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IL BUGNATO A PUNTE DI DIAMANTE NELL

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IL BUGNATO A PUNTE DI DIAMANTE NELL
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IL BUGNATO A PUNTE DI DIAMANTE NELL’ARCHITETTURA DEL RINASCIMENTO
ITALIANO
Adriano Ghisetti Giavarina*
Non appare legittimo considerare isolatamente un
qualsiasi tema compositivo, prescindendo dalla configurazione complessiva nella quale esso si osserva,
se non tenendo presente l’unicità delle singole opere
architettoniche e, di conseguenza, rivolgendo l’attenzione al «continuo rinnovarsi che condiziona e definisce il ricorrente motivo»1. Se, infatti, come nel
nostro caso, non si fossero esaminate le così diverse
architetture, nelle quali il tema del quale si tratta è
stato espresso, avremmo avuto di fronte solo una
monotona rassegna di paramenti murari per i quali,
pur nelle differenze riscontrate, sarebbe mancata la
possibilità di un giudizio critico. Il bugnato a punte
di diamante è stato pertanto considerato, nelle note
che seguono, tema essenziale nell’espressione artistica rappresentata dalle singole opere architettoniche.
Ipotesi sull’origine e significato del paramento murario a
punte di diamante
Un documento del 1532 descrive il castello di
Lagopesole, posto alla sommità di un colle sulla strada che collega Potenza a Venosa, come «bello y grande y fuerte, labrado a puntas de diamantes»2: in realtà, il paramento che riveste le torri esterne ed il torrione isolato al centro del cortile minore del castello,
si presenta alquanto irregolare, con le bugne sbozzate in maniera approssimativa. Tale opera potrebbe
risalire alla fase federiciana della costruzione, o forse
ai restauri effettuati nel 1268 e nel 1294 per volontà
di Carlo d’Angiò. Bugne dalla configurazione
approssimativa sono infatti talvolta presenti tanto in
opere fortificatorie dell’età sveva, come i castelli di
Gioia del Colle e di Bari [fig. 1], che di età angioina,
come il basamento delle torri dette del Leone e della
Leonessa (1270 circa) a Lucera3. A Lagopesole i conci
lapidei presentano la faccia in vista con fasce regolari lungo il perimetro e una bozza discretamente pronunciata al centro, richiamando un apparecchio
murario dei castelli crociati del XII secolo desunto da
architetture militari antiche, bizantine e musulmane
presenti in Terra Santa4. Ma, se è noto quanto l’imperatore Federico II facesse tesoro della conoscenza dei
castelli mediorientali da lui visitati, è singolare che
un pellegrino di Bruges, reduce dalla Terra Santa, in
Puglia nel 1471, descrivesse in maniera circostanziata lo stesso apparecchio murario visto sui palazzi di
Trani, specificando che essi presentavano facciate in
marmo bianco, «in forma dyamantum acutorum
scissus. Quilibet enim lapis in medio est elevatus et
circa fines depressus […] proprie quemadmodum
est Damasci castrum ac prout domus multe sunt in
Barutho»5. Ma, se poco sappiamo dei fabbricati
medioevali di Beiruth, si può invece confermare che
gli Arabi, nella cittadella di Damasco, impiegarono
elementi a bozze6. Si può osservare, pertanto, come
sia nella testimonianza sui palazzi di Trani, che nel
documento cinquecentesco riguardante il castello di
Lagopesole, sembrerebbe siano definiti come punte
di diamante i conci lapidei dalla faccia in vista con
fasce rifinite lungo il perimetro (anatirosi) e con
grezze sporgenze al centro.
Fig. 1. Bari. Castello, dettaglio del bugnato.
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È però improbabile che sia stato questo tipo di apparecchio murario, presente in Medio Oriente dal IV
secolo a. C. e nel meridione d’Italia dal XIII secolo7, a
fornire direttamente il motivo ispiratore del primo
palazzo con facciate rivestite da bugne con la faccia
a vista a forma di piramide regolare, cioè da vere e
proprie punte di diamante: il palazzo Sanseverino di
Napoli. E questo nonostante il termine con il quale le
bugne a bozze venivano definite, e nonostante la
loro prevalente destinazione d’uso: ossia per le opere
difensive, come raccomandava anche Leon Battista
Alberti nel De re aedificatoria8.
Già nell’autunno del Medioevo, infatti, la particolare
forma della punta di diamante, simbolo della pietra
preziosa di eccezionale durezza, sembra collegarsi
all’idea della forza guerresca e, pertanto, trova
impiego dapprima su armature e mazze ferrate, per
essere poi adottata in sequenza di piccoli elementi
scolpiti in pietra ad incorniciare portali e finestre9,
sempre perché ritenuta idonea a rappresentare
un’idea di potenza atta ad incutere soggezione.
Fig. 2. F. di Giorgio, disegno di una torre cilindrica con semipiramidi sfalsate (da Trattati di architettura..., a cura di C. Maltese).
A conferma di questo significato attribuito alle punte
di diamante può essere richiamato il trattato di
Francesco di Giorgio, in cui è raffigurata una torre
cilindrica dalla cui muratura, tra la scarpa e i beccatelli, affiorano semipiramidi sfalsate, tagliate lungo la
diagonale e con la base rivolta verso il basso [fig. 2].
Questo apparato, che varrebbe evidentemente anche
a scoraggiare eventuali scalate, è definito dallo stesso Francesco a «ponte di adamante con una costa,
lato o superficie, piana»10. Nello stesso trattato sono
disegnate facciate di palazzi, una delle quali con una
decorazione basamentale a bugne a punte di diamante11. Lo stesso tipo di decorazione è visibile
anche in qualche altro disegno degli ultimi decenni
del Quattrocento12, ma in questi casi -oltre a non
avere la certezza che siano effettivamente raffigurate
punte di diamante e non, ad esempio, paramenti ad
opus reticulatum ripresi dalla facciata di palazzo
Rucellai a Firenze13- si tratta di proposte successive,
tanto alla prima rappresentazione grafica di tale
bugnato, che ai primi esempi del suo uso in opere
architettoniche.
In età rinascimentale si volle anche accreditare al
bugnato a punte di diamante una derivazione dall’antichità romana: il motivo compare così in un fantasioso disegno di ricostruzione della Porta di Fano
di Giuliano da Sangallo e in un disegno del ponte
romano di Narni di Francisco de Hollanda, che in tal
modo volle interpretare il bugnato rustico dei piloni.
Il Sangallo potrebbe essere stato a Fano intorno al
1499-1500, cioè al momento in cui lavorava alla
Basilica di Loreto, ma della situazione effettiva egli
sembra dare una approssimativa rappresentazione:
l’arco di Augusto era stato una porta urbica compresa tra due torri sino all’ampliamento della cinta
muraria voluto da Sigismondo Malatesta e, al
momento della possibile visita di Giuliano, la situazione non era troppo diversa dalla attuale, scorgendosi un antico torrione in muratura di mattoni a sinistra del monumento mentre, a destra, dal 1494 si
stava costruendo la chiesa di S. Michele sull’area di
un corrispondente torrione di fondazione romana.
La ricostruzione grafica del Sangallo è perciò, almeno parzialmente, di fantasia14; ma rimane da chiedersi se la presenza del bugnato a punte di diamante
sulle torri difensive disegnate da Giuliano non possa
essere in qualche modo in relazione con il suo soggiorno napoletano del 1488 -giacché a Napoli, dal
1470, poteva osservarsi il palazzo di Roberto
11
Sanseverino, dalle facciate interamente ricoperte di
bugne a punta di diamante- o anche con alcune xilografie che raffigurano la S. Casa di Loreto all’interno
di un recinto fortificato con quattro torri interamente rivestite dal nostro tipo di bugnato15.
Un caso del tutto particolare di raffigurazione di
bugne a punta di diamante è rappresentato dalla
nota prospettiva su tavola, conservata a Berlino, raffigurante una veduta di città ideale con porto16. A
differenza delle analoghe rappresentazioni di
Urbino e Baltimora, cui è stata generalmente accostata, essa -a dispetto della coraggiosa autocritica di
Richard Krautheimer17- riproduce senza dubbio una
scenografia teatrale del Rinascimento: dal basamento rivestito in legno del palcoscenico, alla sua rappresentazione prospettica, allo sfondo, dipinto nel
dipinto, distinto con un diverso disegno di pavimentazione dalla zona praticabile dagli attori. Il palcoscenico è costituito da una loggia costruita in legno il
cui soffitto, evidentemente allo scopo di migliorare
l’acustica, si mostra lavorato a punte di diamante.
Una possibile derivazione della bugna in pietra perfettamente piramidale potrebbe perciò anche ritrovarsi nell’ebanisteria; e non a caso, nel Rinascimento,
bugne di questo genere sono frequentemente scolpite negli scomparti dei battenti lignei dei portali.
Bartolomeo Bon, Filarete e Aristotile Fieravanti
Il nome di Filarete è stato talvolta legato alla progettazione della Ca’ del Duca sul Canal Grande a
Venezia. Ma l’edificio, nel 1457, era stato appena iniziato da Bartolomeo Bon per conto di Marco Corner
che, dopo un lungo soggiorno in Levante e il matrimonio con una nipote dell’imperatore di Trebisonda,
portava avanti la costruzione anche per conto del
fratello Andrea, esiliato a Cipro e vero ispiratore dell’impresa18. Sospesi i lavori, allorché fu evidente che
Andrea Corner non sarebbe potuto più rientrare a
Venezia, l’opera fu acquistata qualche anno dopo dal
duca di Milano Francesco Sforza. Ripresa la costruzione nel 1461 essa fu nuovamente interrotta, probabilmente, al momento della morte dello Sforza, nel
1466.
Il frammento superstite della prima fase del palazzo
[fig. 3] consiste in un basamento rivestito di bugne
piatte in pietra d’Istria con, al di sopra, un paramento di bugne a punta di diamante, rettangolari e quadrate, che raggiungono il livello del primo piano.
Tale rivestimento è compreso, verso il cantonale
destro della facciata prospiciente il Canal Grande,
nello spazio limitato da due grossi fusti di colonne,
di cui uno angolare, per continuare sulla facciata che
dà sul rio del Teatro. Se fosse stato terminato il
palazzo avrebbe presentato, similmente ad altri edifici veneziani, come il Fondaco dei Turchi, due torri
angolari sulla facciata principale: il bugnato a punte
di diamante avrebbe perciò rafforzato l’idea di un
palazzo-castello. Si potrebbe forse supporre che i fratelli Corner, volendo richiamare il motivo delle
bugne a bozze dei castelli medio orientali, e quindi il
loro coinvolgimento nell’espansione della Serenissima
in quei territori, ne abbiano suggerito l’adozione a
Bartolomeo Bon e che questi, in difficoltà nel dover
realizzare un paramento che non aveva mai visto ma che veniva forse descritto «in forma dyamantum»- possa essersi ispirato al repertorio decorativo
della propria bottega. Il motivo tardogotico delle
“borchie di diamante”, ossia di una sequenza di piccole piramidi, può osservarsi infatti, ad esempio, al
di sopra dei cordoni che sottolineano il sommoscapo
Fig. 3. Venezia. Ca’ del Duca, particolare del bugnato (da G.
Brands).
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delle colonne delle logge sulla facciata della Ca’
d’Oro a Venezia, eseguita tra il 1424 e il 1437 circa,
dove fu attivo lo stesso Bartolomeo. A questo maestro dovremmo perciò probabilmente attribuire l’invenzione del paramento murario consistente in
bugne dalle facce in vista quadrate o rettangolari con
sporgenze piramidali: giacché egli potrebbe aver
così interpretato i conci a bozze rifiniti solo lungo il
perimetro della faccia in vista che gli erano stati
descritti; per realizzare in conseguenza, per la prima
volta, conferendogli una stereotomia, un tipo di
bugna che era stata regolare, sino a quel momento
solo nelle minute decorazioni lapidee, nelle rappresentazioni pittoriche e musive e, forse, talvolta realizzata in legno.
A proposito di Filarete, sappiamo che fu inviato a
Venezia nel 1458, da Francesco Sforza, forse anche
per compiere un sopralluogo preliminare all’acquisto di un sito dove il duca avrebbe voluto costruire
un palazzo, iniziativa poi sostituita dall’acquisto del
fabbricato in costruzione che avrebbe preso appunto
il nome di Ca’ del Duca19. Il frammento di paramento delle facciate di questo edificio, novità assoluta
non solo per Venezia, non dovrebbe perciò ritenersi
come un suggerimento filaretiano, dal momento che
l’architetto giunse nella città lagunare quando già si
lavorava a quest’opera per conto dei Corner20. Come
molti artisti del tardo Medioevo, l’Averlino era senza
dubbio affascinato dall’Oriente, ed è noto che avesse
intenzione di compiere un viaggio a Costantinopoli
e che era probabilmente informato del fatto che
Cosimo de’ Medici avesse fondato ospizi per i pellegrini a Gerusalemme21. In qualche modo egli potrebbe aver avuto anche notizia delle murature dei
castelli crociati o delle mura della città di Damasco e,
comunque, essere molto impressionato dalle bugne
del palazzo veneziano e dal loro eventuale richiamo
all’Oriente.
Nel manoscritto magliabechiano del trattato di architettura dello stesso Filarete è raffigurata (c. 123r) la
facciata della chiesa del “romito”, in cui è riconoscibile il suo progetto per il duomo di Bergamo. Il disegno della facciata [fig. 4] presenta una fascia basamentale di bugne rettangolari a punta di diamante
che raggiunge l’altezza della cornice delle porte laterali mentre, al di sopra, si distingue un rivestimento
ad opus reticulatum.
L’Averlino si era occupato del duomo di Bergamo,
fornendone un modello, nel 1457; non è detto però
che il disegno della facciata del trattato -la stesura
definitiva delle cui figure deve comunque porsi
quasi certamente entro il 146922- debba corrispondere completamente a quel progetto.
A Filarete dovrebbe essere probabilmente riferito
anche il rivestimento delle torri rotonde verso la città
del castello Sforzesco di Milano: eseguito nel 1452, il
Fig. 4. Filarete, Trattato di architettura, f. 123r (dall’edizione a
cura di A. M. Finoli, L. Grassi)
13
fitto bugnato è realizzato con elementi dalle facce
pressoché quadrate più vicine al cuscino che al diamante, del quale non mostrano la punta ma che, in
ogni caso, rappresentano un’interpretazione dell’opera rustica dell’Antichità impiegata in opere di
fortificazione23. Nella pianta di Milano edita da
Antonio Lafréry (1573) il castello è invece rappresentato con le stesse torri rivestite da bugne quadrate a
punta di diamante perfettamente regolari, secondo
una probabile idealizzazione della realtà.
Tra il 1458 ed il 1463 fu a Milano e in Lombardia, per
lo più ad eseguire opere idrauliche e fortificazioni,
l’ingegnere bolognese Aristotele Fieravanti, che ebbe
rapporti con Filarete -che a sua volta lo ricorda nel
trattato- e che, qualora fosse l’autore della ristrutturazione quattrocentesca del palazzo del Podestà,
potrebbe aver importato a Bologna il motivo decorativo delle torri del castello Sforzesco, ricordandosene
attraverso una personale elaborazione “ad modum
rosarum”. Si tratta di bugne piramidali poco sporgenti, sulle quali sono scolpiti fiori o rose, apparentemente desunti dal repertorio decorativo romanico,
visibili nella decorazione delle facciate del palazzo
del Podestà, progettata nel 1472 ma eseguita solo nel
148924. È noto inoltre che il Fieravanti nello stesso
anno 1472 si trovava a Napoli, dove il palazzo
Sanseverino doveva rappresentare un’importante
novità. Lo stesso ingegnere trascorse in Russia gli
ultimi anni della sua vita, e la sua attività fu continuata a Mosca da altri maestri lombardi25. Qui, il
“palazzo delle faccette”, è un’opera di Marco Friasin
e di Pietro Antonio Solari il cui rivestimento delle
facciate, rimaneggiato nel Seicento, presenta un
paramento formato da bugne rettangolari le cui piramidi hanno la punta troncata.
Ancora in Lombardia, il cremonese palazzo
Raimondi (1496, attribuito a Bernardino De Lera e al
suo committente, Eliseo Raimondi), presenta in facciata bugne a cuscino che somigliano, per la loro
regolarità e il profilo quadrato delle facce a vista, alle
bugne a punta di diamante ma, a causa del loro rilievo arrotondato che le avvicina al tipo detto “a cuscino”, mostrano come rappresentino, invece, forse
un’elaborazione del bugnato delle torri del castello
Sforzesco. Queste bugne costituiscono il paramento
della parte della facciata compresa tra l’alto zoccolo
e l’ampia fascia marcapiano del piano nobile: alte
finestre e lesene binate ne interrompono però la continuità, sì che il bugnato resta limitato a semplici
fasce verticali. Al piano nobile il paramento segue lo
stesso schema compositivo, le bugne sono però quasi
piatte26.
Napoli
Il palazzo Sanseverino [fig. 5], in gran parte perduto
in seguito alla sua trasformazione in chiesa dei
Gesuiti (1584), fu costruito, come attesta una lapide
posta sulla facciata, nel 1470 dall’architetto Novello
di San Lucano. Nel tentativo di individuare una località con questo nome -che non sembra si possa identificare nel feudo di San Severino Lucano, non molto
lontano da Lagopesole27- mi sono imbattuto in Santo
Lugano in provincia di Bolzano e, se questo fosse
veramente il paese che diede i natali al nostro
Novello, potremmo supporre che egli conoscesse
l’architettura dell’Italia settentrionale, e quasi certamente quella di Venezia, dove il frammento di Ca’
del Duca attirava fortemente l’interesse degli architetti per il suo carattere di novità.
Ma, nonostante la probabile ispirazione all’opera
veneziana, il palazzo Sanseverino proponeva a sua
volta la novità di un paramento uniforme su tre facciate di perfette bugne a punta di diamante -vere e
proprie, ossia piramidali- con la faccia a vista quadrata; il tutto a formare una composizione non priva
di eleganza, in cui la monotonia era evitata grazie
all’apparecchio murario. I corsi presentano infatti i
conci sfalsati, come un corretto magistero prescrive,
e questo invita a una visione diagonale della sequenza delle punte.
Un’idea dell’aspetto originario dell’edificio si può
avere, come ha osservato Roberto Pane, fornendo in
proposito interessanti ipotesi, anche attraverso la
pur sommaria rappresentazione riportata nella pianta di Napoli edita da Antonio Lafréry nel 1566. A
proposito della facciata principale, certo più bassa di
quanto non appaia oggi -perché, come osserva Pane,
con i lavori cinquecenteschi essa venne proseguita in
altezza utilizzando le bugne ottenute smontando
una delle facciate laterali28- va detto che il portale
rinascimentale, oggi alterato dalla trasformazione
barocca, doveva presentarsi forse sormontato da una
nicchia o da una lunetta, come analoghi portali della
bottega di Giovan Tommaso Malvito. Comunque
esso sarebbe stato posto in opera circa quarant’anni
dopo il compimento della facciata, la quale, osserva
ancora Pane, doveva svilupparsi su due piani, con le
finestre degli ambienti di servizio al pianterreno e,
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probabilmente, con bifore marmoree contenute in
aperture rettangolari al primo piano.
Poco si può dire del palazzetto Sicola, nella stessa
Napoli, demolito alla fine dell’Ottocento nel corso
dei lavori di trasformazione urbanistica del cosiddetto “Risanamento”. Privo della coerenza e del vigore
del palazzo Sanseverino, il bugnato di questo edificio, per quel che si può osservare nell’unica rappresentazione grafica che ne resta29, sembra vicino ad
episodi romani e, soprattutto, pugliesi in cui il
bugnato a punta di diamante compare nella zona
basamentale. Anche per uno stemma lapideo posto
all’altezza del fregio marcapiano, su un cantonale
formato da bugne piatte, l’edificio potrebbe essere
datato agli anni intorno alla metà del Cinquecento.
Bologna e Ferrara
A Bologna è da segnalare il palazzo Sanuti, poi
Bevilacqua, opera di Marsilio Infrangipani degli anni
intorno al 1475-79, e, a Ferrara, l’edificio destinato ad
una tale celebrità da essere definito il palazzo dei
Diamanti per antonomasia. Il primo presenta bugne
a cuscino con le diagonali incrociate a bassissimo
rilievo nel basamento a scarpa, bugne a punta di diamante rettangolari dal toro sottostante le finestre del
pianterreno fino alla fascia marcapiano del piano
nobile, bugne a punta di diamante quadrate su quest’ultimo; portale sormontato da una un po’ sproporzionata -e degradata, per essere scolpita in arenarialunetta, bifore al piano nobile: echi, credo, del napoletano palazzo Sanseverino.
Ferrara nel Quattrocento intratteneva rapporti con
Napoli e, nella seconda metà del XV secolo, giunse-
Fig. 5. Napoli. Chiesa del Gesù Nuovo, già palazzo di Roberto Sanseverino.
15
ro nella città estense, per i lavori di fortificazione,
ingegneri meridionali come Giovanni da Capua,
Cristoforo di Montecchio, Pedriza di Napoli «e
soprattutto, Ciro Ciri, detto Scirro o Cirillo, nativo di
Casteldurante e al servizio del duca di Calabria, cui
si è attribuito il titolo di essere stato maestro di
Bramante»30. Nel 1493 iniziarono i lavori del palazzo
dei Diamanti, costruito per conto di Sigismondo
d’Este. Dello stesso personaggio sappiamo che si era
recato a Napoli nel 1473 per riportare con sé
Eleonora, figlia del re Ferrante d’Aragona, promessa
sposa di suo fratello Ercole, il duca di Ferrara. Nel
corso del suo soggiorno napoletano Sigismondo
ebbe modo di incontrare anche Roberto
Sanseverino31 e, probabilmente, anche di ammirare il
suo nuovo palazzo, del quale dovette ben ricordarsi
Fig. 6. Ferrara. Palazzo dei Diamanti, particolare della facciata
principale.
vent’anni dopo, allorché intraprese la costruzione
dell’edificio che ne avrebbe superato la fama. Questo
potrebbe spiegare come Biagio Rossetti poté eseguire il suo progetto del palazzo dei Diamanti basandosi su un’idea forse giunta da Napoli, ma svolgendo
con notevole capacità il tema del rivestimento
bugnato. Bruno Zevi ha notato le correzioni ottiche
adottate nei vertici delle piramidi dei diamanti, nella
fuga prospettica del basamento, nell’arretramento
del piano nobile32. Importanti sono anche le osservazioni riguardanti le paraste scolpite a candelabre
[fig. 6]: per la prima volta qui il bugnato a punte di
diamante è affiancato agli ordini classici (diverso è il
caso dei cantonali del palazzo del Podestà di
Bologna, che comunque rappresentano una situazione inversa a questa di Ferrara, perché le bugne rivestono pilastri, di cui rappresentano la decorazione,
mentre nel palazzo dei Diamanti le paraste limitano
il paramento della parete, cui stanno in sottordine)
che ne ingentiliscono la massività. Le paraste del
portale, come le sue membrature, sono però del 1641,
mentre le candelabre originarie sarebbero state scolpite dal collaboratore di Rossetti Gabriele Frisoni da
Mantova33.
Ma la storia della costruzione del palazzo dei
Diamanti, che anche nella pianta potrebbe rifarsi al
palazzo Sanseverino di Napoli, non è ancora del
tutto chiarita: le finestre del piano nobile appaiono
eseguite su un disegno della seconda metà del
Cinquecento, forse riferibile all’ultima fase dei lavori. L’edificio fu iniziato nel 1493 e, dieci anni più
tardi, era forse terminata la parte “struttiva”. Nel
1504 i lavori furono probabilmente interrotti per
riprendere solo nel 1567, allorché forse fu completato il paramento a diamanti. Rossetti in quest’opera
ebbe come collaboratori prima Bartolomeo Tristano,
poi Gabriele Frisoni; i tagliapietre furono Girolamo
da Pasino e Cristoforo da Milano34.
Veneto
Biagio Rossetti era stato più volte a Venezia tra il
1484 e il 1488. Proprio nel 1484 Antonio Rizzo iniziava i lavori del palazzo Ducale sul lato che si affaccia
sul rio di Palazzo, opera continuata da Pietro
Lombardo e terminata dallo Scarpagnino nel 1549. È
però certo al Rizzo che si deve attribuire il singolare
bugnato basamentale a punte di diamante35: qui ciascuna delle piramidi, alternativamente convesse e
concave -cioè punte a rilievo e scavate nella profon-
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16
dità della bugna- è inserita in una riquadratura che,
isolando le singole bugne, crea un motivo chiaroscurale contrastante con il rilievo o il vuoto delle punte
[fig. 7]. Se tale composizione muove dall’osservazione del paramento della Ca’ del Duca, essa mostra
come quello stesso motivo possa essere eseguito
anche attraverso fantasiose variazioni sul tema. Una
campionatura di queste variazioni è presentata in
una tavola del Quarto libro di Sebastiano Serlio, che
spiega come il bugnato a punte di diamante derivi
dall’opera rustica dell’Antichità36. Mentre una serie
delle possibili varianti può rilevarsi in alcuni edifici
di diverse città del Veneto.
A Padova il palazzetto fatto costruire da Francesco
Sala in via S. Francesco, nel 1507, presenta bugne ad
incorniciare tanto il portale sottostante il portico che
le finestre del piano nobile, e proprio su queste ultime alle bugne a punta di diamante si alternano
incassi a piramide, la stessa alternanza di punte
emergenti con altre immerse nella muratura del
palazzo Ducale di Venezia. L’opera padovana non
sembrerebbe potersi attribuire a Lorenzo da
Bologna37, al quale si attribuisce invece giustamente
il palazzo Thiene di Vicenza che, nella parte pre-palladiana -sebbene alterata dall’abbassamento del
piano stradale dei primi decenni dell’Ottocento e dai
pesanti restauri del 187638- appare a Renato Cevese
lontano dalle coeve opere venete e più vicino a
«modi propri dell’ambito emiliano del secondo
‘400», avvicinandosi al palazzo Schifanoia di
Ferrara39. Il palazzo sarebbe databile agli anni intorno al 1489; i cantonali, formati da paraste a bugne a
punta di diamante [fig. 8], potrebbero pertanto anticipare le facciate del palazzo dei Diamanti di
Ferrara40 e, in effetti, tanto le paraste dei cantonali
che il basamento a piramidi rettangolari sembrano
piuttosto avvicinarsi ai bugnati del palazzo del
Podestà e del palazzo Bevilacqua di Bologna.
Sempre a Vicenza, ma alquanto più tardo, è da ricordare il basamento a scarpa che unifica i due palazzi
Gualdo [fig. 9]. Solo in seguito all’aggiunta del
secondo dei due edifici, si sarebbe infatti costruito il
basamento a bugne a “favo d’ape”41 lungo tutto il
complesso, unificando così le due costruzioni anche
per mezzo della grossa catena in funzione di toro
scolpita al disopra del bugnato42. Vi sono infatti delle
imperfezioni, acutamente osservate da Cevese, nella
stesura del basamento a scarpa del primo palazzo e
si riscontra anche l’uso di un diverso tipo di pietra di
Nanto nelle due parti della facciata43.
A Verona, il lato su via delle Fogge della Loggia del
Consiglio si presenta con una decorazione pittorica
raffigurante bugne a punta di diamante di vari colori (blu, verde, rosso, giallo) rappresentate in prospet-
Fig. 7. Venezia. Palazzo Ducale, facciata sul rio di Palazzo.
Fig. 8. Vicenza. Palazzo Thiene, particolare della facciata su
Contra’ Porti.
17
tiva: è di un certo interesse la notizia che sul cantiere
della Loggia era presente, negli anni 1487-88, il
tagliapietre Gabriele Frisoni da Mantova, e questo
subito dopo il periodo di massima intensità dei lavori della fabbrica (1482-86) e nel momento in cui egli
potrebbe aver visto eseguire la decorazione pittorica44. Ed è singolare che in seguito45 lo stesso Frisoni
dovette tradurre in pietra proprio il motivo decorativo visto a Verona, allorché a Ferrara avrebbe realizzato il bugnato del palazzo dei Diamanti; senza voler
affermare che egli possa aver suggerito al Rossetti
l’adozione del motivo decorativo, resta da chiedersi
se il bugnato, sia pure dipinto, abbia raggiunto
Verona attraverso Venezia, come sembrerebbe probabile anche considerando che, se pure Antonio
Rizzo non sia stato attivo al cantiere della Loggia, è
possibile lo siano state altre maestranze provenienti
dal capoluogo lagunare.
Il bugnato a punte di diamante, eseguito in pietra,
ebbe comunque una certa fortuna a Verona, come
può osservarsi nei palazzi Confalonieri (poi Da
Lisca) e Sansebastiani (1582) [fig. 10] e nella casa
degli Stagnoli46. Sporadica la presenza a Belluno,
dove bugne a punta di diamante segnano, in continuità, i piedritti e l’arco del portale d’ingresso del
palazzetto Persico, detto “Reviviscar”; mentre è particolare, a Trento, la disposizione di bugne isolate
lungo assi verticali distanziati nel rivestimento in
pietra del basamento a scarpa del Magno palazzo del
Castello del Buonconsiglio (1528).
Fig. 9. Vicenza. Palazzi Gualdo, particolare del basamento.
Fig. 10. Verona. Palazzo Sansebastiani.
Regno di Napoli e Sicilia
L’influenza del palazzo Sanseverino a Napoli e in
Campania, nonostante gli elogi ad esso spesso riservati -sebbene l’umanista Pietro Summonte, nella
celebre lettera a Marcantonio Michiel sull’arte napoletana del 1524, si limiti a citarne il portale marmoreo- fu tuttavia piuttosto scarsa.
Il cosiddetto palazzo “dei tufi” a Lauro fu eseguito
dopo il 1513 e, non solo cronologicamente, è assai
distante dal prototipo napoletano. Il portale ad arco
trionfale e le finestre rinascimentali lasciano ben
intendere il mutamento decisivo del gusto sopravvenuto nell’ambiente campano del Cinquecento47.
Interessante è comunque il rivestimento a bugnato
della facciata: il cui basamento è costituito da bugne
a cuscino, a differenza della parte compresa tra il
toro e la fascia marcapiano, dove il paramento è di
un bugnato troncopiramidale, a metà, per così dire,
tra il cuscino e la punta di diamante; un tipo di
bugnato, quest’ultimo, che sembra derivare da quello presente sulle torri del castello Sforzesco e che,
eseguito con maggior precisione, appare anche, ad
esempio, a rivestire le pareti dell’androne e del vano
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scale del cinquecentesco palazzo Loffredo-Adorno
di Lecce48. È solo al di sopra della fascia marcapiano
che, nel palazzo “dei tufi”, compaiono le punte di
diamante vere e proprie, alle quali si arriva, quindi,
per gradi. La sua facciata presenta perciò consonanze con quella del bolognese palazzo SanutiBevilacqua, dal bugnato però meno vigoroso.
Tra le altre applicazioni cinquecentesche del paramento murario a punte di diamante si segnalano, in
Sicilia, la casa Ciambra, o Giudecca, di Trapani, il
distrutto cortile del castello di Pietraperzia49 e,
soprattutto, lo Steripinto di Sciacca e, in Puglia, non
pochi esempi presenti in località come Bisceglie,
Corato, Barletta, Corigliano, Bitetto e in altri centri,
Matera compresa50. Per tali episodi sarebbero necessari studi più approfonditi, al fine di proporre più
sicure datazioni: la punta di diamante è qui presente
talvolta accanto ad elementi tardogotici o rinascimentali e, in qualche caso, accanto ad entrambi,
ponendo problematici interrogativi. Va ribadito, tuttavia, come l’architettura del Quattrocento e del
primo Cinquecento nel Regno (e poi Viceregno) di
Napoli sia caratterizzata dalla contemporanea presenza di maestri catalani e toscani che si esprimevano
attraverso forme artistiche di gusto diverso. Così, se il
linguaggio rinascimentale giunse nella penisola iberica -come il bugnato a punta di diamante impiegato
per il paramento delle facciate di palazzi51 [fig. 11]- è
anche vero che elementi tardogotici, non necessariamente catalani, come i portali ad arco ribassato,
hanno goduto a lungo di una fortunata accoglienza
nelle regioni centro-meridionali d’Italia.
Tra i palazzi pugliesi dal paramento a punte di diamante notevoli esempi si osservano a Bisceglie; non
credo però si possa ritenere questa diffusione legata
all’influsso del ferrarese palazzo dei Diamanti52 -anche
se la città pugliese fu infeudata a Rodrigo, figlio di
Lucrezia Borgia la quale, in seconde nozze, sposò nel
1501 il duca di Ferrara Alfonso I d’Este- perché, in
questi edifici, accanto al bugnato, non si trovano mai
lesene. Il prototipo di tali esempi, probabilmente
tutti cinquecenteschi -nonostante qualche arcaismo,
come gli archetti di coronamento sulla facciata del
palazzetto Borgia, le cui aperture presentano comunque caratteri del XVI secolo- sembra essere invece il
napoletano palazzo Sanseverino53.
Ma, ancora in Puglia, si diffonde nel Cinquecento
una variazione simile a quella del Magno palazzo di
Trento: le bugne disposte in modo diradato su un
paramento liscio, talvolta lungo linee diagonali.
Esempi di questo genere nel Salento si trovano, ad
Acaya, sul campanile a vela della chiesa di S. Maria
della Neve [fig. 12] (dove si osservano anche piramidi concave, come nel basamento della facciata sul rio
del palazzo Ducale di Venezia), ad Alessano, sulla
facciata del palazzo Pizzolante, e a Soleto, sui palazzetti Arcudi e della Zecca54 [fig. 13], con un singolare
cantonale, quest’ultimo, in cui bugne con una faccia
a terminazione piramidale, alternandosi, mostrano
la punta di diamante sull’una o l’altra delle contigue
facciate.
Tornando alle opere siciliane, la più felice di quelle
cui si accennava è senza dubbio lo Steripinto di
Sciacca. Erroneamente talvolta ritenuto una anticipazione del palazzo napoletano, il bugnato dell’edificio
risale invece agli anni ottanta del Quattrocento55. Dal
confronto della facciata siciliana con l’ipotetica, ma
assai verosimile, ricostruzione di quella del palazzo
Sanseverino, è possibile riscontrare precisamente gli
stessi elementi, che a Napoli dovevano essere stati
eseguiti in modo più grandioso e sicuro che non a
Fig. 11. Segovia. Casa de los Picos (da A. Castro).
19
Roma e l’Italia centrale
A Roma, il palazzo Santacroce in via Publicolis, probabilmente risalente all’ultimo decennio del
Quattrocento, presenta un paramento, formato da
bugne a punta di diamante quadrate e rettangolari,
che fascia il piano basamentale di una torre angolare; bugne a punta di diamante rivestono inoltre un
cantonale, inquadrano molte delle aperture e decorano persino la croce guelfa di una finestra56. La presenza, in questo palazzo, di porte di botteghe ad arco
ribassato sembra rimandare all’ambiente napoletano
dove finestre ad arco depresso sono visibili anche
sulla facciata laterale destra di palazzo Sanseverino.
Sempre a Roma, punte di diamante inquadrano la
porta del palazzo Nardini (1477) e qualche altra
porta di case difficilmente databili; esse comparivano inoltre nel portale, non più esistente, del palazzo
Fieschi sul vicolo Savelli57, databile agli anni antecedenti il 1484.
Più diffusa era invece, a Roma, nella decorazione di
facciate graffite e dipinte, una probabile rappresentazione del bugnato a punte di diamante consistente
in quadrati divisi da una diagonale in campi chiari e
scuri. A proposito di tali figure geometriche si chiedeva Giuseppe Zander se fossero «un qualunque
motivo decorativo» o se volessero «forse imitare, sintetizzandolo e appiattendolo con convenzione
Fig. 12. Acaya. Chiesa di S. Maria della Neve, campanile.
Fig. 13. Soleto. Palazzo della Zecca, particolare del cantonale.
Sciacca. Il portale sormontato dalla lunetta, le piccole finestre quadrate del piano terra, le bifore del
piano superiore presenti sullo Steripinto sembrebbero pertanto confermare l’ipotesi di ricostruzione proposta da Pane per la facciata del palazzo napoletano.
Sporadiche le apparizioni delle bugne a punta di diamante in Abruzzo, dove il bugnato incornicia talvolta portali e finestre. L’esempio più significativo è
quello del portale della cosiddetta casa Meliorati a
Sulmona, cui si aggiungono il portale del castello
Orsini-Colonna di Avezzano, dai singolari stipiti a
due file affiancate di bugne, quello all’interno del
castello De Petris-Fraggianni di Castiglione, il
portale e la sovrastante finestra della Taverna
dell’Università a Popoli (1574) e qualche altra presenza.
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20
impressionistica, il sistema lapideo delle punte di
diamante»58. La seconda ipotesi sembrerebbe verosimile, specie tenendo presente la duecentesca raffigurazione musiva delle mura di Damasco nel Duomo
di Monreale59. Il finto bugnato si osserva nella casa
degli Anguillara (ma qui potrebbe anche trattarsi di
un’aggiunta compresa nei restauri dell’architetto
Fallani) e in una serie di case della fine del XV secolo che potrebbero anche esser state decorate nel secolo successivo. Di queste facciate dipinte una in via
degli Amatriciani e una in via della Barchetta sono
scomparse, una al vicolo del Governo Vecchio era,
nel 1942, da poco restaurata, un’altra era nel vicolo
del Colonnato e una in vicolo Cellini appariva, qualche anno fa, assai degradata; Gustavo Giovannoni
segnalava anche la casa detta “del Curato”, ai
Parioli, e la “magnifica” casa Strozzi alle pendici di
Monte Mario60.
Portali e finestre dalle incorniciature diamantate,
quasi sempre cinquecenteschi, si vedono frequente-
Fig. 14. Narni. Porta Ternana.
mente in tante città dell’Italia centrale. A Narni, la
porta Ternana, del tardo Quattrocento, presenta la
facciata che inquadra l’arco di accesso interamente
rivestita di bugne a punta di diamante contrariamente alle torri che la affiancano [fig. 14], in ideale scambio rispetto a quanto Giuliano da Sangallo aveva
disegnato dell’arco di Fano, pur conservando lo stesso significato al paramento61. Nelle Marche, a
Macerata, è di un certo interesse il palazzo Mozzi e
Marchetti, poi Ferri, esito della ristrutturazione e trasformazione di due case preesistenti commissionata
nel 1535 da due mercanti bergamaschi. La sua facciata presenta un paramento di bugne a punta di diamante tanto al piano terreno, dove si apre il portale
d’ingresso fiancheggiato dalle porte di due botteghe,
che al primo piano; mentre il secondo piano, con una
finta balaustrata e un rivestimento di bugne piatte,
potrebbe essere una sopraelevazione tardocinquecentesca. La composizione della facciata appare
comunque piuttosto modesta nel disegno complessi-
21
vo e nella stesura del bugnato: le dimensioni e i
volumi delle bugne sono uguali su tutta la superficie del paramento, esse sono inoltre sovrapposte
secondo linee verticali e orizzontali senza lo sfalsamento dei conci, sì da palesare il loro carattere puramente decorativo. A una colonna angolare al pian
terreno, ionica, scanalata e rudentata, si sovrappone
poco felicemente al primo piano una parasta, senza
con ciò configurare la presenza di compiuti ordini
architettonici62.
A Jesi, il palazzo Ricci [fig. 15] fu dotato di un rivestimento di bugne a punta di diamante, sulla parte di
facciata comprendente i due piani al di sopra del loggiato basamentale, forse perché sorto, nel 1544, sui
resti di una rocca quattrocentesca. Giovanni da
Bellinzona ed altri maestri lombardi curarono la non
felice esecuzione del paramento, che imita lo schema
compositivo del palazzo Mozzi di Macerata senza
variazioni che ne rompano la monotonia; tale bugnato continua anche su una facciata laterale cui più
tardi aderì un nuovo edificio63.
In Toscana il motivo sembra giungere solo nel
Cinquecento avanzato. La Fortezza da Basso a
Firenze, di Antonio da Sangallo il Giovane, è del
1534 e presenta sul bastione del mastio un rivestimento a bugnato in cui le punte di diamante si alternano ad elementi la cui faccia quadrata, osservava
Giovannoni, è arricchita da una sporgenza tonda e
convessa a forma di scudo, motivo, quest’ultimo,
forse ispirato alle metope della porta etrusca di
Perugia64. Ma sembra più probabile che tanto le piramidi che le semisfere emergenti dal bugnato siano
allusioni all’impresa medicea dell’anello in cui è
incastonato un diamante e alle palle dello stemma
della stessa famiglia, cui è possibile che si unisca
anche il significato simbolico dell’impossibilità per le
palle di cannone di penetrare nelle robuste mura
della fortezza65. Siamo comunque in presenza dell’unico caso di impiego di bugne a punta di diamante da parte di architetti di formazione bramantesca.
Doveva essere infatti ormai evidente, agli architetti
del primo Cinquecento romano, che il nostro tipo di
bugnato non fosse di origine antica, tuttavia
Sangallo lo impiegò, secondo la tradizione del secolo precedente, in un’opera difensiva creando un
paramento nuovo ed efficace, alternando al chiaroscuro delle punte di diamante quello degli elementi
semisferici.
E, sul finire del XVI secolo, con il frammento a sini-
stra della facciata della chiesa di S. Trinita, opera
interrotta con paramento a bugne a punta di diamante e voluta di coronamento, la città di Firenze
sembrerebbe aver voluto tributare un riconoscimento a Napoli, accennando ad un’imitazione della facciata della chiesa del Gesù, quasi ricambiando così,
simbolicamente, la fortuna che, per tutto il
Rinascimento, l’architettura fiorentina ebbe nella
città partenopea66.
* Professore ordinario, Università
D’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Fig. 15. Jesi. Palazzo Ricci.
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degli
Studi
“G.
22
L’osservazione, riferita da Roberto Pane (Andrea Palladio, Torino 1961, p. 71) ai motivi tematici ricorrenti nelle opere di Palladio, mi
pare avere anche il valore di un utile chiarimento metodologico più generale.
Un’analisi sulla ripresa rinascimentale dell’opus isodomum è stata compiuta da M. Daly Davis (“Opus isodomum” at the Palazzo della
Cancelleria: vitruvian studies and archaeological and antiquarian interests at the court of Raffaele Riario, in Roma, centro ideale della cultura
dell’Antico nei secoli XV e XVI. Da Martino V al Sacco di Roma. 1417-1527, a cura di S. Danesi Squarzina, Milano 1989, pp. 442-457)
affrontando problematiche in qualche misura complementari a quelle del presente contributo. Sull’origine veneziana e settentrionale del bugnato a punta di diamante, anche con riferimenti a opere pittoriche e disegni, si veda soprattutto M. CERIANA, Agli inizi della
decorazione architettonica all’antica a Venezia, in L’invention de la Renaissance. La réception des formes “à l’antique” au debut de la Renaissance.
Actes du colloque tenu à Tours du 1er au 4 juin 1994, études réunis par J. Guillaume, Paris 2003, pp. 109-111. Un cospicuo elenco di opere
in cui compaiono bugne a punta di diamante, con utili riferimenti e osservazioni ma, a mio avviso, con datazioni non sempre accettabili, è in R. GARGIANI, Princìpi e costruzione nell’architettura italiana del Quattrocento, Roma-Bari 2003, pp. 185-188 e 485-488.
2
Per il documento, citato da R. Pane (Il Rinascimento nell’Italia meridionale, vol. I, Milano 1975, p. 221), si veda anche C. DE FREDE, Il
Principe di Salerno Roberto Sanseverino e il suo palazzo in Napoli a punte di diamante, Napoli 2000, p. 56 (anche per un secondo documento, del 1530, in cui la lavorazione del paramento delle torri di Lagopesole è definita ad modum punctarum adamantinarum). Anche É.
Bertaux (I monumenti medievali della regione del Vulture, supplemento a «Napoli nobilissima», VI, 1897, p. XX) osservò, correttamente,
come le torri del castello di Lagopesole fossero fabbricate «di grandi pietre tagliate grossolanamente a punta di diamante».
3
A. VENDITTI, Urbanistica e architettura angioina, in Storia di Napoli, vol. III, Napoli 1969, p. 818; L. SANTORO, Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli, Milano 1982, pp. 56-59; Architettura sveva nell’Italia meridionale. Repertorio dei castelli federiciani, a cura di A.
Bruschi, G. Miarelli Mariani, Firenze 1975, pp. 85-93. L. H. Heydenreich (Il primo Rinascimento. Arte italiana 1400-1460, Milano 1974,
p. 105) supponeva che il bugnato a punta di diamante del Rinascimento potesse essere forse «sopravvivenza di un motivo ornamentale dei castelli imperiali del Medioevo», mentre J. S. Ackerman (The Tuscan/Rustic Order: A Study in the Metaphorical Language of
Architecture, in «Journal of the Society of Architectural History», XLII, 1983, p. 29) suggerisce una possibile derivazione del bugnato
rustico dei palazzi pubblici fiorentini del Duecento da quello dei castelli federiciani di Bari e di Gioia del Colle.
4
S. LANGÈ, Architettura delle Crociate in Palestina, Como 1965, pp. 97-100; L. MARINO, La fabbrica dei castelli crociati in Terra Santa, Firenze
1997, pp. 67-69.
5
Cfr. Itinéraire d’Anselmo Adorno en Terre Sainte (1470-1471), ed. J. Heers, G. de Groer, Paris 1978, p. 392. Il brano è stato segnalato in
un contributo di C. Gelao (Palazzi con bugnato a punta di diamante in Terra di Bari, in «Napoli nobilissima», XXVII, 1988, pp. 18-19) che
rappresenta un’ampia ed indispensabile referenza per il presente saggio; si veda anche, EAD., Puglia rinascimentale, Milano-Bari, S.
Spirito 2005, pp. 22-23, 212-217. Precoce e singolare appare la rappresentazione del paramento murario di una loggia tra gli edifici
dipinti sullo sfondo della Presentazione al Tempio di Gentile da Fabriano (cfr., per dei cenni su questa predella della Pala Strozzi, del
1423: P. TOMEI, L’architettura a Roma nel Quattrocento, Roma 1942, p. 241; G. ZANDER, L’architettura a Roma e nel Lazio, in V. GOLZIO, G.
ZANDER, L’arte in Roma nel secolo XV, Bologna 1968, p. 166; K. CHRISTIANSEN, Gentile da Fabriano, London 1982, p. 36, n. 36; M. CERIANA,
La cappella Corner nella chiesa dei Santi Apostoli a Venezia, in M. BULGARELLI, M. CERIANA, All’ombra delle volte. Architettura del
Quattrocento a Firenze e Venezia, Milano 1996, p. 110; R. GARGIANI, Princìpi e costruzione..., cit., p. 186). Trattandosi di una veduta ideale di Gerusalemme, è possibile che il pittore abbia voluto rendere come piramidi le bugne appena sbozzate di tradizione crociata
delle quali poté aver avuto notizia. Mi sembra comunque difficile che il dipinto possa essere ritenuto un precedente diretto dei
bugnati di rivestimento della Ca’ del Duca a Venezia o del palazzo Sanseverino a Napoli.
6
L. MARINO, La fabbrica dei castelli..., cit., p. 69. La decorazione musiva della Cappella settentrionale nel Duomo di Monreale (databile a dopo il 1220 circa) raffigura episodi della vita di S. Paolo sullo sfondo delle mura di Damasco: esse si presentano con un paramento di bugne quadrate le cui facce ricordano punte di diamante, essendo le loro protuberanze rese attraverso una linea diagonale che separa tessere di due toni di colore marrone, sì da rappresentare un chiaroscuro. Bugne quadrate con una diagonale che divide un campo bianco da uno nero si trovano anche in una raffigurazione architettonica di un omelario dell’XI secolo conservato a
Montecassino (Archivio, ms. 99, fol. 32) e, più tardi, in rappresentazioni pittoriche di edifici. Potrebbe anche darsi che dalla pittura
questo tipo di bugnato fosse trasferito nell’architettura e realizzato, considerando la necessità di un’esecuzione tridimensionale, tramite bugne quadrate con protuberanze piramidali. Una rappresentazione pittorica intermedia si ritrova sulla facciata di una modesta casa quattrocentesca di Civitella del Tronto, dove su uno sfondo graffito e dipinto di bugne quadrate, con entrambe le diagonali che dividono triangoli chiari da altri scuri, alludendo a piramidi, si staglia uno stemma della famiglia Marzano databile tra il 1449
e il 1460.
7
L. MARINO, La fabbrica dei castelli..., cit., p. 69.
8
L. B. ALBERTI, De re aedificatoria, ed. a cura di G. Orlandi, P. Portoghesi, Milano 1966, pp. 538-539.
9
Il motivo decorativo tardo medievale, sequenza di piccole piramidi, è definito da Adolfo Venturi (Storia dell’arte italiana. VIII.
L’architettura del Quattrocento, P. II, Milano 1924, p. 43) a «borchie di diamante», suggerendo quasi l’idea di una successione di teste
di chiodi da tappezziere.
1
23
Firenze, Bibl. Naz., cod. Magliabechiano II. I. 41, f. 54r (riprodotto in Francesco di Giorgio architetto, a cura di F. P. Fiore, M. Tafuri,
Milano 1993, p. 153).
11
Firenze, Bibl. Mediceo-Laurenziana, cod. Ashburnham 361, f. 20r; Torino, Bibl. Reale, cod. Saluzziano 148, f. 20v. Nel testo
Francesco di Giorgio, commentando il suo disegno esemplificativo di una varietà di paramenti, scrive che le facciate possono essere
rivestite «di bugni o quadrate ricinte pietre intagliate a forma di calcielli [per “cancelli”]o diamanti, spiumati o altre diversità d’opre,
sicondo la degnità loro» (F. DI GIORGIO MARTINI, Trattati di architettura, ingegneria e arte militare, a cura di C. Maltese, Milano 1967, p.
89). Il trattato -e quindi anche questo motivo decorativo- ebbe notorietà nel Veneto grazie anche a copie come quella oggi conservata a Budapest (Bibl. Szábó Ervin, cod. Zichy, ms. 09.2690, f. 152). Un’interpretazione del particolare paramento che simula una cancellata potrebbe essere quella della facciata del palazzo Arnaldi a Vicenza, degli anni Ottanta del XV secolo, attribuita, più che a
Lorenzo da Bologna, all’ambito del suo gusto (F. BARBIERI, R. CEVESE, Vicenza. Ritratto di una città. Guida storico-artistica, Costabissara
2004, pp. 678-680). La decorazione di questa facciata si può confrontare con quella disegnata sul margine del foglio 20v del citato
codice Saluzziano, cui è riferita la didascalia: «hornamento d’inchancellati a huxo di ronbo fatti».
12
Segnalati da: G. ZANDER, L’architettura a Roma..., cit., p. 167; F. BENELLI, Il Palazzo del Podestà di Bologna fra tradizione e innovazione, in
L’architettura a Bologna nel Rinascimento (1460-1550): centro o periferia? Atti della giornata di studi. Bologna, 2 marzo 2001, a cura di M.
Ricci, S. Giorgio di Piano 2001, p. 66, n. 45. A questi disegni si può aggiungere una fantasiosa ricostruzione del Campidoglio visibile in un foglio degli Uffizi (Coll. Santarelli, 162; cfr. A. GODOLI, Anonimo Fiorentino. Edifici d’invenzione, in Il disegno fiorentino del tempo
di Lorenzo il Magnifico, a cura di A. Petrioli Tofani, Cinisello Balsamo 1992, pp. 220-221) già attribuito al Cronaca e, comunque, del
tardo Quattrocento.
13
J. Ackerman (The Tuscan/Rustic Order..., cit., p. 30, n. 50) ha proposto dubitativamente che, più che all’opus reticulatum, il tratteggio
diagonale incrociato del basamento di palazzo Rucellai potesse rifarsi a quello presente in analoga posizione su alcune urne funerarie etrusche a forma di casa.
14
S. Borsi (Giuliano da Sangallo. I disegni di architettura e dell’antico, Roma 1985, pp. 219-220) osserva come, in questo disegno, «l’antico diviene una sorta di pretesto per una tavola sinottica dei vari tipi di bugnato, quasi una tavola da trattato». Per l’arco in relazione alla chiesa di S. Michele, cfr. G. VOLPE, Matteo Nuti architetto dei Malatesta, Venezia 1989, p. 61. Stranamente G. L. Hersey (The
Aragonese Arch at Naples 1443-1475, New Haven-London 1973, p. 51) avvicina il paramento a punte di diamante del disegno di
Giuliano a quello dei basamenti a scarpa del Castel Nuovo di Napoli. In realtà il solo paramento basamentale del castello che, lontanamente, potrebbe assomigliare a punte di diamante è quello della torre di mezzo, che presenta squame a forma di rombo costituite da due piani triangolari che s’incontrano sulla diagonale verticale. Il suggerimento di Hersey è ripreso in forma più generale,
ma altrettanto impropriamente, da A. Beyer (Parthenope. Neapel und der Süden der Renaissance, München-Berlin 2000, p. 116). G.
Brands (Architekturrezeption der Hochrenaissance am Beispiel römischer Stadttore, in Antikenzeichnung und Antikenstudium in Renaissance
und Frühbarock, herausgegeben von R. Harprath und H. Wrede, Mainz am Rehin 1989, p. 85) ritiene il bugnato disegnato da Sangallo
tratto da esempi moderni come la Ca’ del Duca a Venezia, il palazzo dei Diamanti a Ferrara o le torri del Castello Sforzesco di Milano.
15
Le vedute sono riprodotte rispettivamente in: K. WEIL-GARRIS POSNER, Alcuni progetti per piazze e facciate di Bramante e di Antonio da
Sangallo a Loreto, in Studi bramanteschi. Atti del Congresso internazionale. Milano-Urbino-Roma-1970, Roma 1974, tav. CXXXVIII, fig. 3bis;
Antiche vedute di Loreto, a cura di F. Grimaldi, Loreto 1978, fig. 12.
16
Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz Gemäldgalerie, cat. n. 178c.
17
R. KRAUTHEIMER, Le tavole di Urbino, Berlino e Baltimora riesaminate, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione
dell’architettura, a cura di H. Millon, V. Magnago Lampugnani, Milano 1994, pp. 233-257. Non è questa la sede per un più ampio
discorso ma, almeno per la tavola di Berlino, si veda anche: A. BRUSCHI, Bramante architetto, Bari 1969, p. 1033, n. 97 (con osservazioni sulle architetture dipinte e la loro possibile datazione); C. L. FROMMEL, Architettura e committenza da Alberti a Bramante, Firenze 2006,
pp. 340-346. Soffitti con bugne a punta di diamante, in diverse varianti, appaiono anche in dipinti del primo Trecento e del
Quattrocento.
18
M. CERIANA, La cappella Corner..., cit., p. 108. Si potrebbe forse supporre che, con il bugnato basamentale del loro palazzo, i fratelli
Corner volessero richiamare il motivo orientale delle bugne a bozze, e quindi il loro coinvolgimento nell’espansione della
Serenissima in quei territori.
19
L. PUPPI, Filarete in gondola, in «Arte lombarda», XVIII, 1973, nn. 38-39, p. 76; J. MCANDREW, L’architettura veneziana del primo
Rinascimento, Venezia 1983, pp. 28-29; G. D. ROMANELLI, Ca’ Corner della Ca’ Granda: architettura e committenza nella Venezia del
Cinquecento, Venezia 1993, pp. 49-56. Howard Burns (Pirro Ligorio’s reconstruction of ancient Rome: the Antiquae Urbis Imago of 1561,
in Pirro Ligorio artist and antiquarian, ed. by R. W. Gaston, Cinisello Balsamo 1988, p. 39) ha evidenziato come l’attenzione di Filarete
per le murature antiche, che si può osservare anche sulle porte bronzee di S. Pietro in Vaticano, possa essersi estesa anche allo studio dei rilievi scultorei romani con rappresentazioni di città. Al riguardo si vedano ora le nuove precisazioni nell’importante saggio
di R. SCHOFIELD, G. CERIANI SEBREGONDI, Bartolomeo Bon, Filarete e le case di Francesco Sforza a Venezia, in «Annali di architettura», 1819, 2006-2007, pp. 9-51 (per il nostro bugnato specie pp. 35-37, con l’ipotesi di contatti tra Bartolomeo Bon e l’ambiente di Giovanni
10
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24
Marcanova e Donatello e l’osservazione che «l’apparenza del bugnato» di Ca’ del Duca «non sempre riflette la realtà costruttiva»,
essendo i diamanti quadrati e rettangolari talvolta «tagliati in uno stesso grande blocco»).
20
Mentre E. Arslan (Venezia gotica. L’architettura civile, Milano 1986, p. 263) propendeva per un’attribuzione a Filarete, M. Ceriana (La
cappella Corner..., cit., p. 109) attribuisce l’opera al Bon formulando anche alcune brevi ma interessanti osservazioni sulla possibile origine del bugnato a punte di diamante. Anche M. Morresi (Venezia e le città del Dominio, in Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento,
a cura di F. P. Fiore, Milano 1998, pp. 211-212) concorda con tale attribuzione escludendo il nome di Filarete.
21
A. AVERLINO DETTO IL FILARETE, Trattato di architettura, a cura di A. M. Finoli, L. Grassi, Milano 1972, pp. XXXIX e 4, n. 1.
22
M. BELTRAMINI, Le illustrazioni del Trattato d’architettura di Filarete: storia, analisi e fortuna, in «Annali di architettura», 13, 2001, pp.
31 e 38. Il codice, databile in base all’esame delle filigrane all’ottavo decennio del Quattrocento, era inizialmente destinato al cardinale Giovanni, figlio del re di Napoli Ferrante d’Aragona e, forse dopo la morte del giovane prelato, nel 1485, passò nella biblioteca
di Lorenzo il Magnifico. Nel 1492, comunque, l’altro figlio di Ferrante, Alfonso duca di Calabria, di cui sono noti gli interessi per l’architettura, possedeva certamente, a sua volta, una copia del trattato filaretiano. Cfr., per gli interessi artistici del duca di Calabria,
poi re di Napoli col nome di Alfonso II: G. L. HERSEY, Alfonso II and the artistic renewal of Naples 1485-1495, New Haven - London 1969;
R. PANE, Il Rinascimento..., cit., vol. II, Milano 1977, specie pp. 12-18.
23
Le due torri furono parzialmente ricostruite nei restauri condotti da Luca Beltrami a partire dal 1884. R. Gargiani (Princìpi e costruzione..., cit., pp. 187-188) riferisce come le particolari bugne fossero chiamate a Milano “borchioni”, e segnala uno schizzo di Leonardo
raffigurante una “torre di burchioni”. In Liguria, nel Castel Gavone presso Perti, una torre, detta “dei diamanti” per un paramento
a bugne piramidali -che pertanto solo approssimativamente sembrerebbe rifarsi a quello delle torri del castello Sforzesco di Milanoè datata al 1456 (C. PEROGALLI, Rocche e forti medicei, Milano 1980, pp. 39 e 109). Sia per la sua pianta “a becco”, che per la struttura
ed il paramento, essa potrebbe invece essere riferita forse al 1500 circa, momento in cui, come scrive L. Giordano (Tipologie brunelleschiane in Italia settentrionale: appunti sul rapporto tra modelli toscani e maestranze lombarde, in Filippo Brunelleschi. La sua opera e il suo
tempo, Firenze 1980, p. 870, n. 60) a proposito della chiesa di S. Maria di Loreto a Perti, nell’ambiente della Marca Finalese, «se pure
con molto ritardo», si guardava «agli sviluppi milanesi confermando la propria sudditanza culturale oltre che politica».
24
F. Benelli (Il Palazzo del Podestà..., cit., p. 59; ID., Il palazzo del Podestà di Bologna nel Quattrocento. Storia e architettura, in Nuovi antichi.
Committenti, cantieri, architetti 1400-1600, a cura di R. Schofield, Milano 2004, p. 97) conferma e rafforza l’attribuzione al Fieravanti,
precisando che le particolari bugne decorate da fiori e fogliami sarebbero da riferire ad un’antica tradizione decorativa bolognese
«non necessariamente legata all’architettura» e che sarebbe scorretto definirle a punta di diamante.
25
A. GHISETTI GIAVARINA, Fioravanti (Fieravanti), Aristotile, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XLVIII, Roma 1997, pp. 95-100.
26
Per il palazzo di Eliseo Raimondi si veda L. AZZOLINI, Palazzi del Quattrocento a Cremona, Cremona 1994, pp. 111-117.
27
Come proposto da Pane (Il Rinascimento…, cit., vol. I, p. 218); ma, in proposito, cfr. C. GELAO, Palazzi con bugnato…, cit., p. 27, n. 31.
28
R. PANE, Il Rinascimento…, cit., p. 219; C. DE FREDE, Il Principe di Salerno..., cit., pp. 75-77; A. VENDITTI, Presenze e influenze catalane nell’architettura napoletana del Regno d’Aragona (1442-1503), in «Napoli nobilissima», XIII, 1974, p. 13.
29
R. D’AMBRA, Napoli antica illustrata, Napoli 1889, tav. XXIX.
30
B. ZEVI, Saper vedere l’urbanistica. Ferrara di Biagio Rossetti, la prima città moderna europea, Torino 1971, p. 157. Si veda anche F.
BOLOGNA, Napoli e le rotte mediterranee della pittura. Da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977, pp. 154-155.
31
C. DE FREDE, Il Principe di Salerno..., cit., p. 37.
32
B. ZEVI, Saper vedere l’urbanistica…, cit., pp. 190-191.
33
Ivi, pp. 192-193.
34
B. ZEVI, Biagio Rossetti architetto ferrarese. Il primo urbanista moderno europeo, Torino 1960, pp. 194-195; A. F. MARCIANÒ, L’età di Biagio
Rossetti. Rinascimenti di casa d’Este, Ferrara-Roma 1991, pp. 178-186; A. GHISETTI GIAVARINA, Rossetti, Biagio, in The Dictionary of Art,
ed. J. Turner, vol. 27, London-New York 1996, p. 190. Ma non mi sembra che il ruolo di Biagio Rossetti, nella progettazione del palazzo ferrarese, possa ridursi a quello di un imprenditore privo di capacità artistiche, come scrive P. Kehl (Ferrara, in Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento, cit., p. 255).
35
A. MARKHAM SCHULZ, Antonio Rizzo sculptor and architect, Princeton 1983, pp. 85 e 93; J. McAndrew (L’architettura veneziana..., cit., p.
93) giudica questo bugnato “truculento” e simile a una grattugia gigante.
36
S. SERLIO, Regole generali di architettura, Venezia 1537, c. 13v. A questa tavola potrebbe anche collegarsi, ad esempio, il bugnato a
punte di diamante dipinto sulla facciata del Palazzo Cavazza a Saluzzo.
37
Come chiarito da G. Lorenzoni (Lorenzo da Bologna, Venezia 1963, pp. 70-74).
38
Una certa differenza tra le bugne piatte sottoposte alle paraste angolari e quelle sovrastanti lo zoccolo in facciata indurrebbe a supporre che anche queste ultime possano essere, come lo stesso zoccolo, un’aggiunta di Bartolomeo Malacarne del 1850 circa.
39
R. CEVESE, I palazzi dei Thiene sede della Banca Popolare di Vicenza, Vicenza 1952, pp. 16 e 19; si veda anche G. LORENZONI, Lorenzo da
Bologna..., cit., pp. 26-28; L. MAGAGNATO, Palazzo Thiene sede della Banca Popolare di Vicenza, Vicenza 1966, pp. 11-16. E, per una sintesi sull’attività dell’architetto A. GHISETTI GIAVARINA, Lorenzo da Bologna, in The Dictionary of Art, cit., vol. 19, p. 673.
25
G. Zaupa (Architettura del primo Rinascimento a Vicenza nel laboratorio veneto, Vicenza 1998, p. 43) ritiene bizzarro l’uso delle bugne
a punta di diamante nelle paraste del palazzo vicentino, in quanto esso, nell’ottica della cultura architettonica del tardo Quattrocento,
si contrapporrebbe all’integrità antiquaria propria del normale impiego nei rivestimenti murari.
41
Così R. Cevese (La grandiosa dimora dei conti Gualdo, in I palazzi Gualdo di Vicenza, Costabissara 2004, pp. 110 e 115) definisce le particolari bugne, precisando che esse potrebbero far pensare a bugne a diamante cui sia stata tagliata la punta per essere scavate nel
mezzo. E simili bugne potrebbero riconoscersi nel disegno di una tarsia marmorea del pavimento della Basilica di S. Marco a Venezia
(riprodotta in R. GARGIANI, Princìpi e costruzione..., cit., fig. 452).
42
G. Gaudini (I palazzi Gualdo della Piazzetta e il contesto urbano, in I palazzi Gualdo..., cit., p. 179) vede in questo particolare bugnato
una soluzione «forse affine, nell’apprezzamento del chiaroscuro e delle concavità, ai cassettoni degli edifici classici romani». G.
Zaupa (Architettura del primo Rinascimento..., cit., pp. 92-93) suggerisce di collocare il motivo dello stesso bugnato nell’ambito della
«gestione dialettica dell’eredità di Lorenzo da Bologna», da parte della cerchia di lapicidi lombardi di Bernardino da Milano e del suo
socio Tommaso di Bartolomeo, datando l’opera agli anni intorno al 1506.
43
R. CEVESE, La grandiosa dimora..., cit., p. 120, n. 24; B. MICHELIN, Cronaca di un restauro, in I palazzi Gualdo..., cit., p. 194.
44
R. BRENZONI, La Loggia del Consiglio veronese nel suo quadro documentario, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti», CXVI
(1957-1958), p. 275; G. SCHWEIKHART, Il Quattrocento: formule decorative e approcci al linguaggio classico, in L’architettura a Verona nell’età
della Serenissima (sec. XV – sec. XVIII), a cura di P. Brugnoli, A. Sandrini, vol. I, Verona 1988, pp. 27-28 (che tuttavia mette in guardia
come, dopo i frequenti e radicali restauri, nulla sia ormai ricostruibile dell’aspetto originario della decorazione pittorica).
45
Non in precedenza come, credo per una svista, scrive J. Newman (La Loggia del Consiglio, in Palladio e Verona. Catalogo della mostra,
a cura di P. Marini, Venezia 1980, p. 122) assegnando la decorazione pittorica della facciata esterna della Loggia al XVI secolo.
46
P. GAZZOLA, Il Barocco a Verona, in «Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio», IV, 1962, pp.
163-164; L. OLIVATO, Il Seicento: fra tradizione classicista e rinnovamento barocco, in L’architettura a Verona nell’età della Serenissima..., cit.,
pp. 216-217; S. LODI, Palazzo Capella «dei Diamanti». Classicismo e maniera a Verona dopo Sanmicheli, Caselle di Sommacampagna 2004.
47
P. NATELLA, P. PEDUTO, Il palazzo dei tufi di Lauro, in «Napoli nobilissima», VIII, 1969, pp. 107-111; M. ROTILI, L’arte del Cinquecento
nel Regno di Napoli, Napoli 1976, p. 62.
48
M. Paone (Palazzi di Lecce, Galatina 1979, p. 82) definisce simpaticamente questo bugnato «liscio e gentile come quello di una tavoletta di cioccolato».
49
G. BELLAFIORE, Architettura in Sicilia (1415-1535), Palermo 1984, pp. 152-154.
50
Molti di essi sono citati e descritti in: M. ROSI, Presenza catalana del Rinascimento in Puglia, Napoli 1977, pp. 14-17, 27; ID., Architettura
meridionale del Rinascimento, Napoli 1983, pp. 42-44 e 76-77; C. GELAO, Palazzi con bugnato..., cit., pp. 12-28; EAD., Puglia rinascimentale,
cit., pp. 22-23 e 212-217; T. IAZEOLLA, ...in forma dyamantum..., in Verso un repertorio dell’architettura catalana. Architettura catalana in
Campania. Province di Benevento, Caserta, Napoli, a cura di C. Cundari, Roma 2005, pp. 99-108. Mi pare interessante osservare come,
nel cinquecentesco portale del palazzo Affaitati a Barletta, il valore decorativo delle piccole bugne a diamante richiami quello delle
borchie del primo Quattrocento.
51
C. GELAO, Palazzi con bugnato…, cit., pp. 19-21. Per la casa de los Picos a Segovia si veda anche A. CASTRO, La Spagna nella sua realtà storica, Firenze 1955, p. 634. C. Perogalli (Rocche e forti medicei, cit., p. 109) ricorda anche la Maison diamantée di Marsiglia.
52
Come propone invece C. Gelao (Palazzi con bugnato…, cit., pp. 22-25; EAD., Puglia rinascimentale, cit., pp. 22-23).
53
La datazione qui proposta sembra trovare conferma nei documenti, che riferirebbero il palazzo Tafuri al 1546, il palazzo Frisari al
1565 e il palazzo Tupputi forse anche ai primi decenni del XVII secolo (cfr. P. CONSIGLIO, M. INGRAVALLE, G. LA NOTTE, Palazzi di
Bisceglie. Storie di uomini e di pietre, vol. I, Bisceglie 2006, p. 16).
54
A. NOVEMBRE, Ad un passo dall’effimero: note ed osservazioni sull’arredo urbano nel Salento, in “Barocco” leccese. Arte e ambiente nel Salento
da Lepanto a Masaniello, contributi di C. D. Fonseca et al., Milano 1979, p. 224.
55
Come precisato in M. CRAPARO, “Ad puntos diamantinos”. Il palazzo Steripinto a Sciacca, in questo stesso fascicolo di lexicon, pp. 27-36.
56
P. TOMEI, L’architettura a Roma..., cit., pp. 239-243; G. GIOVANNONI, Il quartiere romano del Rinascimento, Roma 1946, pp. 42-43 (dove
l’autore sottolinea trattarsi di un esempio unico in Roma e in cui il bugnato è soltanto decorativo); G. ZANDER, L’architettura a Roma...,
cit., p. 166; C. BENOCCI, Palazzo Santacroce tra via Publicolis e via del Pianto: contributi e ricerche, in «L’Urbe», XLVII, 1984, pp. 225-233.
S. Borsi (Leon Battista Alberti e Napoli, Firenze 2006, p. 227) mette in rapporto l’edificio con il palazzo Sanseverino, scorgendovi «un
importante momento di penetrazione napoletana (e ferrarese) nel mondo romano» degli ultimi anni del Quattrocento.
57
Come si vede in uno schizzo di Antonio da Sangallo su un foglio conservato agli Uffizi (A 895).
58
G. ZANDER, L’architettura a Roma..., cit., p. 167.
59
Cfr. supra, n. 6.
60
P. TOMEI, L’architettura a Roma..., cit., pp. 89-91, 264-265; G. ZANDER, L’architettura a Roma..., cit., p. 175; G. GIOVANNONI, Saggi sulla
architettura del Rinascimento, Milano 1935, p. 38. Non ho potuto compiere un sopralluogo per verificare l’attuale stato di conservazione di queste decorazioni.
40
Lexicon - n. 5-6/2007-2008
26
Ma è mia impressione che questo paramento possa rappresentare l’esito di un intervento del secolo successivo.
A. VENDITTI, I cento edifici della Banca d’Italia, vol. I, Roma 1970, pp. 45-48. Sempre a Macerata, un altro palazzo dal paramento a
bugne a punta di diamante, adibito a zecca, fu demolito nel XVII secolo; e bugne diamantate compaiono anche nel portale del palazzo Conventati, antecedente il 1504.
63
F. MARIANO, Jesi città e architettura. Forme e tipologie dalle origini all’Ottocento, Cinisello Balsamo 1993, pp. 98-99.
64
Secondo il parere di Gustavo Giovannoni (Antonio da Sangallo il Giovane, Roma s. d. [ma 1959], p. 351).
65
C. PEROGALLI, Rocche e forti medicei, cit., p. 109; R. MANETTI, Antonio da Sangallo: arte fortificatoria e simbolismo neoplatonico nella fortezza di Firenze, in Atti del Convegno di Studi Architettura militare nell’Europa del XVI secolo. Firenze, 25-28 novembre 1986, a cura di C. Cresti,
A. Fara, D. Lamberini, Siena 1988, pp. 117-118 (dove, al fine di trovare nella fortezza significati simbolici legati al neoplatonismo rinascimentale, con una certa forzatura, si suggerisce di vedere delle perle nelle semisfere del rivestimento del bastione); N. ADAMS,
L’architettura militare in Italia nella prima metà del Cinquecento, in Storia dell’architettura italiana. Il primo Cinquecento, a cura di A. Bruschi,
Milano 2002, pp. 556-557.
66
Nel presente contributo, lontano dall’intenzione di un censimento, sono stati considerati solo alcuni esempi dell’impiego delle
bugne a punta di diamante, trascurandone tanti altri, anche interessanti, come il torrione di Gaglianico a Vercelli, la facciata tardomanierista della chiesa dei Domenicani ad Aidone (Enna) e gli episodi calabresi illustrati nel volume Storia della Calabria nel
Rinascimento. Le arti nella storia, a cura di S. Valtieri, Roma-Reggio Calabria 2002.
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