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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO Facoltà di scienze politiche Tesi di laurea triennale in Studi Internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione DAL CRIMINE ORGANIZZATO AL CRIMINE DISORGANIZZATO: IL RUOLO DELLE STRATEGIE SOCIALI NELLA LOTTA AI CARTELLI MESSICANI (1990-2010) Relatore Prof.ssa Tiziana Bertaccini Candidato Simone Bauducco Matricola 701277 Anno accademico 2010-2011 L’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative Wu-Ming 2 INDICE Introduzione……………………………………………………………………………………pag. 4 Capitolo 1: La politica, la società e l’economia messicana dal 1990 ad oggi………………pag. 6 1.1 La transizione democratica: dall'assolutismo presidenziale al crollo del sistema di partito egemonico 1.2 Una società in trasformazione 1.3L’apertura del mercato messicano Capitolo 2: La descrizione del fenomeno narcos…………………………………………...pag. 17 2.1 Dal monopolio nazionale all'oligopolio violento: il cambiamento della geografia dei cartelli 2.2 Dalla disgregazione del sistema dei cartelli all'aumento della violenza 2.3 L’evoluzione del rapporto tra i narcos e la politica: dalla pax priista alla feudalizzazione dello Stato 2.4 Narcos ed economia: i cartelli non pagano la crisi 2.5: La colonizzazione criminale dell’immaginario sociale e culturale Capitolo 3: Le strategie istituzionali di contrasto alla criminalità organizzata…………..pag.38 3.1 La “guerra ai narcos” di Felipe Calderòn e i danni collaterali 3.2 Dalla strategia monodimensionale alla strategia multidimensionale Capitolo 4: Le strategie sociali e culturali di contrasto alla criminalità organizzata……pag. 47 4.1 Dalla memoria all'impegno: la Red por la Paz di Javier Sicilia 4.2 Cauce Ciudadanos: i canali dell'alternativa 4.3 Le madri di Ciudad Juarez: l’esperienza di Nuestras Hijas de Regreso a Casa 4.4 Il giornalismo sociale della Red Periodistas de a Piè Conclusioni…………………………………………………………………………………….pag.65 Ringraziamenti………………………………………………………………………………..pag.69 Bibliografia e sitografia……………………………………………………………………...pag. 70 3 INTRODUZIONE Dal 2006 ad oggi oltre quarantamila persone sono state assassinate nel corso della guerra ai narcos lanciata dal Presidente Felipe Calderòn. Una scelta che ha causato l’innalzamento del livello di violenza nel paese senza riuscire a contenere il potere di infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico, economico e sociale. I cartelli messicani governano oggi ampie aree della Federazione inserendo i propri uomini nelle istituzioni municipali e statali, colonizzando l’immaginario culturale e sociale dei messicani e immettendo nell’economia legale una grande quantità di denaro liquido proveniente dal narcotraffico. Ma il potere economico della criminalità organizzata messicana non è circoscritto all’interno dei confini del paese, ma rappresenta una minaccia per l’economia mondiale. In questi ultimi anni le mafie hanno saputo approfittare della globalizzazione acquistando una dimensione transnazionale. Un fenomeno descritto dalle recenti inchieste in materia di narcotraffico internazionale che hanno svelato la fitta rete di rapporti tra i cartelli messicani e alcune delle più potenti holding del crimine tra cui la ‘ndrangheta calabrese. Di fronte a questo nemico multiforme, la strategia di contrasto monodimensionale basata unicamente sull’aspetto repressivo del fenomeno, portata avanti dalla presidenza Calderòn a partire dal 2006, non ha condotto ai risultati desiderati, al contrario sembra aver aggravato il problema. Di fronte al fallimento di questa strategia, risulta interessante osservare alcune esperienze embrionali di società civile organizzata che hanno provato ad erodere il consenso sociale e culturale del quale troppo spesso i narcos godono. Nel corso del dicembre 2010, nell’ambito del lavoro svolto quotidianamente in Italia insieme all’associazione Libera e al progetto Salvagente1, ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere i rappresentanti di alcuni dei movimenti descritti in questa tesi e alcuni dei giornalisti che da anni indagano sul tema del narcotraffico e dei suoi legami con la politica. Esperienze che rimangono per lo più sconosciute all’opinione pubblica internazionale a causa di un sistema mediatico che sembra puntare più alla spettacolarizzazione della violenza. A partire da questi incontri e dalle testimonianze raccolte, ho maturato l'interesse di iniziare un'analisi di queste reti sociali al fine di esplorare come sia possibile modificare una realtà come quella messicana, caratterizzata da una violenza diffusa e profonda, attraverso strategie sociali e culturali basate sulla non violenza. Sebbene il narcotraffico sia uno dei temi più trattati dalla narrativa contemporanea e dalla produzione accademica messicana, poco spazio è stato dedicato al ruolo della società civile 1 Salvagente è un network per la difesa popolare nonviolenta delle persone a rischio http://salvagente.acmos.net 4 organizzata nel contrasto alla criminalità organizzata. Pertanto, questo lavoro si è basato per la maggior parte su fonti primarie tra cui alcune interviste realizzate dall’autore della tesi nel corso della sua esperienza sul campo nel dicembre 2010 e numerosi articoli tratti dai più autorevoli quotidiani e periodici messicani tra cui il settimanale Proceso. Le fonti secondarie sono state utilizzate in particolar modo nella parte introduttiva di descrizione del contesto messicano e del sistema criminale dei narcos e per la sezione teorica sulle possibili strategie di contrasto alla criminalità organizzata. Nel primo capitolo, si è partiti dalla descrizione del sistema politico economico e sociale messicano che negli ultimi vent’anni ha vissuto un periodo di grande cambiamento. Il presidenzialismo si è indebolito e l’egemonia del Partido Revolucionario Institucional è venuta meno nel corso degli anni. L’apertura del sistema economico al libero mercato e alla globalizzazione ha portato il Messico ad un processo di crescita al quale si è accompagnato l’aumento della diseguaglianza. Nel secondo capitolo si è descritta la fase di transizione del sistema criminale messicano da un sistema monopolistico ad uno oligopolistico che ha portato alla fase attuale di contesa tra i cartelli per la spartizione del territorio e delle rotte del narcotraffico. In particolare si è approfondita la capacità di penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico, sociale ed economico del Messico provando ad esplorare come la variazione del rapporto tra la politica e la criminalità organizzata abbia influito sull’andamento del livello della violenza. Nel terzo capitolo si affronta la strategia di contrasto alla criminalità organizzata portata avanti dal Presidente Calderòn a partire dal 2006 evidenziandone i limiti derivanti dall’approccio monodimensionale fondato esclusivamente sull’aspetto repressivo del fenomeno. Contrariamente a questa tendenza, vengono poi elencate alcune delle possibili strategie istituzionali alternative alla guerra ai narcos nel contrasto della criminalità organizzata. Dopo aver esplorato le strategie istituzionali a disposizione dell’attore statale, il quarto capitolo si concentra sul ruolo delle strategie sociali e culturali portate avanti da alcune delle esperienze di reti sociali più interessanti presenti nella società civile organizzata. In particolare vengono trattati quattro casi studio: la Red por la Paz, l'associazione Cauce Ciudadanos, l'associazione Nuestra Hijas de Regreso a Casa e la Red Periodistas de a piè. Quattro esperienze che, pur agendo in ambiti diversi e con target differenti, perseguono strategie sociali e culturali basate sulla non violenza provando a erodere il potere dei narcos. 5 CAPITOLO 1 LA POLITICA, LA SOCIETA’ E L’ECONOMIA MESSICANA DAL 1990 AD OGGI All’indomani dei festeggiamenti per il bicentenario della conquista dell’Indipendenza e del centenario della Rivoluzione, la transizione democratica messicana sembra essere giunta a compimento. A differenza degli altri paesi dell’area latino americana, dove questo processo ha visto come attore protagonista l’esercito e ha implicato l’uso della forza, in Messico è stato condotto con lo strumento della politica. Una transizione che affonda le radici verso la fine degli anni Sessanta, ma che si concretizza nelle ultime due decadi del secolo scorso coinvolgendo non solo l’ambito politico, ma anche quello sociale ed economico. La linea di interpretazione di questo cambiamento può essere rappresentata dalla rottura dei colossi politici ed economici che hanno dominato per settant’anni la storia messicana. Una disgregazione graduale e progressiva, diversa dalle rivoluzioni che nel 1810 e nel 1910 hanno contribuito alla formazione dello stato messicano. Una vera e propria transiciòn pactada, secondo la definizione di Mauricio Merino, ovvero una “transizione che è il risultato di un patto tra le elite che hanno raggiunto il potere (…) un processo graduale di piccole negoziazioni sul terreno del sistema del partito egemone e della riforma elettorale” 2. 1.1 La transizione democratica: dall’assolutismo presidenziale al crollo del sistema di partito egemonico Fin dalla costituzione del 1917, il sistema politico messicano si è caratterizzato per la stretta relazione tra la forma di governo presidenzialista e il regime di partito egemonico: un legame che ha fatto sì che ogni modifica a ciascuno di questi due elementi si ripercuotesse anche sull’altro dando vita a nuovi assetti istituzionali.3 Per comprendere i cambiamenti avvenuti nelle ultime due decadi del XX secolo occorre descrivere sinteticamente le caratteristiche principali del sistema politico messicano, delineato nella Costituzione del 1917, che si è mantenuto senza grandi variazioni fino 2 3 Merino M., Critica a la interpretaciòn del cambio politico en Mexico, Mexico D.F., FCE, 2003, p. 17 Casanova Alvarez F., “Un labirinto sin minotauro: hacia una nueva institucionalidad polìtica” in Torres Espinoza, Guadarrama E. J., (coord), Transición y nueva institucionalidad en México, México, FES Acatlán - LAT.Net – IAPEM, 2008 6 alla fine del secolo scorso. Il regime messicano è stato spesso definito come un presidenzialismo autoritario4 contraddistinto dalla grande concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, limitati solamente dalla durata di sei anni della carica. Il regime presidenzialista, sebbene dotato di un’etichetta federalista, tende a concentrare ed accentrare attorno alla figura del presidente le decisioni di ambito federale, superando così nella pratica la tradizionale separazione dei poteri e obbligando il potere Legislativo e quello Giudiziario ad una collaborazione permanente e forzata. L’altro elemento alla base del regime messicano è rappresentato dal sistema di partito egemonico ideato dal generale Plutarco Eliàs Calles nel 1929. Il Partido Nacional Revolucionario fu fondato nello stesso anno con l’obiettivo di dirimere all’interno del partito le lotte intestine per il potere e allo stesso tempo di prevenire conflitti politici tra i caudillos ovvero quei capi militari che detenevano una forte capacità di controllo del territorio. Negli anni della presidenza del generale Làzaro Cardenas (1934-1940), il partito, che nel frattempo aveva cambiato il nome in Partido de la Revoluciòn Mexicana, assunse una dimensione di massa grazie ad un processo di corporativizzazione e di divisione in settori. Si andò delineando un sistema di partito egemonico che pur lasciando spazio alla competizione elettorale a livello formale, sul piano pratico vide la costante e continua vittoria del partito egemonico. Durante il sexenio presidenziale di Miguel Alemàn (1946-1952) il partito egemonico, che assunse l’attuale denominazione di Partido Revolucionario Istitucional (PRI), conobbe una fase di maggiore istituzionalizzazione che si declinò nel cambiamento dei meccanismi politici ed elettorali che consentirono la sopravvivenza del regime fino ad oggi. Il partito dunque si consolidò come una struttura di appoggio al governo nei termini di uno strumento di attuazione delle decisioni prese dall’Esecutivo in carica. La collaborazione tra partito e governo non si spinse mai oltre i limiti delle istituzioni liberali, poiché il partito non rientrò mai negli organi dello Stato e non venne mai stabilita una connessione a livello costituzionale tra i due organi benché la prassi confermasse la centralità del ruolo del partito egemone. L’inizio delle trasformazioni del presidenzialismo autoritario può essere datato all’inizio degli anni Novanta in seguito ad una serie di riforme costituzionali che decretarono il passaggio progressivo dall’ assolutismo presidenziale5 al presidenzialismo debole6. Questa ondata riformista si aprì nel 1992 quando vennero tolti al presidente i poteri sulle decisioni in materia agraria a favore dei 4 5 6 Crespo J.A., “Del absolutismo presidencial al presidencialismo debil” in Aziz Nassif A. e Sanchez J.A., El Estado Mexicano: herencias y cambios, Mèxico D.F. CIESAS, 2005 Ibidem p.147 Corona Armenta G., “El Presidencialismo ante el reto de la consolidaciòn democratica” in Castanos F., Labastida Marin del Campo J., Lopez Leyva A., El estado actual de la democrazia en Mèxico, retos avances y retrocesso, IISUNAM, Mèxico, 2007, , p. 33 7 tribunali agrari autonomi. L’anno successivo vennero ampliate le competenze dell’organo legislativo del Distrito Federal, mentre nel 1996 il presidente cessò di nominare il governatore del DF lasciando questa prerogativa alla consultazione popolare. Nello stesso anno il Banco de Mèxico acquistò un’autonomia sempre più grande dall’esecutivo il quale venne privato della facoltà di determinare le linee di politica monetaria del paese. Allo stesso modo sul piano giudiziario avvennero importanti cambiamenti che indebolirono, seppur limitatamente, la dipendenza del potere giudiziario dall’esecutivo. Infine, a partire dal 1996 il Procuratore Generale della Repubblica non venne più nominato liberamente dal presidente, ma la sua scelta doveva essere ratificata da due terzi del Senato. Come abbiamo visto in precedenza, il legame tra il sistema politico e il regime del partito egemonico è da sempre stato un elemento chiave della storia messicana. Pertanto le modifiche che hanno interessato la forma di governo a partire dagli anni Novanta hanno influenzato a loro volta anche il sistema di partito egemonico che negli stessi anni ha conosciuto un processo di apertura progressiva alla competizione elettorale riuscendo a rompere l’egemonia del PRI che per settantun’anni aveva dominato la vita politica messicana. Le basi della genesi di questo processo vanno ricercate nelle riforme elettorali che negli ultimi quarant’anni sono state approvate in Messico a partire dalla Ley de Federal de Organizaciones Polìticas y Proceso Electoral (LOPPE, 1977) alla quale sono seguite le riforme successive del 1986, 1990-91, 1994, 1996. L’approvazione di queste disposizioni in materia elettorale ha permesso di creare le condizioni legislative per decretare la fine del “sistema di partito egemonico” del PRI che era riuscito a controllare i diversi livelli di potere dello Stato messicano a partire da quello federale fino ad arrivare a quello municipale. Nel corso degli anni il regime del Pri ha basato la sua forza su tre fattori fondamentali: innanzitutto la pratica del corporativismo; in secondo luogo la figura di un presidente forte dotato di ampi poteri dettati dalla Costituzione del 1917; infine l’esercizio del potere in senso centralista. Su questo ultimo punto vale la pena soffermarsi: seppur dotato di un’etichetta federalista, il regime priista ha sempre agito secondo dinamiche proprie di uno stato centralista dove un ruolo fondamentale era attribuito al partito egemone. Il presidente della Repubblica deteneva il controllo su tutte le aree del 8 paese poiché era, allo stesso tempo, capo del governo, capo di Stato e capo del Partito dal quale dipendevano le carriere politiche dei funzionari di governo a tutti i livelli.7 Il controllo del PRI su ogni livello di governo non escludeva la dialettica interna al partito. Lo scontro però tra i differenti candidati avveniva all’interno del Pri che rappresentava il luogo dove le controversie venivano risolte attraverso un meccanismo di negoziazione fondato su una ferrea disciplina. Ed era proprio quest’ultimo uno dei piloni sul quale si basava la dottrina del PRI: “La disciplina era una cosa ejemplar dentro de nuestro partido, allí sí era como un ejército de veras, la disciplina la sentimos, la vivimos, yo la viví, era disciplinarse ante una circunstancia que las valoraciones políticas habían colocado en primer lugar, había veces que era muy superior a unos […]”8 La disciplina insieme alla lotta interna rappresentavano dunque i due pilastri sui quali il PRI riuscì a costruirsi la forza necessaria per risolvere efficacemente il problema della successione. Il momento cruciale di questa fase era rappresentato dal processo che portava alla proclamazione dei candidati ufficiali dei partiti. Dato il contesto istituzionale che escludeva una vera e propria competizione elettorale, la questione della democrazia venne trasferita all’interno del PRI. Il partito dunque poteva inviare i propri emissari dagli organi centrali a quelli periferici dando vita pertanto ad un grande movimento di attori politici tra cui governatori, segretario del partito, segretari dei settori, delegati, che si spostavano dal centro alle periferie in una sorta di movimento perpetuo. Una struttura di controllo e di selezione della classe dirigente fortemente controllata dal vertice, ma che riusciva a mantenere un federalismo particolare dove l’ingerenza dei vertici federali nella scelta dei governatori era bilanciata dall’autonomia concessa ai governatori nei propri territori che avevano la facoltà di selezionare a loro volta i candidati alle presidenze municipali e i futuri deputati statali esercitando in questo modo il controllo sulle nomine all’interno del proprio stato. Ed è proprio dal livello più debole della catena politica , quello dei municipi, che il sistema priista iniziò a disgregarsi a partire dall’inizio degli anni Novanta. Grazie allo sfruttamento delle parziali aperture offerte dal cambiamento della legislazione in materia elettorale, i partiti dell’opposizione iniziarono a conquistare i consigli municipali di alcune zone del paese fino ad arrivare al potere in alcuni Stati della Federazione come avvenne nel novembre 1989 quando al governatorato della Baja California giunse un esponente del Pan. Fu il segnale della rottura dell’egemonia del PRI a livello locale che portò ad una disgregazione sempre più rapida del partito egemonico 7 8 Carpizo, J, El presidencialismo mexicano, Mèxico, SigloXXI, 1978 Intervista con Augustín Ruiz Soto, realizzata a Città del Messico, 19 settembre 2001, citata in Bertaccini T., El régimen prísta frente a las clases medias, 1943-1964, México, CONACULTA, 2009. 9 accompagnata dal potenziamento del Partido de Acciòn Nacional che nel 1991 conquistò lo Stato di Guanajuato, nel 1992 Chihuahua e nel 1995 Jalisco. In appena undici anni di legislatura (19892000) il Pri perse il controllo di 13 stati su 32 (41%) , di 635 dei 2009 sindaci scelti con il voto popolare ( 32%) e 15 dei 32 congressi statali (47%). 9A livello statale e municipale iniziava a concretizzarsi quell’alternanza politica resa possibile dalle riforme elettorali degli anni passati che aveva generato un aumento della competizione politica e della partecipazione della popolazione al processo elettorale. L’anno decisivo che decretò il cambiamento definitivo del sistema del partito egemonico messicano fu il 1997 quando il PRI perse per la prima volta nella sua storia la maggioranza al congresso che smise così di essere una mera appendice del potere esecutivo. 10 Nello stesso anno il PRI perse anche la prima elezione che si disputava per il governatore del Distrito Federal. Fino a quel momento, la scelta del governatore del DF era prerogativa diretta del Presidente. Ma dopo diverse negoziazioni e trattative che portarono nel 1997 ad un accordo tra le diverse parti politiche, per la prima volta il Distrito Federal poteva scegliere attraverso il processo elettorale il proprio governatore, una svolta che segnò così la fine del rapporto speciale di subordinazione e quindi di controllo che vigeva tra il Presidente e il governatore del DF. Il processo di transizione democratica giunse a compimento nel 2000 quando il candidato del Partido de Acciòn Nacional Vicente Fox venne eletto alla Presidenza. L’alternanza che negli anni precedenti aveva interessato il livello municipale e statale arrivò per la prima volta anche al livello federale provocando la rottura degli equilibri interni al Pri. Perso il controllo sul vertice della piramide che garantiva il controllo sulla successione, si aprirono lacerazioni profonde interne al Pri. I vantaggi futuri che la candidatura nelle fila del Pri aveva offerto fino a quel momento ai suoi candidati, vennero meno e potevano essere ottenuti anche con il passaggio in un altro partito. Una tendenza che venne confermata nelle elezioni del 2006 quando la battaglia per la presidenza venne giocata dai due candidati del Pan e del Prd, mentre per la prima volta il PRI si trovò relegato al terzo posto nell’agone elettorale. I soli 233 mila voti di scarto che decretarono il successo del candidato panista Felipe Calderòn e i sospetti di frode che gravarono sopra le elezioni, che non si placarono nonostante la conferma dei risultati elettorali votata all’unanimità dal Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federaciòn, fecero sì che il nuovo presidente si insediasse a Los Pinos con un handicap in termini di legittimità. Un deficit che come ha dichiarato in un’intervista l’ex 9 10 Hernàndez Rodrìguez R., “Los gobernatores y el federalismo” in Meyer L. e Bizberg I., Historia contemporanea de Mèxico, Mèxico, Oceano, 2005, p. 206 Reynas J.L. “El sistema politico: cambio y vicissitudines” in Meyer L. e Bizberg I., Historia contemporanea de Mèxico, Mèxico, Oceano, 2005 10 cancelliere di Vicente Fox Jorge Castaneda 11, il neo presidente Calderòn provò a colmare anche dichiarando, come vedremo nei prossimi capitoli, la cosiddetta guerra ail narcos. 1.2 Una società in trasformazione Il processo di transizione dell’assetto politico – istituzionale che ha visto protagonista il Messico a partire dagli anni Novanta si è accompagnato ad un cambiamento avvenuto anche sul piano demografico. Secondo i dati forniti dall’Instituto de Estudios de la Transiciòn Demografica, nel periodo compreso tra il 1990 e il 2010 la popolazione messicana è cresciuta di 24.5 milioni di persone, mentre nei prossimi vent’anni la cifra potrà aumentare di almeno dodici milioni 12. Oggi il Messico vive un momento di boom demografico: analizzando la piramide dell’età, si nota che la fascia d’età con la maggior incidenza sul totale della popolazione è proprio quella che raggruppa gli individui tra i 12 e i 29 anni. Il Messico può essere considerato come un paese giovane dove la fascia di popolazione tra i 12 e i 29 anni rappresenta il 34.5% di quella totale. 13 Si tratta di una fascia di nati dopo il 1968, una data che simboleggia il cambiamento del rapporto tra società e stato, che è cresciuta in un contesto di crisi economiche cicliche, testimone dei mutamenti socio economici derivanti dalla globalizzazione, che rappresenta una generazione prevalentemente urbana14 e ha conosciuto il declino delle politiche di welfare. Proprio per il suo peso numerico è diventata un bacino elettorale al quale la politica ha sempre puntato per attingere voti. Ma al processo di transizione demografica non è seguita una modifica della struttura del mercato del lavoro che si è dimostrato inefficace nel dare una risposta alla massa di giovani che hanno terminato il loro percorso di studi. Il risultato sono i 500mila giovani 15 che non hanno possibilità di trovare un lavoro e finiscono a rinforzare il campo del settore informale o tentano l’emigrazione negli Stati Uniti. Nonostante le crescenti misure repressive lungo la frontiera imposte dalle autorità statunitensi si calcola che ogni anno 450 mila messicani emigrano dal proprio paese16. 11 http://www.informador.com.mx/mexico/2009/152364/6/calderon-dudo-de-su-triunfo-en-2006-jorge-castaneda.htm consultato il 29 luglio 2011 12 Reguillo R., “Leviatán desafiado. Los jóvenes frente al Estado mexicano”, in Aziz A. e Alonso J, El Estado Mexicano: herencias y cambios, Mèxico D.F. CIESAS, 2005 13 Ibidem p.201 14 Secondo l'Encuesta Nacional de Juventud il 48.7% dei giovani vive in città con più di 100mila abitanti, 15 Angelini M. “L’altra faccia del narcotraffico” in Narcomafie n.2, febbraio, 2011, p. 51 16 Ibidem p.51 11 Un altro fenomeno che ha trasformato la società messicana nella seconda metà del secolo scorso è quello dell’urbanizzazione. Se nel 1950 solamente un messicano su tre viveva in contesti urbani (con più di quindicimila abitanti), oggi quasi il 70% della popolazione può essere considerata urbana e il 30% degli abitanti del paese è concentrato nelle quattro metropoli più grandi. Un processo che ha investito anche anche l’ambito lavorativo, se si considera che a metà del secolo scorso la popolazione impiegata attivamente nel settore agricolo rappresentava il 60% del totale, mentre oggi quella percentuale è scesa al 25%.17 Di fronte a questa trasformazione risulta interessante mettere in evidenza l’influenza di questi cambiamenti strutturali sulla geografia dei movimenti sociali. Il teatro delle lotte e della protesta sociale si è spostato prevalentemente nel contesto urbano, si pensi per esempio ai moti che nel 2006 hanno infiammato la città di Oaxaca. Ma non si può dimenticare che agli inizi degli anni Novanta vi è stata anche una ripresa dei movimenti di carattere indigenista che hanno saputo coniugare la lotta per la difesa dei propri diritti e delle proprie tradizioni con la critica al nuovo modello di sviluppo imposto dalla globalizzazione tradotto negli accordi sul libero commercio e dalle politiche economiche neoliberiste avviate a partire dalla fine degli anni Ottanta. Esempio di tale fase è stato l’Ezln che se da un lato ha saputo mettere in pratica nel proprio contesto territoriale l’alternativa politica e sociale da essi propagandata, d’altro canto non è riuscito ad estendere la propria esperienza alle altri parti del paese come dimostra il fallimento della Otra Campana del 2006. Tra i problemi più gravi che affliggono la società messicana di oggi non si puo’ dimenticare quello della diseguaglianza. Seppur in calo negli ultimi quindici anni, l’indice di diseguaglianza, misurato dal coefficiente di Gini, rimane su livelli più alti rispetto agli altri paesi con lo stesso livello di reddito economico. In Messico, vi è una forte differenza nella distribuzione della ricchezza non soltanto rispetto alle classi sociali, ma anche rispetto alle aree geografiche all’interno del paese. Lo 0,18% della popolazione detiene un terzo della ricchezza messicana.18 E allo stesso tempo, i tassi di disoccupazione continuano a rimanere alti e il salario minimo ha perso dal 1982 ad oggi il 78% del suo potere d’acquisto19. I messicani che vivono in stato di povertà alimentare sono passati da 14.4 milioni a 19.5 milioni nel periodo 2006-2008 (dal 13% al 18%). Questo significa che in soli due anni si sono creati 5 milioni di cittadini che vivono questa condizione. La povertà nelle 17 18 19 De la Pena G., “Sociedad civil y resistencia popular en el Mèxico del final de siglo XX”, in Leina y Servìn, Crisis, reforma y revoluciòn Mèxico: historia de fin de siglo, Taurus Conaculta, Inah,Mèxico, 2002, pp 371-425 Monsivais C., “Mèxico en 2009: la crisis, el narcotràfico, la dereche medieval, el retorno del PRI feudal, la naciòn globalizada”, in Nueva Sociedad, num. 220, marzo aprile, 2009 Ibidem 12 opportunità20ha colpito nel 2008 26.8 milioni di messicani contro i 21.7 milioni del 2006 (dal 20.7% al 25.1%). Stesso discorso vale per la povertà negli assets che nel 2008 ha visto coinvolti 50 milioni di messicani, 5 milioni in più rispetto al 2006 (dal 42 al 47%). Ma l’indice di diseguaglianza deve essere posto in relazione non solo con il reddito percepito, ma presenta grandi variazioni in base alle differenze territoriali, etniche e di genere. Per quanto riguarda la discriminazione etnica, in Messico vi sono 10 milioni di indigeni pari al 10,1 % della popolazione. Una percentuale che negli stati meridionali del paese come il Chiapas, Oaxaca e Yucatan sale fino al 20%. Questa parte di popolazione messicana percepisce redditi inferiori rispetto alle medie nazionali. Il censimento del 2000 offre alcuni dati interessanti: se l’8,4% della popolazione dichiara di non percepire alcuna entrata mensile, la percentuale indigena sale al 25%. Un divario simile si osserva analizzando i dati di coloro che hanno un reddito inferiore al salario minimo (55% indigeno rispetto al 43% della media nazionale) 21. A questo, si aggiungono le difficoltà derivanti dal risiedere in località sprovviste dei servizi sanitari ed educativi di base e prive dell’accesso all’acqua potabile. Una tendenza che viene confermata dai maggiori indicatori statistici in materia di salute, alimentazione, infrastrutture che mostrano enormi disparità a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Ma le differenze negli indici di diseguaglianza dipendono anche dal luogo di residenza e di lavoro. Tradizionalmente i salari della zona sud del paese, a parità di impiego, sono più bassi rispetto a quelli percepiti nella zona settentrionale del paese o nelle grandi città. Allo stesso modo i salari dei lavoratori impiegati nel campo rurale sono inferiori rispetto a quelli dei lavoratori urbani. Infine una delle categorie più esposte allo sfruttamento è quella delle donne, vittime da un lato del retroterra culturale machista e dall’altro del caso esemplare dello sfruttamento nelle fabbriche di assemblaggio, le maquilladoras, sorte lungo la frontiera statunitense. Questo quadro della società messicana rischia di influire negativamente sul progresso politico e istituzionale messicano. Come fa notare la Comisiòn Economica para l’Amèrica Latina (CEPAL), la coesione sociale rappresenta una delle condizioni fondamentali per salvaguardare la tenuta degli stati costituzionali.22 In questo modo l’esclusione e la frammentazione sociale rischiano di provocare delle conseguenze nel campo della sicurezza pubblica poiché tendono a indebolire il tessuto sociale che diventa facile terreno di conquista per i narcos i quali possono andare a 20 21 22 Si veda a tal proposito il concetto di povertà secondo le “capabilities” analizzato da Amartya Sen Instituto Nacional de Estadística, Geografía e Informática. La poblaciòn indigena en Mexico, INEGI, 2004 CEPAL, Cohesion social. Inclusiòn y sentido de pertinencia en Amèrica Latina y el Caribe, Chile, 2007 13 soddisfare quella domanda di servizi diretti e indiretti che dovrebbe essere garantita dall’attore statale. 1.3 L’apertura del mercato messicano Nelle ultime due decadi, il Messico ha conosciuto un processo di cambiamento profondo nella sua struttura economica parallelo alla trasformazione appena descritta del sistema politico – istituzionale e in campo sociale. Dopo aver convissuto per oltre cinquant’anni con un sistema economico dominato dal ruolo centrale dello Stato, l’economia messicana ha conosciuto un processo di liberalizzazione caratterizzato dall’apertura ai mercati internazionali e dalla progressiva privatizzazione dei settori controllati fino ad allora dallo Stato. I primi segnali di questo fenomeno sono riscontrabili nelle politiche economiche messe in atto dal presidente Miguel de la Madrid (1982-1988) a metà degli anni Ottanta, ma è a partire dal presidente Salinas de Gortari (1988-1994) e con i suoi successori che il processo di liberalizzazione è diventato più intenso. L’origine della politica di privatizzazione attuata durante il periodo “salinista” 23 va ricercata nel tentativo di far rientrare gli ingenti capitali che negli anni passati erano usciti dal paese e che avevano tolto un’ampia fetta di ricchezza all’economia messicana, mostrando agli investitori di tutto il mondo che il Messico poteva rappresentare un luogo ideale per investimenti sicuri. Per ottenere tale risultato, il presidente Salinas adottò due strumenti di politica economica. Da un lato, accentuò il processo di privatizzazione delle banche nel 1990 provando a far diminuire i tassi di interesse e allentando il controllo dello Stato sull’economia attraverso un processo di deregulation24. Dall’altro, vi fu un tentativo di rinforzare la cooperazione internazionale commerciale con gli altri paesi dell’area nordamericana iniziando le trattative per la stipulazione del Tratado de Libre Comercio de Amèrica del Norte (TLCAN). Dall’entrata in vigore dell’Accordo sul Libero Commercio, avvenuta nel 1994, la percentuale di importazioni dagli Stati Uniti è cresciuta dal 7 al 12 %25 mentre le importazioni dal Canada sono raddoppiate fino al 5% . La tendenza ad ampliare l’area di libero commercio si è poi accresciuta nel tempo: basta pensare che nel corso degli anni 23 24 25 Meyer L., “Transformaciones y permanencias” in Meyer L. e Bizberg I., Una historia contemporanea de Mèxico , Mèxico, Ocèano, 2005, p. 246 Ibidem p.248 Cia World Factbook: Mèxico (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html) consultato il 10 luglio 2011 14 Novanta e Duemila, il Messico ha stipulato accordi di questo tipo con oltre cinquanta paesi e ad oggi oltre il 90% delle merci importate viaggia senza barriere restrittive. Il partner commerciale privilegiato continuano a rimanere gli Stati Uniti che ricevono l’80% del totale delle esportazioni messicane. Per quanto riguarda il processo di privatizzazione i dati offerti dalla ricerca di Josè Juan Sanchez Gonzàlez parlano chiaro: tra il 1982 e il 2003 il numero di imprese statali si è ridotta da 1155 a 207 26 . In particolare durante il periodo salinista il processo di privatizzazione ha portato nelle casse dello Stato messicano 74.6 milioni di pesos. 27 L’influenza dello Stato nei diversi settori dell’economia si è ridotta drasticamente in questi anni se si pensa che se alla fine degli anni Ottanta l’attore statale aveva interessi in più di cinquanta settori mentre nel 1993 si era ritirato da ventuno di questi rami economici.28 Il processo di privatizzazione qui descritto avvenuto nel periodo tra il 1983 e il 2006 ha provocato un cambiamento fondamentale nel ruolo dello Stato nell’economia. La perdita progressiva dell’influenza dello Stato e della politica nelle vicende economiche del paese ha decretato il passaggio da un modello economico chiuso ad un modello economico aperto. Un cambiamento che non può essere ascritto ad una pressione derivante dalla società, ma così come è avvenuto per gli altri paesi dell’area latino americana è derivato dall’interazione che ogni regione ha tenuto con i processi economici che nello stesso periodo sono avvenuti nel resto del mondo29. Il processo di cambiamento del modello economico messicano non può essere considerato in modo lineare, ma ha dovuto affrontare nel suo percorso momenti di grandi difficoltà dovute a due grandi crisi. All’indomani dell’insediamento del nuovo presidente Zedillo, il paese si è trovato a dover fronteggiare una delle recessioni più intense della sua storia: tra il 1994 e il 1995 il PIL si è ridotto del 6.2%.30 Una crisi profonda dalla quale il Messico è riuscito ad uscire velocemente grazie agli ingenti aiuti arrivati dal vicino di casa statunitense e dalle istituzioni finanziarie internazionali. All’inizio del luglio del 1995 il Messico aveva ricevuto 22500 milioni di dollari complessivi dei quali 12500 milioni di dollari elargiti dal Tesoro e dalla Riserva Federale degli Stati Uniti, 300 milioni dalla Banca del Canada, mentre gli aiuti restanti erano stati concessi dal Fondo Monetario Internazionale31. 26 27 28 29 30 31 Sanchez Gonzalèz J.J., “Cambio instiucional en el modelo economico in Torres Espinoza” in Guadarrama E. J., Transición y nueva institucionalidad en México. México, FES Acatlán - LAT.Net – IAPEM, 2008, p.138 Ibidem p.140 Ibidem p.143 Ibidem 124 Op Cit. p.250 Ibidem p.151 15 Ma i rapporti con l’altra sponda del Rio Grande si sono trasformati nel corso degli ultimi vent’anni. Se durante la crisi di metà anni Novanta, gli Stati Uniti avevano contribuito alla soluzione del problema concedendo prestiti e aiuti al vicino in difficoltà, nel 2008 essi sono stati la causa principale della crisi economica che ha portato l’economia mondiale sull’orlo del tracollo e ha provocato una diminuzione del Pil messicano del 6%32. Una crisi profonda, ma limitata nel tempo se si pensa che già nel 2009 l’economia messicana è stata una delle prime a riprendersi tra quelle dei paesi dell’area latino-americana registrando un tasso di crescita del 5.5%33. Oggi l’economia messicana rappresenta la dodicesima economia al mondo in termini di GDP PPP. 34 I settori più importanti rimangono quello dell’estrazione petrolifera e quello delle rimesse dei migranti che secondo i dati della World Bank ammonta a 21.3 miliardi di dollari e che nel gennaio 2011 sono aumentate del 5,8%. L’economia messicana ha dunque patito la crisi in maniera meno pesante pur registrando tassi di crescita inferiori ai paesi dell’area latinoamericana. Il settore che di certo non ha conosciuto gli effetti della crisi, anzi, si è potuto ampliare, è quello dell’economia del narcotraffico. Le stime suggerite nel 2009 dal National Drug Institute35 statunitense parlano di somme comprese tra i 18 e i 39 miliardi di dollari che per la maggior parte vengono reinvestiti al di là del confine statunitense grazie all’assenza di controlli finanziari. Ma le stime ufficiali nascondono la reale grandezza di un giro di affari che ha conquistato ampi settori dell’economia messicana sfruttando l’uso della violenza e la situazione di crisi di liquidità che ha favorito la diffusione del denaro sporco e pronto all’uso guadagnato dalla vendita di stupefacenti. La criminalità organizzata ha dunque potuto sfruttare i processi di cambiamento del modello economico e di perdita di influenza dello Stato nell’economia dovute all’apertura al libero mercato che hanno così contribuito a indebolire i meccanismi di controllo della politica sui flussi finanziari interni e globali. 32 33 34 35 Cia World Factbook: Mèxico (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html) consultato il 10 luglio 2011 https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/mx.html consultato il 10 agosto 2011 World Bank Report, http://data.worldbank.org/data-catalog consultato il 14 agosto 2011 http://www.worldpolicy.org/blog/2010/09/09/inside-mexicos-drug-war consultato il 10 agosto 2011 16 CAPITOLO 2 LA DESCRIZIONE DEL FENOMENO NARCOS La storia della criminalità organizzata messicana degli ultimi vent’anni appare indissolubilmente legata ad un filo conduttore bianco e polveroso: la cocaina. Una droga che proprio in questo periodo ha conosciuto un aumento esponenziale del consumo a livello globale e che ha rappresentato la forma di finanziamento principale delle organizzazioni criminali di tutto il mondo e tra queste anche dei cartelli della droga messicani. Limitando la descrizione dell’evoluzione del sistema dei cartelli messicani all’interno del periodo compreso tra l’inizio degli anni Novanta e l’attualità risulta possibile evidenziare alcune linee di tendenza che permettono la comprensione di un fenomeno così complesso. 2.1 Dal monopolio nazionale all’oligopolio violento: il cambiamento della geografia dei cartelli Il ruolo dei cartelli messicani nel contesto criminale americano non può non essere considerato in relazione a quello svolto dai cartelli della droga colombiani che negli anni Ottanta occupavano una posizione di predominio nel sistema criminale dell’area. I contatti tra le due organizzazioni risalivano infatti alla metà degli anni Ottanta e si svilupparono grazie allo sfruttamento delle rispettive peculiarità. Da un lato i cartelli messicani, dopo aver tratto guadagno dalla produzione e dal traffico di oppio e marijuana nel corso del Novecento, disponevano delle rotte sulle quali far viaggiare i grandi carichi di cocaina provenienti dall’emisfero meridionale del continente pur non essendo in possesso della materia prima36. “Il Messico era territorio ideale per il traffico di stupefacenti: la totalità dei suoi stati settentrionali confina con gli Stati Uniti; ha sbocchi sui mari e una lunga tradizione di traffici illegali. Inoltre, negli anni dei primi contatti con i colombiani viveva una grave crisi economica. Il coinvolgimento nel traffico di stupefacenti rappresentava per il paese una buona opportunità di ripresa”37. Dall’altro lato i cartelli colombiani di Medellin e Cali detenevano il controllo sulla fase di produzione della cocaina ed erano alla ricerca di nuove rotte in seguito alla chiusura del corridoio 36 37 Angelini M., “La conexiòn colombo messicana”, in Narcomafie, num.2, febbraio, 2011, p. 36 Ibidem p.37 17 caraibico dovuto all’operazione statunitense Hat Trickche si svolse in due fasi nel periodo 19841985 e coinvolse il Dipartimento della difesa statunitense, la Marina e la Dea.38 In seguito alle difficoltà incontrate dai cartelli colombiani e grazie alle rotte messe a disposizione dai loro vicini messicani si concretizzò così un vero e proprio accordo stipulato tra le due organizzazioni nel 1984 nel quale si posero le basi per l’inizio di una collaborazione nel traffico degli stupefacenti. Stando alle disposizioni contenute in questo accordo, i messicani non avevano nessun diritto di proprietà sulla merce in transito, ma si limitavano a ricevere una percentuale in denaro proporzionale alla quantità di droga trasportata 39: “Cuando los narcotraficantes colombianos comenzaron a moverse a través de México, se percataron de que el envío era más difícil de lo anticipado, en gran medida debido que a las redes de corrupción y crimen que unían a los traficantes y a los poderosos estaban ya formadas, y era difícil ingresar a ellas. Las barreras de entrada eran demasiadas. Como resultado, los traficantes colombianos optaron por apoyarse en intermediarios 18ace boo”.40 Sul finire degli anni Ottanta con l’ampliamento progressivo del business della cocaina la cui domanda continuava ad aumentare non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, si verificò un’evoluzione costante del patto del 1984 che contribuì alla ridefinizione degli equilibri tra i due attori. I cartelli messicani infatti, forti della posizione strategica assunta nel corso degli anni e guadagnatisi la credibilità necessaria allo svolgimento regolare dei traffici illeciti, iniziarono a richiedere non più solamente la quota in denaro sul passaggio della merce, ma anche il 30% della cocaina in transito, operando in questo modo un vero e proprio salto di qualità41. Nel processo di ristrutturazione dell’industria e del sistema di commercio della droga, sebbene la Colombia fosse rimasta il principale paese produttore di cocaina, le organizzazioni messicane smisero di ricoprire un ruolo secondario nell’universo criminale iniziando ad agire da protagonisti 42. Una trasformazione che viene descritta in questo modo da Sigrid Arzt y Guillermo Vázquez: “Las organizaciones del crimen organizado en México han pasado de ser pasivas transportadoras de cargamentos de sustancias ilegales, a proactivas organizaciones de mayor complejidad, tamaño y poder que emplean la violencia y la intimidación para debilitar a las instituciones de gobierno e incrementar la percepción de inseguridad entre los ciudadanos para aumentar sus ingresos.43. 38 39 40 41 42 43 http://www.druglibrary.org/schaffer/govpubs/amhab/amhabc5.htm consultato il 1 agosto 2011 Op. cit. p.36 Williams P., “El crimen organizado y la violencia en México: una perspectiva comparativa”, in Istor, num. 42, agosto, 2010, p. 26 Op. cit. p.36 Op. cit p.26 Arzt S. e Vázquez, “Violencia en México: realidades y perspectivas” in Istor, num.42, agosto, 2010, p. 52 18 I cartelli della droga messicani si trasformarono così in vere e proprie organizzazioni criminali capaci di mettere in pratica strategie e tattiche di carattere paramilitare per controllare la maggior quantità possibile del mercato della droga e per estendere la propria influenza su ampie zone del territorio messicano. Protagonista di questa fase di trasformazione dei cartelli della droga messicani durante gli anni Ottanta fu il cartello messicano di Guadalajara guidato da Miguel Feliz Gallardo che fino al 1989 fu a capo di un vero e proprio sistema accentrato all’interno del quale la sua famiglia ricopriva un ruolo dominante nell’universo delle diverse organizzazioni criminali presenti sul territorio messicano. Miguel Feliz Gallardo, conosciuto anche con il soprannome di Capo dei capi, dopo aver intrapreso studi commerciali ed aver lavorato come poliziotto, iniziò una carriera criminale rapida quanto intensa favorita dalla protezione politica del governatore dello stato di Sinaloa, Leopoldo Sanchez Celis (1963-1968) che fu suo testimone di nozze e facilitò la stipulazione di trattative con il mondo politico ed economico. Grazie al suo carisma e alla sua leadership, Gallardo riuscì a mantenere una situazione di equilibrio nel sistema criminale dei cartelli messicani fondato sull’egemonia del cartello di Guadalajara. Una pace che permise lo sviluppo degli affari economici dei cartelli, ma che non riuscì ad evitare negli anni Ottanta una serie impressionante di delitti contro le autorità di polizia tra i quali anche agenti della Dea statunitense. Il cartello di Guadalajara forte della sua posizione di egemonia nei confronti delle altre organizzazioni criminale messicane fu anche il principale protagonista delle trattative condotte con i cartelli colombiani avvenute verso la metà degli anni Ottanta per il passaggio della droga verso gli Stati Uniti sul suolo messicano. L’erosione del sistema egemonico criminale dominato dal Cartello di Guadalajara e dal suo leader Miguel Feliz Gallardo sembrò ricalcare la stessa parabola, almeno sotto il profilo temporale, della fine dell’egemonia del Partido Revolucionario Institucional. L’anno simbolo di questi due processi paralleli e contemporanei sembra essere il 1989: proprio in questo periodo, mentre il PRI iniziava a perdere il controllo del territorio a seguito dell’elezione del primo governatore di un partito dell’opposizione44 ebbe luogo l’arresto del Capo dei Capi. Un fatto eccezionale che aprì una violenta fase di “vuoto di potere” nel sistema criminale messicano45. In seguito alla detenzione di colui che grazie al suo carisma, riusciva a tenere a bada le mire espansionistiche dei vari cartelli, 44 45 Nel 1989 il candidato del Pan Enesto Ruffo Appel viene eletto governatore nello Stato della Baja California Blancornelas J., El càrtel, D.F. Plaza Janes, 2003 19 venne meno la capacità di gestione delle tensioni intestine al sistema di cartelli messicani e si avviò così lo scoppio di una violenta lotta per la successione e per il controllo delle rotte della droga. Tra le figure più importanti che emersero dalla fase di scontro per la successione di Feliz Gallardo vi furono El Chapo Guzmàn Loera e i fratelli Arellano Felix. Questo periodo è stato definito dal sociologo Luìs Astorga come “il passaggio da un sistema criminale dotato di una struttura monopolistica ad una struttura oligopolistica all’interno della quale diversi gruppi criminali operano in territori strategici in costante disputa non ottenendo mai un dominio esclusivo su di essi, conditio sine qua non per un effettivo dominio monopolistico” 46. Si passa così da un sistema di monopolio nazionale ad un oligopolio violento costruito su un equilibrio dinamico tra i vari cartelli che negli ultimi anni hanno cambiato strategie e alleanze in base alle opportunità offerte dal momento storico. Si propone ora una descrizione sintetica dei principali cartelli operanti nell’anno 2010 sul territorio messicano47: Il cartello di Sinaloa (detto anche del Pacifico) nacque in seguito all’arresto di Feliz Gallardo e alla conseguente disgregazione del cartello di Guadalajara. Principale artefice della nascita e della scalata verso la conquista del potere fu Joaquin Guzman Loera meglio noto come El Chapo, figura celeberrima nel mondo del narcotraffico internazionale, inserito dalla rivista Forbes nella lista degli uomini più ricchi del pianeta e reso celebre dall’evasione avvenuta nel 2001 dal carcere di massima sicurezza di Puente. L’organizzazione che ruotava attorno alla figura carismatica del Chapo si sviluppò a partire dagli Novanta e conobbe una rapida ascesa nel contesto criminale messicano. Tra le principali attività del cartello di Sinaloa che ne finanziarono l’ascesa, vi erano il traffico della cocaina proveniente dalla Colombia, della marijuana coltivata sul territorio messicano e delle anfetamine prodotte nel sud est asiatico. La continua espansione del business degli stupefacenti favorì l’ampliamento del controllo sinaolense sul mercato delle droghe in ben diciassette Stati messicani tra cui Sinaloa, Sonora, Nayarit, Chihuahua, Durango, Jalisco, Colima, Chiapas, Guerrero,Zacatecas, Baja California, Baja California Sur, Oaxaca, Guanajuato, Querétaro, Tlaxcala, Puebla,Morelos, Mexico City.48 46 47 48 Angelini M., “Come un’idra a nove teste” in Narcomafie, num.2, febbraio 2011., p.36 La presente descrizione è stata elaborata grazie alle informazioni derivanti dai lavori di un investigatore delle forze dell'ordine italiane esperto di mafie internazionali come Piero Innocenti, del professore universitario Eduardo Guerrero Gutierrez e di alcune informative rese note dalla Dea. Innocenti P., “La mappa dei cartelli”, in AA.VV. “Messico la guerra dei narcos”, Libera e Flare Network, Torino , 2010 20 Il cartello di Juarez ebbe origine all’inizio degli anni Settanta nella città di Ciudad Juarez, lungo il confine statunitense. Dopo un lungo periodo dominato dalla figura di Rafael Aguilar Guajardo, nel 1993 il cartello passò nelle mani di Amado Carrillo Fuentes soprannominato il signore dei cieli per i grandi quantitativi di cocaina trasportati utilizzando piccoli aerei. Un personaggio molto discreto, morto nel 1997 in una clinica messicana durante un intervento di chirurgia plastica per cambiare i lineamenti del volto. La successione della leadership fu affidata al fratello Vicente che però non riuscì a frenare lo stato di declino del cartello che nel nuovo millennio si trovò a dover affrontare una lotta all’ultimo sangue per il controllo della zona di Juarez con i rivali del cartello di Sinaloa. Una sfida dalla quale il cartello dei Carrillo Fuentes uscì sconfitto dovendosi accontentare di giocare un ruolo secondario nella gestione dei traffici lungo il confine statunitense. Ad oggi il cartello non sembra aver patito grandi conseguenze se si pensa che esercita la propria influenza in 21 stati della Federazione, con particolare intensità in Chihuahua, Culiacán, Monterrey, Ciudad Juárez, Ojinaga, Mexico City, Guadalajara, Cuernavaca e Cancùn. L’origine del cartello di Tijuana è legata proprio al processo di disgregazione del cartello di Guadalajara avvenuto nel 1989 in seguito all’arresto di Miguel Feliz Gallardo. Se da un lato questo avvenimento portò alla creazione del Cartello di Sinaloa guidato da El Chapo Guzmàn, dall’altro i fratelli Arellano Felix contribuirono alla nascita di un nuovo cartello che esercitava il controllo proprio a partire dalla città situata sulla parte occidentale della frontiera. Oggi il cartello di Tijuana controlla un’ampia fetta dei 3140 chilometri della frontiera settentrionale con gli Stati Uniti. Guidato dai fratelli Arellano Felix, il cartello è stato accusato dell’omicidio del cardinale di Guadalajara Juan Jesus Posadas Campos nel maggio 1993 durante un conflitto a fuoco con i diretti rivali di Sinaloa. Secondo la ricostruzione fornita da Innocenti, uno dei due fratelli Javier Arellano Felix, detenuto nel carcere di massima sicurezza di La Palma di Almoloya nello Estado de Mexico, continuerebbe a esercitare la propria influenza e avrebbe stretto un’alleanza con gli ex rivali del cartello del Golfo. Secondo le analisi e i rapporti degli esperti di criminalità organizzata messicana, tra i cartelli più importanti e violenti del paese vi è il cartello del Golfo. La nascita di questo cartello risale agli anni Settanta anche se solo dal decennio successivo l’organizzazione iniziò a impegnarsi in prima linea nel traffico di stupefacenti sotto la guida di Juan García Abrego.49 Fu un periodo di grande sviluppo economico che durò fino al momento dell’arresto del leader avvenuto nel 1996. Dopo una fase di 49 http://www.jornada.unam.mx/2003/03/15/046n1soc.php?origen=soc-jus.html consultato il 23 giugno 2011 21 transizione di tre anni, la guida venne assunta da un’altra figura dotata di grande carisma, Osiel Cardenas Guillen arrestato a sua volta nel 2003. Ed è proprio da una costola del cartello del Golfo che si formò il gruppo paramilitare dei Los Zetas composto da ex appartenenti alle forze armate e che oggi puo’ essere considerato come un cartello a sé stante indipendente da quello del Golfo. La scissione che ha dato origine al gruppo dei Los Zetas sembra dunque aver indebolito la tradizionale capacità di controllo del cartello del Golfo sul territorio messicano che oggi esercita la propria influenza in dieci stati, in particolare in Matamoros, Tamaulipas e Reynosa e nelle città di Nuevo Laredo e Monterrey. Il cartello Milenio emerse per la prima volta nelle indagini nel 1999 quando fu arrestato Gilberto Garza Garcia, soprannominato El Guero, elemento importante del cartello di Juarez. A partire dalla testimonianza del leader del cartello, la Polizia apprese dell’esistenza dei fratelli Valencia che trafficavano in cocaina utilizzando la flotta di imbarcazioni per la pesca del tonno 50. La nascita dell’organizzazione è da ricondurre proprio ad una scissione avvenuta verso la fine degli anni Novanta dal cartello di Juarez. Oggi, nonostante l’arresto di Armando Valencia avvenuto nell’agosto 2003, l’organizzazione è in continua espansione e i suoi centri operativi più importanti sono quelli di Michoacan, Aguililla, Jalisco e Guadalajara. Il percorso della famiglia Beltràn Leyva trae origine all’interno del cartello di Sinaloa dal quale si separano verso la fine degli anni Duemila quando l’arresto del capo Alfredo Beltràn Leyva scatena una faida tra la famiglia e el Chapoo Guzman che ebbe come scenario lo stato di Sinaloa. A partire dal 2007 i Beltran Leyva iniziano a configurarsi come un vero e proprio cartello autonomo che esercita la propria influenza negli stati di Guerrero, Chiapas, Querétaro, Quintana Roo, Sonora, Sinaloa, Tamaulipas, estado de México y el Distrito Federal.51 Infine un caso particolare è rappresentato dalla Familia Michoacana che presenta un forte legame territoriale con lo stato del Michoacàn. “La Familia Michoacana è nata come una forma di struttura sociale e per molti versi ha conservato questa sua natura fino ad oggi” 52 spiega il professor Samuel Gonzales Ruiz. Le origini di questa organizzazione vanno ricercate negli anni Ottanta quando i coltivatori di oppio e di marijuana del Michoacàn costruirono una rete di mutuo 50 51 52 Op. Cit. http://www.jornada.unam.mx/2008/01/30/index.php?section=politica&article=012n1pol consultato il 18 luglio 2011 http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/8319924.stm consultato il 20 agosto 22 aiuto e di difesa contro i narcos che nel corso degli anni conobbe l’evoluzione in vero e proprio cartello riuscendo a conquistare ampi settori dell’economia, della politica e della società dello stato. La ricerca del professor Ruiz mostra come l’85% dell’economia legale dello stato sia collegata agli affari della Familia53. La capacità di penetrazione dell’organizzazione criminale non si è limitata solamente all’ambito economico, ma è riuscita anche a inserirsi nella struttura sociale e culturale michoacana. La Familia Michoacana è stato il primo gruppo di narcos a rendere pubblica la propria identità rivelando alla stampa i propri obiettivi. Il 22 novembre 2006 inviarono un annuncio sui giornali nel quale sostenevano di essere dei lavoratori della Terra caliente minacciati dal cartello del Milenio. Un messaggio che esprimeva la volontà di porre fine alla situazione di disordine e insicurezza causata dai continui sequestri, estorsioni e traffici di stupefacenti, dichiarando di agire in nome di valori universali e di essere pronti a costruire chiese e scuole per la comunità. Dietro questa strategia comunicativa basata sulla difesa e sul mantenimento dell’ordine e della pace, si nasconde una realtà fatta di terrore e di violenza. Basti pensare ad uno dei tanti fatti di cronaca che vide protagonista la Familia Michoacana quando nel 2006 fece gettare sei teste mozzate sulla pista da ballo di un pub della città di Uruapàn. Questa dunque è la descrizione del sistema criminale messicano nel primo decennio del XXI secolo: un quadro che che non puo’ essere considerato in maniera statica, ma che ha conosciuto un’evoluzione incessante a causa dei continui mutamenti nella geografia delle alleanze e delle scissioni. Questa fase della storia della criminalità organizzata messicana si è caratterizzata per la sua struttura di tipo oligopolistico. Una volta venuto meno il controllo centrale del cartello di Guadalajara, che riusciva a mantenere gli equilibri tra i differenti attori criminali, si è dunque innescato un meccanismo di lotta per la succesione che ha dato vita ad una spirale di violenza senza precedenti e ad un processo di disgregazione del cartello egemonico nei molteplici gruppi criminali appena descritti. Ma nel 2010 sembra aprirsi una nuova fase nella geografia dei cartelli messicani: secondo un documento confidenziale reso pubblico dalla Secreteria de Defensa Nacional nel gennaio 2010, sarebbe in atto un processo di polarizzazione delle diverse organizzazioni in due grandi blocchi distinti e contrapposti. 53 Ibidem 23 Da un lato, il cartello del Golfo, la Familia Michoacana, il cartello del Milenio e il cartello di Tijuana avrebbero dato vita ad un network denominato Nuova Federazione guidata da El Chapo Guzman Loera. Dall’altro lato invece, Los Zetas, il cartello dei fratelli Beltràn Leyva e il cartello di Juarez avrebbero stretto un’alleanza per fronteggiare il polo opposto. Al centro delle dispute tra questi due grandi blocchi contrapposti sembrano esserci questioni territoriali legate al controllo delle rotte della droga. In particolare, il territorio in contesa sarebbe quello al confine nordorientale con il Texas. Si tratta dello stato di Tamaulipas, Nuevo Leòn e recentemente della città di Monterrey. Non a caso le aree dove si sono registrati i tassi più alti di omicidi e di violenze negli ultimi mesi.54 2.1 Dalla disgregazione del sistema dei cartelli all’aumento della violenza Il processo di rottura del sistema egemonico criminale dominato dal cartello di Guadalajara (parallelo alla transizione democratica e al crollo del sistema del partito egemonico) ha generato anche un processo di cambiamento nelle modalità di esercizio e nella diffusione della violenza nel paese misurata attraverso il tasso di omicidi. Sebbene l’andamento del tasso di omicidi abbia registrato una tendenza decrescente nel corso degli ultimi vent’anni a livello federale, occorre far notare che tale diminuzione a livello aggregato non si è verificata negli stati della Federazione dove la criminalità organizzata è riuscita a radicarsi con più forza e dove si sono verificate le tensioni maggiori per il controllo delle rotte del narcotraffico. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, negli ultimi vent’anni (tra il 1990 e il 2007) il tasso nazionale di omicidi è diminuito progressivamente anno dopo anno: se nel 1992 il tasso di omicidi si attestava sul valore di 19 omicidi ogni mille abitanti, nel 2007 il tasso è sceso a 8 omicidi ogni mille abitanti55 . Pertanto in soli quindici anni, si è registrata una riduzione in termini percentuali del 39% che considerata in valori asssoluti si traduce in una diminuzione da 14520 vittime nel 1992 a 8868 nel 200756. Ma questa tendenza decrescente si è bruscamente interrotta nel 2008, esattamente dodici mesi dopo la guerra ai narcos lanciata dal presidente Calderòn. In soli due anni infatti il tasso nazionale di 54 55 56 Angelini M., “La creazione dei cartelli” in Narcomafie, num. 2, febbraio, 2011, p. 42 Escalante F. “La muerte tiene permiso”, in Nexos 3/1/2011 consultabile su http://www.nexos.com.mx/? P=leerarticulov2print&Article=1943189 Polanska M., Los Homicidio e la violencia organizada en Mèxico. Un imcremento real?,, Flacso Chile Programa Seguridad Ciudadana, 2010 24 violenza è tornato ai livelli registrati nel 1991 con un aumento del 50% della violenza tra il 2008 e il 2009.57 L’aumento del tasso di omicidi non si è verificato in modo uniforme su tutto il territorio federale, ma si è assistito ad un processo di concentrazione della violenza in alcune aree determinate del paese. Tra il 2006 e il 2007 nell’insieme di stati composto da Chihuahua, Baja California, Guerrero, Durango, Sinaloa, Nayarit, Sonora, Michoacàn, Oaxaca che costituiscono il 20% della popolazione del paese si sono registrati il 41% degli omicidi totali, mentre nel biennio successivo (2008-2009) ferma restando la porzione di popolazione rispetto al totale, la percentuale degli omicidi è salita al 57%. Questi dati evidenziano l’esistenza di un vero e proprio processo di concentrazione della violenza negli stati dove la presenza dei cartelli della droga risulta più intensa. Ma spostando la nostra attenzione sull’analisi del tasso di omicidi a livello municipale si nota che i livelli di violenza più elevati si sono registrati proprio nelle grandi città con la sola eccezione di Città del Messico, che pur essendo una delle più grandi metropoli del continente non sembra essere colpita più di tanto dall’ondata di violenza dei narcos: “En Chihuahua, con un 40% de la poblacióndel estado, Ciudad Juárez registra el 65% de los homicidios; en Baja California, con la mitad de la población, Tijuana da cuenta del 72% de los homicidios. Tijuana casi siempre ha sido relativamente más violenta que el resto de Baja California, pero sólo en los últimos dos años ha llegado a concentrar más del 70% de los homicidios del estado58 . I dati pertanto suggeriscono un cambiamento nella forma e nell’esercizio della violenza: negli anni Settanta e Ottanta questa era legata in particolare ai movimenti sociali di natura rurale e indigena e alla repressione nei loro confronti esercitata dallo Stato, ma già a partire dagli anni Novanta iniziava ad assumere una connotazione legata al contesto urbano, pur essendo slegata dal mondo del narcotraffico. A partire dagli anni Duemila e in particolare nel periodo della presidenza Calderòn, l’aumento della violenza sembra essere legato prevalentemente al fenomeno narcos. Per supportare questa tesi, Fernando Escalante evidenzia il dato che nelle ultime due decadi, la diminuzione della violenza veniva riscontrata soprattutto in quei municipi con meno di diecimila abitanti nel centro e nel sud del paese in stati come Oaxaca, Morelos, Estado de México, Hidalgo, Puebla, Campeche e anche Guerrero e Michoacán. Nello stesso periodo, non è accaduto lo stesso nelle grandi città e nei municipi che hanno fatto registrare i tassi di migrazione più alti e specialmente nelle città collocate lungo il confine.59 Tra le città più colpite dall’incremento di violenza vi sono quasi tutte quelle con 57 58 59 Op. Cit. Ibidem Op. Cit.. 25 più di cinquantamila abitanti nella parte settentrionale del paese, oltre al bacino occidentale del río Balsas, tra lo stato di Guerrero e quello del Michoacán e nella parte alta della Sierra Madre Occidentale, vicino agli stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango. Ma l’aumento della violenza a partire dal 2007 non è avvenuto solamente in termini di intensità, ma ha visto espansione del raggio della violenza in tutto il paese. L’indicatore utilizzato nella ricerca di Guerrero per descrivere questo fenomeno è costituito dalla variazione del numero di municipi dove si è registrato almeno un omicidio al mese. Negli ultimi tre anni (2007-2010) si scopre pertanto che la violenza è passata dall’essere considerata un fenomeno circoscrivibile ad alcune zone ritenute calde, soprattutto quelle in prossimità della frontiera, al diventare un vero e proprio fenomeno endemico che coinvolge un’ampia fetta del territorio messicano. Secondo alcuni 60, nel corso del 2007 sono stati 53 i municipi che hanno registrato almeno una esecuzione in media al mese. Nel 2008 la cifra dei municipi dove si è registrata almeno un’esecuzione mensile è aumentata a 84 e nel 2009 a 131. Il 2010 si è chiuso con circa 200 municipi in questa situazione. In poche parole, l’incremento del numero di municipi dove si è registrato almeno un omicidio al mese nel periodo 2007 – 2010 è stato del 277%61. Tra le cause principali di questa espansione del raggio di violenza vi è il cambiamento del sistema criminale che dopo il crollo dell’egemonia del cartello di Guadalajara ha visto l’apertura di una fase di disgregazione e di scissioni che ha portato con sé un aumento nell’esercizio e nell’espansione della violenza. Il legame tra la disgregazione del sistema criminale e l’espansione dell’ondata di violenza si può ricondurre secondo questa interpretazione ad alcuni fattori 62. In primo luogo, l’esercizio della violenza risulta collegato al processo di costruzione della reputazione delle nuove organizzazioni nate dalla disgregazione del sistema egemonico criminale. Fin dalla sua nascita, un cartello si avvale della violenza come mezzo per acquistare prestigio e onore che consenta inizialmente la sopravvivenza fino ad arrivare all’espansione della propria influenza e del consolidamento nel panorama criminale. La costruzione della reputazione rappresenta dunque un fattore chiave per spiegare l’aumento dell’esercizio della violenza. L’altro fattore è determinato dall’esercizio della violenza nell’ottica della gestione delle dinamiche di competizione tra i vari cartelli. Quando la violenza si è convertita nel mezzo essenziale per 60 61 62 Guerrero Gutierrez E., “La raiz de la violencia Nexos la raiz de la violencia”, in Nexos, 2011 Ibidem Ibidem 26 conquistare e difendere i territori e il controllo del mercato, le organizzazioni criminali non hanno timore ad esercitarla per avere la meglio sui propri rivali. Questo processo determina l’aumento della spirale di violenza e una maggiore intensità degli atti violenti. Le dinamiche appena descritte che hanno messo in relazione il processo di disgregazione, di scissione e di nascita di nuovi cartelli nel sistema criminale messicano con l’aumento della violenza negli ultimi anni, può essere analizzato prendendo spunto dal caso dei Los Zetas che sono costituiti dai disertori dei gruppi militari di elite, in particolare del Grupo Aeromóvil de Fuerzas Especiales (Gafes). Questo gruppo criminale si caratterizza per il livello di armamento moderno, per il livello professionale dei suoi membri reclutati nei reparti dei corpi speciali anche al di là del confine guatemalteco. Ma Los Zetas hanno giocato un ruolo chiave nella dinamica di dispersione e di aumento della violenza poiché il cartello ha sperimentato una frammentazione continua in piccole cellule impazzite. I Los Zetas si caratterizzano per la loro ubiquità ovvero hanno cellule che hanno partecipato praticamente a tutte le guerre tra cartelli. Attualmente hanno influenza a Tamaulipas, Veracruz, Hidalgo e San Luis de Potosì, Durango, Guanajuato, Jalisco, Michoacàn, Nayarit, Oaxaca, Quintana Roo e Valle de Mexico. Ma risulta interessante chiedersi quali siano state le conseguenze dell’espansione della violenza su tutto il territorio nazionale e dell’aumento dei tassi di omicidi in alcune aree del paese sul piano della strategia di contrasto alla lotta della criminalità organizzata. La principale conseguenza della dispersione geografica della violenza è rappresentata dal fatto che il narcotraffico si è convertito in un problema che deve essere affrontato non più solamente dalle autorità centrali dello Stato, ma anche da quelle municipali e statali. Se da un lato, le forze armate e la polizia federale, seppur non esenti dal rischio di infiltrazione e di corruzione, non hanno la capacità di svolgere attività di controllo e sicurezza su tutto il territorio, dall’altro l’impiego delle forze di polizia locale in questo tipo di azione di contrasto è soggetto agli elevati tassi di corruzione delle autorità locali che potrebbero rendere inefficace questa modalità di rimedio. Un’altra conseguenza investe l’ambito sociale e politico. “Fino al 2006 la violenza era un tema che appariva lontano dalla vita quotidiana della maggior parte dei cittadini messicani” 63. Un problema che riguardava e coinvolgeva soltanto gli abitanti di alcune aree specifiche del paese e dunque era diffuso un senso di indifferenza nei confronti di tale fenomeno. Negli ultimi cinque anni, nelle zone 63 Cynthia Rodriguez è la corrispondente per l'Italia del settimanale messicano “Proceso”, collabora con Internazionale e con LiberaInformazione.org. Autrice del libro “Contacto En Italia – el pacto entre Los Zetas y la Ndrangheta”. Le dichiarazioni riportate sono il frutto di una intervista realizzata in diversi incontri avvenuti nel corso del 2010 e del 2011 27 dove la violenza era già presente, questa si è aggravata, mentre diverse aree del paese che erano considerate esenti da questo pericolo hanno visto la comparsa di azioni violente: “Attualmente quasi nessun cittadino messicano può’ sentirsi escluso dagli effetti del narcotraffico. Tutti hanno almeno un parente, un amico, un conoscente che è stato colpito dalla violenza dei narcos”. Di conseguenza, il contatto diretto o indiretto di una parte crescente di popolazione con la violenza ha contribuito a far nascere e sviluppare una domanda sociale di giustizia sempre più ampia e forte tra la popolazione che ha iniziato a riunirsi in associazioni e organizzazioni al fine di esercitare una condanna collettiva del fenomeno narcos e una pressione crescente nei confronti degli attori istituzionali incaricati di prevenire e reprimere la violenza esercitata dai cartelli della droga. 2.3 L’evoluzione del rapporto tra i narcos e la politica: dalla pax priista alla feudalizzazione dello Stato Dopo aver descritto i due processi contemporanei e paralleli di disgregazione del sistema egemonico criminale e del sistema egemonico politico, risulta interessante incrociare questi due fenomeni per mettere in evidenza il cambiamento nelle relazioni tra gli attori criminali e l’attore statale. Tra il 1947 e il 1985, la centralizzazione dello Stato messicano aveva permesso di controllare la violenza nel traffico di droga per oltre quarant’anni. Il sistema di partito egemonico dominato dal Partido Revolucionario Institucional garantiva infatti un accordo tacito con i cartelli della droga che permise una fase relativamente pacifica di convivenza tra la criminalità organizzata e lo Stato denominata pax priista. Durante questo periodo, il governo e la criminalità organizzata mantennero una relazione basata su un patto di non aggressione. L’accordo fu reso possibile dalle condizioni strutturali che caratterizzavano il sistema politico e istituzionale fondato sul centralismo all’interno del quale i governatori e i funzionari municipali, dopo essere stati scelti dagli organi centrali del partito, godevano di una sostanziale autonomia di controllo sul territorio che permetteva loro di portare a compimento gli accordi con le imprese criminali. In diversi momenti le autorità federali sembravano mostrarsi più inclini a tollerare le attività dei narcotrafficanti se questi ultimi rispettavano le condizioni imposte dallo Stato. Recentemente un ex governatore messicano 64 ha enunciato alcune di queste regole che costituivano la base di questi accordi taciti: “1. No muertos en las calles; 2. No drogas en las escuelas; 3. No escándalos mediáticos; 4. Entrega periódica [al gobierno] de cargamentos y traficantes menores; 5. Derrama económica en las comunidades; 6. 64 http://impreso.milenio.com/node/8862599 consultato il 30 luglio 2011 28 No proliferación de bandas; 7. Cero tratos con la estructura formal del gobierno (policías o funcionarios judiciales); 8. Cobrar errores con cárcel, no con la vida; 9. Orden y respeto en los territorios; 10. Invertir las ‘ganancias’ en el país65” Ma agli inizi degli anni Novanta il sistema politico istituzionale messicano iniziò a cambiare faccia. Il Partido Revolucionario Institucional perse il controllo del territorio a partire dalle presidenze dei consigli municipali fino ad arrivare al livello statale. Iniziò così il processo di disgregazione del partito egemonico che portò ad un sistema basato sulla competizione. Un processo speculare a quello avvenuto in campo criminale dove la disgregazione del sistema egemonico guidato dal cartello di Guadalajara venne a cadere con l’arresto del suo leader alla fine degli anni Ottanta aprendo un’era di competizione tra i vari attori criminali giocata in primis sul campo della politica. La ricercatrice di Harvard Viridiana Ríos ha descritto il fenomeno con queste parole: “La descentralización del gobierno mexicano ha aumentado la violencia política porque se ha abierto la oferta de corrupción a nivel local. Tras la ruptura de la hegemonía priista, 29ace b el balance de poder del nivel nacional al ámbito estatal y municipal”66. Il potere politico si articola sul territorio messicano attraverso tre livelli: quello federale, quello statale e quello municipale. Tre livelli che per settant’anni sono stati controllati dal Pri, ma che con i cambiamenti degli anni Novanta hanno visto l’ingresso di nuovi attori nello scenario politico. Da un lato si osserva il progressivo avanzamento dei principali partiti d’opposizione che dal 1989 hanno iniziato a conquistare il governo dei municipi, dall’altro si registra una crescente influenza dei narcos nella politica alla quale ha corrisposto una perdita di controllo del PRI sul proprio territorio. La cosiddetta fragilità dello Stato messicano si riscontra principalmente nel livello più vicino alla società: quello municipale, ritenuto l’anello debole della catena del potere politico dove i narcos sono potuti entrare nel tessuto politico con più facilità. 67 Questo perché i funzionari dei municipi hanno un contatto diretto e quotidiano con le persone e a questo livello viene meno il controllo da parte degli organi statali e federali degli stessi partiti che sono più permeabili all’ingresso di uomini legati ai narcos nelle fila del proprio schieramento. Il 30 agosto 2010 la Commissione di sviluppo municipale del Senato ha presentato una radiografia sull’infiltrazione del narcotraffico in Messico. Il presidente della commissione Ramon Galindo ha affermato che “il narco opera oggi in 400 municipi con fortissime influenze in altre 1500 zone del 65 66 67 Guerrero Gutierrez E., Narcotràfico S.A., in Nexos, 2011 consultabile su http://www.nexos.com.mx/? P=leerarticulo&Article=54 http://impreso.milenio.com/node/8862599 consultato il 30 luglio 2011 Citato in Ravelo R., “Los carteles imponen su ley”, in Proceso, num. 1773, ottobre 2010, p. 6 29 paese”68. Una stima che secondo i ricercatori dell’Universidad Nacional Autonoma de Mexico (Unam) deve essere rivista per difetto. Il coordinatore dell’unità di violenza sociale dell’Unam, Renè Jimenez Ornelas, ha segnalato che il numero di comuni che presentano infiltrazioni dei narcos si attesta intorno ai 900 casi in tutto il paese.69 Cifre che, seppur discordanti a livello assoluto, segnalano la tendenza all’aumento progressivo dell’infiltrazione dei narcos nel livello di potere municipale. La vulnerabilità del livello municipale innanzitutto è di natura finanziaria ed economica specialmente per i municipi collocati nelle aree rurali date le scarse risorse che il governo statale mette a disposizione e a causa dei bassi livelli di salari degli amministratori che diventano così facili prede dei narcos. I cartelli hanno potuto finanziare campagne elettorali, estendendo una pratica che in passato veniva effettuata solo nelle aree di Sinaloa e Guerrero: la narcopolitica. L’allarme che arriva da Edgardo Buscaglia è preoccupante: circa il 65% delle campagne elettorali messicane sono contaminate dal denaro proveniente dalla narco economia.70 Per Buscaglia questo fenomeno può’ essere considerato come una vera e propria feudalizzazione: “In tutti i paesi esiste l'infiltrazione della criminalità organizzata. Prima attraverso relazioni personali, tangenti o estorsioni contro l’autorità; poi si creano dei feudi, quando il personaggio che è stato finanziato diventa deputato, sindaco o governatore”.71 Il primo passo della penetrazione dei narcos nella politica è dunque rappresentato dall’elezione nei consigli municipali. Il patto indiretto tra il candidato e l’organizzazione criminale si basa da un lato sul finanziamento della campagna elettorale e sulla garanzia dell’elezione attraverso il voto di scambio e dall’altro sulla promessa di favori al momento dell’insediamento nel posto di governo municipale. Si stringe così un legame difficilmente rinegoziabile dal quale è impossibile uscirne se non con la morte. Questa relazione di dipendenza del politico nei confronti dell’organizzazione criminale si trascinerà lungo tutto il cursus honorum del candidato che qualora venga eletto come deputato statale dovrà continuare a guardare con un occhio di riguardo coloro che hanno finanziato la sua ascesa. Data l’estensione di questo processo si è pensato ad una vera e propria afganizzazione del Messico: “Ci sono 982 aree dove non c’è governabilità dello Stato e dove non c’è autorità formale poiché il potere appartiene al gruppo criminale o ad un governo municipale colluso con il 68 69 70 71 Ibidem Ibidem http://www.proceso.com.mx/?p=272944 consultato il 23 luglio 2011 Op. Cit. p. 6 30 crimine organizzato. Questo caso è molto simile a quello che sta accadendo in Afganistan”. 72 L’aumento dell’influenza dei narcos si è accentuato con l’avvento al potere di Calderòn. Se nel 2007 si contavano 353 municipi sotto l’influenza dei narco, nel 2009 erano saliti a 650 ed oggi la cifra dei municipi sotto il controllo dei narcos si attesta sulle mille unità. Un altro indicatore che testimonia la capacità di infiltrazione della criminalità organizzata nel livello di potere municipale è rappresentato dall’aumento degli assassini di funzionari pubblici. Solamente nei primi dieci mesi del 2010 sono stati uccisi undici sindaci 73. Ma il livello di violenza si è spinto anche al livello statale con l’assassinio nel giugno 2010 del candidato del PRI per lo stato di Tamaulipas Rodolfo Torres. Una serie di azioni che rientra nella strategia di intimidazione delle autorità esercitata dai cartelli. Il potere di infiltrazione dei narcos nella politica dunque non si limita al livello municipale. Negli anni cartelli messicani sono riusciti ad estendere la propria influenza anche ai livelli superiori del potere politico: quello statale e quello federale. Ancora una volta sono i fatti di cronaca a testimoniare questo fenomeno. Tra gli arresti eccellenti degli ultimi anni spicca il nome dell’ex governatore dello stato del Quintana Roo, Mario Villanueva, arrestato nel 2001 con l’accusa di collusione con i cartelli messicani e colombiani e condannato nel 2008 a 36 anni di carcere. 2.4 Narcos ed economia: i cartelli non pagano la crisi Non sembra essere casuale il fatto che l’ambasciatore statunitense William Brownfield nel 1984 utilizzò il termine “cartelli” per classificare i gruppi colombiani dediti al narcotraffico. Una definizione presa a prestito dall’ambito economico che voleva sottolineare la grande capacità imprenditoriale della criminalità organizzata di penetrare sempre di più nel tessuto economico legale. Vent’anni più tardi il termine sembra essere entrato di diritto nel vocabolario delle autorità che lottano contro il narcotraffico e l’influenza dei narcos nell’economia legale è cresciuta sempre più. Il settore principale nel quale operano i cartelli messicani è quello del commercio e dello smistamento delle sostanze stupefacenti e in particolare della marijuana, dell’eroina e della cocaina anche se con il nuovo millennio si è ampliato il mercato delle meta-anfetamine e delle droghe sintetiche. Ma in ogni caso, è la cocaina a giocare il ruolo fondamentale e a generare i profitti più 72 73 Ibidem Guerrero Gutierrez E. Como reducir la violencia en Mèxico, Nexos, Novembre, 2010 31 elevati che alimentano la narco – economia. Sebbene non si occupino della fase di produzione di questa sostanza, il traffico della cocaina rappresenta la fonte di entrata principale per i cartelli messicani che ormai controllano quasi tutto il mercato statunitense arrivando a stringere alleanze ed affari anche in Europa e in particolare con la 'ndrangheta. La criminalità organizzata messicana ha saputo sfruttare i processi di globalizzazione e di apertura dei mercati che spesso non sono stati accompagnati da adeguate misure di protezione dalle infiltrazioni delle mafie. Quest’ultime pertanto hanno acquisito una dimensione transnazionale contaminando le economie di tutto il mondo con i proventi derivanti soprattutto dal narcotraffico. Il controllo della droga in uscita verso gli Stati Uniti significa detenere il controllo sul traffico a livello internazionale, se si pensa che il 90% della cocaina prodotta nel mondo viene consumata proprio negli Stati Uniti specialmente nelle grandi città come New York dove i tassi di consumo si attestano sulle 90 strisce di coca ogni mille abitanti.(UNODC, 2007b).74 Vi è però una difficoltà strutturale nei vari tentativi di stimare il volume di affari generato dal traffico di droga che risulta legata principalmente alla diversa quantità di droga ricavabile dalla materia prima a seconda del grado di purezza, alla volatilità dei prezzi del mercato degli stupefacenti e infine alla non conoscenza della percentuale di profitto che entra nelle tasche dei narcos messicani.75 Le diverse stime che sono state effettuate nel corso degli anni concordano però sul fatto che la potenza economica dei cartelli della droga messicani ha raggiunto cifre a nove zeri arrivando ad essere considerata come uno dei primi settori dell’economia messicana. Un traffico che al contrario degli altri settori non ha patito la crisi anzi ne ha approfittato per espandere la propria influenza sui mercati. Il Dipartimento di Stato statunitense ha stimato che il commercio di stupefacenti garantisce ai narcotrafficanti messicani entrate per 45 miliardi di dollari. Secondo queste stime, il settore del traffico di stupefacenti rappresenterebbe il primo settore dell’economia messicana superando anche le esportazioni petrolifere.76 Punto centrale dello smistamento della droga sembra essere il porto strategico di Làzaro Cardenas, al confine tra il Michoacàn e Guerrero, dove si stima che tra il 1999 e il 2008 il numero di containers sia passato da 4475 a 197.14977 Il commercio di droga risulta a tutti gli effetti uno dei settori principali dell’economia messicana e così come qualsiasi attività economica legale presenta costi e benefici. Tra questi ultimi sono 74 75 76 77 UNODC, World Drug Report 2007, UNODC, 2007b. Rios V., Evaluating the economy impact of drug traffic in Mèxico, Department of Government , Harvard University, 2010 Op cit. p.36 Ibidem p.36 32 annoverabili l’aumento dell’occupazione se si pensa che circa mezzo milione di persone 78 traggono il proprio sostentamento dalle diverse fasi del narcotraffico a partire dall’impiego nella fase rurale di produzione fino al settore della sicurezza e dello spaccio: “L’industria del narcotraffico impiega una quantità di lavoratori cinque volte maggiore ad altri settori economici come può essere l’industria del legno e tra le 50 e le 100 mila persone in più rispetto all’industria dei metalli di base”79. Un secondo vantaggio è costituito dagli enormi flussi di denaro che sono generati dal narcotraffico che finiscono in parte in investimenti nel paese e in parte nelle casse private delle banche straniere: investimenti e flussi di denaro che seppur provenienti da attività illecite finiscono con il finanziare la crescita economica del paese. Ma l’industria della droga provoca anche numerosi effetti negativi che si riflettono sui diversi settori economici e che possono essere riassunte nell’aumento della spirale di violenza, nella promozione della corruzione e nella creazione di mercati locali della droga. Limitando l’analisi alla prima esternalità evidenziata, quella della violenza, si nota che le stime dell’impatto negativo in termini di perdita del Prodotto Interno Lordo a causa dei mancati investimenti nel paese variano notevolmente tra di loro: secondo lo studio di Londono e Guerrero (citato nella ricerca di Rios 80) l’utilizzo della violenza nel settore economico ha provocato una perdita del Pil complessivo del 12,3%81. A questa stima si aggiungono le valutazioni più recenti della banca JP Morgan che nel 2009 ha calcolato che l’impatto della violenza in termini di investimenti mancati sul totale del Pil del paese è calcolabile in un percentuale compresa tra l’1 e l’1.5%82. Per mettere in evidenza le dinamiche microeconomiche che spiegano il rapido e intenso sviluppo economico della criminalità organizzata messicana si puo’ applicare lo studio che il docente Rocco Sciarrone ha applicato alle mafie italiane.83 Rispetto ai suoi diretti concorrenti dell’economia legale, la mafia come impresa presenta dei vantaggi competitivi che non possono non essere tenuti in considerazione per un’analisi sulla capacità delle mafie di penetrare nell’economia legale. Innanzitutto l’impresa criminale ha a disposizione lo strumento delle violenza per scoraggiare la concorrenza; puo’ adoperare elasticamente la manodopera senza diritti sindacali, infine ha a 78 79 80 81 82 83 Op. Cit. Ibidem Ibidem I dati sono contenuti nel report “World Bank Report 2004” elaborato dalla Banca Mondiale http://justiceinmexico.org/2011/06/10/jp-morgan-indicates-that-mexico-is-spending-1-to-1-5-of-its-gdp-oninsecurity-measures/ consultato il 27 luglio 2011 Sciarrone R. Mafie vecchie, mafie nuove: radicamento ed espansione, Torino, Donzelli Editore, 1998 33 disposizione un’enorme quantità di liquidità proveniente dai traffici illeciti anche in momenti in cui l’economia versa in condizioni di crisi. Anzi è proprio durante le crisi economiche che le imprese mafiose hanno la possibilità di ampliare il proprio controllo sull’economia: prima offrendosi come gli unici soggetti in grado di prestare, pur facendolo a tassi di usura, somme ingenti a imprenditori che non potrebbero avere accesso al mercato del credito, arrivando a rilevare l’attività imprenditoriale con metodi violenti in caso di mancato pagamento degli interessi. In questo contesto di vantaggi competitivi, l’impresa mafiosa si trova costretta ad affrontare anche dei costi extra rispetto alle aziende legali poiché è soggetta all’economia del rischio dovendo far fronte all’attività di contrasto da parte delle autorità giudiziarie ed essendo costretta ad affrontare la concorrenza violenta delle altre imprese mafiose. Questo quadro suggerito dal professor Rocco Sciarrone in riferimento alle mafie italiane sembrerebbe essere applicabile anche alle dinamiche economiche che muovono i cartelli messicani. 2.5 La colonizzazione criminale dell’immaginario sociale e culturale Dopo aver descritto il fenomeno della penetrazione dei cartelli messicani nel tessuto economico e politico del paese, risulta fondamentale analizzare le modalità e l’intensità con le quali i narcos sono riusciti a guadagnarsi un consenso sociale in ampi settori della popolazione. Secondo Oscar Loza, presidente della commissione dei diritti umani di Sinaloa, il traffico di droga in alcune regioni è diventato un elemento strutturale dell’economia poiché produce benessere e determina dunque uno stile di vita. Il potere dei narcos, sfruttando la grande quantità di denaro liquido a disposizione e il contesto strutturale di uno Stato incapace di sanare gli ampi divari nella distribuzione della ricchezza, è riuscito a colonizzare l’immaginario sociale e culturale della popolazione arrivando in taluni casi a quella definita come “una vera e propria inversione di valori secondo cui il narcotraffico non è percepito come un’attività criminale, ma come un’attività economica come tante altre”84. “Lo Stato deve dare come diritto, ciò che le mafie danno come favore”. Dietro alle parole del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, pronunciate poco prima di essere ucciso dalla mafia nel 1982, 84 Citato in Ravveduto M., “Messico e musiche” in Narcomafie, num.2, febbraio, 2011, p. 50 34 si nasconde una delle dinamiche chiave della penetrazione dei narcos nella società. Di fronte ad una società caratterizzata da una diseguaglianza sociale molto forte, dalla violenza, dalla mancanza di opportunità lavorative e dalla poche opportunità di sviluppo, “delinquere è più redditizio che lavorare.85 Pur non riconoscendo un legame di relazione diretta tra la situazione di povertà e il narcotraffico, il giornalista della Jornada Kraus Arnoldo racconta: “Per chi vive in povertà , il narcotraffico si converte in una forma di vita. Non importa che accanto ai traffici di droga si nasconda la morte. Benvenuta è la morte quando l’obiettivo è annichilire i colpevoli della propria miseria”.86 Il bacino dal quale i narcos possono attingere per creare i propri soldati è dunque rappresentato da quei sette milioni di ragazzi ninis ovvero ni escuela ni trabajo che vedono nel narcotraffico l’unica opportunità di migliorare la propria condizione. Secondo il sociologo Alfredo Rico Chavez (coordinatore di sociologia all’università di Guadalajara), “tutto ciò che è collegato al potere, alla fama è attrattivo per qualunque soggetto e il narco rappresenta oggi una possibilità di scalata sociale e di crescita economica”87. Uno degli esempi più chiari di questo ruolo sociale che i cartelli hanno provato a costruirsi nel corso degli anni è costituito dalla Familia Michoacana. Nell’autunno 2008 la Familia aveva il controllo sul 60% dei municipi statali dove è riuscita a penetrare nella struttura sociale grazie ad un investimento massiccio nella comunicazione della propria immagine. “Oggi la Familia utilizza i proventi derivanti dal narcotraffico per finanziare campagne di assistenza sociale seguendo una mentalità tipica di “Robin Hood”88. Il 22 novembre 2006 hanno pubblicato un annuncio sui giornali nel quale sostenevano di essere dei lavoratori della “Terra caliente” minacciati dal cartello del Milenio. Un messaggio che esprimeva la volontà di porre fine alla situazione di disordine e insicurezza causata dai continui sequestri, estorsioni e traffici di stupefacenti, dichiarando di agire in nome di valori universali e di essere pronti a costruire chiese e scuole per la comunità. La religiosità della Familia è stata proprio uno dei punti centrali sui quali si è concentrata la comunicazione della propria immagine. Una religiosità di facciata che pur basandosi su un rigido codice d’onore che fa propri riferimenti alla Bibbia e all’evangelismo del pastore americano John Eldredge, secondo alcuni antropologi viene utilizzata piuttosto come strumento di organizzazione e disciplina interna nonché di comunicazione verso l’esterno. 85 86 87 88 Rodriguez C. I soldati del crimine in Narcomafie, num.2, febbraio 2011, p.52 Citato in Angelini M., “L’altra faccia del narcotraffico”, in Narcomafie, num.2, febbraio 2011, p.52 Op Cit. p.52 Ibidem p.52 35 Nell’universo dei narcos, l’aspetto comunicativo riveste un ruolo fondamentale per la penetrazione della narcocultura nell’immaginario simbolico e culturale dei messicani. La violenza stessa diventa un mezzo di comunicazione come spiega il responsabile delle autopsie legali nel dipartimento omicidi di Tijuana, Hiram Munoz89. “Ogni mutilazione lancia un messaggio specifico. Se al morto viene tagliata la lingua significa che non ha mantenuto il livello richiesto di sicurezza. Se un uomo ha rubato al suo clan, i narcos gli tagliano un dito. Ma uno dei fenomeni che si sono manifestati più spesso negli ultimi anni è quello della decapitazione che rappresenta una dichiarazione di potere, un avvertimento per tutti, svolgendo così quel ruolo che in passato era affidato all’esecuzione sulla pubblica piazza”90. Se fino a qualche anno fa, i corpi venivano fatti sparire o venivano abbandonati nel deserto, oggi vengono esibiti affinché tutti possano vederli: la violenza dei narcos acquista così una dimensione quotidiana ed entra a far parte della vita dei cittadini del paese. L’altro strumento di comunicazione utilizzato dai cartelli messicani per lanciare messaggi alla società è rappresentato dalle narcomantas ovvero gli striscioni appesi davanti alle abitazioni o al luogo di lavoro delle vittime di intimidazione. Nei soli primi tre mesi del 2009 sono state collocate 530 narcomantas attraverso le quali i gruppi di narcos hanno lanciato messaggi ai propri rivali, alle autorità delle istituzioni di sicurezza e alla società nel suo complesso. A queste cifre va aggiunta la grande capacità da parte dei narcos di monopolizzare i canali dell’informazione ufficiale che, limitandosi alla sola cronaca nera, diffondono su scala maggiore i messaggi dei cartelli dei narcotrafficanti. Nell’ultimo biennio si registra anche una maggiore capacità di penetrazione da parte dei narcos nel mondo del web e dei social network attraverso la pubblicazione di video delle esecuzioni e di siti e blog inneggianti ai narcotrafficanti. Sintomo della capacità di colonizzazione dell’immaginario da parte dei narcos specialmente nelle fasce più deboli e giovani della popolazione, che subiscono un bombardamento quotidiano di messaggi che arrivano ad esaltare il modello del narcotrafficante. “La narco violenza ha invaso la nostra vita quotidiana, ha alterato i nostri costumi più intimi, instaurato un regime di terrore, provocato onde di panico che sono terminati con coprifuochi autoimposti e proposte di sospendere i nostri diritti individuali”. Il processo di aumento della violenza negli ultimi tre anni ha fatto sì che la percezione dell’insicurezza sia in costante aumento nonostante 89 90 Vulliany E., “La guerra del Messico”, in Internazionale, num 778, 16 gennaio 2009, p. 30 Ibidem 36 i dati a livello aggregato mostrano che il numero assoluto dei delitti è diminuito negli anni. Alla penetrazione sociale si affianca così una vera e propria penetrazione culturale che ha portato alla normalizzazione e all’uso quotidiano di termini legati al narcotraffico. Questo ha portato ad una vera e propria colonizzazione del linguaggio che si è arricchito di diversi neologismi per spiegare alcune delle atrocità commesse dai narcotrafficanti. Parole come encajuelado (riferita ai corpi che vengono ritrovati nei bauli delle auto), ejecutado (fucilato), levantado (preso a forza da un auto e fatto scomparire), desintegrado (sciolto nell’acido) o encobijado (cadavere avvolto nella coperta). La conta dei morti viene chiamata ejecutometro, il territorio in disputa las plazas, l’estorsione la quota. La contaminazione del linguaggio quotidiano per la giornalista di Proceso rappresenta un segnale della contaminazione culturale che i narcos sono riusciti ad attuare nel corso degli anni. Una percezione che non è avvenuta solamente sul piano semantico, ma che ha investito anche altri campi come quello musicale. Negli ultimi anni ha preso sempre più piede la musica dei narco corridos, autentici cantori delle gesta dei narcotrafficanti. La prima canzone dedicata al traffico di droga fu composta alla fine degli anni Quaranta da Manuel C. Valdes. Si chiamava Carga Blanca e raccontava le gesta dei trafficanti di eroina. Da quel momento la combinazione della musica tradizionale con la narrazione orale legata al narcotraffico è diventata un mezzo per comunicare e per lanciare messaggi alla società attraverso la produzione di un mito che potesse gareggiare con la narrazione ufficiale offerta dal governo e denota una perdita del monopolio dello Stato. Una tradizione che si è perpetuata fino ad oggi e che ha fatto sì che questo genere musicale possa giungere a milioni di messicani che ascoltano le gesta dei narcotrafficanti con sottofondo della musica tradizionale. Negli ultimi anni, i cartelli della droga sono arrivati a lanciare messaggi rivolti ai propri affiliati attraverso le canzoni che vengono trasmesse dalle radio messicane. Una modalità di azione che sembra ricalcare quelle utilizzate a migliaia di chilometri di distanza dai boss della camorra napoletani che attraverso le canzoni dei cantanti neomelodici hanno creato un sistema di comunicazione cifrato che permette il passaggio di informazioni in totale sicurezza. 37 CAPITOLO 3 LE STRATEGIE ISTITUZIONALI DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA Dopo aver descritto nei due capitoli precedenti i processi con i quali la criminalità organizzata messicana è riuscita a penetrare nel tessuto politico, sociale ed economico messicano, si descrive ora la strategia che a partire dal 2006 il governo messicano di Felipe Calderòn ha seguito per provare a combattere tale fenomeno. All’interno di questo capitolo verranno messe in evidenza le motivazioni che hanno portato al lancio della guerra ai narcos e le conseguenze che questa strategia ha comportato, per poi affrontare alcune delle strategie istituzionali alternative a quella vigente. 3.1 La “guerra ai narcos” di Felipe Calderòn e i danni collaterali Appena undici giorni dopo il suo insediamento a Los Pinos nel dicembre 2006, il presidente Felipe Calderòn non esitò a inaugurare la sua personale strategia di contrasto alla criminalità organizzata che presto iniziò ad essere considerata come una vera e propria guerra ai cartelli. Un termine gravoso quanto scivoloso che sembra rispondere più ad esigenze retoriche e populiste. Secondo le parole del Presidente la “guerra ai narcos si è fondata su una strategia precisa: “La 38ace book está planteada sobre dos horizontes: uno de muy corto plazo que consiste en reposicionar la autoridad y la potestad del Estado mediante la movilización de la fuerza pública y el Ejército”.91 La strategia comportò l’invio al fronte di 90 mila soldati, di 15 mila uomini della marina e di 35 mila poliziotti federali che si ritrovarono a svolgere compiti di gestione dell’ordine pubblico e investigativi senza avere un adeguato addestramento. Una decisione presa con un’eccezionale rapidità che secondo diversi autori, sarebbe una ricerca di legittimazione rapida nei confronti di quei 26 milioni di messicani che non lo hanno votato, provando in questo modo a restaurare la poca credibilità di cui godeva il governo neoeletto di fronte alla società messicana e agli investitori internazionali92. 91 92 Calderòn F., La guerra al crimen organizado, Mèxico D.F, 2010 pp. 17- 18 Lòpez A.I. e Robinson J.F., “El pacto de Fausto. Democracia y drogas en México”, in Foreign Affairs En Español, aprile-giugno 2007, pp. 71-83 consultabile su http://www.seguridadregional-fes.org/upload/3946-001_g.pdf 38 Di fronte ad una controversa elezione, risulta interessante analizzare le motivazioni sulle quali il presidente Calderòn costruì la strategia di comunicazione attorno alla “guerra ai narcos”. Secondo diversi esperti tra i quali César Morales Oyarvide 93 e Jorge Castaneda94, le giustificazioni utilizzate dal governo si basavano su dati e statistiche non veritiere e portarono a effetti opposti a quelli desiderati aggravando così la già critica situazione messicana. Una delle prime giustificazioni addotte dal Presidente riguardava l’allarme per l’aumento del consumo di droga nel Paese. Secondo le dichiarazioni provenienti da Los Pinos, il Messico avrebbe corso il rischio di trasformarsi da un paese di transito a paese di consumo dove la domanda di stupefacenti rappresentava un problema sempre più grave e in costante aumento tra le fasce più giovani della popolazione95. Una preoccupazione ben riassunta dallo slogan “Que la droga no llegue a tus hijos” che sembra voler creare un clima di paura tale da giustificare misure eccezionali. Questo timore in realtà non si è mai dimostrato fondato se si analizzano le statistiche fornite dallo stesso governo in merito al consumo di cocaina tra la popolazione messicana, che appare su livelli notevolmente inferiori rispetto ai tassi di riferimento regionali e internazionali. L’aumento minimo del livello assoluto del consumo di droga appare pertanto insignificante in quanto è da mettere in relazione con il tasso di crescita della popolazione. Pertanto l’allarmismo in materia di consumo di droga non poteva giustificare i drastici provvedimenti messi in atto dal presidente Calderòn. L’altra giustificazione utilizzata dal governo riguardava l’aumento della violenza nel paese. Una tendenza che si verificava solamente negli Stati dove la presenza della criminalità organizzata era più forte e profonda. A livello federale, come abbiamo visto nel capitolo precedente, tra il 1990 e il 2007 il tasso di omicidi nel paese ha mostrato una tendenza decrescente, anzi, come dimostra Fernando Escalante, l’inversione di tale tendenza si è registrata proprio nel biennio 2008-2009, cioè nel periodo immediatamente successivo al lancio della guerra di Calderòn. Quella che è stata presentata come una delle motivazioni principali della strategia di contrasto ai narcos sembra essersi convertita in una delle conseguenze più nefaste della guerra stessa. L’aumento della violenza rappresenta pertanto uno dei danni collaterali più atroci di questa strategia che, basata esclusivamente sull’aspetto repressivo del fenomeno criminale, da un lato ha colpito e disarticolato in parte la rete della criminalità organizzata, ma allo stesso tempo ha lasciato dei vuoti di potere che hanno causato faide interne per la successione e lo sviluppo di organizzazioni più piccole e più 93 94 95 Morales Oyavirde, “El fracaso de una estrategia: una crítica a la guerra contra el narcotráfico en México, sus justificaciones y efectos”, in Nueva Sociedad, num. 231, gennaio-febbraio 2011 Castaneda J. e Aguilar R. Narco la guerra fallida, Punto de Lectura, Mèxico DF.. 2009, p. 41 Op. Cit. 39 violente. Lungi dall’aver fatto recuperare allo Stato il controllo legale dello spazio pubblico, la guerra al narcotraffico ha provocato pertanto una diminuzione della sicurezza e della libertà di transito in aree sempre più ampie. Il processo di espansione dell’influenza dei cartelli messicani sul territorio, come abbiamo visto nel capitolo 2, si è ampliato sempre di più negli ultimi anni e la guerra al narcotraffico ha portato dietro di sé danni collaterali notevoli che hanno avuto ripercussioni sul livello di violenza generale del paese e su tutta la popolazione messicana. Innanzitutto si è verificata una “acutizzazione del problema dell’identificazione”96. Nell’ambito della lotta tra cartelli può accadere che i sicari di un gruppo di fuoco non riescano a distinguere tra amici e nemici mietendo coì vittime tra la popolazione. Nella guerra al crimine organizzato i “soldati” al servizio dei cartelli vengono infatti arruolati tra le fila della popolazione civile e si mimetizzano tra gli abitanti delle città. Un esempio può essere quello degli halcones (falconi), persone incaricate di fare le vedette nelle piazze dello spaccio per avvertire i trafficanti dell’arrivo di forze dell’ordine o dei membri dei cartelli rivali. In questo contesto criminale, dove la linea di confine tra la legalità e l’illegalità diventa sempre più sfumata, diventa difficile per le forze dell’ordine identificare i soggetti da colpire. Pertanto il problema dell’identificazione diventa sempre più difficile da risolvere sia per l’attore criminale sia per le autorità di polizia e il risultato è rappresentato dall’aumento del numero di civili uccisi per errore: “El despliegue de la lucha contra el narcotráfico centrada en el aspecto militar-policial que relega el aspecto económico- patrimonial, las estrategias anticorrupcióny la labor de prevención, ha tenido una serie de consecuencias funestas en términos sociales. Ello ha agravado el problema del narco y la violencia97”. Un’altra conseguenza generata dalla guerra ai narcos e dall’impiego delle Forze Armate nella repressione dei crimini legati al narcotraffico è stata l’indebolimento dell’equilibrio tra le autorità civili e quelle militari. L’utilizzo dell’esercito in sostituzione delle autorità di polizia ritenute più esposte alla corruzione rappresenta un mal remedio che mette in crisi la normale evoluzione degli organi dello Stato e dota le Forze Armate di un potere che potrebbe costituire un rischio per la tenuta dell’ordine democratico. Una preoccupazione che viene evidenziata anche dal ricercatore dell’Unam Pedro Salazar secondo cui questo provvedimento ha messo in crisi la tenuta del sistema 96 97 Guerrero Gutierrez E., La raiz de la violencia , Nexos, 2011 Op Cit. 40 costituzionale messicano poiché l’impiego dell’esercito per le strade sarebbe in contraddizione con quanto predisposto dall’articolo 129 della Costituzione Messicana.98 Tra i danni collaterali di questa guerra vi è infine l’aumento dilagante della corruzione anche nei reparti dell’esercito impiegati nella lotta al narcotraffico. Alla base dell’utilizzo delle forze armate nella lotta al narcotraffico, vi era la motivazione che queste venivano considerate più impermeabili alla corruzione rispetto ai corpi della polizia. Idea presto smentita dai fatti. Basta pensare al caso dei Los Zetas, costituito proprio dai disertori dei gruppi militari di elite, in particolare del Grupo Aeromóvil de Fuerzas Especiales (Gafes). Un fenomeno che dimostra la falsità della convinzione dell’incorruttibilità di un corpo dell’esercito. Nata sulla base di giustificazioni smentite dalle statistiche ufficiali e capace di aggravare il problema dei narcos, la strategia di contrasto alla criminalità organizzata messa in atto dal presidente Calderòn ha portato a risultati ritenuti indifendibili da molti 99. Le principali critiche che vengono imputate alla guerra ai narcos possono essere ricondotte a due categorie generali: l’aver centrato la propria strategia esclusivamente sul lato punitivo e repressivo e l’aver attuato una strategia monodimensionale evitando di affrontare quella complessità e quella multidimensionalità nella sfera economica, politica e sociale che rappresentano le caratteristiche fondamentali del fenomeno narcos. La guerra ai narcos lanciata dal Presidente può essere classificata come una strategia di contrasto alla criminalità organizzata di tipo esclusivamente punitivo diametralmente opposta alla strategia di tipo dissuasivo. Secondo la letteratura, le due strategie presentano alcuni caratteri specifici che possono essere applicati al caso messicano. La prima strategia si concentra nella punizione del maggior numero di criminali mediante la cattura e la detenzione oppure mediante l’eliminazione dei suoi vertici senza considerare il possibile aumento di violenza che queste misure possono provocare. Al contrario una strategia dissuasiva è centrata sull’invio di messaggi alle organizzazioni criminali per disincentivare il comportamento violento e le azioni che hanno maggiori costi in termini di vite umane e benessere sociale. Una seconda differenza tra le due strategie possibili 98 99 Art.129 Constituciòn mexicana (1917) “En tiempo de paz, ninguna autoridad militar puede ejercer más funciones que las que tengan exacta conexión con la disciplina militar. Solamente habrá Comandancias Militares fijas y permanentes en los castillos, fortalezas y almacenes que dependan inmediatamente del Gobierno de la Unión; o en los campamentos, cuarteles o depósitos que, fuera de las poblaciones, estableciere para la estación de las tropas”. Ibidem 41 riguarda la presenza di una gerarchia. In termini generali la strategia punitiva, cercando di colpire il maggior numero di criminali possibile, favorisce un’impunità generalizzata dovuta alla dispersione delle già deboli capacità e possibilità in ambito giudiziario delle quali le autorità inquirenti dispongono. La strategia dissuasiva invece punta a concentrare gli sforzi nel raggiungimento di quelle azioni di tipo repressivo che hanno un forte impatto sul livello sociale e culturale permettendo così ad un sistema penale già in difficoltà di processare con maggior efficienza i casi più urgenti e gravi.100 In conclusione è necessario evidenziare un’ulteriore precisazione: la strategia dissuasiva non implica un patto con le organizzazioni criminali poiché per definizione il patto presuppone l’esistenza di obblighi reciproci per i soggetti che lo sottoscrivono. Una strategia dissuasiva non implica nessun obbligo per lo Stato poiché questo mai rinuncia o compromette alcuna delle sue facoltà. Lo Stato si riserva sempre il diritto di attuare in qualsiasi momento come meglio crede le misure migliori per garantire la sicurezza pubblica. Attuando la strategia dissuasiva, l’attore statale mantiene la piena sovranità sull’esercizio legale della violenza e la amministra in forma strategica per perseguire i delitti secondo una gerarchia di importanza.101 3.2 Da una strategia monodimensionale ad una strategia multidimensionale La seconda grande critica alla strategia messa in atto dal governo Calderòn è rappresentata dall’approccio monodimensionale che essa porta avanti. La criminalità organizzata, come abbiamo descritto nel secondo capitolo, presenta un aspetto multidimensionale ed è riuscita ad affondare i propri tentacoli nel tessuto politico, economico e sociale messicano. Di conseguenza, qualunque strategia che non affronti la complessità di tale fenomeno risulta viziata da una mancanza di fondo che anzi potrebbe portare ad un aggravamento dalla situazione di partenza. Questa sembra essere la dinamica che è avvenuta in Messico negli ultimi cinque anni, dove la strategia basata unicamente sulla dimensione repressiva dei narcos non ha raggiunto gli obiettivi desiderati. Per esplicare questo fenomeno, il professor Buscaglia ha ampliato di nuovi significati il paradosso della punizione attesa evidenziato da Becker nel 1968 e applicato oggi al contrasto della criminalità organizzata messicana. I risultati ottenuti dalle analisi giuridico – metriche di Buscaglia portano alla constatazione che una strategia che fa affidamento sul tradizionale sistema di sanzione legale per fronteggiare la criminalità organizzata (come per esempio l’aumento del numero degli arresti o 100 101 Ibidem Ibidem 42 l’estradizione delle persone fisiche) tende a incentivare i gruppi criminali ad estendere il proprio raggio di corruzione (per proteggere se stessi dall’inasprimento della sanzione attesa) e a incrementare il processo di feudalizzazione dello stato messo in atto dai gruppi criminali per rafforzare le proprie capacità operative sul territorio messicano. Questi risultati inattesi, derivanti dall’applicazione dell’inasprimento della sanzione legale, si verificano nel caso in cui i beni della criminalità organizzata non vengano colpiti dalle attività di intelligence finanziaria. Qualora questi beni non vengano toccati, i gruppi criminali reagiranno aumentando la quota di beni destinati alla corruzione dei livelli di governo per proteggere se stessi e i propri traffici. Questo costituisce il nucleo del paradosso della sanzione legale dove l’inasprimento delle pene per le persone fisiche finisce con il determinare un’espansione delle attività della criminalità organizzata e del livello di corruzione stessa. La strategia del presidente Calderòn rientra così a far parte della casistica descritta dall’analisi di Buscaglia in quanto risulta viziata da una mono dimensionalità di fondo che non affronta il problema della penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico, sociale ed economico del paese. Dopo aver descritto la multidimensionalità della criminalità organizzata messicana e dopo aver constatato il fallimento delle politiche di contrasto fondate esclusivamente sul lato repressivo del fenomeno, è lo stesso professor Edgardo Buscaglia a suggerire la necessità del passaggio da una strategia monodimensionale ad una alternativa che si proponga di affrontare il problema da molteplici angolazioni provando a rispondere specularmente alla multidimensionalità del fenomeno narcos. I pilastri sui quali si basa la strategia multidimensionale sono i seguenti: introduzione di un sistema di controllo del decision – making giudiziario che provochi una riduzione nella frequenza di abusi procedurali e legati all’arbitrarietà; una maggior frequenza di procedure giudiziarie su materiale probatorio fornito dalle agenzie di intelligence atto ad una sistematica confisca dei beni nelle mani dei gruppi criminali e sotto il controllo di uomini d’affari legati alla criminalità organizzata; l’attacco alla corruzione di alto livello. Infine vi è un quarto elemento rappresentato dalle strategie sociali e dal ruolo della società civile organizzata nella lotta ai narcos al quale verrà dedicato il capitolo successivo. 43 Per quanto riguarda il primo punto, il sistema giudiziario messicano presenta numerose critiche. Il sistema di amministrazione di giustizia del paese è poco professionale e inefficace. Soffre di un profondo deficit che condiziona il sistema a tutti i livelli : la dipendenza politica e strutturale della procura della giustizia dai titolari del potere esecutivo alla quale si aggiunge la mancanza dell’obbligo dell’azione penale da parte dei procuratori. Un sistema dove l’arbitrarietà nell’esercizio della giustizia rischia di costituire la prassi. A questo proposito viene ricordato un caso avvenuto nel maggio 2009 quando il governo federale, con un’operazione molto enfatizzata dai media, incarcerò con l’accusa di legami con il narcotraffico alcuni tra i più alti funzionari statali e municipali dello stato del Michoacàn governato dal partito PRD. Furono arrestati un giudice, 17 funzionari governativi e 10 sindaci. Per molti questa iniziativa fu una mossa elettorale del governo federale contro uno dei suoi principali avversari politici. Sensazione confermata nel febbraio 2010 quando i funzionari arrestati sono stati rilasciati per insufficienza di prove. L’inesistenza di un Servicio Profesional Ministerial in parte si spiega con la profonda sfiducia che hanno i funzionari delle procure della giustizia. Detta sfiducia è condivisa dalla cittadinanza e dagli stessi attori politici. Nel 2008 è stata approvata un’importante riforma costituzionale in materia di giustizia con la quale si contemplava finalmente, grazie all’articolo 21, la creazione di un sistema nazionale di sicurezza pubblica. Ma all’interno del medesimo testo di legge, è stato stabilito che, qualora un membro del servizio della procura della giustizia, dopo essere stato rimosso da un incarico per un atto disonesto, riuscisse a dimostrare che il licenziamento era ingiustificato, lo Stato è obbligato a indennizzarlo economicamente senza però avere l’obbligo di reintegro. Il risultato è una riforma costituzionale che diversi esperti di diritto hanno classificato come schizofrenica perché presenta aspetti in contrasto tra di loro tra cui il principio di presunzione di innocenza e la custodia cautelare per ottanta giorni in caso di criminalità organizzata. Il secondo punto affrontato da Buscaglia dimostra che l’impatto positivo dei processi e l’efficacia delle misure cautelari dipende non tanto dall’incarceramento delle persone quanto dalla distruzione della funzione di produzione della criminalità organizzata attraverso la confisca dei beni, che riduce l’ammontare netto della ricchezza destinato alla corruzione del settore pubblico per mettere in atto il processo di feudalizzazione dello Stato che è stato analizzato nel capitolo precedente. Risulta difficile quantificare l’impegno dell’attore statale in questa direzione a causa della mancanza di dati statistici. Non esiste una ricostruzione ufficiale dei sequestri effettuati e quando il settimanale d’inchiesta Proceso ha provato nel maggio 2010 a esplorare il tema nel dossier 44 “Narcolavado, otra guerra perdida”102 ha inizialmente ricevuto il rifiuto di accesso alle informazioni da parte delle autorità competenti. I dati che vengono citati nell’articolo arrivano pertanto dall’Istituto Federale di Accesso alle Informazioni che ha accolto la loro richiesta fornendo i dati utili per tracciare una panoramica della situazione. Nei sei anni di presidenza Fox (2000-2006) sono stati sequestrati 59.298 beni per un totale di 676 milioni di pesos. Nei tre anni successivi caratterizzati dalla guerra al narcos lanciata dal presidente Felipe Calderòn, 10.572 beni per un totale di appena 185 milioni di pesos, una cifra che non raggiunge neanche il 7% del patrimonio del Chapo Guzman. Le cifre a livello assoluto sembrano così confermare un indebolimento nel campo del sequestro dei beni durante il sexenio di Calderòn che sembra aver concentrato la propria strategia repressiva dell’aspetto criminale del fenomeno a discapito della dimensione economica, ritenuta invece di fondamentale importanza dalla Convenzione di Palermo103. Il terzo rimedio suggerito da Buscaglia è la lotta alla corruzione di alto livello. Tra gli effetti collaterali del processo di transizione democratica che si è verificato nelle ultime due decadi è da annoverare una maggiore corruzione nei diversi livelli del potere politico. 104 Il Messico di oggi è percepito come un paese più corrotto di dieci anni fa. Se si guarda l’Índice de Percepción de la Corrupción de Transparencia Internacional si nota che se nel 2000 l’indice registrava un tasso di 3.3 in una scala da 1 a 10 (dove l’indice 1 rappresenta il livello di corruzione più elevato), dieci anni più tardi il tasso aumentava di due decimi collocandosi al 98° posto su 178 nella classifica a livello mondiale.105 Dieci anni più tardi, Transparencia Mexicana ha stimato che nel 2010 si sono registrati 200 milioni di atti di corruzione nella pubblica amministrazione. Una cifra in leggero aumento rispetto al 2007 quando lo stesso indice si era fermato a quota 197 milioni, ma in lieve diminuzione rispetto a dieci anni prima, quando la cifra si attestata sui 214 milioni. Scendendo poi dai dati a livello federale a quelli statali, si riescono a distinguere l’andamento di tali indici a secondo dallo stato preso in considerazione. Tra gli stati che hanno fatto registrare una diminuzione del livello di corruzione del potere politico si possono inserire la Baja California del Sur, Yucatan, Durango e Morelos, mentre nell’insieme degli stati che hanno visto un aumento del livello di corruzione rientrano Guerrero, Hidalgo, Colima e Oaxaca. 102 103 104 105 Dávila P., “Narcolavado, otra guerra perdida”, in Proceso , num. 1748, ,2010 La Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale è stata firmata da 121 paesi nel dicembre 2000 Ugalde L.C., “Nueva y vieja corrupción”, in Nexos, luglio 2011, consultabile su http://www.nexos.com.mx/? P=leerarticulo&Article=2099373 Ibidem 45 Il processo di transizione democratica sembra dunque non aver apportato grandi benefici alla lotta contro la corruzione anzi in alcuni casi ha avuto un effetto contrario. Le motivazioni di questo fenomeno sono spiegate da Luis Agarte attraverso l’acronimo FLIME: Frammentazione, Liquidità, Impunità, Media e Imprese. Nell’ambito di questo paragrafo verrà approfondito solamente il primo degli elementi che si ricollega al medesimo processo di disgregazione del sistema politico e del partito egemonico ampiamente descritto nei paragrafi precedenti. Se nel XX secolo la corruzione era il risultato della concentrazione del potere nella presidenza, la corruzione dell’inizio del XXI secolo è il frutto del processo di dispersione del potere dal vertice di Los Pinos e del Pri in un contesto pluripartitico e di competizione elettorale. A partire dal 2000, “il vero problema è che i nodi della corruzione si sono moltiplicati. Non c’è più un presidente discrezionale, ma 32 governatori con molti soldi e senza contrappesi politici” 106. Di conseguenza si è instaurato un sistema di corruzione competitiva che è alimentata dal costo crescente per la competizione elettorale. È proprio da questo livello che spesso ha origine il ciclo della corruzione: l’attore criminale inizia con il finanziamento delle campagne elettorali a livello municipale e vincola i candidati, una volta eletti ad un posto di governo, a rispettare gli accordi e i patti stretti al momento del finanziamento illegittimo. Un meccanismo che avviene sempre più spesso sia a livello municipale sia a livello statale reso possibile da due condizioni: la presenza di un sistema giudiziario che lascia ampi spazi all’impunità e una grande liquidità di denaro. Ed è proprio questa una delle caratteristiche che contraddistingue la criminalità organizzata, che grazie al mercato internazionale di stupefacenti che non conosce mai crisi ha a disposizione enormi quantità di denaro liquido pronto per essere utilizzato all’occorrenza sia nel settore economico, per riciclare in investimenti legali, sia nel campo politico, per guadagnarsi la complicità dei futuri amministratori pubblici. Una situazione che secondo le stime della Banca Mondiale nel 2010 è costata al Messico una perdita di oltre sessanta miliardi di dollari all’anno, una cifra che equivale al 9% del Pil.107 106 107 Ibidem http://www.elpuntocritico.com/politica-nacional/13326-corrupcion-cuesta-60-mil-mdd.html consultato il 29 luglio 2011 46 CAPITOLO 4 LE ESPERIENZE DI STRATEGIE SOCIALI E CULTURALI DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA L’efficacia della lotta alla criminalità organizzata dovrebbe dipendere dalla partecipazione e dal coinvolgimento di tutti gli attori che partecipano alla vita pubblica dello Stato. Le strategie istituzionali a disposizione dell’attore statale dovrebbero essere accompagnate, o in taluni casi stimolate, da una domanda di giustizia sociale portata avanti dalla società civile organizzata. Negli ultimi anni l’elevata violenza e il clima di intimidazione nei confronti di quei soggetti sociali che hanno provato a reagire ai soprusi dei narcos sembrano aver paralizzato la capacità di indignazione dei cittadini. Se fino ad oggi le proteste della società civile contro la violenza sono state tenui, questa tendenza sembrerebbe essersi invertita. Lo testimoniano le migliaia di cittadini e di famigliari delle vittime dei narcos che negli ultimi mesi hanno marciato per le strade del paese al grido di Estamos hasta la madre per protestare contro la violenza della criminalità organizzata. Lo testimoniano, come vedremo nelle pagine successive, la nascita e il consolidamento di alcune esperienze associative che sono riuscite nel corso degli anni a rompere il velo del silenzio e dell’omertà e hanno iniziato a lottare in prima linea contro il sistema di potere dei narcotrafficanti agendo prima di tutto sul piano sociale provando a costruire dal basso un modello di società alternativo a quello dei narcos. Movimenti e reti sociali che hanno organizzato e strutturato la propria indignazione trasformandola in strategia dissuasiva per minare il potere dei narcos nella società. Le esperienze descritte di seguito sono riconducibili a contesti e aree di rifermento differenti. La Red por la Paz è nata nella città di Cuernavaca su iniziativa del poeta Javier Sicilia, ma in pochi mesi è arrivata a coinvolgere i famigliari delle vittime dei narcos in tutto il territorio messicano. L’associazione Cauce Ciudadanos nelle periferie di Città del Messico lavora nella conversione dei pandilleros alla nonviolenza, la rete di Nuestra Hijas de Regreso a Casa a Ciudad Juarez riunisce le madri e i famigliari delle vittime del femminicidio di Città del Messico e infine i Periodistas de a Piè sono una rete di autodifesa e di tutela dei giornalisti di grandi e piccoli quotidiani messicani. Quattro esperienze che seppur embrionali rispetto alla potenza di fuoco dei narcos hanno saputo praticare il cambiamento nel proprio contesto di riferimento. 47 4.1 Dalla memoria all’impegno: la Red por la Paz di Javier Sicilia El mundo ya no es digno de la palabra nos la ahogaron adentro como te asfixiaron como te desgarraron a ti los pulmones y el dolor no se me aparta sólo queda un mundo. Por el silencio de los justos sólo por tu silencio y por mi silencio, Juanelo el mundo ya no es digno de la palabra, es mi último poema, no puedo escribir más poesía... la poesía ya no existe en mí.” È questo l’ultimo verso che il poeta messicano Javier Sicilia ha dedicato al proprio figlio Juan Francisco assassinato barbaramente da sicari appartenenti al gruppo criminale Pacifico Sur. Il 27 marzo 2011 hanno fatto irruzione in un bar di Cuernavaca, capitale dello stato di Morelos, e hanno ucciso una mezza dozzina di giovani tra cui il figlio del poeta. Un omicidio che ha portato ad un processo di elaborazione del lutto collettivo culminato nella costituzione della Red por la Paz, una rete sociale che riunisce diversi soggetti appartenenti alla società civile che hanno deciso di ribellarsi al potere dei narcos. Il principale artefice della nascita della rete è stato Javier Sicilia, uno dei poeti più importanti del paese, insignito nel 2009 del premio Aguascalientes. La produzione poetica di Sicilia si è interrotta drammaticamente nel marzo scorso in seguito all’assassinio del proprio figlio. Un fatto che ha sconvolto il poeta fino al punto di decidere di non scrivere più. L’elaborazione del lutto nel privato è una dinamica che si verifica spesso nei casi di assassini per mano della criminalità organizzata. Il senso d’impotenza di fronte al clima generale di impunità e alla paura della vendetta da parte dei narcos paralizza anche la sola la capacità di parlare e di denunciare la violenza subita. Al contrario l’elaborazione del lutto collettivo, che si traduce nella scelta della parola, diventa un vero e proprio atto politico: «Dopo un primo momento dove ho pensato di voler smettere di scrivere – ha raccontato Javier Sicilia all’inviato del Corriere della Sera Ettore Mo - poi gradualmente mi sono ripreso e ho pensato che sarebbe stato più utile svolgere un’attività che richiamasse 48 l’attenzione della gente sui problemi concreti: come il livello d’impunità, spaventoso, la corruzione dilagante nell’amministrazione e nella polizia, l’incontenibilità del narcotraffico che in quattro anni ha fatto più di 40 mila morti, per lo più civili innocenti108». Javier Sicilia ha maturato così la convinzione di iniziare a lanciare pubblicamente un appello di indignazione ben espresso nello slogan Estamos hasta la madre che presto è stato accolto dalle associazioni, dai giovani e dagli studenti di tutto il paese. Il mezzo di comunicazione privilegiato è rappresentato dal web e dal mondo dei social network. Nelle università del paese iniziavano a svolgersi assemblee dove Sicilia ed altri famigliari di vittime della violenza dei narcos raccontavano pubblicamente le loro storie. L’esposizione pubblica di Sicilia ha dunque avuto un effetto moltiplicatore in tutto il paese e ha favorito la testimonianza di diversi famigliari di vittime che fino a quel momento si erano chiusi nel dolore privato. Nel corso delle settimane, le diverse voci hanno iniziato ad organizzarsi in rete per provare a canalizzare questa indignazione spontanea in una domanda collettiva di giustizia e verità per le vittime causate dall’azione dei narcos. Di fronte ad un paese immerso in un clima di violenza generalizzata e dove lo Stato stesso non ha esitato ad usare lo stesso mezzo contro la criminalità organizzata, la scommessa della rete è proprio quella della nonviolenza. «E infatti – ha riconosciuto il poeta – in questa nostra lotta per la pace sono molti gli elementi gandhiani che ci fanno da guida». Uno degli strumenti principali che la rete ha utilizzato per promuovere la propria immagine è rappresentata dalle marchas, delle vere e proprie carovane che hanno attraversato il paese spargendo il grido di indignazione a partire dalle zone periferiche della federazione più colpite dalla violenza dei narcos fino ad arrivare al cuore del potere politico: lo zòcalo di Città del Messico. La prima di queste iniziative si è svolta nel corso della primavera di quest’anno: il 5 maggio un migliaio di cittadini si è dato appuntamento nel luogo dove è stato assassinato il figlio del poeta Sicilia, nella città di Cuernavaca, per marciare in silenzio verso la capitale. Nei quattro giorni di marcia, la carovana ha saputo far conoscere al mondo le storie delle vittime dei narcos, ma soprattutto è riuscita ad ascoltare e raccogliere tanti altri famigliari incontrati lungo il suo percorso. Il risultato è stato un vero e proprio fiume in piena che si è ingrossato arrivando a sfondare il muro di silenzio imposto dai media ufficiali e portando l’8 di maggio oltre duecentomila persone a protestare nello zòcalo di Città del Messico. Una moltitudine di padri e madri, figli e parenti delle oltre 40 mila vittime della guerra al narcotraffico lanciata dal presidente Felipe Calderón; ma anche 108 Intervista realizzata dall'inviato Ettore Mo pubblicata il 29 agosto 2011 sul Corriere della Sera 49 migliaia tra i militanti delle diverse organizzazioni sociali messicane, giovani, studenti, artisti, migranti, indigeni e molti altri ancora. Poche volte nella storia dei movimenti sociali messicani si è avuta la possibilità di osservare i contadini di Atenco assieme alle associazioni di migranti, agli studenti riuniti nell’Assemblea dei Giovani in Emergenza Nazionale, agli indigeni del Municipio Autonomo di San Juan Copala, ai membri della Polizia Comunitaria della Montagna di Guerrero, ai genitori del Movimento 5 Giugno, alle famiglie delle vittime del femminicidio di Ciudad Juarez insieme ad artisti ed intellettuali di diversa provenienza e insieme alle anime democratiche della Chiesa oltre a migliaia di cittadini comuni messicani che hanno raccolto l’appello di Sicilia scendendo in piazza. Ma l’8 di maggio non è rimasto un evento isolato, ed è anzi considerato come il punto di partenza del lavoro della rete che nel frattempo è riuscita a espandere i propri nuclei su tutto il territorio messicano iniziando ad esercitare pressione sulle istituzioni locali. Neanche un mese dopo la marcia è proprio Città del Messico a rappresentare il punto di partenza della seconda carovana organizzata dalla rete, che dopo aver percorso oltre duemila chilometri è arrivata fino alla città più pericolosa al mondo: Ciudad Juarez. Un percorso lungo durato più di una settimana che ha toccato quei “punti del dolore”, ovvero le zone più colpite dalla criminalità organizzata, rompendo il muro di silenzio e di omertà che impediva il cammino verso la giustizia per i tanti famigliari delle vittime. Ma questa seconda carovana è riuscita a coinvolgere anche le associazioni statunitensi che dall’altra parte della frontiera provano a fronteggiare il problema dei narcos. Le organizzazioni della società civile americana hanno raccolto l’appello dei messicani alla corresponsabilità per far fronte alla rottura del tessuto sociale causato dall’aumento della violenza dei narcos. L’iniziativa è risultata vincente grazie alla capacità di offrire una narrazione polifonica e istantanea e alle possibilità offerte dal web 2.0. Decine e decine di web radio e web tv hanno infatti raccontato in diretta sul web le diverse tappe della carovana e le diverse storie dei famigliari di vittime riuscendo a bucare il duopolio televisivo del paese facendo conoscere al mondo la reazione d’orgoglio della società civile messicana. A circa un mese dalla partenza della prima carovana, la Red por la Paz ha saputo rilanciare la propria esperienza con una seconda marcha partita all’inizio di giugno da Città del Messico e che è riuscita ad arrivare fino a Ciudad Juarez. Un’iniziativa che rispetto a quella precedente presentava un obiettivo più ambizioso: la stipulazione di un patto tra i diversi soggetti che componevano la rete che contenesse le richieste della società civile al governo messicano. 50 La proposta si è tradotta nel Patto Nazionale che prima di tutto ha rivolto un appello alla società civile stessa, chiamata a restituire la memoria a quei 40 mila morti e a fare uno sforzo di pressione perché tutti quei casi ancora irrisolti siano finalmente chiariti dalle autorità competenti. È stato poi richiesto un cambiamento di visione in materia di pubblica sicurezza. La militarizzazione del paese non ha comportato solamente l’invio di 90 mila soldati sulle strade del paese, ma ha messo a rischio l’equilibrio costituzionale dei rapporti tra autorità civili e militari dato che 500 militari attualmente hanno la licenza di assumere ruoli di comando all’interno delle diverse polizie locali del paese. Un altro punto del patto ha riguardato la nuova proposta di Legge di Sicurezza Nazionale che darebbe facoltà al presidente di imporre lo stato d’eccezione e di utilizzare l’esercito contro ogni movimento che metta in pericolo la stabilità dello Stato. Il Patto Nazionale ha espresso l’intenzione di combattere a fondo la corruzione diffusa in seno ai partiti ed al sistema politico restituendo autonomia al potere giudiziario ed ha richiesto al Congresso l’eliminazione dell’immunità parlamentare entro i prossimi sei mesi. Il documento ha chiesto anche di attaccare realmente la florida economia del narcotraffico e di stabilire politiche precise e verificabili in favore dei giovani che attualmente in Messico non hanno alcuna opportunità se non quella di arruolamento nelle fila dell’esercito o dei narcos. A sei mesi dalla costituzione della Red por la Paz è possibile tracciare un sintetico bilancio degli obiettivi raggiunti e dell’efficacia dell’azione. Tra i risultati ottenuti dalla rete risulta fondamentale il lavoro di raccolta, conoscenza e comunicazione delle storie, sino ad oggi dimenticate, dei famigliari delle vittime dei narcos. Un processo di elaborazione del lutto collettivo e di memoria che risulta un vero e proprio atto politico, al contrario del mero ricordo personale, e che si è tradotto in una domanda sociale di giustizia e verità che ha provato a dialogare e a fare pressioni sulle istituzioni per generare un cambiamento a livello strutturale. Nel corso dei mesi la rete ha infatti saputo costruirsi un’immagine forte e una credibilità tale da essere riconosciuta dal potere ufficiale. Lo testimonia l’incontro avvenuto tra il Presidente Calderòn e una delegazione della Red por la Paz, per discutere della violenza, del narcotraffico, delle migliaia di morti di innocenti. Occorre tuttavia far notare che l’incontro non ha portato ad un cambiamento nella strategia di contrasto alla criminalità organizzata, ma ha evidenziato la disponibilità del Presidente ad avviare altre conversazioni con le parti sociali per rivedere l’agenda della lotta alla delinquenza e adattarla, laddove sia possibile, alle esigenze popolari. In attesa di conoscere gli esiti di questo dialogo nei prossimi mesi, la rete di Sicilia sta continuando a portare avanti il lavoro di raccolta e di conoscenza delle storie dei famigliari delle vittime 51 attraverso le carovane che nel settembre 2011 hanno attraversato la zona meridionale del paese. In un paese dove le autorità tendono a dimenticare in fretta le vittime della criminalità organizzata, la memoria appare come atto di resistenza solamente se si riesce a tradurre in impegno concreto per cambiare la situazione. Un processo che la Red por la Paz con Justicia y Dignidad sta portando avanti in questi mesi. 4.2 Cauce Ciudadanos: i canali dell’alternativa Carlos Alberto Cruz ha 35 anni e dal 2005 presiede Cauce Ciudadanos, un’organizzazione nata undici anni fa per il reinserimento sociale, lavorativo ed educativo dei tanti giovani pandilleros che popolano le strade delle periferie di Città del Messico. Qui, tra gli antichi canali bonificati che oggi ospitano i quartieri periferici della megalopoli, vivono per lo più i giovani della generazione ninis109 e si registrano i tassi di violenza più alti. Tra i palazzi costruiti in seguito alla speculazione edilizia, la violenza rappresenta l’unica via di socializzazione. Il sopruso e la sopraffazione sono gli strumenti che accompagnano l’adolescenza di quei tanti ragazzi che costituiscono il bacino privilegiato dal quale attingono i cartelli della droga messicani. La rottura di questo circolo vizioso è legata necessariamente all’offerta di opportunità di socializzazione alternative. Questo è l’impegno che Cauce Ciudadanos porta avanti quotidianamente a Città del Messico lavorando non solo con le vittime della violenza, ma soprattutto con chi non esita ad esercitare quella violenza. Ed è proprio il lavoro con i carnefici che rappresenta il tratto distintivo del lavoro di Carlos Alberto Cruz. Un’intuizione che sembra essersi sviluppata a partire dalla sua esperienza personale. Carlos è nato a Città del Messico da una famiglia di migranti dello stato del Chiapas. Fin dall’adolescenza, ha dovuto sopportare violenze e abusi commessi dalla propria famiglia. Così, come accade a tanti giovani nella sua condizione, non ha esitato a utilizzare lo strumento della violenza poiché pareva l’unica arma per risolvere i suoi disagi. Questa spirale violenta si alimenta negli anni della scuola superiore, dove fin dall’inizio si trova a dover subire rapine e altri atti di violenza. L’unico rimedio per uscire dalla condizione di vittima risulta entrare a far parte di quello stesso universo violento che fino a poco tempo prima lo aveva colpito. Carlos diventa pertanto un membro di una delle gang più importanti del distretto. Da quel momento Carlos gode della protezione del clan in cui ha militato per molti anni e con il quale è 109 Si intende Ni Escuela, ni trabajo ovvero quella fascia di adolescenti che non frequentano la scuola e non hanno un impiego 52 stato protagonista di diversi atti violenti. Ha conosciuto diverse volte l’esperienza del carcere, dove è stato picchiato: situazione che ha aumentato la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta. La vita di Carlos è cambiata drasticamente quando è stato colpito da un proiettile all’anca. Durante il periodo di degenza a casa di un amico a Veracruz ebbe tempo di riflettere sulla sua esperienza di vita, breve, ma intensa, arrivando a constatare l’inutilità della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti. Dopo la guarigione, Carlos ha messo in pratica gli impegni assunti con se stesso terminando gli studi e tornando a Città del Messico. Qui ha iniziato ad impegnarsi per favorire un lungo processo di mediazione e di alleanza pacifica tra i leader delle gang delle diverse scuole della città per provare a fermare la spirale di violenza. Un processo difficile e tortuoso poiché i diversi leader non hanno esitato a usare il denaro per reprimere il movimento. L’esperienza personale di Carlos come membro di una gang ha giocato un ruolo fondamentale nel suo lavoro di prevenzione della violenza. La sua capacità di empatia e di immedesimazione nella figura del carnefice, e non solo della vittima, gli ha permesso di riuscire a identificare i nodi che possono ispirare il cambiamento nella mentalità del pandillero. Inoltre la storia personale di Carlos rappresenta un vero e proprio esempio di cambiamento e trasformazione concreto per le migliaia di giovani pandilleros che si imbattono nelle attività di Cauce Ciudadanos110. A partire dall’esperienza del suo fondatore, il tentativo dell’associazione è quello di lavorare in particolar modo con i leaders delle bande giovanili. Questo tipo di soggetti che in molti casi ha già sperimentato la dura esperienza del carcere è disposta ad un cambiamento radicale del proprio stile di vita qualora venga offerta loro un’alternativa e qualora questo cambiamento riesca ad avvenire, essi, grazie al carisma di cui godono, rappresentano un modello di cambiamento potenzialmente di grande efficacia nella promozione della cultura della nonviolenza. La strategia dunque è volta alla creazione della “prima generazione di giovani pandilleros promotori di pace e di diritti umani”111. Ma il processo non è stato facile e lineare: inizialmente Carlos si metteva a cercare e a selezionare i leader giovanili violenti delle gang con i quali credeva di poter venire a patti. Quelli che erano più propensi ad ascoltare le sue idee e che spesso si potevano identificare con la storia personale di Carlos sarebbero diventati i promotori più efficaci della cultura della nonviolenza. Infatti Cauce spesso prendeva la responsabilità di pagare la cauzione quando le famiglie non potevano farlo, utilizzando questa situazione come un’opportunità per avvicinare i leaders delle gang in un momento delicato di transizione, provando a metterli sul cammino dei programmi di recupero. 110 111 http://www.ashoka.org/node/3674 consultato il 1 agosto 2011 http://www.ekoos.org/es/bloog/post/?id=527 consultato il 30 luglio 2011 53 In altri casi il lavoro di Cauce è stato fatto direttamente dentro le scuole dove insieme alle autorità scolastiche e ai maestri vengono identificati coloro che giocano un ruolo importante nelle gang. Per raggiungere questo obiettivo di lungo periodo, l’organizzazione si è prefissata i seguenti obiettivi intermedi, raggiungibili grazie al lavoro svolto quotidianamente sulle strade dei quartieri più disagiati di Città del Messico: fortificazione dei fattori protettivi ed eliminazione dei fattori di rischio incoraggiando stili di vita salubri per una vita piena e senza violenza; promozione e sviluppo di una metodologia di lavoro volta a rinforzare le capacità dei giovani a rischio; reinserimento sociale e trasformazione in unità sociali positive delle bande giovanili e delle pandillas; reinserimento scolastico dei giovani che hanno abbandonato il percorso di studi; rinforzo e promozione del protagonismo sociale giovanile. Teatro dell’azione dei ragazzi è il Cauce Community Center, uno spazio fisico gestito dall’associazione dove i ragazzi hanno l’opportunità di conoscere le attività portate avanti. Tra queste ci sono i lavori e i programmi per combattere la dipendenza da stupefacenti e per prevenire i comportamenti pericolosi. I medici risolvono i problemi di salute più gravi e imminenti e sviluppano piani a lungo termine per favorire stili di vita salutari. Gli psicologi fanno terapie individuali o di gruppo per i problemi di autostima e provano a far guarire i danni emotivi derivanti dalla lunga esposizione alla violenza. Ma la cosa più importante è che i giovani possono confrontarsi con gli ex leaders delle gang come Carlos e tanti altri che egli è riuscito a reclutare, per imparare da loro le storie di tragedia e recupero. Infine un’altra peculiarità del lavoro di Cauce Ciudadanos, è rappresentata dal lavoro continuo di coinvolgimento delle famiglie che spesso vengono rese partecipi di attività terapeutiche dal carattere psicologico collettivo. Carlos riconosce che il comportamento violento è spesso derivato dal contesto dal quale proviene il soggetto e il lavoro con le famiglie può aiutare a prevenire questo disagio. Un ruolo fondamentale è giocato dall’educazione all’uso responsabile delle Nuove Tecnologie dell’Informazione. L’obiettivo è quello di stimolare la nascita di un libero spazio di espressione per i giovani del quartiere attraverso il linguaggio radiofonico e quello video – artistico. Un percorso che parte dalla conoscenza e dall’apprendimento delle tecniche dell’informazione grazie a workshop sull’utilizzo consapevole di internet, sulle tecniche di ripresa video, di montaggio e di post produzione. Una volta acquisite le basi che permettono di padroneggiare questi strumenti si passa alla fase della costruzione di una narrazione alternativa. Il lavoro passa dunque dalla tecnica allo sviluppo di capacità critica di pensiero e di espressione. Nascono così le esperienze della web radio Sextumismo gestita dai ragazzi del centro che si fa portavoce delle istanze e dei bisogni dei 54 ragazzi delle periferie. Un’autentica oasi di libertà di espressione nel deserto dei canali dell’ informazione ufficiale che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, appare dominata dai grandi colossi economici. Un sistema che, grazie alle possibilità offerte dal web 2.0, è possibile scardinare dal basso offrendo la possibilità di narrazioni alternative che raccontino anche le reali esigenze della popolazione giovanile che vive nelle aree più disagiate. Ma l’impegno di Cauce Ciudadanos si traduce anche nella creazione di nuove opportunità di lavoro per i giovani che hanno terminato o abbandonato il proprio percorso di studi e sono destinati a finire nella massa dei ninis. Il centro prevede numerosi corsi di avviamento al lavoro che favoriscono la ricerca di sbocchi occupazionali o si propongono di sviluppare una mentalità imprenditrice di tipo cooperativo e non competitivo che spinga i giovani a mettersi in gioco. Questo tipo di attività risulta fondamentale perché alla base della scelta della violenza spesso vi è proprio l’assenza di opportunità lavorative e la prospettiva di un guadagno facile. Un’attività che va a coprire le carenze del sistema educativo pubblico offrendo ai giovani una seconda chance. La testimonianza migliore di questo processo arriva dalle parole stesse dei ragazzi che sono entrati a far parte dei programmi di Cauce Ciudadanos. Angel aveva abbandonato la scuola: “Perché ho smesso di studiare? Perché non sapevo davvero che fare, non sapevo dove andare e realmente che cosa volevo fare. Quando ho incontrato Cauce Ciudadadanos mi hanno subito chiesto: “Che cosa sai fare?” Io ho risposto: “Non lo so”. Loro hanno insistito e io ho detto: “Poiché talvolta mi mettevo a cucinare quando potevo pur avendo lasciato la scuola preparatoria, mi sarebbe piaciuto iscrivermi ad un corso specializzato in cucina e gastronomia”. Così da quel momento Angel ha iniziato a dare lezioni di cucina internazionale e parla con toni entusiastici dei workshop sulla parità di genere: “Mi sarebbe piaciuto che la scuola secondaria mi avesse offerto l’opportunità di parlare di questi problemi”.112 A undici anni dalla sua nascita il bilancio del lavoro svolto da Cauce Ciudadanos appare positivo, seppur limitato nella sua estensione: il risultato più importante è rappresentato dal prestigio che l’associazione ha saputo costruire attorno a sé, non solo all’interno del quartiere Rio Blanco che lo ha visto nascere, ma in tutta l’area metropolitana. Il primo dato tangibile che testimonia i risultati ottenuti dal lavoro quotidiano è rappresentato dall’espansione delle attività del centro in altri 25 municipi del paese113. Secondo i calcoli di Carlos Cruz, quasi duemila giovani hanno lasciato le 112 113 http://www.elsiglodetorreon.com.mx/noticia/468434.cauce-ciudadano-para-pandilleros-con-valores.html consultato il 1 agosto 2011 Ibidem 55 attività criminali per partecipare alla vita del centro frequentando i corsi e i workshop. Del totale dei ragazzi che hanno condiviso un pezzo della propria vita con il centro si calcola che il 39 % ha ripreso il proprio percorso di studi, abbandonato a causa dell’attività criminale, il 22% ha trovato lavoro, il 34% riesce a coniugare l’attività di studio con quella lavorativa e solamente il 5% non è riuscito a trovare un impiego 114. Cifre che testimoniano la continua espansione che Cauce Ciudadanos ha vissuto nei suoi undici anni di vita e che confermano che il cambiamento è possibile anche attraverso gli strumenti della nonviolenza. 4.3 Le madri di Ciudad Juarez: l’esperienza di Nuestras Hijas de Regreso a Casa “Qualsiasi cosa accadrà alla mia famiglia, a me o alle mie compagne di lotta nei prossimi mesi riterrò come diretto responsabile il governo messicano”115. Queste dure parole sono state pronunciate nel novembre 2010 a Torino da Marisela Ortiz Rivera, fondatrice dell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa che da dieci anni lotta in prima linea contro l’impunità che avvolge il terribile fenomeno del femminicidio di Ciudad Juarez. Solamente quattro mesi più tardi, nel marzo 2011, viene ritrovato davanti alla scuola dove Marisela insegna una narco-manta ovvero uno striscione che minaccia direttamente l’attivista per i diritti umani e il suo figlio maggiore Rawi. Di fronte all’ennesima intimidazione subita, Marisela decide di lasciare il suo paese scappando in esilio forzato negli Stati Uniti dove ad oggi aspetta che la sua richiesta d’asilo venga accettata dagli Stati Uniti. Ma la storia della resistenza di Marisela e delle altre donne di NHRC inizia dieci anni prima nella città più pericolosa al mondo. Lilia Alejandra Garcia Andrade era una ragazza di 17 anni che viveva con i suoi due bambini a Ciudad Juarez. Nel febbraio 2001 viene sequestrata, violentata, torturata e dopo cinque giorni il suo corpo viene ritovato in un campo incolto. Un fenomeno che dal 1993 ad oggi ha coinvolto oltre mille ragazze, la maggior parte delle quali lavorano nelle maquilladoras vicino al confine116. Di fronte all’ennesimo caso di violenza rimasto impunito, questa volta i famigliari e gli amici di Lilia Alejandra decidono di organizzare una serie di proteste pubbliche e di iniziare a denunciare il caso della scomparsa della propria figlia. Tra le protagoniste di questo movimento vi sono Marisela Ortiz Rivera, maestra di Lilia Alejandra, e la madre della ragazza Norma Andrade: “Abbiamo deciso di 114 115 116 Ibidem Intervista a Marisela Ortiz Rivera realizzata a Torino nel novembre 2010 Gonzalez Rodriguez S., Ossa nel deserto, Adelphi, Milano, 2006 56 dire basta al silenzio che avvolgeva la scomparsa delle nostre ragazze attraverso una serie di proteste e denunce pubbliche che ebbero eco tra la società, ma non raggiunsero il livello delle autorità e del governo. Le nostre voci ed i nostri lamenti hanno attratto sempre più famiglie che si sono avvicinate per chiedere appoggio, visto che le autorità non cercano le figlie”117. Nei mesi successivi, le denunce delle sparizioni sono aumentate e i famigliari delle vittime hanno iniziato a guardare al gesto di Marisela e Norma come un modello al quale ispirarsi. La denuncia individuale si è trasformata dunque in denuncia collettiva e ha visto la nascita, nella primavera 2001, dell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa (Le Nostre figlie di ritorno a casa). L’aumento del numero di famiglie che sono entrate a far parte della rete ha fatto sì che la domanda di verità e giustizia per le vittime del femminicidio diventasse sempre più forte ed incisiva. L’associazione NHRC lavora in particolar modo con due tipi di soggetti: da un lato i famigliari delle vittime del femminicidio, dall’altro porta assistenza ai tanti orfani che si trovano da soli dopo l’assassinio delle loro giovani madri. Per quanto riguarda il lavoro svolto con i famigliari, non a caso l’associazione nasce proprio dall’esperienza diretta di chi, dopo aver provato sulla propria pelle il processo di elaborazione del lutto, è riuscito a trasformarlo in un fenomeno collettivo da condividere con altre persone che hanno vissuto la stessa esperienza e dunque a convertirlo in strumento di denuncia collettiva. Le storie di Norma Andrade e di Marisela Ortiz hanno funzionato da modello per tante altre madri e famigliari di vittime che hanno preferito la parola al silenzio. Il terribile fenomeno del femminicidio di Ciudad Juarez non uccide solamente le giovani madri, ma lascia sul campo di battaglia anche un’altra categoria di persone: sono gli oltre diecimila orfani che si trovano senza la propria madre e senza alcun tipo di assistenza per le strade di Ciudad Juarez 118. Qui, nella città al confine con gli Stati Uniti, né la municipalità né le autorità statali si prendono cura di questi minori anche quando è evidente che hanno perso i loro diritti fondamentali nel momento in cui la loro madre è stata assassinata. Secondo la testimonianza di NHRC la maggior parte delle famiglie di Ciudad Juarez è formata solamente da un genitore, spesso di genere femminile, che grazie allo sfruttamento subito nelle maquilladoras rappresenta l’unica fonte di sostegno per l’intera famiglia. Non basta il fatto che alcune di loro fossero registrate presso il sistema di previdenza sociale a garantire un sussidio ai loro figli per il soddisfacimento dei bisogni primari di sopravvivenza se si pensa che l’aiuto si attesta sui 150 pesos (circa 10 euro) per ogni figlio. Ma nella maggior parte delle situazioni le donne assassinate non avevano un contratto 117 118 http://www.mujeresdejuarez.org/versionitaliano.htm consultato il 30 luglio 2011 Intervista a Marisela Ortiz Rivera realizzata a Torino nel novembre 2010 57 regolare, facendo parte dell’immensa schiera di impiegati nel settore informale senza alcun diritto di sussistenza e di aiuto per i figli. A causa dell’impossibilità di sostenere economicamente i figli delle giovani madri assassinate, le famiglie sono state costrette a cedere la patria potestà dei bambini o a separarsi da essi. In alcuni casi poi, le nonne dei figli sono costrette a ritornare a lavorare nelle maquilladoras per poter sostenere economicamente gli orfani. Ma non è solo il sostegno economico a rappresentare un grave problema per gli orfani di Ciudad Juarez, ma anche quello medico e psicologico. Gli effetti del trauma derivante dalla perdita violenta della propria madre possono manifestarsi per anni se non vengono curati con le adeguate terapie mediche e psicologiche. “Possiamo testimoniare alcuni casi particolarmente gravi come quello dei figli di Lorenza Isela González (uno dei quali vive attualmente per strada), la figlia di Perla Patricia Sáenz Dìaz (che ha tentato il suicidio); i figli di Silvia Arce (uno dei quali è sotto la tutela del tribunale dei minori, mentre l’altro si trova negli Stati Uniti con persone amiche della famiglia); i figli di Alejandra García, affidati alla nonna (malata e il cui marito morì a causa di un cancro un anno fa) e sofferenti di disturbi che attribuivamo solo all’età adulta, come l’emicrania; i tre figli di Rebeca Contreras (separati e con mille bisogni); i due figli di Erica Pérez Escobedo, affidati alla nonna materna, spesso malata, che deve compiere enormi sacrifici per sostenerli mentre lotta contemporaneamente affinché le autorità riconoscano che sua figlia venne assassinata e non morì per overdose come invece affermarono”119. Sono queste alcune delle storie delle vittime indirette del femminicidio di Ciudad Juarez rese pubbliche grazie al percorso di denuncia delle loro famiglie stimolate dal lavoro quotidiano delle madri di NHRC. Il primo passo nell’impegno dell’associazione è rappresentato proprio dalla raccolta delle storie dei famigliari di vittime che spesso preferiscono rinchiudersi nel dolore personale di fronte ad un clima di impunità generale che tende a scoraggiare la denuncia. Delle oltre mille vittime che si sono registrate dal 1993 ad oggi, solamente una minima parte è riuscita ad avere giustizia attraverso processi che si sono conclusi con l’accertamento e l’incarcerazione dei colpevoli. La lotta delle madri di NHRC è dunque contro il clima di impunità diffusa che in questi anni ha avvolto il fenomeno del femminicidio. Un’atmosfera nella quale le autorità e i diversi gradi di governo dovrebbero assumersi la responsabilità, in quanto tali crimini danneggiano non solo le famiglie colpite dai lutti, ma minano sul lungo periodo la sicurezza e la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato messicano. Per raggiungere la loro domanda di verità e giustizia, le donne di 119 http://www.mujeresdejuarez.org/versionitaliano.htm consultato il 30 luglio 2011 58 NHRC si propongono degli obiettivi intermedi che progressivamente stanno provando a raggiungere. Una grande importanza è data al raggiungimento dell’attenzione e della solidarietà internazionale per evitare l’isolamento del caso Juarez non solo dal resto del Messico, ma anche dal resto del mondo. Inoltre risulta centrale l’obiettivo di ottenere forme di giustizia ed equità sociale attraverso la promozione integrale dei diritti umani non solo per le vittime del femminicidio, ma per tutti gli abitanti del paese che si ritrovano a vivere in una situazione di pericolo. I famigliari delle vittime del femminicidio di Ciudad Juarez che hanno deciso di raggrupparsi nell’associazione NHRC, hanno iniziato un percorso di elaborazione collettiva del lutto che li ha portati sulla via dell’impegno per il cambiamento e non alla chiusura in se stessi e nel privato. Un processo che, a partire dalla condivisione della memoria collettiva dei propri cari, ha portato all’impegno quotidiano per il cambiamento della situazione. “Noi famiglie che facciamo parte di questo movimento abbiamo trasformato in forza il nostro dolore, avendo dovuto affrontare, dopo il brutale assassinio delle nostre figlie, l’inettitudine, l’intransigenza, l’occultamento, la corruzione e il più indifferente atteggiamento di funzionari e autorità”120, spiegano le donne di NHRC. Una dimensione pubblica della memoria che chiede giustizia e verità pur non dimenticando il dolore personale provocato dalla perdita delle proprie care: “Ci risulta complicato esprimere a parole il dolore straziante di sapere le nostre giovani figlie assassinate in tali circostanze, è un dolore immenso che non si estingue, al pari delle lacrime che non possiamo evitare ogni volta che pensiamo a loro, guardiamo le cose che lasciarono o le loro foto. Ci dà angoscia e il nostro supplizio cresce nell’immaginare come possano essere stati gli ultimi momenti delle nostre figlie assassinate sotto tortura”121. Da questi sentimenti condivisi dalle madri di NHRC si è cementata l’unione e la cooperazione tra i famigliari delle vittime arrivando ad un processo di “trasformazione del dolore e dell’indignazione nel coraggio e nella forza della denuncia”122. Il primo passo nella ricerca di verità e giustizia è rappresentato dall’accompagnamento giuridico e psicologico delle famiglie che non hanno avuto notizie sulle loro figlie scomparse. NHRC funziona da stimolo delle autorità nel proseguimento delle attività di ricerca delle figlie scomparse, provando ad esercitare una pressione da parte dell’opinione pubblica tramite manifestazioni e percorsi legali per far sì che le indagini possano proseguire e non vengano insabbiate. 120 121 122 Ibidem Ibidem Ibidem 59 Per quanto riguarda il sostegno ai famigliari delle vittime, NHRC prevede una serie di programmi di sostegno psicologico ed emotivo rivolti alle madri volti a garantire un percorso di elaborazione del lutto collettive, che eviti ricadute ed effetti sulla salute mentale dei soggetti sotto le cure e che riesca a garantire tutte le condizioni necessarie per ottenere una qualità di vita degna e sicura. L’ultimo piano sul quale agisce NHRC è quello dell’educazione cittadina e dell’informazione sul tema del femminicidio. Data la carenza di informazioni sul femminicidio, le madri di NHRC portano la propria testimonianza di resistenza nelle scuole della città e nelle piazze in occasione di eventi pubblici, per provare a sensibilizzare e ad educare la cittadinanza sul tema della difesa dei diritti umani. L’attività che da dieci anni le donne di NHRC stanno portando avanti ha incontrato non pochi ostacoli lungo il suo percorso. Innumerevoli sono state le minacce subite dalle attiviste che talvolta si sono concretizzate in veri e propri omicidi intimidatori. Un’escalation di intimidazioni che è culminata nel marzo 2011 con l’ennesima intimidazione contro Marisela Ortiz e la sua famiglia che è stata costretta a lasciare il paese per cercare un rifugio sicuro negli Stati Uniti. Se da un lato le intimidazioni stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’associazione NHRC e hanno costretto all’esilio la fondatrice dell’associazione, allo stesso tempo possono essere lette come la conferma dell’incisività e dell’efficacia del lavoro che l’associazione delle madri delle vittime sta portando avanti in questi anni. Un risultato che può essere analizzato soprattutto sotto il profilo socio culturale in quanto l’esempio delle madri è riuscito a scardinare uno stato di accettazione passiva della violenza a Ciudad Juarez. Un atto dal grande valore simbolico, specialmente se si osserva che viene portato avanti da donne in un contesto culturale fortemente machista. L’altro risultato raggiunto dall’associazione è rappresentato dall’ampia rete internazionale di solidarietà che in questi anni NHRC è riuscita a tessere intorno a sé. Il caso del femminicidio di Juarez oggi è conosciuto in tutto il mondo e ha catalizzato l’attenzione delle grande organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani, delle università e dei governi nazionali e locali di numerosi paesi tra i quali l’Italia. Un’azione fondamentale che permette di evitare l’isolamento internazionale dell’associazione di NHRC. 60 4.4 Il giornalismo sociale della Red Periodistas de a Piè Il Messico è considerato uno dei paesi dove la libertà di stampa appare minacciata da più fronti. L’ONG francese Reporteres sans frontiere ha calcolato che dal 2000 ad oggi sono stati uccisi 76 giornalisti, senza contare quei reporter costretti all’esilio negli Stati Uniti per motivi di sicurezza. 123 Una violenza che negli ultimi anni si è amplificata se si pensa che solo nel 2010 sono stati sette i giornalisti uccisi, una cifra che rende il Messico il secondo paese per numero di giornalisti uccisi dopo il Pakistan. Pertanto i giornalisti che decidono di trattare il tema del narcotraffico sanno che devono mettere in conto la possibilità di subire intimidazioni e minacce. Una condizione che rischia di condurre in alcuni casi a fenomeni di autocensura che sono resi possibili da un sistema dell’informazione governato dai grandi colossi economici del paese. “Tra il 1988 e il 2003 più del 70% delle 1146 stazioni radiofoniche che trasmettono nel paese erano controllate da 10 grandi gruppi economici”124. Mentre il sistema televisivo è dominato dal duopolio Tele Visa e Tele Azteca. La prima detiene il controllo su più dell’ottanta per cento delle 462 emittenti mentre il restante 13 % appartiene a quest’ultima. Il risultato è dunque un sistema televisivo controllato per oltre il 90% dai due grandi gruppi economici. Una situazione che mette seriamente a rischio il diritto all’informazione attiva e passiva, ovvero il diritto dei cittadini ad essere informati e il diritto dei giornalisti di poter svolgere liberamente il proprio lavoro. Fare giornalismo oggi in Messico rappresenta pertanto una missione: abbandonati da tutti e senza tutela, spesso l’unica forma di sostegno agli operatori dell’informazione libera arriva proprio dalla società civile e dalla capacità degli stessi giornalisti di fare rete per provare a resistere insieme. La Red Periodistas de a piè è un movimento che raggruppa decine di giornalisti d’inchiesta di piccoli e grandi giornali messicani, e che dal 2006 promuove a livello volontario un lavoro di impegno per provare a fronteggiare la situazione di rischio nella quale si trovano i giornalisti messicani. Minacciati da un lato dai narcotrafficanti e dall’altro dalla precarietà del mestiere, la rete nasce prima di tutto come rete di mutuo soccorso per riuscire a garantire un’informazione completa e libera al paese. “Questa rete è un sogno collettivo attorno al quale tutti i giornalisti del paese sono invitati a stringersi: è uno spazio comune che costruiamo giorno dopo giorno con la 123 124 http://en.rsf.org/mexico-un-human-rights-official-voices-08-07-2011,40625.html consultato il 30 luglio2011 Sosa Plata G., “Crisol de esxpressiones”, in Revista mexicana de expresiones, num. 83, settembre – ottobre 2003 61 convinzione che la realtà può essere diversa e che grazie al giornalismo possiamo contribuire a cambiarla”.125 Tra i giornalisti che hanno contribuito alla fondazione della rete vi sono Marcela Turati, giornalista d’inchiesta del settimanale Proceso, ed Elia Baltazar. Insieme ai loro colleghi della rete, provano a costruire quotidianamente una narrazione alternativa a quella dominante seguendo l’aforisma del poeta Joao Guimaraes Rosa: Narrare è resistere. “Sono reporter da circa dieci anni, però devo dire che dal 2006 il Messico è cambiato profondamente: prima andavo a raccogliere informazioni sui gruppi indigeni e mi trovavo di fronte a gruppi armati. Dal 2007 in poi, per noi giornalisti è cambiato radicalmente il panorama: ho iniziato a ricevere richieste da colleghi che volevano imparare come proteggersi dalle intimidazioni mentre indagavano sul narcotraffico, poiché ero stata costretta a conoscere bene questo mondo”126. Con queste parole Marcela Turati, giornalista del settimanale Proceso, uno dei pochi periodici che tratta con grande accuratezza e profondità il tema del narcotraffico con una sezione speciale sul tema, ripercorre uno degli anni chiave nella storia della lotta alla criminalità organizzata messicana. La rete Periodistas de a piè rivolge le proprie attività agli operatori dell’informazione e in particolare a quella categoria di giornalisti che Marcela Turati ha soprannominato periodistas sociales127: “Non siamo i portavoce dei politici o degli imprenditori, loro hanno già i propri addetti stampa e alla comunicazione e investono molto nella pubblicità e nella comunicazione della propria immagine che consente loro di invadere gli spazi sui giornali dove anche noi scriviamo. A noi interessano le storie della popolazione comune, della gente che non si fa intervistare”. Queste dunque sono le parole chiave dei giornalisti a piedi: ragazzi e ragazze perlopiù giovani, se si pensa che in pochi superano i quarant’anni di età. Giovani che lavorano sotto condizioni di contratto all’insegna della precarietà rimanendo esposti non solo sul fronte dell’incolumità fisica, ma anche sotto il profilo della sicurezza economica e sociale. Una situazione di rischio continuo e quotidiano che in alcuni casi rischia di spingere il cronista all’autocensura per evitare di incorrere in possibili querele insostenibili da un punto di vista economico dal singolo giornalista. “Nuestra misión es consolidar una red de profesionalización, capacitación, vinculación y apoyo para el ejercicio periodístico – spiega Elia Baltazar – Nuestra visión es promover un periodismo de calidad, que trascienda la denuncia, proporcione claves a los ciudadanos para la defensa y construcción de 125 126 127 http://periodistasdeapie.wordpress.com/ consultato il 20 giugno 2011 http://it.peacereporter.net/articolo/28123/Messico,+la+dura+vita+del+giornalista consultato il 20 giugno 2011 http://periodistasdeapie.wordpress.com/aceca-del-periodismo-social/ consultato il 20 luglio 2011 62 derechos, visibilice propuestas no violentas a conflictos sociales y fortalezca la cultura de la transparencia, la rendición de cuentas y el acceso a la información”128. Tra gli obiettivi primari della rete vi è dunque la creazione di un modello di lavoro cooperativo in un settore caratterizzato tradizionalmente dalla competizione per lo scoop e per l’esclusività della notizia. La creazione di un sistema di giornalisti in rete che condividano pratiche, saperi e le rispettive tutele rappresenta una condizione fondamentale per creare un sistema di protezione dei giornalisti stessi, che si trovano così ad affrontare collettivamente i problemi derivanti dal loro lavoro, e non come individui singoli più vulnerabili di fronte alle intimidazioni della criminalità organizzata. Un’altra dimensione fondamentale è quella educativa e consiste nel continuo aggiornamento dei membri della rete e nella continua condivisione di saperi e pratiche di difesa legale messe a disposizione dei giornalisti della rete con minore esperienza. L’ultimo obiettivo che la Red persegue è quello dello sviluppo e dell’educazione ai nuovi strumenti offerti dalla tecnologia con particolare interesse ai mezzi del web 2.0 per sfruttare sempre di più potenzialità in vista della creazione di media alternativi. “Il nostro giornalismo aspira a fortificare la popolazione messicana affinché i cittadini conoscano e siano consapevoli dei propri diritti e li esercitino per modificare la realtà nella quale vivono”129. Questa è la missione di fondo con la quale è nata la Red Periodistas de a piè. Il tentativo dunque è quello di stimolare lo sviluppo di un’informazione che vada continuamente alla ricerca della dimensione sociale della notizia e che si ponga nella prospettiva della tutela e della salvaguardia dei diritti umani. Un giornalismo che si interroghi continuamente sulla denuncia e sulla possibilità del cambiamento della realtà e che si senta corresponsabile della costruzione di una cittadinanza attiva e consapevole, che possa attivarsi per cambiare quella realtà dopo averla conosciuta grazie al lavoro di denuncia del giornalista. Un processo che sembra ripercorrere l’aforisma gramsciano “Conoscere la realtà per trasformarla”. Infine, uno degli strumenti chiave nel lavoro della Red Periodistas de a piè è rappresentato dalla condivisione. La rete si propone di condividere le pratiche del giornalismo investigativo, le esperienze e le strategie, gli stili narrativi, le forme di intervista e le riflessioni sul ruolo del giornalismo con l’obiettivo di creare una schiera di giornalisti che sappia offrire ai cittadini un’informazione di qualità. Dal 2006 ad oggi sono stati organizzati diversi workshop insieme ad 128 129 Intervista realizzata a Elia Baltazar a Città del Messico nel dicembre 2010 Ibidem 63 alcuni tra i giornalisti più importanti a livello messicano e ad altri esperti che combattono il narcotraffico anche sotto l’aspetto giudiziario, economico e politico per rendere sempre più forte la capacità di professionalizzazione dei giornalisti d’inchiesta. Inoltre, è attivo un servizio di consulenza legale per i giornalisti free lance che si trovano a dover affrontare procedimenti legali in caso di querela ricevuta. Una particolare attenzione viene infine rivolta a quei giornalisti che sono stati minacciati dai narcos. La rete in questo caso attua il duplice ruolo di denuncia e di aiuto, talvolta anche economico, verso questi soggetti. Basta pensare alla raccolta fondi promossa dalla rete nel dicembre 2010 per l’aiuto di quei giornalisti costretti all’esilio negli Stati Uniti a causa della mancanza delle garanzie di sicurezza nel proprio paese. Il bilancio dell’attività della rete presenta un duplice aspetto: da un lato i giornalisti continuano a vivere in una situazione di grande difficoltà, come testimonia l’assassinio di due di loro avvenuto a fine agosto. Occorre però mettere in evidenza l’aumento degli aderenti alla rete che ad oggi si attestano attorno alle trecento unità. La rete, inoltre, è riuscita a consolidarsi a livello nazionale come l’unica organizzazione composta da giornalisti e rivolta a giornalisti, una caratteristica che ha permesso di ottenere un vasto appoggio nella società. I giornalisti che ne sono parte e quelli che hanno usufruito dei servizi e dei corsi di aggiornamento professionale offerti dalla rete si sono distinti per un approccio al giornalismo più attento nella copertura dei temi legati ai problemi sociali e nel dare visibilità alle vittime, specialmente nel contesto dominato dalla violenza del narcotraffico. La rete pertanto rappresenta uno dei pochi ponti tra le organizzazioni della società civile e i giornalisti in materia di libertà di stampa. 64 CONCLUSIONI Le quattro esperienze di società civile organizzata descritte nel capitolo precedente presentano delle caratteristiche comuni che, se astratte dal contesto di riferimento, possono aiutare a delineare le linee guida di una possibile strategia sociale e culturale di contrasto alla criminalità organizzata. Il concetto chiave che questo lavoro di ricerca vuole mettere in evidenza è quello di “rete” che trova immediata applicazione nell’esperienza in divenire del Web 2.0. Se le reti per loro stessa definizione (teoria della Gestalt) sono qualcosa di più della semplice somma delle parti, dobbiamo pensare che risieda in questa modalità la speranza di far emergere in seno alla società civile una risposta adeguata al problema dei narcos. La rete infatti è il luogo deputato alla partecipazione politica: da un lato rappresenta uno spazio di dialogo tra cittadini e istituzioni, dall’altro facilita la mobilitazione e l’organizzazione dei movimenti sociali. L’entusiasmo che l’impiego del Web come potente mezzo di supporto di movimenti di cambio sociale dal carattere rivoluzionario ha saputo dimostrare in contesti di violenza politica e forte repressione e corruzione come nei regimi del Maghreb rovesciati dalla volontà popolare coadiuvata dai nuovi mezzi di comunicazione, ne fa pertanto spazio di sperimentazione anche nel contesto messicano. Il lavoro che queste reti portano avanti nel contesto messicano si basa su alcuni pilastri fondamentali. Primo fra tutti vi è l’importanza del ruolo della memoria che sembra essere il filo conduttore dei diversi casi descritti. Di fronte al dilagare dell’impunità e alla corruzione di ampi settori del potere giudiziario, l’atto della denuncia è motivo di grande preoccupazione e rischio per i famigliari delle vittime che rischiano di esporsi a possibili intimidazioni o ritorsioni da parte degli assassini. Pertanto, troppe volte il ricordo delle vittime della violenza dei narcos non supera la sfera privata limitando le capacità di reazione dei soggetti colpiti da lutti anche se ricoprono un ruolo sociale e pubblico come nel caso di Javier Sicilia, spinto in un primo momento ad allontanarsi dalla sua funzione sociale di poeta in seguito al profondo dolore causato dall’assassinio del figlio. Per fronteggiare questo rischio, la strategia messa in atto dalle reti descritte si basa proprio sulla valorizzazione del processi di elaborazione del lutto collettivo: un processo lungo e faticoso che, qualora venga condiviso da diversi famigliari, diventa un vero e proprio atto politico capace di domandare giustizia e verità e di affrontare il clima di oblio che avvolge le vittime della criminalità 65 organizzata. La memoria, per poter essere efficace, deve sapersi trasformare in impegno concreto per provocare un cambiamento e fare pressioni sulle autorità per ottenere un cambiamento. Un altro punto centrale del lavoro delle reti della società civile organizzata riguarda il rapporto con le istituzioni del paese. La denuncia delle strategie errate delle autorità governative non sfocia mai nella negazione della legittimità di tali istituzioni. La domanda di giustizia e la pressione che vengono esercitate da parte della società civile hanno come obiettivo il dialogo con le persone che fanno parte di quelle istituzioni al fine del cambiamento degli indirizzi della politica di contrasto alla criminalità organizzata. A conferma di ciò, può essere portato l’esempio dell’incontro avvenuto nel giugno 2011 tra la Red por la Paz di Javier Sicilia e il Presidente in persona. Un incontro che, pur tenendo in considerazione la sospetta vicinanza temporale con le elezioni 2012, sembra aprire uno spiraglio e nuove opportunità per le reti sociali. L’altro punto fondamentale della strategia sociale e culturale consiste nella capacità di costruire narrazioni alternative a quelle dei narcos. Se la penetrazione della narco-cultura nella vita quotidiana dei cittadini messicani ha ormai raggiunto livelli molto profondi, la battaglia contro i narcos deve giocarsi sullo stesso piano simbolico e culturale provando ad opporre una narrazione alternativa nonviolenta che permetta di scardinare un silenzioso consenso sociale sulla violenza generata dai narcotrafficanti e dalla militarizzazione del territorio. Una strategia che negli ultimi anni ha potuto sfruttare gli strumenti delle Nuove Tecnologie dell’Informazione e della Conoscenza (NTIC) che offrono la possibilità di trasmettere la produzione delle narrazioni alternative ad un pubblico potenziale di milioni di utenti. Non a caso le azioni che le quattro esperienze descritte portano avanti quotidianamente sono state raccontate principalmente sui social network come twitter e facebook oltre che sui blog e sui siti prima che arrivassero a conquistarsi uno spazio mediatico anche nei canali ufficiali. Dopo aver analizzato i mezzi che vengono utilizzati dalle reti, risulta interessante descrivere alcuni dei contenuti che viaggiano nel mondo del web 2.0. In un contesto dove la violenza sembra essere l'unico orizzonte immaginabile per milioni di messicani, occorre saper raccontare e comunicare quei modelli di cambiamento di paradigma per dimostrare che questo processo non è solamente una lontana possibilità, ma può essere praticato e può portare a vantaggi concreti per il soggetto che prova ad intraprendere questa strada. Un ruolo che viene svolto con la stessa funzione, ma con metodi e soggetti differenti nei casi di NHRC e Cauce Ciudadanos. Nel primo caso infatti il modello del cambiamento è portato avanti da una 66 famigliare della vittima e si rivolge all'universo di chi ha subito la violenza dei narcos. Nel secondo caso invece il cambiamento è stato praticato in un soggetto appartenente alla sfera criminale e può rappresentare un modello di cambiamento per altri suoi compagni di delinquenza. Un ultimo aspetto riguarda l'organizzazione del coraggio. Nel corso degli anni, risulta di fondamentale importanza evitare l'isolamento di quei soggetti che decidono di intraprendere un percorso di reazione ai soprusi della criminalità organizzata. Come insegna il caso italiano, la maggior parte delle vittime di mafia sono state uccise principalmente perché vivevano in uno stato di isolamento e di solitudine. Abbandonate prima di tutto dallo Stato, ma anche sconosciute alla maggior parte della popolazione italiana. Due condizioni che le hanno rese facili bersagli per la criminalità organizzata. Al contrario, negli ultimi anni la situazione sembra essere cambiata radicalmente proprio grazie all'attenzione crescente della popolazione su questi temi e alla nascita di numerose reti antimafia che stando vicine alle persone a rischio agiscono come una vera e propria scorta civica nonviolenta. L'accompagnamento da parte della società civile dei testimoni di giustizia o delle persone minacciate rappresenta una delle prassi più interessanti del panorama della lotta alla criminalità organizzata. Una strategia comune alle esperienze messicane descritte nel capitolo precedente che provano a costruirsi una scorta mediatica sia a livello nazionale sia a livello internazionale provando a mettere in pratica la frase del testimone di giustizia calabrese Pino Masciari che si è ribellato a chi gli chiedeva il pizzo: “ogni persona che conosce la mia storia mi allunga la vita di un giorno”. L'analisi sull'efficacia e sul ruolo dell'azione della società civile organizzata non può non considerare i limiti di tali strategie sociali e culturali. Come descritto nel corso del terzo capitolo, tali strategie non possono essere considerate come il rimedio unico al problema dei narcos. Esse rappresentano solamente un aspetto di una strategia multidimensionale più ad ampio raggio che affianca strategie istituzionali a disposizione dello Stato che dovrebbe impegnarsi ad intraprendere azioni legislative per rendere più efficace la confisca dei beni, l'attacco alla corruzione ad alto livello e a riforme strutturali del sistema giudiziario. La strategia multidimensionale si basa pertanto sulla chiamata alla responsabilità per tutti quegli attori che decidono di impegnarsi nella lotta ai narcos. Per quanto riguarda l'importanza delle reti virtuali nel contrasto alla criminalità organizzata, vi sono alcuni limiti strutturali che ne limitano l'efficacia. Innanzitutto la connessione internet non 67 raggiunge tutte le aree del paese e a causa del digital divide esclude un'ampia parte della popolazione che non ha avuto un'educazione informatica. Inoltre rimane aperto il tema della presunta libertà del web rispetto ai canali tradizionali. Non bisogna poi dimenticare che, come ha insegnato la primavera araba, il processo di ribellione deve basarsi su legami forti che hanno origine da atti “fisici e concreti” e che possono venire amplificati grazie alle possibilità offerte dal web. Le ribellioni in parole povere non nascono sulla rete, ma possono essere ampliate e diffuse attraverso di essa. Un ultimo limite è dettato dalla sfida della continuità. Spesso infatti l'azione delle diverse associazioni viene limitata da difficoltà strutturali dovute in parte anche alla mancanza di risorse che possano garantire la sopravvivenza delle reti. Rispetto ai loro rivali, ma anche rispetto agli alri attori istituzionali che portano avanti la battaglia contro i narcos, le reti della società civile partono da una situazione economica di fortissima disparità che ne limita il possibile ampliamento. In conclusione, il presente lavoro di ricerca vuole essere una prima introduzione a ulteriori approfondimenti su un tema che ha dimostrato solo recentemente le sue potenzialità. Le realtà citate sono solo esperienze pilota che proseguono la propria attività con grande difficoltà e talvolta con esiti tragici o comunque preoccupanti, ma non per questo viene meno la necessità di capire quali dinamiche rendano efficace una lobby dal basso e come l’uso del Web modifichi l’immaginario collettivo e l’opinione pubblica, come i media recepiscano ciò che emerge in rete, come l’agenda politica ne verrà influenzata, fin dove possano spingersi i movimenti sociali rinfrancati e aiutati dai nuovi media. Risulta pertanto necessario continuare a descrivere, studiare e far conoscere queste realtà affinché possano essere conosciute sempre di più e affinché possano essere prese a modello da altri soggetti della società civile provando a fare dei passi in avanti nella lotta alla criminalità organizzata. 68 RINGRAZIAMENTI Gracias a la vida, Que me ha dado tanto, Me ha dado la marcha De mis pies cansados, con ellos anduve, ciudades y charcos, Playas y desiertos, Montañas y llanos Y la casa tuya, Tu calle y tu patio 69 BIBLIOGRAFIA Aziz A. e Sanchez J.A., El Estado Mexicano: herencias y cambios, Mèxico D.F. CIESAS, 2005 Bertaccini Tiziana, El régimen prísta frente a las clases medias, 1943-1964, México, CONACULTA, 2009. Bizberg I. e Meyer, Una historia contemporanea de Mèxico, Mèxico,Ocèano, 2004 Blancornelas J., El càrtel, D.F. 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