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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
Facoltà di scienze politiche
Tesi di laurea triennale in Studi Internazionali,
dello Sviluppo e della Cooperazione
DAL CRIMINE ORGANIZZATO AL CRIMINE
DISORGANIZZATO: IL RUOLO DELLE STRATEGIE
SOCIALI NELLA LOTTA AI CARTELLI MESSICANI
(1990-2010)
Relatore
Prof.ssa Tiziana Bertaccini
Candidato
Simone Bauducco
Matricola 701277
Anno accademico 2010-2011
L’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative
Wu-Ming
2
INDICE
Introduzione……………………………………………………………………………………pag. 4
Capitolo 1: La politica, la società e l’economia messicana dal 1990 ad oggi………………pag. 6
1.1 La transizione democratica: dall'assolutismo presidenziale al crollo del sistema di
partito egemonico
1.2 Una società in trasformazione
1.3L’apertura del mercato messicano
Capitolo 2: La descrizione del fenomeno narcos…………………………………………...pag. 17
2.1 Dal monopolio nazionale all'oligopolio violento: il cambiamento della geografia
dei cartelli
2.2 Dalla disgregazione del sistema dei cartelli all'aumento della violenza
2.3 L’evoluzione del rapporto tra i narcos e la politica: dalla pax priista alla
feudalizzazione dello Stato
2.4 Narcos ed economia: i cartelli non pagano la crisi
2.5: La colonizzazione criminale dell’immaginario sociale e culturale
Capitolo 3: Le strategie istituzionali di contrasto alla criminalità organizzata…………..pag.38
3.1 La “guerra ai narcos” di Felipe Calderòn e i danni collaterali
3.2 Dalla strategia monodimensionale alla strategia multidimensionale
Capitolo 4: Le strategie sociali e culturali di contrasto alla criminalità organizzata……pag. 47
4.1 Dalla memoria all'impegno: la Red por la Paz di Javier Sicilia
4.2 Cauce Ciudadanos: i canali dell'alternativa
4.3 Le madri di Ciudad Juarez: l’esperienza di Nuestras Hijas de Regreso a Casa
4.4 Il giornalismo sociale della Red Periodistas de a Piè
Conclusioni…………………………………………………………………………………….pag.65
Ringraziamenti………………………………………………………………………………..pag.69
Bibliografia e sitografia……………………………………………………………………...pag. 70
3
INTRODUZIONE
Dal 2006 ad oggi oltre quarantamila persone sono state assassinate nel corso della guerra ai narcos
lanciata dal Presidente Felipe Calderòn. Una scelta che ha causato l’innalzamento del livello di
violenza nel paese senza riuscire a contenere il potere di infiltrazione della criminalità organizzata
nel tessuto politico, economico e sociale. I cartelli messicani governano oggi ampie aree della
Federazione inserendo i propri uomini nelle istituzioni municipali e statali, colonizzando
l’immaginario culturale e sociale dei messicani e immettendo nell’economia legale una grande
quantità di denaro liquido proveniente dal narcotraffico. Ma il potere economico della criminalità
organizzata messicana non è circoscritto all’interno dei confini del paese, ma rappresenta una
minaccia per l’economia mondiale. In questi ultimi anni le mafie hanno saputo approfittare della
globalizzazione acquistando una dimensione transnazionale. Un fenomeno descritto dalle recenti
inchieste in materia di narcotraffico internazionale che hanno svelato la fitta rete di rapporti tra i
cartelli messicani e alcune delle più potenti holding del crimine tra cui la ‘ndrangheta calabrese.
Di fronte a questo nemico multiforme, la strategia di contrasto monodimensionale basata
unicamente sull’aspetto repressivo del fenomeno, portata avanti dalla presidenza Calderòn a partire
dal 2006, non ha condotto ai risultati desiderati, al contrario sembra aver aggravato il problema. Di
fronte al fallimento di questa strategia, risulta interessante osservare alcune esperienze embrionali di
società civile organizzata che hanno provato ad erodere il consenso sociale e culturale del quale
troppo spesso i narcos godono.
Nel corso del dicembre 2010, nell’ambito del lavoro svolto quotidianamente in Italia insieme
all’associazione Libera e al progetto Salvagente1, ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere i
rappresentanti di alcuni dei movimenti descritti in questa tesi e alcuni dei giornalisti che da anni
indagano sul tema del narcotraffico e dei suoi legami con la politica. Esperienze che rimangono per
lo più sconosciute all’opinione pubblica internazionale a causa di un sistema mediatico che sembra
puntare più alla spettacolarizzazione della violenza. A partire da questi incontri e dalle
testimonianze raccolte, ho maturato l'interesse di iniziare un'analisi di queste reti sociali al fine di
esplorare come sia possibile modificare una realtà come quella messicana, caratterizzata da una
violenza diffusa e profonda, attraverso strategie sociali e culturali basate sulla non violenza.
Sebbene il narcotraffico sia uno dei temi più trattati dalla narrativa contemporanea e dalla
produzione accademica messicana, poco spazio è stato dedicato al ruolo della società civile
1
Salvagente è un network per la difesa popolare nonviolenta delle persone a rischio http://salvagente.acmos.net
4
organizzata nel contrasto alla criminalità organizzata. Pertanto, questo lavoro si è basato per la
maggior parte su fonti primarie tra cui alcune interviste realizzate dall’autore della tesi nel corso
della sua esperienza sul campo nel dicembre 2010 e numerosi articoli tratti dai più autorevoli
quotidiani e periodici messicani tra cui il settimanale Proceso. Le fonti secondarie sono state
utilizzate in particolar modo nella parte introduttiva di descrizione del contesto messicano e del
sistema criminale dei narcos e per la sezione teorica sulle possibili strategie di contrasto alla
criminalità organizzata.
Nel primo capitolo, si è partiti dalla descrizione del sistema politico economico e sociale messicano
che negli ultimi vent’anni ha vissuto un periodo di grande cambiamento. Il presidenzialismo si è
indebolito e l’egemonia del Partido Revolucionario Institucional è venuta meno nel corso degli
anni. L’apertura del sistema economico al libero mercato e alla globalizzazione ha portato il
Messico ad un processo di crescita al quale si è accompagnato l’aumento della diseguaglianza.
Nel secondo capitolo si è descritta la fase di transizione del sistema criminale messicano da un
sistema monopolistico ad uno oligopolistico che ha portato alla fase attuale di contesa tra i cartelli
per la spartizione del territorio e delle rotte del narcotraffico. In particolare si è approfondita la
capacità di penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico, sociale ed economico del
Messico provando ad esplorare come la variazione del rapporto tra la politica e la criminalità
organizzata abbia influito sull’andamento del livello della violenza.
Nel terzo capitolo si affronta la strategia di contrasto alla criminalità organizzata portata avanti dal
Presidente Calderòn a partire dal 2006 evidenziandone i limiti derivanti dall’approccio
monodimensionale fondato esclusivamente sull’aspetto repressivo del fenomeno. Contrariamente a
questa tendenza, vengono poi elencate alcune delle possibili strategie istituzionali alternative alla
guerra ai narcos nel contrasto della criminalità organizzata.
Dopo aver esplorato le strategie istituzionali a disposizione dell’attore statale, il quarto capitolo si
concentra sul ruolo delle strategie sociali e culturali portate avanti da alcune delle esperienze di reti
sociali più interessanti presenti nella società civile organizzata. In particolare vengono trattati
quattro casi studio: la Red por la Paz, l'associazione Cauce Ciudadanos, l'associazione Nuestra
Hijas de Regreso a Casa e la Red Periodistas de a piè. Quattro esperienze che, pur agendo in ambiti
diversi e con target differenti, perseguono strategie sociali e culturali basate sulla non violenza
provando a erodere il potere dei narcos.
5
CAPITOLO 1
LA POLITICA, LA SOCIETA’ E L’ECONOMIA MESSICANA
DAL 1990 AD OGGI
All’indomani dei festeggiamenti per il bicentenario della conquista dell’Indipendenza e del
centenario della Rivoluzione, la transizione democratica messicana sembra essere giunta a
compimento. A differenza degli altri paesi dell’area latino americana, dove questo processo ha visto
come attore protagonista l’esercito e ha implicato l’uso della forza, in Messico è stato condotto con
lo strumento della politica. Una transizione che affonda le radici verso la fine degli anni Sessanta,
ma che si concretizza nelle ultime due decadi del secolo scorso coinvolgendo non solo l’ambito
politico, ma anche quello sociale ed economico. La linea di interpretazione di questo cambiamento
può essere rappresentata dalla rottura dei colossi politici ed economici che hanno dominato per
settant’anni la storia messicana. Una disgregazione graduale e progressiva, diversa dalle rivoluzioni
che nel 1810 e nel 1910 hanno contribuito alla formazione dello stato messicano. Una vera e propria
transiciòn pactada, secondo la definizione di Mauricio Merino, ovvero una “transizione che è il
risultato di un patto tra le elite che hanno raggiunto il potere (…) un processo graduale di piccole
negoziazioni sul terreno del sistema del partito egemone e della riforma elettorale” 2.
1.1 La transizione democratica: dall’assolutismo presidenziale al crollo del sistema di partito
egemonico
Fin dalla costituzione del 1917, il sistema politico messicano si è caratterizzato per la stretta
relazione tra la forma di governo presidenzialista e il regime di partito egemonico: un legame che ha
fatto sì che ogni modifica a ciascuno di questi due elementi si ripercuotesse anche sull’altro dando
vita a nuovi assetti istituzionali.3 Per comprendere i cambiamenti avvenuti nelle ultime due decadi
del XX secolo occorre descrivere sinteticamente le caratteristiche principali del sistema politico
messicano, delineato nella Costituzione del 1917, che si è mantenuto senza grandi variazioni fino
2
3
Merino M., Critica a la interpretaciòn del cambio politico en Mexico, Mexico D.F., FCE, 2003, p. 17
Casanova Alvarez F., “Un labirinto sin minotauro: hacia una nueva institucionalidad polìtica” in Torres Espinoza,
Guadarrama E. J., (coord), Transición y nueva institucionalidad en México, México, FES Acatlán - LAT.Net –
IAPEM, 2008
6
alla fine del secolo scorso. Il regime messicano è stato spesso definito come un presidenzialismo
autoritario4 contraddistinto dalla grande concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, limitati
solamente dalla durata di sei anni della carica. Il regime presidenzialista, sebbene dotato di
un’etichetta federalista, tende a concentrare ed accentrare attorno alla figura del presidente le
decisioni di ambito federale, superando così nella pratica la tradizionale separazione dei poteri e
obbligando il potere Legislativo e quello Giudiziario ad una collaborazione permanente e forzata.
L’altro elemento alla base del regime messicano è rappresentato dal sistema di partito egemonico
ideato dal generale Plutarco Eliàs Calles nel 1929. Il Partido Nacional Revolucionario fu fondato
nello stesso anno con l’obiettivo di dirimere all’interno del partito le lotte intestine per il potere e
allo stesso tempo di prevenire conflitti politici tra i caudillos ovvero quei capi militari che
detenevano una forte capacità di controllo del territorio. Negli anni della presidenza del generale
Làzaro Cardenas (1934-1940), il partito, che nel frattempo aveva cambiato il nome in Partido de la
Revoluciòn Mexicana, assunse una dimensione di massa grazie ad un processo di
corporativizzazione e di divisione in settori. Si andò delineando un sistema di partito egemonico che
pur lasciando spazio alla competizione elettorale a livello formale, sul piano pratico vide la costante
e continua vittoria del partito egemonico.
Durante il sexenio presidenziale di Miguel Alemàn (1946-1952) il partito egemonico, che assunse
l’attuale denominazione di Partido Revolucionario Istitucional (PRI), conobbe una fase di maggiore
istituzionalizzazione che si declinò nel cambiamento dei meccanismi politici ed elettorali che
consentirono la sopravvivenza del regime fino ad oggi. Il partito dunque si consolidò come una
struttura di appoggio al governo nei termini di uno strumento di attuazione delle decisioni prese
dall’Esecutivo in carica. La collaborazione tra partito e governo non si spinse mai oltre i limiti delle
istituzioni liberali, poiché il partito non rientrò mai negli organi dello Stato e non venne mai
stabilita una connessione a livello costituzionale tra i due organi benché la prassi confermasse la
centralità del ruolo del partito egemone.
L’inizio delle trasformazioni del presidenzialismo autoritario può essere datato all’inizio degli anni
Novanta in seguito ad una serie di riforme costituzionali che decretarono il passaggio progressivo
dall’ assolutismo presidenziale5 al presidenzialismo debole6. Questa ondata riformista si aprì nel
1992 quando vennero tolti al presidente i poteri sulle decisioni in materia agraria a favore dei
4
5
6
Crespo J.A., “Del absolutismo presidencial al presidencialismo debil” in Aziz Nassif A. e Sanchez J.A., El Estado
Mexicano: herencias y cambios, Mèxico D.F. CIESAS, 2005
Ibidem p.147
Corona Armenta G., “El Presidencialismo ante el reto de la consolidaciòn democratica” in Castanos F., Labastida
Marin del Campo J., Lopez Leyva A., El estado actual de la democrazia en Mèxico, retos avances y retrocesso, IISUNAM, Mèxico, 2007, , p. 33
7
tribunali agrari autonomi. L’anno successivo vennero ampliate le competenze dell’organo
legislativo del Distrito Federal, mentre nel 1996 il presidente cessò di nominare il governatore del
DF lasciando questa prerogativa alla consultazione popolare. Nello stesso anno il Banco de Mèxico
acquistò un’autonomia sempre più grande dall’esecutivo il quale venne privato della facoltà di
determinare le linee di politica monetaria del paese. Allo stesso modo sul piano giudiziario
avvennero importanti cambiamenti che indebolirono, seppur limitatamente, la dipendenza del potere
giudiziario dall’esecutivo. Infine, a partire dal 1996 il Procuratore Generale della Repubblica non
venne più nominato liberamente dal presidente, ma la sua scelta doveva essere ratificata da due terzi
del Senato.
Come abbiamo visto in precedenza, il legame tra il sistema politico e il regime del partito
egemonico è da sempre stato un elemento chiave della storia messicana. Pertanto le modifiche che
hanno interessato la forma di governo a partire dagli anni Novanta hanno influenzato a loro volta
anche il sistema di partito egemonico che negli stessi anni ha conosciuto un processo di apertura
progressiva alla competizione elettorale riuscendo a rompere l’egemonia del PRI che per
settantun’anni aveva dominato la vita politica messicana. Le basi della genesi di questo processo
vanno ricercate nelle riforme elettorali che negli ultimi quarant’anni sono state approvate in
Messico a partire dalla Ley de Federal de Organizaciones Polìticas y Proceso Electoral (LOPPE,
1977) alla quale sono seguite le riforme successive del 1986, 1990-91, 1994, 1996. L’approvazione
di queste disposizioni in materia elettorale ha permesso di creare le condizioni legislative per
decretare la fine del “sistema di partito egemonico” del PRI che era riuscito a controllare i diversi
livelli di potere dello Stato messicano a partire da quello federale fino ad arrivare a quello
municipale.
Nel corso degli anni il regime del Pri ha basato la sua forza su tre fattori fondamentali: innanzitutto
la pratica del corporativismo; in secondo luogo la figura di un presidente forte dotato di ampi poteri
dettati dalla Costituzione del 1917; infine l’esercizio del potere in senso centralista. Su questo
ultimo punto vale la pena soffermarsi: seppur dotato di un’etichetta federalista, il regime priista ha
sempre agito secondo dinamiche proprie di uno stato centralista dove un ruolo fondamentale era
attribuito al partito egemone. Il presidente della Repubblica deteneva il controllo su tutte le aree del
8
paese poiché era, allo stesso tempo, capo del governo, capo di Stato e capo del Partito dal quale
dipendevano le carriere politiche dei funzionari di governo a tutti i livelli.7
Il controllo del PRI su ogni livello di governo non escludeva la dialettica interna al partito. Lo
scontro però tra i differenti candidati avveniva all’interno del Pri che rappresentava il luogo dove le
controversie venivano risolte attraverso un meccanismo di negoziazione fondato su una ferrea
disciplina. Ed era proprio quest’ultimo uno dei piloni sul quale si basava la dottrina del PRI: “La
disciplina era una cosa ejemplar dentro de nuestro partido, allí sí era como un ejército de veras, la
disciplina la sentimos, la vivimos, yo la viví, era disciplinarse ante una circunstancia que las
valoraciones políticas habían colocado en primer lugar, había veces que era muy superior a unos
[…]”8
La disciplina insieme alla lotta interna rappresentavano dunque i due pilastri sui quali il PRI riuscì a
costruirsi la forza necessaria per risolvere efficacemente il problema della successione. Il momento
cruciale di questa fase era rappresentato dal processo che portava alla proclamazione dei candidati
ufficiali dei partiti. Dato il contesto istituzionale che escludeva una vera e propria competizione
elettorale, la questione della democrazia venne trasferita all’interno del PRI.
Il partito dunque poteva inviare i propri emissari dagli organi centrali a quelli periferici dando vita
pertanto ad un grande movimento di attori politici tra cui governatori, segretario del partito,
segretari dei settori, delegati, che si spostavano dal centro alle periferie in una sorta di movimento
perpetuo. Una struttura di controllo e di selezione della classe dirigente fortemente controllata dal
vertice, ma che riusciva a mantenere un federalismo particolare dove l’ingerenza dei vertici federali
nella scelta dei governatori era bilanciata dall’autonomia concessa ai governatori nei propri territori
che avevano la facoltà di selezionare a loro volta i candidati alle presidenze municipali e i futuri
deputati statali esercitando in questo modo il controllo sulle nomine all’interno del proprio stato.
Ed è proprio dal livello più debole della catena politica , quello dei municipi, che il sistema priista
iniziò a disgregarsi a partire dall’inizio degli anni Novanta. Grazie allo sfruttamento delle parziali
aperture offerte dal cambiamento della legislazione in materia elettorale, i partiti dell’opposizione
iniziarono a conquistare i consigli municipali di alcune zone del paese fino ad arrivare al potere in
alcuni Stati della Federazione come avvenne nel novembre 1989 quando al governatorato della
Baja California giunse un esponente del Pan. Fu il segnale della rottura dell’egemonia del PRI a
livello locale che portò ad una disgregazione sempre più rapida del partito egemonico
7
8
Carpizo, J, El presidencialismo mexicano, Mèxico, SigloXXI, 1978
Intervista con Augustín Ruiz Soto, realizzata a Città del Messico, 19 settembre 2001, citata in Bertaccini T., El
régimen prísta frente a las clases medias, 1943-1964, México, CONACULTA, 2009.
9
accompagnata dal potenziamento del Partido de Acciòn Nacional che nel 1991 conquistò lo Stato di
Guanajuato, nel 1992 Chihuahua e nel 1995 Jalisco. In appena undici anni di legislatura (19892000) il Pri perse il controllo di 13 stati su 32 (41%) , di 635 dei 2009 sindaci scelti con il voto
popolare ( 32%) e 15 dei 32 congressi statali (47%). 9A livello statale e municipale iniziava a
concretizzarsi quell’alternanza politica resa possibile dalle riforme elettorali degli anni passati che
aveva generato un aumento della competizione politica e della partecipazione della popolazione al
processo elettorale.
L’anno decisivo che decretò il cambiamento definitivo del sistema del partito egemonico messicano
fu il 1997 quando il PRI perse per la prima volta nella sua storia la maggioranza al congresso che
smise così di essere una mera appendice del potere esecutivo. 10 Nello stesso anno il PRI perse anche
la prima elezione che si disputava per il governatore del Distrito Federal. Fino a quel momento, la
scelta del governatore del DF era prerogativa diretta del Presidente. Ma dopo diverse negoziazioni e
trattative che portarono nel 1997 ad un accordo tra le diverse parti politiche, per la prima volta il
Distrito Federal poteva scegliere attraverso il processo elettorale il proprio governatore, una svolta
che segnò così la fine del rapporto speciale di subordinazione e quindi di controllo che vigeva tra il
Presidente e il governatore del DF.
Il processo di transizione democratica giunse a compimento nel 2000 quando il candidato del
Partido de Acciòn Nacional Vicente Fox venne eletto alla Presidenza. L’alternanza che negli anni
precedenti aveva interessato il livello municipale e statale arrivò per la prima volta anche al livello
federale provocando la rottura degli equilibri interni al Pri. Perso il controllo sul vertice della
piramide che garantiva il controllo sulla successione, si aprirono lacerazioni profonde interne al Pri.
I vantaggi futuri che la candidatura nelle fila del Pri aveva offerto fino a quel momento ai suoi
candidati, vennero meno e potevano essere ottenuti anche con il passaggio in un altro partito. Una
tendenza che venne confermata nelle elezioni del 2006 quando la battaglia per la presidenza venne
giocata dai due candidati del Pan e del Prd, mentre per la prima volta il PRI si trovò relegato al
terzo posto nell’agone elettorale. I soli 233 mila voti di scarto che decretarono il successo del
candidato panista Felipe Calderòn e i sospetti di frode che gravarono sopra le elezioni, che non si
placarono nonostante la conferma dei risultati elettorali votata all’unanimità dal Tribunal Electoral
del Poder Judicial de la Federaciòn, fecero sì che il nuovo presidente si insediasse a Los Pinos con
un handicap in termini di legittimità. Un deficit che come ha dichiarato in un’intervista l’ex
9
10
Hernàndez Rodrìguez R., “Los gobernatores y el federalismo” in Meyer L. e Bizberg I., Historia contemporanea de
Mèxico, Mèxico, Oceano, 2005, p. 206
Reynas J.L. “El sistema politico: cambio y vicissitudines” in Meyer L. e Bizberg I., Historia contemporanea de
Mèxico, Mèxico, Oceano, 2005
10
cancelliere di Vicente Fox Jorge Castaneda 11, il neo presidente Calderòn provò a colmare anche
dichiarando, come vedremo nei prossimi capitoli, la cosiddetta guerra ail narcos.
1.2 Una società in trasformazione
Il processo di transizione dell’assetto politico – istituzionale che ha visto protagonista il Messico a
partire dagli anni Novanta si è accompagnato ad un cambiamento avvenuto anche sul piano
demografico. Secondo i dati forniti dall’Instituto de Estudios de la Transiciòn Demografica, nel
periodo compreso tra il 1990 e il 2010 la popolazione messicana è cresciuta di 24.5 milioni di
persone, mentre nei prossimi vent’anni la cifra potrà aumentare di almeno dodici milioni 12. Oggi il
Messico vive un momento di boom demografico: analizzando la piramide dell’età, si nota che la
fascia d’età con la maggior incidenza sul totale della popolazione è proprio quella che raggruppa gli
individui tra i 12 e i 29 anni. Il Messico può essere considerato come un paese giovane dove la
fascia di popolazione tra i 12 e i 29 anni rappresenta il 34.5% di quella totale. 13 Si tratta di una
fascia di nati dopo il 1968, una data che simboleggia il cambiamento del rapporto tra società e stato,
che è cresciuta in un contesto di crisi economiche cicliche, testimone dei mutamenti socio
economici derivanti dalla globalizzazione, che rappresenta una generazione prevalentemente
urbana14 e ha conosciuto il declino delle politiche di welfare. Proprio per il suo peso numerico è
diventata un bacino elettorale al quale la politica ha sempre puntato per attingere voti.
Ma al processo di transizione demografica non è seguita una modifica della struttura del mercato
del lavoro che si è dimostrato inefficace nel dare una risposta alla massa di giovani che hanno
terminato il loro percorso di studi. Il risultato sono i 500mila giovani 15 che non hanno possibilità di
trovare un lavoro e finiscono a rinforzare il campo del settore informale o tentano l’emigrazione
negli Stati Uniti. Nonostante le crescenti misure repressive lungo la frontiera imposte dalle autorità
statunitensi si calcola che ogni anno 450 mila messicani emigrano dal proprio paese16.
11
http://www.informador.com.mx/mexico/2009/152364/6/calderon-dudo-de-su-triunfo-en-2006-jorge-castaneda.htm
consultato il 29 luglio 2011
12
Reguillo R., “Leviatán desafiado. Los jóvenes frente al Estado mexicano”, in Aziz A. e Alonso J, El Estado
Mexicano: herencias y cambios, Mèxico D.F. CIESAS, 2005
13
Ibidem p.201
14
Secondo l'Encuesta Nacional de Juventud il 48.7% dei giovani vive in città con più di 100mila abitanti,
15
Angelini M. “L’altra faccia del narcotraffico” in Narcomafie n.2, febbraio, 2011, p. 51
16
Ibidem p.51
11
Un altro fenomeno che ha trasformato la società messicana nella seconda metà del secolo scorso è
quello dell’urbanizzazione. Se nel 1950 solamente un messicano su tre viveva in contesti urbani
(con più di quindicimila abitanti), oggi quasi il 70% della popolazione può essere considerata
urbana e il 30% degli abitanti del paese è concentrato nelle quattro metropoli più grandi. Un
processo che ha investito anche anche l’ambito lavorativo, se si considera che a metà del secolo
scorso la popolazione impiegata attivamente nel settore agricolo rappresentava il 60% del totale,
mentre oggi quella percentuale è scesa al 25%.17 Di fronte a questa trasformazione risulta
interessante mettere in evidenza l’influenza di questi cambiamenti strutturali sulla geografia dei
movimenti sociali. Il teatro delle lotte e della protesta sociale si è spostato prevalentemente nel
contesto urbano, si pensi per esempio ai moti che nel 2006 hanno infiammato la città di Oaxaca. Ma
non si può dimenticare che agli inizi degli anni Novanta vi è stata anche una ripresa dei movimenti
di carattere indigenista che hanno saputo coniugare la lotta per la difesa dei propri diritti e delle
proprie tradizioni con la critica al nuovo modello di sviluppo imposto dalla globalizzazione tradotto
negli accordi sul libero commercio e dalle politiche economiche neoliberiste avviate a partire dalla
fine degli anni Ottanta. Esempio di tale fase è stato l’Ezln che se da un lato ha saputo mettere in
pratica nel proprio contesto territoriale l’alternativa politica e sociale da essi propagandata, d’altro
canto non è riuscito ad estendere la propria esperienza alle altri parti del paese come dimostra il
fallimento della Otra Campana del 2006.
Tra i problemi più gravi che affliggono la società messicana di oggi non si puo’ dimenticare quello
della diseguaglianza. Seppur in calo negli ultimi quindici anni, l’indice di diseguaglianza, misurato
dal coefficiente di Gini, rimane su livelli più alti rispetto agli altri paesi con lo stesso livello di
reddito economico. In Messico, vi è una forte differenza nella distribuzione della ricchezza non
soltanto rispetto alle classi sociali, ma anche rispetto alle aree geografiche all’interno del paese. Lo
0,18% della popolazione detiene un terzo della ricchezza messicana.18 E allo stesso tempo, i tassi di
disoccupazione continuano a rimanere alti e il salario minimo ha perso dal 1982 ad oggi il 78% del
suo potere d’acquisto19. I messicani che vivono in stato di povertà alimentare sono passati da 14.4
milioni a 19.5 milioni nel periodo 2006-2008 (dal 13% al 18%). Questo significa che in soli due
anni si sono creati 5 milioni di cittadini che vivono questa condizione. La povertà nelle
17
18
19
De la Pena G., “Sociedad civil y resistencia popular en el Mèxico del final de siglo XX”, in Leina y Servìn, Crisis,
reforma y revoluciòn Mèxico: historia de fin de siglo, Taurus Conaculta, Inah,Mèxico, 2002, pp 371-425
Monsivais C., “Mèxico en 2009: la crisis, el narcotràfico, la dereche medieval, el retorno del PRI feudal, la naciòn
globalizada”, in Nueva Sociedad, num. 220, marzo aprile, 2009
Ibidem
12
opportunità20ha colpito nel 2008 26.8 milioni di messicani contro i 21.7 milioni del 2006 (dal 20.7%
al 25.1%). Stesso discorso vale per la povertà negli assets che nel 2008 ha visto coinvolti 50
milioni di messicani, 5 milioni in più rispetto al 2006 (dal 42 al 47%).
Ma l’indice di diseguaglianza deve essere posto in relazione non solo con il reddito percepito, ma
presenta grandi variazioni in base alle differenze territoriali, etniche e di genere. Per quanto riguarda
la discriminazione etnica, in Messico vi sono 10 milioni di indigeni pari al 10,1 % della
popolazione. Una percentuale che negli stati meridionali del paese come il Chiapas, Oaxaca e
Yucatan sale fino al 20%. Questa parte di popolazione messicana percepisce redditi inferiori
rispetto alle medie nazionali. Il censimento del 2000 offre alcuni dati interessanti: se l’8,4% della
popolazione dichiara di non percepire alcuna entrata mensile, la percentuale indigena sale al 25%.
Un divario simile si osserva analizzando i dati di coloro che hanno un reddito inferiore al salario
minimo (55% indigeno rispetto al 43% della media nazionale) 21. A questo, si aggiungono le
difficoltà derivanti dal risiedere in località sprovviste dei servizi sanitari ed educativi di base e prive
dell’accesso all’acqua potabile. Una tendenza che viene confermata dai maggiori indicatori statistici
in materia di salute, alimentazione, infrastrutture che mostrano enormi disparità a seconda del
gruppo etnico di appartenenza.
Ma le differenze negli indici di diseguaglianza dipendono anche dal luogo di residenza e di lavoro.
Tradizionalmente i salari della zona sud del paese, a parità di impiego, sono più bassi rispetto a
quelli percepiti nella zona settentrionale del paese o nelle grandi città. Allo stesso modo i salari dei
lavoratori impiegati nel campo rurale sono inferiori rispetto a quelli dei lavoratori urbani.
Infine una delle categorie più esposte allo sfruttamento è quella delle donne, vittime da un lato del
retroterra culturale machista e dall’altro del caso esemplare dello sfruttamento nelle fabbriche di
assemblaggio, le maquilladoras, sorte lungo la frontiera statunitense.
Questo quadro della società messicana rischia di influire negativamente sul progresso politico e
istituzionale messicano. Come fa notare la Comisiòn Economica para l’Amèrica Latina (CEPAL),
la coesione sociale rappresenta una delle condizioni fondamentali per salvaguardare la tenuta degli
stati costituzionali.22 In questo modo l’esclusione e la frammentazione sociale rischiano di
provocare delle conseguenze nel campo della sicurezza pubblica poiché tendono a indebolire il
tessuto sociale che diventa facile terreno di conquista per i narcos i quali possono andare a
20
21
22
Si veda a tal proposito il concetto di povertà secondo le “capabilities” analizzato da Amartya Sen
Instituto Nacional de Estadística, Geografía e Informática. La poblaciòn indigena en Mexico, INEGI, 2004
CEPAL, Cohesion social. Inclusiòn y sentido de pertinencia en Amèrica Latina y el Caribe, Chile, 2007
13
soddisfare quella domanda di servizi diretti e indiretti che dovrebbe essere garantita dall’attore
statale.
1.3 L’apertura del mercato messicano
Nelle ultime due decadi, il Messico ha conosciuto un processo di cambiamento profondo nella sua
struttura economica parallelo alla trasformazione appena descritta del sistema politico –
istituzionale e in campo sociale. Dopo aver convissuto per oltre cinquant’anni con un sistema
economico dominato dal ruolo centrale dello Stato, l’economia messicana ha conosciuto un
processo di liberalizzazione caratterizzato dall’apertura ai mercati internazionali e dalla progressiva
privatizzazione dei settori controllati fino ad allora dallo Stato. I primi segnali di questo fenomeno
sono riscontrabili nelle politiche economiche messe in atto dal presidente Miguel de la Madrid
(1982-1988) a metà degli anni Ottanta, ma è a partire dal presidente Salinas de Gortari (1988-1994)
e con i suoi successori che il processo di liberalizzazione è diventato più intenso.
L’origine della politica di privatizzazione attuata durante il periodo “salinista” 23 va ricercata nel
tentativo di far rientrare gli ingenti capitali che negli anni passati erano usciti dal paese e che
avevano tolto un’ampia fetta di ricchezza all’economia messicana, mostrando agli investitori di
tutto il mondo che il Messico poteva rappresentare un luogo ideale per investimenti sicuri. Per
ottenere tale risultato, il presidente Salinas adottò due strumenti di politica economica. Da un lato,
accentuò il processo di privatizzazione delle banche nel 1990 provando a far diminuire i tassi di
interesse e allentando il controllo dello Stato sull’economia attraverso un processo di deregulation24.
Dall’altro, vi fu un tentativo di rinforzare la cooperazione internazionale commerciale con gli altri
paesi dell’area nordamericana iniziando le trattative per la stipulazione del Tratado de Libre
Comercio de Amèrica del Norte (TLCAN). Dall’entrata in vigore dell’Accordo sul Libero
Commercio, avvenuta nel 1994, la percentuale di importazioni dagli Stati Uniti è cresciuta dal 7 al
12 %25 mentre le importazioni dal Canada sono raddoppiate fino al 5% . La tendenza ad ampliare
l’area di libero commercio si è poi accresciuta nel tempo: basta pensare che nel corso degli anni
23
24
25
Meyer L., “Transformaciones y permanencias” in Meyer L. e Bizberg I., Una historia contemporanea de Mèxico ,
Mèxico, Ocèano, 2005, p. 246
Ibidem p.248
Cia World Factbook: Mèxico (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html)
consultato il 10 luglio 2011
14
Novanta e Duemila, il Messico ha stipulato accordi di questo tipo con oltre cinquanta paesi e ad
oggi oltre il 90% delle merci importate viaggia senza barriere restrittive. Il partner commerciale
privilegiato continuano a rimanere gli Stati Uniti che ricevono l’80% del totale delle esportazioni
messicane.
Per quanto riguarda il processo di privatizzazione i dati offerti dalla ricerca di Josè Juan Sanchez
Gonzàlez parlano chiaro: tra il 1982 e il 2003 il numero di imprese statali si è ridotta da 1155 a 207
26
. In particolare durante il periodo salinista il processo di privatizzazione ha portato nelle casse
dello Stato messicano 74.6 milioni di pesos.
27
L’influenza dello Stato nei diversi settori
dell’economia si è ridotta drasticamente in questi anni se si pensa che se alla fine degli anni Ottanta
l’attore statale aveva interessi in più di cinquanta settori mentre nel 1993 si era ritirato da ventuno di
questi rami economici.28
Il processo di privatizzazione qui descritto avvenuto nel periodo tra il 1983 e il 2006 ha provocato
un cambiamento fondamentale nel ruolo dello Stato nell’economia. La perdita progressiva
dell’influenza dello Stato e della politica nelle vicende economiche del paese ha decretato il
passaggio da un modello economico chiuso ad un modello economico aperto. Un cambiamento che
non può essere ascritto ad una pressione derivante dalla società, ma così come è avvenuto per gli
altri paesi dell’area latino americana è derivato dall’interazione che ogni regione ha tenuto con i
processi economici che nello stesso periodo sono avvenuti nel resto del mondo29.
Il processo di cambiamento del modello economico messicano non può essere considerato in modo
lineare, ma ha dovuto affrontare nel suo percorso momenti di grandi difficoltà dovute a due grandi
crisi. All’indomani dell’insediamento del nuovo presidente Zedillo, il paese si è trovato a dover
fronteggiare una delle recessioni più intense della sua storia: tra il 1994 e il 1995 il PIL si è ridotto
del 6.2%.30 Una crisi profonda dalla quale il Messico è riuscito ad uscire velocemente grazie agli
ingenti aiuti arrivati dal vicino di casa statunitense e dalle istituzioni finanziarie internazionali.
All’inizio del luglio del 1995 il Messico aveva ricevuto 22500 milioni di dollari complessivi dei
quali 12500 milioni di dollari elargiti dal Tesoro e dalla Riserva Federale degli Stati Uniti, 300
milioni dalla Banca del Canada, mentre gli aiuti restanti erano stati concessi dal Fondo Monetario
Internazionale31.
26
27
28
29
30
31
Sanchez Gonzalèz J.J., “Cambio instiucional en el modelo economico in Torres Espinoza” in Guadarrama E. J.,
Transición y nueva institucionalidad en México. México, FES Acatlán - LAT.Net – IAPEM, 2008, p.138
Ibidem p.140
Ibidem p.143
Ibidem 124
Op Cit. p.250
Ibidem p.151
15
Ma i rapporti con l’altra sponda del Rio Grande si sono trasformati nel corso degli ultimi vent’anni.
Se durante la crisi di metà anni Novanta, gli Stati Uniti avevano contribuito alla soluzione del
problema concedendo prestiti e aiuti al vicino in difficoltà, nel 2008 essi sono stati la causa
principale della crisi economica che ha portato l’economia mondiale sull’orlo del tracollo e ha
provocato una diminuzione del Pil messicano del 6%32.
Una crisi profonda, ma limitata nel tempo se si pensa che già nel 2009 l’economia messicana è stata
una delle prime a riprendersi tra quelle dei paesi dell’area latino-americana registrando un tasso di
crescita del 5.5%33.
Oggi l’economia messicana rappresenta la dodicesima economia al mondo in termini di GDP PPP. 34
I settori più importanti rimangono quello dell’estrazione petrolifera e quello delle rimesse dei
migranti che secondo i dati della World Bank ammonta a 21.3 miliardi di dollari e che nel gennaio
2011 sono aumentate del 5,8%.
L’economia messicana ha dunque patito la crisi in maniera meno pesante pur registrando tassi di
crescita inferiori ai paesi dell’area latinoamericana. Il settore che di certo non ha conosciuto gli
effetti della crisi, anzi, si è potuto ampliare, è quello dell’economia del narcotraffico. Le stime
suggerite nel 2009 dal National Drug Institute35 statunitense parlano di somme comprese tra i 18 e i
39 miliardi di dollari che per la maggior parte vengono reinvestiti al di là del confine statunitense
grazie all’assenza di controlli finanziari. Ma le stime ufficiali nascondono la reale grandezza di un
giro di affari che ha conquistato ampi settori dell’economia messicana sfruttando l’uso della
violenza e la situazione di crisi di liquidità che ha favorito la diffusione del denaro sporco e pronto
all’uso guadagnato dalla vendita di stupefacenti. La criminalità organizzata ha dunque potuto
sfruttare i processi di cambiamento del modello economico e di perdita di influenza dello Stato
nell’economia dovute all’apertura al libero mercato che hanno così contribuito a indebolire i
meccanismi di controllo della politica sui flussi finanziari interni e globali.
32
33
34
35
Cia World Factbook: Mèxico (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html)
consultato il 10 luglio 2011
https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html consultato il 10 agosto 2011
World Bank Report, http://data.worldbank.org/data-catalog consultato il 14 agosto 2011
http://www.worldpolicy.org/blog/2010/09/09/inside-mexicos-drug-war consultato il 10 agosto 2011
16
CAPITOLO 2
LA DESCRIZIONE DEL FENOMENO NARCOS
La storia della criminalità organizzata messicana degli ultimi vent’anni appare indissolubilmente
legata ad un filo conduttore bianco e polveroso: la cocaina. Una droga che proprio in questo periodo
ha conosciuto un aumento esponenziale del consumo a livello globale e che ha rappresentato la
forma di finanziamento principale delle organizzazioni criminali di tutto il mondo e tra queste anche
dei cartelli della droga messicani. Limitando la descrizione dell’evoluzione del sistema dei cartelli
messicani all’interno del periodo compreso tra l’inizio degli anni Novanta e l’attualità risulta
possibile evidenziare alcune linee di tendenza che permettono la comprensione di un fenomeno così
complesso.
2.1 Dal monopolio nazionale all’oligopolio violento: il cambiamento della geografia dei cartelli
Il ruolo dei cartelli messicani nel contesto criminale americano non può non essere considerato in
relazione a quello svolto dai cartelli della droga colombiani che negli anni Ottanta occupavano una
posizione di predominio nel sistema criminale dell’area. I contatti tra le due organizzazioni
risalivano infatti alla metà degli anni Ottanta e si svilupparono grazie allo sfruttamento delle
rispettive peculiarità.
Da un lato i cartelli messicani, dopo aver tratto guadagno dalla produzione e dal traffico di oppio e
marijuana nel corso del Novecento, disponevano delle rotte sulle quali far viaggiare i grandi carichi
di cocaina provenienti dall’emisfero meridionale del continente pur non essendo in possesso della
materia prima36. “Il Messico era territorio ideale per il traffico di stupefacenti: la totalità dei suoi
stati settentrionali confina con gli Stati Uniti; ha sbocchi sui mari e una lunga tradizione di traffici
illegali. Inoltre, negli anni dei primi contatti con i colombiani viveva una grave crisi economica. Il
coinvolgimento nel traffico di stupefacenti rappresentava per il paese una buona opportunità di
ripresa”37.
Dall’altro lato i cartelli colombiani di Medellin e Cali detenevano il controllo sulla fase di
produzione della cocaina ed erano alla ricerca di nuove rotte in seguito alla chiusura del corridoio
36
37
Angelini M., “La conexiòn colombo messicana”, in Narcomafie, num.2, febbraio, 2011, p. 36
Ibidem p.37
17
caraibico dovuto all’operazione statunitense Hat Trickche si svolse in due fasi nel periodo 19841985 e coinvolse il Dipartimento della difesa statunitense, la Marina e la Dea.38
In seguito alle difficoltà incontrate dai cartelli colombiani e grazie alle rotte messe a disposizione
dai loro vicini messicani si concretizzò così un vero e proprio accordo stipulato tra le due
organizzazioni nel 1984 nel quale si posero le basi per l’inizio di una collaborazione nel traffico
degli stupefacenti. Stando alle disposizioni contenute in questo accordo, i messicani non avevano
nessun diritto di proprietà sulla merce in transito, ma si limitavano a ricevere una percentuale in
denaro proporzionale alla quantità di droga trasportata 39: “Cuando los narcotraficantes colombianos
comenzaron a moverse a través de México, se percataron de que el envío era más difícil de lo
anticipado, en gran medida debido que a las redes de corrupción y crimen que unían a los
traficantes y a los poderosos estaban ya formadas, y era difícil ingresar a ellas. Las barreras de
entrada eran demasiadas. Como resultado, los traficantes colombianos optaron por apoyarse en
intermediarios 18ace boo”.40
Sul finire degli anni Ottanta con l’ampliamento progressivo del business della cocaina la cui
domanda continuava ad aumentare non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, si verificò
un’evoluzione costante del patto del 1984 che contribuì alla ridefinizione degli equilibri tra i due
attori. I cartelli messicani infatti, forti della posizione strategica assunta nel corso degli anni e
guadagnatisi la credibilità necessaria allo svolgimento regolare dei traffici illeciti, iniziarono a
richiedere non più solamente la quota in denaro sul passaggio della merce, ma anche il 30% della
cocaina in transito, operando in questo modo un vero e proprio salto di qualità41. Nel processo di
ristrutturazione dell’industria e del sistema di commercio della droga, sebbene la Colombia fosse
rimasta il principale paese produttore di cocaina, le organizzazioni messicane smisero di ricoprire
un ruolo secondario nell’universo criminale iniziando ad agire da protagonisti 42. Una trasformazione
che viene descritta in questo modo da Sigrid Arzt y Guillermo Vázquez: “Las organizaciones del
crimen organizado en México han pasado de ser pasivas transportadoras de cargamentos de
sustancias ilegales, a proactivas organizaciones de mayor complejidad, tamaño y poder que
emplean la violencia y la intimidación para debilitar a las instituciones de gobierno e incrementar
la percepción de inseguridad entre los ciudadanos para aumentar sus ingresos.43.
38
39
40
41
42
43
http://www.druglibrary.org/schaffer/govpubs/amhab/amhabc5.htm consultato il 1 agosto 2011
Op. cit. p.36
Williams P., “El crimen organizado y la violencia en México: una perspectiva comparativa”, in Istor, num. 42,
agosto, 2010, p. 26
Op. cit. p.36
Op. cit p.26
Arzt S. e Vázquez, “Violencia en México: realidades y perspectivas” in Istor, num.42, agosto, 2010, p. 52
18
I cartelli della droga messicani si trasformarono così in vere e proprie organizzazioni criminali
capaci di mettere in pratica strategie e tattiche di carattere paramilitare per controllare la maggior
quantità possibile del mercato della droga e per estendere la propria influenza su ampie zone del
territorio messicano.
Protagonista di questa fase di trasformazione dei cartelli della droga messicani durante gli anni
Ottanta fu il cartello messicano di Guadalajara guidato da Miguel Feliz Gallardo che fino al 1989 fu
a capo di un vero e proprio sistema accentrato all’interno del quale la sua famiglia ricopriva un
ruolo dominante nell’universo delle diverse organizzazioni criminali presenti sul territorio
messicano.
Miguel Feliz Gallardo, conosciuto anche con il soprannome di Capo dei capi, dopo aver intrapreso
studi commerciali ed aver lavorato come poliziotto, iniziò una carriera criminale rapida quanto
intensa favorita dalla protezione politica del governatore dello stato di Sinaloa, Leopoldo Sanchez
Celis (1963-1968) che fu suo testimone di nozze e facilitò la stipulazione di trattative con il mondo
politico ed economico. Grazie al suo carisma e alla sua leadership, Gallardo riuscì a mantenere una
situazione di equilibrio nel sistema criminale dei cartelli messicani fondato sull’egemonia del
cartello di Guadalajara. Una pace che permise lo sviluppo degli affari economici dei cartelli, ma
che non riuscì ad evitare negli anni Ottanta una serie impressionante di delitti contro le autorità di
polizia tra i quali anche agenti della Dea statunitense. Il cartello di Guadalajara forte della sua
posizione di egemonia nei confronti delle altre organizzazioni criminale messicane fu anche il
principale protagonista delle trattative condotte con i cartelli colombiani avvenute verso la metà
degli anni Ottanta per il passaggio della droga verso gli Stati Uniti sul suolo messicano.
L’erosione del sistema egemonico criminale dominato dal Cartello di Guadalajara e dal suo leader
Miguel Feliz Gallardo sembrò ricalcare la stessa parabola, almeno sotto il profilo temporale, della
fine dell’egemonia del Partido Revolucionario Institucional. L’anno simbolo di questi due processi
paralleli e contemporanei sembra essere il 1989: proprio in questo periodo, mentre il PRI iniziava a
perdere il controllo del territorio a seguito dell’elezione del primo governatore di un partito
dell’opposizione44 ebbe luogo l’arresto del Capo dei Capi. Un fatto eccezionale che aprì una
violenta fase di “vuoto di potere” nel sistema criminale messicano45. In seguito alla detenzione di
colui che grazie al suo carisma, riusciva a tenere a bada le mire espansionistiche dei vari cartelli,
44
45
Nel 1989 il candidato del Pan Enesto Ruffo Appel viene eletto governatore nello Stato della Baja California
Blancornelas J., El càrtel, D.F. Plaza Janes, 2003
19
venne meno la capacità di gestione delle tensioni intestine al sistema di cartelli messicani e si avviò
così lo scoppio di una violenta lotta per la successione e per il controllo delle rotte della droga.
Tra le figure più importanti che emersero dalla fase di scontro per la successione di Feliz Gallardo
vi furono El Chapo Guzmàn Loera e i fratelli Arellano Felix. Questo periodo è stato definito dal
sociologo Luìs Astorga come “il passaggio da un sistema criminale dotato di una struttura
monopolistica ad una struttura oligopolistica all’interno della quale diversi gruppi criminali
operano in territori strategici in costante disputa non ottenendo mai un dominio esclusivo su di
essi, conditio sine qua non per un effettivo dominio monopolistico” 46. Si passa così da un sistema di
monopolio nazionale ad un oligopolio violento costruito su un equilibrio dinamico tra i vari cartelli
che negli ultimi anni hanno cambiato strategie e alleanze in base alle opportunità offerte dal
momento storico.
Si propone ora una descrizione sintetica dei principali cartelli operanti nell’anno 2010 sul territorio
messicano47:
Il cartello di Sinaloa (detto anche del Pacifico) nacque in seguito all’arresto di Feliz Gallardo e alla
conseguente disgregazione del cartello di Guadalajara. Principale artefice della nascita e della
scalata verso la conquista del potere fu Joaquin Guzman Loera meglio noto come El Chapo, figura
celeberrima nel mondo del narcotraffico internazionale, inserito dalla rivista Forbes nella lista degli
uomini più ricchi del pianeta e reso celebre dall’evasione avvenuta nel 2001 dal carcere di massima
sicurezza di Puente. L’organizzazione che ruotava attorno alla figura carismatica del Chapo si
sviluppò a partire dagli Novanta e conobbe una rapida ascesa nel contesto criminale messicano. Tra
le principali attività del cartello di Sinaloa che ne finanziarono l’ascesa, vi erano il traffico della
cocaina proveniente dalla Colombia, della marijuana coltivata sul territorio messicano e delle
anfetamine prodotte nel sud est asiatico. La continua espansione del business degli stupefacenti
favorì l’ampliamento del controllo sinaolense sul mercato delle droghe in ben diciassette Stati
messicani tra cui Sinaloa, Sonora, Nayarit, Chihuahua, Durango, Jalisco, Colima, Chiapas,
Guerrero,Zacatecas, Baja California, Baja California Sur, Oaxaca, Guanajuato, Querétaro, Tlaxcala,
Puebla,Morelos, Mexico City.48
46
47
48
Angelini M., “Come un’idra a nove teste” in Narcomafie, num.2, febbraio 2011., p.36
La presente descrizione è stata elaborata grazie alle informazioni derivanti dai lavori di un investigatore delle forze
dell'ordine italiane esperto di mafie internazionali come Piero Innocenti, del professore universitario Eduardo
Guerrero Gutierrez e di alcune informative rese note dalla Dea.
Innocenti P., “La mappa dei cartelli”, in AA.VV. “Messico la guerra dei narcos”, Libera e Flare Network, Torino ,
2010
20
Il cartello di Juarez ebbe origine all’inizio degli anni Settanta nella città di Ciudad Juarez, lungo il
confine statunitense. Dopo un lungo periodo dominato dalla figura di Rafael Aguilar Guajardo, nel
1993 il cartello passò nelle mani di Amado Carrillo Fuentes soprannominato il signore dei cieli per i
grandi quantitativi di cocaina trasportati utilizzando piccoli aerei. Un personaggio molto discreto,
morto nel 1997 in una clinica messicana durante un intervento di chirurgia plastica per cambiare i
lineamenti del volto. La successione della leadership fu affidata al fratello Vicente che però non
riuscì a frenare lo stato di declino del cartello che nel nuovo millennio si trovò a dover affrontare
una lotta all’ultimo sangue per il controllo della zona di Juarez con i rivali del cartello di Sinaloa.
Una sfida dalla quale il cartello dei Carrillo Fuentes uscì sconfitto dovendosi accontentare di
giocare un ruolo secondario nella gestione dei traffici lungo il confine statunitense. Ad oggi il
cartello non sembra aver patito grandi conseguenze se si pensa che esercita la propria influenza in
21 stati della Federazione, con particolare intensità in Chihuahua, Culiacán, Monterrey, Ciudad
Juárez, Ojinaga, Mexico City, Guadalajara, Cuernavaca e Cancùn.
L’origine del cartello di Tijuana è legata proprio al processo di disgregazione del cartello di
Guadalajara avvenuto nel 1989 in seguito all’arresto di Miguel Feliz Gallardo. Se da un lato questo
avvenimento portò alla creazione del Cartello di Sinaloa guidato da El Chapo Guzmàn, dall’altro i
fratelli Arellano Felix contribuirono alla nascita di un nuovo cartello che esercitava il controllo
proprio a partire dalla città situata sulla parte occidentale della frontiera. Oggi il cartello di Tijuana
controlla un’ampia fetta dei 3140 chilometri della frontiera settentrionale con gli Stati Uniti.
Guidato dai fratelli Arellano Felix, il cartello è stato accusato dell’omicidio del cardinale di
Guadalajara Juan Jesus Posadas Campos nel maggio 1993 durante un conflitto a fuoco con i diretti
rivali di Sinaloa. Secondo la ricostruzione fornita da Innocenti, uno dei due fratelli Javier Arellano
Felix, detenuto nel carcere di massima sicurezza di La Palma di Almoloya nello Estado de Mexico,
continuerebbe a esercitare la propria influenza e avrebbe stretto un’alleanza con gli ex rivali del
cartello del Golfo.
Secondo le analisi e i rapporti degli esperti di criminalità organizzata messicana, tra i cartelli più
importanti e violenti del paese vi è il cartello del Golfo. La nascita di questo cartello risale agli anni
Settanta anche se solo dal decennio successivo l’organizzazione iniziò a impegnarsi in prima linea
nel traffico di stupefacenti sotto la guida di Juan García Abrego.49 Fu un periodo di grande sviluppo
economico che durò fino al momento dell’arresto del leader avvenuto nel 1996. Dopo una fase di
49
http://www.jornada.unam.mx/2003/03/15/046n1soc.php?origen=soc-jus.html consultato il 23 giugno 2011
21
transizione di tre anni, la guida venne assunta da un’altra figura dotata di grande carisma, Osiel
Cardenas Guillen arrestato a sua volta nel 2003. Ed è proprio da una costola del cartello del Golfo
che si formò il gruppo paramilitare dei Los Zetas composto da ex appartenenti alle forze armate e
che oggi puo’ essere considerato come un cartello a sé stante indipendente da quello del Golfo. La
scissione che ha dato origine al gruppo dei Los Zetas sembra dunque aver indebolito la tradizionale
capacità di controllo del cartello del Golfo sul territorio messicano che oggi esercita la propria
influenza in dieci stati, in particolare in Matamoros, Tamaulipas e Reynosa e nelle città di Nuevo
Laredo e Monterrey.
Il cartello Milenio emerse per la prima volta nelle indagini nel 1999 quando fu arrestato Gilberto
Garza Garcia, soprannominato El Guero, elemento importante del cartello di Juarez. A partire dalla
testimonianza del leader del cartello, la Polizia apprese dell’esistenza dei fratelli Valencia che
trafficavano in cocaina utilizzando la flotta di imbarcazioni per la pesca del tonno 50. La nascita
dell’organizzazione è da ricondurre proprio ad una scissione avvenuta verso la fine degli anni
Novanta dal cartello di Juarez. Oggi, nonostante l’arresto di Armando Valencia avvenuto
nell’agosto 2003, l’organizzazione è in continua espansione e i suoi centri operativi più importanti
sono quelli di Michoacan, Aguililla, Jalisco e Guadalajara.
Il percorso della famiglia Beltràn Leyva trae origine all’interno del cartello di Sinaloa dal quale si
separano verso la fine degli anni Duemila quando l’arresto del capo Alfredo Beltràn Leyva scatena
una faida tra la famiglia e el Chapoo Guzman che ebbe come scenario lo stato di Sinaloa. A partire
dal 2007 i Beltran Leyva iniziano a configurarsi come un vero e proprio cartello autonomo che
esercita la propria influenza negli stati di Guerrero, Chiapas, Querétaro, Quintana Roo, Sonora,
Sinaloa, Tamaulipas, estado de México y el Distrito Federal.51
Infine un caso particolare è rappresentato dalla Familia Michoacana che presenta un forte legame
territoriale con lo stato del Michoacàn. “La Familia Michoacana è nata come una forma di
struttura sociale e per molti versi ha conservato questa sua natura fino ad oggi” 52 spiega il
professor Samuel Gonzales Ruiz. Le origini di questa organizzazione vanno ricercate negli anni
Ottanta quando i coltivatori di oppio e di marijuana del Michoacàn costruirono una rete di mutuo
50
51
52
Op. Cit.
http://www.jornada.unam.mx/2008/01/30/index.php?section=politica&article=012n1pol consultato il 18 luglio 2011
http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/8319924.stm consultato il 20 agosto
22
aiuto e di difesa contro i narcos che nel corso degli anni conobbe l’evoluzione in vero e proprio
cartello riuscendo a conquistare ampi settori dell’economia, della politica e della società dello stato.
La ricerca del professor Ruiz mostra come l’85% dell’economia legale dello stato sia collegata agli
affari della Familia53. La capacità di penetrazione dell’organizzazione criminale non si è limitata
solamente all’ambito economico, ma è riuscita anche a inserirsi nella struttura sociale e culturale
michoacana. La Familia Michoacana è stato il primo gruppo di narcos a rendere pubblica la propria
identità rivelando alla stampa i propri obiettivi. Il 22 novembre 2006 inviarono un annuncio sui
giornali nel quale sostenevano di essere dei lavoratori della Terra caliente minacciati dal cartello
del Milenio. Un messaggio che esprimeva la volontà di porre fine alla situazione di disordine e
insicurezza causata dai continui sequestri, estorsioni e traffici di stupefacenti, dichiarando di agire
in nome di valori universali e di essere pronti a costruire chiese e scuole per la comunità. Dietro
questa strategia comunicativa basata sulla difesa e sul mantenimento dell’ordine e della pace, si
nasconde una realtà fatta di terrore e di violenza. Basti pensare ad uno dei tanti fatti di cronaca che
vide protagonista la Familia Michoacana quando nel 2006 fece gettare sei teste mozzate sulla pista
da ballo di un pub della città di Uruapàn.
Questa dunque è la descrizione del sistema criminale messicano nel primo decennio del XXI secolo:
un quadro che che non puo’ essere considerato in maniera statica, ma che ha conosciuto
un’evoluzione incessante a causa dei continui mutamenti nella geografia delle alleanze e delle
scissioni. Questa fase della storia della criminalità organizzata messicana si è caratterizzata per la
sua struttura di tipo oligopolistico. Una volta venuto meno il controllo centrale del cartello di
Guadalajara, che riusciva a mantenere gli equilibri tra i differenti attori criminali, si è dunque
innescato un meccanismo di lotta per la succesione che ha dato vita ad una spirale di violenza senza
precedenti e ad un processo di disgregazione del cartello egemonico nei molteplici gruppi criminali
appena descritti.
Ma nel 2010 sembra aprirsi una nuova fase nella geografia dei cartelli messicani: secondo un
documento confidenziale reso pubblico dalla Secreteria de Defensa Nacional nel gennaio 2010,
sarebbe in atto un processo di polarizzazione delle diverse organizzazioni in due grandi blocchi
distinti e contrapposti.
53
Ibidem
23
Da un lato, il cartello del Golfo, la Familia Michoacana, il cartello del Milenio e il cartello di
Tijuana avrebbero dato vita ad un network denominato Nuova Federazione guidata da El Chapo
Guzman Loera.
Dall’altro lato invece, Los Zetas, il cartello dei fratelli Beltràn Leyva e il cartello di Juarez
avrebbero stretto un’alleanza per fronteggiare il polo opposto. Al centro delle dispute tra questi due
grandi blocchi contrapposti sembrano esserci questioni territoriali legate al controllo delle rotte
della droga. In particolare, il territorio in contesa sarebbe quello al confine nordorientale con il
Texas. Si tratta dello stato di Tamaulipas, Nuevo Leòn e recentemente della città di Monterrey. Non
a caso le aree dove si sono registrati i tassi più alti di omicidi e di violenze negli ultimi mesi.54
2.1 Dalla disgregazione del sistema dei cartelli all’aumento della violenza
Il processo di rottura del sistema egemonico criminale dominato dal cartello di Guadalajara
(parallelo alla transizione democratica e al crollo del sistema del partito egemonico) ha generato
anche un processo di cambiamento nelle modalità di esercizio e nella diffusione della violenza nel
paese misurata attraverso il tasso di omicidi. Sebbene l’andamento del tasso di omicidi abbia
registrato una tendenza decrescente nel corso degli ultimi vent’anni a livello federale, occorre far
notare che tale diminuzione a livello aggregato non si è verificata negli stati della Federazione dove
la criminalità organizzata è riuscita a radicarsi con più forza e dove si sono verificate le tensioni
maggiori per il controllo delle rotte del narcotraffico.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, negli ultimi vent’anni (tra il 1990 e il 2007) il
tasso nazionale di omicidi è diminuito progressivamente anno dopo anno: se nel 1992 il tasso di
omicidi si attestava sul valore di 19 omicidi ogni mille abitanti, nel 2007 il tasso è sceso a 8 omicidi
ogni mille abitanti55 . Pertanto in soli quindici anni, si è registrata una riduzione in termini
percentuali del 39% che considerata in valori asssoluti si traduce in una diminuzione da 14520
vittime nel 1992 a 8868 nel 200756.
Ma questa tendenza decrescente si è bruscamente interrotta nel 2008, esattamente dodici mesi dopo
la guerra ai narcos lanciata dal presidente Calderòn. In soli due anni infatti il tasso nazionale di
54
55
56
Angelini M., “La creazione dei cartelli” in Narcomafie, num. 2, febbraio, 2011, p. 42
Escalante F. “La muerte tiene permiso”, in Nexos 3/1/2011 consultabile su http://www.nexos.com.mx/?
P=leerarticulov2print&Article=1943189
Polanska M., Los Homicidio e la violencia organizada en Mèxico. Un imcremento real?,, Flacso Chile Programa
Seguridad Ciudadana, 2010
24
violenza è tornato ai livelli registrati nel 1991 con un aumento del 50% della violenza tra il 2008 e il
2009.57 L’aumento del tasso di omicidi non si è verificato in modo uniforme su tutto il territorio
federale, ma si è assistito ad un processo di concentrazione della violenza in alcune aree determinate
del paese.
Tra il 2006 e il 2007 nell’insieme di stati composto da Chihuahua, Baja California, Guerrero,
Durango, Sinaloa, Nayarit, Sonora, Michoacàn, Oaxaca che costituiscono il 20% della popolazione
del paese si sono registrati il 41% degli omicidi totali, mentre nel biennio successivo (2008-2009)
ferma restando la porzione di popolazione rispetto al totale, la percentuale degli omicidi è salita al
57%. Questi dati evidenziano l’esistenza di un vero e proprio processo di concentrazione della
violenza negli stati dove la presenza dei cartelli della droga risulta più intensa. Ma spostando la
nostra attenzione sull’analisi del tasso di omicidi a livello municipale si nota che i livelli di violenza
più elevati si sono registrati proprio nelle grandi città con la sola eccezione di Città del Messico, che
pur essendo una delle più grandi metropoli del continente non sembra essere colpita più di tanto
dall’ondata di violenza dei narcos: “En Chihuahua, con un 40% de la poblacióndel estado, Ciudad
Juárez registra el 65% de los homicidios; en Baja California, con la mitad de la población,
Tijuana da cuenta del 72% de los homicidios. Tijuana casi siempre ha sido relativamente más
violenta que el resto de Baja California, pero sólo en los últimos dos años ha llegado a concentrar
más del 70% de los homicidios del estado58 .
I dati pertanto suggeriscono un cambiamento nella forma e nell’esercizio della violenza: negli anni
Settanta e Ottanta questa era legata in particolare ai movimenti sociali di natura rurale e indigena e
alla repressione nei loro confronti esercitata dallo Stato, ma già a partire dagli anni Novanta iniziava
ad assumere una connotazione legata al contesto urbano, pur essendo slegata dal mondo del
narcotraffico. A partire dagli anni Duemila e in particolare nel periodo della presidenza Calderòn,
l’aumento della violenza sembra essere legato prevalentemente al fenomeno narcos. Per supportare
questa tesi, Fernando Escalante evidenzia il dato che nelle ultime due decadi, la diminuzione della
violenza veniva riscontrata soprattutto in quei municipi con meno di diecimila abitanti nel centro e
nel sud del paese in stati come Oaxaca, Morelos, Estado de México, Hidalgo, Puebla, Campeche e
anche Guerrero e Michoacán. Nello stesso periodo, non è accaduto lo stesso nelle grandi città e nei
municipi che hanno fatto registrare i tassi di migrazione più alti e specialmente nelle città collocate
lungo il confine.59 Tra le città più colpite dall’incremento di violenza vi sono quasi tutte quelle con
57
58
59
Op. Cit.
Ibidem
Op. Cit..
25
più di cinquantamila abitanti nella parte settentrionale del paese, oltre al bacino occidentale del río
Balsas, tra lo stato di Guerrero e quello del Michoacán e nella parte alta della Sierra Madre
Occidentale, vicino agli stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango.
Ma l’aumento della violenza a partire dal 2007 non è avvenuto solamente in termini di intensità, ma
ha visto espansione del raggio della violenza in tutto il paese. L’indicatore utilizzato nella ricerca di
Guerrero per descrivere questo fenomeno è costituito dalla variazione del numero di municipi dove
si è registrato almeno un omicidio al mese. Negli ultimi tre anni (2007-2010) si scopre pertanto che
la violenza è passata dall’essere considerata un fenomeno circoscrivibile ad alcune zone ritenute
calde, soprattutto quelle in prossimità della frontiera, al diventare un vero e proprio fenomeno
endemico che coinvolge un’ampia fetta del territorio messicano. Secondo alcuni 60, nel corso del
2007 sono stati 53 i municipi che hanno registrato almeno una esecuzione in media al mese. Nel
2008 la cifra dei municipi dove si è registrata almeno un’esecuzione mensile è aumentata a 84 e nel
2009 a 131. Il 2010 si è chiuso con circa 200 municipi in questa situazione. In poche parole,
l’incremento del numero di municipi dove si è registrato almeno un omicidio al mese nel periodo
2007 – 2010 è stato del 277%61.
Tra le cause principali di questa espansione del raggio di violenza vi è il cambiamento del sistema
criminale che dopo il crollo dell’egemonia del cartello di Guadalajara ha visto l’apertura di una fase
di disgregazione e di scissioni che ha portato con sé un aumento nell’esercizio e nell’espansione
della violenza. Il legame tra la disgregazione del sistema criminale e l’espansione dell’ondata di
violenza si può ricondurre secondo questa interpretazione ad alcuni fattori 62. In primo luogo,
l’esercizio della violenza risulta collegato al processo di costruzione della reputazione delle nuove
organizzazioni nate dalla disgregazione del sistema egemonico criminale. Fin dalla sua nascita, un
cartello si avvale della violenza come mezzo per acquistare prestigio e onore che consenta
inizialmente la sopravvivenza fino ad arrivare all’espansione della propria influenza e del
consolidamento nel panorama criminale. La costruzione della reputazione rappresenta dunque un
fattore chiave per spiegare l’aumento dell’esercizio della violenza.
L’altro fattore è determinato dall’esercizio della violenza nell’ottica della gestione delle dinamiche
di competizione tra i vari cartelli. Quando la violenza si è convertita nel mezzo essenziale per
60
61
62
Guerrero Gutierrez E., “La raiz de la violencia Nexos la raiz de la violencia”, in Nexos, 2011
Ibidem
Ibidem
26
conquistare e difendere i territori e il controllo del mercato, le organizzazioni criminali non hanno
timore ad esercitarla per avere la meglio sui propri rivali. Questo processo determina l’aumento
della spirale di violenza e una maggiore intensità degli atti violenti.
Le dinamiche appena descritte che hanno messo in relazione il processo di disgregazione, di
scissione e di nascita di nuovi cartelli nel sistema criminale messicano con l’aumento della violenza
negli ultimi anni, può essere analizzato prendendo spunto dal caso dei Los Zetas che sono costituiti
dai disertori dei gruppi militari di elite, in particolare del Grupo Aeromóvil de Fuerzas Especiales
(Gafes). Questo gruppo criminale si caratterizza per il livello di armamento moderno, per il livello
professionale dei suoi membri reclutati nei reparti dei corpi speciali anche al di là del confine
guatemalteco. Ma Los Zetas hanno giocato un ruolo chiave nella dinamica di dispersione e di
aumento della violenza poiché il cartello ha sperimentato una frammentazione continua in piccole
cellule impazzite. I Los Zetas si caratterizzano per la loro ubiquità ovvero hanno cellule che hanno
partecipato praticamente a tutte le guerre tra cartelli. Attualmente hanno influenza a Tamaulipas,
Veracruz, Hidalgo e San Luis de Potosì, Durango, Guanajuato, Jalisco, Michoacàn, Nayarit,
Oaxaca, Quintana Roo e Valle de Mexico.
Ma risulta interessante chiedersi quali siano state le conseguenze dell’espansione della violenza su
tutto il territorio nazionale e dell’aumento dei tassi di omicidi in alcune aree del paese sul piano
della strategia di contrasto alla lotta della criminalità organizzata.
La principale conseguenza della dispersione geografica della violenza è rappresentata dal fatto che
il narcotraffico si è convertito in un problema che deve essere affrontato non più solamente dalle
autorità centrali dello Stato, ma anche da quelle municipali e statali. Se da un lato, le forze armate e
la polizia federale, seppur non esenti dal rischio di infiltrazione e di corruzione, non hanno la
capacità di svolgere attività di controllo e sicurezza su tutto il territorio, dall’altro l’impiego delle
forze di polizia locale in questo tipo di azione di contrasto è soggetto agli elevati tassi di corruzione
delle autorità locali che potrebbero rendere inefficace questa modalità di rimedio.
Un’altra conseguenza investe l’ambito sociale e politico. “Fino al 2006 la violenza era un tema che
appariva lontano dalla vita quotidiana della maggior parte dei cittadini messicani” 63. Un problema
che riguardava e coinvolgeva soltanto gli abitanti di alcune aree specifiche del paese e dunque era
diffuso un senso di indifferenza nei confronti di tale fenomeno. Negli ultimi cinque anni, nelle zone
63
Cynthia Rodriguez è la corrispondente per l'Italia del settimanale messicano “Proceso”, collabora con Internazionale
e con LiberaInformazione.org. Autrice del libro “Contacto En Italia – el pacto entre Los Zetas y la Ndrangheta”. Le
dichiarazioni riportate sono il frutto di una intervista realizzata in diversi incontri avvenuti nel corso del 2010 e del
2011
27
dove la violenza era già presente, questa si è aggravata, mentre diverse aree del paese che erano
considerate esenti da questo pericolo hanno visto la comparsa di azioni violente: “Attualmente
quasi nessun cittadino messicano può’ sentirsi escluso dagli effetti del narcotraffico. Tutti hanno
almeno un parente, un amico, un conoscente che è stato colpito dalla violenza dei narcos”. Di
conseguenza, il contatto diretto o indiretto di una parte crescente di popolazione con la violenza ha
contribuito a far nascere e sviluppare una domanda sociale di giustizia sempre più ampia e forte tra
la popolazione che ha iniziato a riunirsi in associazioni e organizzazioni al fine di esercitare una
condanna collettiva del fenomeno narcos e una pressione crescente nei confronti degli attori
istituzionali incaricati di prevenire e reprimere la violenza esercitata dai cartelli della droga.
2.3 L’evoluzione del rapporto tra i narcos e la politica: dalla pax priista alla feudalizzazione
dello Stato
Dopo aver descritto i due processi contemporanei e paralleli di disgregazione del sistema
egemonico criminale e del sistema egemonico politico, risulta interessante incrociare questi due
fenomeni per mettere in evidenza il cambiamento nelle relazioni tra gli attori criminali e l’attore
statale. Tra il 1947 e il 1985, la centralizzazione dello Stato messicano aveva permesso di
controllare la violenza nel traffico di droga per oltre quarant’anni. Il sistema di partito egemonico
dominato dal Partido Revolucionario Institucional garantiva infatti un accordo tacito con i cartelli
della droga che permise una fase relativamente pacifica di convivenza tra la criminalità organizzata
e lo Stato denominata pax priista. Durante questo periodo, il governo e la criminalità organizzata
mantennero una relazione basata su un patto di non aggressione. L’accordo fu reso possibile dalle
condizioni strutturali che caratterizzavano il sistema politico e istituzionale fondato sul centralismo
all’interno del quale i governatori e i funzionari municipali, dopo essere stati scelti dagli organi
centrali del partito, godevano di una sostanziale autonomia di controllo sul territorio che permetteva
loro di portare a compimento gli accordi con le imprese criminali. In diversi momenti le autorità
federali sembravano mostrarsi più inclini a tollerare le attività dei narcotrafficanti se questi ultimi
rispettavano le condizioni imposte dallo Stato. Recentemente un ex governatore messicano 64 ha
enunciato alcune di queste regole che costituivano la base di questi accordi taciti: “1. No muertos
en las calles; 2. No drogas en las escuelas; 3. No escándalos mediáticos; 4. Entrega periódica [al
gobierno] de cargamentos y traficantes menores; 5. Derrama económica en las comunidades; 6.
64
http://impreso.milenio.com/node/8862599 consultato il 30 luglio 2011
28
No proliferación de bandas; 7. Cero tratos con la estructura formal del gobierno (policías o
funcionarios judiciales); 8. Cobrar errores con cárcel, no con la vida; 9. Orden y respeto en los
territorios; 10. Invertir las ‘ganancias’ en el país65”
Ma agli inizi degli anni Novanta il sistema politico istituzionale messicano iniziò a cambiare faccia.
Il Partido Revolucionario Institucional perse il controllo del territorio a partire dalle presidenze dei
consigli municipali fino ad arrivare al livello statale. Iniziò così il processo di disgregazione del
partito egemonico che portò ad un sistema basato sulla competizione. Un processo speculare a
quello avvenuto in campo criminale dove la disgregazione del sistema egemonico guidato dal
cartello di Guadalajara venne a cadere con l’arresto del suo leader alla fine degli anni Ottanta
aprendo un’era di competizione tra i vari attori criminali giocata in primis sul campo della politica.
La ricercatrice di Harvard Viridiana Ríos ha descritto il fenomeno con queste parole: “La
descentralización del gobierno mexicano ha aumentado la violencia política porque se ha abierto
la oferta de corrupción a nivel local. Tras la ruptura de la hegemonía priista, 29ace b el balance
de poder del nivel nacional al ámbito estatal y municipal”66.
Il potere politico si articola sul territorio messicano attraverso tre livelli: quello federale, quello
statale e quello municipale. Tre livelli che per settant’anni sono stati controllati dal Pri, ma che con i
cambiamenti degli anni Novanta hanno visto l’ingresso di nuovi attori nello scenario politico. Da un
lato si osserva il progressivo avanzamento dei principali partiti d’opposizione che dal 1989 hanno
iniziato a conquistare il governo dei municipi, dall’altro si registra una crescente influenza dei
narcos nella politica alla quale ha corrisposto una perdita di controllo del PRI sul proprio territorio.
La cosiddetta fragilità dello Stato messicano si riscontra principalmente nel livello più vicino alla
società: quello municipale, ritenuto l’anello debole della catena del potere politico dove i narcos
sono potuti entrare nel tessuto politico con più facilità. 67 Questo perché i funzionari dei municipi
hanno un contatto diretto e quotidiano con le persone e a questo livello viene meno il controllo da
parte degli organi statali e federali degli stessi partiti che sono più permeabili all’ingresso di uomini
legati ai narcos nelle fila del proprio schieramento.
Il 30 agosto 2010 la Commissione di sviluppo municipale del Senato ha presentato una radiografia
sull’infiltrazione del narcotraffico in Messico. Il presidente della commissione Ramon Galindo ha
affermato che “il narco opera oggi in 400 municipi con fortissime influenze in altre 1500 zone del
65
66
67
Guerrero Gutierrez E., Narcotràfico S.A., in Nexos, 2011 consultabile su http://www.nexos.com.mx/?
P=leerarticulo&Article=54
http://impreso.milenio.com/node/8862599 consultato il 30 luglio 2011
Citato in Ravelo R., “Los carteles imponen su ley”, in Proceso, num. 1773, ottobre 2010, p. 6
29
paese”68. Una stima che secondo i ricercatori dell’Universidad Nacional Autonoma de Mexico
(Unam) deve essere rivista per difetto. Il coordinatore dell’unità di violenza sociale dell’Unam,
Renè Jimenez Ornelas, ha segnalato che il numero di comuni che presentano infiltrazioni dei narcos
si attesta intorno ai 900 casi in tutto il paese.69 Cifre che, seppur discordanti a livello assoluto,
segnalano la tendenza all’aumento progressivo dell’infiltrazione dei narcos nel livello di potere
municipale.
La vulnerabilità del livello municipale innanzitutto è di natura finanziaria ed economica
specialmente per i municipi collocati nelle aree rurali date le scarse risorse che il governo statale
mette a disposizione e a causa dei bassi livelli di salari degli amministratori che diventano così facili
prede dei narcos.
I cartelli hanno potuto finanziare campagne elettorali, estendendo una pratica che in passato veniva
effettuata solo nelle aree di Sinaloa e Guerrero: la narcopolitica. L’allarme che arriva da Edgardo
Buscaglia è preoccupante: circa il 65% delle campagne elettorali messicane sono contaminate dal
denaro proveniente dalla narco economia.70
Per Buscaglia questo fenomeno può’ essere considerato come una vera e propria feudalizzazione:
“In tutti i paesi esiste l'infiltrazione della criminalità organizzata. Prima attraverso relazioni
personali, tangenti o estorsioni contro l’autorità; poi si creano dei feudi, quando il personaggio
che è stato finanziato diventa deputato, sindaco o governatore”.71
Il primo passo della penetrazione dei narcos nella politica è dunque rappresentato dall’elezione nei
consigli municipali. Il patto indiretto tra il candidato e l’organizzazione criminale si basa da un lato
sul finanziamento della campagna elettorale e sulla garanzia dell’elezione attraverso il voto di
scambio e dall’altro sulla promessa di favori al momento dell’insediamento nel posto di governo
municipale. Si stringe così un legame difficilmente rinegoziabile dal quale è impossibile uscirne se
non con la morte. Questa relazione di dipendenza del politico nei confronti dell’organizzazione
criminale si trascinerà lungo tutto il cursus honorum del candidato che qualora venga eletto come
deputato statale dovrà continuare a guardare con un occhio di riguardo coloro che hanno finanziato
la sua ascesa. Data l’estensione di questo processo si è pensato ad una vera e propria afganizzazione
del Messico: “Ci sono 982 aree dove non c’è governabilità dello Stato e dove non c’è autorità
formale poiché il potere appartiene al gruppo criminale o ad un governo municipale colluso con il
68
69
70
71
Ibidem
Ibidem
http://www.proceso.com.mx/?p=272944 consultato il 23 luglio 2011
Op. Cit. p. 6
30
crimine organizzato. Questo caso è molto simile a quello che sta accadendo in Afganistan”. 72
L’aumento dell’influenza dei narcos si è accentuato con l’avvento al potere di Calderòn. Se nel
2007 si contavano 353 municipi sotto l’influenza dei narco, nel 2009 erano saliti a 650 ed oggi la
cifra dei municipi sotto il controllo dei narcos si attesta sulle mille unità.
Un altro indicatore che testimonia la capacità di infiltrazione della criminalità organizzata nel
livello di potere municipale è rappresentato dall’aumento degli assassini di funzionari pubblici.
Solamente nei primi dieci mesi del 2010 sono stati uccisi undici sindaci 73. Ma il livello di violenza
si è spinto anche al livello statale con l’assassinio nel giugno 2010 del candidato del PRI per lo stato
di Tamaulipas Rodolfo Torres. Una serie di azioni che rientra nella strategia di intimidazione delle
autorità esercitata dai cartelli. Il potere di infiltrazione dei narcos nella politica dunque non si limita
al livello municipale. Negli anni cartelli messicani sono riusciti ad estendere la propria influenza
anche ai livelli superiori del potere politico: quello statale e quello federale. Ancora una volta sono i
fatti di cronaca a testimoniare questo fenomeno. Tra gli arresti eccellenti degli ultimi anni spicca il
nome dell’ex governatore dello stato del Quintana Roo, Mario Villanueva, arrestato nel 2001 con
l’accusa di collusione con i cartelli messicani e colombiani e condannato nel 2008 a 36 anni di
carcere.
2.4 Narcos ed economia: i cartelli non pagano la crisi
Non sembra essere casuale il fatto che l’ambasciatore statunitense William Brownfield nel 1984
utilizzò il termine “cartelli” per classificare i gruppi colombiani dediti al narcotraffico. Una
definizione presa a prestito dall’ambito economico che voleva sottolineare la grande capacità
imprenditoriale della criminalità organizzata di penetrare sempre di più nel tessuto economico
legale. Vent’anni più tardi il termine sembra essere entrato di diritto nel vocabolario delle autorità
che lottano contro il narcotraffico e l’influenza dei narcos nell’economia legale è cresciuta sempre
più.
Il settore principale nel quale operano i cartelli messicani è quello del commercio e dello
smistamento delle sostanze stupefacenti e in particolare della marijuana, dell’eroina e della cocaina
anche se con il nuovo millennio si è ampliato il mercato delle meta-anfetamine e delle droghe
sintetiche. Ma in ogni caso, è la cocaina a giocare il ruolo fondamentale e a generare i profitti più
72
73
Ibidem
Guerrero Gutierrez E. Como reducir la violencia en Mèxico, Nexos, Novembre, 2010
31
elevati che alimentano la narco – economia. Sebbene non si occupino della fase di produzione di
questa sostanza, il traffico della cocaina rappresenta la fonte di entrata principale per i cartelli
messicani che ormai controllano quasi tutto il mercato statunitense arrivando a stringere alleanze ed
affari anche in Europa e in particolare con la 'ndrangheta. La criminalità organizzata messicana ha
saputo sfruttare i processi di globalizzazione e di apertura dei mercati che spesso non sono stati
accompagnati da adeguate misure di protezione dalle infiltrazioni delle mafie. Quest’ultime pertanto
hanno acquisito una dimensione transnazionale contaminando le economie di tutto il mondo con i
proventi derivanti soprattutto dal narcotraffico.
Il controllo della droga in uscita verso gli Stati Uniti significa detenere il controllo sul traffico a
livello internazionale, se si pensa che il 90% della cocaina prodotta nel mondo viene consumata
proprio negli Stati Uniti specialmente nelle grandi città come New York dove i tassi di consumo si
attestano sulle 90 strisce di coca ogni mille abitanti.(UNODC, 2007b).74
Vi è però una difficoltà strutturale nei vari tentativi di stimare il volume di affari generato dal
traffico di droga che risulta legata principalmente alla diversa quantità di droga ricavabile dalla
materia prima a seconda del grado di purezza, alla volatilità dei prezzi del mercato degli
stupefacenti e infine alla non conoscenza della percentuale di profitto che entra nelle tasche dei
narcos messicani.75
Le diverse stime che sono state effettuate nel corso degli anni concordano però sul fatto che la
potenza economica dei cartelli della droga messicani ha raggiunto cifre a nove zeri arrivando ad
essere considerata come uno dei primi settori dell’economia messicana. Un traffico che al contrario
degli altri settori non ha patito la crisi anzi ne ha approfittato per espandere la propria influenza sui
mercati. Il Dipartimento di Stato statunitense ha stimato che il commercio di stupefacenti garantisce
ai narcotrafficanti messicani entrate per 45 miliardi di dollari. Secondo queste stime, il settore del
traffico di stupefacenti rappresenterebbe il primo settore dell’economia messicana superando anche
le esportazioni petrolifere.76 Punto centrale dello smistamento della droga sembra essere il porto
strategico di Làzaro Cardenas, al confine tra il Michoacàn e Guerrero, dove si stima che tra il 1999
e il 2008 il numero di containers sia passato da 4475 a 197.14977
Il commercio di droga risulta a tutti gli effetti uno dei settori principali dell’economia messicana e
così come qualsiasi attività economica legale presenta costi e benefici. Tra questi ultimi sono
74
75
76
77
UNODC, World Drug Report 2007, UNODC, 2007b.
Rios V., Evaluating the economy impact of drug traffic in Mèxico, Department of Government , Harvard University,
2010
Op cit. p.36
Ibidem p.36
32
annoverabili l’aumento dell’occupazione se si pensa che circa mezzo milione di persone 78 traggono
il proprio sostentamento dalle diverse fasi del narcotraffico a partire dall’impiego nella fase rurale
di produzione fino al settore della sicurezza e dello spaccio: “L’industria del narcotraffico impiega
una quantità di lavoratori cinque volte maggiore ad altri settori economici come può essere
l’industria del legno e tra le 50 e le 100 mila persone in più rispetto all’industria dei metalli di
base”79. Un secondo vantaggio è costituito dagli enormi flussi di denaro che sono generati dal
narcotraffico che finiscono in parte in investimenti nel paese e in parte nelle casse private delle
banche straniere: investimenti e flussi di denaro che seppur provenienti da attività illecite finiscono
con il finanziare la crescita economica del paese.
Ma l’industria della droga provoca anche numerosi effetti negativi che si riflettono sui diversi
settori economici e che possono essere riassunte nell’aumento della spirale di violenza, nella
promozione della corruzione e nella creazione di mercati locali della droga. Limitando l’analisi alla
prima esternalità evidenziata, quella della violenza, si nota che le stime dell’impatto negativo in
termini di perdita del Prodotto Interno Lordo a causa dei mancati investimenti nel paese variano
notevolmente tra di loro: secondo lo studio di Londono e Guerrero (citato nella ricerca di Rios 80)
l’utilizzo della violenza nel settore economico ha provocato una perdita del Pil complessivo del
12,3%81. A questa stima si aggiungono le valutazioni più recenti della banca JP Morgan che nel
2009 ha calcolato che l’impatto della violenza in termini di investimenti mancati sul totale del Pil
del paese è calcolabile in un percentuale compresa tra l’1 e l’1.5%82.
Per mettere in evidenza le dinamiche microeconomiche che spiegano il rapido e intenso sviluppo
economico della criminalità organizzata messicana si puo’ applicare lo studio che il docente Rocco
Sciarrone ha applicato alle mafie italiane.83 Rispetto ai suoi diretti concorrenti dell’economia legale,
la mafia come impresa presenta dei vantaggi competitivi che non possono non essere tenuti in
considerazione per un’analisi sulla capacità delle mafie di penetrare nell’economia legale.
Innanzitutto l’impresa criminale ha a disposizione lo strumento delle violenza per scoraggiare la
concorrenza; puo’ adoperare elasticamente la manodopera senza diritti sindacali, infine ha a
78
79
80
81
82
83
Op. Cit.
Ibidem
Ibidem
I dati sono contenuti nel report “World Bank Report 2004” elaborato dalla Banca Mondiale
http://justiceinmexico.org/2011/06/10/jp-morgan-indicates-that-mexico-is-spending-1-to-1-5-of-its-gdp-oninsecurity-measures/ consultato il 27 luglio 2011
Sciarrone R. Mafie vecchie, mafie nuove: radicamento ed espansione, Torino, Donzelli Editore, 1998
33
disposizione un’enorme quantità di liquidità proveniente dai traffici illeciti anche in momenti in cui
l’economia versa in condizioni di crisi.
Anzi è proprio durante le crisi economiche che le imprese mafiose hanno la possibilità di ampliare il
proprio controllo sull’economia: prima offrendosi come gli unici soggetti in grado di prestare, pur
facendolo a tassi di usura, somme ingenti a imprenditori che non potrebbero avere accesso al
mercato del credito, arrivando a rilevare l’attività imprenditoriale con metodi violenti in caso di
mancato pagamento degli interessi.
In questo contesto di vantaggi competitivi, l’impresa mafiosa si trova costretta ad affrontare anche
dei costi extra rispetto alle aziende legali poiché è soggetta all’economia del rischio dovendo far
fronte all’attività di contrasto da parte delle autorità giudiziarie ed essendo costretta ad affrontare la
concorrenza violenta delle altre imprese mafiose. Questo quadro suggerito dal professor Rocco
Sciarrone in riferimento alle mafie italiane sembrerebbe essere applicabile anche alle dinamiche
economiche che muovono i cartelli messicani.
2.5 La colonizzazione criminale dell’immaginario sociale e culturale
Dopo aver descritto il fenomeno della penetrazione dei cartelli messicani nel tessuto economico e
politico del paese, risulta fondamentale analizzare le modalità e l’intensità con le quali i narcos sono
riusciti a guadagnarsi un consenso sociale in ampi settori della popolazione. Secondo Oscar Loza,
presidente della commissione dei diritti umani di Sinaloa, il traffico di droga in alcune regioni è
diventato un elemento strutturale dell’economia poiché produce benessere e determina dunque uno
stile di vita. Il potere dei narcos, sfruttando la grande quantità di denaro liquido a disposizione e il
contesto strutturale di uno Stato incapace di sanare gli ampi divari nella distribuzione della
ricchezza, è riuscito a colonizzare l’immaginario sociale e culturale della popolazione arrivando in
taluni casi a quella definita come “una vera e propria inversione di valori secondo cui il
narcotraffico non è percepito come un’attività criminale, ma come un’attività economica come
tante altre”84.
“Lo Stato deve dare come diritto, ciò che le mafie danno come favore”. Dietro alle parole del
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, pronunciate poco prima di essere ucciso dalla mafia nel 1982,
84
Citato in Ravveduto M., “Messico e musiche” in Narcomafie, num.2, febbraio, 2011, p. 50
34
si nasconde una delle dinamiche chiave della penetrazione dei narcos nella società. Di fronte ad una
società caratterizzata da una diseguaglianza sociale molto forte, dalla violenza, dalla mancanza di
opportunità lavorative e dalla poche opportunità di sviluppo, “delinquere è più redditizio che
lavorare.85 Pur non riconoscendo un legame di relazione diretta tra la situazione di povertà e il
narcotraffico, il giornalista della Jornada Kraus Arnoldo racconta: “Per chi vive in povertà , il
narcotraffico si converte in una forma di vita. Non importa che accanto ai traffici di droga si
nasconda la morte. Benvenuta è la morte quando l’obiettivo è annichilire i colpevoli della propria
miseria”.86 Il bacino dal quale i narcos possono attingere per creare i propri soldati è dunque
rappresentato da quei sette milioni di ragazzi ninis ovvero ni escuela ni trabajo che vedono nel
narcotraffico l’unica opportunità di migliorare la propria condizione. Secondo il sociologo Alfredo
Rico Chavez (coordinatore di sociologia all’università di Guadalajara), “tutto ciò che è collegato al
potere, alla fama è attrattivo per qualunque soggetto e il narco rappresenta oggi una possibilità di
scalata sociale e di crescita economica”87.
Uno degli esempi più chiari di questo ruolo sociale che i cartelli hanno provato a costruirsi nel corso
degli anni è costituito dalla Familia Michoacana. Nell’autunno 2008 la Familia aveva il controllo
sul 60% dei municipi statali dove è riuscita a penetrare nella struttura sociale grazie ad un
investimento massiccio nella comunicazione della propria immagine. “Oggi la Familia utilizza i
proventi derivanti dal narcotraffico per finanziare campagne di assistenza sociale seguendo una
mentalità tipica di “Robin Hood”88. Il 22 novembre 2006 hanno pubblicato un annuncio sui giornali
nel quale sostenevano di essere dei lavoratori della “Terra caliente” minacciati dal cartello del
Milenio. Un messaggio che esprimeva la volontà di porre fine alla situazione di disordine e
insicurezza causata dai continui sequestri, estorsioni e traffici di stupefacenti, dichiarando di agire
in nome di valori universali e di essere pronti a costruire chiese e scuole per la comunità. La
religiosità della Familia è stata proprio uno dei punti centrali sui quali si è concentrata la
comunicazione della propria immagine. Una religiosità di facciata che pur basandosi su un rigido
codice d’onore che fa propri riferimenti alla Bibbia e all’evangelismo del pastore americano John
Eldredge, secondo alcuni antropologi viene utilizzata piuttosto come strumento di organizzazione e
disciplina interna nonché di comunicazione verso l’esterno.
85
86
87
88
Rodriguez C. I soldati del crimine in Narcomafie, num.2, febbraio 2011, p.52
Citato in Angelini M., “L’altra faccia del narcotraffico”, in Narcomafie, num.2, febbraio 2011, p.52
Op Cit. p.52
Ibidem p.52
35
Nell’universo dei narcos, l’aspetto comunicativo riveste un ruolo fondamentale per la penetrazione
della narcocultura nell’immaginario simbolico e culturale dei messicani. La violenza stessa diventa
un mezzo di comunicazione come spiega il responsabile delle autopsie legali nel dipartimento
omicidi di Tijuana, Hiram Munoz89. “Ogni mutilazione lancia un messaggio specifico. Se al morto
viene tagliata la lingua significa che non ha mantenuto il livello richiesto di sicurezza. Se un uomo
ha rubato al suo clan, i narcos gli tagliano un dito. Ma uno dei fenomeni che si sono manifestati
più spesso negli ultimi anni è quello della decapitazione che rappresenta una dichiarazione di
potere, un avvertimento per tutti, svolgendo così quel ruolo che in passato era affidato
all’esecuzione sulla pubblica piazza”90. Se fino a qualche anno fa, i corpi venivano fatti sparire o
venivano abbandonati nel deserto, oggi vengono esibiti affinché tutti possano vederli: la violenza
dei narcos acquista così una dimensione quotidiana ed entra a far parte della vita dei cittadini del
paese.
L’altro strumento di comunicazione utilizzato dai cartelli messicani per lanciare messaggi alla
società è rappresentato dalle narcomantas ovvero gli striscioni appesi davanti alle abitazioni o al
luogo di lavoro delle vittime di intimidazione. Nei soli primi tre mesi del 2009 sono state collocate
530 narcomantas attraverso le quali i gruppi di narcos hanno lanciato messaggi ai propri rivali, alle
autorità delle istituzioni di sicurezza e alla società nel suo complesso.
A queste cifre va aggiunta la grande capacità da parte dei narcos di monopolizzare i canali
dell’informazione ufficiale che, limitandosi alla sola cronaca nera, diffondono su scala maggiore i
messaggi dei cartelli dei narcotrafficanti. Nell’ultimo biennio si registra anche una maggiore
capacità di penetrazione da parte dei narcos nel mondo del web e dei social network attraverso la
pubblicazione di video delle esecuzioni e di siti e blog inneggianti ai narcotrafficanti. Sintomo della
capacità di colonizzazione dell’immaginario da parte dei narcos specialmente nelle fasce più deboli
e giovani della popolazione, che subiscono un bombardamento quotidiano di messaggi che arrivano
ad esaltare il modello del narcotrafficante.
“La narco violenza ha invaso la nostra vita quotidiana, ha alterato i nostri costumi più intimi,
instaurato un regime di terrore, provocato onde di panico che sono terminati con coprifuochi autoimposti e proposte di sospendere i nostri diritti individuali”. Il processo di aumento della violenza
negli ultimi tre anni ha fatto sì che la percezione dell’insicurezza sia in costante aumento nonostante
89
90
Vulliany E., “La guerra del Messico”, in Internazionale, num 778, 16 gennaio 2009, p. 30
Ibidem
36
i dati a livello aggregato mostrano che il numero assoluto dei delitti è diminuito negli anni. Alla
penetrazione sociale si affianca così una vera e propria penetrazione culturale che ha portato alla
normalizzazione e all’uso quotidiano di termini legati al narcotraffico. Questo ha portato ad una
vera e propria colonizzazione del linguaggio che si è arricchito di diversi neologismi per spiegare
alcune delle atrocità commesse dai narcotrafficanti. Parole come encajuelado (riferita ai corpi che
vengono ritrovati nei bauli delle auto), ejecutado (fucilato), levantado (preso a forza da un auto e
fatto scomparire), desintegrado (sciolto nell’acido) o encobijado (cadavere avvolto nella coperta).
La conta dei morti viene chiamata ejecutometro, il territorio in disputa las plazas, l’estorsione la
quota. La contaminazione del linguaggio quotidiano per la giornalista di Proceso rappresenta un
segnale della contaminazione culturale che i narcos sono riusciti ad attuare nel corso degli anni.
Una percezione che non è avvenuta solamente sul piano semantico, ma che ha investito anche altri
campi come quello musicale. Negli ultimi anni ha preso sempre più piede la musica dei narco
corridos, autentici cantori delle gesta dei narcotrafficanti. La prima canzone dedicata al traffico di
droga fu composta alla fine degli anni Quaranta da Manuel C. Valdes. Si chiamava Carga Blanca e
raccontava le gesta dei trafficanti di eroina. Da quel momento la combinazione della musica
tradizionale con la narrazione orale legata al narcotraffico è diventata un mezzo per comunicare e
per lanciare messaggi alla società attraverso la produzione di un mito che potesse gareggiare con la
narrazione ufficiale offerta dal governo e denota una perdita del monopolio dello Stato. Una
tradizione che si è perpetuata fino ad oggi e che ha fatto sì che questo genere musicale possa
giungere a milioni di messicani che ascoltano le gesta dei narcotrafficanti con sottofondo della
musica tradizionale. Negli ultimi anni, i cartelli della droga sono arrivati a lanciare messaggi rivolti
ai propri affiliati attraverso le canzoni che vengono trasmesse dalle radio messicane. Una modalità
di azione che sembra ricalcare quelle utilizzate a migliaia di chilometri di distanza dai boss della
camorra napoletani che attraverso le canzoni dei cantanti neomelodici hanno creato un sistema di
comunicazione cifrato che permette il passaggio di informazioni in totale sicurezza.
37
CAPITOLO 3
LE STRATEGIE ISTITUZIONALI DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITA’
ORGANIZZATA
Dopo aver descritto nei due capitoli precedenti i processi con i quali la criminalità organizzata
messicana è riuscita a penetrare nel tessuto politico, sociale ed economico messicano, si descrive
ora la strategia che a partire dal 2006 il governo messicano di Felipe Calderòn ha seguito per
provare a combattere tale fenomeno. All’interno di questo capitolo verranno messe in evidenza le
motivazioni che hanno portato al lancio della guerra ai narcos e le conseguenze che questa strategia
ha comportato, per poi affrontare alcune delle strategie istituzionali alternative a quella vigente.
3.1 La “guerra ai narcos” di Felipe Calderòn e i danni collaterali
Appena undici giorni dopo il suo insediamento a Los Pinos nel dicembre 2006, il presidente Felipe
Calderòn non esitò a inaugurare la sua personale strategia di contrasto alla criminalità organizzata
che presto iniziò ad essere considerata come una vera e propria guerra ai cartelli. Un termine
gravoso quanto scivoloso che sembra rispondere più ad esigenze retoriche e populiste. Secondo le
parole del Presidente la “guerra ai narcos si è fondata su una strategia precisa: “La 38ace book está
planteada sobre dos horizontes: uno de muy corto plazo que consiste en reposicionar la autoridad
y la potestad del Estado mediante la movilización de la fuerza pública y el Ejército”.91
La strategia comportò l’invio al fronte di 90 mila soldati, di 15 mila uomini della marina e di 35
mila poliziotti federali che si ritrovarono a svolgere compiti di gestione dell’ordine pubblico e
investigativi senza avere un adeguato addestramento. Una decisione presa con un’eccezionale
rapidità che secondo diversi autori, sarebbe una ricerca di legittimazione rapida nei confronti di quei
26 milioni di messicani che non lo hanno votato, provando in questo modo a restaurare la poca
credibilità di cui godeva il governo neoeletto di fronte alla società messicana e agli investitori
internazionali92.
91
92
Calderòn F., La guerra al crimen organizado, Mèxico D.F, 2010 pp. 17- 18
Lòpez A.I. e Robinson J.F., “El pacto de Fausto. Democracia y drogas en México”, in Foreign Affairs En Español,
aprile-giugno 2007, pp. 71-83 consultabile su http://www.seguridadregional-fes.org/upload/3946-001_g.pdf
38
Di fronte ad una controversa elezione, risulta interessante analizzare le motivazioni sulle quali il
presidente Calderòn costruì la strategia di comunicazione attorno alla “guerra ai narcos”. Secondo
diversi esperti tra i quali César Morales Oyarvide 93 e Jorge Castaneda94, le giustificazioni utilizzate
dal governo si basavano su dati e statistiche non veritiere e portarono a effetti opposti a quelli
desiderati aggravando così la già critica situazione messicana.
Una delle prime giustificazioni addotte dal Presidente riguardava l’allarme per l’aumento del
consumo di droga nel Paese. Secondo le dichiarazioni provenienti da Los Pinos, il Messico avrebbe
corso il rischio di trasformarsi da un paese di transito a paese di consumo dove la domanda di
stupefacenti rappresentava un problema sempre più grave e in costante aumento tra le fasce più
giovani della popolazione95. Una preoccupazione ben riassunta dallo slogan “Que la droga no
llegue a tus hijos” che sembra voler creare un clima di paura tale da giustificare misure eccezionali.
Questo timore in realtà non si è mai dimostrato fondato se si analizzano le statistiche fornite dallo
stesso governo in merito al consumo di cocaina tra la popolazione messicana, che appare su livelli
notevolmente inferiori rispetto ai tassi di riferimento regionali e internazionali.
L’aumento minimo del livello assoluto del consumo di droga appare pertanto insignificante in
quanto è da mettere in relazione con il tasso di crescita della popolazione. Pertanto l’allarmismo in
materia di consumo di droga non poteva giustificare i drastici provvedimenti messi in atto dal
presidente Calderòn.
L’altra giustificazione utilizzata dal governo riguardava l’aumento della violenza nel paese. Una
tendenza che si verificava solamente negli Stati dove la presenza della criminalità organizzata era
più forte e profonda. A livello federale, come abbiamo visto nel capitolo precedente, tra il 1990 e il
2007 il tasso di omicidi nel paese ha mostrato una tendenza decrescente, anzi, come dimostra
Fernando Escalante, l’inversione di tale tendenza si è registrata proprio nel biennio 2008-2009, cioè
nel periodo immediatamente successivo al lancio della guerra di Calderòn. Quella che è stata
presentata come una delle motivazioni principali della strategia di contrasto ai narcos sembra essersi
convertita in una delle conseguenze più nefaste della guerra stessa. L’aumento della violenza
rappresenta pertanto uno dei danni collaterali più atroci di questa strategia che, basata
esclusivamente sull’aspetto repressivo del fenomeno criminale, da un lato ha colpito e disarticolato
in parte la rete della criminalità organizzata, ma allo stesso tempo ha lasciato dei vuoti di potere che
hanno causato faide interne per la successione e lo sviluppo di organizzazioni più piccole e più
93
94
95
Morales Oyavirde, “El fracaso de una estrategia: una crítica a la guerra contra el narcotráfico en México, sus
justificaciones y efectos”, in Nueva Sociedad, num. 231, gennaio-febbraio 2011
Castaneda J. e Aguilar R. Narco la guerra fallida, Punto de Lectura, Mèxico DF.. 2009, p. 41
Op. Cit.
39
violente. Lungi dall’aver fatto recuperare allo Stato il controllo legale dello spazio pubblico, la
guerra al narcotraffico ha provocato pertanto una diminuzione della sicurezza e della libertà di
transito in aree sempre più ampie. Il processo di espansione dell’influenza dei cartelli messicani sul
territorio, come abbiamo visto nel capitolo 2, si è ampliato sempre di più negli ultimi anni e la
guerra al narcotraffico ha portato dietro di sé danni collaterali notevoli che hanno avuto
ripercussioni sul livello di violenza generale del paese e su tutta la popolazione messicana.
Innanzitutto si è verificata una “acutizzazione del problema dell’identificazione”96. Nell’ambito
della lotta tra cartelli può accadere che i sicari di un gruppo di fuoco non riescano a distinguere tra
amici e nemici mietendo coì vittime tra la popolazione. Nella guerra al crimine organizzato i
“soldati” al servizio dei cartelli vengono infatti arruolati tra le fila della popolazione civile e si
mimetizzano tra gli abitanti delle città. Un esempio può essere quello degli halcones (falconi),
persone incaricate di fare le vedette nelle piazze dello spaccio per avvertire i trafficanti dell’arrivo
di forze dell’ordine o dei membri dei cartelli rivali. In questo contesto criminale, dove la linea di
confine tra la legalità e l’illegalità diventa sempre più sfumata, diventa difficile per le forze
dell’ordine identificare i soggetti da colpire. Pertanto il problema dell’identificazione diventa
sempre più difficile da risolvere sia per l’attore criminale sia per le autorità di polizia e il risultato è
rappresentato dall’aumento del numero di civili uccisi per errore: “El despliegue de la lucha contra
el narcotráfico centrada en el aspecto
militar-policial que relega el aspecto económico-
patrimonial, las estrategias anticorrupcióny la labor de prevención, ha tenido una serie de
consecuencias funestas en términos sociales. Ello ha agravado el problema del narco y la
violencia97”.
Un’altra conseguenza generata dalla guerra ai narcos e dall’impiego delle Forze Armate nella
repressione dei crimini legati al narcotraffico è stata l’indebolimento dell’equilibrio tra le autorità
civili e quelle militari. L’utilizzo dell’esercito in sostituzione delle autorità di polizia ritenute più
esposte alla corruzione rappresenta un mal remedio che mette in crisi la normale evoluzione degli
organi dello Stato e dota le Forze Armate di un potere che potrebbe costituire un rischio per la
tenuta dell’ordine democratico. Una preoccupazione che viene evidenziata anche dal ricercatore
dell’Unam Pedro Salazar secondo cui questo provvedimento ha messo in crisi la tenuta del sistema
96
97
Guerrero Gutierrez E., La raiz de la violencia , Nexos, 2011
Op Cit.
40
costituzionale messicano poiché l’impiego dell’esercito per le strade sarebbe in contraddizione con
quanto predisposto dall’articolo 129 della Costituzione Messicana.98
Tra i danni collaterali di questa guerra vi è infine l’aumento dilagante della corruzione anche nei
reparti dell’esercito impiegati nella lotta al narcotraffico. Alla base dell’utilizzo delle forze armate
nella lotta al narcotraffico, vi era la motivazione che queste venivano considerate più impermeabili
alla corruzione rispetto ai corpi della polizia. Idea presto smentita dai fatti. Basta pensare al caso dei
Los Zetas, costituito proprio dai disertori dei gruppi militari di elite, in particolare del Grupo
Aeromóvil de Fuerzas Especiales (Gafes). Un fenomeno che dimostra la falsità della convinzione
dell’incorruttibilità di un corpo dell’esercito.
Nata sulla base di giustificazioni smentite dalle statistiche ufficiali e capace di aggravare il
problema dei narcos, la strategia di contrasto alla criminalità organizzata messa in atto dal
presidente Calderòn ha portato a risultati ritenuti indifendibili da molti 99. Le principali critiche che
vengono imputate alla guerra ai narcos possono essere ricondotte a due categorie generali: l’aver
centrato la propria strategia esclusivamente sul lato punitivo e repressivo e l’aver attuato una
strategia monodimensionale evitando di affrontare quella complessità e quella multidimensionalità
nella sfera economica, politica e sociale che rappresentano le caratteristiche fondamentali del
fenomeno narcos.
La guerra ai narcos lanciata dal Presidente può essere classificata come una strategia di contrasto
alla criminalità organizzata di tipo esclusivamente punitivo diametralmente opposta alla strategia di
tipo dissuasivo. Secondo la letteratura, le due strategie presentano alcuni caratteri specifici che
possono essere applicati al caso messicano. La prima strategia si concentra nella punizione del
maggior numero di criminali mediante la cattura e la detenzione oppure mediante l’eliminazione dei
suoi vertici senza considerare il possibile aumento di violenza che queste misure possono
provocare. Al contrario una strategia dissuasiva è centrata sull’invio di messaggi alle organizzazioni
criminali per disincentivare il comportamento violento e le azioni che hanno maggiori costi in
termini di vite umane e benessere sociale. Una seconda differenza tra le due strategie possibili
98
99
Art.129 Constituciòn mexicana (1917) “En tiempo de paz, ninguna autoridad militar puede ejercer más funciones
que las que tengan exacta conexión con la disciplina militar. Solamente habrá Comandancias Militares fijas y
permanentes en los castillos, fortalezas y almacenes que dependan inmediatamente del Gobierno de la Unión; o en
los campamentos, cuarteles o depósitos que, fuera de las poblaciones, estableciere para la estación de las tropas”.
Ibidem
41
riguarda la presenza di una gerarchia. In termini generali la strategia punitiva, cercando di colpire il
maggior numero di criminali possibile, favorisce un’impunità generalizzata dovuta alla dispersione
delle già deboli capacità e possibilità in ambito giudiziario delle quali le autorità inquirenti
dispongono. La strategia dissuasiva invece punta a concentrare gli sforzi nel raggiungimento di
quelle azioni di tipo repressivo che hanno un forte impatto
sul livello sociale e culturale
permettendo così ad un sistema penale già in difficoltà di processare con maggior efficienza i casi
più urgenti e gravi.100 In conclusione è necessario evidenziare un’ulteriore precisazione: la strategia
dissuasiva non implica un patto con le organizzazioni criminali poiché per definizione il patto
presuppone l’esistenza di obblighi reciproci per i soggetti che lo sottoscrivono. Una strategia
dissuasiva non implica nessun obbligo per lo Stato poiché questo mai rinuncia o compromette
alcuna delle sue facoltà. Lo Stato si riserva sempre il diritto di attuare in qualsiasi momento come
meglio crede le misure migliori per garantire la sicurezza pubblica. Attuando la strategia dissuasiva,
l’attore statale mantiene la piena sovranità sull’esercizio legale della violenza e la amministra in
forma strategica per perseguire i delitti secondo una gerarchia di importanza.101
3.2 Da una strategia monodimensionale ad una strategia multidimensionale
La seconda grande critica alla strategia messa in atto dal governo Calderòn è rappresentata
dall’approccio monodimensionale che essa porta avanti. La criminalità organizzata, come abbiamo
descritto nel secondo capitolo, presenta un aspetto multidimensionale ed è riuscita ad affondare i
propri tentacoli nel tessuto politico, economico e sociale messicano. Di conseguenza, qualunque
strategia che non affronti la complessità di tale fenomeno risulta viziata da una mancanza di fondo
che anzi potrebbe portare ad un aggravamento dalla situazione di partenza. Questa sembra essere la
dinamica che è avvenuta in Messico negli ultimi cinque anni, dove la strategia basata unicamente
sulla dimensione repressiva dei narcos non ha raggiunto gli obiettivi desiderati.
Per esplicare questo fenomeno, il professor Buscaglia ha ampliato di nuovi significati il paradosso
della punizione attesa evidenziato da Becker nel 1968 e applicato oggi al contrasto della criminalità
organizzata messicana. I risultati ottenuti dalle analisi giuridico – metriche di Buscaglia portano alla
constatazione che una strategia che fa affidamento sul tradizionale sistema di sanzione legale per
fronteggiare la criminalità organizzata (come per esempio l’aumento del numero degli arresti o
100
101
Ibidem
Ibidem
42
l’estradizione delle persone fisiche) tende a incentivare i gruppi criminali ad estendere il proprio
raggio di corruzione (per proteggere se stessi dall’inasprimento della sanzione attesa) e a
incrementare il processo di feudalizzazione dello stato messo in atto dai gruppi criminali per
rafforzare le proprie capacità operative sul territorio messicano.
Questi risultati inattesi, derivanti dall’applicazione dell’inasprimento della sanzione legale, si
verificano nel caso in cui i beni della criminalità organizzata non vengano colpiti dalle attività di
intelligence finanziaria. Qualora questi beni non vengano toccati, i gruppi criminali reagiranno
aumentando la quota di beni destinati alla corruzione dei livelli di governo per proteggere se stessi e
i propri traffici. Questo costituisce il nucleo del paradosso della sanzione legale dove l’inasprimento
delle pene per le persone fisiche finisce con il determinare un’espansione delle attività della
criminalità organizzata e del livello di corruzione stessa.
La strategia del presidente Calderòn rientra così a far parte della casistica descritta dall’analisi di
Buscaglia in quanto risulta viziata da una mono dimensionalità di fondo che non affronta il
problema della penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico, sociale ed economico
del paese.
Dopo aver descritto la multidimensionalità della criminalità organizzata messicana e dopo aver
constatato il fallimento delle politiche di contrasto fondate esclusivamente sul lato repressivo del
fenomeno, è lo stesso professor Edgardo Buscaglia a suggerire la necessità del passaggio da una
strategia monodimensionale ad una alternativa che si proponga di affrontare il problema da
molteplici angolazioni provando a rispondere specularmente alla multidimensionalità del fenomeno
narcos.
I pilastri sui quali si basa la strategia multidimensionale sono i seguenti: introduzione di un sistema
di controllo del decision – making giudiziario che provochi una riduzione nella frequenza di abusi
procedurali e legati all’arbitrarietà; una maggior frequenza di procedure giudiziarie su materiale
probatorio fornito dalle agenzie di intelligence atto ad una sistematica confisca dei beni nelle mani
dei gruppi criminali e sotto il controllo di uomini d’affari legati alla criminalità organizzata;
l’attacco alla corruzione di alto livello. Infine vi è un quarto elemento rappresentato dalle strategie
sociali e dal ruolo della società civile organizzata nella lotta ai narcos al quale verrà dedicato il
capitolo successivo.
43
Per quanto riguarda il primo punto, il sistema giudiziario messicano presenta numerose critiche. Il
sistema di amministrazione di giustizia del paese è poco professionale e inefficace. Soffre di un
profondo deficit che condiziona il sistema a tutti i livelli : la dipendenza politica e strutturale della
procura della giustizia dai titolari del potere esecutivo alla quale si aggiunge la mancanza
dell’obbligo dell’azione penale da parte dei procuratori. Un sistema dove l’arbitrarietà nell’esercizio
della giustizia rischia di costituire la prassi. A questo proposito viene ricordato un caso avvenuto nel
maggio 2009 quando il governo federale, con un’operazione molto enfatizzata dai media, incarcerò
con l’accusa di legami con il narcotraffico alcuni tra i più alti funzionari statali e municipali dello
stato del Michoacàn governato dal partito PRD. Furono arrestati un giudice, 17 funzionari
governativi e 10 sindaci. Per molti questa iniziativa fu una mossa elettorale del governo federale
contro uno dei suoi principali avversari politici. Sensazione confermata nel febbraio 2010 quando i
funzionari arrestati sono stati rilasciati per insufficienza di prove. L’inesistenza di un Servicio
Profesional Ministerial in parte si spiega con la profonda sfiducia che hanno i funzionari delle
procure della giustizia. Detta sfiducia è condivisa dalla cittadinanza e dagli stessi attori politici.
Nel 2008 è stata approvata un’importante riforma costituzionale in materia di giustizia con la quale
si contemplava finalmente, grazie all’articolo 21, la creazione di un sistema nazionale di sicurezza
pubblica. Ma all’interno del medesimo testo di legge, è stato stabilito che, qualora un membro del
servizio della procura della giustizia, dopo essere stato rimosso da un incarico per un atto disonesto,
riuscisse a dimostrare che il licenziamento era ingiustificato, lo Stato è obbligato a indennizzarlo
economicamente senza però avere l’obbligo di reintegro.
Il risultato è una riforma costituzionale che diversi esperti di diritto hanno classificato come
schizofrenica perché presenta aspetti in contrasto tra di loro tra cui il principio di presunzione di
innocenza e la custodia cautelare per ottanta giorni in caso di criminalità organizzata.
Il secondo punto affrontato da Buscaglia dimostra che l’impatto positivo dei processi e l’efficacia
delle misure cautelari dipende non tanto dall’incarceramento delle persone quanto dalla distruzione
della funzione di produzione della criminalità organizzata attraverso la confisca dei beni, che
riduce l’ammontare netto della ricchezza destinato alla corruzione del settore pubblico per mettere
in atto il processo di feudalizzazione dello Stato che è stato analizzato nel capitolo precedente.
Risulta difficile quantificare l’impegno dell’attore statale in questa direzione a causa della
mancanza di dati statistici. Non esiste una ricostruzione ufficiale dei sequestri effettuati e quando il
settimanale d’inchiesta Proceso ha provato nel maggio 2010 a esplorare il tema nel dossier
44
“Narcolavado, otra guerra perdida”102 ha inizialmente ricevuto il rifiuto di accesso alle
informazioni da parte delle autorità competenti. I dati che vengono citati nell’articolo arrivano
pertanto dall’Istituto Federale di Accesso alle Informazioni che ha accolto la loro richiesta fornendo
i dati utili per tracciare una panoramica della situazione. Nei sei anni di presidenza Fox (2000-2006)
sono stati sequestrati 59.298 beni per un totale di 676 milioni di pesos. Nei tre anni successivi
caratterizzati dalla guerra al narcos lanciata dal presidente Felipe Calderòn, 10.572 beni per un
totale di appena 185 milioni di pesos, una cifra che non raggiunge neanche il 7% del patrimonio del
Chapo Guzman. Le cifre a livello assoluto sembrano così confermare un indebolimento nel campo
del sequestro dei beni durante il sexenio di Calderòn che sembra aver concentrato la propria
strategia repressiva dell’aspetto criminale del fenomeno a discapito della dimensione economica,
ritenuta invece di fondamentale importanza dalla Convenzione di Palermo103.
Il terzo rimedio suggerito da Buscaglia è la lotta alla corruzione di alto livello. Tra gli effetti
collaterali del processo di transizione democratica che si è verificato nelle ultime due decadi è da
annoverare una maggiore corruzione nei diversi livelli del potere politico. 104 Il Messico di oggi è
percepito come un paese più corrotto di dieci anni fa. Se si guarda l’Índice de Percepción de la
Corrupción de Transparencia Internacional si nota che se nel 2000 l’indice registrava un tasso di 3.3
in una scala da 1 a 10 (dove l’indice 1 rappresenta il livello di corruzione più elevato), dieci anni più
tardi il tasso aumentava di due decimi collocandosi al 98° posto su 178 nella classifica a livello
mondiale.105 Dieci anni più tardi, Transparencia Mexicana ha stimato che nel 2010 si sono registrati
200 milioni di atti di corruzione nella pubblica amministrazione. Una cifra in leggero aumento
rispetto al 2007 quando lo stesso indice si era fermato a quota 197 milioni, ma in lieve diminuzione
rispetto a dieci anni prima, quando la cifra si attestata sui 214 milioni. Scendendo poi dai dati a
livello federale a quelli statali, si riescono a distinguere l’andamento di tali indici a secondo dallo
stato preso in considerazione. Tra gli stati che hanno fatto registrare una diminuzione del livello di
corruzione del potere politico si possono inserire la Baja California del Sur, Yucatan, Durango e
Morelos, mentre nell’insieme degli stati che hanno visto un aumento del livello di corruzione
rientrano Guerrero, Hidalgo, Colima e Oaxaca.
102
103
104
105
Dávila P., “Narcolavado, otra guerra perdida”, in Proceso , num. 1748, ,2010
La Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale è stata firmata da 121 paesi nel
dicembre 2000
Ugalde L.C., “Nueva y vieja corrupción”, in Nexos, luglio 2011, consultabile su http://www.nexos.com.mx/?
P=leerarticulo&Article=2099373
Ibidem
45
Il processo di transizione democratica sembra dunque non aver apportato grandi benefici alla lotta
contro la corruzione anzi in alcuni casi ha avuto un effetto contrario. Le motivazioni di questo
fenomeno sono spiegate da Luis Agarte attraverso l’acronimo FLIME: Frammentazione, Liquidità,
Impunità, Media e Imprese. Nell’ambito di questo paragrafo verrà approfondito solamente il primo
degli elementi che si ricollega al medesimo processo di disgregazione del sistema politico e del
partito egemonico ampiamente descritto nei paragrafi precedenti. Se nel XX secolo la corruzione
era il risultato della concentrazione del potere nella presidenza, la corruzione dell’inizio del XXI
secolo è il frutto del processo di dispersione del potere dal vertice di Los Pinos e del Pri in un
contesto pluripartitico e di competizione elettorale.
A partire dal 2000, “il vero problema è che i nodi della corruzione si sono moltiplicati. Non c’è più
un presidente discrezionale, ma 32 governatori con molti soldi e senza contrappesi politici” 106. Di
conseguenza si è instaurato un sistema di corruzione competitiva che è alimentata dal costo
crescente per la competizione elettorale. È proprio da questo livello che spesso ha origine il ciclo
della corruzione: l’attore criminale inizia con il finanziamento delle campagne elettorali a livello
municipale e vincola i candidati, una volta eletti ad un posto di governo, a rispettare gli accordi e i
patti stretti al momento del finanziamento illegittimo. Un meccanismo che avviene sempre più
spesso sia a livello municipale sia a livello statale reso possibile da due condizioni: la presenza di
un sistema giudiziario che lascia ampi spazi all’impunità e una grande liquidità di denaro. Ed è
proprio questa una delle caratteristiche che contraddistingue la criminalità organizzata, che grazie al
mercato internazionale di stupefacenti che non conosce mai crisi ha a disposizione enormi quantità
di denaro liquido pronto per essere utilizzato all’occorrenza sia nel settore economico, per riciclare
in investimenti legali, sia nel campo politico, per guadagnarsi la complicità dei futuri amministratori
pubblici. Una situazione che secondo le stime della Banca Mondiale nel 2010 è costata al Messico
una perdita di oltre sessanta miliardi di dollari all’anno, una cifra che equivale al 9% del Pil.107
106
107
Ibidem
http://www.elpuntocritico.com/politica-nacional/13326-corrupcion-cuesta-60-mil-mdd.html consultato il 29 luglio
2011
46
CAPITOLO 4
LE ESPERIENZE DI STRATEGIE SOCIALI E CULTURALI DI CONTRASTO ALLA
CRIMINALITA’ ORGANIZZATA
L’efficacia della lotta alla criminalità organizzata dovrebbe dipendere dalla partecipazione e dal
coinvolgimento di tutti gli attori che partecipano alla vita pubblica dello Stato. Le strategie
istituzionali a disposizione dell’attore statale dovrebbero essere accompagnate, o in taluni casi
stimolate, da una domanda di giustizia sociale portata avanti dalla società civile organizzata. Negli
ultimi anni l’elevata violenza e il clima di intimidazione nei confronti di quei soggetti sociali che
hanno provato a reagire ai soprusi dei narcos sembrano aver paralizzato la capacità di indignazione
dei cittadini. Se fino ad oggi le proteste della società civile contro la violenza sono state tenui,
questa tendenza sembrerebbe essersi invertita.
Lo testimoniano le migliaia di cittadini e di famigliari delle vittime dei narcos che negli ultimi mesi
hanno marciato per le strade del paese al grido di Estamos hasta la madre per protestare contro la
violenza della criminalità organizzata. Lo testimoniano, come vedremo nelle pagine successive, la
nascita e il consolidamento di alcune esperienze associative che sono riuscite nel corso degli anni a
rompere il velo del silenzio e dell’omertà e hanno iniziato a lottare in prima linea contro il sistema
di potere dei narcotrafficanti agendo prima di tutto sul piano sociale provando a costruire dal basso
un modello di società alternativo a quello dei narcos. Movimenti e reti sociali che hanno
organizzato e strutturato la propria indignazione trasformandola in strategia dissuasiva per minare il
potere dei narcos nella società.
Le esperienze descritte di seguito sono riconducibili a contesti e aree di rifermento differenti. La
Red por la Paz è nata nella città di Cuernavaca su iniziativa del poeta Javier Sicilia, ma in pochi
mesi è arrivata a coinvolgere i famigliari delle vittime dei narcos in tutto il territorio messicano.
L’associazione Cauce Ciudadanos nelle periferie di Città del Messico lavora nella conversione dei
pandilleros alla nonviolenza, la rete di Nuestra Hijas de Regreso a Casa a Ciudad Juarez riunisce le
madri e i famigliari delle vittime del femminicidio di Città del Messico e infine i Periodistas de a
Piè sono una rete di autodifesa e di tutela dei giornalisti di grandi e piccoli quotidiani messicani.
Quattro esperienze che seppur embrionali rispetto alla potenza di fuoco dei narcos hanno saputo
praticare il cambiamento nel proprio contesto di riferimento.
47
4.1 Dalla memoria all’impegno: la Red por la Paz di Javier Sicilia
El mundo ya no es digno de la palabra
nos la ahogaron adentro
como te asfixiaron
como te desgarraron a ti los pulmones
y el dolor no se me aparta
sólo queda un mundo.
Por el silencio de los justos
sólo por tu silencio y por mi silencio, Juanelo
el mundo ya no es digno de la palabra,
es mi último poema,
no puedo escribir más poesía...
la poesía ya no existe en mí.”
È questo l’ultimo verso che il poeta messicano Javier Sicilia ha dedicato al proprio figlio Juan
Francisco assassinato barbaramente da sicari appartenenti al gruppo criminale Pacifico Sur. Il 27
marzo 2011 hanno fatto irruzione in un bar di Cuernavaca, capitale dello stato di Morelos, e hanno
ucciso una mezza dozzina di giovani tra cui il figlio del poeta. Un omicidio che ha portato ad un
processo di elaborazione del lutto collettivo culminato nella costituzione della Red por la Paz, una
rete sociale che riunisce diversi soggetti appartenenti alla società civile che hanno deciso di
ribellarsi al potere dei narcos. Il principale artefice della nascita della rete è stato Javier Sicilia, uno
dei poeti più importanti del paese, insignito nel 2009 del premio Aguascalientes. La produzione
poetica di Sicilia si è interrotta drammaticamente nel marzo scorso in seguito all’assassinio del
proprio figlio. Un fatto che ha sconvolto il poeta fino al punto di decidere di non scrivere più.
L’elaborazione del lutto nel privato è una dinamica che si verifica spesso nei casi di assassini per
mano della criminalità organizzata. Il senso d’impotenza di fronte al clima generale di impunità e
alla paura della vendetta da parte dei narcos paralizza anche la sola la capacità di parlare e di
denunciare la violenza subita.
Al contrario l’elaborazione del lutto collettivo, che si traduce nella scelta della parola, diventa un
vero e proprio atto politico: «Dopo un primo momento dove ho pensato di voler smettere di scrivere
– ha raccontato Javier Sicilia all’inviato del Corriere della Sera Ettore Mo - poi gradualmente mi
sono ripreso e ho pensato che sarebbe stato più utile svolgere un’attività che richiamasse
48
l’attenzione della gente sui problemi concreti: come il livello d’impunità, spaventoso, la corruzione
dilagante nell’amministrazione e nella polizia, l’incontenibilità del narcotraffico che in quattro
anni ha fatto più di 40 mila morti, per lo più civili innocenti108».
Javier Sicilia ha maturato così la convinzione di iniziare a lanciare pubblicamente un appello di
indignazione ben espresso nello slogan Estamos hasta la madre che presto è stato accolto dalle
associazioni, dai giovani e dagli studenti di tutto il paese. Il mezzo di comunicazione privilegiato è
rappresentato dal web e dal mondo dei social network. Nelle università del paese iniziavano a
svolgersi assemblee dove Sicilia ed altri famigliari di vittime della violenza dei narcos raccontavano
pubblicamente le loro storie. L’esposizione pubblica di Sicilia ha dunque avuto un effetto
moltiplicatore in tutto il paese e ha favorito la testimonianza di diversi famigliari di vittime che fino
a quel momento si erano chiusi nel dolore privato. Nel corso delle settimane, le diverse voci hanno
iniziato ad organizzarsi in rete per provare a canalizzare questa indignazione spontanea in una
domanda collettiva di giustizia e verità per le vittime causate dall’azione dei narcos. Di fronte ad un
paese immerso in un clima di violenza generalizzata e dove lo Stato stesso non ha esitato ad usare lo
stesso mezzo contro la criminalità organizzata, la scommessa della rete è proprio quella della
nonviolenza. «E infatti – ha riconosciuto il poeta – in questa nostra lotta per la pace sono molti gli
elementi gandhiani che ci fanno da guida».
Uno degli strumenti principali che la rete ha utilizzato per promuovere la propria immagine è
rappresentata dalle marchas, delle vere e proprie carovane che hanno attraversato il paese
spargendo il grido di indignazione a partire dalle zone periferiche della federazione più colpite dalla
violenza dei narcos fino ad arrivare al cuore del potere politico: lo zòcalo di Città del Messico.
La prima di queste iniziative si è svolta nel corso della primavera di quest’anno: il 5 maggio un
migliaio di cittadini si è dato appuntamento nel luogo dove è stato assassinato il figlio del poeta
Sicilia, nella città di Cuernavaca, per marciare in silenzio verso la capitale. Nei quattro giorni di
marcia, la carovana ha saputo far conoscere al mondo le storie delle vittime dei narcos, ma
soprattutto è riuscita ad ascoltare e raccogliere tanti altri famigliari incontrati lungo il suo percorso.
Il risultato è stato un vero e proprio fiume in piena che si è ingrossato arrivando a sfondare il muro
di silenzio imposto dai media ufficiali e portando l’8 di maggio oltre duecentomila persone a
protestare nello zòcalo di Città del Messico. Una moltitudine di padri e madri, figli e parenti delle
oltre 40 mila vittime della guerra al narcotraffico lanciata dal presidente Felipe Calderón; ma anche
108
Intervista realizzata dall'inviato Ettore Mo pubblicata il 29 agosto 2011 sul Corriere della Sera
49
migliaia tra i militanti delle diverse organizzazioni sociali messicane, giovani, studenti, artisti,
migranti, indigeni e molti altri ancora. Poche volte nella storia dei movimenti sociali messicani si è
avuta la possibilità di osservare i contadini di Atenco assieme alle associazioni di migranti, agli
studenti riuniti nell’Assemblea dei Giovani in Emergenza Nazionale, agli indigeni del Municipio
Autonomo di San Juan Copala, ai membri della Polizia Comunitaria della Montagna di Guerrero, ai
genitori del Movimento 5 Giugno, alle famiglie delle vittime del femminicidio di Ciudad Juarez
insieme ad artisti ed intellettuali di diversa provenienza e insieme alle anime democratiche della
Chiesa oltre a migliaia di cittadini comuni messicani che hanno raccolto l’appello di Sicilia
scendendo in piazza.
Ma l’8 di maggio non è rimasto un evento isolato, ed è anzi considerato come il punto di partenza
del lavoro della rete che nel frattempo è riuscita a espandere i propri nuclei su tutto il territorio
messicano iniziando ad esercitare pressione sulle istituzioni locali. Neanche un mese dopo la marcia
è proprio Città del Messico a rappresentare il punto di partenza della seconda carovana organizzata
dalla rete, che dopo aver percorso oltre duemila chilometri è arrivata fino alla città più pericolosa al
mondo: Ciudad Juarez. Un percorso lungo durato più di una settimana che ha toccato quei “punti
del dolore”, ovvero le zone più colpite dalla criminalità organizzata, rompendo il muro di silenzio e
di omertà che impediva il cammino verso la giustizia per i tanti famigliari delle vittime. Ma questa
seconda carovana è riuscita a coinvolgere anche le associazioni statunitensi che dall’altra parte della
frontiera provano a fronteggiare il problema dei narcos. Le organizzazioni della società civile
americana hanno raccolto l’appello dei messicani alla corresponsabilità per far fronte alla rottura del
tessuto sociale causato dall’aumento della violenza dei narcos.
L’iniziativa è risultata vincente grazie alla capacità di offrire una narrazione polifonica e istantanea
e alle possibilità offerte dal web 2.0. Decine e decine di web radio e web tv hanno infatti raccontato
in diretta sul web le diverse tappe della carovana e le diverse storie dei famigliari di vittime
riuscendo a bucare il duopolio televisivo del paese facendo conoscere al mondo la reazione
d’orgoglio della società civile messicana.
A circa un mese dalla partenza della prima carovana, la Red por la Paz ha saputo rilanciare la
propria esperienza con una seconda marcha partita all’inizio di giugno da Città del Messico e che è
riuscita ad arrivare fino a Ciudad Juarez. Un’iniziativa che rispetto a quella precedente presentava
un obiettivo più ambizioso: la stipulazione di un patto tra i diversi soggetti che componevano la rete
che contenesse le richieste della società civile al governo messicano.
50
La proposta si è tradotta nel Patto Nazionale che prima di tutto ha rivolto un appello alla società
civile stessa, chiamata a restituire la memoria a quei 40 mila morti e a fare uno sforzo di pressione
perché tutti quei casi ancora irrisolti siano finalmente chiariti dalle autorità competenti. È stato poi
richiesto un cambiamento di visione in materia di pubblica sicurezza. La militarizzazione del paese
non ha comportato solamente l’invio di 90 mila soldati sulle strade del paese, ma ha messo a rischio
l’equilibrio costituzionale dei rapporti tra autorità civili e militari dato che 500 militari attualmente
hanno la licenza di assumere ruoli di comando all’interno delle diverse polizie locali del paese.
Un altro punto del patto ha riguardato la nuova proposta di Legge di Sicurezza Nazionale che
darebbe facoltà al presidente di imporre lo stato d’eccezione e di utilizzare l’esercito contro ogni
movimento che metta in pericolo la stabilità dello Stato.
Il Patto Nazionale ha espresso l’intenzione di combattere a fondo la corruzione diffusa in seno ai
partiti ed al sistema politico restituendo autonomia al potere giudiziario ed ha richiesto al Congresso
l’eliminazione dell’immunità parlamentare entro i prossimi sei mesi. Il documento ha chiesto anche
di attaccare realmente la florida economia del narcotraffico e di stabilire politiche precise e
verificabili in favore dei giovani che attualmente in Messico non hanno alcuna opportunità se non
quella di arruolamento nelle fila dell’esercito o dei narcos.
A sei mesi dalla costituzione della Red por la Paz è possibile tracciare un sintetico bilancio degli
obiettivi raggiunti e dell’efficacia dell’azione. Tra i risultati ottenuti dalla rete risulta fondamentale
il lavoro di raccolta, conoscenza e comunicazione delle storie, sino ad oggi dimenticate, dei
famigliari delle vittime dei narcos. Un processo di elaborazione del lutto collettivo e di memoria che
risulta un vero e proprio atto politico, al contrario del mero ricordo personale, e che si è tradotto in
una domanda sociale di giustizia e verità che ha provato a dialogare e a fare pressioni sulle
istituzioni per generare un cambiamento a livello strutturale. Nel corso dei mesi la rete ha infatti
saputo costruirsi un’immagine forte e una credibilità tale da essere riconosciuta dal potere ufficiale.
Lo testimonia l’incontro avvenuto tra il Presidente Calderòn e una delegazione della Red por la Paz,
per discutere della violenza, del narcotraffico, delle migliaia di morti di innocenti.
Occorre tuttavia far notare che l’incontro non ha portato ad un cambiamento nella strategia di
contrasto alla criminalità organizzata, ma ha evidenziato la disponibilità del Presidente ad avviare
altre conversazioni con le parti sociali per rivedere l’agenda della lotta alla delinquenza e adattarla,
laddove sia possibile, alle esigenze popolari.
In attesa di conoscere gli esiti di questo dialogo nei prossimi mesi, la rete di Sicilia sta continuando
a portare avanti il lavoro di raccolta e di conoscenza delle storie dei famigliari delle vittime
51
attraverso le carovane che nel settembre 2011 hanno attraversato la zona meridionale del paese. In
un paese dove le autorità tendono a dimenticare in fretta le vittime della criminalità organizzata, la
memoria appare come atto di resistenza solamente se si riesce a tradurre in impegno concreto per
cambiare la situazione. Un processo che la Red por la Paz con Justicia y Dignidad sta portando
avanti in questi mesi.
4.2 Cauce Ciudadanos: i canali dell’alternativa
Carlos Alberto Cruz ha 35 anni e dal 2005 presiede Cauce Ciudadanos, un’organizzazione nata
undici anni fa per il reinserimento sociale, lavorativo ed educativo dei tanti giovani pandilleros che
popolano le strade delle periferie di Città del Messico. Qui, tra gli antichi canali bonificati che oggi
ospitano i quartieri periferici della megalopoli, vivono per lo più i giovani della generazione ninis109
e si registrano i tassi di violenza più alti.
Tra i palazzi costruiti in seguito alla speculazione edilizia, la violenza rappresenta l’unica via di
socializzazione. Il sopruso e la sopraffazione sono gli strumenti che accompagnano l’adolescenza di
quei tanti ragazzi che costituiscono il bacino privilegiato dal quale attingono i cartelli della droga
messicani. La rottura di questo circolo vizioso è legata necessariamente all’offerta di opportunità di
socializzazione alternative. Questo è l’impegno
che
Cauce Ciudadanos porta avanti
quotidianamente a Città del Messico lavorando non solo con le vittime della violenza, ma
soprattutto con chi non esita ad esercitare quella violenza. Ed è proprio il lavoro con i carnefici che
rappresenta il tratto distintivo del lavoro di Carlos Alberto Cruz. Un’intuizione che sembra essersi
sviluppata a partire dalla sua esperienza personale. Carlos è nato a Città del Messico da una
famiglia di migranti dello stato del Chiapas. Fin dall’adolescenza, ha dovuto sopportare violenze e
abusi commessi dalla propria famiglia. Così, come accade a tanti giovani nella sua condizione, non
ha esitato a utilizzare lo strumento della violenza poiché pareva l’unica arma per risolvere i suoi
disagi. Questa spirale violenta si alimenta negli anni della scuola superiore, dove fin dall’inizio si
trova a dover subire rapine e altri atti di violenza. L’unico rimedio per uscire dalla condizione di
vittima risulta entrare a far parte di quello stesso universo violento che fino a poco tempo prima lo
aveva colpito. Carlos diventa pertanto un membro di una delle gang più importanti del distretto. Da
quel momento Carlos gode della protezione del clan in cui ha militato per molti anni e con il quale è
109
Si intende Ni Escuela, ni trabajo ovvero quella fascia di adolescenti che non frequentano la scuola e non hanno un
impiego
52
stato protagonista di diversi atti violenti. Ha conosciuto diverse volte l’esperienza del carcere, dove
è stato picchiato: situazione che ha aumentato la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta. La vita di
Carlos è cambiata drasticamente quando è stato colpito da un proiettile all’anca. Durante il periodo
di degenza a casa di un amico a Veracruz ebbe tempo di riflettere sulla sua esperienza di vita, breve,
ma intensa, arrivando a constatare l’inutilità della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti.
Dopo la guarigione, Carlos ha messo in pratica gli impegni assunti con se stesso terminando gli
studi e tornando a Città del Messico. Qui ha iniziato ad impegnarsi per favorire un lungo processo
di mediazione e di alleanza pacifica tra i leader delle gang delle diverse scuole della città per
provare a fermare la spirale di violenza. Un processo difficile e tortuoso poiché i diversi leader non
hanno esitato a usare il denaro per reprimere il movimento. L’esperienza personale di Carlos come
membro di una gang ha giocato un ruolo fondamentale nel suo lavoro di prevenzione della violenza.
La sua capacità di empatia e di immedesimazione nella figura del carnefice, e non solo della
vittima, gli ha permesso di riuscire a identificare i nodi che possono ispirare il cambiamento nella
mentalità del pandillero. Inoltre la storia personale di Carlos rappresenta un vero e proprio esempio
di cambiamento e trasformazione concreto per le migliaia di giovani pandilleros che si imbattono
nelle attività di Cauce Ciudadanos110. A partire dall’esperienza del suo fondatore, il tentativo
dell’associazione è quello di lavorare in particolar modo con i leaders delle bande giovanili. Questo
tipo di soggetti che in molti casi ha già sperimentato la dura esperienza del carcere è disposta ad un
cambiamento radicale del proprio stile di vita qualora venga offerta loro un’alternativa e qualora
questo cambiamento riesca ad avvenire, essi, grazie al carisma di cui godono, rappresentano un
modello di cambiamento potenzialmente di grande efficacia nella promozione della cultura della
nonviolenza. La strategia dunque è volta alla creazione della “prima generazione di giovani
pandilleros promotori di pace e di diritti umani”111.
Ma il processo non è stato facile e lineare: inizialmente Carlos si metteva a cercare e a selezionare i
leader giovanili violenti delle gang con i quali credeva di poter venire a patti. Quelli che erano più
propensi ad ascoltare le sue idee e che spesso si potevano identificare con la storia personale di
Carlos sarebbero diventati i promotori più efficaci della cultura della nonviolenza. Infatti Cauce
spesso prendeva la responsabilità di pagare la cauzione quando le famiglie non potevano farlo,
utilizzando questa situazione come un’opportunità per avvicinare i leaders delle gang in un
momento delicato di transizione, provando a metterli sul cammino dei programmi di recupero.
110
111
http://www.ashoka.org/node/3674 consultato il 1 agosto 2011
http://www.ekoos.org/es/bloog/post/?id=527 consultato il 30 luglio 2011
53
In altri casi il lavoro di Cauce è stato fatto direttamente dentro le scuole dove insieme alle autorità
scolastiche e ai maestri vengono identificati coloro che giocano un ruolo importante nelle gang.
Per raggiungere questo obiettivo di lungo periodo, l’organizzazione si è prefissata i seguenti
obiettivi intermedi, raggiungibili grazie al lavoro svolto quotidianamente sulle strade dei quartieri
più disagiati di Città del Messico: fortificazione dei fattori protettivi ed eliminazione dei fattori di
rischio incoraggiando stili di vita salubri per una vita piena e senza violenza; promozione e sviluppo
di una metodologia di lavoro volta a rinforzare le capacità dei giovani a rischio; reinserimento
sociale e trasformazione in unità sociali positive delle bande giovanili e delle pandillas;
reinserimento scolastico dei giovani che hanno abbandonato il percorso di studi; rinforzo e
promozione del protagonismo sociale giovanile. Teatro dell’azione dei ragazzi è il Cauce
Community Center, uno spazio fisico gestito dall’associazione dove i ragazzi hanno l’opportunità di
conoscere le attività portate avanti. Tra queste ci sono i lavori e i programmi per combattere la
dipendenza da stupefacenti e per prevenire i comportamenti pericolosi. I medici risolvono i
problemi di salute più gravi e imminenti e sviluppano piani a lungo termine per favorire stili di vita
salutari. Gli psicologi fanno terapie individuali o di gruppo per i problemi di autostima e provano a
far guarire i danni emotivi derivanti dalla lunga esposizione alla violenza. Ma la cosa più importante
è che i giovani possono confrontarsi con gli ex leaders delle gang come Carlos e tanti altri che egli
è riuscito a reclutare, per imparare da loro le storie di tragedia e recupero. Infine un’altra peculiarità
del lavoro di Cauce Ciudadanos, è rappresentata dal lavoro continuo di coinvolgimento delle
famiglie che spesso vengono rese partecipi di attività terapeutiche dal carattere psicologico
collettivo. Carlos riconosce che il comportamento violento è spesso derivato dal contesto dal quale
proviene il soggetto e il lavoro con le famiglie può aiutare a prevenire questo disagio.
Un ruolo fondamentale è giocato dall’educazione all’uso responsabile delle Nuove Tecnologie
dell’Informazione. L’obiettivo è quello di stimolare la nascita di un libero spazio di espressione per
i giovani del quartiere attraverso il linguaggio radiofonico e quello video – artistico. Un percorso
che parte dalla conoscenza e dall’apprendimento delle tecniche dell’informazione grazie a
workshop sull’utilizzo consapevole di internet, sulle tecniche di ripresa video, di montaggio e di
post produzione. Una volta acquisite le basi che permettono di padroneggiare questi strumenti si
passa alla fase della costruzione di una narrazione alternativa. Il lavoro passa dunque dalla tecnica
allo sviluppo di capacità critica di pensiero e di espressione. Nascono così le esperienze della web
radio Sextumismo gestita dai ragazzi del centro che si fa portavoce delle istanze e dei bisogni dei
54
ragazzi delle periferie. Un’autentica oasi di libertà di espressione nel deserto dei canali dell’
informazione ufficiale che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, appare dominata dai grandi
colossi economici. Un sistema che, grazie alle possibilità offerte dal web 2.0, è possibile scardinare
dal basso offrendo la possibilità di narrazioni alternative che raccontino anche le reali esigenze della
popolazione giovanile che vive nelle aree più disagiate.
Ma l’impegno di Cauce Ciudadanos si traduce anche nella creazione di nuove opportunità di lavoro
per i giovani che hanno terminato o abbandonato il proprio percorso di studi e sono destinati a finire
nella massa dei ninis. Il centro prevede numerosi corsi di avviamento al lavoro che favoriscono la
ricerca di sbocchi occupazionali o si propongono di sviluppare una mentalità imprenditrice di tipo
cooperativo e non competitivo che spinga i giovani a mettersi in gioco. Questo tipo di attività risulta
fondamentale perché alla base della scelta della violenza spesso vi è proprio l’assenza di
opportunità lavorative e la prospettiva di un guadagno facile. Un’attività che va a coprire le carenze
del sistema educativo pubblico offrendo ai giovani una seconda chance. La testimonianza migliore
di questo processo arriva dalle parole stesse dei ragazzi che sono entrati a far parte dei programmi
di Cauce Ciudadanos. Angel aveva abbandonato la scuola: “Perché ho smesso di studiare? Perché
non sapevo davvero che fare, non sapevo dove andare e realmente che cosa volevo fare. Quando ho
incontrato Cauce Ciudadadanos mi hanno subito chiesto: “Che cosa sai fare?” Io ho risposto:
“Non lo so”. Loro hanno insistito e io ho detto: “Poiché talvolta mi mettevo a cucinare quando
potevo pur avendo lasciato la scuola preparatoria, mi sarebbe piaciuto iscrivermi ad un corso
specializzato in cucina e gastronomia”. Così da quel momento Angel ha iniziato a dare lezioni di
cucina internazionale e parla con toni entusiastici dei workshop sulla parità di genere: “Mi
sarebbe piaciuto che la scuola secondaria mi avesse offerto l’opportunità di parlare di questi
problemi”.112
A undici anni dalla sua nascita il bilancio del lavoro svolto da Cauce Ciudadanos appare positivo,
seppur limitato nella sua estensione: il risultato più importante è rappresentato dal prestigio che
l’associazione ha saputo costruire attorno a sé, non solo all’interno del quartiere Rio Blanco che lo
ha visto nascere, ma in tutta l’area metropolitana. Il primo dato tangibile che testimonia i risultati
ottenuti dal lavoro quotidiano è rappresentato dall’espansione delle attività del centro in altri 25
municipi del paese113. Secondo i calcoli di Carlos Cruz, quasi duemila giovani hanno lasciato le
112
113
http://www.elsiglodetorreon.com.mx/noticia/468434.cauce-ciudadano-para-pandilleros-con-valores.html consultato
il 1 agosto 2011
Ibidem
55
attività criminali per partecipare alla vita del centro frequentando i corsi e i workshop. Del totale dei
ragazzi che hanno condiviso un pezzo della propria vita con il centro si calcola che il 39 % ha
ripreso il proprio percorso di studi, abbandonato a causa dell’attività criminale, il 22% ha trovato
lavoro, il 34% riesce a coniugare l’attività di studio con quella lavorativa e solamente il 5% non è
riuscito a trovare un impiego 114. Cifre che testimoniano la continua espansione che Cauce
Ciudadanos ha vissuto nei suoi undici anni di vita e che confermano che il cambiamento è possibile
anche attraverso gli strumenti della nonviolenza.
4.3 Le madri di Ciudad Juarez: l’esperienza di Nuestras Hijas de Regreso a Casa
“Qualsiasi cosa accadrà alla mia famiglia, a me o alle mie compagne di lotta nei prossimi mesi
riterrò come diretto responsabile il governo messicano”115. Queste dure parole sono state
pronunciate nel novembre 2010 a Torino da Marisela Ortiz Rivera, fondatrice dell’associazione
Nuestras Hijas de Regreso a Casa che da dieci anni lotta in prima linea contro l’impunità che
avvolge il terribile fenomeno del femminicidio di Ciudad Juarez. Solamente quattro mesi più tardi,
nel marzo 2011, viene ritrovato davanti alla scuola dove Marisela insegna una narco-manta ovvero
uno striscione che minaccia direttamente l’attivista per i diritti umani e il suo figlio maggiore Rawi.
Di fronte all’ennesima intimidazione subita, Marisela decide di lasciare il suo paese scappando in
esilio forzato negli Stati Uniti dove ad oggi aspetta che la sua richiesta d’asilo venga accettata dagli
Stati Uniti. Ma la storia della resistenza di Marisela e delle altre donne di NHRC inizia dieci anni
prima nella città più pericolosa al mondo.
Lilia Alejandra Garcia Andrade era una ragazza di 17 anni che viveva con i suoi due bambini a
Ciudad Juarez. Nel febbraio 2001 viene sequestrata, violentata, torturata e dopo cinque giorni il suo
corpo viene ritovato in un campo incolto. Un fenomeno che dal 1993 ad oggi ha coinvolto oltre
mille ragazze, la maggior parte delle quali lavorano nelle maquilladoras vicino al confine116. Di
fronte all’ennesimo caso di violenza rimasto impunito, questa volta i famigliari e gli amici di Lilia
Alejandra decidono di organizzare una serie di proteste pubbliche e di iniziare a denunciare il caso
della scomparsa della propria figlia. Tra le protagoniste di questo movimento vi sono Marisela Ortiz
Rivera, maestra di Lilia Alejandra, e la madre della ragazza Norma Andrade: “Abbiamo deciso di
114
115
116
Ibidem
Intervista a Marisela Ortiz Rivera realizzata a Torino nel novembre 2010
Gonzalez Rodriguez S., Ossa nel deserto, Adelphi, Milano, 2006
56
dire basta al silenzio che avvolgeva la scomparsa delle nostre ragazze attraverso una serie di
proteste e denunce pubbliche che ebbero eco tra la società, ma non raggiunsero il livello delle
autorità e del governo. Le nostre voci ed i nostri lamenti hanno attratto sempre più famiglie che si
sono avvicinate per chiedere appoggio, visto che le autorità non cercano le figlie”117.
Nei mesi successivi, le denunce delle sparizioni sono aumentate e i famigliari delle vittime hanno
iniziato a guardare al gesto di Marisela e Norma come un modello al quale ispirarsi. La denuncia
individuale si è trasformata dunque in denuncia collettiva e ha visto la nascita, nella primavera
2001, dell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa (Le Nostre figlie di ritorno a casa).
L’aumento del numero di famiglie che sono entrate a far parte della rete ha fatto sì che la domanda
di verità e giustizia per le vittime del femminicidio diventasse sempre più forte ed incisiva.
L’associazione NHRC lavora in particolar modo con due tipi di soggetti: da un lato i famigliari
delle vittime del femminicidio, dall’altro porta assistenza ai tanti orfani che si trovano da soli dopo
l’assassinio delle loro giovani madri. Per quanto riguarda il lavoro svolto con i famigliari, non a
caso l’associazione nasce proprio dall’esperienza diretta di chi, dopo aver provato sulla propria
pelle il processo di elaborazione del lutto, è riuscito a trasformarlo in un fenomeno collettivo da
condividere con altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza e dunque a convertirlo in
strumento di denuncia collettiva. Le storie di Norma Andrade e di Marisela Ortiz hanno funzionato
da modello per tante altre madri e famigliari di vittime che hanno preferito la parola al silenzio. Il
terribile fenomeno del femminicidio di Ciudad Juarez non uccide solamente le giovani madri, ma
lascia sul campo di battaglia anche un’altra categoria di persone: sono gli oltre diecimila orfani che
si trovano senza la propria madre e senza alcun tipo di assistenza per le strade di Ciudad Juarez 118.
Qui, nella città al confine con gli Stati Uniti, né la municipalità né le autorità statali si prendono
cura di questi minori anche quando è evidente che hanno perso i loro diritti fondamentali nel
momento in cui la loro madre è stata assassinata. Secondo la testimonianza di NHRC la maggior
parte delle famiglie di Ciudad Juarez è formata solamente da un genitore, spesso di genere
femminile, che grazie allo sfruttamento subito nelle maquilladoras rappresenta l’unica fonte di
sostegno per l’intera famiglia. Non basta il fatto che alcune di loro fossero registrate presso il
sistema di previdenza sociale a garantire un sussidio ai loro figli per il soddisfacimento dei bisogni
primari di sopravvivenza se si pensa che l’aiuto si attesta sui 150 pesos (circa 10 euro) per ogni
figlio. Ma nella maggior parte delle situazioni le donne assassinate non avevano un contratto
117
118
http://www.mujeresdejuarez.org/versionitaliano.htm consultato il 30 luglio 2011
Intervista a Marisela Ortiz Rivera realizzata a Torino nel novembre 2010
57
regolare, facendo parte dell’immensa schiera di impiegati nel settore informale senza alcun diritto di
sussistenza e di aiuto per i figli.
A causa dell’impossibilità di sostenere economicamente i figli delle giovani madri assassinate, le
famiglie sono state costrette a cedere la patria potestà dei bambini o a separarsi da essi. In alcuni
casi poi, le nonne dei figli sono costrette a ritornare a lavorare nelle maquilladoras per poter
sostenere economicamente gli orfani. Ma non è solo il sostegno economico a rappresentare un grave
problema per gli orfani di Ciudad Juarez, ma anche quello medico e psicologico. Gli effetti del
trauma derivante dalla perdita violenta della propria madre possono manifestarsi per anni se non
vengono curati con le adeguate terapie mediche e psicologiche. “Possiamo testimoniare alcuni casi
particolarmente gravi come quello dei figli di Lorenza Isela González (uno dei quali vive
attualmente per strada), la figlia di Perla Patricia Sáenz Dìaz (che ha tentato il suicidio); i figli di
Silvia Arce (uno dei quali è sotto la tutela del tribunale dei minori, mentre l’altro si trova negli
Stati Uniti con persone amiche della famiglia); i figli di Alejandra García, affidati alla nonna
(malata e il cui marito morì a causa di un cancro un anno fa) e sofferenti di disturbi che
attribuivamo solo all’età adulta, come l’emicrania; i tre figli di Rebeca Contreras (separati e con
mille bisogni); i due figli di Erica Pérez Escobedo, affidati alla nonna materna, spesso malata, che
deve compiere enormi sacrifici per sostenerli mentre lotta contemporaneamente affinché le autorità
riconoscano che sua figlia venne assassinata e non morì per overdose come invece affermarono”119.
Sono queste alcune delle storie delle vittime indirette del femminicidio di Ciudad Juarez rese
pubbliche grazie al percorso di denuncia delle loro famiglie stimolate dal lavoro quotidiano delle
madri di NHRC. Il primo passo nell’impegno dell’associazione è rappresentato proprio dalla
raccolta delle storie dei famigliari di vittime che spesso preferiscono rinchiudersi nel dolore
personale di fronte ad un clima di impunità generale che tende a scoraggiare la denuncia. Delle oltre
mille vittime che si sono registrate dal 1993 ad oggi, solamente una minima parte è riuscita ad avere
giustizia attraverso processi che si sono conclusi con l’accertamento e l’incarcerazione dei
colpevoli.
La lotta delle madri di NHRC è dunque contro il clima di impunità diffusa che in questi anni ha
avvolto il fenomeno del femminicidio. Un’atmosfera nella quale le autorità e i diversi gradi di
governo dovrebbero assumersi la responsabilità, in quanto tali crimini danneggiano non solo le
famiglie colpite dai lutti, ma minano sul lungo periodo la sicurezza e la fiducia dei cittadini nei
confronti dello Stato messicano. Per raggiungere la loro domanda di verità e giustizia, le donne di
119
http://www.mujeresdejuarez.org/versionitaliano.htm consultato il 30 luglio 2011
58
NHRC si propongono degli obiettivi intermedi che progressivamente stanno provando a
raggiungere. Una grande importanza è data al raggiungimento dell’attenzione e della solidarietà
internazionale per evitare l’isolamento del caso Juarez non solo dal resto del Messico, ma anche dal
resto del mondo. Inoltre risulta centrale l’obiettivo di ottenere forme di giustizia ed equità sociale
attraverso la promozione integrale dei diritti umani non solo per le vittime del femminicidio, ma per
tutti gli abitanti del paese che si ritrovano a vivere in una situazione di pericolo.
I famigliari delle vittime del femminicidio di Ciudad Juarez che hanno deciso di raggrupparsi
nell’associazione NHRC, hanno iniziato un percorso di elaborazione collettiva del lutto che li ha
portati sulla via dell’impegno per il cambiamento e non alla chiusura in se stessi e nel privato. Un
processo che, a partire dalla condivisione della memoria collettiva dei propri cari, ha portato
all’impegno quotidiano per il cambiamento della situazione. “Noi famiglie che facciamo parte di
questo movimento abbiamo trasformato in forza il nostro dolore, avendo dovuto affrontare, dopo il
brutale assassinio delle nostre figlie, l’inettitudine, l’intransigenza, l’occultamento, la corruzione e
il più indifferente atteggiamento di funzionari e autorità”120, spiegano le donne di NHRC.
Una dimensione pubblica della memoria che chiede giustizia e verità pur non dimenticando il
dolore personale provocato dalla perdita delle proprie care: “Ci risulta complicato esprimere a
parole il dolore straziante di sapere le nostre giovani figlie assassinate in tali circostanze, è un
dolore immenso che non si estingue, al pari delle lacrime che non possiamo evitare ogni volta che
pensiamo a loro, guardiamo le cose che lasciarono o le loro foto. Ci dà angoscia e il nostro
supplizio cresce nell’immaginare come possano essere stati gli ultimi momenti delle nostre figlie
assassinate sotto tortura”121.
Da questi sentimenti condivisi dalle madri di NHRC si è cementata l’unione e la cooperazione tra i
famigliari delle vittime arrivando ad un processo di “trasformazione del dolore e dell’indignazione
nel coraggio e nella forza della denuncia”122.
Il primo passo nella ricerca di verità e giustizia è rappresentato dall’accompagnamento giuridico e
psicologico delle famiglie che non hanno avuto notizie sulle loro figlie scomparse. NHRC funziona
da stimolo delle autorità nel proseguimento delle attività di ricerca delle figlie scomparse, provando
ad esercitare una pressione da parte dell’opinione pubblica tramite manifestazioni e percorsi legali
per far sì che le indagini possano proseguire e non vengano insabbiate.
120
121
122
Ibidem
Ibidem
Ibidem
59
Per quanto riguarda il sostegno ai famigliari delle vittime, NHRC prevede una serie di programmi di
sostegno psicologico ed emotivo rivolti alle madri volti a garantire un percorso di elaborazione del
lutto collettive, che eviti ricadute ed effetti sulla salute mentale dei soggetti sotto le cure e che riesca
a garantire tutte le condizioni necessarie per ottenere una qualità di vita degna e sicura.
L’ultimo piano sul quale agisce NHRC è quello dell’educazione cittadina e dell’informazione sul
tema del femminicidio. Data la carenza di informazioni sul femminicidio, le madri di NHRC
portano la propria testimonianza di resistenza nelle scuole della città e nelle piazze in occasione di
eventi pubblici, per provare a sensibilizzare e ad educare la cittadinanza sul tema della difesa dei
diritti umani.
L’attività che da dieci anni le donne di NHRC stanno portando avanti ha incontrato non pochi
ostacoli lungo il suo percorso. Innumerevoli sono state le minacce subite dalle attiviste che talvolta
si sono concretizzate in veri e propri omicidi intimidatori. Un’escalation di intimidazioni che è
culminata nel marzo 2011 con l’ennesima intimidazione contro Marisela Ortiz e la sua famiglia che
è stata costretta a lasciare il paese per cercare un rifugio sicuro negli Stati Uniti.
Se da un lato le intimidazioni stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’associazione
NHRC e hanno costretto all’esilio la fondatrice dell’associazione, allo stesso tempo possono essere
lette come la conferma dell’incisività e dell’efficacia del lavoro che l’associazione delle madri delle
vittime sta portando avanti in questi anni. Un risultato che può essere analizzato soprattutto sotto il
profilo socio culturale in quanto l’esempio delle madri è riuscito a scardinare uno stato di
accettazione passiva della violenza a Ciudad Juarez. Un atto dal grande valore simbolico,
specialmente se si osserva che viene portato avanti da donne in un contesto culturale fortemente
machista.
L’altro risultato raggiunto dall’associazione è rappresentato dall’ampia rete internazionale di
solidarietà che in questi anni NHRC è riuscita a tessere intorno a sé. Il caso del femminicidio di
Juarez oggi è conosciuto in tutto il mondo e ha catalizzato l’attenzione delle grande organizzazioni
internazionali a tutela dei diritti umani, delle università e dei governi nazionali e locali di numerosi
paesi tra i quali l’Italia. Un’azione fondamentale che permette di evitare l’isolamento internazionale
dell’associazione di NHRC.
60
4.4 Il giornalismo sociale della Red Periodistas de a Piè
Il Messico è considerato uno dei paesi dove la libertà di stampa appare minacciata da più fronti.
L’ONG francese Reporteres sans frontiere ha calcolato che dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 76
giornalisti, senza contare quei reporter costretti all’esilio negli Stati Uniti per motivi di sicurezza. 123
Una violenza che negli ultimi anni si è amplificata se si pensa che solo nel 2010 sono stati sette i
giornalisti uccisi, una cifra che rende il Messico il secondo paese per numero di giornalisti uccisi
dopo il Pakistan. Pertanto i giornalisti che decidono di trattare il tema del narcotraffico sanno che
devono mettere in conto la possibilità di subire intimidazioni e minacce. Una condizione che rischia
di condurre in alcuni casi a fenomeni di autocensura che sono resi possibili da un sistema
dell’informazione governato dai grandi colossi economici del paese. “Tra il 1988 e il 2003 più del
70% delle 1146 stazioni radiofoniche che trasmettono nel paese erano controllate da 10 grandi
gruppi economici”124. Mentre il sistema televisivo è dominato dal duopolio Tele Visa e Tele Azteca.
La prima detiene il controllo su più dell’ottanta per cento delle 462 emittenti mentre il restante 13 %
appartiene a quest’ultima. Il risultato è dunque un sistema televisivo controllato per oltre il 90% dai
due grandi gruppi economici. Una situazione che mette seriamente a rischio il diritto
all’informazione attiva e passiva, ovvero il diritto dei cittadini ad essere informati e il diritto dei
giornalisti di poter svolgere liberamente il proprio lavoro.
Fare giornalismo oggi in Messico rappresenta pertanto una missione: abbandonati da tutti e senza
tutela, spesso l’unica forma di sostegno agli operatori dell’informazione libera arriva proprio dalla
società civile e dalla capacità degli stessi giornalisti di fare rete per provare a resistere insieme.
La Red Periodistas de a piè è un movimento che raggruppa decine di giornalisti d’inchiesta di
piccoli e grandi giornali messicani, e che dal 2006 promuove a livello volontario un lavoro di
impegno per provare a fronteggiare la situazione di rischio nella quale si trovano i giornalisti
messicani. Minacciati da un lato dai narcotrafficanti e dall’altro dalla precarietà del mestiere, la rete
nasce prima di tutto come rete di mutuo soccorso per riuscire a garantire un’informazione completa
e libera al paese. “Questa rete è un sogno collettivo attorno al quale tutti i giornalisti del paese
sono invitati a stringersi: è uno spazio comune che costruiamo giorno dopo giorno con la
123
124
http://en.rsf.org/mexico-un-human-rights-official-voices-08-07-2011,40625.html consultato il 30 luglio2011
Sosa Plata G., “Crisol de esxpressiones”, in Revista mexicana de expresiones, num. 83, settembre – ottobre 2003
61
convinzione che la realtà può essere diversa e che grazie al giornalismo possiamo contribuire a
cambiarla”.125
Tra i giornalisti che hanno contribuito alla fondazione della rete vi sono Marcela Turati, giornalista
d’inchiesta del settimanale Proceso, ed Elia Baltazar. Insieme ai loro colleghi della rete, provano a
costruire quotidianamente una narrazione alternativa a quella dominante seguendo l’aforisma del
poeta Joao Guimaraes Rosa: Narrare è resistere.
“Sono reporter da circa dieci anni, però devo dire che dal 2006 il Messico è cambiato
profondamente: prima andavo a raccogliere informazioni sui gruppi indigeni e mi trovavo di fronte
a gruppi armati. Dal 2007 in poi, per noi giornalisti è cambiato radicalmente il panorama: ho
iniziato a ricevere richieste da colleghi che volevano imparare come proteggersi dalle
intimidazioni mentre indagavano sul narcotraffico, poiché ero stata costretta a conoscere bene
questo mondo”126. Con queste parole Marcela Turati, giornalista del settimanale Proceso, uno dei
pochi periodici che tratta con grande accuratezza e profondità il tema del narcotraffico con una
sezione speciale sul tema, ripercorre uno degli anni chiave nella storia della lotta alla criminalità
organizzata messicana.
La rete Periodistas de a piè rivolge le proprie attività agli operatori dell’informazione e in
particolare a quella categoria di giornalisti che Marcela Turati ha soprannominato periodistas
sociales127: “Non siamo i portavoce dei politici o degli imprenditori, loro hanno già i propri addetti
stampa e alla comunicazione e investono molto nella pubblicità e nella comunicazione della
propria immagine che consente loro di invadere gli spazi sui giornali dove anche noi scriviamo. A
noi interessano le storie della popolazione comune, della gente che non si fa intervistare”. Queste
dunque sono le parole chiave dei giornalisti a piedi: ragazzi e ragazze perlopiù giovani, se si pensa
che in pochi superano i quarant’anni di età. Giovani che lavorano sotto condizioni di contratto
all’insegna della precarietà rimanendo esposti non solo sul fronte dell’incolumità fisica, ma anche
sotto il profilo della sicurezza economica e sociale. Una situazione di rischio continuo e quotidiano
che in alcuni casi rischia di spingere il cronista all’autocensura per evitare di incorrere in possibili
querele insostenibili da un punto di vista economico dal singolo giornalista. “Nuestra misión es
consolidar una red de profesionalización, capacitación, vinculación y apoyo para el ejercicio
periodístico – spiega Elia Baltazar – Nuestra visión es promover un periodismo de calidad, que
trascienda la denuncia, proporcione claves a los ciudadanos para la defensa y construcción de
125
126
127
http://periodistasdeapie.wordpress.com/ consultato il 20 giugno 2011
http://it.peacereporter.net/articolo/28123/Messico,+la+dura+vita+del+giornalista consultato il 20 giugno 2011
http://periodistasdeapie.wordpress.com/aceca-del-periodismo-social/ consultato il 20 luglio 2011
62
derechos, visibilice propuestas no violentas a conflictos sociales y fortalezca la cultura de la
transparencia, la rendición de cuentas y el acceso a la información”128.
Tra gli obiettivi primari della rete vi è dunque la creazione di un modello di lavoro cooperativo in
un settore caratterizzato tradizionalmente dalla competizione per lo scoop e per l’esclusività della
notizia. La creazione di un sistema di giornalisti in rete che condividano pratiche, saperi e le
rispettive tutele rappresenta una condizione fondamentale per creare un sistema di protezione dei
giornalisti stessi, che si trovano così ad affrontare collettivamente i problemi derivanti dal loro
lavoro, e non come individui singoli più vulnerabili di fronte alle intimidazioni della criminalità
organizzata.
Un’altra dimensione fondamentale è quella educativa e consiste nel continuo aggiornamento dei
membri della rete e nella continua condivisione di saperi e pratiche di difesa legale messe a
disposizione dei giornalisti della rete con minore esperienza.
L’ultimo obiettivo che la Red persegue è quello dello sviluppo e dell’educazione ai nuovi strumenti
offerti dalla tecnologia con particolare interesse ai mezzi del web 2.0 per sfruttare sempre di più
potenzialità in vista della creazione di media alternativi.
“Il
nostro giornalismo aspira a fortificare la popolazione messicana affinché i cittadini
conoscano e siano consapevoli dei propri diritti e li esercitino per modificare la realtà nella quale
vivono”129.
Questa è la missione di fondo con la quale è nata la Red Periodistas de a piè. Il tentativo dunque è
quello di stimolare lo sviluppo di un’informazione che vada continuamente alla ricerca della
dimensione sociale della notizia e che si ponga nella prospettiva della tutela e della salvaguardia dei
diritti umani. Un giornalismo che si interroghi continuamente sulla denuncia e sulla possibilità del
cambiamento della realtà e che si senta corresponsabile della costruzione di una cittadinanza attiva e
consapevole, che possa attivarsi per cambiare quella realtà dopo averla conosciuta grazie al lavoro
di denuncia del giornalista. Un processo che sembra ripercorrere l’aforisma gramsciano
“Conoscere la realtà per trasformarla”.
Infine, uno degli strumenti chiave nel lavoro della Red Periodistas de a piè è rappresentato dalla
condivisione. La rete si propone di condividere le pratiche del giornalismo investigativo, le
esperienze e le strategie, gli stili narrativi, le forme di intervista e le riflessioni sul ruolo del
giornalismo con l’obiettivo di creare una schiera di giornalisti che sappia offrire ai cittadini
un’informazione di qualità. Dal 2006 ad oggi sono stati organizzati diversi workshop insieme ad
128
129
Intervista realizzata a Elia Baltazar a Città del Messico nel dicembre 2010
Ibidem
63
alcuni tra i giornalisti più importanti a livello messicano e ad altri esperti che combattono il
narcotraffico anche sotto l’aspetto giudiziario, economico e politico per rendere sempre più forte la
capacità di professionalizzazione dei giornalisti d’inchiesta. Inoltre, è attivo un servizio di
consulenza legale per i giornalisti free lance che si trovano a dover affrontare procedimenti legali in
caso di querela ricevuta. Una particolare attenzione viene infine rivolta a quei giornalisti che sono
stati minacciati dai narcos. La rete in questo caso attua il duplice ruolo di denuncia e di aiuto,
talvolta anche economico, verso questi soggetti. Basta pensare alla raccolta fondi promossa dalla
rete nel dicembre 2010 per l’aiuto di quei giornalisti costretti all’esilio negli Stati Uniti a causa della
mancanza delle garanzie di sicurezza nel proprio paese.
Il bilancio dell’attività della rete presenta un duplice aspetto: da un lato i giornalisti continuano a
vivere in una situazione di grande difficoltà, come testimonia l’assassinio di due di loro avvenuto a
fine agosto. Occorre però mettere in evidenza l’aumento degli aderenti alla rete che ad oggi si
attestano attorno alle trecento unità. La rete, inoltre, è riuscita a consolidarsi a livello nazionale
come l’unica organizzazione composta da giornalisti e rivolta a giornalisti, una caratteristica che ha
permesso di ottenere un vasto appoggio nella società. I giornalisti che ne sono parte e quelli che
hanno usufruito dei servizi e dei corsi di aggiornamento professionale offerti dalla rete si sono
distinti per un approccio al giornalismo più attento nella copertura dei temi legati ai problemi sociali
e nel dare visibilità alle vittime, specialmente nel contesto dominato dalla violenza del
narcotraffico. La rete pertanto rappresenta uno dei pochi ponti tra le organizzazioni della società
civile e i giornalisti in materia di libertà di stampa.
64
CONCLUSIONI
Le quattro esperienze di società civile organizzata descritte nel capitolo precedente presentano delle
caratteristiche comuni che, se astratte dal contesto di riferimento, possono aiutare a delineare le
linee guida di una possibile strategia sociale e culturale di contrasto alla criminalità organizzata.
Il concetto chiave che questo lavoro di ricerca vuole mettere in evidenza è quello di “rete” che trova
immediata applicazione nell’esperienza in divenire del Web 2.0. Se le reti per loro stessa
definizione (teoria della Gestalt) sono qualcosa di più della semplice somma delle parti, dobbiamo
pensare che risieda in questa modalità la speranza di far emergere in seno alla società civile una
risposta adeguata al problema dei narcos. La rete infatti è il luogo deputato alla partecipazione
politica: da un lato rappresenta uno spazio di dialogo tra cittadini e istituzioni, dall’altro facilita la
mobilitazione e l’organizzazione dei movimenti sociali. L’entusiasmo che l’impiego del Web come
potente mezzo di supporto di movimenti di cambio sociale dal carattere rivoluzionario ha saputo
dimostrare in contesti di violenza politica e forte repressione e corruzione come nei regimi del
Maghreb rovesciati dalla volontà popolare coadiuvata dai nuovi mezzi di comunicazione, ne fa
pertanto spazio di sperimentazione anche nel contesto messicano. Il lavoro che queste reti portano
avanti nel contesto messicano si basa su alcuni pilastri fondamentali.
Primo fra tutti vi è l’importanza del ruolo della memoria che sembra essere il filo conduttore dei
diversi casi descritti. Di fronte al dilagare dell’impunità e alla corruzione di ampi settori del potere
giudiziario, l’atto della denuncia è motivo di grande preoccupazione e rischio per i famigliari delle
vittime che rischiano di esporsi a possibili intimidazioni o ritorsioni da parte degli assassini.
Pertanto, troppe volte il ricordo delle vittime della violenza dei narcos non supera la sfera privata
limitando le capacità di reazione dei soggetti colpiti da lutti anche se ricoprono un ruolo sociale e
pubblico come nel caso di Javier Sicilia, spinto in un primo momento ad allontanarsi dalla sua
funzione sociale di poeta in seguito al profondo dolore causato dall’assassinio del figlio. Per
fronteggiare questo rischio, la strategia messa in atto dalle reti descritte si basa proprio sulla
valorizzazione del processi di elaborazione del lutto collettivo: un processo lungo e faticoso che,
qualora venga condiviso da diversi famigliari, diventa un vero e proprio atto politico capace di
domandare giustizia e verità e di affrontare il clima di oblio che avvolge le vittime della criminalità
65
organizzata. La memoria, per poter essere efficace, deve sapersi trasformare in impegno concreto
per provocare un cambiamento e fare pressioni sulle autorità per ottenere un cambiamento.
Un altro punto centrale del lavoro delle reti della società civile organizzata riguarda il rapporto con
le istituzioni del paese. La denuncia delle strategie errate delle autorità governative non sfocia mai
nella negazione della legittimità di tali istituzioni. La domanda di giustizia e la pressione che
vengono esercitate da parte della società civile hanno come obiettivo il dialogo con le persone che
fanno parte di quelle istituzioni al fine del cambiamento degli indirizzi della politica di contrasto
alla criminalità organizzata. A conferma di ciò, può essere portato l’esempio dell’incontro avvenuto
nel giugno 2011 tra la Red por la Paz di Javier Sicilia e il Presidente in persona. Un incontro che,
pur tenendo in considerazione la sospetta vicinanza temporale con le elezioni 2012, sembra aprire
uno spiraglio e nuove opportunità per le reti sociali.
L’altro punto fondamentale della strategia sociale e culturale consiste nella capacità di costruire
narrazioni alternative a quelle dei narcos. Se la penetrazione della narco-cultura nella vita
quotidiana dei cittadini messicani ha ormai raggiunto livelli molto profondi, la battaglia contro i
narcos deve giocarsi sullo stesso piano simbolico e culturale provando ad opporre una narrazione
alternativa nonviolenta che permetta di scardinare un silenzioso consenso sociale sulla violenza
generata dai narcotrafficanti e dalla militarizzazione del territorio. Una strategia che negli ultimi
anni ha potuto sfruttare gli strumenti delle Nuove Tecnologie dell’Informazione e della Conoscenza
(NTIC) che offrono la possibilità di trasmettere la produzione delle narrazioni alternative ad un
pubblico potenziale di milioni di utenti. Non a caso le azioni che le quattro esperienze descritte
portano avanti quotidianamente sono state raccontate principalmente sui social network come
twitter e facebook oltre che sui blog e sui siti prima che arrivassero a conquistarsi uno spazio
mediatico anche nei canali ufficiali. Dopo aver analizzato i mezzi che vengono utilizzati dalle reti,
risulta interessante descrivere alcuni dei contenuti che viaggiano nel mondo del web 2.0.
In un contesto dove la violenza sembra essere l'unico orizzonte immaginabile per milioni di
messicani, occorre saper raccontare e comunicare quei modelli di cambiamento di paradigma per
dimostrare che questo processo non è solamente una lontana possibilità, ma può essere praticato e
può portare a vantaggi concreti per il soggetto che prova ad intraprendere questa strada. Un ruolo
che viene svolto con la stessa funzione, ma con metodi e soggetti differenti nei casi di NHRC e
Cauce Ciudadanos. Nel primo caso infatti il modello del cambiamento è portato avanti da una
66
famigliare della vittima e si rivolge all'universo di chi ha subito la violenza dei narcos. Nel secondo
caso invece il cambiamento è stato praticato in un soggetto appartenente alla sfera criminale e può
rappresentare un modello di cambiamento per altri suoi compagni di delinquenza.
Un ultimo aspetto riguarda l'organizzazione del coraggio. Nel corso degli anni, risulta di
fondamentale importanza evitare l'isolamento di quei soggetti che decidono di intraprendere un
percorso di reazione ai soprusi della criminalità organizzata. Come insegna il caso italiano, la
maggior parte delle vittime di mafia sono state uccise principalmente perché vivevano in uno stato
di isolamento e di solitudine. Abbandonate prima di tutto dallo Stato, ma anche sconosciute alla
maggior parte della popolazione italiana. Due condizioni che le hanno rese facili bersagli per la
criminalità organizzata. Al contrario, negli ultimi anni la situazione sembra essere cambiata
radicalmente proprio grazie all'attenzione crescente della popolazione su questi temi e alla nascita di
numerose reti antimafia che stando vicine alle persone a rischio agiscono come una vera e propria
scorta civica nonviolenta. L'accompagnamento da parte della società civile dei testimoni di giustizia
o delle persone minacciate rappresenta una delle prassi più interessanti del panorama della lotta alla
criminalità organizzata. Una strategia comune alle esperienze messicane descritte nel capitolo
precedente che provano a costruirsi una scorta mediatica sia a livello nazionale sia a livello
internazionale provando a mettere in pratica la frase del testimone di giustizia calabrese Pino
Masciari che si è ribellato a chi gli chiedeva il pizzo: “ogni persona che conosce la mia storia mi
allunga la vita di un giorno”.
L'analisi sull'efficacia e sul ruolo dell'azione della società civile organizzata non può non
considerare i limiti di tali strategie sociali e culturali. Come descritto nel corso del terzo capitolo,
tali strategie non possono essere considerate come il rimedio unico al problema dei narcos. Esse
rappresentano solamente un aspetto di una strategia multidimensionale più ad ampio raggio che
affianca strategie istituzionali a disposizione dello Stato che dovrebbe impegnarsi ad intraprendere
azioni legislative per rendere più efficace la confisca dei beni, l'attacco alla corruzione ad alto
livello e a riforme strutturali del sistema giudiziario. La strategia multidimensionale si basa pertanto
sulla chiamata alla responsabilità per tutti quegli attori che decidono di impegnarsi nella lotta ai
narcos.
Per quanto riguarda l'importanza delle reti virtuali nel contrasto alla criminalità organizzata, vi sono
alcuni limiti strutturali che ne limitano l'efficacia. Innanzitutto la connessione internet non
67
raggiunge tutte le aree del paese e a causa del digital divide esclude un'ampia parte della
popolazione che non ha avuto un'educazione informatica. Inoltre rimane aperto il tema della
presunta libertà del web rispetto ai canali tradizionali.
Non bisogna poi dimenticare che, come ha insegnato la primavera araba, il processo di ribellione
deve basarsi su legami forti che hanno origine da atti “fisici e concreti” e che possono venire
amplificati grazie alle possibilità offerte dal web. Le ribellioni in parole povere non nascono sulla
rete, ma possono essere ampliate e diffuse attraverso di essa.
Un ultimo limite è dettato dalla sfida della continuità. Spesso infatti l'azione delle diverse
associazioni viene limitata da difficoltà strutturali dovute in parte anche alla mancanza di risorse
che possano garantire la sopravvivenza delle reti. Rispetto ai loro rivali, ma anche rispetto agli alri
attori istituzionali che portano avanti la battaglia contro i narcos, le reti della società civile partono
da una situazione economica di fortissima disparità che ne limita il possibile ampliamento.
In conclusione, il presente lavoro di ricerca vuole essere una prima introduzione a ulteriori
approfondimenti su un tema che ha dimostrato solo recentemente le sue potenzialità. Le realtà citate
sono solo esperienze pilota che proseguono la propria attività con grande difficoltà e talvolta con
esiti tragici o comunque preoccupanti, ma non per questo viene meno la necessità di capire quali
dinamiche rendano efficace una lobby dal basso e come l’uso del Web modifichi l’immaginario
collettivo e l’opinione pubblica, come i media recepiscano ciò che emerge in rete, come l’agenda
politica ne verrà influenzata, fin dove possano spingersi i movimenti sociali rinfrancati e aiutati dai
nuovi media. Risulta pertanto necessario continuare a descrivere, studiare e far conoscere queste
realtà affinché possano essere conosciute sempre di più e affinché possano essere prese a modello
da altri soggetti della società civile provando a fare dei passi in avanti nella lotta alla criminalità
organizzata.
68
RINGRAZIAMENTI
Gracias a la vida,
Que me ha dado tanto,
Me ha dado la marcha
De mis pies cansados,
con ellos anduve,
ciudades y charcos,
Playas y desiertos,
Montañas y llanos
Y la casa tuya,
Tu calle y tu patio
69
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