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SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI

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SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI
PIANETA
TERRA
il
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale
PERIODICO FONDATO DA CIRO VIGORITO
SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI
DELLE RINNOVABILI
RESISTERE ALLE TENTAZIONI
O SI SVENDERANNO
AL MIGLIOR OFFERENTE?
Simone Togni
L’intervista
Alessandro Gilotti
Presidente Unione Petrolifera
O
ST
O
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I
GL 20
U
L
PIANETA
TERRA
il
Mensile di informazione e cultura
dell’ambiente, dell’energia e delle
fonti rinnovabili
Direttore responsabile
Simone Togni
sommario
luglio-agosto 2015
3
7
SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI
RESISTERE ALLE TENTAZIONI O SI SVENDERANNO
AL MIGLIOR OFFERENTE?
Simone Togni
INTERVISTA AD ALESSANDRO GILOTTI
Presidente Unione Petrolifera
Antonella Cocca
Contatti
via Tagliamento 24, 00198 Roma
Comitato di Redazione
Simone Togni, Stefania Abbondandolo,
Davide Astiaso Garcia, Silvia Martone
www.ilpianetaterra.it
Registrazione n. 66 del 5 giugno 2003
presso il Tribunale di Napoli
Proprietario del Periodico
gps srl Gruppo Problem Solving
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19
LA VIA OLANDESE DELL'EFFICIENZA IN EDILIZIA
Sergio Ferraris
NEWSLETTER ANEV
22 Intervista a FRANCESCO PAOLO LIUZZI
Managing Director Nordex
Silvia Martone
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Editore
Sinderesi srl
ROC 25332
33
39
Progetto grafico
L’asterisco di Barbara Elmi, Roma
43
Stampa
GPT - Gruppo Poligrafico Tiberino
Via Ponchielli, 30 - 06073
Loc Ellera, Corciano (PG)
QUANTI MALI PER LE RINNOVABILI
G.B. Zorzoli
47
COORDINAMENTO FREE
KYOTO CLUB
Sergio Andreis
EOLICO, L’ADEGUAMENTO NORMATIVO
ALLA DISCIPLINA DEL RUMORE
Davide Astiaso Garcia
CARTA, PENNA E DIRITTO
Avv. Massimo Ragazzo
LA NECESSARIA RIFORMA NORMATIVA
SUGLI INCENDI BOSCHIVI
Daria Palminteri
IL MANIFESTO DELLA GREEN ECONOMY
PER L’AGROALIMENTARE
Silvia Martone
AMBIGUITÀ E OPPORTUNITÀ
DELLA POLITICA ENERGETICA CINESE
NEL CONTINENTE AFRICANO
Cristina Parisi
Delle opinioni manifestate sugli scritti o siglati sono
responsabili i singoli Autori dei quali il Comitato di
Redazione intende rispettare la piena libertà di
giudizio. La collaborazione alla rivista è aperta a tutti
gli interessati, tuttavia è compito della Redazione
definire i contenuti di ciascun numero, la scelta degli
articoli e il tempo di pubblicazione. La riproduzione,
anche parziale degli scritti e dei grafici pubblicati su
“il pianeta terra” è consentita previa autorizzazione e
citando ovviamente la fonte.
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Redazione • Pubblicità
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PIANETA
TERRA
il
Simone Togni
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SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI
DELLE RINNOVABILI
RESISTERE ALLE TENTAZIONI
O SI SVENDERANNO
AL MIGLIOR OFFERENTE?
Negli ultimi anni il settore elettrico è cambiato nella composizione del suo mix e, soprattutto, nella sua visione di medio
periodo in modo molto profondo. Basti pensare che non più di trent’anni fa il combustibile principale utilizzato era il petrolio e
non sembrava in discussione la sua centralità anche futura.
Invece, a cavallo dell’inizio del nuovo millennio, il gas è diventato centrale ed ha sostituito in gran parte i prodotti petroliferi
nella produzione elettrica, mentre nell’ultimo decennio abbiamo visto le Fonti Rinnovabili
crescere
impetuosamente
arrivando oggi a coprire oltre il 40% del mix
nazionale.
sempre accade in queste fasi, un attacco
massiccio dei grandi gruppi che vedono minacciato il loro futuro e che cercheranno di
difendere i loro privilegi in ogni modo. Non
sfuggirà, infatti, che un cambio di paradigma così deciso come quello in corso non
si è mai visto, nel passato si trattava di capire quale fonte fossile sarebbe stata più
utilizzata ma nella sostanza i players non
variavano molto. Ora la strada è invece abbastanza nuova e rischia di spiazzare i
campioni nazionali tradizionali che, se non
corrono a modificare le loro politiche, rischiano seriamente di trovarsi fuori gioco.
C’è da dire che in realtà un percorso di convivenza pacifica ci sarebbe ed è quello che
il Presidente dell’AEEGSI Guido
Bortoni ha recentemente delineato nel corso della Relazione
Annuale, dove ha auspicato una
sempre maggiore elettrificazione del Paese nei consumi finali (dagli usi
domestici di riscaldamento/rinfrescamento a quelli per la cottura fino alla mobilità) e uno spostamento dei consumi di
gas sulla produzione elettrica insieme alla
crescita delle Fonti Rinnovabili. Questo
percorso è quello maggiormente sostenibile sia da un punto di vista del necessario
innalzamento dell’efficienza dei sistemi di
produzione, sia per quanto riguarda le minori emissioni di CO2. In questa direzione
vanno le proposte di modifica delle tariffe
che l’AEEGSI è in procinto di definire.
L’aumento dei consumi elettrici, infatti, potrebbe far rifiatare gli impianti tradizionali
oggi in difficoltà e consentire loro di convivere con le FER in crescita, tuttavia questo
ha senso solo se servirà a gestire intelligentemente la transizione. Se c’è una cosa
chiara è che le FER continueranno la loro
crescita, dipenderà dai tempi e dai modi ma
il nostro mondo si affrancherà sempre più
il futuro energetico dei prossimi
anni si decide nei prossimi mesi
Questo percorso virtuoso nell’utilizzo di
fonti di energia via via meno impattanti per
quanto riguarda l’emissione di CO2, è certamente destinato a continuare per una
serie di motivi: mutamenti climatici, consumo delle risorse, emissioni nocive, rischi
geopolitici e sicurezza degli approvvigionamenti energetici. A fine anno si terrà
la COP21 di Parigi dove, per la prima volta
in oltre 20 anni di negoziati delle Nazioni
Unite sulla questione climatica, si proverà
a raggiungere un obiettivo legalmente vincolante finalizzato a mantenere sotto i 2°C
il surriscaldamento globale. Inoltre, nella
Capitale francese si definiranno i percorsi
dal 2020 al 2030 e poi fino al 2050, nella
lotta ai cambiamenti climatici e verranno
definiti gli obiettivi comuni e gli strumenti
necessari a raggiungerli.
Come si vede, quindi, il futuro energetico
dei prossimi anni si decide nei prossimi
mesi e per questo è facile aspettarsi, come
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due principali Associazioni delle Rinnovabili non si arrenderanno a tale disegno e
continueranno a far sentire la loro voce.
D’altronde sarebbe un suicidio incomprensibile vedere i vincitori abbandonare il
campo in un momento, quello attuale, che
vedrà le rinnovabili rappresentare la maggioranza del mix energetico del Paese.
Questo cambiamento epocale deve vedere,
invece, un analogo passaggio nella rappresentanza Associativa che pertanto, lo diciamo da alcuni anni, deve finalmente
essere sdoganata e vedere il settore delle
Rinnovabili assurgere al ruolo che gli compete, quello di rappresentare oltre la metà
del comparto elettrico nazionale. Quindi si
rende necessario avere una rappresentanza indipendente, svincolata dai vecchi
schemi e soprattutto libera di continuare a
difendere gli interessi generali. È certo che
il settore fossile tenterà il colpo di coda, già
se ne è avuta qualche avvisaglia, ma il
mondo delle rinnovabili risponderà, ne
siamo sicuri, con un’unica voce a difesa
della propria libertà di impresa e del proprio futuro che finalmente si sta delineando
come vincente. n
5
dalle risorse fossili, è solo questione di
tempo. Se invece questa tregua servirà a
combattere l’ineluttabile transizione l’esito
sarà solo quello di ritardarla sprecando
un’altra occasione. Se questo tentativo di
resistenza a oltranza dovesse concretizzarsi, ci si dovrebbe aspettare anche una
riorganizzazione sia dal lato comunicativo
sia, e soprattutto, da lato della rappresentanza del settore fossile, mirante alla difesa dello status quo. Anche nel passato si
sono registrati alcuni tentativi di mettere a
tacere le voci dissonanti e “fastidiose” ma
almeno due associazioni, Assorinnovabili
ed ANEV, sono sempre rimaste a difesa
degli imprenditori delle fonti pulite di energia, tutelando e difendendo gli interessi del
sistema e sorreggendo le scelte di non discriminazione di tali fonti. In questa fase
quindi dovremo assistere senza dubbio ad
altri e ben più diretti tentativi finalizzati ad
una voce unica a difesa dei richiamati interessi fossili che tenterà di sopire le altre.
Questo attacco, facilmente prevedibile,
desta non poche preoccupazioni perché rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti fino ad
ora. Tuttavia siamo sicuri che almeno le
PIANETA
TERRA
il
Antonella Cocca
Economia low carbon,
il ruolo del petrolio
Intervista ad
Alessandro Gilotti
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Presidente Unione Petrolifera
A giugno si è tenuta l’assemblea dell’Unione Petrolifera, che quest’anno ha discusso anche del contributo che la vostra
industria può dare per il raggiungimento
degli obiettivi europei in materia di clima
ed energia, anche in vista della Conferenza
sul clima (COP 21 di Parigi) in programma
a dicembre. Quali sono state le conclusioni?
La scelta di focalizzare l’assemblea di quest’anno sul contributo che il nostro settore
può dare al raggiungimento degli obiettivi
italiani ed europei in materia di clima ed
energia nasce dalla volontà di rivendicare
ciò che di positivo abbiamo già fatto e ciò
che siamo pronti a fare per accompagnare
la transizione verso una economia de-carbonizzata, che è l’obiettivo ultimo delle politiche ambientali degli ultimi anni, ma che
non avverrà certo da un giorno all’altro.
Occorre prepararsi per tempo per evitare
di correre rischi dal punto di vista della sicurezza delle forniture e degli approvvigionamenti che andranno comunque
garantiti, e in questo la nostra industria
sarà essenziale. La domanda di mobilità
(aereo, nave, auto) per i prossimi 15-20
anni, infatti, sarà ancora soddisfatta in
larga parte dai prodotti petroliferi.
Ma sarà essenziale soprattutto per evitare
di ridurre fittiziamente l’impatto ambientale “esportandolo” nei Paesi extra-UE
dove si produce senza fare troppa attenzione all’ambiente.
L’industria del downstream petrolifero nazionale ha dato ampia prova negli anni del
suo impegno per migliorare la qualità ambientale dei prodotti e dei processi produttivi, investendo oltre 21 miliardi negli
ultimi 20 anni che hanno permesso di ridurre le emissioni dei principali inquinanti
(come SOx, NOx, CO2, PST) tra il 70 e il
90%.
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Tra gli studi da voi presentati c’è l’analisi
sulla “Previsioni di domanda energetica
e petrolifera italiana 2015-2030”. Come si
evolverà il rapporto tra idrocarburi e altre
fonti nei prossimi 15 anni?
Credo che l’Unione Petrolifera sia forse una
delle poche Associazioni che ha ancora un
Centro studi che produce e aggiorna sistematicamente dati statistici sulle principali
fonti di energia e sulle loro tendenze future,
che annualmente vengono raccolte, appunto, nel volume “Previsioni di domanda
energetica e petrolifera italiana”. Uno strumento essenziale per la programmazione
delle attività industriali.
Stando alle nostre previsioni, anche se al
2030 il nostro mix energetico è previsto
modificarsi sensibilmente tenendo conto
dell’espansione delle fonti rinnovabili, il
petrolio rappresenterà ancora la prima
fonte di energia almeno fino al 2018 con un
peso intorno al 35%, per poi essere superato dal gas naturale.
Proseguirà la contrazione dei consumi
complessivi di prodotti petroliferi iniziata
nel 1999, particolarmente incisiva nell’ultimo decennio, che al 2030 non dovrebbero
superare i 59 milioni di tonnellate, ossia il
25% in meno rispetto al 2010. A cambiare
sarà anche la composizione del barile raffinato che vedrà un peso crescente dei distillati medi. Altro aspetto importante è
quello ambientale: le emissioni di CO2 nel
2020 si attesteranno su livelli inferiori del
26% rispetto a quelle del 2005, segno di un
impegno dell’industria petrolifera che prosegue.
Quanto conta nel vostro settore l’innovazione tecnologica e quanti passi in avanti
sono stati fatti in relazione alla sostenibilità ambientale?
L’innovazione tecnologica è fondamentale
Si sente spesso citare la trasformazione
delle raffinerie tradizionali in bioraffinerie.
È questo il futuro? Un mercato interessante per l’Italia?
La profonda crisi della raffinazione di questi ultimi anni ha portato alla chiusura di
diverse raffinerie, non solo in Italia ma
anche nel resto d’Europa. In alcuni casi,
piuttosto che smantellare gli impianti, considerati anche gli alti costi di bonifica, si è
proceduto con la trasformazione in depositi o in raffinerie in grado di produrre biocarburanti di seconda generazione che non
possono essere viste come completamente sostitutive dei tradizionali cicli di
raffinazione - che continueranno a coprire
il grosso della domanda - ma potranno essere integrative.
Qual è la sua posizione sulla rappresentanza associativa per l’energia in Italia:
meglio una sintesi, magari grazie a Confindustria, o le attuali distinzioni tra le
molte associazioni?
Il tema della rappresentanza del mondo
dell’energia è già stato affrontato in ambito
confindustriale con la cosiddetta “riforma
Pesenti”, che si fonda su maggiori aggregazioni, che in linea di principio condivido,
almeno finché parliamo di temi generali
che interessano tutto il settore dell’energia. Resto però convinto che ci siano tematiche che non possono essere delegate e
che vadano seguite direttamente. E quelle
del nostro settore rientrano tra queste. n
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e il 50% dei 21 miliardi investiti in questi
ultimi anni sono serviti a migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e dei
processi. Il Rapporto “European Competitiveness 2013” della Commissione europea mette l’industria della raffinazione
petrolifera al primo posto in Europa nel
campo “innovazione di processo” ed al
quarto posto in quello “innovazione di prodotto”. Inoltre, sempre stando allo stesso
rapporto, la raffinazione petrolifera si
classifica seconda nella graduatoria di
tutte le industrie manifatturiere europee in
termini di livello di educazione scolastica
del personale impiegato. Anche la formazione è un elemento essenziale della nostra industria e ogni anno oltre 500.000 ore
sono dedicate a questo scopo.
PIANETA
TERRA
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G.B. Zorzoli
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Quanti mali
per le rinnovabili
Per usare un eufemismo, in Italia le rinnovabili non stanno attraversando un periodo facile. Del Green Act, preannunciato
per il maggio scorso, nulla si sa. Pochi
giorni dopo lo svolgimento degli Stati Generali sul cambiamento climatico (presa
d’atto della necessità di una cabina di
regia che, su questo tema prioritario, doveva necessariamente far capo a chi nel
governo ha la responsabilità massima), il
funzionario di Palazzo Chigi, il quale, con
passione e competenza, li aveva organizzati e gestiti, è stato destinato ad altro incarico. Continuano per contro a
susseguirsi prese di posizione, proposte
nuova potenza installata: 103 GW, in massima parte (95 GW) nell’eolico e nel solare. Nel 2011, unico anno in cui gli
investimenti (278,8 miliardi) hanno superato il 2014, la potenza complessiva installata con queste due tecnologie era
sempre di gran lunga prevalente, ma parecchio inferiore (70 GW): segno evidente
della discesa dei costi unitari di eolico e
fotovoltaico, secondo il rapporto destinata
a continuare anche nel 2015.
Di conseguenza, sempre escludendo il
grande idroelettrico, la nuova potenza da
fonti rinnovabili installata nel 2014 è stata
pari al 48% di quella totale, mentre il
contributo alla generazione
elettrica da 8,5% del 2013 è salito a 9,1%, con la conseguente
riduzione delle emissioni di
CO2 di 1,3 miliardi di tonnellate.
Nel 2014 è anche continuato
l’allargamento a macchia
d’olio degli investimenti in
nuovi mercati. Nei Paesi in via di sviluppo
hanno infatti totalizzato 131,3 miliardi di
dollari (+36% sul 2013) e stanno raggiungendo quelli delle economie mature
(138,9 miliardi). La parte del leone l’ha
fatta la Cina che, con 89,3 miliardi (+ 39%),
da sola ha effettuato il 31% degli investimenti complessivi, e corre solitaria in
testa alla classifica, visto che gli USA, secondi, hanno investito meno della metà
(38,3 miliardi).
L’altra novità del 2014 è stato il boom di
investimenti europei nell’eolico offshore.
Ben sette progetti con costi superiori al
miliardo di dollari hanno raggiunto la fase
della “decisione d’investimento finale”. Il
record spetta al progetto “Gemini”, 600
MW da installare al largo delle coste olandesi, in assoluto il più grande impianto a
nel 2014 gli investimenti
mondiali nell’eolico sono
aumentati dell’11%, rasentando
per la prima volta 100 miliardi
e provvedimenti che, come il decreto sugli
incentivi per le rinnovabili elettriche non
fotovoltaiche, sembrano ignorare che nel
resto del mondo stanno suonando un’altra musica.
A livello globale, dopo due anni difficili,
nel 2014 gli investimenti nelle rinnovabili
elettriche e nei biocarburanti sono infatti
tornati a crescere. Pur escludendo dal
computo le centrali idroelettriche di potenza superiore a 50 MW, hanno raggiunto la bellezza di 270,2 miliardi di
dollari, con un incremento del 17% rispetto al 2013. Lo comunica il rapporto
dell’UNEP “Global Trends in Renewable
Energy Investment 2015”, elaborato con
la collaborazione di Bloomberg New
Energy Finance.
Ancora più significativa è l’entità della
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soltanto 107 MW eolici, mentre, con involontaria ironia, nelle premesse al decreto
sugli incentivi per le rinnovabili elettriche
non fotovoltaiche si fa riferimento alla
Strategia Energetica Nazionale, dove per
le rinnovabili elettriche come obiettivo al
2020 è fissata una forchetta fra 35% e
38% dei consumi finali. Per rispettarlo, la
potenza eolica annualmente installata
come minimo non dovrebbe mai scendere
sotto 1000 MW.
Insomma, si dice una cosa e se ne fa
un’altra, che la contraddice. Poi, per giustificarsi, chi ha proposto il decreto dichiara al Senato che abbiamo già
raggiunto l’obiettivo europeo al 2020, affermazione di per sé discutibile, in quanto
si riferisce ai consumi finali del 2013, ma
soprattutto in netto contrasto con l’impegno di superare gli obiettivi europei, contenuto nella SEN.
Intanto nel solo settore eolico si sono
persi settemila posti di lavoro in due anni,
anche perché fra i tanti lacci e laccioli c’è
anche l’impedimento di fatto al revamping
degli impianti in funzione da più lunga
data. n
13
fonti rinnovabili del mondo: 3,8 miliardi.
Complessivamente nel 2014 l’Europa ha
investito 16,2 miliardi di dollari in eolico
offshore, cioè l’87% del totale mondiale,
ripartiti fra Germania, Olanda, Regno
Unito. Senza alcun dubbio, in questi tre
paesi esistono condizioni particolarmente
favorevoli a questa tecnologia, ma il confronto con l’Italia rimane stridente. Siamo
la nazione in cui l’eolico offshore era addirittura sparito dalla prima versione del
nuovo decreto di incentivazione delle rinnovabili non fotovoltaiche e dove le opposizioni locali ambiscono al primo posto fra
quelle più immotivate e virulente. Gli altri
corrono, noi non cerchiamo nemmeno di
camminare.
Più in generale, nel 2014 gli investimenti
mondiali nell’eolico sono aumentati
dell’11%, rasentando per la prima volta
100 miliardi e, con 51 GW installati, hanno
superato per la prima volta il muro dei 50
GW. Così a fine anno la potenza eolica globale è arrivata a circa 370 GW, mentre il
prezzo medio dell’energia prodotta onshore è sceso a 85 $/MWh.
Viceversa nel 2014 da noi si sono installati
PIANETA
TERRA
il
Sergio Ferraris
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La via olandese
dell'efficienza
in edilizia
Efficienza energetica in edilizia. Sembra
che sia, e probabilmente lo è, la gallina
dalle uova d’oro per quanto riguarda l’energia, ma mentre sono in molti a parlarne in
pochi la mettono realmente in pratica,
meno che mai le istituzioni.
Prova ne è il fatto che l’obiettivo al 2030
dell’Unione Europea che riguarda l’efficienza è, ancora una volta non vincolante,
mentre a livello dei singoli Stati membri
sono poche le iniziative incisive in corso con
un’eccezione: l’Olanda.
I Paesi Bassi, infatti, hanno varato un vero e
proprio piano di politica industriale per sviluppare il comparto dell’efficienza energetica negli edifici, partendo da una fase di
studio che ha come punto cardine il progetto Platform 31, messo a punto dall’architetto Ron Van Erck della società Energie
Sprong.
“È necessario specificare che non siamo
una compagnia edile, ma uno staff incaricato dal Governo olandese di trovare soluzioni di mercato per l’efficienza energetica,
sia dal punto di vista economico-finanziario,
sia sotto a quello delle professionalità
adatte”, ha detto Ron Van Erck durante la
sua presentazione dell’iniziativa a REbuild
2015. “L’incarico è stato affidato a noi
esterni, dopo che il Governo ha tentato di
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sviluppare il mercato dell’efficienza senza
riuscirci”.
La missione del gruppo guidato da Van Erck
è quella di modificare il mercato dell’efficienza e trovare il modo affinché le imprese
di costruzioni possano identificare le migliori soluzioni e metodologie, direttamente
o in collaborazione con i consumatori. Il
tutto in cinque anni e lavorando anche su
aspetti quali la finanziabilità dei progetti,
l’influenza del quadro regolatorio e offrendo
al Governo olandese spunti sui provvedimenti necessari per incrementare l’efficienza energetica nel settore edilizio. Il
punto, intermedio d’arrivo per la fase di
studio e d’inizio per quella della realizzazione concreta è l’efficientamento delle abitazioni di social housing.
“Durante la fase di studio abbiamo realizzato un prototipo dell’abitazione, risultato
troppo costoso, sul modello industriale
dello sviluppo delle nuove autovetture nelle
imprese automobilistiche”, prosegue Van
Erck. “Da questa esperienza però abbiamo
imparato molto circa le metodologie che
ora stiamo applicando in progetti di dimensioni più grandi e con costi notevolmente inferiori. È il caso del social housing dove nei
prossimi tre anni saranno realizzati 111mila
interventi, mentre nel frattempo si stanno
provando le soluzioni messe a punto nel
settore privato. È questa la sfida del prossimo futuro, perché il mercato privato ha dinamiche molto differenti”.
Il retrofit delle abitazioni per portarle a
“consumo zero” viene svolto in brevissimo
tempo - una delle chiavi identificate come
fondamentali - tra un giorno e una settimana, con l’apposizione di un cappotto termico alle superfici verticali opache e
isolando il tetto, il tutto utilizzando elementi
prefabbricati che integrano al loro interno
le tecnologie per la produzione energetica,
come il fotovoltaico e il solare termico, che
vengono collegate all’impianto esistente
nell’abitazione.
le abitazioni siano migliori anche dal punto
di vista estetico, il che è stato individuato
come una buona leva commerciale. Per
quanto riguarda l’aspetto finanziario l’applicazione del retrofitting energetico avanzato
sta dando indicazioni importanti. La spesa
degli interventi è a carico dei gestori degli
immobili che sostengono la spesa grazie a
dei mutui che sono pagati con il risparmio
in bolletta che è in media del 50%, con un
canone che per gli affittuari rimane invariato fino al punto di break even dell’intervento.
Il meccanismo ipotizzato per il mercato privato è analogo. I proprietari delle abitazioni
pagano il mutuo necessario all’intervento
grazie alla diminuzione della
bolletta e così la spesa rimane
invariata anche per loro. Si
tratta, in pratica, di un sistema
per il quale, in teoria, serve solo
un sistema creditizio efficiente e
infatti Van Erck ha cominciato a
proporre il proprio modello in
altri paesi d’Europa, cominciando da quelli dove il credito crede nell’efficienza ed è a sua volta efficiente: Francia
e Inghilterra.
Il costo del progetto legato all’housing sociale è di cinque miliardi di euro, una
somma importante, che però inizierà a diminuire la spesa energetica delle famiglie
olandesi che per le abitazioni è di tredici miliardi di euro l’anno, cifra il cui 50% potrebbe essere risparmiata e indirizzata
all’attività impiantistica e manifatturiera.
Una conversione nella quale il mero consumo energetico a bassa intensità di lavoro
si può tradurre in un’occasione di sviluppo
economico e sociale, nonché, cosa non indifferente, di tutela ambientale, specialmente sul fronte della lotta ai cambiamenti
climatici. n
“Le soluzioni da adottare devono possedere
una serie di criteri comuni. Il primo è che i
progetti siano ambiziosi. Devono puntare a
raggiungere il consumo zero, anzi meglio
se l’obiettivo è quello di produrre più energia di quanta se ne consumi, mentre è altrettanto fondamentale che i risultati siano
garantiti su un periodo di almeno trent’anni
- continua Van Erck -. Poi durata e costi
degli interventi devono essere certi e certificati, cose che fino a poco tempo fa le imprese non garantivano, fattori che
oggettivamente non sostenevano uno sviluppo del mercato dell’efficienza”.
Ma l’attenzione di Van Erck non si limita agli
aspetti tecnologici. I moduli prefabbricati
sono stati realizzati anche sotto al profilo
del design affinché alla fine dell’intervento
17
I Paesi Bassi, infatti, hanno varato
un vero e proprio piano di politica
industriale per sviluppare il
comparto dell'efficienza
energetica negli edifici
energia pulita
newsletter
Risponde a Greebiz.it Simone Togni, Presidente ANEV
Decreto rinnovabili non FV, la bozza: cosa cambia. Sarà sufficiente?
Purtroppo il testo del nuovo DM per le FER elettriche non fotovoltaiche è punitivo per il
settore eolico, sia in termini di contingenti, che di taglia e tipologia di impianto, sia per le tariffe. In sostanza non sono state recepite le modifiche richieste. Per il grande eolico il contingente messo ad asta per il biennio di riferimento è pari a 800 MW e quindi 400 MW
all’anno, valore fortemente penalizzante considerando i livelli di installazione che fino a tre
anni fa procedevano ad un ritmo costante di oltre 1.000 MW all’anno, con una tariffa a base
d’asta in decisa diminuzione e pari a 110 €/MWh.
Forte riduzione registrata anche per i piccoli impianti con tariffe in diminuzione del 30% e
contingente pari a 60 MW complessivi nel biennio, accesso diretto invece per gli impianti al
di sotto dei 60 kW. Per quanto riguarda l’offshore, invece, è previsto per i due anni di riferimento un contingente di soli 30 MW, introdotto
nell’ultima bozza di DM.
Il Decreto, che si pone come finalità il perseguimento degli obiettivi stabiliti nella SEN, Strategia energetica nazionale, esplicitati nel
PAN, non consentirà, con i contingenti previsti,
di raggiungere i livelli individuati per l’eolico,
ovvero 12.680 MW (incluso l’eolico offshore), riducendo il contributo che l’energia dal vento
può dare in termini di riduzione dell’anidride carbonica e di contenimento dei cambiamenti
climatici.
Infatti, a fronte dell’installato eolico di 8.665 MW al dicembre 2014, con i soli 400 MW di
contingente annuo previsti dal Decreto per le aste non si arriverà alla quota inserita nel PAN,
che implicherebbe un contingente di almeno 800 MW annui fino al 2020.
DICONO DI NOI
in pillole
Risponde ad Argusmedia.com Simone Togni, Presidente ANEV
Quali fonti e quali tipologie di impianti avranno i maggiori vantaggi dalla razionalizzazione delle risorse all’interno del tetto stabilito di euro 5,8 miliardi/anno?
Secondo quanto riportato dallo studio Elemens, commissionato da ANEV, entro la fine del
2015 dovrebbero liberarsi risorse per circa 100 milioni di €, a cui se ne aggiungerebbero ulteriori 300 nel 2016, senza tener conto delle risorse che potrebbero liberarsi a seguito dei
contenziosi relativi alle irregolarità riscontrate negli impianti ammessi nelle aste precedenti.
Ai ritmi attuali ciò consentirà di incentivare 1,5 GW di potenza rinnovabile, con un’incognita
generata però dagli ex zuccherifici riconvertiti a impianti a biomasse per il quale è previsto,
nel biennio 2015 – 2016, un contingente di 135 MW e che possono accedere direttamente
agli incentivi andando a restringere ulteriormente la capacità incentivante per nuovi impianti.
energia pulita
newsletter
19
A quanto ammonta l’attuale potenza eolica installata in Italia? con i nuovi incentivi si possono raggiungere gli obiettivi UE
al 2020?
Attualmente in Italia risultano installati 8.665 MW
di eolico, a cui, essendo ottimisti, si potranno aggiungere ulteriori 500/600 MW nei prossimi tre
anni suddivisi tra impianti relativi alle nuove aste
e quelli relativi alle prossime due procedure. Gli
obiettivi fissati dal PAN (Piano d’Azione Nazionale), 12.680 i MW installati al 2020 in Italia, con
una media annua di nuove installazioni pari a
circa 660 MW, difficilmente verranno raggiunti
con gli attuali trend di crescita e incentivazione dei
nuovi impianti.
Risponde a Public Policy Simone Togni, Presidente ANEV
Si conferma il meccanismo delle aste che
in passato avete già criticato. Che ne
pensa?
20
Quello delle aste è un meccanismo che in altri
Paesi europei funziona. È necessario quindi che lo
stesso sistema venga migliorato e fatto funzionare
a dovere anche in Italia.
In particolare nel nuovo Decreto vengono introdotte alcune misure che permetteranno una decisa
selezione tra i progetti che parteciperanno alle procedure, prima tra tutte la circostanza per la quale
risulterà necessario che i progetti siano in possesso
di titolo autorizzativo e che il preventivo di connessione sia accettato in via definitiva. Sarà inoltre
necessario disporre sia la dichiarazione di un istituto bancario che attesti la capacità finanziaria sia
una capitalizzazione pari almeno il 10% dell’investimento previsto per la realizzazione dell’impianto. C’è inoltre la possibilità di rinuncia entro
6 mesi dall’aggiudicazione da parte dei soggetti
aggiudicatari, a fronte dell’esclusione del 30%
della cauzione definitiva e ciò dà luogo allo scorrimento della graduatoria.n
eventi
15 – 18 settembre 2015
Husum Wind 2015
Husum, Germany
4 – 7 ottobre 2015
WINDaba 2015
Cape Town, South Africa
16 ottobre 2015
China Wind Power 2015
Beijing, China
4 novembre 2015
Convegni ANEV
Ecomondo Key Wind
Fiera di Rimini
3 – 4 novembre 2015
Corso di formazione ANEV
Il Minieolico
Ecomondo Key Wind
Fiera di Rimini
5 - 6 novembre 2015
Corso di formazione ANEV
Operation& Maintenance
Ecomondo Key Wind
Fiera di Rimini
17 – 20 novembre 2015
EWEA 2015
Annual Event
Paris, France
ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO ANEV
I Gruppi di Lavoro ANEV,
aperti a tutti i soci, si riuniscono periodicamente presso
la sede dell’ANEV per occuparsi di questioni d’interesse
per l’Associazione e del settore eolico. Si riassumono di
seguito le principali attività e
obiettivi delle ultime sedute
dei GDL ANEV.
Gruppo di Lavoro
Normativa
Nella seduta dell’ultimo GDL
Normativa è stata analizzata
l’ultima bozza in circolazione
dell’emanando DM sulle FER
non fotovoltaiche, riscontrando
che per gli impianti sopra il
MW è stata recepita la definizione di potenza di impianto
proposta da ANEV ai tavoli
istituzionali e che il contingente per l’eolico on-shore è
stato aumentato da 700 a 800
MW.
È stato inoltre presentato l’esito
del tavolo tecnico ANEV Terna sugli Adempimenti, ai
sensi della 595/2014, sottolineando che Terna ha confermato
l’inesistenza di obblighi per
l’installazione di nuovi misuratori ma, qualora un operatore
decidesse deliberatamente di
inserirne, è invitato ad informare Terna il prima possibile
rispondendo alla comunicazione inviatagli dalla stessa,
con in copia il GSE, avente per
oggetto “Richiesta elenco informazioni necessarie all’attuazione
dell’articolo
14.4
dell’Allegato A alla Deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema
idrico n. 595/2014/R/EEL”.
Ultimo argomento trattato è
stato il DCO dell’AEEGSI sull’abolizione della progressività
nei servizi di rete e negli oneri
di sistema, invitando tutti gli
associati a presentare per il
mese di luglio eventuali osservazioni.
Gruppo di Lavoro
Mercato
Nell’ultimo GdL Mercato si è
deciso di ultimare l’elabora-
zione del Report Tecnico
“Strategie e metodi per l’integrazione delle FRNP nel mercato elettrico, con particolare
riferimento alla fonte eolica”.
Gruppo di Lavoro
Comunicazione
Nell’ultimo GDL Comunicazione si è fatto il punto sugli
eventi della Giornata Mondiale
del Vento dell’11 giugno a
Roma, ovvero il Convegno
“Eolico italiano: costi e benefici” presso l’auditorium del
GSE e la lezione concerto sul
Vento di Danilo Rea, all’auditorium del Maxxi. Sono stati
registrati riscontri positivi. Sono
state definite la tematiche dei
convegni di KeyWind 2015.
energia pulita
newsletter
21
parola agli associati
Nordex, società tedesca produttrice di turbine eoliche, ha compiuto da poco 30 anni. É stata fondata
infatti nel 1985, prima ancora che le turbine eoliche
conoscessero, in tutto il mondo, il boom della prima
metà degli anni ‘90 e, sin dalla sua costituzione,
Nordex ha puntato sulla produzione di impianti eolici dalle performance elevate, realizzati su larga
scala. Il gruppo Nordex opera anche nel nostro
Paese ed è rappresentato da Francesco Paolo Liuzzi,
Managing Director della società italiana che ha risposto alle nostre domande.
stri clienti nella proposta commerciale e di partnership nella fase di analisi dei progetti, bancabilità e
scelta delle soluzioni più efficaci per la finalizzazione e realizzazione di un progetto.
L’intuizione di sviluppare un prodotto specifico per
i siti a basso vento quale la N117 da 2,4 MW e poi
la N131 da 3MW ha dato ulteriore slancio ai risultati di Nordex globalmente e, per fare un esempio,
ha consentito di avere un market share a due cifre
in Germania, obiettivo mai raggiunto in un mercato di 4GW annui, consolidato la ottima posizione
in Turchia e riguadagnato la
leadership in Francia.
Francesco Paolo Liuzzi
Managing Director Nordex
Silvia Martone
22
In questi 30 anni la Nordex ha raggiunto ottimi traguardi a livello internazionale. Può
riassumerci in breve la storia di successo di
questa realtà?
Compiere 30 anni di attività per una società che lavora in un comparto così giovane come l’eolico è
davvero un bel traguardo, sta ad indicare che abbiamo mosso i primi passi sin dalla preistoria di
questo business e che abbiamo nel DNA una solida
cultura industriale e di sviluppo. Cultura dello sviluppo che si è concentrata soprattutto su macchine
di grande taglia, basti pesare che la prima macchina
da 2,5MW è stata messa in commercio nel 2007
quando i nostri concorrenti neanche pensavano a
questo traguardo.
Non solo sviluppo di macchine performanti e di
grande taglia ma anche sviluppo di progetti in alcune aree selezionate in Europa e Sud America. Il
nucleo principale della crescita è stato la Francia
propagandosi anche in altri paesi quali Polonia,
Svezia e Sud America. Questa attività ha dato
completezza al nostro know-how consentendoci di
vedere e rispondere a 360 gradi alle esigenze dei no-
In Italia quali sono i numeri raggiunti da Nordex e come reputa il
mercato italiano?
Benchè la società Nordex Italia sia stata fondata qualche
anno prima, l’attività commerciale vera e propria è iniziata alla fine del 2007 inizio 2008. Da allora
abbiamo istallato più di 600 MW in quasi tutte le
regioni del Meridione, ma anche in Piemonte. Il
service è cresciuto notevolmente e oggi gestiamo
quasi tutta la flotta istallata in Italia ed in Grecia attraverso una struttura di Service interno. A partire
dal 2012, anno del cambio di struttura di incentivazione, la nostra attività di vendita ha avuto una
contrazione in linea con le difficoltà in cui ha versato e versa il mercato eolico.
Il mercato italiano rappresenta un’anomalia nel
quadro dei paesi che si sono votati a questo tipo di
tecnologia, infatti, dopo una riduzione su scala globale dovuta alla crisi finanziaria, questo è l’unico
Paese che segna ancora il passo rispetto a Francia,
UK e Germania, che invece stanno decollando.
Stagnazione da addebitare non soltanto al sistema
delle aste in sé, quanto alla cieca decisione di limitare i contingenti a soli 300/400 MW per anno, laddove l’Italia aveva mostrato di poter supportare un
mercato di ben oltre i 1000 MW annui.
L’estensione del contingente insieme agli aggiustamenti che si stanno apportando al Decreto porte-
rebbe infatti stabilità, sicurezza e possibilità di programmazione da parte degli operatori professionali
e neutralizzerebbe quelle iniziative che intentano
una scommessa al ribasso.
Infatti, mentre oggi queste iniziative sono di sicuro
danno per tutto il comparto perché non realizzate
o realizzate con soluzioni sub ottimali, in un contesto di maggiore volume avrebbero un peso minimo
e poco significativo dal punto di vista dell’impatto
sulla salute di questo mercato che, al momento, è
un mercato drogato.
Di questo passo potremmo trovarci fra qualche anno
a dover comprare energia dall’estero perché Francia
e Germania ci venderanno energia prodotta dal
vento a prezzo più basso, mentre noi continueremo
a giocare con i numeri e a far pagare il sistema industriale l’inefficienza delle nostre politiche.
Quali gli sviluppi futuri?
Gli sbocchi di un mercato italiano sono ancora notevoli se si pensa a due capitoli principali.
Il primo è lo sfruttamento di aree un tempo considerate non profittevoli perché a basso vento che
oggi assumono grande interesse grazie alle performance degli aerogeneratori di nuova generazione.
Il secondo grosso capitolo è costituito da quei progetti istallati circa 15 anni fa che potrebbero essere
ripristinati con nuove macchine a vantaggio della
minor occupazione di territorio. Col passare del
tempo sempre più progetti avranno queste caratteristiche.
Altra frontiera che una tecnologia matura come la
nostra può raggiungere a medio termine è la partecipazione ad aste in cui concorrono tutte le tecnologie per la produzione di energia. Già oggi, se
si tiene conto del parametro LCOE (Levelized Cost
Of Energy) che mette in relazione il costo dell’investimento e la energia prodotta in 25 anni oltre al
costo del carburante per poterla generare, siamo in
ottima posizione.
A livello internazionale, invece, quali aree
geografiche reputa più appetibili?
Nordex è presente con proprie stabili organizzazioni in 28 paesi al mondo. L’Europa è considerata
un mercato domestico costituito principalmente da
Germania, Francia, UK, Turchia e Italia, attorno
a cui ruotano Svezia, Irlanda, Olanda, Sud Africa
e Pakistan, oltre al grande mercato americano sia
Centrale che del Sud. Negli ultimi anni abbiamo
fatto un grande balzo in avanti in Uruguay, per
esempio, e siamo presenti in Cile e in Messico. Poi
ci sono i mercati prospects su cui in maniera sistematica volgiamo l’attenzione in funzione di capacità
di sviluppo e normativa. Nessuna area del mondo
è esclusa. n
energia pulita
newsletter
23
I membri
del Coordinamento FREE
raccontano
Verso Parigi 2015
Sergio Andreis
Direttore Kyoto Club
“Non c’è dubbio che l’incisività dei cambiamenti previsti comporterà la rimessa in discussione dell’attuale modello economico, obbligando a una marcia accelerata verso la
sostenibilità ambientale del sistema industriale, dei trasporti, dell’edilizia, dell’agricoltura. È qui che si verificherà la capacità dei governi di anticipare il futuro, di avviare
azioni coraggiose, di compiere scelte efficaci. Dall’azione delle istituzioni dipenderà la
possibilità di interi segmenti produttivi di anticipare i cambiamenti” (2 Gradi – Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia. Gianni Silvestrini
– Kyoto Books – Edizioni Ambiente 2015).
dell’Europa sulla scena globale.
Quattro le priorità per il nostro Paese:
Per quanto riguarda l’energia: l’Italia può coprire il proprio fabbisogno energetico con
l’uso efficiente delle risorse, l’efficienza
energetica e le rinnovabili, dimenticando i
progetti dannosi e controproducenti, oltre
che dai risultati limitati, delle trivellazioni
per sfruttamento di idrocarburi. L’Italia dovrebbe varare, e insistere perché la UE vari,
un piano straordinario con obiettivi vincolanti per l’efficienza che garantisca nuova
occupazione attraverso la riqualificazione
spinta di interi edifici e quartieri, la cosiddetta “deep renovation”, con consumi almeno dimezzati che richiede soluzioni
finanziarie innovative - e rilanci le energie
25
Gli Stati generali sui cambiamenti climatici,
convocati dal governo lo scorso 22 giugno,
dovrebbero essere l’inizio di un percorso che
dovrebbe portare, anche sui temi dell’energia e della sostenibilità, ad una forte iniziativa italiana in sede europea, perché la UE
torni ad avere, al di là dell’asse USA – Cina,
un ruolo trainante nella diplomazia climatica, con proposte per azioni ambiziose e vincolanti - come è richiesto dalla gravità della
situazione e come è nell’interesse dei settori
più innovativi dell’economia del nostro continente - nelle trattative per il nuovo trattato globale sul clima. Se ciò non avvenisse,
alla Conferenza delle Nazioni Unite, a Parigi,
dal 30 novembre all’11 dicembre, si rischierebbe un accordo al ribasso, essenzialmente
cosmetico e una nuova marginalizzazione
rinnovabili in accordo con la Energy Union
promossa dalle istituzioni UE - anche per
evitare i cosiddetti aiuti di Stato, con particolare attenzione all’energia solare, sia fotovoltaica che termica, come pure all’eolico e
a tutte le rinnovabili frutto di ricerca e innovazione sia italiana che europea.
La consapevolezza dell’importanza del dibattito energetico, sulla sostenibilità e degli
effetti dei cambiamenti climatici è ancora limitata: andrebbero avviate, con il coinvolgimento di tutte le forze economiche, sociali,
delle organizzazioni della società civile,
delle università, degli Enti Locali e di testi-
sviluppo economico dei territori ed offrono
nuove opportunità di lavoro. Il sostegno deciso alla bioeconomia e alla correlata economia circolare, in favore della quale il
Parlamento europeo ha già votato e per la
quale la Commissione europea ha annunciato per il prossimo settembre un’iniziativa
– quadro, dovrebbe essere una priorità dell’azione del Governo, con zero rifiuto organico in discarica.
Continuiamo ad avere un comparto dei trasporti, responsabile di circa un terzo delle
emissioni CO2 equivalenti, quasi del tutto dipendente dai combustibili fossili. Sono urgenti iniziative da parte del
Governo in favore della mobilità
elettrica con l’obiettivo di 1 milione di auto elettriche al 2025,
della mobilità urbana sostenibile
e, finalmente, il ribaltamento
delle percentuali di trasporto
dalla gomma al ferro.
Siamo di fronte a sfide enormi. Come lo è
stata, a metà degli anni 80 del secolo scorso,
quella della progressiva distruzione dello
strato di ozono che ci protegge dalla radiazioni ultraviolette del sole e che causò danni
alla salute di milioni di persone nelle aree
più esposte. Nel settembre 2014 gli esperti
delle Nazioni Unite hanno reso noti i risultati
del monitoraggio sugli effetti del Trattato di
Montreal, del 1987, sottoscritto da quasi tutti
i Paesi: ventisette anni dopo, grazie all’azione internazionale concertata contro i
gas distruggi - ozono, la situazione è significativamente migliorata, con il ritorno, previsto entro il 2050, dello strato di ozono ai
livelli degli anni 80.
Un’altra dimostrazione che unendo le forze
è possibile cambiare le tendenze in atto,
anche dei cambiamenti climatici, di politiche
energetiche ancora troppo timide e ambientalmente non-sostenibili. n
unendo le forze è possibile
cambiare le tendenze in atto,
anche dei cambiamenti climatici
monial, campagne informative di lungo periodo nei media, nei luoghi di lavoro e nelle
scuole, con la spiegazione delle implicazioni
e delle opportunità: in termini di adattamento e mitigazione, per la trasformazione
ragionata dei comportamenti quotidiani, il
miglioramento della qualità della vita con la
sempre maggiore espansione dell’economia
verde, contribuendo, allo stesso tempo alla
riduzione delle emissioni di CO2 e gas climalteranti.
La bioeconomia: in Europa vale duemila miliardi di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di
persone. L’Italia è all’avanguardia e con ogni
mille tonnellate di bioplastiche prodotto, si
possono creare sessanta nuovi posti di lavoro. Il futuro è nel collegamento tra le imprese e i territori, tra la ricerca, l’industria e
l’agricoltura. Il mondo dell’agricoltura, della
chimica e delle biotecnologie, con l’obiettivo
di agevolare la diffusione di bioraffinerie che
adottino processi innovativi, favoriscono lo
RINNOVIAMO INSIEME
Il COORDINAMENTO FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha lo
scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nel quadro di
un modello sociale ed economico ambientalmente sostenibile, della decarbonizzazione
dell’economia e del taglio delle emissioni climalteranti, avviando un’azione più coesa delle
Associazioni e degli Enti che ne fanno parte anche nei confronti di tutte le Istituzioni; con 29
Soci Associazioni e un ampio ventaglio di Enti e Associazioni Aderenti (senza ruoli decisionali)
il COORDINAMENTO FREE è la più grande Associazione del settore presente in Italia.
ASSOCIATI
LEGAMBIENTE
Ordine degli Ingegneri
della Provincia di Roma
ADERENTI
Per informazioni:
Tel: +39 06 485539 +39 06 4882137
Fax: +39 06 48987009
Email: [email protected]
www.free-energia.it
PIANETA
TERRA
il
Davide Astiaso Garcia
Eolico, l’adeguamento
normativo alla disciplina
del rumore
29
La legge 30 ottobre 2014 n. 161, recante
disposizioni per l’adempimento degli
obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia all’Unione europea, all’art. 19,
conferisce la delega al Governo per
l’armonizzazione, entro diciotto mesi dalla
data di entrata in vigore della predetta
legge, della normativa nazionale con le
direttive europee in materia di
inquinamento acustico, in particolare con le
direttive 2002/49/CE, 2000/14/CE e
2006/123/CE e con il regolamento (CE) n.
765/2008.
In relazione a ciò, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare ha chiesto ad ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) di fornire, nell’ambito delle
proprie funzioni di organo tecnico, un supporto per lo studio delle tematiche oggetto
della delega, con il coinvolgimento dei
principali stakeholder nazionali. Per
quanto concerne le tempistiche di riferimento, il Ministero dell’Ambiente a richiesto ad ISPRA di inviare entro fine ottobre i
contributi tecnici propedeutici alle bozze
dei decreti previsti dall’art.19 della Legge
161/2014.
Dal momento che uno dei vari ambiti di
l’ISPRA ha istituito dei tavoli
di lavoro a cui l’ANEV ha
partecipato
applicazione a cui la legge fa riferimento
è l’adeguamento della normativa nazionale alla disciplina del rumore prodotto
dall’esercizio degli impianti eolici, l’ISPRA,
attivatasi per individuare i vari stakeholder per ogni argomento da trattare, ha individuato l’ANEV come interlocutore
indispensabile per tale specifica tematica.
Conseguentemente, nel mese di maggio
scorso l’ISPRA ha istituito dei tavoli di lavoro sulla revisione della normativa sull’acustica, a cui l’ANEV ha partecipato
unitamente al CNR, l’ARPA Puglia, l’ARPA
Toscana ed alcuni accademici esperti in
materia di emissioni acustiche ed impianti
eolici.
Gli obiettivi e le attività del tavolo tecnico,
in linea con quanto richiesto dalla delega,
hanno incluso anzitutto l’inserimento
nella Legge Quadro della sorgente “impianti eolici” e l’allargamento delle com-
30
petenze dello Stato a tali impianti, apportando modifiche agli articoli 2 e 3 della
L.Q.447/95.
A tal riguardo, durante il primo tavolo tenutosi a maggio scorso, il gruppo di lavoro
ha concordato l’inserimento anche dell’art. 11 tra quelli oggetto di modifica, in
modo da far rientrare la sorgente “impianti eolici” tra quelle oggetto di uno specifico regolamento di esecuzione.
Nonostante l’obiettivo del tavolo tecnico,
così come richiesto espressamente dalla
legge, può considerarsi soddisfatto a
fronte delle modiche alla legge quadro,
già condivise durante la prima riunione
del gruppo, l’ISPRA ha ritenuto opportuno
provare a continuare le attività per la
predisposizione del regolamento di
esecuzione, che dovrà essere emanato
nei tempi previsti dalla stessa legge
quadro. A tal fine, le attività del gruppo
da espletare nei prossimi mesi riguarderebbero la definizione delle categorie di
impianti eolici disciplinati dal futuro regolamento, l’individuazione dei limiti specifici, nonché la definizione di procedure di
misura specifiche.
Nel particolare, la definizione di procedure di misura e di modellizzazione specifiche dovrà essere realizzata previa
analisi delle norme e delle procedure per
la stime dell’impatto degli impianti eolici
(tra tutte la norma UNI di riferimento e la
procedura ISPRA), nonché alla luce delle
più recenti pubblicazioni scientifiche in
materia (particolare importanza è stata
data agli atti del convegno Wind Turbine
Noise 2015).
Durante il primo tavolo di lavoro sono stati
inoltre introdotte particolari tematiche da
approfondire nei prossimi mesi, quali l’applicazione dei valori limite (immissione,
emissione e differenziale), l’utilizzazione
territorio nazionale in merito all’applicazione dei limiti. Al riguardo, come prima
decisione si è convenuto di mantenere la
definizione attualmente presente nelle
norme relative alle infrastrutture dei trasporti. È stata inoltre affrontata la necessità di considerare, per un recettore, gli
impatti acustici cumulativi e regolamentarne le specifiche autorizzazioni.
Per quanto concerne i valori limite, la discussione tenutasi durante il primo tavolo
tecnico ha riguardato la possibilità di
avere limiti specifici, svincolando la sorgente “impianti eolici” dal rispetto dei valori limiti individuati dalla classificazione
acustica (immissione ed emissione) e
l’ipotesi di eliminazione del rispetto del
valore limite differenziale misurato all’interno delle abitazioni, cercando di utilizzare un analogo criterio, che garantisca la
stessa tutela, ma sia misurabile in esterno
e con gli impianti in esercizio. Si è argomentato inoltre sulla difficoltà per la sorgente specifica di individuare zone di
rispetto/fasce di pertinenza al pari delle
altre sorgenti (strade, ferrovie, aeroporti)
e quindi sulla possibilità di introdurre valori limite mobili. n
31
di specifici fattori correttivi, l’individuazione di zone di rispetto/fasce di pertinenza, la definizione di specifici limiti e
l’armonizzazione con i piani di classificazione acustica in sede di pianificazione di
nuovi impianti.
Considerando invece la definizione delle
categorie di impianti eolici da disciplinare
con il futuro regolamento, utilizzando la
classificazione energetica, ovvero basata
sulla potenza nominale, il gruppo di lavoro
ha anzitutto condiviso l’esclusione dalla
norma specifica degli impianti microeolici
e l’inclusione degli impianti macroeolici.
L’inclusione o meno nella norma specifica
degli impianti minieolici è stata oggetto di
discussione, trovando comunque concordi
i presenti nell’inserimento anche di questi
ultimi nel campo di applicazione della futura norma specifica, considerando che
per questi parchi eolici i recettori possono
trovarsi a distanze notevolmente inferiori
rispetto a quanto avviene tipicamente per
gli impianti macroeolici.
Con l’occasione, occorrerebbe inoltre precisare con maggiore chiarezza la definizione di “ricettore”, al fine di evitare le
notevoli discrepanze che si registrano sul
Carta, penna e diritto
Avv. Massimo Ragazzo
Studio Gerosa
Lo spalma-incentivi per le fonti
rinnovabili diverse dal fotovoltaico:
conclamati profili d’incostituzionalità
e sulle tariffe elettriche degli incentivi alle
energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo termine
dagli impianti esistenti, i produttori di
energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico - titolari di impianti
che beneficiano di incentivi sotto la forma
di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio - possono, per
i medesimi impianti, in misura alternativa:
a) continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto
residuo. In tal caso, per un periodo di dieci
anni decorrenti dal termine del periodo di
diritto al regime incentivante, interventi di
qualunque tipo realizzati sullo stesso sito
non hanno più diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro
dedicato e scambio sul posto, a carico dei
prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica;
b) optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, volta a valorizzare l’in-
33
Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 2014, è entrato in
vigore il decreto attuativo che regola la rimodulazione volontaria degli incentivi alle
fonti rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico (d.m. del Ministero dello Sviluppo economico 6 novembre 2014), il
quale, in attuazione dell’articolo 1, commi
3, 4, 5 e 6 del decreto legge 23 dicembre
2013 n. 145, cosiddetto “Destinazione Italia”, convertito dalla legge n. 9 del 21 febbraio 2014, ha stabilito le modalità di
determinazione dei nuovi incentivi riconosciuti sull’energia elettrica prodotta dagli
impianti a fonti rinnovabili esistenti, diversi dagli impianti fotovoltaici, i cui esercenti optino per l’estensione del periodo
di incentivazione di sette anni, previsto
dall’art. 1, comma 3, lett. b), del d.l. n. 145
del 2013 (cfr. art. 1 del d.m.).
Invero, l’art. 1, comma 3 del citato decreto
legge, convertito con modificazioni dalla
citata legge n. 9/2014, ha previsto che, al
fine di contenere l’onere annuo sui prezzi
tera vita utile dell’impianto. In tal caso, a
decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine di cui al comma 5 dello
stesso art. 1 (ovvero entro 90 giorni dall’entrata in vigore del d.m.; N.d.R.), il produttore accede a un incentivo ridotto di
una percentuale specifica per ciascuna tipologia di impianto, definita con decreto
del Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare, con
parere dell’Autorità per l’energia elettrica
e il gas, da applicarsi per un periodo rinnovato di incentivazione, pari al periodo
residuo dell’incentivazione spettante alla
medesima data, incrementato di 7 anni.
Diversi operatori del settore eolico, dopo
opportune analisi, hanno valutato che la
possibilità di aderire all’opzione del suindicato d.m. è tutt’altro che vantaggiosa e
non è affatto compensata dall’incremento
dell’incentivo per sette anni. Il quadro delineato da tali nuove disposizioni li ha,
dunque, convinti ad impugnare l’avversato
decreto ministeriale, com’era già stato
fatto da alcuni operatori del fotovoltaico
con il precedente “Decreto Competitività”
(d.l. n. 91/2014), che aveva modificato il
regime di incentivazione per l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di potenza
superiore a 200 kW.
Ora, malgrado il carattere alternativo
delle opzioni indicate dall’art. 1, commi 3
e 4, del d.l. 145/2013, il decreto
ministeriale in questione si configura come un intervento su
rapporti di durata già
cristallizzati in contratti di diritto privato
(le
convenzioni con
il GSE), o comunque
su
34
decisioni già assunte dai produttori, che
hanno effettuato investimenti e contratto
oneri in base a previsioni economiche di
cui l’aspettativa dell’incentivo è parte determinante.
Ciò risulta, in primo luogo, in contrasto
con i principi di cui agli articoli 3 e 41 della
Costituzione. Risultano inoltre violati i
principi comunitari di irretroattività, proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, ora
richiamati col più generale rinvio ai “principi generali dell’ordinamento comunitario”, dall’art. 1, comma primo, della l. n.
241/1990, come mod. dalle leggi n. 15 e n.
80 del 2005.
Ora, com’è noto, fermo il dato costituzionale, sul quale ci si soffermerà nel prosieguo, le energie rinnovabili sono oggetto di
una disciplina multilivello distribuita tra
trattati internazionali, direttive comunitarie e normative nazionali.
Il raggiungimento degli obiettivi europei di
aumento della percentuale di consumo finale di fonti rinnovabili, previsti, dalla dir.
2009/28/CE, per rispettare gli obblighi internazionali di riduzione delle emissioni
nocive discendenti dal rispetto del Protocollo di Kyoto del 7 dicembre 1997, è attualmente affidato, dagli Stati membri,
all’adozione di regimi nazionali di incentivazione.
Si tratta di meccanismi riconducibili senza
alcun dubbio, sotto il profilo concettuale,
alla nozione giuridica di incentivazione,
ossia alla previsione normativa di un beneficio diretto a stimolare il compimento
di un’attività economica, collegandone
l’attribuzione al suo effettivo svolgimento
(ed, eventualmente, ai risultati da questa
prodotti).
La necessità di questi regimi di incentivazione, al fine di accrescere la produzione
di fonti rinnovabili, ravvisa il proprio fondamento nelle basi giuridiche della politica energetica europea (art. 194 TFUE),
nonché nei vantaggi non monetizzabili associati alla loro produzione.
L’ordinamento europeo, fra le possibili tipologie di interventi di incentivazione, non
ha ritenuto adeguato, di regola, il ricorso
esclusivo a poteri e funzioni amministrative (atti di pianificazione, imposizione di
limiti, autorizzazioni, sanzioni amministrative). La disciplina europea propende
in effetti, a tal fine, per l’introduzione di
strumenti di mercato come l’erogazione di
incentivi o lo scambio di certificati rappre-
nologico per individuare le soluzioni più
innovative al fine di ridurre sempre più gli
effetti negativi sull’ambiente della propria
attività.
Il Titolo V del decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28, di attuazione della direttiva
2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, si occupa dei regimi di sostegno all’energia
prodotta da fonti rinnovabili e all’efficienza
energetica attraverso il riordino ed il potenziamento dei vigenti sistemi di incentivazione.
La necessità di tutelare l’affidamento del cittadino sulla certezza
delle situazioni giuridiche assume
in relazione al fenomeno dell’incentivazione economica, ossia dell’azione pubblica con una funzione
promozionale verso l’ottenimento
di determinate finalità «sociali»,
profili assai delicati perché incide
sull’esplicazione della libertà d’iniziativa economica privata, alla luce
dell’art. 41 Cost.
Tale principio, in effetti, è stato ritenuto
dalla Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 155 del 4 aprile 1990, strettamente connesso a questa libertà «non
solo nel momento iniziale, ma anche durante il suo dinamico sviluppo» e quindi
tale da investire, senza dubbio, anche gli
atti di destinazione del capitale finanziario. La sua applicazione, peraltro, assume
una forza assai pregnante, nel caso del
susseguirsi delle discipline di incentivazione, per la connotazione sostanzialmente contrattuale della relazione che si
instaura fra potere pubblico e soggetto
privato attraverso l’introduzione di un regime incentivante.
sentativi di quantitativi di produzione, sia
pur indirizzati e supportati dall’esercizio
del potere pubblico.
Tali meccanismi consentono una maggior
diversificazione delle misure da attuare in
relazione alla varietà delle condizioni ambientali e produttive, e offrono alle imprese una maggiore flessibilità nella
scelta dei modi per conseguire gli obiettivi
ambientali. L’utilizzo di meccanismi di
mercato, inoltre, mette gli attori economici maggiormente in grado di diminuire
i costi da questi complessivamente sostenuti per adeguarsi alla normativa ambientale o di ricercare soluzioni migliori per
rispettarle. Al tempo stesso, incentiva le
imprese ad impegnarsi nello sviluppo tec-
35
Con la sentenza (non definitiva)
23 giugno 2015, n. 8614, il TAR
Lazio ha sollevato la questione
di legittimità costituzionale
dello “Spalma incentivi”
fotovoltaico
L’esame della giurisprudenza costituzionale consente di evidenziate una progressiva apertura verso il riconoscimento del
principio di tutela dell’affidamento.
La sentenza n. 416 del 4 novembre 1999
rappresenta nel processo del riconoscimento del principio del legittimo affidamento una fondamentale svolta, in quanto
in detta pronuncia la Corte appare finalmente avviarsi verso il riconoscimento del
principio di legittimo affidamento come valore autonomo.
Nella successiva sentenza n. 525 del 22 novembre 2000, la Corte si spinge ancora
oltre nel suo cammino verso il riconoscimento del principio del legittimo affidamento come valore autonomo, qualificando
l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica come «principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non
può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti».
Che il problema del riconoscimento della
tutela dell’affidamento come valore sia imprescindibilmente collegato alla problematica della retroattività si evince inoltre
chiaramente da una successiva pronuncia
della Consulta, la sentenza n. 446 del 12
novembre 2002; ma è nella sentenza n. 24
del 2009 che la Corte individua più chiaramente gli altri limiti - genericamente ravvisati (nelle precedenti sentenze) negli
«altri principi o valori costituzionalmente protetti», chiarendo
che questi debbano essere più
specificamente individuati con i «principi
generali di tutela
del legittimo affidamento e di
certezza delle
situazioni giu-
36
ridiche».
La posizione assunta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2009 ha trovato successivamente conferma nella
sentenza n. 124 del 1° aprile 2010. In tale
decisione, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio
del legittimo affidamento da parte della
normativa censurata, ha confermato
quanto disposto nella pronuncia n. 24, secondo cui «l’intervento legislativo diretto a
regolare situazioni pregresse è legittimo a
condizione che vengano rispettati i canoni
costituzionali di ragionevolezza e i principî
generali di tutela del legittimo affidamento
e di certezza delle situazioni giuridiche […
]. La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto
consolidamento di situazioni sostanziali».
Con la sentenza (non definitiva) 23 giugno
2015, n. 8614, il TAR Lazio, Sezione III-Ter,
ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dello “Spalma incentivi” fotovoltaico (il D.L. n. 91/2014); il sospetto
paventato dal giudice amministrativo è che
l’art. 26 comma 3 del Decreto Competitività
violi il principio di ragionevolezza e di legittimo affidamento, oltre che il principio di
autonomia imprenditoriale, di cui agli artt.
3 e 41 della Costituzione.
Se l’esame dei giudici costituzionali dovesse confermare tale dubbio, dalla sentenza della Consulta potrebbe discendere
l’obbligo di risarcire il danno contestualmente a quello di restituire, da parte del
GSE, la differenza tra l’incentivo che toccava in base alla convenzione originaria e
quello rimodulato al ribasso dallo “Spalma
incentivi”.
Più precisamente, secondo il TAR, «(…) per
effetto del regime introdotto dall’art. 26 d.l.
n. 91/2014 (omologo al d.m. afferente alla
rimodulazione del regime incentivante
commi della disposizione».
Con la stessa sentenza non definitiva, il
TAR fa sapere di aver ritenuto (con ordinanza citata all’interno della sentenza, ma
ancora non pubblicata) rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma
3, del d.l. 91/2014, conv. l. 116/2014, per
violazione, in particolare, degli articoli 3, 41
e 77 della Costituzione, nonché per violazione del principio del legittimo affidamento, rimettendo alla Consulta il
pronunciamento sulla legittimità costituzionale del provvedimento (decisione che
dovrebbe intervenire nell’arco di un anno).
Senza voler essere considerati facili profeti, ma soltanto utilizzando il buon senso,
è da ritenere che analogo provvedimento il
TAR potrà adottare non appena verrà fissata l’udienza di trattazione del merito dei
ricorsi proposti avverso il decreto che regola la rimodulazione volontaria degli incentivi alle fonti rinnovabili elettriche
diverse dal fotovoltaico (d.m. del Ministero
dello Sviluppo economico 6 novembre
2014).
Invero, anche nel caso di quest’ultimo decreto, è da ritenere che possa senz’altro individuarsi un affidamento tutelabile, stante
il progressivo riconoscimento, da parte anzitutto del giudice europeo e poi di quello
costituzionale, dei principi del legittimo affidamento del cittadino e di certezza delle
situazioni giuridiche, quali valori autonomi,
ossia non ancorati ad una contestuale lesione di altri interessi costituzionali. Come
s’è detto, l’esame della giurisprudenza costituzionale consente di evidenziate una
progressiva apertura verso il riconoscimento del principio di tutela dell’affidamento, quale valore da stimare come
prevalente e meritevole di autonoma considerazione. n
37
degli impianti diversi da quelli fotovoltaici;
N.d.R.) parte ricorrente subisce una lesione
immediata e diretta della propria situazione giuridica soggettiva, coincidente con
la pretesa al mantenimento dell’incentivo
riportato nella convenzione, laddove è obbligata alla scelta – da esercitarsi entro il
30 novembre 2014 – di una delle tre opzioni
di rimodulazione di detti incentivi previste
dalla norma citata. Le opzioni di cui al
comma 3 dell’art. 26 ad.l. 91/2014, esplicando un effetto novativo sugli elementi di
durata e importo delle tariffe, senza considerare i costi di transazione derivanti dalla
necessità di adeguare gli assetti in essere
alla nuova situazione, operano in senso
peggiorativo. A parte la riduzione secca
delle tariffe di cui alla lett. c), avente chiara
portata negativa: - l’allungamento della
durata divisata dalla lett. a) (estensione a
24 anni con proporzionale riduzione delle
quote annuali), oltre a comportare una differita percezione degli incentivi, di per sé
(notoriamente) pregiudizievole, non può
non incidere sui parametri iniziali dell’investimento, impattando anche sui costi dei
fattori produttivi (si pensi ad es. alle attività
di gestione, alla durata degli eventuali finanziamenti bancari, dei contratti stipulati
per la disponibilità delle aree, delle assicurazioni, ecc.), ferma la necessità del parallelo adeguamento dei necessari titoli
amministrativi (cfr. comma 6); la lett. b) determina una riduzione degli importi per il
quadriennio 2015-2019 (…). Ne deriva che
la lesione, attualmente riferibile alla posizione delle ricorrenti, consegue all’immediata operatività dell’obbligo, imposto
dall’art. 26 comma 3° d.l. n. 91/2014, di
scelta di uno dei tre regimi peggiorativi
previsti dalla norma, da operarsi senza conoscere l’esatta portata ed effetto delle misure compensative previste dai successivi
PIANETA
TERRA
il
Daria Palminteri
39
La necessaria riforma
normativa sugli incendi
boschivi
La materia ambientale è stata esplicitamente introdotta nella Costituzione italiana
solo nel 2001 con la riforma del Titolo V,
Parte II, all’art. 117, comma 2, lett. s). Prima
di tale data si assisteva pertanto ad una difficoltà nella ripartizione delle competenze
fra Stato e Regioni con riferimento agli interventi relativi alla tutela dell’ambiente. Ad
arginare parzialmente tale difficoltà è più
volte intervenuta la Corte costituzionale,
che ha contribuito a delineare un sistema
basato su criteri di ripartizione di tipo sussidiario, ovvero legati alla dimensione territoriale dell’interesse.
Il novellato art. 117 Cost. riserva ora alla
competenza esclusiva dello Stato la materia
ambiente, ma il comma 3 dell’art. 117 Cost.
affida alla legislazione concorrente una
serie di materie che investono profili inscindibilmente connessi con la tutela dello
stesso quali, in particolare, la tutela della
salute, la protezione civile, il governo del
territorio, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, nonché la produzione, il
trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; ciò ha dunque comportato inevi-
40
tabilmente problemi di coordinamento, con
il conseguente incremento del contenzioso
davanti alla Corte costituzionale.
Un problema di raccordo fra competenze
statali e locali si pone, fra l’altro, con riferimento alla legislazione in materia di incendi boschivi, in relazione al quale
l’esigenza di una disciplina organica venne
per la prima volta affrontata con la Legge
quadro 353/2000. La Legge Quadro attribuisce, infatti, rilevanti compiti alle Regioni
per la prevenzione e lotta agli incendi; nel
dicembre 2001, in attuazione all’art. 8
comma 2 della L. 353/2000, sono state
emanate le “Linee guida relative ai piani
regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”.
Le Regioni, sulla base di tali linee-guida,
sono tenute ad approvare piani regionali
per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli
incendi, classificando il territorio secondo
i diversi livelli di rischio e rappresentandone le aree corrispondenti in apposite planimetrie.
Le difficoltà di individuazione delle relative
competenze rispettivamente di Stato e Regioni emerge, tuttavia, con riferimento a
questa materia con tutta la sua evidenza,
difficoltà a monte dovute alla formulazione
della legge in oggetto. La legge quadro, infatti, delinea un sistema che genera una
eccessiva frammentazione di competenze
istituzionali fra i vari soggetti coinvolti; ne
consegue che il più delle volte le strutture
incaricate della prevenzione e della repressione degli incendi operano senza una vera
e propria organizzazione e senza alcun coordinamento fra loro poiché molteplici
sono gli enti a cui viene affidato tale compito, determinando peraltro un eccessivo
vento è previsto, manca la previsione di
qualunque forma di raccordo fra Corpo dei
Vigili del fuoco - privi in ogni caso di qualunque poteri di coordinamento delle attività - e Corpo Forestale, che ha poteri di
polizia ambientale, accanto ad un’altra
serie di competenze in altri settori.
A ciò si aggiunga che l’apporto dello Stato
all’attività di spegnimento aereo degli incendi boschivi è oggi attuato mediante l’impiego della flotta aerea antincendio del
Dipartimento della Protezione Civile, che si
avvale a tal fine del Centro Operativo Aereo
Unificato, il quale, anche laddove sia previsto la partecipazione dei Vigili del Fuoco,
conserva comunque il comando e la responsabilità delle attività, con conseguente scissione, in questi casi,
tra soggetto deputato allo svolgimento dell’attività di programmazione e controllo e soggetto
concretamente chiamato a svolgere attività di intervento, privo di
poteri decisionali e di iniziativa.
L’articolato sistema codificato
dalla legge sugli incendi boschivi presenta
pertanto elementi di forte criticità, a causa
della disorganicità e frammentazione di
competenze che pregiudica in maniera
sensibile l’efficienza tecnica ed operativa
degli interventi, con il rischio ulteriore di
generare fenomeni speculativi discendenti
da una degenerazione dell’impiego dello
strumento della Convenzione, fenomeni
che aggravano la dispersione di risorse, le
lungaggini operative e la sovrapposizione
di interventi. Da più parti si sottolinea, pertanto, la necessità di una riforma che ponga
fine alla scarsa chiarezza nella distribuzione dei ruoli e al dispendio eccessivo e
superfluo di risorse pubbliche, che hanno
un inevitabile ripercussione negativa sul
positivo funzionamento del sistema. n
dispendio di denaro pubblico.
Si assiste pertanto, molto spesso, ad un accavallarsi di interventi, senza che questo
impiego massiccio e simultaneo di risorse
si traduca in effettivo incremento dell’efficacia delle azioni preventive e repressive
ma, anzi, generando un sistema che in numerose occasioni si traduce in un intralcio
reciproco e conseguente rallentamento
delle operazioni.
La legge in oggetto, inoltre, prevede la possibilità che le Regioni stipulino convenzioni
con vari enti e corpi per la lotta agli incendi,
in base ad una scelta discrezionale che
comporta come, ad esempio, in alcune Regioni sia previsto l’intervento dei Vigili del
fuoco che in altre non è invece contemplato. Peraltro, anche laddove tale inter-
41
la necessità di una riforma che
ponga fine alla scarsa chiarezza
nella distribuzione dei ruoli e al
dispendio di risorse pubbliche
PIANETA
TERRA
il
Silvia Martone
Il Manifesto
della green economy
per l’agroalimentare
attività e produzioni non alimentari cresciute
nelle campagne, le misure da adottare anche
nell’agricoltura per far fronte alla crisi climatica
in atto, la necessità di sostenere la diffusione
delle buone pratiche di un’agricoltura sostenibile e di qualità, quelle per rafforzare i controlli
e la sicurezza alimentare, come combattere lo
spreco di alimenti e di risorse agricole e come
far fronte agli inquinamenti e al continuo consumo di suoli agricoli”.
L’agroalimentare in Italia ha raggiunto traguardi
importanti in direzione “green”: la produzione
di energia rinnovabile di origine agricola è cresciuta da 6 a 7,8 milioni di Tep tra il 2010 e il
2012 e oltre 21.500 aziende agricole possiedono
impianti per la produzione da FER; l’agricoltura
italiana ha ridotto le emissioni di gas serra di 10
Mtep dal 1990 al 2013 ed è responsabile del
7,1% delle emissioni di gas serra nazionali. In
flessione anche l’uso di fitofarmaci passati da
11,2 Kg/Ha nel 2010 a 9,2 nel 2013; inoltre le
coltivazioni biologiche occupano ben il 10%
della superficie agricola italiana (1,3 milioni di
ettari) e il nostro Paese è secondo in Europa per
coltivazioni bio subito dopo la Spagna. È necessario però lavorare ancora per risolvere alcune
criticità, come la crescita delle frodi alimentari
che sono salite del 48,6% tra il 2010 e il 2012,
43
Con Expo 2015 di Milano e il suo leit motiv “nutrire il Pianeta” non poteva non nascere un connubio tra sviluppo sostenibile, green economy e
agroalimentare. A consacrarlo il Consiglio Nazionale della Green Economy che ha approvato
il “Manifesto della green economy per l’agroalimentare”.
Questo manifesto, che tradotto in inglese e in
francese sarà diffuso a livello internazionale,
punta a proporre, in occasione dell’Esposizione
universale, alcuni indirizzi di green economy per
l’agricoltura, che provengono da una riflessione
radicata nel modello italiano, ma che possono
essere “esportati”. Adottare la visione della
green economy significa aggiungere valore economico e ambientale al comparto agroalimentare.
Il Manifesto, ha detto Edo Ronchi, Presidente
della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che
è l’organismo di supporto del Consiglio Nazionale della Green economy, “si propone di contribuire al dibattito nazionale e internazionale,
con proposte sui temi cruciali per l’agricoltura
nella nostra epoca: la necessità di uno sviluppo
durevole e di buona qualità delle produzioni
agroalimentari per nutrire la popolazione mondiale, il rapporto che va regolato per coordinare
la priorità della produzione di cibo con le altre
con un valore economico pari a 4 miliardi di
euro, e la riduzione del suolo agricolo a fronte
di un consumo di suolo che cresce a ritmo di 55
ettari al giorno nel 2013.
Le sette proposte contenute nel Manifesto, nel
dettaglio, sono le seguenti.
Adottare la visione della green economy per assicurare uno sviluppo durevole e di qualità della
produzione agroalimentare. L’agricoltura deve
essere in grado di produrre cibo necessario alle
presenti e alle future generazioni, producendo
reddito adeguato agli agricoltori, occupazione e
qualità delle colture. Ciò può essere reso possibile utilizzando i saperi della tradizione e le
buone pratiche dell’eco-innovazione.
Coordinare la multifunzionalità con la priorità
delle produzioni agroalimentari. La bioeconomia, le bioenergie e le attività come l’agriturismo, quando sono integrate e sostenibili per i
territori, non producono impatti ma al contrario
contribuiscono al presidio del territorio, al recupero di aree degradate e a fornire possibilità
aggiuntive di reddito. Alcuni numeri possono
aiutare a comprendere l’importanza della multifunzionalità. La produzione di energia rinnovabile di origine agroalimentare (legna,
biocombustibile e biogas da impianti agro zootecnici) è in crescita da 6 milioni di TEP nel 2010
a circa 7,8 milioni di TEP nel 2012. Al 2013 sono
21.573 le aziende agricole italiane che possiedono impianti di autoproduzione di energia da
FER. In tale ambito è bene citare l’esperienza di
due aziende presenti al convegno di presentazione del Manifesto. La prima, il Gruppo Lungarotti, è una nota realtà vitivinicola umbra che dal
2008 produce energia da biomasse con i residui
delle potature pari a circa 720 MWh l’anno, sufficienti per soddisfare completamente i consumi
termici dell’azienda (acqua calda e acqua surriscaldata) e circa il 30% dei consumi elettrici
delle macchine frigorifere a compressione e con
un risparmio di 100 tonnellate di CO2 all’anno.
Altro caso esemplare è quello delle “Fattorie
44
della Piana”, cooperativa casearia di Rosarno
che ha dato vita ad un “sistema integrato autosufficiente e auto sostenibile”, grazie ad una
centrale a biogas da 998 kW, alimentata dagli
scarti dell’azienda, quali liquami e scarti caseari, che è in grado di soddisfare i bisogni di
2.180 famiglie e ad un impianto fotovoltaico da
4 kW.
Attuare misure di adattamento alla crisi climatica. Il cambiamento climatico ha già un forte
impatto sull’agricoltura, che può dare un contributo importante alla mitigazione delle crisi climatica, sia con attività di assorbimento di gas
serra (attraverso la gestione delle risorse forestali, dei terreni e dei pascoli), sia riducendo le
emissioni (con l’uso di FER, diminuendo l’utilizzo di fertilizzanti azotati etc.) Ma è necessario
anche rafforzare ed estendere misure di adattamento accelerandone la diffusione di azioni e
pratiche agronomiche in grado di aumentare la
resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici.
Superare modelli agricoli non più sostenibili e
promuovere la diffusione delle buone pratiche.
È opportuno promuovere una green economy
agroalimentare basata su produzioni sostenibili
di qualità, veri e propri motori di sviluppo delle
economie e delle colture locali. Occorre puntare
su territori ben coltivati e con buone pratiche
agricole, supportate da alti livelli di formazione
e di conoscenza e da un maggior contributo
della ricerca e dell’eco-innovazione.
Tutelare la sicurezza alimentare, potenziare i
controlli e le filiere corte. Il punto debole dell’agroalimentare è proprio questo. L’aumento
delle frodi alimentari in Italia dal 2010 al 2012 è
stato pari al 48,6% a causa di carenze dei controlli a livello internazionale. Per tutelare la
qualità della filiera agroalimentare occorre potenziare i controlli su scala globale, armonizzare
le normative, puntare sulla tracciabilità, sull’origine garantita e protetta e rafforzare le filiera corte e le produzioni locali.
Fermare lo spreco di alimenti, assicurare la circolarità dell’economia delle risorse alimentari.
Lo spreco alimentare nei Paesi industrializzati,
pari a 220 Mton, equivale alla produzione alimentare dell’Africa Sub Sahariana. Per contrastare sprechi di questa rilevanza è necessario
introdurre buone pratiche e una migliore educazione alimentare. È inoltre necessario applicare alle filiere agroalimentari un sistema di
economia circolare, puntando a minimizzare i rifiuti e prevenire attivamente scarti e perdite in
tutte le fasi.
Fermare le minacce alla produzione agroalimentare e ai suoli agricoli.
In Italia la superficie agricola utilizzata è in continua riduzione. Si è passati da 15 milioni di ettari nel 1990 al 12,8 nel 2010. Particolare
allarme suscita lo sviluppo incontrollato delle
urbanizzazioni e delle infrastrutture che alimenta consumo dissennato di suolo agricolo. Le
politiche di gestione e di uso dei suoli vanno
cambiate, con lo scopo di preservare il quello
agricolo.
su qualità e tracciabilità dei prodotti, preservare
la biodiversità, puntare sulle rinnovabili e aumentare la competitività della aziende, che in
Italia hanno mostrato forza e non si sono slegate
dal territorio”.
Inoltre, il Ministero sta ponendo tutta una serie
di strumenti e azioni a sostegno del settore
agroalimentare, primo fra tutti il “Piano strategico nazionale per l’innovazione e la ricerca
nell’agricoltura”, mirato a far sì che tradizione
e innovazione cooperino per qualificare il
mondo agricolo. Infine, il “Piano di sviluppo rurale 2014 – 2020”, che prevede una serie di misure mirate al contrasto dei cambiamenti
climatici tramite la promozione delle energie
rinnovabili, alla tutela degli ecosistemi e delle
foreste, alla promozione del “bio” e alla corretta
gestione del territorio.
Il Ministero delle Politiche Agricole sembra
quindi essersi già messo in gioco per la realizzazione dei temi proposti dal Consiglio nazionale della Green economy, mostrando ampio
interesse e valutando positivamente l’iniziativa.
Come accennato, l’idea del Manifesto è
nata in vista dell’Expo 2015 di Milano e
non poteva mancare l’intervento del Presidente del Comitato scientifico di Expo
Milano, Claudia Sorlini, la quale ha ribadito l’importanza della sostenibilità in campo
alimentare. È necessario ridurre le perdite e gli
scarti anche migliorando la resilienza e le colture di alta qualità, migliorare la fertilità dei
suoli attraverso la rotazione e il miglioramento
dell’agrochimica. È necessario poi favorire
l’educazione alimentare e valorizzare la dieta
mediterranea, premiando i casi di agricoltura
così detta “eroica”, ovvero quelli in cui, seppur
in condizioni ostili, riesce a produrre prodotti
pregiati, come ad esempio il Passito di Pantelleria. In Italia i prodotti agroalimentari di qualità
(DOP, IGP, STG) sono in aumento e rappresentano il 22% del totale europeo, con 261 prodotti.
Tale patrimonio va riconosciuto e sviluppato. n
Fondamentale per mettere in pratica i dettami
del Manifesto è il supporto delle istituzioni e in
particolare del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che era presente
alla presentazione per voce del Vice Ministro
Andrea Olivero, che ha espresso l’interesse del
Ministero alla creazione di un nuovo modello di
sviluppo per l’agricoltura.
“Vent’anni fa la globalizzazione era percepita
come omologazione e da subito il mondo agricolo cercò di opporvisi. Oggi di fatto si tende a
valorizzare la differenziazione delle colture e la
diversità è diventata un valore aggiunto”, ha
commentato Olivero. “È necessario conciliare
rispetto per l’ambiente e sostenibilità, investire
45
l’idea del Manifesto è nata in
vista dell’Expo 2015 di Milano
PIANETA
TERRA
il
Cristina Parisi
Ambiguità e opportunità della
politica energetica cinese nel
Continente africano
questo Paese sul Continente africano si nota che
l’acquisizione delle materie prime, l’apertura di
nuovi mercati emergenti e il supporto africano all’interno delle istituzioni internazionali risultano
essere le aree di interesse principali.
Per quanto concerne le materie prime, la Repubblica Popolare Cinese riesce ad attingere dall’Africa più del 30% del suo intero volume di
importazione di greggio, materia prima necessa-
ria per supportare la propria straordinaria crescita. Infatti il grafico sottostante, figura n. 1, ad
opera dell’Agenzia Internazionale per l’Energia,
mostra come sia aumentata la produzione di energia dal 1971 ad oggi. Tale produzione, che al 2011
ammontava a circa 2.500 Mtoe, qualsiasi fosse la
fonte di energia, è aumentata con andamento
quasi costante fino al 2002,
quando vi è stata un’impennata.
La fonte maggiormente utilizzata rimane il carbone, seguito
da petrolio e biocombustibili.
Oltre al greggio, la Cina attinge
dai Paesi africani anche ingenti
quantità di rame, uranio, coltan, oro, argento, platino e legname. Il governo di Pechino
ha fondato la sua strategia
della sicurezza energetica su
due pilastri: da una parte, ha
fatto affidamento sui mercati
internazionali e nazionali al fine
di aumentare l’efficienza, la trasparenza e la stabilità; dall’altra, ha intrapreso una serie di iniziative politico-diplomatiche che concentrano
l’attenzione sugli investimenti sostenuti all’interno
dei Paesi africani al fine di migliorare le infrastrutture atte al trasporto delle risorse e per potenziare l’industria estrattiva nel suo complesso.
Secondo molti autori1 , la Cina, a causa del suo sviluppo accelerato, è molto lontana dal raggiungere
47
Fonte: Agenzia Internazionale per l’Energia.
È evidente che il quadro geopolitico del mondo sia
mutato notevolmente nell’ultimo decennio e che
protagonista indiscussa di tale mutamento sia
stata la Cina. L’interesse cinese nei riguardi dell’Africa riflette una chiara ed evidente strategia politica ed economica.
Da un’analisi più dettagliata delle operazioni di
la sicurezza energetica. Si tenga conto che è diventata anche la seconda realtà al mondo, dopo gli
Stati Uniti, per il consumo di energia e ha superato
questi ultimi per l’emissione di gas serra, conquistandosi così il primo posto sulla black list dei
Paesi che contribuiscono all’innalzamento delle
temperature globali.
La ricerca di risorse ha portato il Gigante asiatico
in Africa, in particolar modo in Africa Sub-Sahariana, dove 19 Paesi sin dalla metà degli anni Novanta vedono crescere il proprio PIL del 4,5%
all’anno2, grazie proprio alla presenza cinese ed al
conseguente afflusso di IDE. Il fil rouge che accomuna queste economie è la costruzione di nuove
infrastrutture o l’ammodernamento di quelle vecchie, in cambio dello sfruttamento delle materie
prime presenti nel sottosuolo, con il conseguente
aumento del volume delle esportazioni favorevole
alle economie degli Stati presi in considerazione.
La presenza cinese ha dunque innescato dei cicli
virtuosi dal punto di vista economico in questi territori. Un esempio su tutti è quello del Congo. La
Repubblica Democratica del Congo è da sempre
oggetto degli appetiti, coadiuvati dalla forma politica statale debole, di varie potenze mondiali e regionali per via dell’abbondanza nel suo territorio
di molte materie prime, tra cui petrolio, coltan, oro
e rame. Mentre gli Occidentali hanno elargito prestiti senza sosta - permettendo che le infrastrutture si deteriorassero a tal punto che negli anni
Ottanta solo un quarto di quelle esistenti negli
anni Sessanta fosse effettivamente utilizzabile3 - i
cinesi hanno iniziato l’opera di sollevamento dell’economia congolese proprio dalle infrastrutture.
L’intervento cinese in Africa rappresenta per il
Continente un’opportunità di rivalsa nell’economia
globale, ma anche un mezzo per poter promuove
la riduzione della povertà e perseguire così lo sviluppo.
Purtroppo però, la mancanza d’attenzione cinese
1
48
D.H. Rosen, T. Houser, “China Energy, a guide for the
perplexed”, China Balance Sheet, A Joint Project by the
Centre for Strategic and International Studies and the
Peterson Institute for International Economics;
M. Lanteigne, “The Globalisation/Developmentalism Conundrum in Chinese Governance, The Chinese Party
State in the 21st Century: Adaptation and Reinventation
of Legitimacy”, ed. AndrèLalibertè and Marc Lanteigne,
Milton Park, UK and New York, Routledge, 2008, pp.162183;
ai principi della “good governance” e il sostegno
ai regimi in Sudan e Zimbabwe hanno destato preoccupazione circa il ritardo nel perseguimento riforme volte a migliorare trasparenza e
“accountability” nei Paesi africani.
A ciò si aggiunga la scarsa importanza data al rispetto dei diritti umani, la presunta mancanza del
rispetto dei diritti dei lavoratori, che ha già dato
vita a rivolte anti-cinesi in vari territori africani, e
dei diritti ambientali, che potrebbe esser dannosa
non solo per la crescita dei Paesi stessi, ma anche
per gli sforzi dell’intera comunità internazionale
che da decenni si prodiga al fine di conseguire
standard comuni in tali settori 4.
Così è ormai già da qualche anno che la comunità
internazionale interferisce nei rapporti tra Cina ed
Africa, ritenendo troppo aggressiva la strategia di
penetrazione cinese volta solo ed esclusivamente,
secondo i governi Occidentali, ad esaudire gli interessi di Pechino. Diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’OCSE, ma anche l’UE e gli USA,
infatti, hanno cercato di rendere più trasparente la
politica cinese nel Continente 5. In particolare
l’OCSE, per tentare di frenare l’aggressività delle
imprese cinesi, ha elaborato una serie di principi
che dovrebbero orientare per la realizzazione
delle opere e dei servizi infrastrutturali. Dunque
la Cina, affinché possa continuare a trarre benefico da questa “Win-Win Cooperation” dovrà rivedere la propria politica in Africa, non solo
rendendo più trasparenti i processi decisionali, ma
anche permettendo la compartecipazione di tutti
gli stakeholders. Inoltre, al fine di non esser tacciata di mettere in atto una forma di neocolonialismo dai risvolti negativi, dovrà dare maggiore
importanza alla sostenibilità ambientale e sociale
del proprio operato, permettendo così che non
solo le relazioni sino-africane permangano, ma
che a beneficiarne realmente siano entrambi i
protagonisti. n
W. Jinglian, “China’s heavy industry delusion”, Far Eastern Economic Review, luglio/agosto 2005.
2
H. G. Broadman, “Africa’s silk road- China and India’s
new economic frontier”, The World Bank, 2007.
3
S. GARDELLI, “L’Africa cinese- Gli interessi asiatici nel
Continente Nero”, EGEA- Università Bocconi Editore,
2009, Milano.
4
A. Zafar, “The Growing Relationship Between China
and Sub-Saharan Africa: Macroeconomic, Trade, Investment, and Aid Links”, The World Bank, 2007.
5
China aid is wake-up call to Europe, German official
warns, in Deutsche Presse, 5 novembre 2006;
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento e al Comitato Economico e Sociale Europeo,
Strategia dell’Unione europea per l’Africa: verso un
patto euro-africano per accelerare lo sviluppo dell’Africa, [SEC(2005)125], Bruxelles, ottobre 2005;
World Bank Group’s Africa Catalytic Grouth Fund, approvato il 22 febbraio 2006.
Corsi di formazione per entrare o specializzarsi nel mondo del lavoro della green economy
dalla porta principale dell’ ENERGIA RINNOVABILE EOLICA
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