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N° 6 - GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 • ANNO XLIX - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ISRAELE ITALIA ISRAELE INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE NAOR GILON ADDIO HAVER PANNELLA I DRUSI SUPER SIONISTI בס’’ד SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Sharialand Nelle piazze d’Europa dove si applica la legge coranica Intitolare una strada ad Almirante? Proposta bocciata FOCUS COPERTINA Da Houellebecq a Molenbeek P L’illusione fatale dell’Islam in Europa GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 er uno dei casi che talvolta aiutano sventuratamente le vendite dei libri, il contestatissimo romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq uscì in Francia nel 2015 subito dopo le stragi a Charlie Hebdo e all’Hypercacher. A contrastare l’azione terroristica c’erano stati anche musulmani, come un commesso africano e il poliziotto che sacrificò in strada la propria vita. Houellebecq raccontava il futuro immediato di una Francia che lo 2 scrittore vede rapidamente scivolare sotto il controllo politico dell’Islam radicale. Sulle qualità letterarie del volume, forse scarse, pochissimi interventi. Tuttavia, il perbenismo bacchettone della sinistra specializzata in banalità aprì l’ineluttabile fuoco di sbarramento contro uno scrittore molto furbo e del tutto politically incorrect. Il titolo puntava tutto su un facile equivoco, giocando sul termine “sottomissione” (al-’Islam in arabo), il quale risulta traduzione letterale del concetto teologico che accomuna l’Islam all’Ebraismo e al Cristianesimo: e cioè la sottomissione del credente all’Autorità divina. Houellebecq effettua un’operazione letteraria molto simile, in buona sostanza, alle storie alternative con le quali tre scrittori avevano narrato le vicende di un mondo e di un’America governati dai nazisti: Philip K. Dick già nel 1962, poi Robert Harris (1992) e Philip Roth (2004). Ma anziché nel passato hitleriano si era proiettato in un possibile futuro parigino radicalmente islamizzato. Ormai è di moda dire “finiremo come a Tel Aviv”, finiremo come all’aeroporto Ben Gurion. Forse, ma non nel senso sottinteso dai mezzi d’informazione. La verità è quella di sempre: si comincia con gli ebrei, e poi arriva il turno di tutti gli altri. Il problema dell’insediamento dei musulmani in ogni parte del mondo consiste molto semplicemente nel fatto che sono in molti ad arrivare portando con sé una mentalità di maggioranza e di proselitismo esasperato. E’ l’equivalente contemporaneo del Cristianesimo al tempo dell’Impero sotto Teodosio (379-395). E come L’Islam, anche le altre grandi tradizioni spirituali non prevedono distinzioni tra la fede e la politica. Ma la storia d’Europa ha provveduto a regolare e bilanciare il rapporto, anche se Sua Maestà la Regina Elisabetta II d’Inghilterra è tuttora a capo della Chiesa Anglicana. Per di più al mondo dell’immigrazione musulmana manca il correttivo imposto dalla tradizione ebraica nella diaspora: “La Legge dello Stato è Legge”. Finché non colpiscono fisicamente la presenza ebraica e fino a quando le leggi consentono l’osservanza dei fondamenti halachici dell’Ebraismo, gli Stati devono essere onorati e rispettati. Parlare adesso di esclusione e di emarginazione dei giovani musulmani a Barbes (Parigi) oppure a Molenbeek (Bruxelles), di fallita integrazione, è ridicolo. Le seconde e le terze generazioni, i nati in Europa e cittadini a pieno titolo con pienezza di diritti e doveri, rifiutano la società che li ha accolti e alfabetizzati fino al diploma. Se di esclusione si tratta, è una auto-esclusione e una segregazione che si sceglie in quartieri dove gli “altri” non sono più ospiti graditi. Le rivolte giovanili marcano la storia di ogni tempo. I ragazzi e le ragazze del ’68 sognavano il comunismo egualitario, qualcuno scivolò nelle bande armate, molti si innamorarono delle guerriglie e dei terroristi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Al marxismo estremista si è sostituito il fondamentalismo religioso. Quella dell’Islam appare la situazione più inquietante. L’estremismo insegnato e praticato come unica fede impone il rifiuto della dialettica e del dialogo, l’obbedienza cieca ai teologi più aggressivi. L’Italia ha conosciuto qualcosa di simile al tempo delle grandi crisi che aprirono e poi chiusero l’età dell’Umanesimo, con Bernardino da Siena e Girolamo Savonarola. Una parte dell’Islam rifiuta l’idea di modernità e di libertà che ha aiutato la civile convivenza tra diversi, dopo le sventure della Seconda guerra mondiale. In Europa la tolleranza è stata praticamente assoluta. E ha indignato nel corso degli anni non pochi esuli dai paesi islamici. Finché sotto attacco si sono trovati soltanto Israele e il sionismo, Islam uguale “buoni”. Senza se e senza ma. Dimenticando naturalmente che vittime dei terroristi e delle dittature arabe sono stati soprattutto altri arabi e altri musulmani, sciiti o sunniti che fossero. In Francia le cose sembrano più difficili. Però bisogna riesumare la memoria storica, non soltanto quando è rito istituzionale. Sotto le presidenze Pompidou (1968-1974) e Giscard d’Estaing (1974-1981) i francesi hanno fatto di tutto e di più per conservare il controllo del petrolio nelle ex-colonie e della manodopera per le industrie nazionali, fornita dall’Algeria e dal Marocco a un paese in perenne crisi demografica. L’origine delle banlieues è questa. Durante gli anni delle guerre arabo-israeliane le monarchie feudali e le dittature nazionaliste furono gli amici privilegiati. Il Belgio seguì strade analoghe, ed evidentemente nulla aveva appreso dal disastro provocato -1960 - nella sua antica colonia del Congo. Ma i servizi sociali per gli immigrati non mancavano, e neppure i sussidi, le case e le opportunità. Qualcuno provi a mostrare le immagini delle periferie parigine agli abitanti di Scampia o delle borgate romane, e poi verifichi se per caso non sarebbe gradito uno scambio. Quanto alla disoccupazione giovanile e alla complessiva assistenza per i giovani - musulmani, ebrei, evangelici, cattolici o magari atei - in Francia e in Belgio ci pensa lo Stato. Qui da noi, in Italia, la mission appare affidata a mamma e papà, e soprattutto ai nonni. PIERO DI NEPI Sharia, la legge di Dio che colpisce il corpo per educare l’anima È un sistema normativo che si occupa di tutti gli aspetti, sia privati che pubblici. Le sanzioni corporali che applica (dalla pena di morte, alle amputazioni e fustigazioni) sono incompatibili con le garanzie giuridiche dell’occidente disponibili sul suo sito. La definizione che ne dà la Library of Congress di Washington è “la totalità dei comandi e delle esortazioni di Dio, finalizzate a regolare tutti gli aspetti della condotta umana e a guidare i credenti sulla via della salvezza eterna”. La Sharia prevede due categorie di reati: “hadd”, crimini seri (furto, adulterio) per cui sono previste severe sanzioni (amputazioni, pena di morte), e “tazir”, per i quali la punizione è lasciata alla discrezione del giudice. Tuttavia, la Sharia resta un argomento molto complesso. Dal IX secolo in poi il potere di interpretare il diritto nelle società islamiche tradizionali è spettato agli ulema, gli eruditi di norme religiose. Ma si presenta anche frammentata: ci sono cinque diverse scuole della sharia, quattro dottrine sunnite (Hanbali, Maliki, Shafi’i e Hanafi) e una dottrina sciita (Shia Jafari). Le differenze con il diritto di stampo occidentale sono comunque notevoli, soprattutto per quel che concerne le libertà personali e l’uguaglianza dei sessi. Senza dimenticare le punizioni corporali: sono previste decapitazione, lapidazione e fustigazione, sebbene la pena di morte sia ammessa solo in alcuni casi (omicidio, adulterio, bestemmia, apostasia). Anche le Nazioni Unite si sono espresse contro pratiche come la lapidazione, ritenendole forme di tortura o trattamento inumano e degradante. Una serie di norme che dunque difficilmente possono essere integrate in un sistema giuridico di stampo occidentale, costituendo così un ulteriore elemento di distanza che esaspera uno scontro che è già sociale, politico ed economico. DANIELE TOSCANO GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 L a nascita dell’ISIS, la sempre più consistente presenza di musulmani in Europa, i fragili equilibri mediorientali e gli scontri intra-islamici: questi e altri fattori hanno portato sempre più spesso a sottolineare il ruolo della Sharia nella società islamica. Ma di cosa si tratta esattamente? Secondo il dizionario Treccani, la Sharia si può definire come la “legge sacra dell’islamismo, basata principalmente sul Corano e sulla sunna o consuetudine, che raccoglie norme di diverso carattere, fra le quali si distinguono quelle riguardanti il culto e gli obblighi rituali, da quelle di natura giuridica e politica; di quest’ultimo gruppo fanno parte le prescrizioni che regolano la conduzione della guerra santa (jihad)”. L’etimologia del termine significa “percorso chiaro e ben tracciato dall’acqua”; indica un corpo di norme morali e religiose che si distinguono dalla legislazione degli uomini, individuando in essa l’infallibilità del diritto divino. Lo scopo è quello di indicare all’uomo come dovrebbe condurre ogni aspetto della vita quotidiana secondo il volere di Dio. Molteplici sono dunque le tematiche di cui si occupa: crimini, politica, contratti di matrimonio, regolamenti commerciali, prescrizioni religiose, economia, nonché questioni personali come rapporti sessuali, igiene, alimentazione, preghiere, comportamenti quotidiani, il digiuno. La Sharia è la principale fonte di ispirazione per numerosi Paesi islamici, tra cui Arabia Saudita, Sudan, Iran, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Brunei, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Mauritania. Molta attenzione scientifica e mediatica è stata riservata al tema della Sharia. La BBC ha proposto vari approfondimenti, tuttora 3 COPERTINA I quartieri europei dove l’integrazione non esiste… e nessuno la vuole Vi sono intere zone a Londra, Parigi, Marsiglia, Bruxelles, Amsterdam, Copenaghen, dove i musulmani sono maggioranza e dove impongono la ‘loro’ legge L GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 a popolazione di religione musulmana nel mondo è in continua crescita e sempre più significativa è la sua presenza in Europa. Un trend demografico che pone interrogativi di stampo politico e sociale: è possibile e come realizzare una felice integrazione? Come bisogna gestire questa multietnicità? Gli attentati di Bruxelles di novembre 2015 hanno portato sotto la luce dei riflettori il quartiere di Molenbeek, che già aveva legato il suo nome all’estremismo islamico in occasione dell’attentato al Museo ebraico della Capitale belga nel giugno 2014 e di quello di Parigi di gennaio 2015. Centomila persone, prevalentemente di etnia araba, in pochi chilometri quadrati non lontano dal centro, che possono usufruire di oltre 20 moschee. Ma Molenbeek non è che uno dei molteplici esempi di questo tipo di presenze in Europa. Eredità dell’epoca coloniale, diverse ondate migratorie e qualche opportunità in più rispetto ai Paesi d’origine tra le motivazioni principali. Tra i quartieri europei dove i musulmani sono prevalenti spiccano numerose città francesi, come Lille, Lione, Parigi. Nel nord della Capitale, Boulevard Barbés, nel quartiere Goutte d’Or, è dal 2012 inserito dal governo francese nella 64 zone di sicurezza prioritaria: aree degradate, dove circolano armi e in cui il controllo delle strade sembra di competenza della criminalità organizzata; disoccupazione, delinquenza e traffico di 4 droga diventano terreno fertile anche per i predicatori più estremisti. Discorso che si amplia ancor più se applicato ai Quartieri nord di Marsiglia, ma che si ritrova anche in centri minori come a Fafet-Brossolette, ad Amiens, definita “area priva di diritto”. La questione si pone inevitabilmente anche nella multietnica Londra, dove i musulmani costituiscono la più ampia minoranza religiosa: oltre 600mila persone secondo il censimento del 2001, più del 12% della popolazione secondo i dati del 2011, superando il 30% nei quartieri di Newham e Tower Hamlets. La peculiarità dell’Islam londinese che lo distingue da quello francese è l’origine dei suoi fedeli, provenienti soprattutto da India, Pakistan, Bangladesh, Turchia, Afghanistan: un’origine che spesso si traduce in una maggiore moderazione, come ha mostrato anche il neosindaco Sadiq Khan all’indomani della sua elezione. Ciò non toglie che vi siano anche comunità originarie del Maghreb e della Somalia, nonché tensioni sociali nelle aree più degradate come East Ham, Barking e Dagenham: da qui parte anche il successo dell’estrema destra del British National Party. Il problema dell’integrazione e della convivenza è comunque comune a quasi tutto il continente e non fanno eccezione i Paesi dell’Europa settentrionale. Ad Amsterdam c’è il popolare quartiere Slotevart, dove sono affluiti numerosi arabi e turchi; a Copenaghen ci sono Mjølnerparken e Norrebro, a cui sono riconducibili i terroristi degli attacchi di febbraio 2015. A Malmö, Rosengård è dai primi anni 2000 considerato il primo quartiere islamico d’Europa: quando nel 2009 la nazionale di tennis israeliana fu impegnata in Coppa Davis proprio contro la Svezia, scattò il boicottaggio, con violente proteste in piazza della popolazione di fede musulmana. In alcune periferie si è raggiunta una pacifica convivenza, come a Neukölln a Berlino; prevalgono però i casi in cui le differenze etnico-religiose si sono sommate alle tensioni socio-economiche preesistenti e sono aumentati i rischi di contaminazione del fondamentalismo islamico: in Europa l’integrazione sta diventando una sfida sempre più complessa e non si arresterà nel breve periodo. Il Pew Research Center ha riportato a questo proposito alcuni dati utili: la popolazione musulmana nel continente europeo (Turchia esclusa) era di circa 30 milioni nel 1990, 44 milioni nel 2010 e ci si aspetta un incremento fino a 58 milioni nel 2030. Francia (4,8 milioni) e Germania (4,7) sono i Paesi dell’Unione Europea con il più ampio numero di musulmani; sull’intero continente, il record è comunque della Russia con i suoi 10 milioni. Recentemente, l’aumento di musulmani in Europa è stato dell’1% ogni decennio, dal 4% del 1990 al 6% nel 2010: un trend determinato a proseguire e ad aumentare, con previsioni per il 2030 di un 8% di musulmani sulla popolazione europea; i musulmani sono infatti anche più giovani (età media 32 anni) degli altri europei (40). DANIELE TOSCANO A Brescia e ad Eboli sono sorti quartieri a totale presenza musulmana, con alcuni casi di jihadismo A ll’indomani dei tragici attentati di Bruxelles su tutti i media, nazionali ed internazionali, si è parlato a lungo di Molenbeek, il quartiere situato alla periferia ovest della capitale belga. Divenuto famoso per essere stato il quartier generale da dove sono stati pianificati gli attacchi jihadisti e per aver dato rifugio al super ricercato Salah Abdeslam dopo il 13 novembre di sangue a Parigi, il quartiere multiculturale si è trasformato nell’estremo esempio di cosa si può generare nei luoghi dove tendono ad aggregarsi quelle minoranze che non si riconoscono nella società occidentale fondata sul laicismo e sullo stato di diritto. In Italia casi del genere non si sono ancora verificati, probabilmente a causa della diversa provenienza degli immigrati, che nella maggior parte dei casi non arrivano da paesi in cui è in vigore la legge coranica, ma è possibile constatare in particolari aree del nostro paese una certa tendenza che lascia pensare che l’Italia non sia del tutto immune da fenomeni di questo tipo. Due casi meritano attenzione: Brescia ed Eboli. Nella città lombarda, a pochi metri dal centro storico, esiste un quartiere chiamato “il Carmine” in cui vivono circa trentasettemila immigrati. Si tratta in prevalenza di pakistani e nordafricani che hanno totalmente ridisegnato la zona eliminando ogni traccia delle tradizionali attività artigiane rimpiazzandole con macellerie halal, call center e negozi di frutta e verdura. Il Carmine però non ha mai goduto di buona fama ed è stato considerato per secoli un luogo malfamato, legato ad attività illecite e frequentato solo dai clienti delle prostitute che vi lavoravano. La presenza massiccia di immigrati non è di per sé un problema ma, come a Molenbeek, hanno trovato qui un posto sicuro diversi jihadisti di casa nostra: nel 2009 Mohammad Yaqub Janjua, 60 anni, e suo figlio Aamer Yaqub, 31 anni, furono arrestati dalla Digos e dalla Guardia di Finanza perché ritenuti coinvolti negli attentati di Mumbai del 2008 e per aver effettuato più di trecento trasferimenti di denaro, attraverso la loro attività di money transfer, a favore di personaggi indagati per terrorismo in Pakistan, furono poi in seguito rimessi in libertà dal Tribunale del riesame; Essaadi Moussa Ben Amor Ben Ali, latitante dal 2009, ha vissuto per un lungo periodo di tempo nel quartiere bresciano prima di fuggire in seguito alla diffusione di una lista nera stilata da Washington, un’inchiesta successiva lo ha definito “uomo-ponte” fra l’Italia e le reti terroristiche di al-Qaeda; infine il caso più recente, quello di Abu Rawaha Al-Itali, il primo kamikaze italiano fra i foreign fighters in Siria, passato per il Carmine prima di andare a combattere per lo Stato Islamico. Ad Eboli invece una zona della Piana del Sele è stata ribattezzata “Selestan” per l’elevata presenza di immigrati islamici. Qui la presenza di elementi legati al jihadismo è ridotta ad un caso relativo a due algerini arrestati dalle forze dell’ordine con l’accusa di far parte di al-Jamaa al-Islamiyya al-Musallaha, un gruppo fondamentalista nordafricano. La trasformazione del quartiere è però molto simile a quella avvenuta al Carmine dove le insegne dei negozi sono rigorosamente in arabo e gli immancabili call center sono ad ogni angolo. A marzo 2016 si è verificato anche un triste incidente: al grido di “maledetti cristiani” un uomo si è messo a fracassare le statue della Madonna di Lourdes scatenando l’ira dei residenti cristiani. Solo l’intervento congiunto di imam e preti ha scongiurato il peggio. Questi casi non servono ad indicarci l’Islam come portatore di un virus incompatibile con il nostro modo di vivere ma devono farci tenere a mente l’idea che lo Stato ha il dovere di vigilare nei quartieri più a rischio perché sono proprio quelli i luoghi dove il fondamentalismo islamico procede al reclutamento. Fra i disperati e gli emarginati, fra chi non trova le sue opportunità di vita e lavoro e chi sceglie autonomamente di rinchiudersi in una enclave religiosa come al Carmine o nel Selestan. MARIO DEL MONTE GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Quelle piccole Molenbeek italiane 5 ISRAELE Un assedio perenne Fin dalla sua nascita Israele è stata accerchiata da eserciti nemici, isolata diplomaticamente, minacciata dal terrorismo arabo, demonizzata dalla stampa internazionale. In un libro il racconto degli ultimi quindici anni N on si capisce nulla della cronaca tumultuosa delle vicende internazionali che riguardano lo Stato di Israele se non si parte da un dato di fatto: Israele è sotto assedio. Lo è da sempre, da prima che fosse fondato. Da un lato il mondo islamico e in particolare quello arabo non vuole (anzi religiosamente non può) accettare che vi sia uno stato dei miscredenti in terra già conquistata dall’Islam, che dei non musulmani governino su minoranze musulmane, anche se lo fanno in maniera democratica. Dall’altro l’Europa e in genere l’Occidente si sono pentiti di aver concesso (con la dichiarazione Balfour, col mandato britannico, con i voti della Società delle Nazioni nel 1922 e dell’Onu nel 1947) che si costituisse uno stato ebraico. Lo considerano oggi un errore strategico, anche se per lo più non osano parlarne esplicitamente in questi termini, e vorrebbero tornare indietro o almeno depotenziare Israele. Se almeno gli israeliani non avessero avuto successo nella loro economia, nella cultura, nella scienza, se non fossero riusciti a difendersi da soli dalle minacce arabe... forse allora Israele sarebbe stato tollerabile come protettorato oggetto di compassione, o piuttosto come nuovo ghetto. Ma lo Stato di Israele è il più grande successo politico del XX secolo e allora bisogna fermarlo, umiliarlo, ridimensionarlo. L’assedio è stato prima di tutto militare, con le guerre tradizionali fra il ‘48 e il ‘73, con il terrorismo dei dirottamenti fra il ‘68 e la ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA L’“Associazione Daniela Di Castro Amici del Museo Ebraico di Roma” è nata per aiutare il Museo Ebraico GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 di Roma nella tutela, conservazione, 6 promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 metà degli anni Settanta, poi con le sollevazioni degli anni Ottanta, con il terrorismo suicida del 2000-2003, i missili da Gaza e dal Nord, i tunnel e i rapimenti. Poi è stato diplomatico, con infinite deliberazioni anti israeliane delle agenzie internazionali e giuridiche, con i rapporti Goldstone e le denunce in ogni sorta di tribunali e mediatico con la diffamazione generalizzata da parte della stampa di tutto il mondo. Tutte questa minacce sono state respinte a caro prezzo. Oggi resta una miscela di tutte queste cose: accoltellamenti e conferenze internazionali e odio mediatico e minacce giuridiche e accordi diplomatici. E’ l’ ”assedio postmoderno”. Anche contro queste minacce Israele si difende bene dappertutto, salvo forse nel campo immateriale ma decisivo dell’opinione pubblica internazionale. Se fino a un certo punto la politica e i media occidentali vedevano Israele per quel che è, un miracolo di democrazia e di progresso isolato nel sanguinoso caos mediorientale, oggi questo fatto è progressivamente oscurato dall’ideologia antioccidentale e terzomondista che ha sempre più peso nei media e nella politica europea e nordamericana. A peggiorare le cose vi è il ritorno di una mentalità antisemita, in parte alimentata dall’immigrazione islamica, in parte dal riemergere di vecchie pulsioni d’odio, oggi presenti ancor più nella sinistra politica che nella destra. Di qui l’importanza della controinformazione su Israele: per smascherare le menzogne, fare memoria sulle aggressioni che lo stato ebraico subisce, chiarire le sue politiche e le sue leggi democratiche ma spesso grottescamente diffamate, far conoscere i successi e i meriti di Israele. Dato che i media, a parte alcune significative ma rare eccezioni di giornalisti preparati ed onesti, non fanno questo lavoro e che non possono svolgerlo compiutamente i giornali che si rivolgono in primo luogo alle comunità ebraiche, sono importantissime quelle iniziative che si rivolgono alla popolazione generale e innanzitutto a chi a sua volta ha responsabilità di comunicazione, per informarli e denunciare gli errori e le diffamazioni. In Italia il primo è più importante di questi giornali, “Informazione Corretta” (www.informazionecorretta.it), fondato e diretto da Angelo Pezzana, ha compiuto in questo periodo i suoi quindici anni di attività. Per festeggiare l’anniversario “Informazione corretta” ha pubblicato un libro intitolato “Israele - Diario da un assedio” (Proedi Editore, pag 622, €18). Essendone l’autore, non è certamente mio compito giudicarlo. Si tratta di una scelta di scritti degli ultimi otto anni, che fanno la cronaca degli eventi tumultuosi che si sono svolti in questo periodo intorno a Israele, secondo le linee che vi ho esposto qui sopra. Voglio solo dire che è importante prendere la parola, cercare di spiegare, discutere, polemizzare intorno alle posizioni politiche che si manifestano in Europa su Israele. Perché lo stato ebraico certamente è in grado di difendersi e progredire da solo come ha fatto da quasi settant’anni, secondo la logica della sua crescita organica. Nessuno per esempio gli ha imposto la svolta verso la liberalizzazione dell’economia e lo sviluppo dell’alta tecnologia come ha fatto negli ultimi decenni. Ma che l’assedio di Israele si saldi anche in Europa, che il tentativo di soffocare lo stato ebraico prenda slancio o trovi ostacoli nell’opinione pubblica dipende anche da noi, dalla nostra capacità di parlare, di prendere posizione, di non aver paura a difendere la sola democrazia del Medio Oriente e anche lo stato del popolo ebraico, libero di nuovo dopo venti secoli di esilio. UGO VOLLI Da terroristi a combattenti per la libertà. L’evoluzione della retorica palestinese È stato dichiarato che è lecito uccidere i soldati israeliani di terrorismo” (solo nella democratica Israele può succedere che un partito con quel nome elegga un rappresentante che sostiene posizioni simili!). Se i soldati sono il simbolo dell’occupazione, allora è giusto ucciderli. Viene cancellata tutta la storia, almeno dal 1948 a oggi, di tutte le guerre che Israele ha dovuto combattere per difendersi, ha diritto di esistere soltanto la vulgata palestinista, nella quale il terrorista diventa, appunto, un ‘combattente per la libertà’, non più un assassino. Dietro la parola magica ‘occupazione’ sappiamo invece che c’è l’obiettivo di distruggere lo Stato ebraico, non di crearne uno arabo, l’ennesimo, ma di negare agli ebrei il diritto a vivere nel loro proprio stato, per sostituirlo con un Califfato, perché questo è quanto ci insegnano le guerre civili che stanno distruggendo stati e popolazioni in Medio Oriente. La cecità, per non dire di peggio, dei commenti sui media occidentali, e le posizioni di governi e istituzioni internazionali, è impressionante. Invece di sottolineare l’esempio di Israele, che continua a mantenere forte il proprio sistema democratico pur vivendo da sempre sotto attacco, con un parlamento dove si possono esprimere tutte le opinioni, anche le più aberranti, come quelle di Zouheir Bahloul, si continua con insistenza a presentare la soluzione dei due stati per due popoli, quando è ormai chiaro a chiunque abbia una anche minima conoscenza della storia mediorientale, che l’obiettivo palestinista non è uno stato accanto a Israele, ma l’appropriazione di quello degli ebrei. Quando ci sarà un premier occidentale a riconoscerlo apertamente? Ci vuole poi tanto coraggio a dire chiaro e forte ‘il Re è nudo’? ANGELO PEZZANA ARGENTERIA ASTROLOGO Vasto assortimento di Judaica Bomboniere con confetti casher Papa Incisioni personalizzate Oggetti da indosso Gadget aziendali Esposizione di 300 m2 Via Buonarroti, 20 Tel. 06.4873664 - 06.4870835 [email protected] GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 L’ estrema, totale pratica delle libertà democratiche rendono in Israele estremo e totale anche il dibattito politico su temi e discussioni che, in altri paesi, verrebbero catalogati senza ulteriori approfondimenti. Come avvenne in Italia durante gli anni del terrorismo, quando quelle componenti auto-definitesi ‘rivoluzionarie’ avevano cercato di presentarsi quali ‘resistenti’, ‘combattenti per la libertà’, nel tentativo di convincere l’opinione pubblica della giustezza dei loro crimini contro cittadini indifesi, in nome di una nuova guerra partigiana. Qualcosa di simile sta accadendo in Israele, dove il terrorismo palestinese non veste più soltanto i panni dell’attentatore di strada o di chi si suicida per provocare una strage per ubbidire a un fanatismo religioso che esalta la morte invece della vita. Ci sono questi, ma la categoria dei ‘terroristi presentabili’ si è arricchita di nuovi rappresentanti per dare un nuovo significato alle parole. Perché definire terroristi, quando chi si macchia di crimini orrendi lo fa in nome della libertà di un popolo? La storia è piena di esempi nei quali l’attentato, persino la strage, era motivato da profondi ideali di giustizia. Perché, allora, non smetterla di chiamare terroristi quegli uomini, donne, bambini che uccidono, si fanno esplodere, sentendosi dei ‘combattenti per la libertà’? Del loro popolo, dicono, ottenendo risultati da non sottovalutare, essendo la storia del Medio Oriente – e di Israele in particolare – sottomessa alla narrativa di parte arabo-palestinese, con l’esclusione – sempre e comunque - delle ragioni di Israele. Un esempio recente è quello di Zouheir Bahloul, un deputato del partito ‘Unione Sionista’, il quale ha dichiarato che “attaccare i soldati con la volontà di ucciderli, non deve essere considerato un atto 7 ISRAELE Politica, economica, cultura: i tre campi in cui si gioca l’amicizia tra Italia e Israele A poche settimane dalla fine del suo mandato diplomatico, l’ambasciatore israeliano Naor Gilon concede in esclusiva un’intervista a Shalom: “lascio un pezzo del mio cuore” L’ambasciatore dello Stato di Israele, Naor Gilon, sta terminando il suo mandato in Italia e ha concesso un’intervista esclusiva al nostro giornale. In questi anni, sulla scia dei suoi predecessori, ha lasciato un’impronta significativa nei rapporti tra i due Paesi. E non solo con le istituzioni italiane. Ha promosso relazioni a largo raggio, grazie a un’attività costante di partecipazione a eventi e iniziative, contribuendo a rafforzare nella popolazione la simpatia nei confronti di Israele - malgrado un antisemitismo diffuso nel resto di Europa in cui crescono a dismisura i movimenti estremisti e razzisti - e riuscendo a far conoscere la vitalità dello Stato ebraico in molti settori, spesso poco comunicata sui media. Ha mostrato un Paese che cambia in modo veloce e che offre opportunità e innovazione anche al mondo imprenditoriale italiano, che guarda con attenzione alle sfide che attendono le nuove generazioni. Abbiamo incontrato l’ambasciatore Gilon presso la sede diplomatica e ha risposto alle nostre domande in un ottimo italiano, rivelando ancora una volta il profondo amore che nutre per il Paese che lo ha ospitato questi ultimi quattro anni. GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Q 8 ual è lo stato dei rapporti tra Italia e Israele? Sono ottimi, in tutti i campi: dallo scambio commerciale, alla ricerca e sviluppo, all’università. La bilancia commerciale va bene, considerando la congiuntura internazionale. Si aggira sui 4 miliardi di scambio, però il rapporto è misurato tre a uno: l’Italia esporta tre e Israele esporta uno. Qui si compra di meno, perché c’è crisi. E anche per il turismo vale la stessa proporzione: su tre turisti israeliani che vengono qui c’è ne è un italiano che va in Israele. Come partner commerciale con Israele, l’Italia è il secondo o terzo in Europa, e tra i primi dieci dei Paesi del mondo. Nei confronti del governo di Gerusalemme, l’Italia sembra un’isola felice rispetto agli altri Paesi europei, o no? In generale sì. Sebbene ci siano anche elementi meno filoisraeliani. Credo che rispetto ad altri Paesi la stampa italiana sia più obiettiva, parlo della stampa scritta. Per quanto riguarda la televisione, ci dobbiamo aspettare di più dalla Rai. Lì vivono delle realtà che sono ancorate al passato, quando, negli anni Settanta, l’approccio nei confronti di Israele era negativo. Va detto che il vero cambiamento l’ha compiuto Berlusconi e grazie a lui c’è stata una svolta nell’opinione pubblica italiana. Grazie anche a Renzi che è il leader del centrosinistra la posizione è cambiata anche in questo schieramento. Non voglio dimenticare anche l’azione di obiettività di Napolitano e Prodi. C’è stata continuità o ha avvertito delle differenze nei rapporti del governo Netanyahu, tra Monti, Letta e Renzi? Posso dire che con tutti e tre sono stati e sono rapporti molto buoni. Voglio dire che i primi due, Monti e Letta, per le loro prime uscite fuori dall’Europa, hanno scelto di andare in Israele, e questo è significativo. Certo, tra Renzi e Netanyahu c’è un rapporto personale di amicizia. Anche perché Renzi ha proprio a cuore il legame verso Israele. E si vede che a ogni livello della compagine governativa italiana si è stabilito un ottimo rapporto con gli omologhi israeliani. Tra poco ci sarà un’altra visita del ministro dell’Istruzione, Giannini che segue l’attività di circa millecinquecento ricercatori italiani in Israele che cooperano in diversi campi. Oltre agli ottimi rapporti istituzionali, c’è molta attività congiunta nei diversi settori tra i due Paesi. Recentemente Israele ha aperto un ufficio nel quartiere generale della Nato a Bruxelles. Perché? Si, è stato fatto ora perché avevamo avuto dei problemi con la Turchia per l’apertura e avevamo bisogno di un consenso europeo, che ora c’è stato. L’immagine di Israele è uscita molto bene sui media con l’esposizione del padiglione all’Expo: un impegno che è stato ripagato? È andata benissimo. Al di là di ogni previsione. Il padiglione israeliano è stato il quarto o quinto più visto dell’intera esposizione dai visitatori. Addirittura più di quello dell’Italia. Ma questo è facile da spiegare: perché il tour nel nostro padiglione durava diciotto minuti. Per vedere quello italiano ci si impiegava ore soltanto per la fila. Abbiamo dato un messaggio fondamentale attraverso l’esposizione: siamo il numero uno al mondo nella tecnologia applicata all’acqua. È stata un’ottima opportunità per comunicare il nostro know-how. Nei mesi scorsi c’è stato un incontro importante del governo israeliano con i vertici dell’Eni per lo sfruttamento energetico, ci può spiegare di che cosa si tratta? Israele, come sa, negli ultimi anni ha scoperto nelle proprie acque territoriali importanti riserve di gas. Più di quello che serve al nostro Paese, e abbiamo necessità di esportarlo. Anche l’Eni nella zona mediterranea ha trovato altro gas. La loro idea è quella di convertire in liquido e dall’Egitto condurlo in Europa attraverso dei tubi. Noi abbiamo già accordi con l’Egitto. E questa potrebbe essere una buona idea. Dato che tutto il processo non è terminato è ancora prematuro però firmare accordi. Voglio aggiungere che circa tre anni fa abbiamo firmato un accordo con Finmeccanica, con la controllata Alenia Aermacchi, per la fornitura di 30 addestratori M-346, per circa tre miliardi di dollari. Tra qualche settimana ci sarà un evento per celebrare la consegna degli ultimi caccia. Sul piano degli scambi culturali c’è una forte presenza israeliana in Italia, è soddisfatto? Molto. A Venezia ogni anno siamo presenti alla Biennale da più di sessant’anni: un anno ci dedichiamo all’archeologia e un altro anno all’arte. Poi abbiamo la Triennale a Milano con cui partecipiamo con il design. Poi durante l’anno siamo sempre presenti nelle varie manifestazioni internazionali con il jazz, la danza, il cinema, le mostre al Vittoriano. Siamo quasi tutte le settimane impegnati in eventi a cui partecipano artisti ed esponenti del mondo culturale israeliano. Facciamo tanto. La promozione culturale è fondamentale per la conoscenza reciproca dei due Paesi. Abbiamo appositamente creato nel 2012 una Fondazione che merciale qui in Italia è di poca valenza. È stata importante la dichiarazione del premier Renzi che ha ribadito che il boicottaggio nei confronti di Israele rappresenta boicottare se stessi, e la posizione del Ministro Giannini con la lettera dei trecento professori contro il boicottaggio. Noi in ambito universitario facciamo tanto. Tra poco accompagneremo il terzo gruppo di rettori accademici italiani per fare conoscere il Paese, per siglare accordi con le Università israeliane. Appena noi comunichiamo agli enti locali che è in procinto l’organizzazione di un evento anti israeliano i sindaci ci rispondono che non lo patrocineranno. Gli italiani sono contro il boicottaggio. Fanno rumore questi Bds, ma va ricordato che il loro fine non è cercare la pace ma fare un’azione ostile ad Israele. A novembre prossimo e poi a gennaio con l’insediamento, alla Casa Bianca siederà un altro Presidente. Cambierà qualcosa in Medio Oriente? È prematuro dire qualcosa ora. Io, in passato in missione diplomatica sono stato negli Usa e devo dire che i rapporti tra i due Paesi sono molto forti. Rimane il migliore alleato di Israele. È vero che nei rapporti personali il rapporto che Netanyahu ha con Renzi non lo ha con Obama. Vero però che tutto l’apparato istituzionale americano è vicino allo Stato ebraico. Io sono ottimista che continueremo le ottime relazioni perché le basi sono solide. Signor Ambasciatore, lei per missione diplomatica è stato in molte parti del mondo. Qual è la peculiarità della Comunità ebraica nei confronti di Israele? La comunità romana è molto sionista e molto vicina a Israele. Qui c’è una comunità piccola ma si vede che sono parte integrante del Paese. Quando domando a un non ebreo quanti siano gli ebrei qui, mi rispondono: un milione. Va detto che è una comunità sempre attiva. Anche in Italia non manca l’antisemitismo perché c’è quello nascosto, visto che quello pubblico non sarebbe politically correct. E così trasferiscono questo odio verso Israele. Quali ricordi porterà con sé di questa esperienza italiana? È un’esperienza unica vivere in questo meraviglioso Paese con una comunità ebraica forte. Grazie anche a tanti amici che promuovono l’amicizia tra Italia e Israele. La mia intenzione è continuare a lavorare tra i due Paesi perché lascio qui una parte del mio cuore. A CURA DI JONATAN DELLA ROCCA GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 prevede il lavoro congiunto delle due Ambasciate per organizzare eventi di rilevanza che hanno molto successo. Dopo la visita dell’on. Salvini, ci dovrebbe essere la visita dell’on. Di Maio nelle prossime settimane in Israele. Che rapporti ci sono con il Movimento Cinque Stelle? La visita di Salvini è andata bene. Noi siamo aperti e disponibili a parlare con tutti. Basta che non siano fascisti, antisemiti, che non siano negazionisti e che non paragonino la Shoah alla politica contemporanea. In questa direzione siamo pronti ad ospitare Di Maio perché lui risponde bene a tutti i requisiti. Il dialogo è importante con tutti. Questo è l’approccio di Israele da sempre, di parlare, anche con i paesi arabi, a volte anche in modo indiretto. Parlare significa anche prevenire incidenti. Visti i rapporti ravvicinati dell’Italia con il mondo arabo, cosa può fare l’Italia per favorire il riconoscimento di Israele da parte dei Paesi che ne minacciano la distruzione come l’Iran? L’atteggiamento iraniano non è cambiato, basta sentire Khamenei con le sue minacce e vedere i missili prova, che portano incisa la scritta di distruggere Israele. È meno pubblicizzato questo ruolo sui media perché siamo sulla scia dell’accordo. Noi vediamo il dossier Iran in modo diverso dall’Italia e dall’Occidente. L’Iran, secondo noi, ha un ruolo fortemente destabilizzante del Medio Oriente, invece di esserne un attore che partecipi alla distensione. La sua azione, in Libano, Siria, con Hamas, è sotto gli occhi di tutti. L’Italia pensa che l’Iran possa dare un contributo positivo. Noi possiamo dire al governo italiano di stare molto attenti e di mettere in agenda con gli interlocutori di Teheran nei colloqui diversi temi importanti: Israele, i diritti umani, delle minoranze, dei gay, del negazionismo della Shoah. Insomma ci deve essere da parte dei Paesi occidentali quello che noi chiamiamo “un dialogo critico”. In Europa vi sono numerose azioni di boicottaggio nei confronti di Israele, sia quello commerciale che quello scientifico e universitario: in Italia com’è la situazione? Non è molto forte in Italia, ma esiste. È però un atteggiamento importato dall’estero, dove l’attività anti-israeliana è molto forte. Ci sono pochi italiani coinvolti; quelli che partecipano provengono dall’estremismo politico e dal mondo musulmano. Quello com- Contatti: Yael Ilmer Giron 349 251 6993 I [email protected] I www.masaitalia.org Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod 9 STATI UNITI Un super ricco in aiuto di un super ricco Sheldon Adelson, uno degli ebrei più ricchi del pianeta, ha annunciato il sostegno economico alla campagna elettorale di Donald Trump GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 N 10 EW YORK – L’annuncio ha messo a soqquadro il mondo ebraico Usa. L’82enne Sheldon Adelson - il più importante e controverso sponsor del partito Repubblicano dopo i fratelli Koch - ha annunciato che verserà 100 milioni di dollari nelle casse (secondo i media Usa ormai prosciugate o forse a secco da anni) del front-runner repubblicano Donald Trump. Adelson, uno degli ebrei più ricchi del pianeta (nel 2008 era il terzo uomo più ricco degli USA dopo Bill Gates e Warren Buffett, e dodicesimo uomo più ricco del mondo secondo la rivista Forbes) è proprietario di un impero dei casinò che include il Las Vegas Sands Corp., the Marina Bay Sands a Singapore e il Venetian di Macao. Tra le sue tante proprietà annovera anche Israel Hayom, il quotidiano più letto d’Israele e il Las Vegas Review-Journal, acquistato di recente per influenzare le sorti legali e finanziare delle sue case da gioco, finite più volte nel mirino di giudici e tribunali (da allora si è assistito all’autolicenziamento in massa della redazione). “Perché no?”, ha risposto Adelson durante una festa di gala a chi gli chiedeva perché mai avesse deciso di dare il suo endorsement al candidato aborrito dall’establishment ebraico Usa. “Mi viene in mente la celebre barzelletta ebraica”, ha proseguito tra le risate generali, “Un ebreo chiede ad un altro ebreo se sa perché gli ebrei rispondono ad una domanda sempre con un’altra domanda. ‘Perché non dovrebbero farlo?’, gli risponde quello”. Ma fuori dalla ristretta cerchia dell’ebraismo di destra, il mondo ebraico americano non ha trovato niente da ridere nella battuta del self-made man nato a Boston in una poverissima famiglia di origine ucraina e lituana che in passato si è divertito a scioccare l’America proponendo di bombardare l’Iran con l’atomica e di buttare alle ortiche i diritti dei palestinesi. In un editoriale firmato dalla direttrice Jane Eisner il più antico e autorevole giornale ebraico americano, il Jewish Forward, si scaglia contro l’ ‘amorale’ Adelson, definendo Trump ‘un’anomalia assoluta’. “Le sue idee non sono solo anti-ortodosse”, teorizza la Eisner, “ma violano anche i valori americani ed ebraici più antichi e radicati. Il suo linguaggio è volgare, istigatore, intollerante, razzista e offensivo”. Al palazzinaro newyorchese il Forward non perdona di “essersi ripetutamente rifiutato di prendere le distanze dal crescente, odioso e pericolosissimo antisemitismo dei suoi fans”, da lui stesso incoraggiato. “Ciò dovrebbe bastare a delegittimarlo agli occhi del mainstream ebraico”, teorizza. Ma non a quelli di Adelson. In un op-ed pubblicato sul Washington Post, il magnate chiama a raccolta gli sponsor repubblicani, invitandoli a “far quadrato attorno a Trump”. Le sue motivazioni, si scopre, non sono proprio disinteressate. “In quanto a loschi affari, i due sono praticamente gemelli”, ironizza Newsweek, che paragona le tante magagne legali di Trump (ultimo lo scandalo della fantomatica Trump University che avrebbe defraudato legioni di studenti) ai processi per corruzione e frode intentati contro Adelson in vari continenti. La speranza di Adelson (che si autodefinisce ‘l’anti-George Soros’ e ha speso 90 milioni di dollari per bloccare la rielezione di Obama) è spedire alla Casa Bianca un “amico”. Una sorta di scudiero che si sentirebbe in obbligo di ripagargli il salatissimo favore. Ironicamente proprio quest’aspetto mercenario della politica americana è stato il grande cavallo di battaglia di Trump, che ha sconfitto i rivali presentandosi come l’unico “in grado di sponsorizzare la propria campagna presidenziale e quindi libero da ricatti”. “I contributi elettorali delle élite finanziarie che hanno in pugno l’America corrompono i politici”, ha insistito per mesi Trump, assicurando il Paese che “nessuno potrà influenzarmi o dirmi cosa fare perché non accetto soldi da nessuno”, Bussando alla porta di Adelson, Trump ha pubblicamente ammesso di aver finito i fondi e di essere pronto, qualora eletto presidente, a servire in tutto e per tutto il suo ‘benefattore’. Che cosa gli ha chiesto in cambio Adelson? “Gli ho assicurato che Israele non avrà amico migliore di me”, replica Trump che alcuni mesi fa è stato fischiato ad un incontro con la Republican Jewish Coalition di Washington, quando si rifiutò di schierarsi per Gerusalemme capitale indivisibile di Israele, mettendo in forse persino i futuri aiuti economici Usa allo Stato ebraico. Settimane prima aveva scatenato un putiferio affermando che davanti al conflitto Israelo-palestinese “sarò un presidente neutrale”, perché comunque un accordo di pace “dipende da Israele e se vorrà trovarlo”. Per reintrodurlo all’amico Netanyahu (che lo scorso dicembre aveva disinvitato Trump dopo le sue incendiarie dichiarazioni anti-musulmani), Adelson ha annunciato che sta organizzando un incontro ufficiale tra i due a Gerusalemme. La travagliata biografia di Adelson (il cui figlio Mitchell è morto di overdose di eroina a soli 44 anni, dopo aver fatto causa al padre e l’altro figlio, Gary, combatte da anni contro la tossicodipendenza) ha fatto sì che ben pochi sponsor repubblicani abbiano risposto al suo appello. Da quando Trump è emerso come il candidato ufficiale del GOP, le grandi corporation, tra cui Apple, Google e Wal-Mart stanno rivedendo i loro piani di partecipare alla Convention Repubblicana di luglio. Altre, come Coca-Cola, hanno decurtato la loro presenza, spinte dalla petizione popolare che invita a boicottare l’evento di Cleveland “perché esserci equivale ad appoggiare la sua retorica razzista”. Contro Trump si sono mobilitati molti autorevoli ebrei repubblicani. Dal magnate Paul Singer ai giornalisti Jonathan Tobin e Jennifer Rubin all’influente Anti-Defamation League che ha pubblicato ben cinque comunicati stampa anti-Trump negli ultimi sei mesi. “La nostra tesi è che certe idee non possono esistere nel mainstream”, spiega al Forward Jonathan Greenblatt, il nuovo capo dell’ADL, “il nostro compito è fare tutto il possibile perché la gente lo capisca”. ALESSANDRA FARKAS @afarkasny Bernie Sanders e i concetti di unione e fratellanza nostro egoismo con l’unione e la fratellanza. Venendo quindi a mancare l’elemento che sin dalla nostra nascita ci aveva tenuti insieme come una nazione, non siamo riusciti a restare insieme e ci siamo dispersi in esilio. E tuttavia, in ognuno di noi c’è un ricordo impercettibile. Potremmo non essere in grado di definirlo, ma esso ci dice che al centro stesso siamo tutti uniti, e dobbiamo proiettare questa unione al mondo. Anche Bernie Sanders lo sente. Egli è ben consapevole non solo del fatto che l’unione sia fondamentale, ma anche che tutti dobbiamo realizzarla. In un consiglio cittadino (town hall) delle Presidenziali Democratiche trasmesso dalla CNN, tenutosi nel South Carolina, Sanders ha affermato: “Ogni grande religione nel mondo ... proviene essenzialmente da ‘Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te’. Quello che io ho creduto, e l’ho creduto per tutta la mia vita ... è che siamo in questo insieme. Queste non sono solo parole. La verità è che a un certo livello, quando tu fai del male, quando i vostri figli fanno del male, fate male a me, mi fate male! E quando i miei figli fanno del male, vi fanno del male. Credo che la natura umana riguardi il fatto che tutti in questa stanza abbiano un impatto su tutti gli altri in modi che non possiamo nemmeno capire, ed è un concetto al di là dell’intelletto. È una cosa spirituale, emotiva. Quindi credo che ... se dicessimo che quel bambino che ha fame è mio figlio, penso saremmo più umani rispetto a quando si dice ‘Io sono il mondo intero, ho bisogno sempre di più, non mi importa di nessuno’. Questa è la mia religione; io credo in questo e penso che la maggior parte delle persone ... condivida questa convinzione, che siamo in questo insieme come esseri umani. ... Perciò dobbiamo lavorare insieme, ed è di questo che tratta la mia spiritualità”. In Sanders il “ricordo” dell’importanza dell’unione è chiaramente molto attivo. Ma come si spiega la sua alienazione da Israele? La risposta è semplice: semplicemente non vede che Israele sta diffondendo lo spirito dell’unione e della fratellanza, così ci si sente alienato. Egli può esprimerlo contestando la politica o le azioni di Israele, ma al di sotto di questo si trova l’aspettativa non detta che lo Stato di Israele diventi “Una luce per le nazioni”, per diffondere l’unione e la fratellanza. Dire che “quel bambino che ha fame è il mio bambino” ci fa più umani di quando diciamo “Non mi interessa nessun altro”, è la cosa più vicina per arrivare a dire “Dobbiamo coprire il nostro egoismo con l’unione e la fratellanza e diventare ‘Come un solo uomo con un solo cuore’”. Essere contro Israele non aiuterà la causa di Sanders. Non porterà l’unione o la fratellanza, e non renderà il mondo un posto migliore. Tuttavia, dovremmo usarlo come un promemoria di ciò che gli ebrei devono fare in questo mondo, ossia, portare l’unione e la fratellanza a tutta l’umanità. Non saremo in grado di fare questo finché non copriremo i nostri crimini con l’amore, e mostreremo al mondo un esempio di come questo possa essere fatto. Come ha detto Sanders “Tutti hanno un impatto su tutti gli altri in modi che non possiamo nemmeno capire, ed è un concetto al di là dell’intelletto”. E quando influenziamo gli altri con la gentilezza, siamo davvero più umani rispetto a quando portiamo odio, che purtroppo è ciò che Sanders sta facendo in questo momento nei confronti di Israele. Se vogliamo porre fine al conflitto in Medio Oriente, noi, gli ebrei, dobbiamo prima mettere fine ai nostri conflitti interni e unirci al di sopra di essi. La nostra riaccesa unione si diffonderà come onde in uno stagno, quando noi dimostreremo come possiamo veramente “Fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. MICHAEL LAITMAN GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 B ernie Sanders, candidato democratico alle presidenziali americane, ha affermato in un’intervista al Daily News che nel recente conflitto con i palestinesi a Gaza (Margine di protezione), nell’estate del 2014, Israele abbia ucciso “più di 10.000 persone innocenti”. Il fatto è che persino il conteggio delle vittime fatto dagli stessi palestinesi non supera i 2.300, e questo include attivisti di Hamas, ovvero, terroristi. Tuttavia, le opinioni di Sanders, ai limiti dell’antisemitismo, non sono una novità. Con sostenitori come Noam Chomsky, devoto attivista anti-Israele, e sostenitori antisemiti come il ministro Jesse Jackson quando era un candidato per la nomina presidenziale democratica, le sue opinioni riguardo l’ultimo conflitto a Gaza non sono una sorpresa per nessuno. Anche così c’è da chiedersi come Sanders sia giunto alla conclusione che: a) 10.000 palestinesi siano stati uccisi durante il conflitto, e b) che questi palestinesi fossero delle “persone innocenti”. Da un lato egli afferma che “gli attacchi di Israele contro Gaza siano stati indiscriminati e che siano state uccise molte persone che non avrebbero dovuto esserlo”, dall’altro egli afferma che “abbiamo una situazione in cui Hamas sta lanciando missili su Israele, che è un fatto, e sappiamo da dove provengono alcuni di questi missili. Arrivano da aree popolate; questo è un dato di fatto”. Così egli è consapevole che Hamas spari dall’interno di aree popolate, ma sceglie di incolpare Israele perché colpisce in queste aree. Può sembrare complicato, e in effetti lo è. Il rapporto di amore-odio verso Israele è qualcosa che ogni ebreo sente, e deriva dalla radice stessa della nostra nazione. Come ho scritto nel mio articolo “Perché la gente odia gli ebrei”, dalla nascita del nostro popolo, siamo stati diversi da tutte le altre nazioni. La nostra popolazione non si è formata attraverso vincoli di parentela biologica o vicinanza geografica, ma aderendo ad un’idea. Alla base del nostro popolo vi sono due elementi: l’unione e la fratellanza. Siamo diventati una nazione ai piedi del Monte Sinai nel momento in cui abbiamo preso l’impegno di unirci “Come un solo uomo con un solo cuore”, e siamo rimasti una nazione fino a quando siamo stati in grado di coprire i nostri conflitti con un manto di unione. A dire il vero, la natura degli ebrei è egoista come quella di tutti gli altri. Siamo arrivati da ambienti diversi e da nazioni diverse, e ci siamo uniti sotto la guida di Abramo. Osservando il modo in cui siamo riusciti a fondare il nostro popolo nonostante le nostre origini diverse, ci si rende conto che il popolo ebraico è stato guidato da un principio chiave: “L’odio provoca liti, ma l’amore copre tutte le colpe” (Proverbi, 10:12). In altre parole, gli antichi ebrei non erano meglio dei loro vicini di casa, ma avevano trovato un modo per coprire i loro ego con l’amore. Questo è il motivo per il quale siamo diventati una nazione solo nel momento in cui abbiamo accettato di essere “Come un solo uomo con un solo cuore”. E quando ci siamo riusciti, ci è stato affidato un compito: essere “Una luce per le nazioni” al fine di mostrare che chiunque può unirsi al di sopra dell’ego. L’unione al di sopra delle differenze non è solo uno slogan ma è l’essenza della nostra esistenza. Nel nostro mondo tutto è fatto di opposti che cooperano per formare un insieme che funziona in modo armonico. Proprio come inspirare ed espirare, ogni azione e ogni cosa è costituita da periodi di lavoro e riposo che si alternano, e di una dualità che alterna il positivo al negativo. I nostri antenati avevano trovato la formula della vita, la “Teoria del Tutto”, imparando a completare l’ego con l’unione. Questa è la “luce” che siamo incaricati di trasmettere al mondo. Circa 2.000 anni fa, abbiamo perso la nostra capacità di coprire il La sua spiritualità e religiosità prescindono però da Israele 11 FOCUS Via Almirante… dalle strade di Roma Dedicare una strada a qualcuno significa ricordare ciò che di più grande una persona ha compiuto in vita, elevandolo ad esempio morale in una memoria condivisa. Sono state dedicate vie a personaggi imbarazzanti, mentre su Elio Toaff è caduto il silenzio C’ è chi vanta un premio Nobel, chi è stato il padre di scoperte scientifiche, chi ha conseguito meriti politici, artistici o sportivi. Chi è caduto per la patria. I valori a cui ci si richiama per intitolare una via a qualcuno sono molteplici, d’altronde la toponomastica è regolata da leggi antiche che risalgono al 1927, poi aggiornate da un decreto presidenziale del 1989 e via via da circolari ministeriali. Difficile però considerare meritevoli la firma in calce al Manifesto per la difesa della Razza (1938), l’adesione alla Repubblica di Salò o la carica di segretario di redazione della rivista “La Difesa della Razza”. Questi alcuni dei punti salienti della vita di Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento Sociale Italiano, cui la candidato sindaco di Roma Giorgia Meloni vuole dedicare, in caso di elezione e a perenne memoria, una strada di Roma. Un’ardita sfida toponomastica quella della Meloni che vede nella proposta un giusto riconoscimento per “un patriota e una persona che amava gli italiani, che credeva nella democrazia e nell’onestà della politica. Esattamente come la sinistra in questi anni ha potuto intitolare ai suoi padri fondatori delle vie o delle piazze nella Capitale, vogliamo farlo anche con un uomo che è stato importante nella storia della destra”. Certo non è la prima volta che un nome su una via faccia discutere. A Roma c’è via Edoardo Zavattari tra i principali teorici, in Italia, del razzismo biologico; sempre a Roma, ci sono via e largo Arturo Donaggio, candidato premo Nobel ma anche estensore del Manifesto della Razza, all’epoca presidente della Società Italiana di Psichiatria. Nel 1995 l’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli propose di intitolare una targa al gerarca fascista Giuseppe Bottai ma a seguito A volte gli errori si correggono: storia di una strada napoletana GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 A Napoli una strada era dedicata ad un antisemita, il presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti. Dallo scorso anno la via ha cambiato nome in memoria di Luciana Pacifici, piccola vittima della Shoah 12 L a legge del contrappasso è un principio che regola la pena che colpisce i rei mediante il contrario della loro colpa o per analogia ad essa. In questo caso a subire la proverbiale legge è stato un giurista fascista e, in particolare, Gaetano Azzariti, consumato antisemita nonché presidente del Tribunale della Razza e in seguito Presidente della Corte Costiuzionale dell’Italia Repubblicana. La targa di Azzariti, che si affacciava su una delle strade alle spalle di Piazza Borsa a Napoli, è stata rimossa lo scorso 17 novembre e al suo posto è stata sistemata, con buona pace dell’Azzariti, quella di Luciana Pacifici, piccola bambina ebrea napoletana, morta a otto anni su un vagone che la stava deportando ad Auschwitz. delle polemiche, soprattutto della Comunità ebraica, fece poi un passo indietro. Certo la Storia metabolizza e la toponomastica tritura giudizi storici e anche il buon senso: in Italia esistono 8 vie Ho Chi Minh, 5 via Lenin, 2 Mao Tse Tung e persino 2 vie intitolate a Stalin. Gettonatissimo anche Che Guevara, icona rivoluzionaria che secondo Google map viene ricordato in 14 città italiane. In Trentino Alto Adige hanno dedicato al Che addirittura una via ferrata per scalare il monte Casale mentre in 14 città nostrane si onora con una strada l’Unione Sovietica. A Torino c’è persino un vialone che si chiama così, corso Unione Sovietica. Insensibile ai massacri delle foibe resiste sinistramente via Josip Broz Tito a Reggio Emilia. L’Italia non è un caso isolato, basti pensare che in diverse città della Spagna ci sono ancora piazze o strade dedicate al Caudillo Francisco Franco o ai generali Yague e Varela, che lo accompagnarono nel sollevamento contro la Repubblica nel 1936. Quella di intitolare una via ad Almirante non è comunque un’idea nata con la Meloni: già nel 2012 la proposta di dedicare una strada della Capitale allo storico segretario del Movimento sociale italiano morto nel 1988 fece discutere gli esponenti della destra romana che accusarono l’allora sindaco La storia di Azzariti è una storia tutta italiana: nel 1938 aderì al Manifesto della Razza, poi divenne Presidente del tribunale della Razza, simbolo del connubio tra fascismo e nazismo hitleriano; nel 1943 Azzariti divenne antifascista per poi entrare nel governo Badoglio come ministro di Grazia e Giustizia con lo specifico incarico di provvedere all’epurazione dai ministeri degli elementi che si erano eccessivamente compromessi con il fascismo. Ma il giudice con il vezzo dell’antisemitismo vinse su tutti e la sua carriera prese il volo: nel 1955 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, democristiano, lo nominò giudice costituzionale e, nel 1957, l’ormai ex gerarca fascista Azzariti divenne presidente della Corte Costituzionale, nel ruolo di intransigente sentinella della democrazia. Una storia di vita e di impegno all’insegna però del trasformismo che non meritava una via. NICOLA ZECCHINI G Giorgio Almirante e La Difesa della razza iorgio Almirante (27 giugno 1914 – 22 maggio 1988) fu segretario di redazione dal settembre 1938 de «La Difesa della Razza», la rivista diretta da Telesio Interlandi che uscì col primo numero il 5 agosto del 1938 e venne stampata, con cadenza quindicinale, fino al 20 giugno del 1943 per rilanciare l’antisemitismo in termini molto più espliciti ed aggressivi di quanto non fosse mai accaduto in precedenza. In quest’opera che accompagnò la promulgazione delle leggi razziali (volute da Mussolini e controfirmate da Vittorio Emanuele III) la rivista si affiancò ad altre testate d’assalto tra cui «Il Tevere» di Telesio Interlandi, «Il regime fascista» di Roberto Farinacci e «La vita italiana» di Giovanni Preziosi. Giorgio Almirante il 5 maggio 1942 (quindi uomo già maturo di 28 anni) così scriveva su «La Difesa della razza»: «Il razzismo - scriveva il futuro segretario del Msi - ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello la scomparsa di Toaff - segnano una grave recrudescenza dell’antisemitismo che non va sottovalutata. Anche per questo va ribadito con forza il rifiuto a ogni discriminazione, sancito dalla nostra Costituzione. Ribadiamo il nostro sì alla vita, alla convivenza, alla sicurezza, alla libertà religiosa per tutti i cittadini”. E così concluse: “Nel rispetto delle prerogative del Consiglio Comunale di Roma e delle normative esistenti, confido che sarei molto lieto dell’intitolazione di una via della Capitale a Elio Toaff, grande italiano”. Parole per ora rimaste inascoltate NICOLA ZECCHINI della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore». «Altrimenti - scriveva ancora Almirante - finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue». 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Grande amico di Israele, non volle mai incontrare Yasser Arafat e fu tra i pochi ad essere accolto dopo l’attentato alla Sinagoga GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 U 14 n italiano laico che ha amato Israele ed il suo popolo. Sempre e a prescindere. Sicuramente passò più tempo nelle varie visite, ufficiali e non, in sinagoga con la kippah in testa che in qualsiasi altro luogo di culto. Uomo di sinistra che ha guidato il partito di sinistra che più di ogni altro in Italia si è sempre battuto per la causa del sionismo. Era tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta quando in ogni congresso del partito radicale invitava una delegazione del Movimento Culturale Studenti Ebrei in segno di solidarietà per la libertà degli ebrei nell’Unione Sovietica di allora, quando le frontiere erano chiuse ed il movimento sionista ed in generale l’ebraismo, fuorilegge. Ebbi l’onore, in quegli anni, di guidare con lui varie delegazioni del partito radicale in Israele. Insieme a Gianfranco Dell’Alba e Sergio Rovasio, suoi stretti collaboratori, Marco Pannella fu sempre accolto a Gerusalemme come un grande amico, in quegli anni, sicuramente uno dei migliori in Italia. Difficile dimenticare ogni sua battaglia a fianco dell’ebraismo e di Israele. Impossibile dimenticare le sue proteste contro le visite di Yasser Arafat a Roma, unico politico italiano che non lo volle mai incontrare riconoscendolo come terrorista e responsabile della lotta armata contro la presenza ebraica in Palestina. Fu per questo che Marco Pannella, fu l’unico, o uno dei pochissimi politici accolto dalla comunità ebraica di Roma il 9 ottobre del 1982 subito dopo l’attentato alla sinagoga maggiore in cui perse la vita il piccolo Stefano Gay Tachè e rimasero ferite 40 persone. Lungo è l’elenco delle sue battaglie dentro e fuori il parlamento che lo videro sempre in prima persona a fianco della causa ebraica. Più volte fu il promotore di manifestazioni pubbliche per gli ebrei in Iran o in Urss o per chiedere al ministro degli Esteri italiano di spostare la sede dell’ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme riconoscendola come capitale eterna ed indivisibile di Israele. Bastava proporgli un’iniziativa che subito ci metteva la faccia e la sua determinazione. Fu il primo a chiedere di far entrare Israele nell’Unione Europea, fu l’unico partito al mondo che in piena intifada anni Novanta organizzò il suo congresso a Gerusalemme in segno di solidarietà con il popolo israeliano. Per tutto questo fu accusato di essere una spia del Mossad, i servizi segreti israeliani. Amico personale di rav Elio Toaff fu il promotore di una raccolta di firme per farlo diventare senatore a vita, e di Bruno Zevi al quale in seguito offrì la presidenza del partito radicale, Marco Pannella ha sempre avuto molti amici e molti seguaci all’interno dell’ebraismo italiano. Molti ebrei per tanti anni lo votarono con entusiasmo e stima, convinti di dare un voto ebraico italiano senza compromessi di alcun genere. A seguito di questa sua politica di certo non ambigua, molte furono le famiglie ebraiche benestanti che si distinsero anche per aver partecipato al finanziamento e al sostentamento del suo partito. La storia di Marco Pannella e del suo partito radicale furono un tutt’uno con la storia ebraica italiana. Ci fu un solo giorno che Marco Pannella prese pubblicamente le distanze dagli ebrei romani, ed è doveroso ricordarlo anche e soprattutto in segno di rispetto nei suoi confronti. Quando uscì la prima sentenza in cui il tribunale militare di Roma diede ragione ad Erich Priebke autorizzandolo a tornare libero ma gli ebrei romani bloccarono l’uscita impedendogli di scappare. Pannella scrisse sulla prima pagina del Messaggero che per la prima volta non poteva stare con i giovani ebrei romani perché le sentenze si rispettano sempre ed a prescindere. Impossibile dargli torto, detto da lui soprattutto, se lo poteva permettere. Abruzzese di nascita, 86 anni vissuti sempre con coerenza ed amore per la verità. Non ha mai cercato consensi ma si è sempre distinto per le sue battaglie di nicchia e a favore di ogni minoranza. Fondatore di radio Radicale e Teleroma 56 insieme ad altri imprenditori, ha sempre dato spazio a trasmissioni ed opinionisti dalla parte di Israele e le sue ragioni. Se Italia ed Israele sono oggi così vicine lo si deve anche e soprattutto al compagno Marco Pannella che, insieme al compianto Giovanni Spadolini, furono fra quei politici italiani del dopoguerra che seppero tenere dritta la barra del timone sulla politica estera del nostro Paese. E gliene saremo sempre tutti molto grati. Un vero Giusto che ha dato la vita per l’ebraismo ed i suoi valori, i suoi diritti, la sua autodeterminazione. Grazie Marco, shalom haver. DARIO COEN Un ricordo corale di Pannella Organizzato dal Circolo ’48, ha visto la partecipazione di tanti amici e ‘colleghi’ del leader radicale do le significative frasi - ‘ognuno ha il suo popolo eletto, tu e i tuoi radicali siete il mio, famiglia e comunità. Grazie Marco, l’anno prossimo a Gerusalemme’ - scritte su una bandiera di Israele, lasciategli come pensiero sulla porta al ritorno da Teramo. Poi ancora Riccardo Magi, che grazie a lui ha “imparato a conoscere e comprendere Israele”, che ha ricordato il suo invito “a ‘essere’ speranza, piuttosto che averla” ed ha riportato un brano di un suo articolo uscito sul Jerusalem Post - “Essere non-violenti comporta essere sempre all’attacco, contro la violenza e i regimi violenti. Essere democratici significa comprendere che i nemici di Israele non temono tanto le sue armi, quanto i suoi ideali e quelli di democrazia politica e sociale. Questi ideali sono i nemici più temuti da tutti gli altri regimi del Medio Oriente, senza eccezione, perché sono i soli che possono rendere liberi i cittadini, gli abitanti” - e David Parenzo - che ha citato Manzoni, con il suo “tutto è puro per i puri”, per spiegare come “Marco poteva delle cose che altri politici non potevano e tranquillamente condurre le sue battaglie apparentemente impopolari” - senza dimenticare Marco Taradash, Francesco Rutelli, Rita Bernardini, Laura Harth, ed in collegamento, Yasha Reibman e Fiamma Nirenstein. JOELLE SARA HABIB GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 M olti gli ospiti presenti per la commemorazione, nel cortile della scuola ebraica, di Marco Panella, organizzata dal Circolo del ‘48, ripresa integralmente da Radio Radicale e visibile sul loro sito. Più volte è stato ricordato il consiglio federale dei radicali dell’88 tenutosi a Gerusalemme, e la battaglia di Pannella perché Israele entrasse nell’Unione Europea, ma soprattutto, ognuno degli oratori ha voluto rievocare quanto Pannella fosse stato per loro esempio e mentore. Hanno aperto gli interventi Stefano Valabrega ed Angelo Sermoneta, organizzatori dell’evento, per poi lasciare la parola a Riccardo Pacifici, a cui Pannella “che aveva sempre sorriso alla vita” aveva insegnato “a non avere paura e a non temere le istituzioni”, mentre, a Roberto Giacchetti, “ad amare la politica ed avere la forza di mettere sempre in discussione le proprie certezze”. Passando per Athos De Luca, che ha enfatizzato il suo “coraggio di andare contro corrente ed affrontare temi scomodi alla politica”, Clemente Mimun, secondo cui “arrivava addirittura ‘troppo presto’”, Davide Romano per cui “vedeva le ingiustizie del mondo e cercava di aggiustarle” e Matteo Angioli, che ha voluto condividere con il pubblico un commovente episodio, mostran- 15 PENSIERO La società della comunicazione che dimentica il confronto e l’ascolto degli altri L Bisogna imparare ad accogliere ed accettare la bellezza della diversità, uno degli obiettivi dell’Associazione By Words GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 a vita dei nostri nonni era contenuta nelle parole, nei bar, a volte in lunghe lettere a volte in cartoline in cui i momenti più importanti della vita di un individuo, così come i sentimenti connessi a questi episodi, venivano raccontati a chi non vi aveva potuto assistere di persona. La comunicazione su larga scala avveniva essenzialmente per radio, portatrice di nuovi avvenimenti, talvolta belli e talvolta meno belli, e le persone parlavano molto tra loro. Poi sono arrivati gli anni del boom economico e con essi un “piccolo elettrodomestico” - la televisione - simbolo del nuovo benessere che solo pochi avevano in casa e che trasmetteva, che comunicava oltre che con le parole, anche attraverso l’immediatezza delle immagini che prima in bianco e nero e a colori poi riescono a trasmettere un’emozione, un avvenimento, un attimo meglio delle parole, toccando quelle corde il cui suono arriva diritto al cuore. Attraverso le immagini televisive sono passati i più grandi avvenimenti della storia, come l’atterraggio sulla luna di Armstrong, con la storica diretta Rai del 1969 dallo studio tre di Via Teulada, e la caduta del Muro di Berlino del 1989. Oggi, 70 anni dopo viviamo nell’epoca della comunicazione continua e costante di noi stessi, nell’epoca della condivisione, dei social networks e, si potrebbe quasi affermare che la nostra vita è “appesa ad uno smartphone”, con il quale possiamo 16 parlare in tempo reale con paesi dall’altra parte del mondo, mostrare fotografie di posti meravigliosi postandole sui social per condividerle con i nostri amici, facendoci perdere il contatto diretto, quello face to face, senza intermediari, dove non ci sono barriere. Perciò, contrariamente al pensiero comune, comunicare qualcosa a qualcuno, e comunicarla bene, sembra essere diventata una delle cose più difficili al mondo. Trovare infatti un linguaggio universale, che raggiunga tutti nella stessa maniera senza fraintendimenti, richiede una buona conoscenza di tre fattori fondamentali: di sé, dell’altro e del mondo che ci circonda. L’interazione culturale è dunque il grande denominatore comune di tutti gli scambi comunicativi, è il fattore fondamentale perché un qualsiasi tipo di comunicazione avvenga, ed è un concetto che per definizione racchiude in sé l’idea di rispetto, confronto e reciproco scambio fra persone appartenenti ad uno stesso background culturale e ancora di più tra chi proviene da culture più o meno diverse, più o meno distanti tra loro. Comunicare significa che l’emittente sia disposto a comprendere l’altro e fare in modo che esso, il destinatario, ci comprenda a sua volta, avviando un dialogo continuo e circolare necessario per fare un passo verso il nostro interlocutore, mettersi nei suoi panni e fare in modo che esso vesta i nostri. Sulla base di questo basilare principio - come costola e supporto del progetto Talmud - nasce l’Associazione By Words, un’associazione composta da giovani provenienti da storie e culture diverse, che hanno diverse specializzazioni, e che hanno fatto delle loro diverse identità la forza promotrice per portare, appunto, il dialogo interculturale ad un livello successivo, quello in cui il confronto con il prossimo, il confronto vero, senza pregiudizi e senza fanatismo diventi costruttivo e in grado di realizzare progetti reali e concreti. Il primo progetto è in fase di lavorazione e toccherà una tematica molto importante, quella della disabilità, non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo. Il confronto e la conoscenza portano alla consapevolezza, e quest’ultima porta alla libertà, e la libertà porta alla cultura e alla riflessione su come e quanto possiamo e dobbiamo fare. Tale e tanta è l’importanza del saper comunicare e comunicare bene, che anche la Commissione Europea ne ha fatto una mission sviluppando, per gli anni 2007-2013, “Cultura”, un programma rivolto a ragazzi e ragazze di tutte le nazioni per introdurli alla bellezza della diversità, per insegnargli a comprendere come conoscere l’altro e come fare della loro intera vita un meraviglioso dialogo continuo, che gli permetterà di portare avanti relazioni che saranno un arricchimento personale inestimabile. Lo scopo di tutto questo è quello di andare avanti volgendo però sempre un po’ lo sguardo all’indietro, alle nostre radici, al nostro passato per riportare nel nostro tempo lo stare insieme con le radici della storia di ciascuno e le prospettive dei sogni e delle passioni condivise per aprire le porte dei cuori senza dimenticare l’unicità e la grandezza di ogni singolo popolo. CLELIA PIPERNO LA DEPUTAZIONE SI OCCUPA DI: 1. analisi e trattamento delle problematiche sociali; 2. consulenza familiare; 3. consulenza psicologica ad adulti e adolescenti; 4. supporto sociopsicologico ed assistenza domiciliare ad anziani soli; 5. supporto psicopedagogico a bambini in difficoltà; 6. erogazione di sussidi ordinari e straordinari; 7. orientamento professionale e consulenza nella ricerca di occupazione 2016 ISRAELE Alla scoperta del femminismo chassidico Sono molte le donne ebree ortodosse che sanno coniugare i doveri familiari con l’impegno lavorativo e professionale. Un fenomeno nuovo soprattutto per la società anglosassone L GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 e donne sono spesso viste come la colonna portante di una casa ebraica. Questo vale anche per le famiglie ortodosse dove, nonostante i pregiudizi, si sta facendo largo una figura femminile molto diversa da quella stereotipata di mamma apprensiva e cuoca provetta. In principio l’immagine della donna ebrea, forte e indipendente, era legata ai profili delle eroine raccontate dalla Bibbia: Miriam, Ruth, Ester, sono tutte accomunate da una fede intaccabile e dal sentirsi parte di un disegno divino. Oggi questa visione si è adattata alla società moderna e le donne ortodosse, senza aver perso i loro tratti distintivi, sono donne in carriera, attiviste impegnate in battaglie quotidiane e motivo di orgoglio per le loro comunità d’appartenenza. Questa rivoluzione è stata avviata, come molte altre nella storia umana, nel campo della letteratura. Negli ultimi venti anni la produzione letteraria israeliana è passata dal rappresentare l’ebreo come un tutt’uno con lo Stato d’Israele a un individualismo concentrato sulle interazioni personali, un campo dove la letteratura al femminile, con la sua tradizionale enfasi 18 sulle emozioni, si è ritagliata con successo un proprio spazio. In molte opere la vita delle famiglie ortodosse fa da sfondo alla ricerca di autonomia della donna o a una critica all’ideologia dei haredim. Esempi importanti di questa tendenza sono rappresentati da Esther Ettinger, Hannah Bat Shahar, Michal Govrin e Mira Magen. Nella Diaspora, soprattutto nelle numerose Comunità statunitensi, la produzione letteraria è anche di tipo accademico. Importanti docenti e attiviste come Rivkah Slonim e Molly Resnick si occupano del ruolo della donna nella vita ebraica e di come sia possibile far convivere le leggi religiose con la società contemporanea. Rivkah Slonim è una stimata docente di etica medica ebraica all’università di Binghamton ed ama definirsi “femminista chassidica”. Tra le sue opere “Total Immersion: A Mikvah Anthology”, dove attraverso cinquanta storie riguardanti il bagno rituale analizza il tema della purezza da prospettive diverse, dagli aspetti più pratici a quelli legali, e “Bread and Fire: Jewish Women Find G-d in the Everyday”, un libro che cerca di raccogliere ed esaminare ogni parte della vita quotidiana delle donne ebree. Molly Resnick invece ha ricoperto la carica di produttrice per l’emittente televisiva NBC e ha lavorato come giornalista presso alcune importanti testate per le quali ha condotto interviste a personaggi del calibro di Menachem Begin, Yitzhak Rabin, Moshe Dayan ed Henry Kissinger. Recentemente ha fondato M.A.T.C.K.H. - Mothers Against Teaching Children to Kill & Hate -, un’organizzazione no-profit che, servendosi di forum pubblici e programmi educativi, si prefigge lo scopo di impedire che vengano diffusi sentimenti d’odio razziale o religioso nelle scuole. MARIO DEL MONTE Drusi, quegli arabi super sionisti Un legame fortissimo, un vero e proprio patto di sangue, lega la comunità dei drusi al destino e al futuro di Israele I Rotschild 10 Bat Yam Perez Haiut 4 Tel Aviv Krinizi 27 Ramat Gan vuto combattere, in tutte le unità e ranghi, svolgono un ruolo importante nei vari settori delle agenzie di sicurezza, e il loro tasso di arruolamento, circa l’83% dei giovani, è addirittura più alto di quello degli ebrei. Tuttavia, sottolinea Halabi, usciti dall’esercito i giovani drusi hanno spesso problemi ad integrarsi completamente nella società, e l’intera comunità drusa è protagonista di diverse problematiche: rispetto alla popolazione ebraica il tasso di laureati e diplomati è più basso, quello dei disoccupati più alto, e lo stipendio medio nettamente più basso, come si può vedere dalle accurate statistiche sul loro sito. Per questo la DVA, si legge sul sito, “funge da lobby per aumentare la consapevolezza riguardo l’enorme contributo che la comunità drusa porta alla società israeliana”. Fu fondata nel 2009, a seguito della necessità di aiutare i giovani della comunità drusa, in particolare i veterani appena congedati, che “come membri attivi della società meritano l’opportunità di prosperare nel mondo accademico, degli affari e nel settore pubblico”. Le loro sfide per integrarsi nella società israeliana, avere accesso a un’istruzione superiore di qualità e di entrare nella forza lavoro, secondo l’organizzazione, non potevano rimanere inascoltate. “La nostra visione” conclude Halabi “è quella di creare in Israele una gioventù drusa con motivazione, credenziali accademiche, e occupazioni adeguate, e di assistere nella creazione di una leadership drusa comunitaria, basata su quella formatasi durante il servizio nello Zahal”. JOELLE SARA HABIB Investimenti immobiliari in Israele: ci hai già pensato? Società israeliana con staff multilingue propone in vendita appartamenti nuovi e rifiniti realizzati usufruendo della tama ‘38 in zone centrali e residenziali di: Tel Aviv, Ramat Gan, Rishon e Bat yam. Si segnala inoltre che parte degli immobili è vista mare. Per facilitare le operazioni si forniscono consulenze fiscali, finanziarie, legali e di interpretariato. Possibilità di accedere a mutui bancari e permuta con immobili italiani. Il progetto è personalmente seguito da Simeone Raccah. Fondatore della Greenberg, si occupa di immobiliare dagli anni ‘80. Specializzato nella riabilitazione di edifici storici e nelle nuove costruzioni in Israele, cittadino israeliano da più di sei anni vive stabilmente a Tel Aviv. Shalom! www.g-reenberg.co.il Resp. Vendite: Samuel Dell’Ariccia 06.92939156 GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 drusi sono fin dal 1957 considerati in Israele come una comunità etnica distinta; di lingua araba, con costumi sociali che differiscono notevolmente da quelli musulmani o cristiani, e fede originariamente sviluppata a partire dall’Islam, sono però spesso non considerati da questi musulmani, e quindi, infedeli. Minoranza etnica e religiosa in ogni paese in cui vivono, si trovano principalmente in Siria, Libano e Israele, con piccole comunità in Giordania e Sud Asia, hanno spesso sperimentato la persecuzione, e sono noti per formare comunità molto unite e coese, ma allo stesso tempo integrate pienamente nella civiltà circostante. Al momento della fondazione dello stato Israele, si trovavano nel paese circa 14.500 drusi, oggi sono circa 140.000, l’1,7% della popolazione complessiva, e vivono principalmente in insediamenti nella Galilea e sul Monte Carmel. Il legame tra soldati ebrei e drusi, un’alleanza molto forte, in piedi fin dai tempi del mandato britannico, è comunemente conosciuto - ricorda Koftan Halabi, fondatore e direttore esecutivo della Druze Veteran association - con il termine di “ ברית דמיםbrit damin - patto di sangue”, ed oggi migliaia di drusi israeliani appartengono a movimenti ‘drusi sionisti’. “L’ambizione del popolo druso in Israele” - continua Halabi - “è quella di mantenere la propria cultura e le proprie tradizioni, integrandosi e passando attraverso il processo di ‘israelizzazione’ “. Gli inizi del rapporto tra drusi e la comunità ebraica in Israele risalgono agli anni Venti del secolo scorso, durante il mandato britannico. Il rafforzamento dei legami tra le due comunità, non solo ha portato a collaborazioni finanziarie e agricole, ma anche il supporto da parte della maggioranza della comunità drusa nel sogno sionista di creare uno stato ebraico in Israele. Durante i primi anni dopo la nascita di Israele, i drusi si arruolavano volontariamente nello Zahal, ma dal 1956 il primo ministro David Ben-Gurion rese il servizio militare obbligatorio anche per loro. Soldati drusi hanno preso parte in ogni guerra che Israele ha do- [email protected] 19 ITALIA L’Enel sbarca a Tel Aviv I A metà luglio verrà presentato un progetto di sostegno alla giovane imprenditorialità israeliana GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 nnovare, innovarsi, può significare anche saper uscire da sé stessi. Lo ha capito bene Enel, che il prossimo undici luglio lancerà a Tel Aviv un programma di supporto tecnologico per start-up, un vero e proprio acceleratore nel mezzo di un paese, Israele, con una tale concentrazione di aziende ‘tech’ innovative da poter vantare una sua versione di Silicon Valley, detta Silicon Wadi. Già perché se l’innovazione per molto tempo si è sviluppata quasi esclusivamente all’interno delle grandi organizzazioni, oggi questo modello non esiste più. Per produrre tecnologia nuova occorrono ibridazione, contaminazione e nuove alleanze strategiche necessarie a sviluppare prodotti e soluzioni in grado di rispondere alle necessità di clienti diversi e localizzati nei più disparati angoli del pianeta. In questa ottica, l’Innovation Lab di Tel Aviv – fortemente voluto dall’Amministratore Delegato di Enel Francesco Starace – sarà la sede in cui ogni anno fino ad otto giovani aziende selezionate attraverso un’open call potranno beneficiare per sei mesi di supporti tecnologici studiati su misura ed avranno a disposizione - oltre ad una customer base di 60 milioni di clienti - i laboratori e gli esperti messi a disposizione da Enel per sviluppare il proprio business plan. Il colosso italiano dell’energia, infatti, lavora già con start-up a Londra, Madrid, Roma, Rio de Janeiro e molte altre città, ma ritiene necessario essere percepito come impresa in grado di evolvere, di coin- 20 volgere nelle proprie attività persone che non lavorano all’interno dell’azienda. Per Enel, inoltre, quella di Israele è la possibilità di stabilire la propria presenza in uno dei maggiori poli di innovazione del mondo avvalendosi anche della rete internazionale di venture capital presenti a Tel Aviv, della collaborazione degli atenei universitari e di una solida collaborazione con l’Ufficio del Chief Scientist del Ministero dell’Economia di Gerusalemme. “Per Enel questo è un passaggio molto importante”, ha spiegato Luciano Tommasi - a capo delle Start-up initiatives e del business incubator di Enel. “Con Israele abbiamo ottimi rapporti e riteniamo che avere una presenza in loco permetterà di estrarre il massimo valore da uno degli ecosistemi più innovativi al mondo. Il “sistema Israele” genera oltre 1000 startup all’anno e queste per crescere e diventare di successo hanno bisogno di partner industriali che consentano loro di testare soluzioni ed uscire dai confini nazionali per entrare in una fase commerciale. Isra- ele infatti ha un mercato interno ridotto. Enel vuole identificare le startup a più alto potenziale ed accelerarne la crescita mettendo a disposizione il proprio ecosistema. Il nostro brand sarà quindi un ponte che le aziende israeliane avranno con il resto del mondo per commercializzare i propri prodotti negli oltre trenta paesi in cui siamo presenti”. E Israele sarà solo il primo degli Innovation Lab di Enel, ha spiegato ancora Tommasi. “Presto incubatori che portano il nostro brand sorgeranno anche in altri due grandi hub di innovazione del mondo, la Silicon Valley e Singapore. In Italia continueremo ad investire come già facciamo da anni su start-up ed altri progetti. Nel nostro paese ci sono grandi idee ma i modelli che funzionano sono quelli in cui, a parte le idee e il buon sistema universitario, che abbiamo anche in Italia, c’è minore burocrazia e un giusto mix di investimenti pubblici e privati, come dimostra l’esempio di Israele”. Vista la presenza di oltre ottanta acceleratori nella sola realtà di Tel Aviv Enel ha deciso di entrare nel mercato israeliano realizzando una partnership con The Junction. NATHANIA ZEVI Nella foto: Francesco Starace, amministratore delegato di ENEL I più attenti lettori di riviste e articoli enogastronomici lo sapranno già: quest’anno il Cibus, la principale fiera italiana dell’agroalimentare che si svolge ogni due anni a Parma, ha ospitato una sezione, all’interno del Padiglione 7, dedicata ai produttori già certificati kasher e halal. Sorpresa: non erano pochi, e soprattutto non erano tutti: in mezzo agli oltre 2500 espositori molti esibivano sui loro stand, con altre certificazioni, anche quella kasher. Cosa che ovviamente non certifica un’azienda permanentemente, né che uno o più dei prodotti che da quell’azienda esce sia sempre kasher. E’ però una cosa molto bella vedere quanto oggi moltissime industrie italiane, sia medio-piccole che grandissime, si avvicinino e siano interessate alle certificazioni “religiose”. Seconda sorpresa: è stata ospite una nutrita delegazione di buyers internazionali di kosher e halal ed ha potuto approfittare di diversi incontri organizzati, nonché ovviamente conoscere e contattare diverse aziende espositrici per eventuali produzioni certificate. La delegazione dei buyers kasher ha inoltre avuto la bella sorpresa di ritrovarsi tutta nello stesso albergo, e di usufruire di tutti i pasti strettamente kasher, anche in Fiera. Sembra New York, invece è Parma. E tutto questo grazie all’intraprendenza di Fiere di Parma che, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, all’interno del programma di promozione delle certificazioni da parte delle aziende italiane, ha organizzato e coordinato da un lato i produttori già certificati, e la loro presen- Cantina Giuliano, la dimensione naturale della kasherut In Provincia di Pisa una piccola realtà enogastronomica all’insegna della tradizione ebraica G razie agli sforzi di Eli Gauthier, un ebreo francese trasferitosi in Italia, e di sua moglie Lara è nata a Casciana Alta, in provincia di Pisa, una nuova realtà kasher. Si tratta della ‘Cantina Giuliano’ dove la coppia produce vino artigianale kasher di qualità ed altri cibi tipici della tradizione toscana. La cantina esisteva già da tempo: il nome Giuliano infatti proviene dal nonno di Lara che produceva vino, olio d’oliva, frutta e cereali. Alla sua prematura scomparsa però i figli non riuscirono a continuare la produzione e, alla fine, decisero di vendere parte dell’attrezzatura e chiudere l’attività. Eli, che prima di arrivare in Italia vendeva vino a Londra, spinto dalla passione per il buon cibo e dalla scarsità di vino artigianale italiano kasher, ottenne il diploma in vinificazione e riaprì la cantina insieme alla moglie. La prima vendemmia è datata 2014 e, nonostante le difficoltà iniziali, la coppia è riuscita ad entrare nel mercato del vino kasher. La scelta di Eli è stata motivata anche dalle possibilità che questo tipo di attività offre: lavorando sei mesi l’anno può dedicare il resto del tempo allo studio della Torah a Strasburgo. Il primo vino prodotto è stato un Chianti DOCG rigorosamente kasher: dalla spremitura all’imbottigliamento sono solo ebrei religiosi, e che osservano lo za in spazi dedicati, oltre che, per molti di loro, negli stand “generici”, e nel contempo ha selezionato e curato l’incoming dei gruppi di buyers che, nel caso del kasher, venivano dagli Stati Uniti, Canada, Francia, Inghilterra, Israele. Alcuni di loro, a tavola, hanno anche avanzato l’ipotesi, già peraltro realizzata in altri settori dell’agroalimentare, di una federazione di buyers sugli stessi prodotti sui rispettivi mercati di competenza, portando così massa critica più interessante per le aziende, e quindi economie di scala che si ripercuotono sul prezzo del prodotto finito, oltre ad un sensibile risparmio sui costi delle operazioni di kasheruth, che a quel punto sarebbero condivise. A Cibus abbiamo finalmente visto e sentito parlare i veri protagonisti: i produttori ed i loro prodotti, i compratori con le esigenze dei rispettivi mercati. MOSÈ SILVERA Shabbat, ad intervenire nel lavoro. In questo Eli e sua moglie sono stati certamente aiutati da Rav Eliezer Wolff, Dayan di Amsterdam, che con il suo staff segue da vicino ogni passo della produzione. Inoltre il vino è certificato dall’Orthodox Union e non è mevushal. Attualmente è possibile acquistarlo in diversi negozi di Roma e Milano e lo si può trovare nelle tavole dei ristoranti kasher del quartiere ebraico di Roma. “Sono molto felice – ha spiegato Eli - di essere riuscito a portare nel mercato italiano dei prodotti kasher non industriali”. L’aspetto che più di tutti rende Eli orgoglioso è appunto l’essere riuscito a unire Torah e natura senza perdere in qualità e in genuinità. Grazie al turismo gastronomico tipico della zona Eli e Lara sono riusciti a far conoscere la cantina anche ai non ebrei e si stanno attrezzando per espandere la loro attività nel campo dei formaggi e dei salumi e per poter ospitare i turisti per degustazioni o veri e propri pasti. La Cantina Giuliano si trova in via Cesare Battisti a Casciana Alta ed offre, oltre all’assaggio del vino, un tour delle vigne per chiunque fosse interessato. MARIO DEL MONTE GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 A Parma la fiera del Cibus, anche kasher 21 COPERTINA Un film sulla drammatica storia del rapimento del piccolo Edgardo Mortara Sarà girato in Italia a partire dai primi del 2017 e sarà diretto da Steven Spielberg L a sera del 23 giugno 1858 a Bologna la polizia bussò alla porta della casa di Momolo Mortara, rispettato mercante ebreo. Lo scopo era quello di farsi consegnare il figlio Edgardo di sei anni. Il motivo? All’Inquisitore di Bologna risultava che il bambino fosse stato segretamente battezzato e la legge dello Stato pontificio non tollerava che un bambino cristiano crescesse all’interno di una famiglia ebrea. Tra le proteste della famiglia, Edgardo iniziò un lungo viaggio verso Roma per diventare un buon cattolico. Ma la vicenda e il suo seguito non riguardò solo la famiglia Mortara o l’Italia. Mobilitò l’opinione pubblica liberale, indignò le comunità ebraiche non solo italiane, provocò l’entrata in scena del papa Pio IX stesso e finì per influenzare addirittura la storia d’Italia accelerando la fine dello Stato pontificio e ponendo termine al millenario potere temporale della chiesa di Roma. Una sequenza di fatti travolgenti così come viene raccontata nel libro di David Kertzer Prigioniero del Papa Re di cui una versione teatrale di grande successo è stata scritta dal Premio Pulitzer Alfred Uhry. Sarà quindi Steven Spielberg a dirigere l’adattamento del libro del 1997 intitolato in originale The Kidnapping of Edgardo Mortara la cui versione cinematografica sarà scritta da Tony Kushner, già sceneggiatore per alcuni tra i titoli recenti più importanti firmati da Spielberg (Lincoln, Munich), nonché autore della celebratissima serie televisiva Angels in America. Steven Spielberg, di cui uscirà quest’anno Il Gigante Gentile di Sar tor ia Roald Dahl e di cui, comunque, il prossimo anno vedremo il fantascientifico Ready Player One, sarà in Italia tra Roma e Bologna a partire dai primi mesi del 2017 per girare il film che vedrà nei panni di Pio IX l’inglese Mark Rylance (la spia sovietica del recente “Il Ponte delle Spie”) che proprio grazie al regista di E.T. e Schindler’s List ha vinto il suo primo Oscar. Un film particolarmente importante se si pensa che vent’anni dopo la prima uscita di Prigioniero del Papa Re, il suo autore David Kertzer è diventato l’esperto americano di maggior spicco nella storia moderna delle relazioni tra il Vaticano e gli ebrei. Il suo libro: I Papi contro gli ebrei è una risposta alla relazione della Commissione Vaticana del 1998 sulla responsabilità della chiesa nella Shoah. Prodotta su richiesta del Papa e redatta nel corso di undici anni, la relazione conclude che il Vaticano ha sempre agito amichevolmente nei confronti degli Ebrei e che la Chiesa non ha avuto alcuna responsabilità nello sviluppo dell’antisemitismo moderno. Attraverso l’uso di documenti dell’archivio dell’Inquisizione mai consultati prima d’ora e di numerosi testi provenienti da altri archivi vaticani, Kertzer ha dimostrato come la relazione sia più il frutto di una speranza, che di una certezza, mentre il suo ultimo saggio Il Patto con il Diavolo esplora il rapporto tra Mussolini e Pio XII. MARCO SPAGNOLI Nella foto in alto: Steven Spielberg e Mark Rylance Al centro: la famiglia Mortara Via Ver o GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 ne 22 · se · · Parochet kippot ricami sartoria SERVICE DI CAMBIO ETICHETTE CONTO TERZI Riparazioni sartoriali e piccola tappezzeria PERSONALIZZAZIONE ABITI DA LAVORO Via Giuseppe Veronese, 60/68 - Roma Tel. 06.5594137 www.ricamiepersonalizzazioni.com · SARTORIA VIA VERONESE La storia pionieristica dell’aviazione israeliana Le testimonianze dei primi coraggiosi piloti nel film ‘Above and Beyond’, presentato per la prima volta in Italia da Progetto Dreyfus “D lesioni spinali di camminare ed alzarsi in piedi, “esempio tangibile” secondo Benny Raccah e Barbara Pontecorvo “di ciò che la società Israeliana produce e rappresenta, e incarna perfettamente lo spirito con cui avvengono le cose in Israele, dove la necessità e l’esigenza innescano la creatività: con la determinazione si può arrivare ovunque”. Dimostrazione pratica se ne è avuta sul palco, grazie ad Andrea, che per merito di Rewalk può ora guardare le persone negli occhi - ”vederle dall’alto” - ed abbracciarle. A spiegare ai presenti di cosa si occupa progetto Dreyfus è stato il suo presidente, Alex Zarfati, che definisce il loro lavoro “molto semplice e rivolto non solo agli ebrei: portare all’attenzione, alla conoscenza del grande pubblico cause comuni a tutta la società civile, per migliorare la conoscenza della realtà”. In sala anche Nancy Spielberg, produttrice della pellicola e sorella del famoso regista che, intervistata dalla giornalista Ariela Piattelli, ha condiviso con il pubblico retroscena e considerazioni sul film. “La storia è venuta da me”, ha raccontato, “ho ricevuto una mail anonima che riportava l’obituario di Al Schwimmer, un americano, che veniva chiamato ‘padrino dell’aviazione Israeliana’, e consigliava di fare un film sulla sua storia. Ho così cominciato la mia ricerca ed ogni testimone mi ha portata ad un altro. Mi è sembrata una storia perfetta, il promemoria che noi dobbiamo sempre essere presenti per Israele, proprio come Israele è sempre lì per noi. Il mio solo grande rimpianto è non aver prodotto questa pellicola dieci anni fa, quando decisi di farlo erano rimasti in vita davvero pochi piloti, e dalla fine delle riprese sono morti quattro dei partecipanti, ma almeno, tutti loro, tranne uno, hanno avuto la soddisfazione di vederlo proiettato almeno in un cinema, ricevendo dal pubblico il loro meritato onore, ed hanno fatto conoscere la loro storia ai loro figli e nipoti”. JOELLE SARA HABIB GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 a questo film potremo imparare qualcosa in più sul passato e presente di Israele, che continua a combattere con tenacia ogni giorno per affermare il suo pieno diritto ad esistere”, così l’ambasciatore israeliano Naor Gilon, alla prima presentazione in Italia - organizzata da Progetto Dreyfus in occasione di Yom Atzmaut - del film ‘Above and Beyond’, diretto da Roberta Grossman. La pellicola documenta l’inizio dell’aviazione israeliana, seguendo le storie del piccolo gruppo di giovani piloti - veterani ebrei della seconda guerra mondiale, per la maggior parte laici ed americani - che rischiarono tutto per aiutare a difendere il neonato stato ebraico, completamente sprovvisto di qualsivoglia aereo o aviazione, nella guerra del ‘48, portando in Israele armi ed aerei di contrabbando - nonostante l’embargo americano, che gli avrebbe fatto perdere la cittadinanza - per poi pilotarli in missioni contro gli stati arabi attaccanti. Chiamati da Shimon Peres nel film “un dono di D.”, molte sono le toccanti riflessioni di questi piloti del ‘Machal’, ‘Mitnadvei Chuz Laaretz - divisione volontari stranieri’. “Non ho mai dubitato che ce la avremmo fatta, che avremmo vinto la guerra, perché in fondo tutta la storia di Israele, la sua stessa esistenza, si è basata su atti di fede”. Poi i ricordi del loro primo atterraggio in Israele - “è stato come un dejavu, io ci ero già stato, forse nei miei sogni”, “è stata la sensazione più bella della mia vita, stavo per atterrare nella mia terra, mi sentii più a casa lì che in America”. Ma non sono mancati anche aneddoti divertenti e reminiscenze delle loro spregiudicatezze giovanili. “Tutte le offerte di oggi”, ha ribadito Lorena Cacciatore presentatrice della serata, “andranno a finanziare corsi di preparazione per usare Rewalk”, esoscheletro robotico, ideato dall’israeliano Amit Goffer, che permette alle persone con www.mazaltovband.com [email protected] - cell. 335.6117141 23 LIBRI EDITORIA PER RAGAZZI Storie fantastiche per bambini moderni L GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 e parole viaggiano si sa, e cambiano, e se c’è il vento di mezzo le cose si complicano. Perché quando il vento sbuffa, fischia, gonfia, muggisce, urla e ruggisce capire cosa si vuole per cena è decisamente impossibile: purè di patate? Due grandi frittate? Palme impanate? Galline ammaestrate? Per sapere bene il principio e la fine della storia, e della cena, basta leggere “Come? Cosa?” di Fabian Negrin edito da Orecchio Acerbo (16 euro). Le illustrazioni mostrano un vento pazzo e leggero, potente e prepotente che racconta un paese magico a metà tra i mari del nord e l’oriente. Sempre Orecchio Acerbo consegna ad un altro albo illustrato la storia del Golem e di Praga magica, segreta ed anche un po’ paurosa ed inquietante in “Franz e il Golem” di Irene Cohen-Janca con le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello (16.50 euro), tradotto da Paolo Cesari che di Orecchio Acerbo è l’animatore. Franz è 24 un ragazzino ficcanaso che in una notte di luna si intrufola nella soffitta della sinagoga Staronova (la sinagoga ‘vecchia-nuova’, la più antica di Praga e dell’Europa centrale che sia ancora in funzione). Insieme a Franz e alla sua giovane amica - e futura innamorata - Myriam, sono a pieno titolo protagonisti del libro la luna, il Golem e le immagini inquiete e toccanti della Praga del sedicesimo secolo. Un testo non banale, anche se destinato ai bambini, con illustrazioni tese ed inquiete che raccontano ancora una volta la storia del Golem, il gigante d’argilla che sulla fronte recava la parola ebraica ‘emet – verità,’ creato dalla conoscenza mistica del rabbino Judah Loew. Ma dopo aver tanto aiutato gli ebrei praghesi, averli difesi dagli assalti della marmaglia che li uccideva, all’improvviso, dopo aver distrutto tutto, mentre il Golem – rimasto senza nulla da fare – impazzisce: “il Golem corre come un pazzo ma spunta Myriam, una bambina dal viso così meravigliosamente chiaro che lo si direbbe una pietra lunare. Subito il Golem si ferma e s’inginocchia davanti a lei. Tutta la collera sembra averlo abbandonato e nei suoi occhi brilla la gioia. Myriam non scappa. Non prova alcuna paura e sorride al Golem. Il Golem, fiducioso, alza verso di lei il suo strano volto senza bocca, dal color di cera e dagli occhi obliqui (...) Il Golem continua a guardare con fiducia la bambina dal viso color della luna. La contempla con quel misto di piacere e stupore che hanno i neonati quando scoprono il mondo. Myriam alza allora la mano sulla sua fronte e con un semplice gesto toglie la lettera Aleph, non resta allora che la parola ‘met-morte’. Il Golem crolla immediatamente. Nato dalla parola, la sparizione di una lettera lo restituisce al nulla”. La vicenda del Golem, il gigante d’argilla, lascia sempre un po’ di amaro in bocca ma, consigliato ai bambini oltre gli otto anni, restituisce anche la giusta inquietudine che si accompagna al mistero della creazione ben prima che inventassero i robot. La stessa coppia, per la stessa casa editrice, aveva già firmato ‘L’albero di Anne’, la struggente vicenda di un ippocastano che, con sensibilità e grazia racconta la vicenda di Anna Frank, e ‘L’ultimo viaggio’ sulla figura di Janus Korczak, educatore e padagogo, innovatore straordinario, la cui vita termina nel ghetto di Varsavia insieme a quella dei suoi ragazzi. Una coppia di autori, Cohen-Janca e Quarello, il cui lavoro è capace di emozionare, evocare, inquietare, e suggerire percorsi di immaginazione mai banali. LIA TAGLIACOZZO R icordati dei giorni del mondo di Giuseppe Laras, edito da EDB Edizioni Dehoniane, è una brillante storia del pensiero ebraico dalle origini all’età contemporanea, raccolta in due volumi complessivamente di oltre settecento pagine: Un’opera di vastissimo respiro di grande erudizione affascinante non solo per le risposte che offre, ma anche e soprattutto per le domande che sa suscitare. Sempre le edizioni EDB hanno stampato, nella stessa collana Cristiani ed ebrei, L’attesa del mondo che viene di Luigi Nason e di Fernanda Vaselli, un testo di oltre trecento pagine dedicato al dialogo tra ebrei e cristiani: un approccio aperto e di rara sensibilità. Eccellente. Jaca Book ha proposto Natura e pensiero ebraico di Giuseppe Laras, un testo originale che affronta alcune questioni filosofiche particolarmente cruciali legate a visioni kabbalistiche e halachiche. A Levinas e a Rosenzweig fa riferimento Francesca Nodari in un penetrante saggio dal titolo Il bisogno dell’Altro e la fecondità del maestro: una questione morale edito da Giuntina. Si tratta di pagine acute e feconde Adelphi ripropone il grande saggio di Elias Canetti dal titolo Massa e potere nella traduzione del compianto Furio Jesi, un libro magistrale frutto di trentotto anni di riflessioni. Un testo essenziale, per cercare di capire i fenomeni politici del XX secolo. L’identità infelice di Alain Finkelkraut, edito da Guanda, è un testo nelle cui pagine il filosofo ebreo francese si misura con le problematiche attuali in Francia. Un motivo di attenta riflessione e di discussione. La passione per l’Assoluto di George Steiner, edito da Garzanti, è il testo di una conversazione del celebre intellettuale inglese con Laure Adler. Ci sono alcuni passaggi di rara intelligenza e di straordinaria capacità predittiva. Basta questo per giustificarne l’invito alla lettura. Il maiale è il nostro maestro di Valentina Sereni e di Delfina Piu, edito da Mimesis, è un libro su cui occorre riflettere con attenzione perché prende in considerazione il rapporto tra ebrei e animali, forse meglio sarebbe dire tra ebraismo e animali. Una lettura coinvolgente e sofferta, pagine che lasciano un profondo segno e che meritano di essere lette e rilette. Utile per un fecondo dibattito. “Cuore d’Israele”, opera inedita di Luciano Morpurgo La storia degli ebrei dalmati nella Seconda guerra mondiale e dell’annessione di Spalato all’Italia P resso il Museo ebraico di Roma è stato presentato al pubblico “Cuore d’Israele”: opera inedita di Luciano Morpurgo (1886- 1971), il fotografo, editore e scrittore, ebreo italiano di Spalato, che nel 1946 pubblicò con la sua nuova casa editrice Dalmatia, quel secondo libro autobiografico “Caccia all’uomo”, centrato sulla storia degli ebrei dalmati nel periodo della Seconda guerra mondiale e dell’annessione di Spalato all’Italia (con Giacomo Debenedetti e Silvia Forti Lombroso, Morpurgo è stato uno dei primissimi testimoni, in un racconto autobiografico, delle persecuzioni antiebraiche in Italia non dalla prospettiva dei deportati nei lager, ma di quanti furono costretti alla clandestinità). Nel 1942, Morpurgo - escluso dall’applicazione piena delle leggi razziali per i suoi meriti di organizzatore culturale - aveva potuto pubblicare, a condizione di firmarlo con uno pseudonimo, un primo libro autobiografico “Quand’ero fanciullo” (uscito inizialmente, co- Storia degli ebrei di Michel Abitbol (Einaudi editore) è una sintesi brillante dalle origini ai nostri giorni: “raccontare questa odissea in ottocento pagine è una sfida” ha scritto l’autore. Il risultato finale è molto soddisfacente. In nome della patria di Vincenzo Pinto analizza il rapporto tra ebrei e cultura di destra nel Novecento (edito da Le Lettere). Questo saggio getta un fascio di luce su un argomento scabroso e poco scandagliato. Capitoli su Jabotinsky, Ovazza, Kadmi-Cohen, Schoeps: materiale su cui attentamente riflettere. Martin Buber interprete dell’ebraismo di Gershom Scholem, edito da Giuntina, è un piccolo libro delizioso su uno degli intellettuali ebrei più prestigiosi del XX secolo. Sempre la Giuntina propone La dieta Kasher a cura di Rossella Tercatin, una raccolta di numerosi contributi di celebri autori che discettano sulla cucina ebraica, sulle sue caratteristiche sulle regole e sui benefici del cibo all’ebraica. Pro Armenia a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti, edito da Giuntina, raccoglie le voci ebraiche sul genocidio armeno. quattro testimonianze sul genocidio che ricostruiscono una storia tragica. Lo scorpione sul petto: questo è il titolo del volume di Giuseppe Capriotti, edito da Gangemi, dedicato all’illustrazione della iconografia antiebraica tra XV e XVI secolo alla periferia dello Stato pontificio. Un testo corredato da un’ottima iconografia che svella aspetti di raro interesse e poco conosciuti. 16 ottobre 1943: questo è il titolo del volume che lo stesso editore Gangemi ha pubblicato per ricordare la razzia degli ebrei di Roma, a cura di Marcello Pezzetti. Si tratta di una sintesi di ottimo livello che, a oltre settant’anni dagli avvenimenti, ci permette di ricordare quei drammatici momenti. Di rara importanza. L’anima del Fuehrer di Dario Fertilio, edito da Marsilio, racconta il comportamento del vescovo Hudal che favorì la fuga di numerosi criminali nazisti in Sud America. Una vicenda inquietante sulla quale molto opportunamente Fertilio getta un fascio di luce. Inquietante. “Questo ascensore è vietato agli ebrei” di Olga Focherini, a cura di Odoardo Semellini, edito da EDB, raccoglie i ricordi della figlia di un uomo che, per la sua attività durante la seconda guerra mondiale, fu proclamato giusto tra le nazioni e beato della Chiesa. RICCARDO CALIMANI me libro per l’infanzia, nel 1936, ma ritirato poi dal commercio nel clima delle leggi razziste). Questo terzo scritto autobiografico, nelle intenzioni dell’Autore è il naturale proseguimento di “Quand’ero fanciullo”, scritto tra il 1939 e il 1959 circa, e rimasto per decenni nel cassetto, è stato pubblicato ora dalla Società dalmata di Storia Patria di Roma, a cura di Anna Morpurgo, di M.Lucia Cavallo e Rita Tolomeo. “Questo libro - ha sottolineato, in apertura, Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah - è importante non solo per la ricostruzione di tante vicende, personali e familiari, inserite nella storia d’una comunità ebraica, quella appunto di Spalato, che non solo sotto la breve dominazione napoleonica dei primi dell’ 800, ma anche dopo, con gli Asburgo, era vissuta in condizioni più libere e tranquille di altre. Ma anche come documento, nella successiva tragedia novecentesca, delle tragiche situazioni vissute sia dagli ebrei dalmati che, più in generale, dagli italiani di Dalmazia ed Istria. Del loro sentirsi traditi dall’Italia due volte: prima con le leggi razziali, la guerra e la Shoah, poi dopo la guerra con l’abbandono all’occupazione titina, e alla tragedia delle foibe”. FABRIZIO FEDERICI LUCIANO MORPURGO “Cuore di Israele - Poesia della famiglia ebraica”, Roma, Società Dalmata di Storia Patria, 2016, pp. 168 + ill. GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 PAGINE SU PAGINE. DI EBREI E DI COSE EBRAICHE Piccole e grandi opere, nel segno dell’ebraismo 25 LIBRI Italia, paese incapace di fare i conti con il suo passato Un’analisi spietata, tra storiografia e ricordi familiari, nel libro “Mio padre era fascista” di Pierluigi Battista GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 P 26 ierluigi Battista con il suo ultimo libro “Mio padre era fascista” edito da Mondadori, ci offre di leggere non solo un po’ della sua vita ma anche un affresco dei rapporti intergenerazionali nell’Italia degli ultimi decenni. Partendo dal suo tormentato rapporto con il padre, avvocato di successo con passato repubblichino e fascista indomito fino alla morte. Così in queste centosessantuno pagine, scritte con la solita penna fluida e brillante dall’editorialista del Corriere, scorrono come un fiume in piena ricordi e rimpianti di un Paese che non riesce mai a fare i conti definitivi con il passato. E’ questo che emerge dal libro. Il dialogo tra Pigi e suo padre, spesso interrotto da bruschi litigi e lunghi silenzi, è lo specchio di un’Italia che non ha mai affrontato con maturità le sciagurate scelte politiche del Novecento e purtroppo ha affrontato il presente senza una piena coscienza della propria identità, a differenza di ciò che è successo in altre nazioni. Balza subito agli occhi del lettore, fin dalle prime, righe come il padre Vittorio non sopportasse coloro che, ed erano tanti, avessero abiurato il passato fascista per guadagnarsi una nuova patente di verginità in cerca di prebende e benefici professionali. Battista ci descrive la solita arte dell’arrangiarsi italiana con i suoi risvolti trasformistici e compromissori, indice di una coscienza debole e limitata strutturalmente. Formata da poche teste pensanti e tanti quaquaraquà. Il racconto scorre nel contesto familiare di un genitore che, pur non rinunciando alla sua vita borghese, ricca di soddisfazioni professionali, si vede scappare di giorno in giorno i suoi figli attratti dalle infatuazioni e dai richiami della contestazione in voga tra gli anni Sessanta e Settanta. Così la narrazione si sofferma sui quesiti di un figlio, che cresce, che si interroga sulle scelte politiche passate di un padre che suscitano, ineluttabilmente, tante domande. Come, per esempio, quando Battista con la solita determinazione a pagina 83, ci descrive con molta onestà intellettuale : “Poi, ecco la grande ombra. La pagina più oscura e atroce. Imperdonabile… Ma insomma, sul fatto che il ‘suo’ fascismo, quello di cui ancora rivendicava la passata bellezza, avesse promosso e assecondato la persecuzione degli ebrei, che negli anni della Repubblica sociale fosse in piena funzione la macchina del loro sterminio, attorno a questo punto di rottura avvertivo in mio padre il ribollire di un turbamento doloroso, di un ruminare perenne su qualcosa che assomigliava, o almeno a me pareva che assomigliasse alla vergogna. Lui minimizzava…”. Andando avanti, pagina dopo pagina in un tourbillon di ricordi, Pigi ci accompagna fino al congresso di Fiuggi, che nel 1993 segnò la fine politica del Msi e la nascita di An. Si tratterà del momento in cui lo scrittore avverte la fine del sogno paterno, l’atto liberatorio in cui una parte del fascismo muore politicamente, lasciando sul terreno non solo tanto sangue ma anche tante domande senza risposta da dare ai propri figli nati nel dopoguerra e cresciuti nel libero pensiero. JONATAN DELLA ROCCA Non luogo a procedere Claudio Magris Garzanti, p.362 €20 “Per il protagonista mi sono ispirato ad una persona realmente esistita, il professor Diego de Henriquez, irriducibile triestino che si è dedicato tutta la vita a raccogliere armi, materiale bellico di ogni genere per costruire un originale Museo della Guerra che servisse alla pace.” Un’esposizione in cui ogni sala rimanda alla storia di coloro che morirono per mano di conquistatori, giustizieri, angeli sterminatori. Magris ci conduce negli angoli più bui dell’animo, dove il delirio dell’uomo toglie la vita e le speranze ai suoi simili, perdendo egli stesso l’umanità. Una lettura complessa che lega insieme aguzzini, vittime e custodi dell’orrore. Amare Israele Fulvio Canetti You can print p. 100 € 9,9 Il libro “Amare Israele”, è frutto di una accurata e faticosa ricerca storica e di esegesi biblica, fatta da un appassionato studioso di tematiche storico-religiose, Fulvio Canetti. L’autore, medico chirurgo, classe 1939, nato da una famiglia di ebrei sefarditi e già autore del libro “Guerra e Shoà”, riflette sul Deicidio cioè l’accusa fatta agli ebrei della morte di Gesù e l’innocenza di Ponzio Pilato, governatore romano. Canetti confuta questa calunnia, dimostrando come tale “pregiudizio” nei confronti del popolo ebraico sia stato un’accusa falsa, che ha prodotto solo ostilità e avversione. L’autore invita tutti a riflettere e a confrontarsi. Sono sionista Ariel Shimona – Edith Besozzi Salomone Belforte, p. 190 €19 “ Sono sionista, ne sono fiera e felice, essere sionista significa credere nella legittimità del popolo ebraico di fare ritorno a Gerusalemme…” Grazie a una visita in Israele nel 2008, Edith Besozzi scopre il profondo legame del popolo ebraico con Israele e una nazione giovane che però non dimentica mai la propria identità e la propria storia. Racconta poi di Tel Aviv, Gerusalemme, del Kotel, del Mar Morto e di Nir Oz, il kibbutz al confine di Gaza. Il viaggio di Edith si conclude raccontando la storia di una donna, Ester: in Israele le donne sono la vita, l’essenza di un popolo, la sua continuità. Amos e lo smeraldo del Testaccio Maurizio Tomasi BastogiLibri, p. 203 € 18 Il racconto si pone a metà tra una favola magica ed un romanzo di formazione e trae la sua ispirazione dalla passione dell’autore, Maurizio Tomasi, per la gemmologia. Con David Ajo’, illustratore del racconto, un'idea narrativa è diventata un’originale avventura letteraria. Il protagonista, Amos, rappresenta l’alter ego non solo dell’autore ma di ciascun lettore conquistato dal segreto dello smeraldo. Svelare l’enigma del misterioso oggetto, ben presto elevato ad “amuleto portafortuna”, influenzerà profondamente la vita del giovane, classe 1899, orfano di entrambi i genitori, cresciuto da una zia nel Ghetto di Roma. Entrato in possesso dello smeraldo, il ragazzo decide di dedicarsi allo studio della mineralogia con la convinzione di fare proprio, presto o tardi, il segreto della sua purezza. A CURA DI JACQUELINE SERMONETA ROMA EBRAICA Notizie dal Consiglio I l Consiglio della Comunità, riunitosi lo scorso 17 maggio, è stato dedicato alla discussione e ad una prima valutazione sulle prospettive di rilancio, ma anche sulle pesanti incognite che pesano sul futuro di due importanti realtà ebraiche della città “Nella nuova sede di Casina dei Vallati - ha spiegato Venezia – abbiamo allestito la mostra su Anna Frank che è stata visitata da oltre 14 mila persone. Un successo inaspettato che ci spinge a lavorare per creare un luogo in grado di fornire aiuto e sostegno a chi vuole di Roma: la Casa di Riposo Ebraica (oggi Residenza Sanitaria Assistenziale) e la Fondazione Museo della Shoah. Sull’andamento economico/finanziario della Casa di Riposo vi è stata prima una relazione da parte dell’Assessore agli Enti, Maurizio Tagliacozzo, cui sono seguiti i chiarimenti forniti dal presidente della Casa di Riposo, David Hannuna, e dei revisori Claudio Coen, Beniamino Fadlun e Roberto Di Veroli. La Casa di Riposo – va ricordato - è un ente autonomo sul quale la Cer ha solo un potere di vigilanza. La sua trasformazione da semplice ricovero per anziani a struttura sanitaria (finanziata in parte dalla Regione), fu una scelta obbligata perché nel tempo era venuta a calare la domanda da parte di persone anziane autosufficienti, mentre vi è sempre più richiesta di assistenza per anziani non autosufficienti. Attualmente i posti a disposizione sono appena 20, non consentono di ottimizzare le spese e per di più la lista di attesa, per l’ingresso, è molto lunga. L’attuale situazione richiederà quindi, da parte della dirigenza, scelte strategie e determinanti: o aumentare ulteriormente i posti letto fino a circa 70/80, per raggiungere un equilibrio economico ottimizzando le spese, ma questo richiederà importanti investimenti; o ripensare in alternativa l’intera missione della Casa di Riposo. Tanto più che è urgente sia la nomina di un nuovo direttore generale, sia di invertire una gestione economica che ogni anno registra perdite per circa 500/600 mila euro, pur ampiamente coperti da crediti e in proporzione ai valori patrimoniali. Il Consiglio della Comunità ha quindi approvato una delibera che chiede al Consiglio della Casa di Riposo di nominare con urgenza il direttore generale che dovrà nel giro di poche settimane presentare un business plan, indicando una serie di ipotesi per decidere il futuro di questo Ente. Molta incertezza pesa anche sul futuro non solo del Museo della Shoah – i cui lavori spesso annunciati dall’amministrazione comunale, non sono mai partiti ed anzi attualmente c’è persino un ricorso al Consiglio di stato di una ditta esclusa – ma pesanti preoccupazioni vi sono anche per il futuro della Fondazione Museo della Shoah. Lo ha chiarito molto bene il presidente della Fondazione, Mario Venezia, che – a poco meno di un anno dalla sua nomina – ha ricordato come la natura pubblicistica della Fondazione (ribadita dalla Corte dei Conti), e dove i finanziamenti sono tutti pubblici, ha costretto a interrompere tutte le collaborazioni professionali nate in passato; nuove assunzioni potranno essere realizzate solo ed unicamente attraverso procedure pubbliche. Ad oggi l’attività della Fondazione si svolge quindi solo grazie all’aiuto di molti volontari, coordinati da Massimo Moscati. fare ricerca, e a mettere a disposizione del pubblico una quantità di materiale documentario e di testimonianze che ci è stato donato da oltre 130 famiglie, attraverso una mostra/documentaristica che vorremmo allestire il prima possibile”. Infine il Consiglio ha approvato la nomina di due nuovi Consiglieri della Deputazione: Donatella Pajalich e Ruben Della Riccia. G. K. GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Quale futuro per la Casa di Riposo e per la Fondazione Museo della Shoah? La discussione è aperta 27 ROMA EBRAICA Europa, Italia ed impegno ebraico Ne hanno discusso Naor Gilon, Paolo Mieli e Riccardo Pacifici M olteplici sono stati i temi affrontati in una serata al Jewish Community Center di via Balbo. “Il posto degli ebrei” il titolo del dibattito organizzato dall’Israeli Jewish Congress. Ospiti Riccardo Pacifici, il giornalista e storico Paolo Mieli, l’ambasciatore di Israele Naor Gilon, moderati dal nostro direttore Giacomo Kahn. Le recenti evoluzioni dello scenario internazionale, con particolare riferimento alla situazione mediorientale, e le imminenti elezioni amministrative sono stati i temi che si sono alternati e intrecciati nel corso della serata. La molla che ha stimolato l’organizzazione di un incontro di questo tipo è stato un episodio particolare: la solidarietà data in fase di campagna elettorale da Salvini agli urtisti. Severi provvedimenti della precedente amministrazione hanno messo in una difficile condizione questa categoria, per la quale tutte le istituzioni comunitarie si sono spese affinché venisse tutelata; nell’atteggiamento del leader della Lega sembrava emergere però una speculazione, individuando il problema negli abusivi extracomunitari che avevano tolto il posto agli ebrei. Un approccio volto a cavalcare l’onda del malcontento popolare più diffuso, condito da un linguaggio xenofobo e aggressivo. Da qui l’esigenza di capire come gli ebrei si devono rapportare con la società odierna: lo stesso Salvini non nasce fascista e non ha mai fatto pensare a una posizione antisemita, mostrandosi invece filo-israeliano; restano però ambigui alcuni suoi comportamenti. Ma i dubbi sorgono anche rispetto ad altre aree politiche: a Milano, nelle liste a sostegno del candidato PD Giuseppe Sala, figura fra gli altri Sumaya Abdel Qader, legata all’Ucoii – l’unione delle comunità islamiche italiane – riconducibile all’alveo dei Fratelli Musulmani; lo schieramento dei Cinque Stelle resta quantomeno un’incognita e finora non ha mostrato atteggiamenti benevoli nei confronti di Israele. Questa la situazione alla vigilia delle elezioni amministrative che vedranno coinvolte le principali città italiane. Interrogativi che restano irrisolti, ma per i quali il dibattito è stato utile spunto di riflessione. “Gli ebrei devono capire volta per volta qual è il pericolo principale e quando inizia una fase nuova”, ha consigliato Paolo Mieli: capacità di scelta, criteri e priorità sono i concetti su cui maggiormente si è soffermato, sia in relazione alla politica nazionale che rispetto alle dinamiche globali, dove le divisioni nel mondo islamico rappresentano un dilemma per certi versi simile. Su questo si è soffermato anche Gilon: il contenimento dei fenomeni migratori e la stabilizzazione del Medio Oriente sono questioni non risolvibili nel breve periodo e con cui l’Europa dovrà continuare a confrontarsi. E se, come ha affermato Mieli, quello di oggi è un mondo in cui i valori sono divenuti più fragili e in cui manca una bussola per orientarsi, la crisi delle democrazie occidentali, secondo Pacifici, potrebbe trovare un suo modello proprio nello Stato di Israele, dove la frammentazione etnica e politica sono da sempre motivi costanti della società. DANIELE TOSCANO Yom Ha Zikaron: uniti nel ricordo dei soldati caduti nelle guerre d’Israele Commossa celebrazione nel cortile delle scuole ebraiche I l 10 maggio nel cortile della scuola ebraica, si è celebrata la ricorrenza di Yom Ha Zikaron, il giorno del ricordo, in memoria dei caduti nelle guerre dello Stato d’Israele. La cerimonia è stata organizzata in collaborazione con la Comunità ebraica di Roma; insieme alle diverse autorità come il presidente Ruth Dureghello, il Rabbino Capo Di Segni e i consiglieri e consultori della CER, hanno partecipato l’Addetto Militare presso l’ambasciata di Israele Kobi Regev, alla presenza dell’ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, i Centri Giovanili ebraici come il Benè Akiva e la Shomer Atzair, gli alunni delle scuole ebraiche di Roma e non potevano mancare le famiglie delle vittime, al cui dolore si sono uniti tutti i membri della Comunità. Nel giorno di Yom Ha Zikaron, tutti gli ebrei interrompono la loro quotidianità per unirsi al lutto delle famiglie dei soldati che hanno perso la vita combattendo per il loro paese e in questo giorno GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Dopo i Compari, sta per nascere la Società delle Commari 28 Un’associazione che si dedicherà all’impegno, alla beneficienza ma anche ad un sano divertimento A lcuni certamente conoscono Sabrina Mieli, party planner romana di 46 anni. Una donna che si prodiga sempre ad aiutare il prossimo e cerca di farlo in maniera sempre originale con eventi e manifestazioni. Forse è proprio il suo estro creativo, che l’accompagna nel suo lavoro, a farle venire in mente sempre splendide idee come quest’ultima: la società delle Commari, ovvero la versione femminile della Società dei Compari. “Con l’aiuto di Alberto Zarfati Barbanera e supportate da Riccardo la Comunità Ebraica di Roma ha voluto ricordare questi ragazzi, ascoltando il suono della sirena e con una serie di canti e letture (terminati ovviamente con l’Atikva, simbolo di speranza) proprio all’interno della scuola che è il cuore della Comunità, dove si insegna ai ragazzi il valore dell’essere ebrei e si trasmette il legame verso Israele. GIORGIA CALÒ Pacifici, stiamo redigendo uno statuto con regole precise”, ci racconta durante il nostro incontro. Proprio come i compari, le commari si autotasseranno. L’iniziativa è partita da poco e ci sono ancora tante cose da sistemare per rendere tutto perfetto. Care donne, se state leggendo questo articolo e se siete interessate a farne parte potete presentare regolare domanda che verrà esaminata da un comitato. Proprio perché nato da poco, il comitato è temporaneo e al momento è presieduto dalla vicepresidente Graziella Mieli e rappresentato da diverse personalità femminili come Giulia Pavoncello, Alexia Mieli, Giordana Caviglia e Barbara Terracina. L’obiettivo che si prefiggono è improntato sull’importanza della Tzedakà. Infatti il loro scopo sarà quello di aiutare tutte le persone che in questo periodo economico sono in difficoltà. Il bene genera bene e loro ne sono la dimostrazione vincente. Kol hakavod. MIRIAM SPIZZZICHINO Tra le vie di Portico d’Ottavia la tradizionale festa di Yom haHatzmaut Foto: A. Nacamulli Buon compleanno È festa per i 68 anni dell’indipendenza di Israele Con l'Italia ‘relazioni eccellenti’ O ltre un migliaio di ospiti hanno partecipato lo scorso 16 maggio ai festeggiamenti all’hotel Cavalieri Hilton di Roma in occasione dei 68 anni dell’indipendenza di Israele. Esponenti del mondo politico, diplomatici, rappresentanti della comunità ebraica hanno ascoltato, dopo gli inni nazionali, il discorso dell’’ambasciatore in Italia Naor Gilon che, Foto: S. Meloni M in conclusione del suo mandato, ha sottolineato le relazioni “eccellenti” tra i due Paesi ricordando di aver avuto “l’onore di accompagnare in Israele tre primi ministri - in Italia come in Israele cambiano spesso - Letta, Monti e Renzi”. In questi anni in Italia ci sono stati molti risultati e tra tutti è impossibile non ricordare il padiglione israeliano all’Expo, uno dei più visitati”, ha detto ancora il diplomatico, che ha evidenziato la collaborazione stretta tra Italia e Israele in tutti i campi, dall’accademia al turismo. “Lo scorso anno – ha sottolineato Gilon - mezzo milione di israeliani, il 6% della popolazione, ha visitato l’Italia”. Gilon ha quindi ricordato la conoscenza, ormai diffusa in Italia, “di Israele come Paese dell’innovazione”. “Dopo quattro anni e mezzo - ha detto ancora - spero di aver contribuito anch’io al rafforzamento dei rapporti. In Italia lascio un pezzo del mio cuore”. Tra le tantissime personalità del mondo economico ed esponenti del mondo politico, i ministri Maria Elena Boschi e Roberta Pinotti, i vicepresidenti del Senato Maurizio Gasparri e Linda Lanzillotta, il candidato sindaco di Roma Roberto Giachetti e i presidenti della regione Lazio e Veneto, Nicola Zingaretti e Luca Zaia. Presenti anche i presidenti delle Commissioni Esteri di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Mara Carfagna. GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 ercoledì 11 maggio l’allegria legata a Yom Ha atzmaut ha invaso le strade romane per il 68esimo anniversario dell’Indipendenza dello Stato di Israele. Diverse iniziative hanno preceduto la festa serale, prima fra tutte la tradizionale cerimonia al Tempio Maggiore per la Tefillà di Arvit. “Chi, nel 1550, poteva immaginare che avremmo avuto oggi un nostro Stato?” si è rivolto al pubblico Rav Di Segni dopo le toccanti melodie eseguite dal coro, tra le quali alcune parti dell’Hallel e di Lechà Dodì. “Eppure ci speravamo, continuavamo a chiederlo nelle nostre preghiere, e questa è la grandezza della nostra storia e della nostra comunità, l’essere determinati a rendere l’impossibile realizzabile” ha ribadito, sottolineando “il coraggio dei dirigenti israeliani che 68 anni fa annunciarono l’indipendenza nonostante i nemici che ci circondavano pronti a calpestarci” e ricordando che “Israele deve essere difesa in tutti i modi” e di essere quindi “sempre vigili”. Le vie del nostro Portico d’Ottavia hanno dunque accolto diversi stand legati all’identità ebraica e sionista e accompagnato i visitatori attraverso le realtà più intime della Comunità. La festa ha abbracciato giovani e anziani, ebrei e curiosi ribadendo la dinamicità della Comunità, che non si arrende di fronte a vecchie e nuove minacce. L’atmosfera era infatti ricca di gioia: i ragazzi nei capanni dei movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Bnei Akiva; le persone ad intrattenersi davanti agli stand della scuola Vittorio Polacco o del Pitigliani o del Maccabi; quello di Masa ribadiva le opportunità di crescita e di sviluppo che uno stato moderno come Israele può offrire. Protagonista indiscusso della serata è stato il Jewish Musical Festival: organizzato dal Dipartimento Educativo Giovani, il Festival ha rallegrato i presenti nel corso della serata con esibizioni dei diversi ragazzi in competizione. Il palco ha inoltre goduto della presenza della musica dal vivo della Josi Band e della conduzione dell’ex partecipante ad XFACTOR Albania, Manuel Moscato. A scegliere tra i migliori interpreti la giuria formata da: il Maestro Claudio Di Segni Direttore del Coro Tempio Maggiore, Alberto Mieli professore del Liceo Renzo Levi e musicista e la professoressa Luisa Basevi insegnante di ebraico del Liceo Renzo Levi. I premi finali sono stati così assegnati: Trofeo Jewish Music Festival 2016 a Elisabeth Anav per la sua incantevole voce e l’interpretazione del brano “Cochav”; “Premio Koro Ha-Kol”, Shulamith Di Castro; “Premio Creativity” a Sara Moscati per l’interpretazione più creativa del brano musicale con “Lehi shtatot lif’amim”; il “Premio Testo e Parole” a Noah Debash che ha cantato “Vrau Vanim”. Si aggiudica il “Premio Speciale del Pubblico” votato su Facebook durante la serata finale, Odaya Hacmoun con la canzone “Petach livchà” di David D’Or. Infine vince una borsa di studio assegnata dalla Comunità Ebraica di Roma per lavorare nel Dipartimento Educativo Giovani, Riccardo Della Rocca che ha cantato e suonato dal vivo il brano “Ani Yhudì” di Aric Einstein. Non poteva mancare ovviamente il cibo, offerto generosamente da Roger Hassan, che insieme ai tanti altri volontari (da Mino Fadlun per l’impianto elettrico a Nico Celano per l’audio, e a tutti gli uomini della sorveglianza) hanno consentito la riuscita della festa. MICOL SONNINO E JOELLE SARA HABIB 29 ROMA LIBRIEBRAICA Zikaron Basalon, il ricordo in salotto Viene da Israele un modo originale di raccontare la Shoah: i sopravvissuti incontrano i giovani nelle case. A Roma le prime iniziative I n occasione di Yom ha Shoah la Comunità Ebraica di Roma ha portato in Italia l’iniziativa Zikaron Basalon, “Ricordo nel salotto”, un progetto nato in Israele nel 2010 e già esportato in diversi altri paesi, in cui i sopravvissuti alla Shoah – ospiti di salotti in case private - raccontano ai giovani la loro terribile esperienza. Si tratta di una nuova forma di trasmissione della memoria che ha un carattere più familiare, diretto e che salta così tutte quelle procedure istituzionali che alla lunga tendono a svilire o comunque a raffreddare l’importante passaggio della testimonianza. L’idea di portare anche in Italia questa esperienza è nata grazie alla segnalazione di Micol Debash, una ragazza italiana che si è trasferita da poco in Israele e che ora sta affrontando il periodo di leva, dopo che quest’ultima aveva partecipato a uno degli incontri in Israele, restandone positivamente colpita per la poca formalità e per il coinvolgimento diretto dei giovani. A Roma il progetto è stato realizzato insieme dal Centro di Cultura e da Delet, Assessorato ai Giovani della Comunità. In ognuno dei cinque salotti messi a disposizione da alcune famiglie della comunità romana un tutor ha introdotto un testimone della Memoria: Mario Venezia ha introdotto la scrittrice di origine ungherese Edith Bruck nella casa di Sira Fatucci; Giorgia Calò e Giordana Moscati erano ospiti di Roberto Di Porto con Piero Terracina; Sandra Presentato “L’interprete di Auschwitz” Gabriele Rigano ripercorre la storia di Arminio Wachsberger GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 I 30 l 4 maggio a Casina Dei Vallati in Largo 16 ottobre, sede provvisoria della Fondazione del Museo della Shoà, è stato presentato il nuovo libro di Gabriele Rigano: “L’interprete di Auschwitz”. Il libro racconta la testimonianza di Arminio Wachsberger che venne arrestato dai nazisti a Roma il 16 ottobre 1943 e deportato ad Auschwitz perché ebreo. La realizzazione del libro è stata possibile non solo grazie alle fonti di Archivio, ma anche alle testimonianze rilasciate dal protagonista stesso nelle numerose interviste a partire dal 1955. Arminio fu uno dei pochi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz, e da subito volle testimoniare sulle travagliate vicende della sua vita, tramite la parola e la scrittura. La sua intraprendenza e la conoscenza delle lingue gli permisero di guardare e raccontare gli eventi da un punto di vista privilegiato: quello dell’interprete tra i deportati e le autorità naziste. Conobbe personalmente sia il comandante del campo, Rudolf Hess, sia il famigerato dottor Mengele, tristemente noto per i suoi esperimenti su cavie umane. È straziante Terracina ed Enrico Modigliani hanno introdotto Alberto Sed nella casa di Giuseppe Piperno; nel salotto di Elvira Di Cave era presente Sami Modiano; infine Marika Venezia, moglie del compianto Shlomo, era dalla famiglia Arbib. Il giornale Shalom ha avuto la possibilità di seguire proprio quest’ultima insieme alla Presidente della Comunità Ruth Dureghello e al Direttore del Dipartimento di Cultura Ebraica Claudio Procaccia. Dopo una breve introduzione di Ruth Dureghello, Marika Venezia ha descritto a lungo le atrocità a cui ha assistito il marito durante il periodo in cui ad Auschwitz era costretto a lavorare come Sonderkommando, l’unità speciale composta da internati ebrei che si occupava della pulizia delle camere a gas e dei forni crematori. Le circa venti persone che hanno partecipato al progetto sono rimaste in religioso silenzio per la maggior parte del tempo ma verso la fine della serata hanno iniziato a porre diverse domande. In particolare molti si sono concentrati sul perché Shlomo avesse scelto di rimanere in silenzio per quarantasette anni e cosa avesse scatenato in lui la voglia di parlare dopo tutto quel tempo. “Le svastiche disegnate sui muri di Roma” è stata la risposta di Marika che ha poi evidenziato come il primo viaggio ad Auschwitz da testimone abbia alleggerito, sebbene di poco, il cuore del marito. Infine i ragazzi più giovani hanno dato vita ad un vivace dibattito sul valore della testimonianza e sull’attualità dell’argomento in relazione a ciò che sta accadendo in Siria nei territori dominati dal Califfato Islamico. Nell’accesa discussione sono emersi anche pareri discordanti ma indubbiamente i partecipanti hanno avuto un’occasione unica, un’esperienza da tramandare nel tempo per far sì che “mai più” non sia solo un vuoto slogan da ripetere nelle ricorrenze. MARIO DEL MONTE il racconto di quando proprio quest’ultimo gli rivelò la sorte della sua famiglia. “Noi abbiamo bisogno solo di bestie da lavoro – gli disse Mengele, impassibile – quindi quelli che non possono lavorare vengono eliminati. La bambina di cinque anni [sua figlia Clara] non ci serve quindi la eliminiamo e anche la madre, sapendo che la propria figlia è stata ammazzata, non può più lavorare”. Dopo la guerra Wachsberger venne poi chiamato in più occasioni a testimoniare nei processi che si svolsero a Dachau contro le SS e i militari addetti al campo. “Ne abbiamo riconosciuti diversi e al Tribunale abbiamo narrato in quale maniera bestiale questa gente si è comportata con noi”, ha raccontato. Ma negli anni ebbe modo anche di testimoniare in difesa di quei tedeschi che, ricoprendo posti di responsabilità nel sistema concentrazionario, avevano invece aiutato i prigionieri dei campi. Fu proprio la partecipazione ai processi di Dachau a convincerlo di quanto la memoria della sua esperienza fosse importante sia a livello giudiziario che civile. Alla presentazione del libro, insieme all’autore, hanno partecipato il presidente della Comunità Ruth Dureghello, Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoà, Ruben Della Rocca, vice presidente della Cer, oltre agli oratori che hanno analizzato diversi contenuti del libro: rav Riccardo Di Segni, Marina Beer, storica di letteratura italiana e Andrea Riccardi, storico e presidente della Società Dante Alighieri. La scelta di Casina dei Vallati come location è molto significativa, in quanto è molto importante mantenere i luoghi della memoria; presentare un libro sulla Shoà onora la memoria di quelli che non sono tornati e rappresenta la ripresa della Cultura che ci era stata portata via con il sequestro e il rogo dei libri sacri come il Talmud. Arminio Wachsberger ha avuto un ruolo fondamentale nel combattere la tentazione dell’oblio che ha coinvolto anche molti ex deportati i quali, spinti dal desiderio di ricominciare al più presto una vita normale, scelsero il silenzio. Il libro di Rigano parte dalla necessità di superare una volta per tutte la contrapposizione tra i testimoni e gli storici. Poiché senza l’apporto della memoria, come spiega lo stesso Rigano, la storia rischia di perdere la capacità di penetrare i sentimenti e gli stati d’animo. GIORGIA CALÒ B Ruoli e funzioni per i Musei che raccontano la Shoah isogna ridefinire il concetto di Museo a partire dall’analisi dello stesso significato della parola. Esso è tradizionalmente inteso come un’istituzione permanente al servizio della società e del suo sviluppo con il fine di conservare le testimonianze materiali e immateriali della società. Tale concetto si espone a correzioni non richiamandosi a un’esposizione asettica di oggetti ma diventando viva testimonianza di un passato che incide ancora sul presente. Questa è la linea guida del dibattito che si è svolto lunedì 2 maggio a Roma. Il convegno Quale memoria, per quale società? intendeva analizzare il ruolo dei musei della Shoah nel mondo contemporaneo. Con i saluti istituzionali del Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini e il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, cui sono seguiti la lectio magistralis di George Bensoussan, i saluti delle fondazioni italiane e gli interventi di diverse figure di spicco, si è tentato di dare voce ai problemi comunicativi cui l’ebraismo italiano va incontro: la difficoltà di trovare un modo più che mai rigoroso per esprimere il proprio passato e rendersi comprensibile ai più. Sia lo storico Bensoussan sia il presidente del MEIS (fondazione Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah) Dario Disegni hanno insistito su uno dei pericoli sempre più incombenti: la possibilità reale di presentare gli ebrei soltanto come vittime con la conseguente distorsione del resoconto storico. Si presenta così il rischio di cristallizzare il passato rendendolo più immaginario che reale. I vari musei o memoriali che nascono sul suolo italiano hanno l’obiettivo comune di promuovere attività didattiche che permettano S Addio Greg, uomo buono e ne è andato tra lo stupore di tutti, Gregory Manoliou, per gli amici Greg, che per diversi anni è stato il portiere delle scuole ebraiche al Portico d’Ottavia. L’aveva conosciuto l’ex presidente Riccardo Pacifici come un “clandestino rumeno” una ventina di anni fa, con cui legò subito e si avvalse di lui come factotum per diverse attività: da autista a muratore, da portiere ad accompagnatore. Gli diede subito l’incarico di rimettere su, con pala e vernice in mano, gli ambienti fatiscenti di quello che sarebbe stato il locale a Via Fonteiana che ospitò il primo Beit Michael nei primi anni del Duemila. Dimostrando da subito una disponibilità non comune che non conosceva né riposo né alcuna sorta di giustificazione a non essere presente, Greg si rimboccava le maniche a ogni richiesta, e si metteva a lavorare con estrema umiltà e professionalità. Sempre con il sorriso genuino sulle labbra che metteva l’interlocutore a proprio agio. Così Pacifici lo ricorda: “Ha dormito per anni nei miei diversi uffici. Un uomo di una dignità rara. Sapeva vivere con poco e se contraeva un debito non vedeva l’ora di onorarlo. Parlava sette lingue ed era un uomo di cultura. Chiunque si è avvicinato di far conoscere la storia e la cultura dell’ebraismo coniugandole con le peculiarità che ogni città presenta. Il MEIS occupa l’ex zona carceraria di Ferrara e l’intento principale è quello di diventare un centro di aggregazione e di produzione di cultura e ricerca sempre pulsante. Il Memoriale della Shoah di Milano si presenta come luogo dalla luce soffusa in cui non vi sono esposizioni: è esso stesso a mostrarsi come testimonianza dei fatti che vi si sono svolti, a esso verrà annessa una biblioteca non appena si avranno i fondi necessari. La Fondazione Museo della Shoah di Roma si presenta in modo ancora diverso: intende mostrare il legame con il territorio romano e simbolo del connubio è la sede momentanea Casina dei Vallati che, data la centralità della sua ubicazione, ospita visitatori da tutto il mondo. Il CDEC di Milano (fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) invece ha come scopo “la raccolta e catalogazione di documenti riguardanti le persecuzioni in Italia e la Resistenza” e svolge l’attività di ricerca scientifica e di divulgazione della storia ebraica contemporanea. Il museo svolge così un’ulteriore funzione rispetto a quella che aveva in passato, mostrandosi principalmente come luogo di educazione oltre che di catalogazione. Esso deve voler dialogare con la realtà che lo circonda altrimenti la chiusura nell’autoreferenzialità appare inevitabile. Dunque non deve esservi sacralizzazione ma pura interazione. Il richiamo alle Stolpersteine (pietre d’inciampo) risulta calzante: queste sono opere che inducono chi vi si imbatte a fermarsi e riflettere così come il Marco Aurelio che si erge a piazza del Campidoglio, che ben si inserisce nel contesto urbano circostante chiedendoci ammirarne l’armonia. Il fine del Museo dovrebbe esser proprio questo: educare presentandosi non solo come insieme già prestabilito di oggetti ma rinnovandosi sempre in funzione al territorio in cui si trova e alle esigenze di chi vi si imbatte. MARTA SPIZZICHINO a lui gli è divenuto amico. Era impossibile non esserlo. Lascerà un gran vuoto”. Con l’accorpamento delle nuove scuole in Piazza, nel corso dell’ultimo decennio la sua figura è divenuta un volto pubblico che tutti gli studenti hanno conosciuto, essendo l’uomo con il sorriso che dava il buongiorno a chi varcasse l’ingresso della nuova scuola. E la prova della simpatia che riscuoteva se ne è avuta alla notizia della sua dipartita: un fiume di necrologi e ricordi sui social network hanno accompagnato la sua salita in cielo, in cui si è messa in evidenza la gentilezza e l’altruismo come caratteri strutturali della sua figura. JONATAN DELLA ROCCA In ricordo di Greg H o avuto modo di conoscere Gregory Manoliou, ma per tutti noi Greg, nei primi anni del 2000, quando iniziai a frequentare il nuovo Tempio di Monteverde Beth Michael in Via Fonteiana. Greg era la persona di riferimento per ogni lavoro di piccola manutenzione o se occorreva un aiuto. Quando nel 2006 mi venne conferita la Presidenza della Vaadà del Bet Michael, trovai un grande supporto in lui, che si dimostrò sempre presente per ogni esigenza materiale del Tempio, il tutto con mirabile cortesia e gentilezza. Fondamentale era ogni anno il suo apporto per la costruzione della Sukkà alla quale, non so perché, si arrivava ogni volta con una corsa all’ultimo istante, ma è sempre stata pronta per l’entrata di Moed, permettendo ai frequentatori di svolgere la Mitzvà. Anche quando venne assunto alle nostre Scuole non ci lasciò soli e, pur se in modo ridotto a causa delle sue condizioni di salute, si rese ancora disponibile e sempre presente per lo Shabbath. Con molta tristezza ricordo il 7 Febbraio 2016, l’ultimo compleanno festeggiato insieme, dove i segni della malattia che lo affliggeva si erano fatti più incipienti e visibili. Ci ha lasciati alla metà di maggio ed è stata una grande perdita per noi tutti. CLAUDIO MOSCATI GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Quale memoria, per quale società? 31 ROMA LIBRIEBRAICA I quattro figli presenti in ognuno di noi Il rapporto tra educazione e Seder di Pesach: prosegue il ciclo di lezioni del prof. Gavriel Levi C ontinuano le lezioni mensili del professor Gavriel Levi sulla Torà e l’educazione ebraica, e, a ridosso di Pesach, protagonisti non potevano che essere i quattro figli dell’Haggadà. “Difficile sostenere che si tratti di 4 bambini nettamente separati ed identificabili”, mette subito in chiaro Levi, “piuttosto, parti diverse che si trovano in ognuno di noi in quantità differenti”. “Tutta la situazione del seder di Pesach è costruita per il bambino, perché non si addormenti”, puntualizza, “gli si deve cominciare a raccontare la storia di Pesach sin da quando sarà in grado di masticare la carne arrostita, come quella che veniva mangiata come korban pesach, e le domande di manishtana, che servono per scuoterlo, non sono per niente stupide. Il Seder è poi per lui fonte di un altro grande insegnamento - in questa serata le regole della Torà prevalgono su quelle del galateo, e sono differenti da quelle del resto dell’anno, insegnandogli che la regola del mondo non è quella della Torà, ed anche questa è messa talvolta in discussione”. “Non si può rapportarsi con un bambino se non trovando la parte identica dentro di noi, i bambini sono tutti diversi l’uno dall’altro, tutti e 4 hanno i loro problemi, ed un genitore, un educatore, deve sapersi identificare con tutti e 4 in maniera profondamente diversa” continua poi, cominciando a parlare del Chacham, primo nell’Haggadà ma ultimo a comparire nella Torà, dove l’ordine, e le risposte date, sono totalmente diverse. “La Torà inserisce altri due concetti nel brano che non leggiamo, si ripetono le espressioni ‘mitzva’, e ’tov ve yashar- l’essere buoni e retti’ - questi, i possibili rischi del sapientone: sa tutto, ma non capisce che non ha senso seguire minuziosamente l’halachà se non si è nella vita ‘una persona buona e retta’, sa tutto, ma gli manca il senso della mitzvà, regalo ma anche obbligo, che potrebbe pensare di fare solo nel modo che gli sembra più giusto, quando gli viene spontaneo, mentre secondo la Torà è più meritevole proprio chi le fa perché obbligato”. Il seder dei più piccoli Nel cortile della scuola i bambini hanno letto tutta l’Hagadà GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 “U 32 na normalità per Roma ma sicuramente non per me” dice del Seder di Pesach delle elementari rav Colombo, che ammette di non aver “mai visto bambini dai 7 ai 11 anni tenere interamente un Seder, cantando perfettamente tutta l’Hagadà, senza sbagliare nessuna parola”. “Mai avrei immaginato tanto coinvolgimento e capacità” ribadisce “sono loro ad averlo condotto, io ho solo ascoltato”. Per tutto il mese precedente Pesach i bambini hanno preparato l’Hagadà in classe, sotto la guida delle morot, “ognuno dei partecipanti al seder ha avuto inoltre una piccola parte da protagonista” aggiunge la direttrice Milena Pavoncello, “c’è chi ha intonato un canto e chi ha spiegato un brano”, spiega “fino ad arrivare ai bambini di prima, che hanno recitato la traduzione di Ma Nishtanà”. Il Seder, finito ben oltre la mezzanotte, è stato inoltre, ricorda Colombo, scenario di episodi simbolici e molto divertenti. “Una cosa che mi ha fatto molto piacere è stata la premura dei bambini nel mangiare le esatte quantità di matzà e maror, spesso considerate esagerate da parecchi adulti, che con difficoltà arrivano a mangiare tutto il prescritto, i bambini invece, per essere sicuri di mangiarne L’Haggadà invece - spiega il professore - dove si dice di spiegargli tutte le halachot, ed esplicitamente quella dell’afikomen, mette l’accento sul suo altro punto debole. Scopo dell’afikomen è farci rimanere col suo sapore in bocca tutta la notte, ed al Chacham è proprio il sapore della mitzvà che potrebbe venire meno. Primo nella Torà è invece il Rashà, ”primo, perché ognuno di noi corre il rischio di perdersi, come yehudi, ed essere umano”, considerato però “non una condizione definitiva”, la cui caratteristica principale consiste “nell’uscire da una logica collettiva. ‘Per voi e non per lui’ dice, lui si dissocia, ma questo indica che noi non siamo stati capaci di metterlo dentro, la cosa da fare per includerlo è creare con le mitzot un legame e non un’imposizione, lui deve trovare la sua Torà, ma noi dobbiamo fornirgli gli strumenti”. A venire dopo il rashà è nella Torà il ‘sheeno iodea lishal’, quello che non sa domandare, perché timido, vergognoso, abituato ad avere le risposte pronte senza nessuno sforzo, “veramente un passetto dopo il Rashà”, la cui risposta dell’Haggadà è mirata a fargli vedere e considerare le cose in maniera diversa - “’aprigli la bocca’: insegnagli a fare domande” - e non riguarda più il passato, come quella del Rashà dove si ricordava l’uscita dell’Egitto, ma il futuro, con l’obbligo di mangiare, di generazione in generazione, matzà e maror. Ultimo ad essere esaminato il Tam, che compare nella Torà, di fronte a mitzvot non legate al contesto di Pesach: il riscatto di un primogenito, umano od animale, ed i tefillin. Mitzvot fuori tempo, una molto rara, una molto frequente. “Dal punto di vista di un bambino entrare nel mondo delle mitzvot è scoprire lo strano, il curioso, come il riscatto, ma è importante anche il legame con la vita quotidiana, rappresentato dai tefillin”. In questo caso, al bambino semplice, “un po’ imbranato”, si insegnano a creare i collegamenti, lo si include, non nella collettività come il rashà, perché già ci è dentro, ma nell’interesse, gli si fa capire “cos’ha tutto questo a che fare con lui”. JOELLE SARA HABIB abbastanza hanno addirittura rubato il mio maror” racconta, senza tralasciare il fatto, che ad un certo punto, sia stata un’allieva di seconda a dare il segno a lui. Un vero ‘successo della scuola ebraica’, come lo definisce Colombo, insomma, a cui hanno partecipato 84 ragazzi ed 80 adulti. JOELLE SARA HABIB Elenco enti ebraici iscritti agli elenchi del cinque per mille Comunità Ebraica di Roma 80199210586 Adei wizo 80173910151 Asili infantili israelitici 80208870586 Centro ebraico italiano Pitigliani 80069210583 Deputazione ebraica ass.Serv.Sociale-Roma 02069920581 Fondazione beni culturali ebraici in Italia 96196480584 Fondazione CDEC 97049190156 Fondazione Elio Toaff per la cultura ebraica 97289760585 Fondazione Keren Kayemeth Leisrael 97611940582 Fondazione museo della Shoah - onlus 10092001006 Hashomer hatzair 97105840157 O.S.E. Italia 80191190588 Shirat ha-yam onlus 97567860586 Elenco enti ebraici iscritti agli elenchi del due per mille Coro col ha tikwa’ 90130790323 Fondazione CDEC 97049190156 G.E.E.D.I hashomer hatzair roma 97559140583 Il rapporto-genitori figli: ogni età ha diritto ad una risposta l ciclo di incontri a sostegno della genitorialità si è concluso con una bellissima lezione di Rav Reuven Colombo sul rapporto genitore-figlio. Sembra un discorso scontato, ma lo è stato ben poco. L’educazione, in ebraico chinuk, è vista dai rabanim come qualcosa che inizia e rimane per tutta la vita, è come dare una definizione a un oggetto. Tramite commenti della Torah e midrashim Rav Colombo ha spiegato l’educazione dei figli con una bellissima similitudine: “l’uomo è come l’albero di un campo”, tale pianta va seminata in un determinato momento, così da poterla veder crescere fino a diventare un albero, ma se fatto nel momento sbagliato viene distrutta. Allo stesso modo vanno educati i figli, a questi gli insegnamenti vanno dati in una certa fase della loro crescita o si rischierebbe di svuotarli, ovvero renderli automi anziché persone pensanti. Il genitore da il seme al bambino, così che questo possa raccoglierlo per far nascere e crescere la propria identità. Ci sono quindi due elementi fondamentali nell’educazione: il senso di costruzione (dare il seme nelle fasi della crescita) e il senso di fioritura (far crescere il seme e quindi l’identità). Successivamente Rav Colombo ci ha spiegato qual è una buona strada formativa secondo l’ebraismo, mostrandoci le regole comportamentali verso i figli e la loro spiegazione. Ovviamente due questioni fondamentali nella crescita del proprio bambino sono l’amore e l’esser d’esempio, poiché senza di queste un genitore non potrebbe esser definito tale. Il terzo punto è il dovere di spiegare: non bisogna mai dire a un bambino “te lo spiegherò quando sarai grande”, in quanto se questo chiede spiegazioni vuol dire che ne ha bisogno ora e un momento futuro può essere un momento sbagliato; bisogna quindi dare una risposta adatta alla sua età. La punizione viene invece spiegata dal verso “chi risparmia il bastone odia suo figlio”, ma si parla di colpire fisicamente il proprio figlio? In questo caso il bastone è benevolo, rappresenta il sostegno e la guida che un genitore deve essere durante la crescita; il padre e la madre saranno come pastori per le loro pecore. Una cosa ancor più sbagliata di colpire è quella di urlare con la conseguenza di svergognare il bambino, poiché le cose dette con durezza non vengono ascoltate bensì eseguite come una costrizione. L’ultimo punto è la compartecipazione: l’azione crea sentimento nel cuore e non il contrario. Portare, per esempio, il proprio figlio al tempio quando è ancora troppo piccolo lo annoia, in quanto non può ancora capire cosa sta realmente accadendo intorno a lui e non comprendendolo crescerà con lui l’idea sbagliata che si è creato; questo seme dato troppo presto distrugge il rapporto del bambino con il tempio e quindi il bambino stesso. Con questa lezione si è quindi concluso il ciclo di lezioni sulla genitorialità. Si è partiti dai disturbi dell’apprendimento, per poi parlare di nutrizione, ADHD, approcci optometrici e infine si è concluso con Rav Colombo, Direttore delle materie ebraiche delle scuole comunitarie. Io ho vissuto tutta questa esperienza da educatrice del Dipartimento Educatrice Giovani CER e mi è servita tantissimo, sia per me stessa che per migliorare l’efficacia del mio lavoro, in quanto ho imparato come comportarmi nei confronti dei bambini, ragazzi, adulti e come cogliere segnali di disagio o incomprensione, spesso piccoli dettagli che hanno grandi conseguenze. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo della squadra di insegnanti, educatori, rabbini, consulenti, professionisti e genitori che ci ha seguiti durante tutti gli incontri, con le loro storie e le loro esperienze ci hanno reso tutto ciò che poteva sembrare una spiegazione fatta in aula qualcosa di concreto, reale e quotidiano. ARIANNA ZARFATI Consegnata la semikah a rav Jacob Di Segni L o scorso 25 maggio, nel Tempio Maggiore in occasione della festività di Lag BaOmer, si è tenuta la suggestiva cerimonia di consegna della semikah, con il titolo di chaham, al neo rav Jacov Di Segni e direttore dell'ufficio rabbinico. Proprio traendo spunto dalla festività, rav Jacob Di Segni - ricordando un passo del Talmud - ha indicato il suo impegno: "se una persona ha studiato Torah quando era giovane deve continuare tutta la vita fino alla vecchiaia, e così se uno ha avuto allievi in gioventù deve continuare ad averne per tutta la vita". La nomina di un nuovo rabbino - ha spiegato il rabbino capo rav Riccardo Di Segni - è un evento che deve essere festeggiato dall'intera comunità e ha ricordato, proprio collegandosi alla festività di Lag BaOmer, che in questo giorno cessò un’epidemia che aveva causato la morte di 24.000 allievi di Rabbi Akiva, morti perché non "dimostravano rispetto l'uno per l'altro". "Ognuno di essi voleva essere l'allievo migliore di rabbi Akiva, procurando solo litigi e inimicizie invece che un incremento dello studio. Tra loro - ha spiegato - "mancò il significato vero dello studio della Torah, uno studio sempre collettivo, di gruppo, in cui si gioisce dello studio e dei progressi degli altri poiché è grazie a questo scambio che si porta avanti la tradizione". A completare la festa anche la cerimonia di apposizione del nome e di benedizione (zeved habat) alla neonata, figlia di rav Jacob Di Segni, Rachel Dora Simchà. Auguri al neo rav e alle famiglie. enizia F ì Z Domenica aperto Ampio parcheggio 50 3 e , e , 3 Panini con uro 50uro Hamburger • Salsiccia Hot Dog • Schnitzel... 00uro ,1 e Supplì • Patatine fritte2,e0u0ro Via Ostiense 162/e - Cell. 349.2525347 www.zifenizia.it GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 I Una lezione di rav Roberto Colombo ha concluso il ciclo sulla genitorialità 33 ROMA LIBRIEBRAICA ‘Tanto a mi ‘un me tocca’: quando l’orientamento sessuale diventa dramma familiare Sul tema dell’omosessualità l’ultima commedia curata da Alberto Pavoncello N onostante la breve durata, uno spettacolo “pieno di contenuti” - come lo definisce la presidente della CER Ruth Dureghello - la rappresentazione de “L’altra parte di me: l’omosessualità”, quarto appuntamento della serie ‘Tanto a mi ‘un me tocca’, portato in scena da Alberto Pavoncello con la sua ‘compagnia quasi stabile’, in collaborazione con il Centro di cultura, con aiuto alla regia e direzione di scena di Sara Moscati, coordinamento tecnico di Antonio Rizzuti ed interpretato da Leda Moscati, Alba di Cori, Daniele Secci, David Halfon, Simone Careddu, Valentina D’Antonio e Emanuele Pirocchi. Lo spettacolo mostra Emma, sposata, madre di due figli, scoprire tramite un amico del figlio l’omosessualità del marito, che si rivela in terapia, ormai da qualche anno, con una psicologa per venire a termini col suo orientamento sessuale. Il figlio più grande, residente in Israele sembra accettare con relativa facilità la situazione, più difficili sono le cose per Emma, ma perno centrale della rappresentazione, cruccio della scombussolata madre di famiglia, è soprattutto come spiegare tutto ciò al figlio di 13 anni. È poi seguito alla rappresentazione un talk, iniziato da Cecilia Angrisano, giudice presso il Tribunale dei minore de L’Aquila, che ha sottolineato - attingendo dalla propria esperienza personale a casi in cui situazioni “drammatiche e gravose per chi le vive” come questa, siano state gestite male, con i figli a pagarne le conseguenze - come quello proposto dalla sceneggiatura, sia “un saggio consi- glio”, in quanto “cambiamenti così repentini” nella quotidianità di un ragazzo, siano per lui “devastanti sotto un profilo psicologico”. È stato poi il momento di Gianni Dattilo, psicoterapeuta, che ha esaminato la questione dal punto di vista clinico, chiarendo innanzitutto agli spettatori la differenza tra identità sessuale - di natura prettamente biologica, maschile o femminile -, identità di genere - “tutta la costellazione psichica che vi si forma intorno, il sentirsi ‘maschiaccio’, o ‘femminuccia’, a volte anche contrariamente ai dati biologici” - e l’orientamento sessuale. Mettendo in luce “la delicatezza ed equilibrio del non giudizio” esibito dalla sceneggiatura, ha poi proceduto a sfatare alcuni dei più diffusi miti riguardanti l’omosessualità, ancora considerata una ‘perversione sessuale’ al tempo dei suoi studi universitari, ora fortunatamente, completamente depatologizzata. Benedetto Carucci ha invece subito puntualizzato, “per evitare gravi malintesi”, di non parlare in questo contesto in veste di Rav, enfatizzando anche lui come “priorità assoluta, dal punto di vista del diritto e del buon senso” debbano essere la serenità e tutela del minore, spesso invece vittima, anche alludendo a contesti più ampi, “di situazioni spaventose tra i genitori”. “Preferisco il termine ‘trasgressione’ a ‘peccato’ ha quindi continuato “l’individuo non è ‘un peccatore’, ma qualcuno che ha trasgredito una regola”. “Elemento molto importante da tenere presente”, ha spiegato ai presenti, “è che tutto il sistema ebraico ha a che vedere con la regolamentazione dei nostri istinti ed impulsi, va contro la natura, definisce in ogni aspetto il rapporto tra natura e comportamento, regolamentando perfino ciò che possiamo mangiare”. “Immagino sia possibile fare la scelta di astenersi da queste pulsioni, non come una repressione, ma volontariamente, riconoscendo il proprio orientamento” ha detto - ed è arrivato subito a questa affermazione una conferma da parte del Dottor Dattilo, è la cosiddetta ‘Sublimazione’ esaminata da Freud - “ma è ovviamente, non tollerabile, o legittima, l’omofobia” ha ribadito. JOELLE SARA HABIB Sogni e interpretazioni psicoanalitiche Tra conscio e inconscio nell’ultimo libro di David Gerbi GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 “U 34 n sogno non interpretato è come una lettera non letta” il titolo dell’ultimo libro di David Gerbi, psicoterapeuta e psicoanalista, e Maria Micheloni, psicoterapeuta. La presentazione, completamente sponsorizzata dalla banca ‘Credito di Romagna’, è iniziata con un tour ed un aperitivo all’interno della stessa, mentre per la cena e la presentazione vera e propria, dedicata alla memoria di Shmuel Naman - “Un vero giusto, amato da tutti, proprio come Giuseppe” - con interventi dell’autore, dei frequentatori del suo corso settimanale e dell’ambasciatore di Libia al vaticano, ci si è spostati in un vicino hotel. “Nei Sogni si manifesta il nostro inconscio, vengono meno le manipolazioni e si abbassano le difese, è dove si presentano le nostre paure, gioie e progetti più ambiziosi, l’unica situazione in cui l’indefinito diventa definito per dar vita ad un processo di Integrazione, accettazione e riconciliazione con se stessi”, dice Daniela Terracina, organizzatrice dell’evento e frequentatrice del corso di Gerbi. Maria Paola Monti definisce invece i sogni “un’opportunità per toccare con mano l’autenticità, la nostra intima essenza” e racconta del suo approcciarsi al gruppo, di come pensava si sarebbe scontrata con un’interpretazione secondo simboli fissi, già decodificati,”come si trattasse di un manuale”, trovandosi invece di fronte ad “un metodo che esalta l’individualità, l’unicità della persona, e si basa sul suo vissuto, le sue emozioni”. “Se non si dà ascolto al mondo dell’inconscio e non lo si integra con la coscienza si rimane scissi e si è destinati alla carestia psicologica; se invece lo si ascolta, la realtà può essere trasformata a favore di se stessi e, indirettamente, a favore del collettivo”, scrive nel libro l’autore che anche durante la serata ha ribadito come “Il sogno non ha valore se poi non lo mettiamo in pratica”, per passare poi a sottolineare come secondo lo Zohar “la parola sia più potente dell’immagine”, alludendo al concetto secondo cui più che il sogno in sé e importante il significato che noi, o gli altri, vi attribuiamo. JOELLE SARA HABIB LA PILLOLA DEL MESE DOPO e ami le serie tv, preparati, niente sarà più come prima. I tuoi amici parlano sempre della serie che tu avresti voluto vedere, ma siamo già alla 4a stagione? Finalmente le potrai vedere tutte dall’inizio e le seguenti sono solo alcune tra quelle che hanno avuto maggior successo. House of Caló’s: ambientata nell’odierna Piazza, segue le vicende di Frank Caló, nghevrimme eletto nel quinto distretto congressuale di via della Reginella e capogruppo di maggioranza della Comunità. Frank, dopo essersi visto sottrarre il posto fisso su una panchina di Piazza che il neopresidente gli aveva promesso, architetta una serie di intrighi per arrivare ai vertici del potere. La serie tratta temi quali la potenza delle ngalilot, manipolazione e spietato gossip. Jenny’s anatomy: un medical drama incentrato sulla vita della dottoressa tripolina Jenny, una tirocinante del reparto di chirurgia dell’immaginario Ospedale Israelitico di Roma. La storia è incentrata sulle difficoltà di Jenny ad introdurre il cibo tripolino nella mensa dell’ospedale. Nel primo episodio la dottoressa si scontra subito con gli altri tirocinanti per convincerli che le bourekas sono migliori degli aliciotti con l’indivia. O shannara: ambientata centinaia di anni dopo i Grandi Bavelli che hanno portato all’assimilazione, la serie segue le avventure della principessa “È tutta essa” nipote do’ re Davidino, del giovane Chezzichezzi, un mezzo romano e mezzo tripolino che in realtà è l’ultimo discendente di una nobile ed eroica famiglia ngascire, e di una scaltra nghevrimmuccia senza macchia e senza paura. I tre si imbarcano in un viaggio per salvare la palma, antico albero posto a baluardo e a protezione delle Cinque Scole, che stanno per essere invase da orde di punteruoli rossi. Le regole del ginetto perfetto: la carismatica Wilma, stimata cuoca e docente di pizza e biscottini, insegna presso una prestigiosa bottega di Piazza. Con la collaborazione dei “Boccione’s Five”, ovvero 5 studenti scelti per assisterla nei casi mangerecci, Wilma si trova a dover affrontare varie difficoltà. Una su tutte è il caso della cottura del ginetto: chi lo vole cotto, chi lo vole crudo, chi più zuccherato, chi meno... gli studenti saranno all’altezza della loro insegnante? Twin Spizz: serie ambientata nel quartiere romano di Monteverde, dove l’apparente tranquillità viene turbata dalla scomparsa di Sterina, unica figlia del noto avvocato Lelletto, nonché una delle ragazze più popolari della città. Le indagini, affidate alla polizia locale e all’agente speciale Spizzichino dell’AGS, permettono di far affiorare il lato oscuro ed i segreti più nascosti del luogo e dei suoi abitanti. Ma l’agente speciale ha un modo per tranquillizzare le signore del posto: passa tutte le sere per le case urlando: “Donne è arrivato Spizzichinooo! Se vi serve l’assassino noi ve lo troviamooo! Donnee...”. ATTILIO BONDÌ DOM-MER 3 - 6 LUGLIO 2016 GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 S Sky (pe’ lo) set a cop 35 Autodifesa e beneficienza Grande successo per la seconda edizione di Krav Maga per zedakà L avoro, fatica, sudore, ma soprattutto amore. Tanto ce ne ha messo chi ha lavorato per la buona riuscita della seconda edizione di “Krav maga per zedaka”. L’evento organizzato dalla Comunità ebraica di Roma, assessorato alle politiche giovanili Delet in collaborazione con la Securdan ha riscosso un grande successo. “Rispetto alla prima edizione - ha raccontato l’assessore Giordana Moscati - abbiamo quadruplicato il numero dei biglietti venduti”: un segnale evidente del buon lavoro svolto e dell’interesse sempre crescente per questa disciplina che ogni anno aumenta il numero degli iscritti, soprattutto tra le donne. L’idea di dedicare una serata ad un evento che ha coinvolto giovani e adulti è venuta contestualmente a Giordana e Daniele Rossi, responsabile della Securdan. “Se un anno fa si era pensato solo ai ragazzi, oggi sono stati coinvolti uomini e donne di tutte le età”. Importante il contributo di tutto lo staff della Securdan da Chantal Di Porto a Claudia Sermoneta, Ludovica Della Rocca, Giordana Zarfati e Raffaella Della Torre. Per sentirsi più forti e per imparare a combattere il bullismo Un ciclo di lezioni di Krav Maga Junior per ragazzi tra gli 11 e i 16 anni GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 L 36 o scorso 10 Maggio è iniziato il corso Krav Maga Junior – ‘Né bulli né bullismo’, un evento organizzato dal Consiglio degli Asili Elio Toaff. Il corso, dedicato ai ragazzi fra gli undici e i sedici anni di età, si svolgerà in otto lezioni presso i locali degli Asili e l’intera quota di iscrizione di 30 euro verrà devoluta per aiutare i bambini bisognosi della Comunità Ebraica romana. L’evento, nato da un’idea dell’istruttore di Krav Maga Giovanni Zarfati, ha avuto un riscontro molto positivo al punto che gli organizzatori sono stati costretti a chiudere le iscrizioni per motivi di spazio e sicurezza. Anche i genitori dei quaranta ragazzi partecipanti si sono detti molto felici in quanto le lezioni trasmetteranno un duplice messaggio positivo ai loro figli: da una parte il valore della tzedakà, dall’altra il rifiuto netto del bullismo, una piaga sociale che affligge sempre di più le scuole di tutta Italia. Il corso infatti cercherà di inculcare ai ragazzi piccole nozioni di autodifesa per aiutarli a reagire nel momento del bisogno. Nessun gesto violento o di aggressività come nella tradizione del Krav Maga, la disciplina israeliana il cui obiettivo primario è la salvaguardia della propria incolumità. Fortunatamente all’interno delle scuole della nostra Comunità il fenomeno del bullismo non è molto diffuso ma è bene preparare, anche solo psicologicamente, i ragazzi che potrebbero incappare in situazioni simili nelle altre scuole romane. Il Consiglio degli Asili si è detto infatti molto felice che si parli di questa problematica per aumentare la consapevolezza dei ragazzi, per incoraggiarli a parlare qualora dovessero subire delle violenze e per rendere partecipi i genitori che non possono e non devono sottovalutare la questione. Inoltre attività come questa garantiscono anche un certo grado di prevenzione: responsabilizzando i ragazzi fin da piccoli gli si può far capire il significato delle loro azioni e far sì che evitino di commettere errori di cui potrebbero pentirsi. “Krav maga per zedaka riunisce tutta la comunità”, è stato il motto che alla fine si è rivelato vincente. Circa 400 i tagliandi staccati. Tutti gli acquirenti si sono prestati al selfie ticket, una foto con tanto di biglietto. Il progetto è piaciuto a tal punto da essere condiviso anche dall’ambasciata israeliana che è stata presente all’evento con l’addetto culturale Eldad Golan. Tutto il ricavato sarà devoluto in beneficenza. Non poteva mancare il presidente della Comunità Ebraica Ruth Dureghello. “Ringrazio tutti quelli che hanno lavorato per la buona riuscita della serata - ha detto - l’attività di beneficenza ha un valore molto importante e sono contenta che il ricavato sarà destinato ai volontari della sicurezza, che sono un elemento fondamentale della nostra comunità. Tutte le attività di adulti e bambini sono possibili grazie a loro. La presenza del rappresentante dell’ambasciata d’Israele è una dimostrazione dell’importanza della disciplina e del legame con la comunità ebraica di Roma”. Chi ha partecipato ha potuto conoscere alcune tecniche del Krav maga, “un combattimento a contatto utilizzato dall’esercito israeliano, pratico logico e efficace - ha spiegato Daniele Rossi -. Non si usa la forza fisica, ma movimenti naturali del corpo e si sfruttano i punti deboli dell’avversario”. Appuntamento al prossimo anno con la speranza di migliorare ancor di più i risultati ottenuti. NATHANYA DI PORTO Visto il successo di questa prima edizione, che proseguirà fino a giugno, sono già stati programmati altri corsi per il prossimo anno con la possibilità di poter ammettere più ragazzi. Infine il Consiglio ha voluto ringraziare Giovanni Zarfati, responsabile sicurezza Cer, per l’impegno e la dedizione con cui sta portando avanti il progetto e Fabrizio Calò che ha donato le stampe per le magliette dei ragazzi. MARIO DEL MONTE Insieme in bicicletta… con gli amici ebrei È nato un piccolo gruppo di appassionati delle due ruote, per divertirsi e fare sport in allegria Fabio Caviglia, noto ai più con il soprannome Aquilone, spiega come la compagine sia nata molto casualmente: due comitive di amici che erano soliti andare in bici la domenica si sono organizzati un week-end per percorrere insieme la strada per Frattocchie Marino e da quel giorno sono diventati inseparabili. “Non ci sono presidenti né capigruppo – spiega tutto viene deciso di comune accordo, l’importante è divertirsi e stare insieme”. Tra loro ci sono persone che prima non si conoscevano neanche o provenivano da estrazioni sociali e professioni totalmente diverse. Ora grazie a Facebook e Whatsapp si sentono anche diverse volte al giorno per preparare le prossime uscite. Finora è stato fondamentale l’apporto di Benny Nahum che con la sua esperienza nel campo funge da guida e dispensa consigli ai neofiti della bicicletta. Solitamente i percorsi durano una cinquantina di chilometri e terminano nei paesini appena fuori dalla città come Fregene o Castelgandolfo. La tentazione di fermarsi a pranzo nelle invitanti trattorie di paese è tanta ma non ci si può appesantire e si tira dritto fino a destinazione. Secondo Fabio l’importanza di questo impegno, oltre all’attività fisica che è salutare a tutte le età, risiede nella possibilità di staccare per qualche ora dalle problematiche quotidiane per condividere con gli amici fatica e risate. I momenti goliardici infatti accompagnano ogni uscita, goffe cadute e diaboliche prese in giro hanno aiutato il gruppo ad amalgamarsi e a diventare sempre più coeso. Il sogno nel cassetto ha una valenza sia simbolica che agonistica: formare una squadra per rappresentare l’Italia alle Maccabiadi e cercare di fare bella figura. Di strada davanti ne hanno ancora tanta ma lo spirito combattivo è certamente quello giusto. MARIO DEL MONTE Nella capitale il Roma Club di Gerusalemme In tournée i piccoli campioni del calcio su iniziativa di Samuel Giannetti N ella prima settimana di maggio le squadre della scuola calcio del Roma Club di Gerusalemme hanno preso parte ad alcuni tornei ed amichevoli nell’ambito di un progetto sociale e sportivo che ha come scopo principale quello di promuovere l’integrazione culturale e religiosa, coinvolgendo ragazzini ebrei, musulmani, cristiani, palestinesi, etiopi, italo-israeliani di seconda generazione che ogni giorno si allenano e giocano insieme nella capitale israeliana. Grazie all’impegno congiunto del Coni, dell’associazione sportiva Roma, i dirigenti del Roma Club Gerusalemme, con in prima fila il presidente Fabio Sonnino, il vicepresidente e organizzatore della spedizione Samuel Giannetti e il signor Sandro Di Porto, insieme all’apporto del Presidente del Maccabi Vittorio Pavoncello, hanno plasmato un programma che ha visto i giovani giocatori venuti da Israele disputare diverse gare agonistiche nell’impianto Giulio Onesti del CONI e al circolo sportivo Villa York, disputando tra l’altro diverse partite con i giovani esordienti 2003 e 2004 dell’AS Roma. Un momento di viva emozione è stato quando la spedizione dei giovani atleti, composta da trentatre giocatori, ha incontrato i celebri giocatori della Roma, tra cui Totti e De Rossi, nei campi di allenamenti di Trigoria, con cui hanno partecipato a un cocktail di benvenuto, tra flash di foto e autografi. Molto soddisfatto della trasferta romana è stato Samuel Giannetti, che dal 2008 coordina le attività del Roma Club Gerusalemme che conta oggi centocinque iscritti: “Il calcio è il mezzo per raggiungere un fine – ha affermato Giannetti. Il fine è sicuramente sociale, insegnare il rispetto reciproco, così che tra loro nascano amicizie, come è infatti successo: alcuni sono persino andati in vacanza insieme. Credo poco negli adulti, ma penso che questi ragazzi possano imparare a vedere le cose in un altro modo. Speriamo che questo sia un modo di educarli a tutto tondo: a loro cerchiamo di spiegare, ad esempio, che andare bene a scuola e giocare a calcio sono cose che vanno insieme. Tentiamo di formarli come persone, oltre che come sportivi. Questo gruppo di giovani può e deve rappresentare un futuro migliore nella regione in cui viviamo, gettando le giuste basi per un confronto aperto e sincero grazie al gioco del calcio. Meglio incontrarsi oggi su un campo d’erba che domani su un campo di battaglia”. Non è la prima volta che viene organizzata questa iniziativa, è la terza trasferta che si realizza, grazie all’aiuto dell’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, del Comites di Gerusalemme, del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme e di donazioni private. Nel corso della settimana, i ragazzi hanno anche incontrato personalità dei massimi vertici sportivi, tra cui il presidente della FGCI, Carlo Tavecchio, e visitato il Centro Sportivo della Guardia di Finanza, salutando atleti di spicco, tra cui Fabrizio Donato, bronzo ai Giochi Olimpici di Londra 2012 nel salto triplo, Sonia Malavisi, campionessa italiana indoor di salto con l’asta e Antonella Palmisano campionessa italiana di marcia. JONATAN DELLA ROCCA GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 N egli ultimi mesi si è formato a Roma un gruppo di ragazzi ebrei appassionati di ciclismo che ogni fine settimana si riunisce per percorrere qualche chilometro insieme in allegria. Sebbene abbiano scelto di non costituire alcuna associazione ufficiale si tratta di un gruppo affiatatissimo che vuole riportare in auge uno sport che fino a una ventina d’anni fa era il più seguito in Italia. Il nome del gruppo è ripreso da uno dei più famosi detti giudaico-romaneschi, “Ammazzato sia chi ce vò male”, ed il logo, un Maghen David incastonato in una ruota disegnato da Eugenio Terracina, richiama fortemente le radici ebraiche dei partecipanti. 37 DOVE E QUANDO GIUGNO 15 18.00 Centro di Cultura Ebraica Unione delle Comunità Ebraiche Italiane MERCOLEDI Diploma Universitario Triennale in Studi Ebraici 19 23 30 Centro Bibliografico Tullia Zevi, Lungotevere Sanzio 5 Presentazione del libro “La banca e il ghetto. Una storia italiana (secoli XIV-XVI)” di Giacomo Todeschini. Intervengono con l’autore: Michaël Gasperoni, Myriam Greilsammer, Luciano Palermo. Introduce e modera: Anna Esposito ------------------------------------------------------------------------------- 17.00 LE PALME Giochiamo insieme: pomeriggio di giochi di ruolo, DOMENICA simulazione, enigmistica, indovinelli e rompicapo NOTES IL PITIGLIANI Giovedì 16 giugno ore 20.00 - Hai tra i 14 e i 18 anni? La tua passione è la cucina? Partecipa alle selezioni per essere ammesso al corso di formazione con la Chef Laura Ravaioli! Info, iscrizioni e regolamento: Federica 065897756 [email protected] Domenica 19 giugno dalle ore 10.00 alle 14.00 - Seminario Feldenkrais “Cosa succede alla tua schiena quando sei seduta/o?” Info ed iscrizioni: Irene Habib [email protected] 3403680717 Giovedì 23, mercoledì 29 giugno e mercoledì 6 e 20 luglio ore 20.45 Cinema & Spaghetti nelle magnifiche terrazze del Pitigliani. Vi aspettiamo per mangiare in compagnia prima dell’inizio del film. Info e prenotazioni: Micaela 065897756 – 065898061 – [email protected] G I O V E D I ------------------------------------------------------------------------------- PROGRAMMI EDUCATIVI Giovedì 30 giugno dalle ore 8.30 - Inizio Centri estivi per i bambini dai 2 ai 5 anni! Per i bimbi dai 2 ai 4 anni l’appuntamento è al Pitigliani; per i bimbi di 5 anni all’Olimpic Club (Lungotevere Pietrapapa, 2) Info e prenotazioni: Giorgia 065897756 - 065898061 - [email protected] La Parashah della settimana “Shelach lechà” spiegata G I O V E D I da Rav Roberto Di Veroli SAVE THE DATE Dal 29 agosto dalle ore 9.00 alle 13.00 Centri pre scuola: SOS compiti per bambini dai 7 ai 14 anni ... Prenotazione obbligatoria ------------------------------------------------------------------------------- 16.30 LE PALME Pomeriggio dedicato ad una AMICA 17.00 LE PALME Lunedì 5 settembre Riapertura attività educative LUGLIO 03 17.00 LE PALME Gran Caffè Concerto alle Palme: musica ebraica ed DOMENICA internazionale dal vivo con Alberto Mieli con le ultime 3/4 novità da Israele - ingresso libero --------------------------------------------------------------------------- Centro di Cultura Ebraica Alla scoperta di Ferrara Ebraica: visita ai luoghi ebraici e alle bellezze DOMENICA L U N E D I del centro storico della città Viaggio in pullman gran turismo, pasti kasher Info e prenotazioni: 065897589 [email protected] --------------------------------------------------------------------------- 10 12 17.30 LE PALME Gelato che passione! Merenda estiva in giardino DOMENICA --------------------------------------------------------------------------- 21.30 Il PitiglianI Anteprima PKF 2016 all’Isola del Cinema M A R T E D I Info: Micaela 065897756 - 065898061 [email protected] --------------------------------------------------------------------------- LE PALME Gli splendidi giardini della Casa di Riposo Ebraica di Roma vi aspettano durante tutto il periodo estivo alle Palme, per offrire agli amici un luogo splendido, immerso nel verde, dove svolgere molte attività in compagnia. Merende, giochi, feste, incontri e molto altro, per un’estate gioiosa ed allegra. SHABAT SHALOM Parashà: Nasò Venerdì 17 GIUGNO Nerot Shabath: h. 20:30 Sabato 18 GIUGNO Mozè Shabath: h. 21:33 -------------------------------------Parashà: Beaalotechè Venerdì 24 GIUGNO Nerot Shabath: h. 20.31 Sabato 25 GIUGNO Mozè Shabath: h. 21.34 Parashà: Shelach lechà Venerdì 1 LUGLIO Nerot Shabath: h. 20.30 Sabato 2 LUGLIO Mozè Shabath: h. 21.33 -------------------------------------Parashà: qorah Venerdì 8 LUGLIO Nerot Shabath: h. 20.28 Sabato 9 LUGLIO Mozè Shabath: h. 21.31 GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 ESTRAZIONI LOTTERIA CER YOM HATZMAUT 5776-2016 38 441 MICAELA NAURI II C: BIGLIETTO ANDATA E RITORNO ROMA-TEL AVIV Offerto dall’EL AL 460 MIRIAM CAVIGLIA: ANELLO COLLEZIONE VALERIA offerto da Rachel Orly Gioielli 250 MICHELLE PIPERNO: BORSA LUI JO Offerta da Marco e Fabio Pavoncello 427 SARA DI PORTO: BORSA MOSCHINO LOVE Offerta da Outfitfabiana 370 GINEVRA NOVELLI: BUONO CARNE Offerto da Pascarella Carni Kasher 291 FIORELLA CAM: CARTA REGALO ITUNES Offerte dall’Agenzia Ebraica Gan Eden 303 FIORE ANTICOLI: CENA PER DUE Offerta dal Ristorante Flour, farina e cucina 223 FLAVIA AMATI: CHANUKKIA ARTISTICA EMANUEL Offerto da Argenteria Saray 552 DANIEL COLASANTI: COFANETTO HALACHA ILLUSTRATA MOISE LEVI EDITORE 349 RAFAEL MANTIN I C: COMPOSIZIONE FLOREALE Offerta dalla Fioreria Fulgenzi 234 SETTIMIO FIORENTINO: CORSO ULPAN PER UNA PERSONA Offerto dal Centro di Cultura Ebraica CER 304 GAVRIEL ASTROLOGO II B: BUONO SPESA Offerto dalla Deputazione Ebraica 448 RACHEL VENEZIA II C: BUONO SPESA Offerto dalla Deputazione Ebraica 110 DANIELA DI GIULIO: LOTTO QUADRI ARTISTICI TEMA EBRAISMO Offerto da Simona Sonnino 115 MICOL PIPERNO: LOTTO QUADRI ARTISTICI TEMA EBRAISMO Offerto da Simona Sonnino 192 BENJAMIN FADLUN: DUE NOTTI A BUDAPEST PER DUE PERSONE Offerto da Agenzia di Viaggi Cavi Travel 77 DAVID ASCOLI: FOULARD DA DONNA FIRMATO Offerto da Fiamma Anticoli 251 NATALIE PIPERNO: L’ALLEGRA HAGGADA, IL MONDO DELLE TEFILLOT, DOMILLA E LE FATE DEL PENTAGRAMMA Offerti dalla Scuola dell’Infanzia Elio Toaff 337 RAPHAEL DELLA ROCCA: LIBRO BERESHIT MAMASH EDITORE Offerto dalla Scuola Primaria V. Polacco 241 EMILIA DI PORTO: LIBRO SHEMOT MOISE MAMASH EDITORE Offerto dal Liceo Ebraico Renzo Levi 596 ANDREA PIPERNO: MASSAGGIO CON OLI ESSENZIALI Offerto da Ariela Spizzichino 599 SAMUEL DABUSH: MENORAH IN VETRO SOFFIATO DI MURANO Offerta dal Museo Ebraico di Roma 354 PACIFICO DI CONSIGLIO: ORECCHINI COLLEZIONE VALERIA offerto da Rachel Orly Gioielli 156 JENNY SONNINO: PACCHETTO DIECI INGRESSI IN PISCINA Offerto dal Centro Sportivo Moon River 173 ROBERTA: PARTECIPAZIONE EVENTO DELET ART Offerto dall’Assessorato alle Politiche Giovanili 490 REBECCA MOSCATO I B: PIUMINO DA LETTO BIMBO Offerto dall’ADEI WIZO AUGURI NASCITE Nethanel Gianni di David e Sheila Di Consiglio Aron Poliakine di Jasha e Letizia Astrologo Esther, Judith Di Segni di Graziano e Fabiana Pavoncello Liam, Ishay Coen di Nello e Alessia Moscati Samuel Piperno di Cesare e Joys Zarfati Ghili, Mayan Limentani di Angelo e Scheila Anticoli Charlotte Ester Heuberer di Philipp e Sara Dell’Ariccia Rachel Pavoncello di Alberto e Ilana Bahbout e sempre pe’ questo ce se venga ... partecipazioni - mishmaroth - birchonim - editoria ebraica Via Giuseppe Veronese, 22 - Tel. 06.55302798 BAR/BAT MITZVÀ Mazal tov a Alberto Pavoncello, insegnante della Scuola primaria ebraica e a Ilana Bahbout , collaboratrice dell’Ucei per la nascita di Rachel. I migliori auguri alle famiglie, in particolare al nonno, il Rabbino capo di Venezia, Scialom Bahbout. Domenica 29 giugno al tempio Maggiore si sono spostai Michael Babani Bendaud e Miriam Spizzichino, valida collaboratrice del giornale. Ai neo sposi e alle loro famiglie gli auguri più affettuosi della redazione di Shalom. Lo scorso 28 maggio, parashà di Bear Sinai, Gabriel Sed ha celebrato il suo bar mitzvà. Ai genitori, Marco Sed ‘Yotvata’ (assessore al culto della Cer) e Sharon Di Veroli, gli auguri della direzione. Mazal tov a Noa Di Porto che ha celebrato il suo Bat Mitzvà. I migliori auguri ai genitori Emanuele Di Porto, segretario della CER e Noemi Di Porto. RINGRAZIAMENTI Sara Baranes di Gabriele e Alessandra Tedesco Michal Di Porto di Marco e Giorgia Zarfati Noa e Rebecca Piperno di Vittorio e Alessandra Moscati Francesca Calò di Massimo Daniela Mari Noa Bentura di Daniele e Carola Caviglia Noa Di Porto di Emanuele e Noemi Di Porto Michelle Calò di Lello e Rossella Sufir Sveva Baudo di Dario e Barbara di Castro Irene Galassi di Paolo e Claudia Terracina Aurora Marcheria di Raffaele e Lavinia Zarfati Sara Di Porto di Angelo e Viviana Centamore Sheila Vivanti di Vito e Giovanna Cristofari Michael Sonnino di Angelo e Luana Gianni Gabriel Sed di Marco e Sharon Di Veroli David Piazza Sed di Alberto e Debora Perugia Emanuele Sermoneta di Fabrizio e Rosy Di Segni La Comunità Ebraica di Roma e le Scuole Ebraiche desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti ad Alberto e Costanza Di Veroli che in occasione delle loro nozze d’oro hanno deciso di devolvere le offerte ricevute da parenti ed amici per contribuire alla ristrutturazione del terrazzo del palazzo della Cultura. Adeguare e migliorare gli spazi della nostra a scuola non è soltanto una miglioria: è, piuttosto, un investimento, un modo per rendere più efficace il suo progetto educativo. Per questo, tutti coloro che hanno generosamente contribuito a supportare la nostra Comunità per il futuro dei propri figli e dei propri nipoti, meritano un ringraziamento particolare. Ad Alberto e Costanza un affettuoso Mazal Tov! Il Presidente della Deputazione Ebraica ed il Consiglio desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti a Tranquillo e Alessia Mieli che in occasione delle loro Nozze d’Argento hanno generosamente devoluto quanto destinato ai lori regali al sostegno delle famiglie in grave difficoltà della nostra Comunità. A Tranquillo e ad Alessia un affettuoso Mazal Tov! La direzione di Shalom esprime sincere condoglianze ai fratelli Daniele e Gadi Polacco per la scomparsa della madre, Nella Fortis Polacco z.l. per molti anni guida educatrice della Comunità ebraica di Livorno e vedova del già Rabbino Capo di Livorno Bruno G. Polacco. Cerchiamo qualcuno per condividere container per prossima alya fine agosto-settembre Telefono 3389777982. 545 FABIO DEL MONTE: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo 159 DANIEL DI VEROLI: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo 546 ALESSANDRA DI PORTO: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo 351 NOA TELIAS I C: COLLANA DA DONNA Offerte da Alberto Ayo 529 GIULIA MIELI II B: SET UOMO ACQUA DI PARMA, Offerta da Profumeria Pantanella 53 SIMONETTA PAVONCELLO: SET DONNA CHANEL Offerta da Profumeria Pantanella 305 LEAH DI CONSIGLIO II B: SETTIMANA CENTRO ESTIVO Offerta dal Centro Comunitario Shirat Ha Yam 67 ORIEL DEBUSH: SETTIMANA CENTRO ESTIVO Offerta dal Centro Ebraico Il Pitigliani 496 REBECCA RUFFINO I B: SMART BOX PER AGRITURISMO Offerta da famiglia Ridolfi 25 GIACOMO TERRACINA: SOGGIORNO 12-17 EMME EMME 2017 Offerto dall’UCEI 492 BENIAMINO SADUN: TALLED E KIPPA Offerto dal Bnei Akiva Roma 332 SARA VARON I A: TOVAGLIA offerta da AR.TE 321 MAYA POLACCO I A: TRATTAMENTO BENESSERE Offerto da Wonderfool Beard Design 301 DANIEL TAGLIACOZZO: TROLLEY DA VIAGGIO Offerto da Pelletteria Di Consiglio 143 SAMUEL PITIGLIANI: ZAINO DA CAMPEGGIO Offerto dall’Hashomer Hatzair Roma CI HANNO LASCIATO Roberto Bemporad 08/12/1925 – 19/05/2016 Eugenio Calò 15/07/1944 – 05/05/2016 Cesira Coen in Di Porto 10/11/1949 – 03/05/2016 Margherita Di Castro in Della Seta 04/11/1936 – 06/05/2016 Rina Di Consiglio ved. Polacco 08/07/1940 – 23/05/2016 Anna Marisa Di Porto in Spizzichino 01/04/1947 – 16/05/2016 Ada Efrati Di Porto 29/07/1928 – 24/04/2016 Marina Fiorentini 09/04/1943 – 07/05/2016 Manuel Igal Forti 26/09/1970 – 14/05/2016 Angelo Moscato 24/07/1944 – 06/05/2016 Adolfo Pavoncello 10/04/1935 – 13/05/2016 Elena Sed ved. Fiano 11/06/1917 – 11/05/2016 Vittorio Terracina 13/02/1944 – 23/04/2016 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 ANNUNCIO 39 CONTACTS:[email protected] GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 STORIE 40 Berto l’edicolante rturo il Podologo non si chiamava affatto Arturo. Doveva il nome alla vecchia insegna che accoglieva i clienti nel suo mezzanino di Testaccio e che non aveva mai cambiato da quando aveva raccolto la stecca di suo padre, lui si il vero originale Arturo. A qualcuno che glie ne chiedeva ragione lui rispondeva serafico che era come per Alfredo alla Scrofa. Chi va lì a mangiare le fettuccine vuole essere servito dal vero, unico, inimitabile Alfredo. E poco male se quello è morto da sessant’anni. The show must go on e il nipote del fondatore, con i baffoni d’ordinanza rubati al nonno, è ancora Alfredo, comunque si chiami davvero. Non che del suo nome i clienti si curassero, d’altronde, più di tanto. Andavano da lui perché aveva la mano leggera e perché, a detta di tutti, la seconda generazione non faceva rimpiangere la prima. Berto scendeva nella sua bottega due o tre volte l’anno e si faceva risistemare i piedi, afflitti da calli recidivi e unghie incarnite. Sedeva sulla malandata poltrona d’altri tempi e metteva le gambe all’aria, come uno pronto a subire il supplizio. Intendiamoci, quel che lo disturbava, non erano tanto le manovre di lame, raspette e tronchesine, quanto la fastidiosa compagnia di quel mago dei piedi. Loquace fino alla logorrea, Arturo non stava zitto un attimo. Parlava, parlava, parlava senza farsi scoraggiare dagli stringati monosillabi e dalle alzate di spalle di Berto che non rideva delle battute, non replicava alle congetture e con irritanti sorrisetti si impegnava con determinazione nel sabotaggio della conversazione. Arturo non aveva limiti. I suoi monologhi spaziavano fra gli argomenti più svariati. Riciclava gossip, discettava di calcio, sentenziava di televisione. In generale però, commisurava le sue chiacchiere alle persone cui si rivolgeva. Berto era un osso duro ma alla fin fine era un giornalaio. Con una genialità degna di faccende meno insignificanti, Arturo prendeva dunque a parlare di giornali e giornalisti con toni così graffianti da scalfire la tenace indifferenza del suo taciturno interlocutore. Ce l’aveva con la cronaca nera, con le paginate di stupri e assassini, di violenze e rapimenti, di rapine e pedofilia. Ma soprattutto ce l’aveva con cronisti e magistrati pronti a recepire più le attenuanti degli assassini che le tragedie delle vittime e il dolore dei sopravvissuti. C’erano meccanismi oliati e infallibili, diceva: un delinquente reo confesso faceva poca audience ma un’ostinata proclamazione di innocenza scatenava invece un dibattito surreale, giocato su tecnicismi giuridici e tracce da esperti medico-patologi, in una sarabanda di dichiarazioni e smentite, di illazioni e ritrattazioni, di intercettazioni e prove indiziarie. E i cronisti, diceva Arturo col suo parlare aulico di seconda mano, danzavano fra quelle evidenze un tango di morte e raccapriccio. Berto, per una volta, non scrollava le spalle. Ascoltava e, suo malgrado, senza darlo troppo a vedere, assentiva. Tornando a casa, rifletteva sulla deriva che avevano preso le cronache giudiziarie. Giornali e trasmissioni anticipavano i processi, e ne celebravano pantomime buone solo per gli ascolti. Mettevano in graticola gli imputati, vezzeggiavano gli avvocati, scovavano i testimoni. E poi irrompevano nelle case delle vittime rubando lacrime e rabbia a quei poveri malcapitati, storditi da inconcepibili tragedie. Orribile. Ma più orribile di tutto era l’immancabile oscena domanda: siete pronti a perdonare? Ma come perdonare? Perché perdonare? E soprattutto chi perdonare? Un assassino che ha fatto scempio delle sue vittime e della vita dei sopravvissuti? Un bastardo che biascica parole di pentimento, sperando solo in qualche beneficio processuale? Un criminale che si attiene cinicamente al copione approntato dai suoi difensori? L’imbarazzo, la rabbia, lo sgomento di una madre che si sente rivolgere una richiesta tanto oltraggiosa, non frena i cronisti dal ripeterla ogni volta, ostinatamente, con perfida leggerezza. Come se di fronte al sangue, alla ferocia, al dolore, la concessione del perdono fosse il necessario lenimento all’insopportabile vulnus inferto alla trama del vivere sociale. Come per un riflesso condizionato, Berto tornava con la mente a suo padre. A quelle poche, memorabili occasioni in cui, insieme, a Kippur, si recavano in sinagoga. E’ la teshuvà che conduce al perdono, gli diceva lui. Senza teschuvà nemmeno il digiuno e la contrizione del Kippur laverebbero via i tuoi peccati. Non spiegava di più. Non era da lui. E forse non ne sarebbe stato nemmeno capace. Più tardi Berto che non aveva studiato molto, ma che molto aveva letto, si era fatto un’idea di perdono e teshuvà che forse aveva poco a che vedere con i testi rabbinici ma che calzava come un guanto il suo modo di sentire. In realtà era stato Manzoni a mostrargli la via. Fra Cristoforo. Il delitto, la colpa, la contrizione, il perdono. Poche pagine illuminate dal genio. Una sintesi folgorante. Solo una totale conversione può redimere la colpa. Solo un percorso duro e inflessibile di introspezione e di comprensione può condurre all’espiazione. E solo un totale coinvolgimento nel dolore arrecato alle vittime può offrire la speranza di una riconciliazione. Il più cattolico degli scrittori aveva forse divulgato il senso di uno dei più pregnanti concetti del mondo ebraico? Berto non aveva gli strumenti per sostenerlo ma trovava l’idea confortante. Lui che non aveva appartenenze confessionali, non si lasciava imbrigliare da regole confessionali di fronte alle scelte etiche della vita. Quelle sono universali, pensava: appartengono a chiunque sappia farle proprie. Si tratti di colpa o di perdono, l’uomo ha gli strumenti per dirigere i propri passi nella giusta direzione, senza dover far conto su preti e rabbini. O imam. Al solo pensiero, avvertì una stretta allo stomaco. MARIO PACIFICI [email protected] Il Fiocco Chic bomboniere e non solo Creazioni artigianali, uniche, ricercate e personalizzate per matrimoni, nascite, bar/bat mitzvà con confetti casher by Laura Palazzo Borghese Largo Fontanella Borghese, 19 - 00186 Roma Tel. 06.68135703 - Cell. 334.8966343 [email protected] - www.bombonierechic.com È gradito appuntamento GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 A Il perdono 41 LETTERE AL DIRETTORE voce lettori La dei Il Museo Storico della Guardia di Finanza cerca notizie Il Museo Storico della Guardia di Finanza, presso il quale opera sin dal 2005 un apposito “Nucleo di Ricerca”, sta ricercando notizie utili sul conto del Maresciallo Maggiore Paolo Boetti, originario di Finale Emilia (Modena). Il Sottufficiale delle Fiamme Gialle, nel corso dell’occupazione tedesca del Nord Italia, si distinse, lungo la frontiera con la Svizzera (fra Torriggia, Bugone di Moltrasio e Ponte Chiasso) nel salvataggio di decine e decine di persone di religione ebraica, favorendone la fuga oltre la rete confinaria. Catturato dai tedeschi nel maggio del 1944, fu detenuto nel braccio tedesco di San Vittore, per poi essere trasferito a Fossoli ed, infine, a Mauthausen, ove rimase sino alla liberazione da parte delle truppe americane. Alla sua memoria è in corso di conferimento la Medaglia d’Oro al Merito Civile. Si invita chiunque ne riconosca la foto o il nominativo a contattare il Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, Magg. Gerardo SEVERINO, Piazza Mariano Armellini n. 20 – 00162 Roma (tel. 06-44238841 - email. Severino. [email protected]). Gerardo Severino [email protected] Piccoli alunni, ma grande sensibilità Caro Direttore, vorrei segnalare ai lettori di Shalom l’eccellenza e la grande qualità educativa e formativa della Scuola Primaria Parificata Paritaria “Vittorio Polacco”. In occasione della mia esposizione di disegni nella galleria di Simone Aleandri in Piazza Costaguti n. 12, ho accolto venerdì 1 aprile, due classi delle Quinte. Per essere preciso la classe V D della Morà Elena Perugia e la V A della Morà Deborah Levi. I bambini hanno manifestato un interesse sorprendente e una sensibilità, qualità e capacità di elaborare una fruibilità dell’arte contemporanea che ha sorpreso il gallerista Simone Aleandri e me stesso. Sono riusciti i bambini a porre domande e risposte, tutto ciò che non avviene molto spesso con gli adulti. L’arte contemporanea obbliga le persone a un processo intellettuale al di là della propria cultura ed educazione. E’ anche vero che le mie opere spesso hanno una centralità ebraica da cui emergono radici e percorsi diversi da quelli ebraici ma che tornano sempre all’universo dell’ebraismo. Non mi sarei mai aspettato una solidità e una formazione culturale così ricca e vivace. Una risposta ferma e naturale all’assimilazione e al disordine mentale e sociale del mondo attuale. Questi bambini hanno radici granitiche che sanno rispondere alle incertezze del mondo contemporaneo. Ringrazio Milena Pavoncello Coordinatore delle attività didattiche ed educative, ringrazio il Direttore delle materie ebraiche, Rav Roberto Colombo. Ringrazio inoltre Elio Limentani e Alessandro Di Capua, tutta la sicurezza AGS e i dipendenti dell’Ufficio Sicurezza. Questa esperienza personale vorrei che sia divulgata È PIÙ DI COMPAGNIA AEREA, È ISRAELE GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 www.elal.com 42 Non sei ancora iscritto al Programma di Fidelizzazione di El Al ? Iscriviti ora! Entra a far parte del programma GlobaLY. El Al è lieta di accoglierti a partire dal compimento dei due anni. Siamo in grado di personalizzare i tuoi viaggi, con offerte e promozioni studiate appositamente per Te Per ogni informazione ti invitiamo a consultare il sito El Al www.elal.com o a contattare i nostri uffici EL AL Israel Airlines Ltd 00187 Roma - Via Barberini 67 – Prenotazioni 06.42020310 20122 Milano - Via P. da Cannobio 8 – Prenotazioni 02.72000212 Frequent Flyer Club Italia 02.72003698 SEGUICI SU anche tramite l’Assessore alla Cultura, Giorgia Calò e tutti coloro che si adoperano in prima persona e collegialmente per il futuro della nostra Comunità. La mia riconoscenza. Georges de Canino SHALOMשלום Un campeggio estivo ebraico Gentile Redazione, Un gruppo di famiglie sefardite, italiane e Chabad da anni (esattamente da 16) si incontrano in una cittadina del Piemonte, Sauze d’Oulx, per condividere le vacanze estive. Questo spazio in montagna è il Campeggio “Bet Ruven” unico campeggio estivo che da 16 anni offre uno spazio per incontrare giovani e famiglie ebraiche in Italia. Tutto rigorosamente kosher. Chiunque volesse informazioni o per prenotare può contattare Meyer Piha, organizzatore e fondare del Progetto “ Beit Reuven” ([email protected]) Giacomo Kahn Direttore responsabile EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Attilio Bondì Mario Pacifici Marcello Bondi Angelo Pezzana Riccardo Calimani Clelia Piperno Giorgia Calò (la ragazza) SegretariaSermoneta di redazione Jacqueline Dario Coen Mosè Silvera Mario Del Monte Micol Sonnino Jonatan Della Rocca Marco Spagnoli Piero Di Nepi Marta Spizzichino Nathanya Di Porto Miriam Spizzichino Sigmund Dollinar Lia Tagliacozzo Alessandra Farkas Francesca Tardella Fabrizio Federici Daniele Toscano Ghidon Fiano Ugo Volli Joelle Sara Habib Arianna Zarfati Michael Laitman Nicola Zecchini Claudio Moscati Nathania Zevi Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Il giorno 11 luglio 1797 il Generale Napoleone Bonaparte ordinò la soppressione del ghetto di Venezia. Avessero dovuto aspettare gli aristocratici che avevano governato la Serenissima Repubblica, gli ebrei veneziani starebbero ancora a suppliche e ordinanze. Non sarà una data tonda, ma sono trascorsi 219 anni. Forza, che siamo ancora in tempo a commemorare. Segnaliamo intanto eventi singolari e già molto pubblicizzati. Dal prossimo 26 luglio (appunto) fino a 31 del mese andrà in scena a Ghetto Nuovo Il mercante di Venezia di William Shakespeare. Così è se vi pare. Smokéd PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ [email protected] Cell. 392.9395910 DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. ABBONAMENTI Italia: annuo � 60,00 - Estero: annuo � 112,00 c/c postale n. 33547001 intestato a Comunità Ebraica di Roma Un numero � 6,00 (solo per l’Italia) Sped. in abb. post. 45% comma 20/B art. 2 - L. 662/96 Filiale RM Autorizzazione Tribunale di Roma n. 2857 del 1° settembre 1952 Progetto grafico: Ghidon Fiano Composizione e stampa: Nadir Media s.r.l. Visto si stampi 3 giugno 2016 GARANZIA DI RISERVATEZZA DLGS 196/03 sulla tutela dei dati personali Si informano i lettori che i loro dati personali sono stati archiviati e vengono utilizzati da ’Shalom’ esclusivamente per consentire la spedizione postale del giornale. I dati non saranno ceduti, comunicati o diffusi a terzi, e i lettori potranno richiederne in qualsiasi momento la modifica o la cancellazione al responsabile del trattamento Prof. Emanuele Di Porto scrivendo alla Segreteria della Comunità - Lungotevere Cenci - Tempio 00186 - Roma • Tel. 06/68400641. GIUGNO 2016 • SIVAN 5776 Jacqueline Sermoneta 43 www.positivoagency.com LASCIA UN BUON SEGNO TESTAMENTI I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore alle storie personali e collettive degli amici del popolo ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod. FONDI Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano. Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri. Nel presente e nel futuro. PROGETTI Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso - Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati, dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice. Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza Enrica Moscati - Responsabile Roma Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31, tel. 081.7643480 [email protected]