondo
Google map viene ricordato in 14
città italiane. In Trentino Alto Adige
hanno dedicato al Che addirittura
una via ferrata per scalare il monte
Casale mentre in 14 città nostrane
si onora con una strada l’Unione
Sovietica. A Torino c’è persino un
vialone che si chiama così, corso
Unione Sovietica. Insensibile
ai massacri delle foibe resiste
sinistramente via Josip Broz Tito a
Reggio Emilia.
L’Italia non è un caso isolato, basti
pensare che in diverse città della
Spagna ci sono ancora piazze o
strade dedicate al Caudillo Francisco
Franco o ai generali Yague e
Varela, che lo accompagnarono nel
sollevamento contro la Repubblica nel
1936. Quella di intitolare una via ad
Almirante non è comunque un’idea nata
con la Meloni: già nel 2012 la proposta
di dedicare una strada della Capitale
allo storico segretario del Movimento
sociale italiano morto nel 1988 fece
discutere gli esponenti della destra
romana che accusarono l’allora sindaco
La storia di Azzariti è una
storia tutta italiana: nel
1938 aderì al Manifesto
della Razza, poi divenne
Presidente del tribunale
della Razza, simbolo del
connubio tra fascismo e
nazismo hitleriano; nel 1943
Azzariti divenne antifascista per poi entrare nel governo Badoglio
come ministro di Grazia e Giustizia con lo specifico incarico di
provvedere all’epurazione dai ministeri degli elementi che si
erano eccessivamente compromessi con il fascismo. Ma il giudice
con il vezzo dell’antisemitismo vinse su tutti e la sua carriera
prese il volo: nel 1955 il presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi, democristiano, lo nominò giudice costituzionale e, nel
1957, l’ormai ex gerarca fascista Azzariti divenne presidente della
Corte Costituzionale, nel ruolo di intransigente sentinella della
democrazia. Una storia di vita e di impegno all’insegna però del
trasformismo che non meritava una via.
NICOLA ZECCHINI
G
Giorgio Almirante
e La Difesa della razza
iorgio Almirante (27 giugno 1914 – 22 maggio 1988)
fu segretario di redazione dal settembre 1938 de «La
Difesa della Razza», la rivista diretta da Telesio Interlandi che uscì col primo numero il 5 agosto del 1938 e
venne stampata, con cadenza quindicinale, fino al 20 giugno del
1943 per rilanciare l’antisemitismo in termini molto più espliciti
ed aggressivi di quanto non fosse mai accaduto in precedenza.
In quest’opera che accompagnò la promulgazione delle leggi
razziali (volute da Mussolini e controfirmate da Vittorio Emanuele III) la rivista si affiancò ad altre testate d’assalto tra cui
«Il Tevere» di Telesio Interlandi, «Il regime fascista» di Roberto
Farinacci e «La vita italiana» di Giovanni Preziosi.
Giorgio Almirante il 5 maggio 1942 (quindi uomo già maturo di
28 anni) così scriveva su «La Difesa della razza»:
«Il razzismo - scriveva il futuro segretario del Msi - ha da essere
cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci
sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro
deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che
io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello
la scomparsa di Toaff - segnano una
grave recrudescenza dell’antisemitismo
che non va sottovalutata. Anche per
questo va ribadito con forza il rifiuto
a ogni discriminazione, sancito dalla
nostra Costituzione. Ribadiamo il
nostro sì alla vita, alla convivenza,
alla sicurezza, alla libertà religiosa per
tutti i cittadini”. E così concluse: “Nel
rispetto delle prerogative del Consiglio
Comunale di Roma e delle normative
esistenti, confido che sarei molto
lieto dell’intitolazione di una via della
Capitale a Elio Toaff, grande italiano”.
Parole per ora rimaste inascoltate
NICOLA ZECCHINI
della carne e dei
muscoli; e dello
spirito, sì, ma in
quanto alberga in
questi determinati
corpi, i quali vivono in questo determinato Paese;
non di uno spirito
vagolante tra le
ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio
e
ingannatore».
«Altrimenti - scriveva ancora Almirante - finiremo per fare il gioco dei meticci
e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi
cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più
facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e
laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di
noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è
che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato
e all’ebraismo: l’attestato del sangue».
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GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Gianni Alemanno di scarso coraggio.
Ad osservare tanta sollecitudine viene
da chiedersi quale esito abbia avuto
l’invito di ricordare con una strada
Elio Toaff, rivolto l’anno scorso dal
Presidente della Repubblica Sergio
Mattarella all’allora sindaco di Roma
Ignazio Marino.
Dedicare una strada a qualcuno
significa ricordare ciò che di più
grande una persona ha compiuto in
vita, conservare e richiamare ciò che
ci ha insegnato elevandolo a esempio
morale e civile, insomma universale.
“I tempi che viviamo – scrisse il
Presidente Mattarella per commemorare
13
ITALIA
Shalom haver. L’addio ad un uomo giusto
Marco Pannella è stato un politico integro e impegnato per i diritti civili di tutti.
Grande amico di Israele, non volle mai incontrare Yasser Arafat
e fu tra i pochi ad essere accolto dopo l’attentato alla Sinagoga
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
U
14
n italiano laico che ha amato Israele ed il suo popolo.
Sempre e a prescindere. Sicuramente passò più tempo
nelle varie visite, ufficiali e non, in sinagoga con la kippah in testa che in qualsiasi altro luogo di culto. Uomo di
sinistra che ha guidato il partito di sinistra che più di ogni altro in
Italia si è sempre battuto per la causa del sionismo.
Era tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta quando in ogni
congresso del partito radicale invitava una delegazione del Movimento Culturale Studenti Ebrei in
segno di solidarietà per la libertà
degli ebrei nell’Unione Sovietica
di allora, quando le frontiere erano chiuse ed il movimento sionista ed in generale l’ebraismo,
fuorilegge.
Ebbi l’onore, in quegli anni, di
guidare con lui varie delegazioni del partito radicale in Israele.
Insieme a Gianfranco Dell’Alba e
Sergio Rovasio, suoi stretti collaboratori, Marco Pannella fu sempre accolto a Gerusalemme come
un grande amico, in quegli anni,
sicuramente uno dei migliori in
Italia. Difficile dimenticare ogni
sua battaglia a fianco dell’ebraismo e di Israele. Impossibile dimenticare le sue proteste contro
le visite di Yasser Arafat a Roma,
unico politico italiano che non lo
volle mai incontrare riconoscendolo come terrorista e responsabile della lotta armata contro la
presenza ebraica in Palestina. Fu
per questo che Marco Pannella,
fu l’unico, o uno dei pochissimi
politici accolto dalla comunità
ebraica di Roma il 9 ottobre del
1982 subito dopo l’attentato alla
sinagoga maggiore in cui perse la
vita il piccolo Stefano Gay Tachè
e rimasero ferite 40 persone.
Lungo è l’elenco delle sue battaglie dentro e fuori il parlamento
che lo videro sempre in prima
persona a fianco della causa
ebraica. Più volte fu il promotore
di manifestazioni pubbliche per
gli ebrei in Iran o in Urss o per
chiedere al ministro degli Esteri
italiano di spostare la sede dell’ambasciata italiana da Tel Aviv a
Gerusalemme riconoscendola come capitale eterna ed indivisibile
di Israele. Bastava proporgli un’iniziativa che subito ci metteva la
faccia e la sua determinazione.
Fu il primo a chiedere di far entrare Israele nell’Unione Europea, fu
l’unico partito al mondo che in piena intifada anni Novanta organizzò il suo congresso a Gerusalemme in segno di solidarietà con
il popolo israeliano. Per tutto questo fu accusato di essere una spia
del Mossad, i servizi segreti israeliani.
Amico personale di rav Elio Toaff fu il promotore di una raccolta di
firme per farlo diventare senatore a vita, e di Bruno Zevi al quale
in seguito offrì la presidenza del partito radicale, Marco Pannella
ha sempre avuto molti amici e molti seguaci all’interno dell’ebraismo italiano. Molti ebrei per tanti
anni lo votarono con entusiasmo
e stima, convinti di dare un voto
ebraico italiano senza compromessi di alcun genere. A seguito
di questa sua politica di certo non
ambigua, molte furono le famiglie
ebraiche benestanti che si distinsero anche per aver partecipato al
finanziamento e al sostentamento
del suo partito. La storia di Marco
Pannella e del suo partito radicale furono un tutt’uno con la storia
ebraica italiana.
Ci fu un solo giorno che Marco
Pannella prese pubblicamente le
distanze dagli ebrei romani, ed
è doveroso ricordarlo anche e soprattutto in segno di rispetto nei
suoi confronti. Quando uscì la
prima sentenza in cui il tribunale militare di Roma diede ragione
ad Erich Priebke autorizzandolo a
tornare libero ma gli ebrei romani
bloccarono l’uscita impedendogli
di scappare. Pannella scrisse sulla
prima pagina del Messaggero che
per la prima volta non poteva stare
con i giovani ebrei romani perché
le sentenze si rispettano sempre
ed a prescindere. Impossibile dargli torto, detto da lui soprattutto,
se lo poteva permettere.
Abruzzese di nascita, 86 anni vissuti sempre con coerenza ed amore per la verità. Non ha mai cercato
consensi ma si è sempre distinto
per le sue battaglie di nicchia e a
favore di ogni minoranza. Fondatore di radio Radicale e Teleroma 56
insieme ad altri imprenditori, ha
sempre dato spazio a trasmissioni
ed opinionisti dalla parte di Israele
e le sue ragioni. Se Italia ed Israele sono oggi così vicine lo si deve
anche e soprattutto al compagno
Marco Pannella che, insieme al compianto Giovanni Spadolini, furono fra quei politici italiani del dopoguerra che seppero tenere
dritta la barra del timone sulla politica estera del nostro Paese. E
gliene saremo sempre tutti molto grati. Un vero Giusto che ha dato
la vita per l’ebraismo ed i suoi valori, i suoi diritti, la sua autodeterminazione. Grazie Marco, shalom haver.
DARIO COEN
Un ricordo corale di Pannella
Organizzato dal Circolo ’48, ha visto
la partecipazione di tanti amici
e ‘colleghi’ del leader radicale
do le significative frasi - ‘ognuno ha il
suo popolo eletto, tu e i tuoi radicali
siete il mio, famiglia e comunità. Grazie
Marco, l’anno prossimo a Gerusalemme’ - scritte su una bandiera di Israele,
lasciategli come pensiero sulla porta al
ritorno da Teramo. Poi ancora Riccardo
Magi, che grazie a lui ha “imparato a
conoscere e comprendere Israele”, che
ha ricordato il suo invito “a ‘essere’ speranza, piuttosto che averla” ed ha riportato un brano di un suo articolo uscito
sul Jerusalem Post - “Essere non-violenti comporta essere sempre all’attacco, contro la violenza e i regimi violenti.
Essere democratici significa comprendere che i nemici di Israele non temono
tanto le sue armi, quanto i suoi ideali e
quelli di democrazia politica e sociale.
Questi ideali sono i nemici più temuti
da tutti gli altri regimi del Medio Oriente, senza eccezione, perché sono i soli
che possono rendere liberi i cittadini,
gli abitanti” - e David Parenzo - che ha
citato Manzoni, con il suo “tutto è puro
per i puri”, per spiegare come “Marco
poteva delle cose che altri politici non
potevano e tranquillamente condurre le
sue battaglie apparentemente impopolari” - senza dimenticare Marco Taradash, Francesco Rutelli, Rita Bernardini,
Laura Harth, ed in collegamento, Yasha
Reibman e Fiamma Nirenstein.
JOELLE SARA HABIB
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
M
olti gli ospiti presenti per
la commemorazione, nel
cortile della scuola ebraica, di Marco Panella, organizzata dal Circolo del ‘48, ripresa integralmente da Radio Radicale e visibile
sul loro sito. Più volte è stato ricordato
il consiglio federale dei radicali dell’88
tenutosi a Gerusalemme, e la battaglia
di Pannella perché Israele entrasse
nell’Unione Europea, ma soprattutto,
ognuno degli oratori ha voluto rievocare quanto Pannella fosse stato per loro
esempio e mentore.
Hanno aperto gli interventi Stefano
Valabrega ed Angelo Sermoneta, organizzatori dell’evento, per poi lasciare la
parola a Riccardo Pacifici, a cui Pannella “che aveva sempre sorriso alla vita”
aveva insegnato “a non avere paura e
a non temere le istituzioni”, mentre, a
Roberto Giacchetti, “ad amare la politica ed avere la forza di mettere sempre in discussione le proprie certezze”.
Passando per Athos De Luca, che ha
enfatizzato il suo “coraggio di andare
contro corrente ed affrontare temi scomodi alla politica”, Clemente Mimun,
secondo cui “arrivava addirittura ‘troppo presto’”, Davide Romano per cui
“vedeva le ingiustizie del mondo e cercava di aggiustarle” e Matteo Angioli,
che ha voluto condividere con il pubblico un commovente episodio, mostran-
15
PENSIERO
La società della comunicazione che dimentica
il confronto e l’ascolto degli altri
L
Bisogna imparare ad accogliere ed accettare la bellezza della diversità,
uno degli obiettivi dell’Associazione By Words
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
a vita dei nostri nonni era contenuta nelle parole, nei bar, a volte
in lunghe lettere a volte in cartoline in cui i momenti più importanti
della vita di un individuo, così come i sentimenti connessi a questi episodi, venivano raccontati a chi non vi aveva
potuto assistere di persona. La
comunicazione su larga scala avveniva essenzialmente per radio,
portatrice di nuovi avvenimenti,
talvolta belli e talvolta meno belli,
e le persone parlavano molto tra
loro. Poi sono arrivati gli anni del
boom economico e con essi un
“piccolo elettrodomestico” - la
televisione - simbolo del nuovo
benessere che solo pochi avevano
in casa e che trasmetteva, che comunicava oltre che con le parole,
anche attraverso l’immediatezza
delle immagini che prima in bianco e nero e a colori poi riescono a
trasmettere un’emozione, un avvenimento, un attimo meglio delle parole, toccando
quelle corde il cui suono arriva diritto al
cuore.
Attraverso le immagini televisive sono
passati i più grandi avvenimenti della storia, come l’atterraggio sulla luna di Armstrong, con la storica diretta Rai del 1969
dallo studio tre di Via Teulada, e la caduta
del Muro di Berlino del 1989.
Oggi, 70 anni dopo viviamo nell’epoca della comunicazione continua e costante di
noi stessi, nell’epoca della condivisione,
dei social networks e, si potrebbe quasi
affermare che la nostra vita è “appesa ad
uno smartphone”, con il quale possiamo
16
parlare in tempo reale con paesi dall’altra parte del mondo, mostrare fotografie
di posti meravigliosi postandole sui social
per condividerle con i nostri amici, facendoci perdere il contatto diretto, quello face
to face, senza intermediari, dove non ci
sono barriere. Perciò, contrariamente al
pensiero comune, comunicare qualcosa a
qualcuno, e comunicarla bene, sembra essere diventata una delle cose più difficili al
mondo. Trovare infatti un linguaggio universale, che raggiunga tutti nella stessa
maniera senza fraintendimenti, richiede
una buona conoscenza di tre fattori fondamentali: di sé, dell’altro e del mondo che
ci circonda.
L’interazione culturale è dunque il grande
denominatore comune di tutti gli scambi comunicativi, è il fattore fondamentale
perché un qualsiasi tipo di comunicazione
avvenga, ed è un concetto che per definizione racchiude in sé l’idea di rispetto,
confronto e reciproco scambio fra persone
appartenenti ad uno stesso background
culturale e ancora di più tra chi proviene
da culture più o meno diverse, più o meno
distanti tra loro.
Comunicare significa che l’emittente sia
disposto a comprendere l’altro e
fare in modo che esso, il destinatario, ci comprenda a sua volta,
avviando un dialogo continuo e
circolare necessario per fare un
passo verso il nostro interlocutore, mettersi nei suoi panni e fare
in modo che esso vesta i nostri.
Sulla base di questo basilare
principio - come costola e supporto del progetto Talmud - nasce
l’Associazione By Words, un’associazione composta da giovani
provenienti da storie e culture
diverse, che hanno diverse specializzazioni, e che hanno fatto
delle loro diverse identità la forza
promotrice per portare, appunto, il dialogo interculturale ad un livello successivo,
quello in cui il confronto con il prossimo,
il confronto vero, senza pregiudizi e senza
fanatismo diventi costruttivo e in grado di
realizzare progetti reali e concreti.
Il primo progetto è in fase di lavorazione
e toccherà una tematica molto importante,
quella della disabilità, non solo nel nostro
paese, ma in tutto il mondo.
Il confronto e la conoscenza portano alla
consapevolezza, e quest’ultima porta alla
libertà, e la libertà porta alla cultura e alla
riflessione su come e quanto possiamo e
dobbiamo fare.
Tale e tanta è l’importanza del saper comunicare e comunicare bene, che anche la
Commissione Europea ne ha fatto una mission sviluppando, per gli anni 2007-2013,
“Cultura”, un programma rivolto a ragazzi
e ragazze di tutte le nazioni per introdurli
alla bellezza della diversità, per insegnargli a comprendere come conoscere l’altro e
come fare della loro intera vita un meraviglioso dialogo continuo, che gli permetterà
di portare avanti relazioni che saranno un
arricchimento personale inestimabile.
Lo scopo di tutto questo è quello di andare avanti volgendo però sempre un po’
lo sguardo all’indietro, alle nostre radici,
al nostro passato per riportare nel nostro
tempo lo stare insieme con le radici della
storia di ciascuno e le prospettive dei sogni
e delle passioni condivise per aprire le porte dei cuori senza dimenticare l’unicità e la
grandezza di ogni singolo popolo.
CLELIA PIPERNO
LA DEPUTAZIONE
SI OCCUPA DI:
1. analisi e trattamento delle
problematiche sociali;
2. consulenza familiare;
3. consulenza psicologica
ad adulti e adolescenti;
4. supporto sociopsicologico
ed assistenza domiciliare
ad anziani soli;
5. supporto psicopedagogico
a bambini in difficoltà;
6. erogazione di sussidi
ordinari e straordinari;
7. orientamento professionale
e consulenza nella ricerca di
occupazione
2016
ISRAELE
Alla scoperta
del femminismo chassidico
Sono molte le donne ebree ortodosse
che sanno coniugare i doveri familiari
con l’impegno lavorativo e professionale.
Un fenomeno nuovo soprattutto
per la società anglosassone
L
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
e donne sono spesso viste come la colonna portante
di una casa ebraica. Questo vale anche per le famiglie
ortodosse dove, nonostante i pregiudizi, si sta facendo
largo una figura femminile molto diversa da quella stereotipata di mamma apprensiva e cuoca provetta. In principio
l’immagine della donna ebrea, forte e indipendente, era legata ai
profili delle eroine raccontate dalla Bibbia: Miriam, Ruth, Ester,
sono tutte accomunate da una fede intaccabile e dal sentirsi parte di un disegno divino.
Oggi questa visione si
è adattata alla società
moderna e le donne ortodosse, senza aver perso i loro tratti distintivi,
sono donne in carriera,
attiviste impegnate in
battaglie quotidiane e
motivo di orgoglio per
le loro comunità d’appartenenza.
Questa rivoluzione è
stata avviata, come
molte altre nella storia
umana, nel campo della
letteratura. Negli ultimi
venti anni la produzione letteraria israeliana
è passata dal rappresentare l’ebreo come un tutt’uno con lo Stato d’Israele a un individualismo concentrato sulle interazioni personali, un campo
dove la letteratura al femminile, con la sua tradizionale enfasi
18
sulle emozioni, si è
ritagliata con successo un proprio spazio.
In molte opere la vita
delle famiglie ortodosse fa da sfondo alla
ricerca di autonomia
della donna o a una
critica
all’ideologia
dei haredim. Esempi
importanti di questa
tendenza sono rappresentati da Esther
Ettinger, Hannah Bat
Shahar, Michal Govrin
e Mira Magen.
Nella Diaspora, soprattutto nelle numerose Comunità statunitensi, la produzione
letteraria è anche di tipo accademico. Importanti docenti e attiviste come Rivkah Slonim e Molly Resnick si occupano del ruolo
della donna nella vita ebraica e di come sia possibile far convivere le leggi religiose con la società contemporanea. Rivkah Slonim
è una stimata docente di etica medica ebraica all’università di
Binghamton ed ama definirsi “femminista chassidica”. Tra le sue
opere “Total Immersion: A Mikvah Anthology”, dove attraverso
cinquanta storie riguardanti il bagno rituale analizza il tema della
purezza da prospettive diverse, dagli aspetti più pratici a quelli
legali, e “Bread and Fire: Jewish Women Find G-d in the Everyday”, un libro che cerca di raccogliere ed esaminare ogni parte
della vita quotidiana delle donne ebree. Molly Resnick invece ha
ricoperto la carica di produttrice per l’emittente televisiva NBC
e ha lavorato come giornalista presso alcune importanti testate
per le quali ha condotto interviste a personaggi del calibro di
Menachem Begin, Yitzhak Rabin, Moshe Dayan ed Henry Kissinger. Recentemente ha fondato M.A.T.C.K.H. - Mothers Against
Teaching Children to Kill & Hate -, un’organizzazione no-profit
che, servendosi di forum pubblici e programmi educativi, si prefigge lo scopo di impedire che vengano diffusi sentimenti d’odio
razziale o religioso nelle scuole.
MARIO DEL MONTE
Drusi, quegli arabi
super sionisti
Un legame fortissimo, un vero e proprio patto
di sangue, lega la comunità dei drusi
al destino e al futuro di Israele
I
Rotschild 10 Bat Yam
Perez Haiut 4 Tel Aviv
Krinizi 27 Ramat Gan
vuto combattere, in tutte le unità e ranghi, svolgono un ruolo importante nei vari settori delle agenzie di sicurezza, e il loro tasso
di arruolamento, circa l’83% dei giovani, è addirittura più alto di
quello degli ebrei. Tuttavia, sottolinea Halabi, usciti dall’esercito i
giovani drusi hanno spesso problemi ad integrarsi completamente
nella società, e l’intera comunità drusa è protagonista di diverse
problematiche: rispetto alla popolazione ebraica il tasso di laureati e diplomati è più basso, quello dei disoccupati più alto, e lo
stipendio medio nettamente più basso, come si può vedere dalle
accurate statistiche sul loro sito.
Per questo la DVA, si legge sul sito, “funge da lobby per aumentare la consapevolezza riguardo l’enorme contributo che la comunità
drusa porta alla società israeliana”. Fu fondata nel 2009, a seguito
della necessità di aiutare i giovani della comunità drusa, in particolare i veterani appena congedati, che “come membri attivi della
società meritano l’opportunità di prosperare nel mondo accademico, degli affari e nel settore pubblico”. Le loro sfide per integrarsi
nella società israeliana, avere accesso a un’istruzione superiore di
qualità e di entrare nella forza lavoro, secondo l’organizzazione,
non potevano rimanere inascoltate. “La nostra visione” conclude
Halabi “è quella di creare in Israele una gioventù drusa con motivazione, credenziali accademiche, e occupazioni adeguate, e di
assistere nella creazione di una leadership drusa comunitaria, basata su quella formatasi durante il servizio nello Zahal”.
JOELLE SARA HABIB
Investimenti immobiliari
in Israele: ci hai già pensato?
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centrali e residenziali di: Tel Aviv, Ramat Gan, Rishon e Bat yam.
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occupa di immobiliare dagli anni ‘80. Specializzato nella riabilitazione di edifici storici e nelle
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GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
drusi sono fin dal 1957 considerati in Israele come una comunità etnica distinta; di lingua araba, con costumi sociali
che differiscono notevolmente da quelli musulmani o cristiani, e fede originariamente sviluppata a partire dall’Islam,
sono però spesso non considerati da questi musulmani, e quindi,
infedeli. Minoranza etnica e religiosa in ogni paese in cui vivono,
si trovano principalmente in Siria, Libano e Israele, con piccole
comunità in Giordania e Sud Asia, hanno spesso sperimentato
la persecuzione, e sono noti per formare comunità molto unite
e coese, ma allo stesso tempo integrate pienamente nella civiltà
circostante.
Al momento della fondazione dello stato Israele, si trovavano nel
paese circa 14.500 drusi, oggi sono circa 140.000, l’1,7% della popolazione complessiva, e vivono principalmente in insediamenti
nella Galilea e sul Monte Carmel. Il legame tra soldati ebrei e drusi, un’alleanza molto forte, in piedi fin dai tempi del mandato britannico, è comunemente conosciuto - ricorda Koftan Halabi, fondatore e direttore esecutivo della Druze Veteran association - con
il termine di “‫ ברית דמים‬brit damin - patto di sangue”, ed oggi migliaia di drusi israeliani appartengono a movimenti ‘drusi sionisti’.
“L’ambizione del popolo druso in Israele” - continua Halabi - “è
quella di mantenere la propria cultura e le proprie tradizioni, integrandosi e passando attraverso il processo di ‘israelizzazione’ “.
Gli inizi del rapporto tra drusi e la comunità ebraica in Israele risalgono agli anni Venti del secolo scorso, durante il mandato britannico. Il rafforzamento dei legami tra le due comunità, non solo
ha portato a collaborazioni finanziarie e agricole, ma anche il supporto da parte della maggioranza della comunità drusa nel sogno
sionista di creare uno stato ebraico in Israele. Durante i primi anni
dopo la nascita di Israele, i drusi si arruolavano volontariamente
nello Zahal, ma dal 1956 il primo ministro David Ben-Gurion rese il
servizio militare obbligatorio anche per loro.
Soldati drusi hanno preso parte in ogni guerra che Israele ha do-
[email protected]
19
ITALIA
L’Enel sbarca a Tel Aviv
I
A metà luglio verrà presentato
un progetto di sostegno
alla giovane imprenditorialità israeliana
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
nnovare, innovarsi, può significare
anche saper uscire da sé stessi. Lo
ha capito bene Enel, che il prossimo
undici luglio lancerà a Tel Aviv un
programma di supporto tecnologico per
start-up, un vero e proprio acceleratore
nel mezzo di un paese, Israele, con una
tale concentrazione di aziende ‘tech’ innovative da poter vantare una sua versione
di Silicon Valley, detta Silicon Wadi.
Già perché se l’innovazione per molto
tempo si è sviluppata quasi esclusivamente all’interno delle grandi organizzazioni, oggi questo modello non esiste
più. Per produrre tecnologia nuova occorrono ibridazione, contaminazione e
nuove alleanze strategiche necessarie a
sviluppare prodotti e soluzioni in grado di
rispondere alle necessità di clienti diversi
e localizzati nei più disparati angoli del
pianeta.
In questa ottica, l’Innovation Lab di Tel
Aviv – fortemente voluto dall’Amministratore Delegato di Enel Francesco Starace
– sarà la sede in cui ogni anno fino ad otto giovani aziende selezionate attraverso
un’open call potranno beneficiare per sei
mesi di supporti tecnologici studiati su
misura ed avranno a disposizione - oltre
ad una customer base di 60 milioni di
clienti - i laboratori e gli esperti messi a
disposizione da Enel per sviluppare il proprio business plan.
Il colosso italiano dell’energia, infatti, lavora già con start-up a Londra, Madrid,
Roma, Rio de Janeiro e molte altre città,
ma ritiene necessario essere percepito come impresa in grado di evolvere, di coin-
20
volgere nelle proprie attività persone che
non lavorano all’interno dell’azienda.
Per Enel, inoltre, quella di Israele è la possibilità di stabilire la propria presenza in
uno dei maggiori poli di innovazione del
mondo avvalendosi anche della rete internazionale di venture capital presenti a
Tel Aviv, della collaborazione degli atenei
universitari e di una solida collaborazione
con l’Ufficio del Chief Scientist del Ministero dell’Economia di Gerusalemme.
“Per Enel questo è un passaggio molto importante”, ha spiegato Luciano Tommasi - a capo delle Start-up initiatives e del
business incubator di Enel. “Con Israele
abbiamo ottimi rapporti e riteniamo che
avere una presenza in loco permetterà di
estrarre il massimo valore da uno degli
ecosistemi più innovativi al mondo. Il “sistema Israele” genera oltre 1000 startup
all’anno e queste per crescere e diventare
di successo hanno bisogno di partner industriali che consentano loro di testare
soluzioni ed uscire dai confini nazionali
per entrare in una fase commerciale. Isra-
ele infatti ha un mercato interno ridotto.
Enel vuole identificare le startup a più
alto potenziale ed accelerarne la crescita
mettendo a disposizione il proprio ecosistema. Il nostro brand sarà quindi un ponte che le aziende israeliane avranno con
il resto del mondo per commercializzare i
propri prodotti negli oltre trenta paesi in
cui siamo presenti”.
E Israele sarà solo il primo degli Innovation Lab di Enel, ha spiegato ancora
Tommasi. “Presto incubatori che portano il nostro
brand sorgeranno anche
in altri due grandi hub di
innovazione del mondo, la
Silicon Valley e Singapore.
In Italia continueremo ad
investire come già facciamo da anni su start-up ed
altri progetti. Nel nostro
paese ci sono grandi idee
ma i modelli che funzionano sono quelli in cui, a parte le idee e il buon sistema universitario,
che abbiamo anche in Italia, c’è minore
burocrazia e un giusto mix di investimenti
pubblici e privati, come dimostra l’esempio di Israele”.
Vista la presenza di oltre ottanta acceleratori nella sola realtà di Tel Aviv Enel ha
deciso di entrare nel mercato israeliano
realizzando una partnership con The Junction.
NATHANIA ZEVI
Nella foto: Francesco Starace,
amministratore delegato di ENEL
I
più attenti lettori di riviste e articoli enogastronomici lo sapranno già:
quest’anno il Cibus, la principale fiera italiana dell’agroalimentare che si
svolge ogni due anni a Parma, ha ospitato
una sezione, all’interno del Padiglione 7,
dedicata ai produttori già certificati kasher
e halal. Sorpresa: non erano pochi, e soprattutto non erano tutti: in mezzo agli oltre 2500 espositori molti esibivano sui loro
stand, con altre certificazioni, anche quella
kasher. Cosa che ovviamente non certifica un’azienda permanentemente, né che
uno o più dei prodotti che da quell’azienda
esce sia sempre kasher. E’ però una cosa
molto bella vedere quanto oggi moltissime
industrie italiane, sia medio-piccole che
grandissime, si avvicinino e siano interessate alle certificazioni “religiose”.
Seconda sorpresa: è stata ospite una nutrita delegazione di buyers internazionali
di kosher e halal ed ha potuto approfittare
di diversi incontri organizzati, nonché ovviamente conoscere e contattare diverse
aziende espositrici per eventuali produzioni certificate. La delegazione dei buyers
kasher ha inoltre avuto la bella sorpresa
di ritrovarsi tutta nello stesso albergo, e
di usufruire di tutti i pasti strettamente
kasher, anche in Fiera. Sembra New York,
invece è Parma.
E tutto questo grazie all’intraprendenza di
Fiere di Parma che, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, all’interno
del programma di promozione delle certificazioni da parte delle aziende italiane,
ha organizzato e coordinato da un lato i
produttori già certificati, e la loro presen-
Cantina Giuliano,
la dimensione naturale
della kasherut
In Provincia di Pisa
una piccola realtà
enogastronomica all’insegna
della tradizione ebraica
G
razie agli sforzi di Eli Gauthier,
un ebreo francese trasferitosi
in Italia, e di sua moglie Lara
è nata a Casciana Alta, in provincia di Pisa, una nuova realtà kasher.
Si tratta della ‘Cantina Giuliano’ dove la
coppia produce vino artigianale kasher di
qualità ed altri cibi tipici della tradizione
toscana.
La cantina esisteva già da
tempo: il nome Giuliano
infatti proviene dal nonno
di Lara che produceva
vino, olio d’oliva, frutta e cereali. Alla sua
prematura scomparsa
però i figli non riuscirono a continuare la
produzione e, alla fine,
decisero di vendere parte
dell’attrezzatura e chiudere
l’attività. Eli, che prima di arrivare in Italia vendeva vino a Londra,
spinto dalla passione per il buon cibo e
dalla scarsità di vino artigianale italiano
kasher, ottenne il diploma in vinificazione
e riaprì la cantina insieme alla moglie. La
prima vendemmia è datata 2014 e, nonostante le difficoltà iniziali, la coppia è riuscita ad entrare nel
mercato del vino kasher. La
scelta di Eli è stata motivata anche dalle possibilità che questo tipo di
attività offre: lavorando
sei mesi l’anno può dedicare il resto del tempo allo studio della Torah a Strasburgo.
Il primo vino prodotto è
stato un Chianti DOCG rigorosamente kasher: dalla spremitura all’imbottigliamento sono
solo ebrei religiosi, e che osservano lo
za in spazi dedicati,
oltre che, per molti
di loro, negli stand
“generici”, e nel contempo ha selezionato
e curato l’incoming
dei gruppi di buyers
che, nel caso del kasher, venivano dagli
Stati Uniti, Canada,
Francia, Inghilterra,
Israele. Alcuni di loro,
a tavola, hanno anche
avanzato l’ipotesi, già
peraltro realizzata in
altri settori dell’agroalimentare, di una
federazione di buyers sugli stessi prodotti
sui rispettivi mercati di competenza, portando così massa critica più interessante
per le aziende, e quindi economie di scala
che si ripercuotono sul prezzo del prodotto
finito, oltre ad un sensibile risparmio sui
costi delle operazioni di kasheruth, che a
quel punto sarebbero condivise.
A Cibus abbiamo finalmente visto e sentito
parlare i veri protagonisti: i produttori ed i
loro prodotti, i compratori con le esigenze
dei rispettivi mercati.
MOSÈ SILVERA
Shabbat, ad intervenire
nel lavoro. In questo Eli
e sua moglie sono stati certamente aiutati da
Rav Eliezer Wolff, Dayan
di Amsterdam, che con
il suo staff segue da vicino ogni passo della produzione. Inoltre il vino è
certificato dall’Orthodox
Union e non è mevushal.
Attualmente è possibile
acquistarlo in diversi negozi di Roma e Milano e lo
si può trovare nelle tavole
dei ristoranti kasher del
quartiere ebraico di Roma.
“Sono molto felice – ha spiegato Eli - di essere riuscito a portare nel mercato italiano
dei prodotti kasher non industriali”. L’aspetto che più di tutti rende Eli orgoglioso
è appunto l’essere riuscito a unire Torah e
natura senza perdere in qualità e in genuinità. Grazie al turismo gastronomico tipico della zona Eli e Lara sono riusciti a far
conoscere la cantina anche ai non ebrei
e si stanno attrezzando per espandere la
loro attività nel campo dei formaggi e dei
salumi e per poter ospitare i turisti per degustazioni o veri e propri pasti.
La Cantina Giuliano si trova in via Cesare Battisti a Casciana Alta ed offre, oltre
all’assaggio del vino, un tour delle vigne
per chiunque fosse interessato.
MARIO DEL MONTE
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
A Parma la fiera
del Cibus,
anche kasher
21
COPERTINA
Un film sulla drammatica
storia del rapimento del
piccolo Edgardo Mortara
Sarà girato in Italia
a partire dai primi del 2017
e sarà diretto da Steven Spielberg
L
a sera del 23 giugno 1858 a Bologna la polizia bussò alla
porta della casa di Momolo Mortara, rispettato mercante
ebreo. Lo scopo era quello di farsi consegnare il figlio Edgardo di sei anni. Il motivo? All’Inquisitore di Bologna risultava che il bambino fosse stato segretamente battezzato e la
legge dello Stato pontificio non tollerava che un bambino
cristiano crescesse all’interno di una famiglia ebrea.
Tra le proteste della famiglia, Edgardo iniziò un lungo viaggio verso Roma per diventare un buon cattolico. Ma la vicenda e il suo seguito non riguardò
solo la famiglia Mortara o l’Italia. Mobilitò l’opinione pubblica liberale, indignò le comunità
ebraiche non solo italiane, provocò l’entrata in
scena del papa Pio IX stesso e finì per influenzare addirittura la storia d’Italia accelerando
la fine dello Stato pontificio e ponendo termine al millenario potere temporale della chiesa
di Roma. Una sequenza di fatti travolgenti così
come viene raccontata nel libro di David Kertzer
Prigioniero del Papa Re di cui una versione teatrale di grande successo è stata scritta dal Premio
Pulitzer Alfred Uhry. Sarà quindi Steven Spielberg
a dirigere l’adattamento del libro del 1997 intitolato in
originale The Kidnapping of Edgardo Mortara la cui versione
cinematografica sarà scritta da Tony Kushner, già sceneggiatore
per alcuni tra i titoli recenti più importanti firmati da Spielberg
(Lincoln, Munich), nonché autore della celebratissima serie televisiva Angels in America.
Steven Spielberg, di cui uscirà quest’anno Il Gigante Gentile di
Sar
tor
ia
Roald Dahl e di cui, comunque, il prossimo anno vedremo il fantascientifico Ready Player One, sarà in Italia tra Roma e Bologna
a partire dai primi mesi del 2017 per girare il film che vedrà nei
panni di Pio IX l’inglese Mark Rylance (la spia sovietica del recente “Il Ponte delle Spie”) che proprio grazie al regista di E.T. e
Schindler’s List ha vinto il suo primo Oscar.
Un film particolarmente importante se si pensa che
vent’anni dopo la prima uscita di Prigioniero del
Papa Re, il suo autore David Kertzer è diventato
l’esperto americano di maggior spicco nella storia moderna delle relazioni tra il Vaticano e gli
ebrei. Il suo libro: I Papi contro gli ebrei è una
risposta alla relazione della Commissione Vaticana del 1998 sulla responsabilità della chiesa
nella Shoah. Prodotta su richiesta del Papa e
redatta nel corso di undici anni, la relazione
conclude che il Vaticano ha sempre agito amichevolmente nei confronti degli Ebrei e che la
Chiesa non ha avuto alcuna responsabilità nello
sviluppo dell’antisemitismo moderno. Attraverso
l’uso di documenti dell’archivio dell’Inquisizione
mai consultati prima d’ora e di numerosi testi provenienti da altri archivi vaticani, Kertzer ha dimostrato
come la relazione sia più il frutto di una speranza, che di una
certezza, mentre il suo ultimo saggio Il Patto con il Diavolo esplora
il rapporto tra Mussolini e Pio XII.
MARCO SPAGNOLI
Nella foto in alto: Steven Spielberg e Mark Rylance
Al centro: la famiglia Mortara
Via
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GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
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La storia pionieristica dell’aviazione israeliana
Le testimonianze dei primi coraggiosi piloti nel film ‘Above and Beyond’,
presentato per la prima volta in Italia da Progetto Dreyfus
“D
lesioni spinali di camminare ed alzarsi in piedi,
“esempio tangibile” secondo Benny Raccah e
Barbara Pontecorvo “di ciò che la società Israeliana produce e rappresenta, e incarna perfettamente lo spirito con cui avvengono le cose in
Israele, dove la necessità e l’esigenza innescano
la creatività: con la determinazione si può arrivare ovunque”. Dimostrazione pratica se ne è
avuta sul palco, grazie ad Andrea, che per merito di Rewalk può ora guardare le persone negli
occhi - ”vederle dall’alto” - ed abbracciarle.
A spiegare ai presenti di cosa si occupa progetto Dreyfus è stato il suo presidente, Alex Zarfati,
che definisce il loro lavoro “molto semplice e rivolto non solo agli ebrei: portare all’attenzione,
alla conoscenza del grande pubblico cause comuni a tutta la società civile, per migliorare la
conoscenza della realtà”.
In sala anche Nancy Spielberg, produttrice della
pellicola e sorella del famoso regista che, intervistata dalla giornalista Ariela Piattelli, ha condiviso con il pubblico retroscena e considerazioni sul film. “La storia è venuta da
me”, ha raccontato, “ho ricevuto una mail anonima che riportava
l’obituario di Al Schwimmer, un americano, che veniva chiamato
‘padrino dell’aviazione Israeliana’, e consigliava
di fare un film sulla sua storia. Ho così cominciato la mia ricerca ed ogni testimone mi ha portata
ad un altro. Mi è sembrata una storia perfetta,
il promemoria che noi dobbiamo sempre essere presenti per Israele, proprio come Israele è
sempre lì per noi. Il mio solo grande rimpianto è
non aver prodotto questa pellicola dieci anni fa,
quando decisi di farlo erano rimasti in vita davvero pochi piloti, e dalla fine delle riprese sono
morti quattro dei partecipanti, ma almeno, tutti
loro, tranne uno, hanno avuto la soddisfazione di
vederlo proiettato almeno in un cinema, ricevendo dal pubblico il loro meritato onore, ed hanno
fatto conoscere la loro storia ai loro figli e nipoti”.
JOELLE SARA HABIB
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
a questo film potremo imparare qualcosa in più sul passato
e presente di Israele, che continua a combattere con tenacia
ogni giorno per affermare il suo pieno diritto ad
esistere”, così l’ambasciatore israeliano Naor
Gilon, alla prima presentazione in Italia - organizzata da Progetto Dreyfus in occasione di Yom
Atzmaut - del film ‘Above and Beyond’, diretto
da Roberta Grossman.
La pellicola documenta l’inizio dell’aviazione
israeliana, seguendo le storie del piccolo gruppo di giovani piloti - veterani ebrei della seconda guerra mondiale, per la maggior parte laici
ed americani - che rischiarono tutto per aiutare
a difendere il neonato stato ebraico, completamente sprovvisto di qualsivoglia aereo o aviazione, nella guerra del ‘48, portando in Israele
armi ed aerei di contrabbando - nonostante
l’embargo americano, che gli avrebbe fatto perdere la cittadinanza - per poi pilotarli in missioni contro gli stati
arabi attaccanti. Chiamati da Shimon Peres nel film “un dono di
D.”, molte sono le toccanti riflessioni di questi piloti del ‘Machal’,
‘Mitnadvei Chuz Laaretz - divisione volontari stranieri’. “Non ho
mai dubitato che ce la avremmo fatta, che avremmo vinto la guerra, perché in fondo tutta la storia
di Israele, la sua stessa esistenza, si è basata su
atti di fede”. Poi i ricordi del loro primo atterraggio in Israele - “è stato come un dejavu, io ci ero
già stato, forse nei miei sogni”, “è stata la sensazione più bella della mia vita, stavo per atterrare nella mia terra, mi sentii più a casa lì che in
America”. Ma non sono mancati anche aneddoti
divertenti e reminiscenze delle loro spregiudicatezze giovanili.
“Tutte le offerte di oggi”, ha ribadito Lorena
Cacciatore presentatrice della serata, “andranno a finanziare corsi di preparazione per usare
Rewalk”, esoscheletro robotico, ideato dall’israeliano Amit Goffer, che permette alle persone con
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23
LIBRI
EDITORIA PER RAGAZZI
Storie fantastiche
per bambini moderni
L
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
e parole viaggiano si sa, e cambiano, e se c’è il vento
di mezzo le cose si complicano. Perché quando il vento
sbuffa, fischia, gonfia, muggisce, urla e ruggisce capire
cosa si vuole per cena è
decisamente impossibile: purè di
patate? Due grandi frittate? Palme impanate? Galline ammaestrate? Per sapere bene il principio e
la fine della storia, e della cena,
basta leggere “Come? Cosa?” di
Fabian Negrin edito da Orecchio
Acerbo (16 euro). Le illustrazioni
mostrano un vento pazzo e leggero, potente e prepotente che racconta un paese magico a metà tra
i mari del nord e l’oriente. Sempre Orecchio Acerbo consegna
ad un altro albo illustrato la storia del Golem e di Praga magica,
segreta ed anche un po’ paurosa
ed inquietante in “Franz e il Golem” di Irene Cohen-Janca con
le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello (16.50 euro), tradotto
da Paolo Cesari che di Orecchio Acerbo è l’animatore. Franz è
24
un ragazzino ficcanaso che in una notte di luna si intrufola nella
soffitta della sinagoga Staronova (la sinagoga ‘vecchia-nuova’, la
più antica di Praga e dell’Europa centrale che sia ancora in funzione). Insieme a Franz e alla sua
giovane amica - e futura innamorata - Myriam, sono a pieno titolo
protagonisti del libro la luna, il
Golem e le immagini inquiete e
toccanti della Praga del sedicesimo secolo. Un testo non banale,
anche se destinato ai bambini,
con illustrazioni tese ed inquiete
che raccontano ancora una volta
la storia del Golem, il gigante
d’argilla che sulla fronte recava
la parola ebraica ‘emet – verità,’
creato dalla conoscenza mistica del rabbino Judah Loew. Ma
dopo aver tanto aiutato gli ebrei
praghesi, averli difesi dagli assalti della marmaglia che li uccideva, all’improvviso, dopo aver
distrutto tutto, mentre il Golem – rimasto senza nulla da fare –
impazzisce: “il Golem corre come un pazzo ma spunta Myriam,
una bambina dal viso così meravigliosamente chiaro che lo si direbbe una pietra lunare. Subito il Golem si ferma e s’inginocchia
davanti a lei. Tutta la collera sembra averlo abbandonato e nei
suoi occhi brilla la gioia. Myriam non scappa. Non prova alcuna
paura e sorride al Golem. Il Golem, fiducioso, alza verso di lei il
suo strano volto senza bocca, dal color di cera e dagli occhi obliqui
(...) Il Golem continua a guardare con fiducia la bambina dal viso
color della luna. La contempla con quel misto di piacere e stupore che hanno i neonati quando
scoprono il mondo. Myriam alza
allora la mano sulla sua fronte
e con un semplice gesto toglie
la lettera Aleph, non resta allora che la parola ‘met-morte’. Il
Golem crolla immediatamente.
Nato dalla parola, la sparizione
di una lettera lo restituisce al
nulla”.
La vicenda del Golem, il gigante
d’argilla, lascia sempre un po’ di
amaro in bocca ma, consigliato
ai bambini oltre gli otto anni,
restituisce anche la giusta inquietudine che si accompagna
al mistero della creazione ben
prima che inventassero i robot.
La stessa coppia, per la stessa
casa editrice, aveva già firmato ‘L’albero di Anne’, la struggente
vicenda di un ippocastano che, con sensibilità e grazia racconta la vicenda di Anna Frank, e ‘L’ultimo viaggio’ sulla figura di
Janus Korczak, educatore e padagogo, innovatore straordinario,
la cui vita termina nel ghetto di Varsavia insieme a quella dei
suoi ragazzi. Una coppia di autori, Cohen-Janca e Quarello, il cui
lavoro è capace di emozionare, evocare, inquietare, e suggerire
percorsi di immaginazione mai banali.
LIA TAGLIACOZZO
R
icordati dei giorni del mondo di Giuseppe Laras, edito
da EDB Edizioni Dehoniane, è una brillante storia del
pensiero ebraico dalle origini all’età contemporanea,
raccolta in due volumi complessivamente di oltre settecento pagine: Un’opera di vastissimo respiro di grande erudizione
affascinante non solo per le risposte che offre, ma anche e soprattutto per le domande che sa suscitare. Sempre le edizioni EDB
hanno stampato, nella stessa collana Cristiani ed ebrei, L’attesa
del mondo che viene di Luigi Nason e di Fernanda Vaselli, un
testo di oltre trecento pagine dedicato al dialogo tra ebrei e cristiani: un approccio aperto e di rara sensibilità. Eccellente.
Jaca Book ha proposto Natura e pensiero ebraico di Giuseppe
Laras, un testo originale che affronta alcune questioni filosofiche
particolarmente cruciali legate a visioni kabbalistiche e halachiche.
A Levinas e a Rosenzweig fa riferimento Francesca Nodari in un
penetrante saggio dal titolo Il bisogno dell’Altro e la fecondità
del maestro: una questione morale edito da Giuntina. Si tratta di
pagine acute e feconde
Adelphi ripropone il grande saggio di Elias Canetti dal titolo
Massa e potere nella traduzione del compianto Furio Jesi, un libro
magistrale frutto di trentotto anni di riflessioni. Un testo essenziale, per cercare di capire i fenomeni politici del XX secolo.
L’identità infelice di Alain Finkelkraut, edito da Guanda, è un
testo nelle cui pagine il filosofo ebreo francese si misura con le
problematiche attuali in Francia. Un motivo di attenta riflessione
e di discussione.
La passione per l’Assoluto di George Steiner, edito da Garzanti,
è il testo di una conversazione del celebre intellettuale inglese con
Laure Adler. Ci sono alcuni passaggi di rara intelligenza e di straordinaria capacità predittiva. Basta questo per giustificarne l’invito alla lettura.
Il maiale è il nostro maestro di Valentina Sereni e di Delfina Piu,
edito da Mimesis, è un libro su cui occorre riflettere con attenzione
perché prende in considerazione il rapporto tra ebrei e animali,
forse meglio sarebbe dire tra ebraismo e animali. Una lettura coinvolgente e sofferta, pagine che lasciano un profondo segno e che
meritano di essere lette e rilette. Utile per un fecondo dibattito.
“Cuore d’Israele”, opera inedita
di Luciano Morpurgo
La storia degli ebrei dalmati nella Seconda guerra
mondiale e dell’annessione di Spalato all’Italia
P
resso il Museo ebraico di Roma è stato presentato al pubblico “Cuore d’Israele”: opera inedita di Luciano Morpurgo (1886- 1971), il fotografo, editore e scrittore, ebreo italiano di Spalato, che nel 1946 pubblicò con la sua nuova
casa editrice Dalmatia, quel secondo libro autobiografico “Caccia
all’uomo”, centrato sulla storia degli ebrei dalmati nel periodo della Seconda guerra mondiale e dell’annessione di Spalato all’Italia
(con Giacomo Debenedetti e Silvia Forti Lombroso, Morpurgo è
stato uno dei primissimi testimoni, in un racconto autobiografico,
delle persecuzioni antiebraiche in Italia non dalla prospettiva dei
deportati nei lager, ma di quanti furono costretti alla clandestinità).
Nel 1942, Morpurgo - escluso dall’applicazione piena delle leggi
razziali per i suoi meriti di organizzatore culturale - aveva potuto
pubblicare, a condizione di firmarlo con uno pseudonimo, un primo
libro autobiografico “Quand’ero fanciullo” (uscito inizialmente, co-
Storia degli ebrei di Michel Abitbol
(Einaudi editore) è una sintesi brillante dalle origini ai nostri giorni: “raccontare questa odissea in ottocento
pagine è una sfida” ha scritto l’autore. Il risultato finale è molto soddisfacente.
In nome della patria di Vincenzo
Pinto analizza il rapporto tra ebrei e
cultura di destra nel Novecento (edito da Le Lettere). Questo saggio getta un fascio di luce su un argomento scabroso e poco scandagliato. Capitoli su Jabotinsky, Ovazza, Kadmi-Cohen, Schoeps:
materiale su cui attentamente riflettere.
Martin Buber interprete dell’ebraismo di Gershom Scholem,
edito da Giuntina, è un piccolo libro delizioso su uno degli intellettuali ebrei più prestigiosi del XX secolo.
Sempre la Giuntina propone La dieta Kasher a cura di Rossella
Tercatin, una raccolta di numerosi contributi di celebri autori che
discettano sulla cucina ebraica, sulle sue caratteristiche sulle
regole e sui benefici del cibo all’ebraica.
Pro Armenia a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti, edito da
Giuntina, raccoglie le voci ebraiche sul genocidio armeno. quattro
testimonianze sul genocidio che ricostruiscono una storia tragica.
Lo scorpione sul petto: questo è il titolo del volume di Giuseppe
Capriotti, edito da Gangemi, dedicato all’illustrazione della iconografia antiebraica tra XV e XVI secolo alla periferia dello Stato
pontificio. Un testo corredato da un’ottima iconografia che svella
aspetti di raro interesse e poco conosciuti.
16 ottobre 1943: questo è il titolo del volume che lo stesso editore
Gangemi ha pubblicato per ricordare la razzia degli ebrei di
Roma, a cura di Marcello Pezzetti. Si tratta di una sintesi di ottimo
livello che, a oltre settant’anni dagli avvenimenti, ci permette di
ricordare quei drammatici momenti. Di rara importanza.
L’anima del Fuehrer di Dario Fertilio, edito da Marsilio, racconta
il comportamento del vescovo Hudal che favorì la fuga di numerosi criminali nazisti in Sud America. Una vicenda inquietante sulla
quale molto opportunamente Fertilio getta un fascio di luce.
Inquietante.
“Questo ascensore è vietato agli ebrei” di Olga Focherini, a
cura di Odoardo Semellini, edito da EDB, raccoglie i ricordi della
figlia di un uomo che, per la sua attività durante la seconda guerra mondiale, fu proclamato giusto tra le nazioni e beato della
Chiesa.
RICCARDO CALIMANI
me libro per l’infanzia, nel 1936, ma ritirato poi dal commercio nel
clima delle leggi razziste). Questo terzo scritto autobiografico, nelle intenzioni dell’Autore è il naturale proseguimento di “Quand’ero fanciullo”, scritto tra il 1939 e il 1959 circa, e rimasto per decenni nel cassetto, è stato pubblicato ora dalla Società dalmata di
Storia Patria di Roma, a cura di Anna Morpurgo, di M.Lucia Cavallo e Rita Tolomeo.
“Questo libro - ha sottolineato, in apertura, Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah - è importante non solo
per la ricostruzione di tante vicende, personali e familiari, inserite
nella storia d’una comunità ebraica, quella appunto di Spalato, che
non solo sotto la breve dominazione napoleonica dei primi dell’
800, ma anche dopo, con gli Asburgo, era vissuta in condizioni
più libere e tranquille di altre. Ma anche come documento, nella
successiva tragedia novecentesca, delle tragiche situazioni vissute sia dagli ebrei dalmati che, più in generale, dagli italiani di Dalmazia ed Istria. Del loro sentirsi traditi dall’Italia due volte: prima
con le leggi razziali, la guerra e la Shoah, poi dopo la guerra con
l’abbandono all’occupazione titina, e alla tragedia delle foibe”.
FABRIZIO FEDERICI
LUCIANO MORPURGO
“Cuore di Israele - Poesia della famiglia ebraica”,
Roma, Società Dalmata di Storia Patria, 2016, pp. 168 + ill.
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
PAGINE SU PAGINE. DI EBREI E DI COSE EBRAICHE
Piccole e grandi opere,
nel segno dell’ebraismo
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LIBRI
Italia, paese incapace di fare i conti
con il suo passato
Un’analisi spietata, tra storiografia e ricordi
familiari, nel libro “Mio padre era fascista”
di Pierluigi Battista
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
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ierluigi Battista con il suo ultimo libro “Mio padre era
fascista” edito da Mondadori, ci offre di leggere non
solo un po’ della sua vita ma anche un affresco dei rapporti intergenerazionali nell’Italia degli ultimi decenni.
Partendo dal suo tormentato rapporto con il padre, avvocato di
successo con passato repubblichino e fascista indomito fino alla
morte. Così in queste centosessantuno pagine, scritte con la solita penna fluida e brillante dall’editorialista del Corriere, scorrono
come un fiume in piena ricordi e rimpianti di un Paese che non
riesce mai a fare i conti definitivi con il passato. E’ questo che
emerge dal libro. Il dialogo tra Pigi e suo padre, spesso interrotto
da bruschi litigi e lunghi silenzi, è lo specchio di un’Italia che
non ha mai affrontato con maturità le sciagurate scelte politiche
del Novecento e purtroppo ha affrontato il presente senza una
piena coscienza della propria
identità, a differenza di ciò che
è successo in altre nazioni.
Balza subito agli occhi del
lettore, fin dalle prime, righe
come il padre Vittorio non sopportasse coloro che, ed erano
tanti, avessero abiurato il passato fascista per guadagnarsi
una nuova patente di verginità
in cerca di prebende e benefici
professionali. Battista ci descrive la solita arte dell’arrangiarsi italiana con i suoi risvolti
trasformistici e compromissori,
indice di una coscienza debole
e limitata strutturalmente. Formata da poche teste pensanti e tanti quaquaraquà.
Il racconto scorre nel contesto familiare di un genitore che, pur
non rinunciando alla sua vita borghese, ricca di soddisfazioni
professionali, si vede scappare di giorno in giorno i suoi figli attratti dalle infatuazioni e dai richiami della contestazione in voga
tra gli anni Sessanta e Settanta. Così la narrazione si sofferma
sui quesiti di un figlio, che cresce, che si interroga sulle scelte politiche passate di un padre che suscitano, ineluttabilmente, tante domande. Come, per esempio, quando Battista con la
solita determinazione a pagina 83, ci descrive con molta onestà
intellettuale : “Poi, ecco la grande ombra. La pagina più oscura e
atroce. Imperdonabile… Ma insomma, sul fatto che il ‘suo’ fascismo, quello di cui ancora rivendicava la passata bellezza, avesse
promosso e assecondato la persecuzione degli ebrei, che negli
anni della Repubblica sociale fosse in piena funzione la macchina
del loro sterminio, attorno a questo punto di rottura avvertivo in
mio padre il ribollire di un turbamento doloroso, di un ruminare
perenne su qualcosa che assomigliava, o almeno a me pareva che
assomigliasse alla vergogna. Lui minimizzava…”.
Andando avanti, pagina dopo pagina in un tourbillon di ricordi, Pigi ci accompagna fino al congresso di Fiuggi, che nel 1993
segnò la fine politica del Msi e la nascita di An. Si tratterà del
momento in cui lo scrittore avverte la fine del sogno paterno, l’atto liberatorio in cui una parte del fascismo muore politicamente,
lasciando sul terreno non solo tanto sangue ma anche tante domande senza risposta da dare ai propri figli nati nel dopoguerra
e cresciuti nel libero pensiero.
JONATAN DELLA ROCCA
Non luogo a procedere
Claudio Magris
Garzanti, p.362 €20
“Per il protagonista mi sono ispirato ad una
persona realmente esistita, il professor Diego
de Henriquez, irriducibile triestino che si è dedicato tutta la vita a raccogliere armi, materiale
bellico di ogni genere per costruire un originale Museo della Guerra che servisse alla pace.”
Un’esposizione in cui ogni sala rimanda alla
storia di coloro che morirono per mano di conquistatori, giustizieri, angeli sterminatori. Magris ci conduce negli
angoli più bui dell’animo, dove il delirio dell’uomo toglie la vita e le
speranze ai suoi simili, perdendo egli stesso l’umanità. Una lettura
complessa che lega insieme aguzzini, vittime e custodi dell’orrore.
Amare Israele
Fulvio Canetti
You can print p. 100 € 9,9
Il libro “Amare Israele”, è frutto di una accurata e faticosa ricerca storica e di esegesi biblica,
fatta da un appassionato studioso di tematiche
storico-religiose, Fulvio Canetti. L’autore, medico chirurgo, classe 1939, nato da una famiglia
di ebrei sefarditi e già autore del libro “Guerra
e Shoà”, riflette sul Deicidio cioè l’accusa fatta
agli ebrei della morte di Gesù e l’innocenza di Ponzio Pilato, governatore romano. Canetti confuta questa calunnia, dimostrando come
tale “pregiudizio” nei confronti del popolo ebraico sia stato un’accusa falsa, che ha prodotto solo ostilità e avversione. L’autore invita
tutti a riflettere e a confrontarsi.
Sono sionista
Ariel Shimona – Edith Besozzi
Salomone Belforte, p. 190 €19
“ Sono sionista, ne sono fiera e felice, essere
sionista significa credere nella legittimità del
popolo ebraico di fare ritorno a Gerusalemme…” Grazie a una visita in Israele nel 2008,
Edith Besozzi scopre il profondo legame del
popolo ebraico con Israele e una nazione giovane che però non dimentica mai la propria
identità e la propria storia. Racconta poi di Tel Aviv, Gerusalemme,
del Kotel, del Mar Morto e di Nir Oz, il kibbutz al confine di Gaza.
Il viaggio di Edith si conclude raccontando la storia di una donna,
Ester: in Israele le donne sono la vita, l’essenza di un popolo, la
sua continuità.
Amos e lo smeraldo del Testaccio
Maurizio Tomasi
BastogiLibri, p. 203 € 18
Il racconto si pone a metà tra una favola magica ed un romanzo di formazione e trae la
sua ispirazione dalla passione dell’autore,
Maurizio Tomasi, per la gemmologia. Con
David Ajo’, illustratore del racconto, un'idea
narrativa è diventata un’originale avventura
letteraria. Il protagonista, Amos, rappresenta
l’alter ego non solo dell’autore ma di ciascun lettore conquistato
dal segreto dello smeraldo. Svelare l’enigma del misterioso oggetto, ben presto elevato ad “amuleto portafortuna”, influenzerà
profondamente la vita del giovane, classe 1899, orfano di entrambi i genitori, cresciuto da una zia nel Ghetto di Roma. Entrato in
possesso dello smeraldo, il ragazzo decide di dedicarsi allo studio
della mineralogia con la convinzione di fare proprio, presto o tardi,
il segreto della sua purezza.
A CURA DI JACQUELINE SERMONETA
ROMA EBRAICA
Notizie dal Consiglio
I
l Consiglio della Comunità, riunitosi lo scorso 17 maggio, è stato dedicato alla discussione e ad una prima valutazione sulle
prospettive di rilancio, ma anche sulle pesanti incognite che
pesano sul futuro di due importanti realtà ebraiche della città
“Nella nuova sede di Casina dei Vallati - ha spiegato Venezia – abbiamo allestito la mostra su Anna Frank che è stata visitata da oltre
14 mila persone. Un successo inaspettato che ci spinge a lavorare
per creare un luogo in grado di fornire aiuto e sostegno a chi vuole
di Roma: la Casa di Riposo Ebraica (oggi Residenza Sanitaria Assistenziale) e la Fondazione Museo della Shoah.
Sull’andamento economico/finanziario della Casa di Riposo vi è stata prima una relazione da parte dell’Assessore agli Enti, Maurizio
Tagliacozzo, cui sono seguiti i chiarimenti forniti dal presidente
della Casa di Riposo, David Hannuna, e dei revisori Claudio Coen,
Beniamino Fadlun e Roberto Di Veroli.
La Casa di Riposo – va ricordato - è un ente autonomo sul quale la
Cer ha solo un potere di vigilanza. La sua trasformazione da semplice ricovero per anziani a struttura sanitaria (finanziata in parte
dalla Regione), fu una scelta obbligata perché nel tempo era venuta
a calare la domanda da parte di persone anziane autosufficienti,
mentre vi è sempre più richiesta di assistenza per anziani non autosufficienti. Attualmente i posti a disposizione sono appena 20, non
consentono di ottimizzare le spese e per di più la lista di attesa, per
l’ingresso, è molto lunga. L’attuale situazione richiederà quindi, da
parte della dirigenza, scelte strategie e determinanti: o aumentare ulteriormente i posti letto fino a circa 70/80, per raggiungere un
equilibrio economico ottimizzando le spese, ma questo richiederà
importanti investimenti; o ripensare in alternativa l’intera missione
della Casa di Riposo. Tanto più che è urgente sia la nomina di un
nuovo direttore generale, sia di invertire una gestione economica
che ogni anno registra perdite per circa 500/600 mila euro, pur ampiamente coperti da crediti e in proporzione ai valori patrimoniali.
Il Consiglio della Comunità ha quindi approvato una delibera che
chiede al Consiglio della Casa di Riposo di nominare con urgenza il
direttore generale che dovrà nel giro di poche settimane presentare
un business plan, indicando una serie di ipotesi per decidere il futuro di questo Ente.
Molta incertezza pesa anche sul futuro non solo del Museo della
Shoah – i cui lavori spesso annunciati dall’amministrazione comunale, non sono mai partiti ed anzi attualmente c’è persino un ricorso
al Consiglio di stato di una ditta esclusa – ma pesanti preoccupazioni vi sono anche per il futuro della Fondazione Museo della Shoah.
Lo ha chiarito molto bene il presidente della Fondazione, Mario Venezia, che – a poco meno di un anno dalla sua nomina – ha ricordato
come la natura pubblicistica della Fondazione (ribadita dalla Corte
dei Conti), e dove i finanziamenti sono tutti pubblici, ha costretto a
interrompere tutte le collaborazioni professionali nate in passato;
nuove assunzioni potranno essere realizzate solo ed unicamente
attraverso procedure pubbliche. Ad oggi l’attività della Fondazione
si svolge quindi solo grazie all’aiuto di molti volontari, coordinati da
Massimo Moscati.
fare ricerca, e a mettere a disposizione del pubblico una quantità
di materiale documentario e di testimonianze che ci è stato donato
da oltre 130 famiglie, attraverso una mostra/documentaristica che
vorremmo allestire il prima possibile”.
Infine il Consiglio ha approvato la nomina di due nuovi Consiglieri
della Deputazione: Donatella Pajalich e Ruben Della Riccia.
G. K.
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Quale futuro per la Casa di Riposo e per la Fondazione
Museo della Shoah? La discussione è aperta
27
ROMA EBRAICA
Europa, Italia
ed impegno ebraico
Ne hanno discusso Naor Gilon,
Paolo Mieli e Riccardo Pacifici
M
olteplici sono stati i temi affrontati in una serata al
Jewish Community Center di via Balbo. “Il posto degli ebrei” il titolo del dibattito organizzato dall’Israeli
Jewish Congress. Ospiti Riccardo Pacifici, il giornalista e storico Paolo Mieli, l’ambasciatore di Israele Naor Gilon, moderati dal nostro direttore Giacomo Kahn.
Le recenti evoluzioni dello scenario internazionale, con particolare
riferimento alla situazione mediorientale, e le imminenti elezioni
amministrative sono stati i temi che si sono alternati e intrecciati
nel corso della serata.
La molla che ha stimolato l’organizzazione di un incontro di questo
tipo è stato un episodio particolare: la solidarietà data in fase di
campagna elettorale da Salvini agli urtisti. Severi provvedimenti della precedente amministrazione hanno messo in una difficile
condizione questa categoria, per la quale tutte le istituzioni comunitarie si sono spese affinché venisse tutelata; nell’atteggiamento
del leader della Lega sembrava emergere però una speculazione,
individuando il problema negli abusivi extracomunitari che avevano tolto il posto agli ebrei. Un approccio volto a cavalcare l’onda
del malcontento popolare più diffuso, condito da un linguaggio xenofobo e aggressivo.
Da qui l’esigenza di capire come gli ebrei si devono rapportare con
la società odierna: lo stesso Salvini non nasce fascista e non ha
mai fatto pensare a una posizione antisemita, mostrandosi invece
filo-israeliano; restano però ambigui alcuni suoi comportamenti.
Ma i dubbi sorgono anche rispetto ad altre aree politiche: a Milano, nelle liste a sostegno del candidato PD Giuseppe Sala, figura
fra gli altri Sumaya Abdel Qader, legata all’Ucoii – l’unione delle
comunità islamiche italiane – riconducibile all’alveo dei Fratelli
Musulmani; lo schieramento dei Cinque Stelle resta quantomeno
un’incognita e finora non ha mostrato atteggiamenti benevoli nei
confronti di Israele. Questa la situazione alla vigilia delle elezioni
amministrative che vedranno coinvolte le principali città italiane.
Interrogativi che restano irrisolti, ma per i quali il dibattito è stato
utile spunto di riflessione.
“Gli ebrei devono capire volta per volta qual è il pericolo principale
e quando inizia una fase nuova”, ha consigliato Paolo Mieli: capacità di scelta, criteri e priorità sono i concetti su cui maggiormente
si è soffermato, sia in relazione alla politica nazionale che rispetto
alle dinamiche globali, dove le divisioni nel mondo islamico rappresentano un dilemma per certi versi simile. Su questo si è soffermato anche Gilon: il contenimento dei fenomeni migratori e la
stabilizzazione del Medio Oriente sono questioni non risolvibili nel
breve periodo e con cui l’Europa dovrà continuare a confrontarsi.
E se, come ha affermato Mieli, quello di oggi è un mondo in cui
i valori sono divenuti più fragili e in cui manca una bussola per
orientarsi, la crisi delle democrazie occidentali, secondo Pacifici,
potrebbe trovare un suo modello proprio nello Stato di Israele,
dove la frammentazione etnica e politica sono da sempre motivi
costanti della società.
DANIELE TOSCANO
Yom Ha Zikaron: uniti nel ricordo
dei soldati caduti nelle guerre d’Israele
Commossa celebrazione nel cortile delle scuole ebraiche
I
l 10 maggio nel cortile della scuola ebraica, si è celebrata la
ricorrenza di Yom Ha Zikaron, il giorno del ricordo, in memoria
dei caduti nelle guerre dello Stato d’Israele.
La cerimonia è stata organizzata in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma; insieme alle diverse autorità come il presidente Ruth Dureghello, il Rabbino Capo Di Segni e i consiglieri e
consultori della CER, hanno partecipato l’Addetto Militare presso
l’ambasciata di Israele Kobi Regev, alla presenza dell’ambasciatore
di Israele in Italia Naor Gilon, i Centri Giovanili ebraici come il Benè
Akiva e la Shomer Atzair, gli alunni delle scuole ebraiche di Roma e
non potevano mancare le famiglie delle vittime, al cui dolore si sono
uniti tutti i membri della Comunità.
Nel giorno di Yom Ha Zikaron, tutti gli ebrei interrompono la loro
quotidianità per unirsi al lutto delle famiglie dei soldati che hanno perso la vita combattendo per il loro paese e in questo giorno
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Dopo i Compari, sta per nascere
la Società delle Commari
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Un’associazione che si dedicherà all’impegno,
alla beneficienza ma anche ad un sano divertimento
A
lcuni certamente conoscono Sabrina Mieli, party planner romana di 46 anni. Una donna che si prodiga sempre ad aiutare il prossimo e cerca di farlo in maniera
sempre originale con eventi e manifestazioni. Forse è
proprio il suo estro creativo, che l’accompagna nel suo lavoro, a
farle venire in mente sempre splendide idee come quest’ultima:
la società delle Commari, ovvero la versione femminile della Società dei Compari.
“Con l’aiuto di Alberto Zarfati Barbanera e supportate da Riccardo
la Comunità Ebraica di Roma ha voluto ricordare questi ragazzi,
ascoltando il suono della sirena e con una serie di canti e letture
(terminati ovviamente con l’Atikva, simbolo di speranza) proprio
all’interno della scuola che è il cuore della Comunità, dove si insegna ai ragazzi il valore dell’essere ebrei e si trasmette il legame
verso Israele.
GIORGIA CALÒ
Pacifici, stiamo redigendo uno statuto con regole precise”, ci racconta durante il nostro incontro. Proprio come i compari, le commari si autotasseranno. L’iniziativa è partita da poco e ci sono ancora
tante cose da sistemare per rendere tutto perfetto. Care donne, se
state leggendo questo articolo e se siete interessate a farne parte
potete presentare regolare domanda che verrà esaminata da un
comitato. Proprio perché nato da poco, il comitato è temporaneo
e al momento è presieduto dalla vicepresidente Graziella Mieli e
rappresentato da diverse personalità femminili come Giulia Pavoncello, Alexia Mieli, Giordana Caviglia e Barbara Terracina. L’obiettivo che si prefiggono è improntato sull’importanza della Tzedakà.
Infatti il loro scopo sarà quello di aiutare tutte le persone che in
questo periodo economico sono in difficoltà. Il bene genera bene e
loro ne sono la dimostrazione vincente. Kol hakavod.
MIRIAM SPIZZZICHINO
Tra le vie di Portico d’Ottavia
la tradizionale festa di Yom haHatzmaut
Foto: A. Nacamulli
Buon compleanno
È festa per i 68 anni
dell’indipendenza di Israele
Con l'Italia ‘relazioni eccellenti’
O
ltre un migliaio di ospiti hanno partecipato lo scorso
16 maggio ai festeggiamenti all’hotel Cavalieri Hilton
di Roma in occasione dei 68 anni dell’indipendenza di
Israele. Esponenti del mondo politico, diplomatici, rappresentanti della comunità ebraica hanno ascoltato, dopo gli inni
nazionali, il discorso dell’’ambasciatore in Italia Naor Gilon che,
Foto: S. Meloni
M
in conclusione del suo mandato, ha sottolineato le relazioni “eccellenti” tra i due Paesi ricordando di aver avuto “l’onore di accompagnare in Israele tre primi ministri - in Italia come in Israele
cambiano spesso - Letta, Monti e Renzi”. In questi anni in Italia ci
sono stati molti risultati e tra tutti è impossibile non ricordare il padiglione israeliano all’Expo, uno dei più visitati”, ha detto ancora il
diplomatico, che ha evidenziato la collaborazione stretta tra Italia
e Israele in tutti i campi, dall’accademia al turismo. “Lo scorso
anno – ha sottolineato Gilon - mezzo milione di israeliani, il 6%
della popolazione, ha visitato l’Italia”. Gilon ha quindi ricordato la
conoscenza, ormai diffusa in Italia, “di Israele come Paese dell’innovazione”. “Dopo quattro anni e mezzo - ha detto ancora - spero
di aver contribuito anch’io al rafforzamento dei rapporti. In Italia
lascio un pezzo del mio cuore”.
Tra le tantissime personalità del mondo economico ed esponenti
del mondo politico, i ministri Maria Elena Boschi e Roberta Pinotti, i vicepresidenti del Senato Maurizio Gasparri e Linda Lanzillotta, il candidato sindaco di Roma Roberto Giachetti e i presidenti della regione Lazio e Veneto, Nicola Zingaretti e Luca Zaia.
Presenti anche i presidenti delle Commissioni Esteri di Camera
e Senato Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando Casini, Gianfranco
Fini, Mara Carfagna.
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
ercoledì 11 maggio l’allegria legata a Yom Ha atzmaut
ha invaso le strade romane per il 68esimo anniversario dell’Indipendenza dello Stato di Israele.
Diverse iniziative hanno preceduto la festa serale,
prima fra tutte la tradizionale cerimonia al Tempio Maggiore per la
Tefillà di Arvit. “Chi, nel 1550, poteva immaginare che avremmo
avuto oggi un nostro Stato?” si è rivolto al pubblico Rav Di Segni
dopo le toccanti melodie eseguite dal coro, tra le quali alcune parti
dell’Hallel e di Lechà Dodì. “Eppure ci speravamo, continuavamo a
chiederlo nelle nostre preghiere, e questa è la grandezza della nostra storia e della nostra comunità, l’essere determinati a rendere
l’impossibile realizzabile” ha ribadito, sottolineando “il coraggio
dei dirigenti israeliani che 68 anni fa annunciarono l’indipendenza
nonostante i nemici che ci circondavano pronti a calpestarci” e
ricordando che “Israele deve essere difesa in tutti i modi” e di
essere quindi “sempre vigili”.
Le vie del nostro Portico d’Ottavia hanno dunque accolto diversi
stand legati all’identità ebraica e sionista e accompagnato i visitatori attraverso le realtà più intime della Comunità. La festa ha
abbracciato giovani e anziani, ebrei e curiosi ribadendo la dinamicità della Comunità, che non si arrende di fronte a vecchie e
nuove minacce. L’atmosfera era infatti ricca di gioia: i ragazzi nei
capanni dei movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Bnei Akiva;
le persone ad intrattenersi davanti agli stand della scuola Vittorio
Polacco o del Pitigliani o del Maccabi; quello di Masa ribadiva le
opportunità di crescita e di sviluppo che uno stato moderno come
Israele può offrire.
Protagonista indiscusso della serata è stato il Jewish Musical Festival: organizzato dal Dipartimento Educativo Giovani, il Festival
ha rallegrato i presenti nel corso della serata con esibizioni dei
diversi ragazzi in competizione. Il palco ha inoltre goduto della
presenza della musica dal vivo della Josi Band e della conduzione
dell’ex partecipante ad XFACTOR Albania, Manuel Moscato.
A scegliere tra i migliori interpreti la giuria formata da: il Maestro Claudio Di Segni Direttore del Coro Tempio Maggiore, Alberto
Mieli professore del Liceo Renzo Levi e musicista e la professoressa Luisa Basevi insegnante di ebraico del Liceo Renzo Levi. I premi
finali sono stati così assegnati: Trofeo Jewish Music Festival 2016
a Elisabeth Anav per la sua incantevole voce e l’interpretazione
del brano “Cochav”; “Premio Koro Ha-Kol”, Shulamith Di Castro;
“Premio Creativity” a Sara Moscati per l’interpretazione più creativa del brano musicale con “Lehi shtatot lif’amim”; il “Premio
Testo e Parole” a Noah Debash che ha cantato “Vrau Vanim”. Si
aggiudica il “Premio Speciale del Pubblico” votato su Facebook
durante la serata finale, Odaya Hacmoun con la canzone “Petach
livchà” di David D’Or. Infine vince una borsa di studio assegnata dalla Comunità Ebraica di Roma per lavorare nel Dipartimento
Educativo Giovani, Riccardo Della Rocca che ha cantato e suonato
dal vivo il brano “Ani Yhudì” di Aric Einstein.
Non poteva mancare ovviamente il cibo, offerto generosamente
da Roger Hassan, che insieme ai tanti altri volontari (da Mino Fadlun per l’impianto elettrico a Nico Celano per l’audio, e a tutti gli
uomini della sorveglianza) hanno consentito la riuscita della festa.
MICOL SONNINO E JOELLE SARA HABIB
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ROMA
LIBRIEBRAICA
Zikaron Basalon,
il ricordo in salotto
Viene da Israele un modo originale di
raccontare la Shoah: i sopravvissuti
incontrano i giovani nelle case.
A Roma le prime iniziative
I
n occasione di Yom ha Shoah la Comunità Ebraica di Roma ha
portato in Italia l’iniziativa Zikaron Basalon, “Ricordo nel salotto”, un progetto nato in Israele nel 2010 e già esportato in
diversi altri paesi, in cui i sopravvissuti alla Shoah – ospiti di
salotti in case private - raccontano ai giovani la loro terribile esperienza. Si tratta di una nuova forma di trasmissione della memoria
che ha un carattere più familiare, diretto e che salta così tutte quelle
procedure istituzionali che alla lunga tendono a svilire o comunque
a raffreddare l’importante passaggio della testimonianza.
L’idea di portare anche in Italia questa esperienza è nata grazie
alla segnalazione di Micol Debash, una ragazza italiana che si è
trasferita da poco in Israele e che ora sta affrontando il periodo di
leva, dopo che quest’ultima aveva partecipato a uno degli incontri
in Israele, restandone positivamente colpita per la poca formalità e
per il coinvolgimento diretto dei giovani. A Roma il progetto è stato
realizzato insieme dal Centro di Cultura e da Delet, Assessorato ai
Giovani della Comunità.
In ognuno dei cinque salotti messi a disposizione da alcune famiglie
della comunità romana un tutor ha introdotto un testimone della
Memoria: Mario Venezia ha introdotto la scrittrice di origine ungherese Edith Bruck nella casa di Sira Fatucci; Giorgia Calò e Giordana
Moscati erano ospiti di Roberto Di Porto con Piero Terracina; Sandra
Presentato “L’interprete
di Auschwitz”
Gabriele Rigano ripercorre
la storia di Arminio Wachsberger
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
I
30
l 4 maggio a Casina Dei Vallati in Largo 16 ottobre, sede provvisoria della
Fondazione del Museo della Shoà, è
stato presentato il nuovo libro di Gabriele Rigano: “L’interprete di Auschwitz”.
Il libro racconta la testimonianza di Arminio Wachsberger che venne arrestato dai
nazisti a Roma il 16 ottobre 1943 e deportato ad Auschwitz perché ebreo. La realizzazione del libro è stata possibile non solo
grazie alle fonti di Archivio, ma anche alle
testimonianze rilasciate dal protagonista
stesso nelle numerose interviste a partire
dal 1955.
Arminio fu uno dei pochi sopravvissuti
al campo di sterminio di Auschwitz, e da
subito volle testimoniare sulle travagliate vicende della sua vita, tramite la parola e la scrittura. La sua intraprendenza e
la conoscenza delle lingue gli permisero
di guardare e raccontare gli eventi da un
punto di vista privilegiato: quello dell’interprete tra i deportati e le autorità naziste.
Conobbe personalmente sia il comandante
del campo, Rudolf Hess, sia il famigerato
dottor Mengele, tristemente noto per i suoi
esperimenti su cavie umane. È straziante
Terracina ed Enrico Modigliani hanno introdotto Alberto Sed nella
casa di Giuseppe Piperno; nel salotto di Elvira Di Cave era presente
Sami Modiano; infine Marika Venezia, moglie del compianto Shlomo, era dalla famiglia Arbib. Il giornale Shalom ha avuto la possibilità di seguire proprio quest’ultima insieme alla Presidente della
Comunità Ruth Dureghello e al Direttore del Dipartimento di Cultura Ebraica Claudio Procaccia. Dopo una breve introduzione di Ruth
Dureghello, Marika Venezia ha descritto a lungo le atrocità a cui ha
assistito il marito durante il periodo in cui ad Auschwitz era costretto a lavorare come Sonderkommando, l’unità speciale composta da
internati ebrei che si occupava della pulizia delle camere a gas e
dei forni crematori. Le circa venti persone che hanno partecipato al
progetto sono rimaste in religioso silenzio per la maggior parte del
tempo ma verso la fine della serata hanno iniziato a porre diverse
domande. In particolare molti si sono concentrati sul perché Shlomo
avesse scelto di rimanere in silenzio per quarantasette anni e cosa
avesse scatenato in lui la voglia di parlare dopo tutto quel tempo.
“Le svastiche disegnate sui muri di Roma” è stata la risposta di
Marika che ha poi evidenziato come il primo viaggio ad Auschwitz
da testimone abbia alleggerito, sebbene di poco, il cuore del marito.
Infine i ragazzi più giovani hanno dato vita ad un vivace dibattito sul valore della testimonianza e sull’attualità dell’argomento in
relazione a ciò che sta accadendo in Siria nei territori dominati dal
Califfato Islamico. Nell’accesa discussione sono emersi anche pareri
discordanti ma indubbiamente i partecipanti hanno avuto un’occasione unica, un’esperienza da tramandare nel tempo per far sì che
“mai più” non sia solo un vuoto slogan da ripetere nelle ricorrenze.
MARIO DEL MONTE
il racconto di quando proprio quest’ultimo
gli rivelò la sorte della sua famiglia. “Noi
abbiamo bisogno solo di bestie da lavoro
– gli disse Mengele, impassibile – quindi
quelli che non possono lavorare vengono
eliminati. La bambina di cinque anni [sua
figlia Clara] non ci serve quindi la eliminiamo e anche la madre, sapendo che la propria figlia è
stata ammazzata, non può più
lavorare”.
Dopo la guerra Wachsberger venne poi chiamato in
più occasioni a testimoniare
nei processi che si svolsero
a Dachau contro le SS e i militari addetti al campo. “Ne
abbiamo riconosciuti diversi
e al Tribunale abbiamo narrato in quale maniera bestiale
questa gente si è comportata
con noi”, ha raccontato. Ma
negli anni ebbe modo anche
di testimoniare in difesa di quei tedeschi
che, ricoprendo posti di responsabilità nel
sistema concentrazionario, avevano invece
aiutato i prigionieri dei campi. Fu proprio
la partecipazione ai processi di Dachau a
convincerlo di quanto la memoria della sua
esperienza fosse importante sia a livello
giudiziario che civile.
Alla presentazione del libro, insieme all’autore, hanno partecipato il presidente della
Comunità Ruth Dureghello, Mario Venezia,
presidente della Fondazione Museo della
Shoà, Ruben Della Rocca, vice presidente
della Cer, oltre agli oratori che hanno analizzato diversi contenuti del libro: rav Riccardo Di Segni, Marina Beer, storica di letteratura italiana e Andrea Riccardi, storico
e presidente della Società Dante Alighieri.
La scelta di Casina dei Vallati
come location è molto significativa, in quanto è molto importante mantenere i luoghi
della memoria; presentare un
libro sulla Shoà onora la memoria di quelli che non sono
tornati e rappresenta la ripresa della Cultura che ci era stata portata via con il sequestro
e il rogo dei libri sacri come il
Talmud.
Arminio Wachsberger ha
avuto un ruolo fondamentale
nel combattere la tentazione
dell’oblio che ha coinvolto
anche molti ex deportati i quali, spinti dal
desiderio di ricominciare al più presto una
vita normale, scelsero il silenzio.
Il libro di Rigano parte dalla necessità di
superare una volta per tutte la contrapposizione tra i testimoni e gli storici. Poiché
senza l’apporto della memoria, come spiega lo stesso Rigano, la storia rischia di perdere la capacità di penetrare i sentimenti e
gli stati d’animo.
GIORGIA CALÒ
B
Ruoli e funzioni per i Musei
che raccontano la Shoah
isogna ridefinire il concetto di Museo a partire dall’analisi dello stesso significato della parola. Esso è tradizionalmente inteso come un’istituzione permanente al servizio
della società e del suo sviluppo con il fine di conservare le
testimonianze materiali e immateriali della società. Tale concetto si
espone a correzioni non richiamandosi a un’esposizione asettica di
oggetti ma diventando viva testimonianza di un passato che incide
ancora sul presente.
Questa è la linea guida del dibattito che si è svolto lunedì 2 maggio
a Roma. Il convegno Quale memoria, per quale società? intendeva
analizzare il ruolo dei musei della Shoah nel mondo contemporaneo.
Con i saluti istituzionali del Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini e il presidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, cui sono seguiti
la lectio magistralis di George Bensoussan, i saluti delle fondazioni
italiane e gli interventi di diverse figure di spicco, si è tentato di
dare voce ai problemi comunicativi cui l’ebraismo italiano va incontro: la difficoltà di trovare un modo più che mai rigoroso per esprimere il proprio passato e rendersi comprensibile ai più. Sia lo storico
Bensoussan sia il presidente del MEIS (fondazione Museo nazionale
dell’Ebraismo italiano e della Shoah) Dario Disegni hanno insistito
su uno dei pericoli sempre più incombenti: la possibilità reale di
presentare gli ebrei soltanto come vittime con la conseguente distorsione del resoconto storico. Si presenta così il rischio di cristallizzare il passato rendendolo più immaginario che reale.
I vari musei o memoriali che nascono sul suolo italiano hanno l’obiettivo comune di promuovere attività didattiche che permettano
S
Addio Greg,
uomo buono
e ne è andato tra lo stupore di tutti, Gregory Manoliou, per gli amici
Greg, che per diversi anni è stato
il portiere delle scuole ebraiche al
Portico d’Ottavia.
L’aveva conosciuto l’ex presidente Riccardo Pacifici come un “clandestino rumeno”
una ventina di anni fa, con cui legò subito
e si avvalse di lui come factotum per diverse attività: da autista a muratore, da
portiere ad accompagnatore. Gli diede
subito l’incarico di rimettere su, con pala
e vernice in mano, gli ambienti fatiscenti
di quello che sarebbe stato il locale a Via
Fonteiana che ospitò il primo Beit Michael
nei primi anni del Duemila. Dimostrando
da subito una disponibilità non comune
che non conosceva né riposo né alcuna
sorta di giustificazione a non essere presente, Greg si rimboccava le maniche a
ogni richiesta, e si metteva a lavorare con
estrema umiltà e professionalità. Sempre
con il sorriso genuino sulle labbra che
metteva l’interlocutore a proprio agio.
Così Pacifici lo ricorda: “Ha dormito per
anni nei miei diversi uffici. Un uomo di
una dignità rara. Sapeva vivere con poco
e se contraeva un debito non vedeva l’ora
di onorarlo. Parlava sette lingue ed era un
uomo di cultura. Chiunque si è avvicinato
di far conoscere la storia e la cultura dell’ebraismo coniugandole
con le peculiarità che ogni città presenta.
Il MEIS occupa l’ex zona carceraria di Ferrara e l’intento principale
è quello di diventare un centro di aggregazione e di produzione
di cultura e ricerca sempre pulsante. Il Memoriale della Shoah di
Milano si presenta come luogo dalla luce soffusa in cui non vi sono
esposizioni: è esso stesso a mostrarsi come testimonianza dei fatti
che vi si sono svolti, a esso verrà annessa una biblioteca non appena si avranno i fondi necessari. La Fondazione Museo della Shoah
di Roma si presenta in modo ancora diverso: intende mostrare il
legame con il territorio romano e simbolo del connubio è la sede
momentanea Casina dei Vallati che, data la centralità della sua
ubicazione, ospita visitatori da tutto il mondo. Il CDEC di Milano
(fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea)
invece ha come scopo “la raccolta e catalogazione di documenti
riguardanti le persecuzioni in Italia e la Resistenza” e svolge l’attività di ricerca scientifica e di divulgazione della storia ebraica
contemporanea.
Il museo svolge così un’ulteriore funzione rispetto a quella che aveva in passato, mostrandosi principalmente come luogo di educazione oltre che di catalogazione. Esso deve voler dialogare con la realtà
che lo circonda altrimenti la chiusura nell’autoreferenzialità appare
inevitabile. Dunque non deve esservi sacralizzazione ma pura interazione. Il richiamo alle Stolpersteine (pietre d’inciampo) risulta
calzante: queste sono opere che inducono chi vi si imbatte a fermarsi e riflettere così come il Marco Aurelio che si erge a piazza del
Campidoglio, che ben si inserisce nel contesto urbano circostante
chiedendoci ammirarne l’armonia. Il fine del Museo dovrebbe esser
proprio questo: educare presentandosi non solo come insieme già
prestabilito di oggetti ma rinnovandosi sempre in funzione al territorio in cui si trova e alle esigenze di chi vi si imbatte.
MARTA SPIZZICHINO
a lui gli è divenuto amico. Era impossibile
non esserlo. Lascerà un gran vuoto”.
Con l’accorpamento delle nuove scuole in
Piazza, nel corso dell’ultimo decennio la
sua figura è divenuta un volto pubblico
che tutti gli studenti hanno conosciuto,
essendo l’uomo con il sorriso che dava il
buongiorno a chi varcasse l’ingresso della nuova scuola. E la prova della simpatia
che riscuoteva se ne è avuta alla notizia
della sua dipartita: un fiume di necrologi e
ricordi sui social network hanno accompagnato la sua salita in cielo, in cui si è messa in evidenza la gentilezza e l’altruismo
come caratteri strutturali della sua figura.
JONATAN DELLA ROCCA
In ricordo di Greg
H
o avuto modo di conoscere Gregory Manoliou, ma per tutti noi
Greg, nei primi anni del 2000,
quando iniziai a frequentare il
nuovo Tempio di Monteverde Beth Michael in Via Fonteiana. Greg era la persona
di riferimento per ogni lavoro di piccola
manutenzione o se occorreva un aiuto.
Quando nel 2006 mi venne conferita la
Presidenza della Vaadà del Bet Michael,
trovai un grande supporto in lui, che si
dimostrò sempre presente per ogni esigenza materiale del Tempio, il tutto con
mirabile cortesia e gentilezza. Fondamentale era ogni anno il suo apporto per la
costruzione della Sukkà alla quale, non so
perché, si arrivava ogni volta con una corsa all’ultimo istante, ma è sempre stata
pronta per l’entrata di Moed, permettendo ai frequentatori di svolgere la Mitzvà.
Anche quando venne assunto alle nostre
Scuole non ci lasciò soli e, pur se in modo
ridotto a causa delle sue condizioni di salute, si rese ancora disponibile e sempre
presente per lo Shabbath. Con molta tristezza ricordo il 7 Febbraio 2016, l’ultimo
compleanno festeggiato insieme, dove i
segni della malattia che lo affliggeva si
erano fatti più incipienti e visibili. Ci ha
lasciati alla metà di maggio ed è stata una
grande perdita per noi tutti.
CLAUDIO MOSCATI
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Quale memoria, per quale società?
31
ROMA
LIBRIEBRAICA
I quattro figli presenti
in ognuno di noi
Il rapporto tra educazione
e Seder di Pesach: prosegue il ciclo
di lezioni del prof. Gavriel Levi
C
ontinuano le lezioni mensili del professor Gavriel Levi
sulla Torà e l’educazione ebraica, e, a ridosso di Pesach, protagonisti non potevano che essere i quattro figli
dell’Haggadà.
“Difficile sostenere che si tratti di 4 bambini nettamente separati
ed identificabili”, mette subito in chiaro Levi, “piuttosto, parti diverse che si trovano in ognuno di noi in quantità differenti”.
“Tutta la situazione del seder di Pesach è costruita per il bambino,
perché non si addormenti”, puntualizza, “gli si deve cominciare
a raccontare la storia di Pesach sin da quando sarà in grado di
masticare la carne arrostita, come quella che veniva mangiata
come korban pesach, e le domande di manishtana, che servono
per scuoterlo, non sono per niente stupide. Il Seder è poi per lui
fonte di un altro grande insegnamento - in questa serata le regole
della Torà prevalgono su quelle del galateo, e sono differenti da
quelle del resto dell’anno, insegnandogli che la regola del mondo
non è quella della Torà, ed anche questa è messa talvolta in discussione”.
“Non si può rapportarsi con un bambino se non trovando la parte
identica dentro di noi, i bambini sono tutti diversi l’uno dall’altro, tutti e 4 hanno i loro problemi, ed un genitore, un educatore,
deve sapersi identificare con tutti e 4 in maniera profondamente
diversa” continua poi, cominciando a parlare del Chacham, primo
nell’Haggadà ma ultimo a comparire nella Torà, dove l’ordine, e le
risposte date, sono totalmente diverse. “La Torà inserisce altri due
concetti nel brano che non leggiamo, si ripetono le espressioni ‘mitzva’, e ’tov ve yashar- l’essere buoni e retti’ - questi, i possibili rischi del sapientone: sa tutto, ma non capisce che non ha senso seguire minuziosamente l’halachà se non si è nella vita ‘una persona
buona e retta’, sa tutto, ma gli manca il senso della mitzvà, regalo
ma anche obbligo, che potrebbe pensare di fare solo nel modo che
gli sembra più giusto, quando gli viene spontaneo, mentre secondo la Torà è più meritevole proprio chi le fa perché obbligato”.
Il seder dei più piccoli
Nel cortile della scuola i bambini
hanno letto tutta l’Hagadà
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“U
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na normalità per Roma ma sicuramente non per
me” dice del Seder di Pesach delle elementari rav
Colombo, che ammette di non aver “mai visto bambini dai 7 ai 11 anni tenere interamente un Seder,
cantando perfettamente tutta l’Hagadà, senza sbagliare nessuna
parola”. “Mai avrei immaginato tanto coinvolgimento e capacità”
ribadisce “sono loro ad averlo condotto, io ho solo ascoltato”.
Per tutto il mese precedente Pesach i bambini hanno preparato
l’Hagadà in classe, sotto la guida delle morot, “ognuno dei partecipanti al seder ha avuto inoltre una piccola parte da protagonista”
aggiunge la direttrice Milena Pavoncello, “c’è chi ha intonato un
canto e chi ha spiegato un brano”, spiega “fino ad arrivare ai bambini di prima, che hanno recitato la traduzione di Ma Nishtanà”.
Il Seder, finito ben oltre la mezzanotte, è stato inoltre, ricorda Colombo, scenario di episodi simbolici e molto divertenti. “Una cosa
che mi ha fatto molto piacere è stata la premura dei bambini nel
mangiare le esatte quantità di matzà e maror, spesso considerate
esagerate da parecchi adulti, che con difficoltà arrivano a mangiare
tutto il prescritto, i bambini invece, per essere sicuri di mangiarne
L’Haggadà invece - spiega il professore - dove si dice di spiegargli
tutte le halachot, ed esplicitamente quella dell’afikomen, mette
l’accento sul suo altro punto debole. Scopo dell’afikomen è farci
rimanere col suo sapore in bocca tutta la notte, ed al Chacham è
proprio il sapore della mitzvà che potrebbe venire meno.
Primo nella Torà è invece il Rashà, ”primo, perché ognuno di noi
corre il rischio di perdersi, come yehudi, ed essere umano”, considerato però “non una condizione definitiva”, la cui caratteristica
principale consiste “nell’uscire da una logica collettiva. ‘Per voi
e non per lui’ dice, lui si dissocia, ma questo indica che noi non
siamo stati capaci di metterlo dentro, la cosa da fare per includerlo
è creare con le mitzot un legame e non un’imposizione, lui deve
trovare la sua Torà, ma noi dobbiamo fornirgli gli strumenti”.
A venire dopo il rashà è nella Torà il ‘sheeno iodea lishal’, quello
che non sa domandare, perché timido, vergognoso, abituato ad
avere le risposte pronte senza nessuno sforzo, “veramente un
passetto dopo il Rashà”, la cui risposta dell’Haggadà è mirata a
fargli vedere e considerare le cose in maniera diversa - “’aprigli la
bocca’: insegnagli a fare domande” - e non riguarda più il passato,
come quella del Rashà dove si ricordava l’uscita dell’Egitto, ma il
futuro, con l’obbligo di mangiare, di generazione in generazione,
matzà e maror.
Ultimo ad essere esaminato il Tam, che compare nella Torà, di
fronte a mitzvot non legate al contesto di Pesach: il riscatto di un
primogenito, umano od animale, ed i tefillin. Mitzvot fuori tempo, una molto rara, una molto frequente. “Dal punto di vista di un
bambino entrare nel mondo delle mitzvot è scoprire lo strano, il curioso, come il riscatto, ma è importante anche il legame con la vita
quotidiana, rappresentato dai tefillin”. In questo caso, al bambino
semplice, “un po’ imbranato”, si insegnano a creare i collegamenti, lo si include, non nella collettività come il rashà, perché già ci
è dentro, ma nell’interesse, gli si fa capire “cos’ha tutto questo a
che fare con lui”.
JOELLE SARA HABIB
abbastanza hanno addirittura rubato il mio maror” racconta, senza
tralasciare il fatto, che ad un certo punto, sia stata un’allieva di seconda a dare il segno a lui.
Un vero ‘successo della scuola ebraica’, come lo definisce Colombo,
insomma, a cui hanno partecipato 84 ragazzi ed 80 adulti.
JOELLE SARA HABIB
Elenco enti ebraici iscritti agli elenchi del cinque per mille Comunità Ebraica di Roma
80199210586
Adei wizo
80173910151
Asili infantili israelitici
80208870586
Centro ebraico italiano Pitigliani
80069210583
Deputazione ebraica ass.Serv.Sociale-Roma
02069920581
Fondazione beni culturali ebraici in Italia
96196480584
Fondazione CDEC
97049190156 Fondazione Elio Toaff per la cultura ebraica
97289760585
Fondazione Keren Kayemeth Leisrael
97611940582
Fondazione museo della Shoah - onlus
10092001006
Hashomer hatzair
97105840157
O.S.E. Italia
80191190588
Shirat ha-yam onlus
97567860586
Elenco enti ebraici iscritti agli elenchi del due per mille Coro col ha tikwa’
90130790323
Fondazione CDEC
97049190156 G.E.E.D.I hashomer hatzair roma
97559140583
Il rapporto-genitori figli: ogni età
ha diritto ad una risposta
l ciclo di incontri a sostegno della genitorialità si è concluso
con una bellissima lezione di Rav Reuven Colombo sul rapporto
genitore-figlio. Sembra un discorso scontato, ma lo è stato ben
poco. L’educazione, in ebraico chinuk, è vista dai rabanim come
qualcosa che inizia e rimane per tutta la vita, è come dare una definizione a un oggetto. Tramite commenti della Torah e midrashim
Rav Colombo ha spiegato l’educazione dei figli con una bellissima
similitudine: “l’uomo è come l’albero di un campo”, tale pianta va
seminata in un determinato momento, così da poterla veder crescere fino a diventare un albero, ma se fatto nel momento sbagliato
viene distrutta. Allo stesso modo vanno educati i figli, a questi gli
insegnamenti vanno dati in una certa fase della loro crescita o si
rischierebbe di svuotarli, ovvero renderli automi anziché persone
pensanti. Il genitore da il seme al bambino, così che questo possa
raccoglierlo per far nascere e crescere la propria identità. Ci sono
quindi due elementi fondamentali nell’educazione: il senso di costruzione (dare il seme nelle fasi della crescita) e il senso di fioritura
(far crescere il seme e quindi l’identità).
Successivamente Rav Colombo ci ha spiegato qual è una buona
strada formativa secondo l’ebraismo, mostrandoci le regole comportamentali verso i figli e la loro spiegazione.
Ovviamente due questioni fondamentali nella crescita del proprio
bambino sono l’amore e l’esser d’esempio, poiché senza di queste
un genitore non potrebbe esser definito tale. Il terzo punto è il dovere di spiegare: non bisogna mai dire a un bambino “te lo spiegherò
quando sarai grande”, in quanto se questo chiede spiegazioni vuol
dire che ne ha bisogno ora e un momento futuro può essere un momento sbagliato; bisogna quindi dare una risposta adatta alla sua
età. La punizione viene invece spiegata dal verso “chi risparmia il
bastone odia suo figlio”, ma si parla di colpire fisicamente il proprio
figlio? In questo caso il bastone è benevolo, rappresenta il sostegno
e la guida che un genitore deve essere durante la crescita; il padre
e la madre saranno come pastori per le loro pecore. Una cosa ancor
più sbagliata di colpire è quella di urlare con la conseguenza di svergognare il bambino, poiché le cose dette con durezza non vengono
ascoltate bensì eseguite come una costrizione.
L’ultimo punto è la compartecipazione: l’azione crea sentimento
nel cuore e non il contrario. Portare, per esempio, il proprio figlio
al tempio quando è ancora troppo piccolo lo annoia, in quanto non
può ancora capire cosa sta realmente accadendo intorno a lui e non
comprendendolo crescerà con lui l’idea sbagliata che si è creato;
questo seme dato troppo presto distrugge il rapporto del bambino
con il tempio e quindi il bambino stesso.
Con questa lezione si è quindi concluso il ciclo di lezioni sulla genitorialità. Si è partiti dai disturbi dell’apprendimento, per poi parlare
di nutrizione, ADHD, approcci optometrici e infine si è concluso con
Rav Colombo, Direttore delle materie ebraiche delle scuole comunitarie.
Io ho vissuto tutta questa esperienza da educatrice del Dipartimento Educatrice Giovani CER e mi è servita tantissimo, sia per
me stessa che per migliorare l’efficacia del mio lavoro, in quanto
ho imparato come comportarmi nei confronti dei bambini, ragazzi,
adulti e come cogliere segnali di disagio o incomprensione, spesso
piccoli dettagli che hanno grandi conseguenze.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo della squadra di insegnanti, educatori, rabbini, consulenti, professionisti e genitori che ci ha seguiti durante tutti gli incontri, con le loro storie e
le loro esperienze ci hanno reso tutto ciò che poteva sembrare una
spiegazione fatta in aula qualcosa di concreto, reale e quotidiano.
ARIANNA ZARFATI
Consegnata la semikah
a rav Jacob Di Segni
L
o scorso 25 maggio, nel Tempio Maggiore in occasione
della festività di Lag BaOmer, si è tenuta la suggestiva
cerimonia di consegna della semikah, con il titolo di
chaham, al neo rav Jacov Di Segni e direttore dell'ufficio
rabbinico. Proprio traendo spunto dalla festività, rav Jacob Di
Segni - ricordando un passo del Talmud - ha indicato il suo impegno: "se una persona ha studiato Torah quando era giovane deve
continuare tutta la vita fino alla vecchiaia, e così se uno ha avuto
allievi in gioventù deve continuare ad averne per tutta la vita".
La nomina di un nuovo rabbino - ha spiegato il rabbino capo rav
Riccardo Di Segni - è un evento che deve essere festeggiato
dall'intera comunità e ha ricordato, proprio collegandosi alla
festività di Lag BaOmer, che in questo giorno cessò un’epidemia
che aveva causato la morte di 24.000 allievi di Rabbi Akiva, morti
perché non "dimostravano rispetto l'uno per l'altro". "Ognuno di
essi voleva essere l'allievo migliore di rabbi Akiva, procurando
solo litigi e inimicizie invece che un incremento dello studio. Tra
loro - ha spiegato - "mancò il significato vero dello studio della
Torah, uno studio sempre collettivo, di gruppo, in cui si gioisce
dello studio e dei progressi degli altri poiché è grazie a questo
scambio che si porta avanti la tradizione". A completare la festa
anche la cerimonia di apposizione del nome e di benedizione
(zeved habat) alla neonata, figlia di rav Jacob Di Segni, Rachel
Dora Simchà. Auguri al neo rav e alle famiglie.
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I
Una lezione di rav Roberto Colombo
ha concluso il ciclo sulla genitorialità
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ROMA
LIBRIEBRAICA
‘Tanto a mi ‘un me tocca’:
quando l’orientamento sessuale
diventa dramma familiare
Sul tema dell’omosessualità l’ultima
commedia curata da Alberto Pavoncello
N
onostante la breve durata, uno spettacolo “pieno di contenuti” - come lo definisce la presidente della CER Ruth
Dureghello - la rappresentazione de “L’altra parte di me:
l’omosessualità”, quarto appuntamento della serie ‘Tanto a mi ‘un me tocca’, portato in
scena da Alberto Pavoncello con
la sua ‘compagnia quasi stabile’,
in collaborazione con il Centro
di cultura, con aiuto alla regia e
direzione di scena di Sara Moscati, coordinamento tecnico di
Antonio Rizzuti ed interpretato
da Leda Moscati, Alba di Cori,
Daniele Secci, David Halfon, Simone Careddu, Valentina D’Antonio e Emanuele Pirocchi.
Lo spettacolo mostra Emma,
sposata, madre di due figli, scoprire tramite un amico del figlio l’omosessualità del marito, che si rivela in terapia, ormai da qualche
anno, con una psicologa per venire a termini col suo orientamento
sessuale. Il figlio più grande, residente in Israele sembra accettare
con relativa facilità la situazione, più difficili sono le cose per Emma,
ma perno centrale della rappresentazione, cruccio della scombussolata madre di famiglia, è soprattutto come spiegare tutto ciò al
figlio di 13 anni.
È poi seguito alla rappresentazione un talk, iniziato da Cecilia Angrisano, giudice presso il Tribunale dei minore de L’Aquila, che ha
sottolineato - attingendo dalla propria esperienza personale a casi
in cui situazioni “drammatiche e gravose per chi le vive” come questa, siano state gestite male, con i figli a pagarne le conseguenze
- come quello proposto dalla sceneggiatura, sia “un saggio consi-
glio”, in quanto “cambiamenti così repentini” nella quotidianità di
un ragazzo, siano per lui “devastanti sotto un profilo psicologico”.
È stato poi il momento di Gianni Dattilo, psicoterapeuta, che ha
esaminato la questione dal punto di vista clinico, chiarendo innanzitutto agli spettatori la differenza tra identità sessuale - di natura
prettamente biologica, maschile o femminile -, identità di genere
- “tutta la costellazione psichica che vi si forma intorno, il sentirsi
‘maschiaccio’, o ‘femminuccia’, a volte anche contrariamente ai dati
biologici” - e l’orientamento sessuale. Mettendo in luce “la delicatezza ed equilibrio del non giudizio” esibito dalla sceneggiatura, ha
poi proceduto a sfatare alcuni dei più diffusi miti riguardanti l’omosessualità, ancora considerata una ‘perversione sessuale’ al tempo
dei suoi studi universitari, ora
fortunatamente, completamente
depatologizzata.
Benedetto Carucci ha invece subito puntualizzato, “per evitare
gravi malintesi”, di non parlare in questo contesto in veste
di Rav, enfatizzando anche lui
come “priorità assoluta, dal punto di vista del diritto e del buon
senso” debbano essere la serenità e tutela del minore, spesso
invece vittima, anche alludendo
a contesti più ampi, “di situazioni spaventose tra i genitori”.
“Preferisco il termine ‘trasgressione’ a ‘peccato’ ha quindi continuato “l’individuo non è ‘un peccatore’, ma qualcuno che ha trasgredito
una regola”. “Elemento molto importante da tenere presente”, ha
spiegato ai presenti, “è che tutto il sistema ebraico ha a che vedere
con la regolamentazione dei nostri istinti ed impulsi, va contro la natura, definisce in ogni aspetto il rapporto tra natura e comportamento, regolamentando perfino ciò che possiamo mangiare”. “Immagino sia possibile fare la scelta di astenersi da queste pulsioni, non
come una repressione, ma volontariamente, riconoscendo il proprio
orientamento” ha detto - ed è arrivato subito a questa affermazione
una conferma da parte del Dottor Dattilo, è la cosiddetta ‘Sublimazione’ esaminata da Freud - “ma è ovviamente, non tollerabile, o
legittima, l’omofobia” ha ribadito.
JOELLE SARA HABIB
Sogni e interpretazioni psicoanalitiche
Tra conscio e inconscio nell’ultimo libro di David Gerbi
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n sogno non interpretato è come una lettera non
letta” il titolo dell’ultimo libro di David Gerbi, psicoterapeuta e psicoanalista, e Maria Micheloni,
psicoterapeuta. La presentazione, completamente sponsorizzata dalla banca ‘Credito di Romagna’, è iniziata con
un tour ed un aperitivo all’interno della stessa, mentre per la cena
e la presentazione vera e propria, dedicata alla memoria di Shmuel
Naman - “Un vero giusto, amato da tutti, proprio come Giuseppe”
- con interventi dell’autore, dei frequentatori del suo corso settimanale e dell’ambasciatore di Libia al vaticano, ci si è spostati in
un vicino hotel.
“Nei Sogni si manifesta il nostro inconscio, vengono meno le manipolazioni e si abbassano le difese, è dove si presentano le nostre
paure, gioie e progetti più ambiziosi, l’unica situazione in cui l’indefinito diventa definito per dar vita ad un processo di Integrazione, accettazione e riconciliazione con se stessi”, dice Daniela
Terracina, organizzatrice dell’evento e frequentatrice del corso di
Gerbi. Maria Paola Monti definisce invece i sogni “un’opportunità per toccare con mano l’autenticità, la nostra intima essenza” e
racconta del suo approcciarsi al gruppo, di come pensava si sarebbe scontrata con un’interpretazione secondo simboli fissi, già
decodificati,”come si trattasse di un manuale”, trovandosi invece
di fronte ad “un metodo che esalta l’individualità, l’unicità della
persona, e si basa sul suo vissuto, le sue emozioni”.
“Se non si dà ascolto al mondo dell’inconscio e non lo si integra
con la coscienza si rimane scissi e si è destinati alla carestia psicologica; se invece lo si ascolta, la realtà può essere trasformata a
favore di se stessi e, indirettamente, a favore del collettivo”, scrive nel libro l’autore che anche durante la serata ha ribadito come
“Il sogno non ha valore se poi non lo mettiamo in pratica”, per
passare poi a sottolineare come secondo lo Zohar “la parola sia
più potente dell’immagine”, alludendo al concetto secondo cui più
che il sogno in sé e importante il significato che noi, o gli altri, vi
attribuiamo.
JOELLE SARA HABIB
LA PILLOLA DEL MESE DOPO
e ami le serie tv, preparati, niente sarà più come prima. I
tuoi amici parlano sempre della serie che tu avresti voluto
vedere, ma siamo già alla 4a stagione? Finalmente le potrai vedere tutte dall’inizio e le seguenti sono solo alcune
tra quelle che hanno avuto maggior successo.
House of Caló’s: ambientata nell’odierna Piazza, segue le vicende di Frank Caló, nghevrimme eletto nel quinto distretto congressuale di via della Reginella e capogruppo di maggioranza
della Comunità. Frank, dopo essersi visto sottrarre il posto fisso
su una panchina di Piazza che il neopresidente gli aveva promesso, architetta una serie di intrighi per arrivare ai vertici del
potere. La serie tratta temi quali la potenza delle ngalilot, manipolazione e spietato gossip.
Jenny’s anatomy: un medical drama incentrato sulla vita della
dottoressa tripolina Jenny, una tirocinante del reparto di chirurgia dell’immaginario Ospedale Israelitico di Roma. La storia è
incentrata sulle difficoltà di Jenny ad introdurre il cibo tripolino
nella mensa dell’ospedale. Nel primo episodio la dottoressa si
scontra subito con gli altri tirocinanti per convincerli che le bourekas sono migliori degli aliciotti con l’indivia.
O shannara: ambientata centinaia di anni dopo i Grandi Bavelli
che hanno portato all’assimilazione, la serie segue le avventure della principessa “È tutta essa” nipote do’ re Davidino, del
giovane Chezzichezzi, un mezzo romano e mezzo tripolino che
in realtà è l’ultimo discendente di una nobile ed eroica famiglia
ngascire, e di una scaltra nghevrimmuccia senza macchia e senza paura. I tre si imbarcano in un viaggio per salvare la palma,
antico albero posto a baluardo e a protezione delle Cinque Scole,
che stanno per essere invase da orde di punteruoli rossi.
Le regole del ginetto perfetto: la carismatica Wilma, stimata
cuoca e docente di pizza e biscottini, insegna presso una prestigiosa bottega di Piazza. Con la collaborazione dei “Boccione’s
Five”, ovvero 5 studenti scelti per assisterla nei casi mangerecci,
Wilma si trova a dover affrontare varie difficoltà. Una su tutte è il
caso della cottura del ginetto: chi lo vole cotto, chi lo vole crudo,
chi più zuccherato, chi meno... gli studenti saranno all’altezza
della loro insegnante?
Twin Spizz: serie ambientata nel quartiere romano di Monteverde, dove l’apparente tranquillità viene turbata dalla scomparsa di
Sterina, unica figlia del noto avvocato Lelletto, nonché una delle
ragazze più popolari della città. Le indagini, affidate alla polizia
locale e all’agente speciale Spizzichino dell’AGS, permettono di
far affiorare il lato oscuro ed i segreti più nascosti del luogo e dei
suoi abitanti. Ma l’agente speciale ha un modo per tranquillizzare le signore del posto: passa tutte le sere per le case urlando:
“Donne è arrivato Spizzichinooo! Se vi serve l’assassino noi ve lo
troviamooo! Donnee...”.
ATTILIO BONDÌ
DOM-MER
3 - 6 LUGLIO
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S
Sky (pe’ lo) set a cop
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Autodifesa e beneficienza
Grande successo per la seconda edizione
di Krav Maga per zedakà
L
avoro, fatica, sudore, ma soprattutto amore. Tanto ce ne
ha messo chi ha lavorato per la buona riuscita della seconda edizione di “Krav maga per zedaka”. L’evento organizzato dalla Comunità ebraica di Roma, assessorato
alle politiche giovanili Delet in collaborazione con la Securdan ha
riscosso un grande successo. “Rispetto alla prima edizione - ha
raccontato l’assessore Giordana Moscati - abbiamo quadruplicato
il numero dei biglietti venduti”: un segnale evidente del buon lavoro svolto e dell’interesse sempre crescente per questa disciplina
che ogni anno aumenta il numero degli iscritti, soprattutto tra le
donne. L’idea di dedicare una serata ad un evento che ha coinvolto
giovani e adulti è venuta contestualmente a Giordana e Daniele
Rossi, responsabile della Securdan. “Se un anno fa si era pensato
solo ai ragazzi, oggi sono stati coinvolti uomini e donne di tutte
le età”. Importante il contributo di tutto lo staff della Securdan
da Chantal Di Porto a Claudia Sermoneta, Ludovica Della Rocca,
Giordana Zarfati e Raffaella Della Torre.
Per sentirsi più forti e per imparare
a combattere il bullismo
Un ciclo di lezioni di Krav Maga Junior
per ragazzi tra gli 11 e i 16 anni
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L
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o scorso 10 Maggio è iniziato il corso Krav Maga Junior – ‘Né
bulli né bullismo’, un evento organizzato dal Consiglio degli
Asili Elio Toaff. Il corso, dedicato ai ragazzi fra gli undici e
i sedici anni di età, si svolgerà in otto lezioni presso i locali
degli Asili e l’intera quota di iscrizione di 30 euro verrà devoluta per
aiutare i bambini bisognosi della Comunità Ebraica romana.
L’evento, nato da un’idea dell’istruttore di Krav Maga Giovanni
Zarfati, ha avuto un riscontro molto positivo al punto che gli organizzatori sono stati costretti a chiudere le iscrizioni per motivi di
spazio e sicurezza. Anche i genitori dei quaranta ragazzi partecipanti si sono detti molto felici in quanto le lezioni trasmetteranno
un duplice messaggio positivo ai loro figli: da una parte il valore
della tzedakà, dall’altra il rifiuto netto del bullismo, una piaga sociale che affligge sempre di più le scuole di tutta Italia. Il corso
infatti cercherà di inculcare ai ragazzi piccole nozioni di autodifesa per aiutarli a reagire nel momento del bisogno. Nessun gesto
violento o di aggressività come nella tradizione del Krav Maga,
la disciplina israeliana il cui obiettivo primario è la salvaguardia
della propria incolumità.
Fortunatamente all’interno delle scuole della nostra Comunità il
fenomeno del bullismo non è molto diffuso ma è bene preparare,
anche solo psicologicamente, i ragazzi che potrebbero incappare
in situazioni simili nelle altre scuole romane. Il Consiglio degli Asili si è detto infatti molto felice che si parli di questa problematica
per aumentare la consapevolezza dei ragazzi, per incoraggiarli a
parlare qualora dovessero subire delle violenze e per rendere partecipi i genitori che non possono e non devono sottovalutare la
questione. Inoltre attività come questa garantiscono anche un certo grado di prevenzione: responsabilizzando i ragazzi fin da piccoli
gli si può far capire il significato delle loro azioni e far sì che evitino
di commettere errori di cui potrebbero pentirsi.
“Krav maga per zedaka riunisce tutta la comunità”, è stato il motto
che alla fine si è rivelato vincente. Circa 400 i tagliandi staccati.
Tutti gli acquirenti si sono prestati al selfie ticket, una foto con tanto
di biglietto. Il progetto è piaciuto a tal punto da essere condiviso
anche dall’ambasciata israeliana che è stata presente all’evento
con l’addetto culturale Eldad Golan. Tutto il ricavato sarà devoluto
in beneficenza. Non poteva mancare il presidente della Comunità
Ebraica Ruth Dureghello. “Ringrazio tutti quelli che hanno lavorato
per la buona riuscita della serata - ha detto - l’attività di beneficenza
ha un valore molto importante e sono contenta che il ricavato sarà
destinato ai volontari della sicurezza, che sono un elemento fondamentale della nostra comunità. Tutte le attività di adulti e bambini
sono possibili grazie a loro. La presenza del rappresentante dell’ambasciata d’Israele è una dimostrazione dell’importanza della disciplina e del legame con la comunità ebraica di Roma”.
Chi ha partecipato ha potuto conoscere alcune tecniche del Krav
maga, “un combattimento a contatto utilizzato dall’esercito israeliano, pratico logico e efficace - ha spiegato Daniele Rossi -. Non si
usa la forza fisica, ma movimenti naturali del corpo e si sfruttano i
punti deboli dell’avversario”. Appuntamento al prossimo anno con
la speranza di migliorare ancor di più i risultati ottenuti.
NATHANYA DI PORTO
Visto il successo di questa prima edizione, che proseguirà fino a
giugno, sono già stati programmati altri corsi per il prossimo anno
con la possibilità di poter ammettere più ragazzi. Infine il Consiglio ha voluto ringraziare Giovanni Zarfati, responsabile sicurezza
Cer, per l’impegno e la dedizione con cui sta portando avanti il
progetto e Fabrizio Calò che ha donato le stampe per le magliette
dei ragazzi.
MARIO DEL MONTE
Insieme in bicicletta…
con gli amici ebrei
È nato un piccolo gruppo
di appassionati delle due ruote,
per divertirsi e fare sport in allegria
Fabio Caviglia, noto ai più con il soprannome Aquilone, spiega
come la compagine sia nata molto casualmente: due comitive di
amici che erano soliti andare in bici la domenica si sono organizzati un week-end per percorrere insieme la strada per Frattocchie
Marino e da quel giorno sono diventati inseparabili. “Non ci sono
presidenti né capigruppo – spiega tutto viene deciso di comune accordo, l’importante è divertirsi e stare
insieme”. Tra loro ci sono persone
che prima non si conoscevano neanche o provenivano da estrazioni sociali e professioni totalmente diverse.
Ora grazie a Facebook e Whatsapp si
sentono anche diverse volte al giorno
per preparare le prossime uscite.
Finora è stato fondamentale l’apporto di Benny Nahum che con la sua esperienza nel campo funge da
guida e dispensa consigli ai neofiti della bicicletta. Solitamente
i percorsi durano una cinquantina di chilometri e terminano nei
paesini appena fuori dalla città come Fregene o Castelgandolfo. La tentazione di fermarsi a pranzo nelle invitanti trattorie di
paese è tanta ma non ci si può appesantire e si tira dritto fino
a destinazione. Secondo Fabio l’importanza di questo impegno,
oltre all’attività fisica che è salutare a tutte le età, risiede nella
possibilità di staccare per qualche ora dalle problematiche quotidiane per condividere con gli amici fatica e risate. I momenti
goliardici infatti accompagnano ogni uscita, goffe cadute e diaboliche prese in giro hanno aiutato il gruppo ad amalgamarsi e a
diventare sempre più coeso. Il sogno nel cassetto ha una valenza
sia simbolica che agonistica: formare una squadra per rappresentare l’Italia alle Maccabiadi e cercare di fare bella figura. Di
strada davanti ne hanno ancora tanta ma lo spirito combattivo è
certamente quello giusto.
MARIO DEL MONTE
Nella capitale il Roma Club
di Gerusalemme
In tournée i piccoli campioni del calcio
su iniziativa di Samuel Giannetti
N
ella prima settimana di maggio le squadre della scuola calcio del Roma Club di Gerusalemme hanno preso
parte ad alcuni tornei ed amichevoli nell’ambito di un
progetto sociale e sportivo che ha come scopo principale quello di promuovere l’integrazione culturale e religiosa, coinvolgendo ragazzini ebrei, musulmani, cristiani, palestinesi, etiopi,
italo-israeliani di seconda generazione che ogni giorno si allenano
e giocano insieme nella capitale israeliana.
Grazie all’impegno congiunto del Coni, dell’associazione sportiva
Roma, i dirigenti del Roma Club Gerusalemme, con in prima fila il
presidente Fabio Sonnino, il vicepresidente e organizzatore della
spedizione Samuel Giannetti e il signor Sandro Di Porto, insieme
all’apporto del Presidente del Maccabi Vittorio Pavoncello, hanno
plasmato un programma che ha visto i giovani giocatori venuti da
Israele disputare diverse gare agonistiche nell’impianto Giulio Onesti del CONI e al circolo sportivo Villa York, disputando tra l’altro
diverse partite con i giovani esordienti 2003 e 2004 dell’AS Roma.
Un momento di viva emozione è stato quando la spedizione dei giovani atleti, composta da trentatre giocatori, ha incontrato i celebri
giocatori della Roma, tra cui Totti e De Rossi, nei campi di allenamenti di Trigoria, con cui hanno partecipato a un cocktail di benvenuto, tra flash di foto e autografi. Molto soddisfatto della trasferta
romana è stato Samuel Giannetti, che dal 2008 coordina le attività
del Roma Club Gerusalemme che conta oggi centocinque iscritti:
“Il calcio è il mezzo per raggiungere un fine – ha affermato Giannetti. Il fine è sicuramente sociale, insegnare il rispetto reciproco,
così che tra loro nascano amicizie, come è infatti successo: alcuni
sono persino andati in vacanza insieme. Credo poco negli adulti,
ma penso che questi ragazzi possano imparare a vedere le cose in
un altro modo. Speriamo che questo sia un modo di educarli a tutto
tondo: a loro cerchiamo di spiegare, ad esempio, che andare bene
a scuola e giocare a calcio sono cose che vanno insieme. Tentiamo
di formarli come persone, oltre che come sportivi. Questo gruppo di
giovani può e deve rappresentare un futuro migliore nella regione
in cui viviamo, gettando le giuste basi per un confronto aperto e sincero grazie al gioco del calcio. Meglio incontrarsi oggi su un campo
d’erba che domani su un campo di battaglia”.
Non è la prima volta che viene organizzata questa iniziativa, è
la terza trasferta che si realizza, grazie all’aiuto dell’Ambasciata
d’Italia a Tel Aviv, del Comites di Gerusalemme, del Consolato
Generale d’Italia a Gerusalemme e di donazioni private. Nel corso della settimana, i ragazzi hanno anche incontrato personalità
dei massimi vertici sportivi, tra cui il presidente della FGCI, Carlo
Tavecchio, e visitato il Centro Sportivo della Guardia di Finanza,
salutando atleti di spicco, tra cui Fabrizio Donato, bronzo ai Giochi Olimpici di Londra 2012 nel salto triplo, Sonia Malavisi, campionessa italiana indoor di salto con l’asta e Antonella Palmisano
campionessa italiana di marcia.
JONATAN DELLA ROCCA
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
N
egli ultimi mesi si è formato a Roma un gruppo di ragazzi ebrei appassionati di ciclismo che ogni fine settimana
si riunisce per percorrere qualche chilometro insieme in
allegria. Sebbene abbiano scelto di non costituire alcuna associazione ufficiale si tratta di un gruppo affiatatissimo che
vuole riportare in auge uno sport che fino a una ventina d’anni
fa era il più seguito in Italia. Il nome del gruppo è ripreso da uno
dei più famosi detti giudaico-romaneschi, “Ammazzato sia chi ce
vò male”, ed il logo, un Maghen David incastonato in una ruota disegnato da Eugenio Terracina, richiama fortemente le radici
ebraiche dei partecipanti.
37
DOVE E QUANDO
GIUGNO
15
18.00 Centro di Cultura Ebraica
Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
MERCOLEDI Diploma Universitario Triennale in Studi Ebraici
19
23
30
Centro Bibliografico Tullia Zevi, Lungotevere Sanzio 5
Presentazione del libro “La banca e il ghetto.
Una storia italiana (secoli XIV-XVI)”
di Giacomo Todeschini. Intervengono con l’autore:
Michaël Gasperoni, Myriam Greilsammer, Luciano
Palermo. Introduce e modera: Anna Esposito
-------------------------------------------------------------------------------
17.00 LE PALME
Giochiamo insieme: pomeriggio di giochi di ruolo,
DOMENICA simulazione, enigmistica, indovinelli e rompicapo
NOTES
IL PITIGLIANI
Giovedì 16 giugno ore 20.00 - Hai tra i 14 e i 18 anni? La tua passione
è la cucina? Partecipa alle selezioni per essere ammesso al corso di
formazione con la Chef Laura Ravaioli! Info, iscrizioni e regolamento:
Federica 065897756 [email protected]
Domenica 19 giugno dalle ore 10.00 alle 14.00 - Seminario Feldenkrais “Cosa succede alla tua schiena quando sei seduta/o?” Info ed
iscrizioni: Irene Habib [email protected] 3403680717
Giovedì 23, mercoledì 29 giugno e mercoledì 6 e 20 luglio ore 20.45
Cinema & Spaghetti nelle magnifiche terrazze del Pitigliani.
Vi aspettiamo per mangiare in compagnia prima dell’inizio del film.
Info e prenotazioni: Micaela 065897756 – 065898061 – [email protected]
G I O V E D I -------------------------------------------------------------------------------
PROGRAMMI EDUCATIVI
Giovedì 30 giugno dalle ore 8.30 - Inizio Centri estivi per i bambini dai
2 ai 5 anni! Per i bimbi dai 2 ai 4 anni l’appuntamento è al Pitigliani; per
i bimbi di 5 anni all’Olimpic Club (Lungotevere Pietrapapa, 2) Info e
prenotazioni: Giorgia 065897756 - 065898061 - [email protected]
La Parashah della settimana “Shelach lechà” spiegata
G I O V E D I da Rav Roberto Di Veroli
SAVE THE DATE
Dal 29 agosto dalle ore 9.00 alle 13.00 Centri pre scuola: SOS compiti
per bambini dai 7 ai 14 anni ... Prenotazione obbligatoria
-------------------------------------------------------------------------------
16.30 LE PALME
Pomeriggio dedicato ad una AMICA
17.00 LE PALME
Lunedì 5 settembre Riapertura attività educative
LUGLIO
03
17.00 LE PALME
Gran Caffè Concerto alle Palme: musica ebraica ed
DOMENICA internazionale dal vivo con Alberto Mieli con le ultime
3/4
novità da Israele - ingresso libero
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Centro di Cultura Ebraica
Alla scoperta di Ferrara Ebraica:
visita ai luoghi ebraici e alle bellezze
DOMENICA
L U N E D I del centro storico della città
Viaggio in pullman gran turismo, pasti kasher
Info e prenotazioni: 065897589
[email protected]
---------------------------------------------------------------------------
10
12
17.30 LE PALME
Gelato che passione! Merenda estiva in giardino
DOMENICA ---------------------------------------------------------------------------
21.30 Il PitiglianI
Anteprima PKF 2016 all’Isola del Cinema
M A R T E D I Info: Micaela 065897756 - 065898061
[email protected]
---------------------------------------------------------------------------
LE PALME
Gli splendidi giardini della Casa di Riposo Ebraica di Roma vi aspettano durante tutto il periodo estivo alle Palme, per offrire agli amici un
luogo splendido, immerso nel verde, dove svolgere molte attività in
compagnia. Merende, giochi, feste, incontri e molto altro, per un’estate
gioiosa ed allegra.
SHABAT SHALOM
Parashà: Nasò
Venerdì 17 GIUGNO
Nerot Shabath: h. 20:30
Sabato 18 GIUGNO
Mozè Shabath: h. 21:33
-------------------------------------Parashà: Beaalotechè
Venerdì 24 GIUGNO
Nerot Shabath: h. 20.31
Sabato 25 GIUGNO
Mozè Shabath: h. 21.34
Parashà: Shelach lechà
Venerdì 1 LUGLIO
Nerot Shabath: h. 20.30
Sabato 2 LUGLIO
Mozè Shabath: h. 21.33
-------------------------------------Parashà: qorah
Venerdì 8 LUGLIO
Nerot Shabath: h. 20.28
Sabato 9 LUGLIO
Mozè Shabath: h. 21.31
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
ESTRAZIONI LOTTERIA CER YOM HATZMAUT 5776-2016
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441 MICAELA NAURI II C: BIGLIETTO ANDATA E RITORNO ROMA-TEL AVIV
Offerto dall’EL AL
460 MIRIAM CAVIGLIA: ANELLO COLLEZIONE VALERIA offerto da Rachel
Orly Gioielli
250 MICHELLE PIPERNO: BORSA LUI JO Offerta da Marco e Fabio Pavoncello
427 SARA DI PORTO: BORSA MOSCHINO LOVE Offerta da Outfitfabiana
370 GINEVRA NOVELLI: BUONO CARNE Offerto da Pascarella Carni Kasher
291 FIORELLA CAM: CARTA REGALO ITUNES Offerte dall’Agenzia Ebraica
Gan Eden
303 FIORE ANTICOLI: CENA PER DUE Offerta dal Ristorante Flour, farina e
cucina
223 FLAVIA AMATI: CHANUKKIA ARTISTICA EMANUEL Offerto da Argenteria
Saray
552 DANIEL COLASANTI: COFANETTO HALACHA ILLUSTRATA MOISE LEVI
EDITORE
349 RAFAEL MANTIN I C: COMPOSIZIONE FLOREALE Offerta dalla Fioreria
Fulgenzi
234 SETTIMIO FIORENTINO: CORSO ULPAN PER UNA PERSONA Offerto dal
Centro di Cultura Ebraica CER
304 GAVRIEL ASTROLOGO II B: BUONO SPESA Offerto dalla Deputazione
Ebraica
448 RACHEL VENEZIA II C: BUONO SPESA Offerto dalla Deputazione Ebraica
110 DANIELA DI GIULIO: LOTTO QUADRI ARTISTICI TEMA EBRAISMO
Offerto da Simona Sonnino
115 MICOL PIPERNO: LOTTO QUADRI ARTISTICI TEMA EBRAISMO Offerto da
Simona Sonnino
192 BENJAMIN FADLUN: DUE NOTTI A BUDAPEST PER DUE PERSONE Offerto
da Agenzia di Viaggi Cavi Travel
77 DAVID ASCOLI: FOULARD DA DONNA FIRMATO Offerto da Fiamma
Anticoli
251 NATALIE PIPERNO: L’ALLEGRA HAGGADA, IL MONDO DELLE TEFILLOT,
DOMILLA E LE FATE DEL PENTAGRAMMA Offerti dalla Scuola dell’Infanzia
Elio Toaff
337 RAPHAEL DELLA ROCCA: LIBRO BERESHIT MAMASH EDITORE Offerto
dalla Scuola Primaria V. Polacco
241 EMILIA DI PORTO: LIBRO SHEMOT MOISE MAMASH EDITORE Offerto dal
Liceo Ebraico Renzo Levi
596 ANDREA PIPERNO: MASSAGGIO CON OLI ESSENZIALI Offerto da Ariela
Spizzichino
599 SAMUEL DABUSH: MENORAH IN VETRO SOFFIATO DI MURANO Offerta
dal Museo Ebraico di Roma
354 PACIFICO DI CONSIGLIO: ORECCHINI COLLEZIONE VALERIA offerto da
Rachel Orly Gioielli
156 JENNY SONNINO: PACCHETTO DIECI INGRESSI IN PISCINA Offerto dal
Centro Sportivo Moon River
173 ROBERTA: PARTECIPAZIONE EVENTO DELET ART Offerto
dall’Assessorato alle Politiche Giovanili
490 REBECCA MOSCATO I B: PIUMINO DA LETTO BIMBO Offerto dall’ADEI WIZO
AUGURI
NASCITE
Nethanel Gianni di David e Sheila Di Consiglio
Aron Poliakine di Jasha e Letizia Astrologo
Esther, Judith Di Segni di Graziano e Fabiana Pavoncello
Liam, Ishay Coen di Nello e Alessia Moscati
Samuel Piperno di Cesare e Joys Zarfati
Ghili, Mayan Limentani di Angelo e Scheila Anticoli
Charlotte Ester Heuberer di Philipp e Sara Dell’Ariccia
Rachel Pavoncello di Alberto e Ilana Bahbout
e sempre pe’ questo ce se venga ...
partecipazioni - mishmaroth - birchonim - editoria ebraica
Via Giuseppe Veronese, 22 - Tel. 06.55302798
BAR/BAT MITZVÀ
Mazal tov a Alberto Pavoncello, insegnante della Scuola primaria ebraica e a Ilana Bahbout , collaboratrice dell’Ucei per la
nascita di Rachel. I migliori auguri alle famiglie, in particolare al
nonno, il Rabbino capo di Venezia, Scialom Bahbout.
Domenica 29 giugno al tempio Maggiore si sono spostai Michael
Babani Bendaud e Miriam Spizzichino, valida collaboratrice del
giornale. Ai neo sposi e alle loro famiglie gli auguri più affettuosi
della redazione di Shalom.
Lo scorso 28 maggio, parashà di Bear Sinai, Gabriel Sed ha celebrato il suo bar mitzvà. Ai genitori, Marco Sed ‘Yotvata’ (assessore al culto della Cer) e Sharon Di Veroli, gli auguri della direzione.
Mazal tov a Noa Di Porto che ha celebrato il suo Bat Mitzvà.
I migliori auguri ai genitori Emanuele Di Porto, segretario della
CER e Noemi Di Porto.
RINGRAZIAMENTI
Sara Baranes di Gabriele e Alessandra Tedesco
Michal Di Porto di Marco e Giorgia Zarfati
Noa e Rebecca Piperno di Vittorio e Alessandra Moscati
Francesca Calò di Massimo Daniela Mari
Noa Bentura di Daniele e Carola Caviglia
Noa Di Porto di Emanuele e Noemi Di Porto
Michelle Calò di Lello e Rossella Sufir
Sveva Baudo di Dario e Barbara di Castro
Irene Galassi di Paolo e Claudia Terracina
Aurora Marcheria di Raffaele e Lavinia Zarfati
Sara Di Porto di Angelo e Viviana Centamore
Sheila Vivanti di Vito e Giovanna Cristofari
Michael Sonnino di Angelo e Luana Gianni
Gabriel Sed di Marco e Sharon Di Veroli
David Piazza Sed di Alberto e Debora Perugia
Emanuele Sermoneta di Fabrizio e Rosy Di Segni
La Comunità Ebraica di Roma e le Scuole Ebraiche desiderano
esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti ad
Alberto e Costanza Di Veroli che in occasione delle loro nozze
d’oro hanno deciso di devolvere le offerte ricevute da parenti ed
amici per contribuire alla ristrutturazione del terrazzo del palazzo
della Cultura. Adeguare e migliorare gli spazi della nostra a scuola non è soltanto una miglioria: è, piuttosto, un investimento, un
modo per rendere più efficace il suo progetto educativo. Per
questo, tutti coloro che hanno generosamente contribuito a supportare la nostra Comunità per il futuro dei propri figli e dei propri
nipoti, meritano un ringraziamento particolare. Ad Alberto e
Costanza un affettuoso Mazal Tov!
Il Presidente della Deputazione Ebraica ed il Consiglio desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti
a Tranquillo e Alessia Mieli che in occasione delle loro Nozze
d’Argento hanno generosamente devoluto quanto destinato ai
lori regali al sostegno delle famiglie in grave difficoltà della nostra
Comunità. A Tranquillo e ad Alessia un affettuoso Mazal Tov!
La direzione di Shalom esprime sincere condoglianze ai fratelli
Daniele e Gadi Polacco per la scomparsa della madre,
Nella Fortis Polacco z.l.
per molti anni guida educatrice della Comunità ebraica di Livorno
e vedova del già Rabbino Capo di Livorno Bruno G. Polacco.
Cerchiamo qualcuno per condividere container per prossima
alya fine agosto-settembre Telefono 3389777982.
545 FABIO DEL MONTE: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo
159 DANIEL DI VEROLI: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo
546 ALESSANDRA DI PORTO: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo
351 NOA TELIAS I C: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo
529 GIULIA MIELI II B: SET UOMO ACQUA DI PARMA, Offerta da Profumeria
Pantanella
53 SIMONETTA PAVONCELLO: SET DONNA CHANEL Offerta da Profumeria
Pantanella
305 LEAH DI CONSIGLIO II B: SETTIMANA CENTRO ESTIVO Offerta dal
Centro Comunitario Shirat Ha Yam
67 ORIEL DEBUSH: SETTIMANA CENTRO ESTIVO Offerta dal Centro Ebraico
Il Pitigliani
496 REBECCA RUFFINO I B: SMART BOX PER AGRITURISMO Offerta da
famiglia Ridolfi
25 GIACOMO TERRACINA: SOGGIORNO 12-17 EMME EMME 2017 Offerto
dall’UCEI
492 BENIAMINO SADUN: TALLED E KIPPA Offerto dal Bnei Akiva Roma
332 SARA VARON I A: TOVAGLIA offerta da AR.TE
321 MAYA POLACCO I A: TRATTAMENTO BENESSERE Offerto da Wonderfool
Beard Design
301 DANIEL TAGLIACOZZO: TROLLEY DA VIAGGIO Offerto da Pelletteria Di
Consiglio
143 SAMUEL PITIGLIANI: ZAINO DA CAMPEGGIO Offerto dall’Hashomer
Hatzair Roma
CI HANNO LASCIATO
Roberto Bemporad 08/12/1925 – 19/05/2016
Eugenio Calò 15/07/1944 – 05/05/2016
Cesira Coen in Di Porto 10/11/1949 – 03/05/2016
Margherita Di Castro in Della Seta 04/11/1936 – 06/05/2016
Rina Di Consiglio ved. Polacco 08/07/1940 – 23/05/2016
Anna Marisa Di Porto in Spizzichino 01/04/1947 – 16/05/2016
Ada Efrati Di Porto 29/07/1928 – 24/04/2016
Marina Fiorentini 09/04/1943 – 07/05/2016
Manuel Igal Forti 26/09/1970 – 14/05/2016
Angelo Moscato 24/07/1944 – 06/05/2016
Adolfo Pavoncello 10/04/1935 – 13/05/2016
Elena Sed ved. Fiano 11/06/1917 – 11/05/2016
Vittorio Terracina 13/02/1944 – 23/04/2016
IFI
00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A
TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
ANNUNCIO
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CONTACTS:[email protected]
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
STORIE
40
Berto l’edicolante
rturo il Podologo non si chiamava affatto Arturo. Doveva il nome alla vecchia insegna che accoglieva i clienti
nel suo mezzanino di Testaccio e che non aveva mai
cambiato da quando aveva raccolto la stecca di suo padre, lui si il vero originale Arturo.
A qualcuno che glie ne chiedeva ragione lui rispondeva serafico
che era come per Alfredo alla Scrofa. Chi va lì a mangiare le fettuccine vuole essere servito dal vero, unico, inimitabile Alfredo. E
poco male se quello è morto da sessant’anni. The show must go on
e il nipote del fondatore, con i baffoni d’ordinanza rubati al nonno,
è ancora Alfredo, comunque si chiami davvero. Non che del suo
nome i clienti si curassero, d’altronde, più di tanto. Andavano da
lui perché aveva la mano leggera e perché, a detta di tutti, la seconda generazione non faceva rimpiangere la prima.
Berto scendeva nella sua bottega due o tre volte l’anno e si faceva
risistemare i piedi, afflitti da calli recidivi e unghie incarnite. Sedeva sulla malandata poltrona d’altri tempi e metteva le gambe all’aria, come uno pronto a subire il supplizio. Intendiamoci, quel che
lo disturbava, non erano tanto le manovre di lame, raspette e tronchesine, quanto la fastidiosa compagnia di quel mago dei piedi.
Loquace fino alla logorrea, Arturo non stava zitto un attimo. Parlava, parlava, parlava senza farsi scoraggiare dagli stringati monosillabi e dalle alzate di spalle di Berto che non rideva delle battute,
non replicava alle congetture e con irritanti sorrisetti si impegnava
con determinazione nel sabotaggio della conversazione.
Arturo non aveva limiti. I suoi monologhi spaziavano fra gli argomenti più svariati. Riciclava gossip, discettava di calcio, sentenziava di televisione. In generale però, commisurava le sue chiacchiere alle persone cui si rivolgeva. Berto era un osso duro ma alla fin
fine era un giornalaio. Con una genialità degna di faccende meno
insignificanti, Arturo prendeva dunque a parlare di giornali e giornalisti con toni così graffianti da scalfire la tenace indifferenza del
suo taciturno interlocutore. Ce l’aveva con la cronaca nera, con le
paginate di stupri e assassini, di violenze e rapimenti, di rapine e
pedofilia. Ma soprattutto ce l’aveva con cronisti e magistrati pronti
a recepire più le attenuanti degli assassini che le tragedie delle
vittime e il dolore dei sopravvissuti. C’erano meccanismi oliati e
infallibili, diceva: un delinquente reo confesso faceva poca audience ma un’ostinata proclamazione di innocenza scatenava invece
un dibattito surreale, giocato su tecnicismi giuridici e tracce da
esperti medico-patologi, in una sarabanda di dichiarazioni e smentite, di illazioni e ritrattazioni, di intercettazioni e prove indiziarie.
E i cronisti, diceva Arturo col suo parlare aulico di seconda mano,
danzavano fra quelle evidenze un tango di morte e raccapriccio.
Berto, per una volta, non scrollava le spalle. Ascoltava e, suo malgrado, senza darlo troppo a vedere, assentiva.
Tornando a casa, rifletteva sulla deriva che avevano preso le cronache giudiziarie. Giornali e trasmissioni anticipavano i processi,
e ne celebravano pantomime buone solo per gli ascolti. Mettevano
in graticola gli imputati, vezzeggiavano gli avvocati, scovavano i
testimoni. E poi irrompevano nelle case delle vittime rubando lacrime e rabbia a quei poveri malcapitati, storditi da inconcepibili
tragedie. Orribile. Ma più orribile di tutto era l’immancabile oscena domanda: siete pronti a perdonare?
Ma come perdonare? Perché perdonare? E soprattutto chi perdonare? Un assassino che ha fatto scempio delle sue vittime e della
vita dei sopravvissuti? Un bastardo che biascica parole di pentimento, sperando solo in qualche beneficio processuale? Un criminale che si attiene cinicamente al copione approntato dai suoi
difensori?
L’imbarazzo, la rabbia, lo sgomento di una madre che si sente
rivolgere una richiesta tanto oltraggiosa, non frena i cronisti dal
ripeterla ogni volta, ostinatamente, con perfida leggerezza. Come
se di fronte al sangue, alla ferocia, al dolore, la concessione del
perdono fosse il necessario lenimento all’insopportabile vulnus inferto alla trama del vivere sociale.
Come per un riflesso condizionato, Berto tornava con la mente a
suo padre. A quelle poche, memorabili occasioni in cui, insieme, a
Kippur, si recavano in sinagoga. E’ la teshuvà che conduce al perdono, gli diceva lui. Senza teschuvà nemmeno il digiuno e la contrizione del Kippur laverebbero via i tuoi peccati. Non spiegava di
più. Non era da lui. E forse non ne sarebbe stato nemmeno capace.
Più tardi Berto che non aveva studiato molto, ma che molto aveva
letto, si era fatto un’idea di perdono e teshuvà che forse aveva
poco a che vedere con i testi rabbinici ma che calzava come un
guanto il suo modo di sentire. In realtà era stato Manzoni a mostrargli la via. Fra Cristoforo. Il delitto, la colpa, la contrizione, il
perdono. Poche pagine illuminate dal genio. Una sintesi folgorante. Solo una totale conversione può redimere la colpa. Solo un percorso duro e inflessibile di introspezione e di comprensione può
condurre all’espiazione. E solo un totale coinvolgimento nel dolore
arrecato alle vittime può offrire la speranza di una riconciliazione.
Il più cattolico degli scrittori aveva forse divulgato il senso di uno
dei più pregnanti concetti del mondo ebraico?
Berto non aveva gli strumenti per sostenerlo ma trovava l’idea
confortante. Lui che non aveva appartenenze confessionali, non
si lasciava imbrigliare da regole confessionali di fronte alle scelte
etiche della vita. Quelle sono universali, pensava: appartengono
a chiunque sappia farle proprie. Si tratti di colpa o di perdono,
l’uomo ha gli strumenti per dirigere i propri passi nella giusta direzione, senza dover far conto su preti e rabbini. O imam. Al solo
pensiero, avvertì una stretta allo stomaco.
MARIO PACIFICI
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È gradito appuntamento
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
A
Il perdono
41
LETTERE AL DIRETTORE
voce lettori
La
dei
Il Museo Storico della Guardia di Finanza cerca notizie
Il Museo Storico della Guardia di Finanza, presso il quale opera sin
dal 2005 un apposito “Nucleo di Ricerca”, sta ricercando notizie
utili sul conto del Maresciallo Maggiore Paolo Boetti, originario
di Finale Emilia (Modena). Il Sottufficiale delle Fiamme Gialle, nel
corso dell’occupazione tedesca
del Nord Italia, si distinse, lungo
la frontiera con la Svizzera (fra
Torriggia, Bugone di Moltrasio e
Ponte Chiasso) nel salvataggio
di decine e decine di persone di
religione ebraica, favorendone la
fuga oltre la rete confinaria. Catturato dai tedeschi nel maggio
del 1944, fu detenuto nel braccio
tedesco di San Vittore, per poi
essere trasferito a Fossoli ed, infine, a Mauthausen, ove rimase sino alla liberazione da parte delle
truppe americane. Alla sua memoria è in corso di conferimento la
Medaglia d’Oro al Merito Civile. Si invita chiunque ne riconosca la
foto o il nominativo a contattare il Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, Magg. Gerardo SEVERINO, Piazza Mariano
Armellini n. 20 – 00162 Roma (tel. 06-44238841 - email. Severino.
[email protected]).
Gerardo Severino
[email protected]
Piccoli alunni, ma grande sensibilità
Caro Direttore,
vorrei segnalare ai lettori di Shalom l’eccellenza e la grande qualità
educativa e formativa della Scuola Primaria Parificata Paritaria “Vittorio Polacco”. In occasione della mia esposizione di disegni nella
galleria di Simone Aleandri in Piazza Costaguti n. 12, ho accolto
venerdì 1 aprile, due classi delle Quinte. Per essere preciso la classe
V D della Morà Elena Perugia e la V A della Morà Deborah Levi. I
bambini hanno manifestato un interesse sorprendente e una sensibilità, qualità e capacità di elaborare una fruibilità dell’arte contemporanea che ha sorpreso il gallerista Simone Aleandri e me stesso.
Sono riusciti i bambini a porre domande e risposte, tutto ciò che non
avviene molto spesso con gli adulti. L’arte contemporanea obbliga
le persone a un processo intellettuale al di là della propria cultura
ed educazione. E’ anche vero che le mie opere spesso hanno una
centralità ebraica da cui emergono radici e percorsi diversi da quelli ebraici ma che tornano sempre all’universo dell’ebraismo. Non
mi sarei mai aspettato una solidità e una formazione culturale così
ricca e vivace. Una risposta ferma e naturale all’assimilazione e al
disordine mentale e sociale del mondo attuale. Questi bambini hanno radici granitiche che sanno rispondere alle incertezze del mondo
contemporaneo. Ringrazio Milena Pavoncello Coordinatore delle
attività didattiche ed educative, ringrazio il Direttore delle materie
ebraiche, Rav Roberto Colombo. Ringrazio inoltre Elio Limentani e
Alessandro Di Capua, tutta la sicurezza AGS e i dipendenti dell’Ufficio Sicurezza. Questa esperienza personale vorrei che sia divulgata
È PIÙ DI COMPAGNIA AEREA, È ISRAELE
GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
www.elal.com
42
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Frequent Flyer Club Italia 02.72003698
SEGUICI SU
anche tramite l’Assessore alla Cultura, Giorgia Calò e tutti coloro
che si adoperano in prima persona e collegialmente per il futuro
della nostra Comunità. La mia riconoscenza.
Georges de Canino
SHALOM‫שלום‬
Un campeggio estivo ebraico
Gentile Redazione,
Un gruppo di famiglie sefardite, italiane e Chabad da anni (esattamente da 16) si incontrano in una cittadina del Piemonte, Sauze
d’Oulx, per condividere le vacanze estive. Questo spazio in montagna è il Campeggio “Bet Ruven” unico campeggio estivo che da 16
anni offre uno spazio per incontrare giovani e famiglie ebraiche in
Italia. Tutto rigorosamente kosher. Chiunque volesse informazioni
o per prenotare può contattare Meyer Piha, organizzatore e fondare
del Progetto “ Beit Reuven” ([email protected])
Giacomo Kahn Direttore responsabile
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Attilio Bondì
Mario Pacifici
Marcello Bondi
Angelo Pezzana
Riccardo Calimani
Clelia Piperno
Giorgia Calò (la ragazza)
SegretariaSermoneta
di redazione
Jacqueline
Dario Coen
Mosè Silvera
Mario Del Monte
Micol Sonnino
Jonatan Della Rocca
Marco Spagnoli
Piero Di Nepi
Marta Spizzichino
Nathanya Di Porto
Miriam Spizzichino
Sigmund Dollinar
Lia Tagliacozzo
Alessandra Farkas
Francesca Tardella
Fabrizio Federici
Daniele Toscano
Ghidon Fiano
Ugo Volli
Joelle Sara Habib
Arianna Zarfati
Michael Laitman
Nicola Zecchini
Claudio Moscati
Nathania Zevi
Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di
uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto.
Il giorno 11 luglio 1797 il Generale Napoleone Bonaparte ordinò
la soppressione del ghetto di Venezia. Avessero dovuto aspettare
gli aristocratici che avevano governato la Serenissima Repubblica, gli ebrei veneziani starebbero ancora a suppliche e ordinanze. Non sarà una data tonda, ma sono trascorsi 219 anni. Forza,
che siamo ancora in tempo a commemorare. Segnaliamo intanto
eventi singolari e già molto pubblicizzati. Dal prossimo 26 luglio
(appunto) fino a 31 del mese andrà in scena a Ghetto Nuovo Il
mercante di Venezia di William Shakespeare. Così è se vi pare.
Smokéd
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Visto si stampi 3 giugno 2016
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Prof. Emanuele Di Porto scrivendo alla Segreteria della Comunità - Lungo­tevere Cenci - Tempio
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GIUGNO 2016 • SIVAN 5776
Jacqueline Sermoneta
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LASCIA
UN BUON SEGNO
TESTAMENTI
I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore
alle storie personali e collettive degli amici del popolo
ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per
aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod.
FONDI
Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni.
Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata,
è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura
associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I
temi ed i progetti non mancano.
Una vita ricca
di valori lascia
il segno anche
nelle vite degli altri.
Nel presente
e nel futuro.
PROGETTI
Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti
per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno
negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie
alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso
- Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati,
dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice.
Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891
Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti
e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare
maggiori informazioni in assoluta riservatezza
Enrica Moscati - Responsabile Roma
Tu con il Keren Hayesod
protagonisti di una storia
millenaria
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