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SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI
PIANETA TERRA il Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale PERIODICO FONDATO DA CIRO VIGORITO SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI RESISTERE ALLE TENTAZIONI O SI SVENDERANNO AL MIGLIOR OFFERENTE? Simone Togni L’intervista Alessandro Gilotti Presidente Unione Petrolifera O ST O AG O- 15 I GL 20 U L PIANETA TERRA il Mensile di informazione e cultura dell’ambiente, dell’energia e delle fonti rinnovabili Direttore responsabile Simone Togni sommario luglio-agosto 2015 3 7 SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI RESISTERE ALLE TENTAZIONI O SI SVENDERANNO AL MIGLIOR OFFERENTE? Simone Togni INTERVISTA AD ALESSANDRO GILOTTI Presidente Unione Petrolifera Antonella Cocca Contatti via Tagliamento 24, 00198 Roma Comitato di Redazione Simone Togni, Stefania Abbondandolo, Davide Astiaso Garcia, Silvia Martone www.ilpianetaterra.it Registrazione n. 66 del 5 giugno 2003 presso il Tribunale di Napoli Proprietario del Periodico gps srl Gruppo Problem Solving 11 15 19 LA VIA OLANDESE DELL'EFFICIENZA IN EDILIZIA Sergio Ferraris NEWSLETTER ANEV 22 Intervista a FRANCESCO PAOLO LIUZZI Managing Director Nordex Silvia Martone 25 29 Editore Sinderesi srl ROC 25332 33 39 Progetto grafico L’asterisco di Barbara Elmi, Roma 43 Stampa GPT - Gruppo Poligrafico Tiberino Via Ponchielli, 30 - 06073 Loc Ellera, Corciano (PG) QUANTI MALI PER LE RINNOVABILI G.B. Zorzoli 47 COORDINAMENTO FREE KYOTO CLUB Sergio Andreis EOLICO, L’ADEGUAMENTO NORMATIVO ALLA DISCIPLINA DEL RUMORE Davide Astiaso Garcia CARTA, PENNA E DIRITTO Avv. Massimo Ragazzo LA NECESSARIA RIFORMA NORMATIVA SUGLI INCENDI BOSCHIVI Daria Palminteri IL MANIFESTO DELLA GREEN ECONOMY PER L’AGROALIMENTARE Silvia Martone AMBIGUITÀ E OPPORTUNITÀ DELLA POLITICA ENERGETICA CINESE NEL CONTINENTE AFRICANO Cristina Parisi Delle opinioni manifestate sugli scritti o siglati sono responsabili i singoli Autori dei quali il Comitato di Redazione intende rispettare la piena libertà di giudizio. La collaborazione alla rivista è aperta a tutti gli interessati, tuttavia è compito della Redazione definire i contenuti di ciascun numero, la scelta degli articoli e il tempo di pubblicazione. La riproduzione, anche parziale degli scritti e dei grafici pubblicati su “il pianeta terra” è consentita previa autorizzazione e citando ovviamente la fonte. 1 Redazione • Pubblicità [email protected] PIANETA TERRA il Simone Togni 3 SAPRANNO LE ASSOCIAZIONI DELLE RINNOVABILI RESISTERE ALLE TENTAZIONI O SI SVENDERANNO AL MIGLIOR OFFERENTE? Negli ultimi anni il settore elettrico è cambiato nella composizione del suo mix e, soprattutto, nella sua visione di medio periodo in modo molto profondo. Basti pensare che non più di trent’anni fa il combustibile principale utilizzato era il petrolio e non sembrava in discussione la sua centralità anche futura. Invece, a cavallo dell’inizio del nuovo millennio, il gas è diventato centrale ed ha sostituito in gran parte i prodotti petroliferi nella produzione elettrica, mentre nell’ultimo decennio abbiamo visto le Fonti Rinnovabili crescere impetuosamente arrivando oggi a coprire oltre il 40% del mix nazionale. sempre accade in queste fasi, un attacco massiccio dei grandi gruppi che vedono minacciato il loro futuro e che cercheranno di difendere i loro privilegi in ogni modo. Non sfuggirà, infatti, che un cambio di paradigma così deciso come quello in corso non si è mai visto, nel passato si trattava di capire quale fonte fossile sarebbe stata più utilizzata ma nella sostanza i players non variavano molto. Ora la strada è invece abbastanza nuova e rischia di spiazzare i campioni nazionali tradizionali che, se non corrono a modificare le loro politiche, rischiano seriamente di trovarsi fuori gioco. C’è da dire che in realtà un percorso di convivenza pacifica ci sarebbe ed è quello che il Presidente dell’AEEGSI Guido Bortoni ha recentemente delineato nel corso della Relazione Annuale, dove ha auspicato una sempre maggiore elettrificazione del Paese nei consumi finali (dagli usi domestici di riscaldamento/rinfrescamento a quelli per la cottura fino alla mobilità) e uno spostamento dei consumi di gas sulla produzione elettrica insieme alla crescita delle Fonti Rinnovabili. Questo percorso è quello maggiormente sostenibile sia da un punto di vista del necessario innalzamento dell’efficienza dei sistemi di produzione, sia per quanto riguarda le minori emissioni di CO2. In questa direzione vanno le proposte di modifica delle tariffe che l’AEEGSI è in procinto di definire. L’aumento dei consumi elettrici, infatti, potrebbe far rifiatare gli impianti tradizionali oggi in difficoltà e consentire loro di convivere con le FER in crescita, tuttavia questo ha senso solo se servirà a gestire intelligentemente la transizione. Se c’è una cosa chiara è che le FER continueranno la loro crescita, dipenderà dai tempi e dai modi ma il nostro mondo si affrancherà sempre più il futuro energetico dei prossimi anni si decide nei prossimi mesi Questo percorso virtuoso nell’utilizzo di fonti di energia via via meno impattanti per quanto riguarda l’emissione di CO2, è certamente destinato a continuare per una serie di motivi: mutamenti climatici, consumo delle risorse, emissioni nocive, rischi geopolitici e sicurezza degli approvvigionamenti energetici. A fine anno si terrà la COP21 di Parigi dove, per la prima volta in oltre 20 anni di negoziati delle Nazioni Unite sulla questione climatica, si proverà a raggiungere un obiettivo legalmente vincolante finalizzato a mantenere sotto i 2°C il surriscaldamento globale. Inoltre, nella Capitale francese si definiranno i percorsi dal 2020 al 2030 e poi fino al 2050, nella lotta ai cambiamenti climatici e verranno definiti gli obiettivi comuni e gli strumenti necessari a raggiungerli. Come si vede, quindi, il futuro energetico dei prossimi anni si decide nei prossimi mesi e per questo è facile aspettarsi, come 4 due principali Associazioni delle Rinnovabili non si arrenderanno a tale disegno e continueranno a far sentire la loro voce. D’altronde sarebbe un suicidio incomprensibile vedere i vincitori abbandonare il campo in un momento, quello attuale, che vedrà le rinnovabili rappresentare la maggioranza del mix energetico del Paese. Questo cambiamento epocale deve vedere, invece, un analogo passaggio nella rappresentanza Associativa che pertanto, lo diciamo da alcuni anni, deve finalmente essere sdoganata e vedere il settore delle Rinnovabili assurgere al ruolo che gli compete, quello di rappresentare oltre la metà del comparto elettrico nazionale. Quindi si rende necessario avere una rappresentanza indipendente, svincolata dai vecchi schemi e soprattutto libera di continuare a difendere gli interessi generali. È certo che il settore fossile tenterà il colpo di coda, già se ne è avuta qualche avvisaglia, ma il mondo delle rinnovabili risponderà, ne siamo sicuri, con un’unica voce a difesa della propria libertà di impresa e del proprio futuro che finalmente si sta delineando come vincente. n 5 dalle risorse fossili, è solo questione di tempo. Se invece questa tregua servirà a combattere l’ineluttabile transizione l’esito sarà solo quello di ritardarla sprecando un’altra occasione. Se questo tentativo di resistenza a oltranza dovesse concretizzarsi, ci si dovrebbe aspettare anche una riorganizzazione sia dal lato comunicativo sia, e soprattutto, da lato della rappresentanza del settore fossile, mirante alla difesa dello status quo. Anche nel passato si sono registrati alcuni tentativi di mettere a tacere le voci dissonanti e “fastidiose” ma almeno due associazioni, Assorinnovabili ed ANEV, sono sempre rimaste a difesa degli imprenditori delle fonti pulite di energia, tutelando e difendendo gli interessi del sistema e sorreggendo le scelte di non discriminazione di tali fonti. In questa fase quindi dovremo assistere senza dubbio ad altri e ben più diretti tentativi finalizzati ad una voce unica a difesa dei richiamati interessi fossili che tenterà di sopire le altre. Questo attacco, facilmente prevedibile, desta non poche preoccupazioni perché rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti fino ad ora. Tuttavia siamo sicuri che almeno le PIANETA TERRA il Antonella Cocca Economia low carbon, il ruolo del petrolio Intervista ad Alessandro Gilotti 7 Presidente Unione Petrolifera A giugno si è tenuta l’assemblea dell’Unione Petrolifera, che quest’anno ha discusso anche del contributo che la vostra industria può dare per il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di clima ed energia, anche in vista della Conferenza sul clima (COP 21 di Parigi) in programma a dicembre. Quali sono state le conclusioni? La scelta di focalizzare l’assemblea di quest’anno sul contributo che il nostro settore può dare al raggiungimento degli obiettivi italiani ed europei in materia di clima ed energia nasce dalla volontà di rivendicare ciò che di positivo abbiamo già fatto e ciò che siamo pronti a fare per accompagnare la transizione verso una economia de-carbonizzata, che è l’obiettivo ultimo delle politiche ambientali degli ultimi anni, ma che non avverrà certo da un giorno all’altro. Occorre prepararsi per tempo per evitare di correre rischi dal punto di vista della sicurezza delle forniture e degli approvvigionamenti che andranno comunque garantiti, e in questo la nostra industria sarà essenziale. La domanda di mobilità (aereo, nave, auto) per i prossimi 15-20 anni, infatti, sarà ancora soddisfatta in larga parte dai prodotti petroliferi. Ma sarà essenziale soprattutto per evitare di ridurre fittiziamente l’impatto ambientale “esportandolo” nei Paesi extra-UE dove si produce senza fare troppa attenzione all’ambiente. L’industria del downstream petrolifero nazionale ha dato ampia prova negli anni del suo impegno per migliorare la qualità ambientale dei prodotti e dei processi produttivi, investendo oltre 21 miliardi negli ultimi 20 anni che hanno permesso di ridurre le emissioni dei principali inquinanti (come SOx, NOx, CO2, PST) tra il 70 e il 90%. 8 Tra gli studi da voi presentati c’è l’analisi sulla “Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana 2015-2030”. Come si evolverà il rapporto tra idrocarburi e altre fonti nei prossimi 15 anni? Credo che l’Unione Petrolifera sia forse una delle poche Associazioni che ha ancora un Centro studi che produce e aggiorna sistematicamente dati statistici sulle principali fonti di energia e sulle loro tendenze future, che annualmente vengono raccolte, appunto, nel volume “Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana”. Uno strumento essenziale per la programmazione delle attività industriali. Stando alle nostre previsioni, anche se al 2030 il nostro mix energetico è previsto modificarsi sensibilmente tenendo conto dell’espansione delle fonti rinnovabili, il petrolio rappresenterà ancora la prima fonte di energia almeno fino al 2018 con un peso intorno al 35%, per poi essere superato dal gas naturale. Proseguirà la contrazione dei consumi complessivi di prodotti petroliferi iniziata nel 1999, particolarmente incisiva nell’ultimo decennio, che al 2030 non dovrebbero superare i 59 milioni di tonnellate, ossia il 25% in meno rispetto al 2010. A cambiare sarà anche la composizione del barile raffinato che vedrà un peso crescente dei distillati medi. Altro aspetto importante è quello ambientale: le emissioni di CO2 nel 2020 si attesteranno su livelli inferiori del 26% rispetto a quelle del 2005, segno di un impegno dell’industria petrolifera che prosegue. Quanto conta nel vostro settore l’innovazione tecnologica e quanti passi in avanti sono stati fatti in relazione alla sostenibilità ambientale? L’innovazione tecnologica è fondamentale Si sente spesso citare la trasformazione delle raffinerie tradizionali in bioraffinerie. È questo il futuro? Un mercato interessante per l’Italia? La profonda crisi della raffinazione di questi ultimi anni ha portato alla chiusura di diverse raffinerie, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. In alcuni casi, piuttosto che smantellare gli impianti, considerati anche gli alti costi di bonifica, si è proceduto con la trasformazione in depositi o in raffinerie in grado di produrre biocarburanti di seconda generazione che non possono essere viste come completamente sostitutive dei tradizionali cicli di raffinazione - che continueranno a coprire il grosso della domanda - ma potranno essere integrative. Qual è la sua posizione sulla rappresentanza associativa per l’energia in Italia: meglio una sintesi, magari grazie a Confindustria, o le attuali distinzioni tra le molte associazioni? Il tema della rappresentanza del mondo dell’energia è già stato affrontato in ambito confindustriale con la cosiddetta “riforma Pesenti”, che si fonda su maggiori aggregazioni, che in linea di principio condivido, almeno finché parliamo di temi generali che interessano tutto il settore dell’energia. Resto però convinto che ci siano tematiche che non possono essere delegate e che vadano seguite direttamente. E quelle del nostro settore rientrano tra queste. n 9 e il 50% dei 21 miliardi investiti in questi ultimi anni sono serviti a migliorare la sostenibilità ambientale dei prodotti e dei processi. Il Rapporto “European Competitiveness 2013” della Commissione europea mette l’industria della raffinazione petrolifera al primo posto in Europa nel campo “innovazione di processo” ed al quarto posto in quello “innovazione di prodotto”. Inoltre, sempre stando allo stesso rapporto, la raffinazione petrolifera si classifica seconda nella graduatoria di tutte le industrie manifatturiere europee in termini di livello di educazione scolastica del personale impiegato. Anche la formazione è un elemento essenziale della nostra industria e ogni anno oltre 500.000 ore sono dedicate a questo scopo. PIANETA TERRA il G.B. Zorzoli 11 Quanti mali per le rinnovabili Per usare un eufemismo, in Italia le rinnovabili non stanno attraversando un periodo facile. Del Green Act, preannunciato per il maggio scorso, nulla si sa. Pochi giorni dopo lo svolgimento degli Stati Generali sul cambiamento climatico (presa d’atto della necessità di una cabina di regia che, su questo tema prioritario, doveva necessariamente far capo a chi nel governo ha la responsabilità massima), il funzionario di Palazzo Chigi, il quale, con passione e competenza, li aveva organizzati e gestiti, è stato destinato ad altro incarico. Continuano per contro a susseguirsi prese di posizione, proposte nuova potenza installata: 103 GW, in massima parte (95 GW) nell’eolico e nel solare. Nel 2011, unico anno in cui gli investimenti (278,8 miliardi) hanno superato il 2014, la potenza complessiva installata con queste due tecnologie era sempre di gran lunga prevalente, ma parecchio inferiore (70 GW): segno evidente della discesa dei costi unitari di eolico e fotovoltaico, secondo il rapporto destinata a continuare anche nel 2015. Di conseguenza, sempre escludendo il grande idroelettrico, la nuova potenza da fonti rinnovabili installata nel 2014 è stata pari al 48% di quella totale, mentre il contributo alla generazione elettrica da 8,5% del 2013 è salito a 9,1%, con la conseguente riduzione delle emissioni di CO2 di 1,3 miliardi di tonnellate. Nel 2014 è anche continuato l’allargamento a macchia d’olio degli investimenti in nuovi mercati. Nei Paesi in via di sviluppo hanno infatti totalizzato 131,3 miliardi di dollari (+36% sul 2013) e stanno raggiungendo quelli delle economie mature (138,9 miliardi). La parte del leone l’ha fatta la Cina che, con 89,3 miliardi (+ 39%), da sola ha effettuato il 31% degli investimenti complessivi, e corre solitaria in testa alla classifica, visto che gli USA, secondi, hanno investito meno della metà (38,3 miliardi). L’altra novità del 2014 è stato il boom di investimenti europei nell’eolico offshore. Ben sette progetti con costi superiori al miliardo di dollari hanno raggiunto la fase della “decisione d’investimento finale”. Il record spetta al progetto “Gemini”, 600 MW da installare al largo delle coste olandesi, in assoluto il più grande impianto a nel 2014 gli investimenti mondiali nell’eolico sono aumentati dell’11%, rasentando per la prima volta 100 miliardi e provvedimenti che, come il decreto sugli incentivi per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, sembrano ignorare che nel resto del mondo stanno suonando un’altra musica. A livello globale, dopo due anni difficili, nel 2014 gli investimenti nelle rinnovabili elettriche e nei biocarburanti sono infatti tornati a crescere. Pur escludendo dal computo le centrali idroelettriche di potenza superiore a 50 MW, hanno raggiunto la bellezza di 270,2 miliardi di dollari, con un incremento del 17% rispetto al 2013. Lo comunica il rapporto dell’UNEP “Global Trends in Renewable Energy Investment 2015”, elaborato con la collaborazione di Bloomberg New Energy Finance. Ancora più significativa è l’entità della 12 soltanto 107 MW eolici, mentre, con involontaria ironia, nelle premesse al decreto sugli incentivi per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche si fa riferimento alla Strategia Energetica Nazionale, dove per le rinnovabili elettriche come obiettivo al 2020 è fissata una forchetta fra 35% e 38% dei consumi finali. Per rispettarlo, la potenza eolica annualmente installata come minimo non dovrebbe mai scendere sotto 1000 MW. Insomma, si dice una cosa e se ne fa un’altra, che la contraddice. Poi, per giustificarsi, chi ha proposto il decreto dichiara al Senato che abbiamo già raggiunto l’obiettivo europeo al 2020, affermazione di per sé discutibile, in quanto si riferisce ai consumi finali del 2013, ma soprattutto in netto contrasto con l’impegno di superare gli obiettivi europei, contenuto nella SEN. Intanto nel solo settore eolico si sono persi settemila posti di lavoro in due anni, anche perché fra i tanti lacci e laccioli c’è anche l’impedimento di fatto al revamping degli impianti in funzione da più lunga data. n 13 fonti rinnovabili del mondo: 3,8 miliardi. Complessivamente nel 2014 l’Europa ha investito 16,2 miliardi di dollari in eolico offshore, cioè l’87% del totale mondiale, ripartiti fra Germania, Olanda, Regno Unito. Senza alcun dubbio, in questi tre paesi esistono condizioni particolarmente favorevoli a questa tecnologia, ma il confronto con l’Italia rimane stridente. Siamo la nazione in cui l’eolico offshore era addirittura sparito dalla prima versione del nuovo decreto di incentivazione delle rinnovabili non fotovoltaiche e dove le opposizioni locali ambiscono al primo posto fra quelle più immotivate e virulente. Gli altri corrono, noi non cerchiamo nemmeno di camminare. Più in generale, nel 2014 gli investimenti mondiali nell’eolico sono aumentati dell’11%, rasentando per la prima volta 100 miliardi e, con 51 GW installati, hanno superato per la prima volta il muro dei 50 GW. Così a fine anno la potenza eolica globale è arrivata a circa 370 GW, mentre il prezzo medio dell’energia prodotta onshore è sceso a 85 $/MWh. Viceversa nel 2014 da noi si sono installati PIANETA TERRA il Sergio Ferraris 15 La via olandese dell'efficienza in edilizia Efficienza energetica in edilizia. Sembra che sia, e probabilmente lo è, la gallina dalle uova d’oro per quanto riguarda l’energia, ma mentre sono in molti a parlarne in pochi la mettono realmente in pratica, meno che mai le istituzioni. Prova ne è il fatto che l’obiettivo al 2030 dell’Unione Europea che riguarda l’efficienza è, ancora una volta non vincolante, mentre a livello dei singoli Stati membri sono poche le iniziative incisive in corso con un’eccezione: l’Olanda. I Paesi Bassi, infatti, hanno varato un vero e proprio piano di politica industriale per sviluppare il comparto dell’efficienza energetica negli edifici, partendo da una fase di studio che ha come punto cardine il progetto Platform 31, messo a punto dall’architetto Ron Van Erck della società Energie Sprong. “È necessario specificare che non siamo una compagnia edile, ma uno staff incaricato dal Governo olandese di trovare soluzioni di mercato per l’efficienza energetica, sia dal punto di vista economico-finanziario, sia sotto a quello delle professionalità adatte”, ha detto Ron Van Erck durante la sua presentazione dell’iniziativa a REbuild 2015. “L’incarico è stato affidato a noi esterni, dopo che il Governo ha tentato di 16 sviluppare il mercato dell’efficienza senza riuscirci”. La missione del gruppo guidato da Van Erck è quella di modificare il mercato dell’efficienza e trovare il modo affinché le imprese di costruzioni possano identificare le migliori soluzioni e metodologie, direttamente o in collaborazione con i consumatori. Il tutto in cinque anni e lavorando anche su aspetti quali la finanziabilità dei progetti, l’influenza del quadro regolatorio e offrendo al Governo olandese spunti sui provvedimenti necessari per incrementare l’efficienza energetica nel settore edilizio. Il punto, intermedio d’arrivo per la fase di studio e d’inizio per quella della realizzazione concreta è l’efficientamento delle abitazioni di social housing. “Durante la fase di studio abbiamo realizzato un prototipo dell’abitazione, risultato troppo costoso, sul modello industriale dello sviluppo delle nuove autovetture nelle imprese automobilistiche”, prosegue Van Erck. “Da questa esperienza però abbiamo imparato molto circa le metodologie che ora stiamo applicando in progetti di dimensioni più grandi e con costi notevolmente inferiori. È il caso del social housing dove nei prossimi tre anni saranno realizzati 111mila interventi, mentre nel frattempo si stanno provando le soluzioni messe a punto nel settore privato. È questa la sfida del prossimo futuro, perché il mercato privato ha dinamiche molto differenti”. Il retrofit delle abitazioni per portarle a “consumo zero” viene svolto in brevissimo tempo - una delle chiavi identificate come fondamentali - tra un giorno e una settimana, con l’apposizione di un cappotto termico alle superfici verticali opache e isolando il tetto, il tutto utilizzando elementi prefabbricati che integrano al loro interno le tecnologie per la produzione energetica, come il fotovoltaico e il solare termico, che vengono collegate all’impianto esistente nell’abitazione. le abitazioni siano migliori anche dal punto di vista estetico, il che è stato individuato come una buona leva commerciale. Per quanto riguarda l’aspetto finanziario l’applicazione del retrofitting energetico avanzato sta dando indicazioni importanti. La spesa degli interventi è a carico dei gestori degli immobili che sostengono la spesa grazie a dei mutui che sono pagati con il risparmio in bolletta che è in media del 50%, con un canone che per gli affittuari rimane invariato fino al punto di break even dell’intervento. Il meccanismo ipotizzato per il mercato privato è analogo. I proprietari delle abitazioni pagano il mutuo necessario all’intervento grazie alla diminuzione della bolletta e così la spesa rimane invariata anche per loro. Si tratta, in pratica, di un sistema per il quale, in teoria, serve solo un sistema creditizio efficiente e infatti Van Erck ha cominciato a proporre il proprio modello in altri paesi d’Europa, cominciando da quelli dove il credito crede nell’efficienza ed è a sua volta efficiente: Francia e Inghilterra. Il costo del progetto legato all’housing sociale è di cinque miliardi di euro, una somma importante, che però inizierà a diminuire la spesa energetica delle famiglie olandesi che per le abitazioni è di tredici miliardi di euro l’anno, cifra il cui 50% potrebbe essere risparmiata e indirizzata all’attività impiantistica e manifatturiera. Una conversione nella quale il mero consumo energetico a bassa intensità di lavoro si può tradurre in un’occasione di sviluppo economico e sociale, nonché, cosa non indifferente, di tutela ambientale, specialmente sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. n “Le soluzioni da adottare devono possedere una serie di criteri comuni. Il primo è che i progetti siano ambiziosi. Devono puntare a raggiungere il consumo zero, anzi meglio se l’obiettivo è quello di produrre più energia di quanta se ne consumi, mentre è altrettanto fondamentale che i risultati siano garantiti su un periodo di almeno trent’anni - continua Van Erck -. Poi durata e costi degli interventi devono essere certi e certificati, cose che fino a poco tempo fa le imprese non garantivano, fattori che oggettivamente non sostenevano uno sviluppo del mercato dell’efficienza”. Ma l’attenzione di Van Erck non si limita agli aspetti tecnologici. I moduli prefabbricati sono stati realizzati anche sotto al profilo del design affinché alla fine dell’intervento 17 I Paesi Bassi, infatti, hanno varato un vero e proprio piano di politica industriale per sviluppare il comparto dell'efficienza energetica negli edifici energia pulita newsletter Risponde a Greebiz.it Simone Togni, Presidente ANEV Decreto rinnovabili non FV, la bozza: cosa cambia. Sarà sufficiente? Purtroppo il testo del nuovo DM per le FER elettriche non fotovoltaiche è punitivo per il settore eolico, sia in termini di contingenti, che di taglia e tipologia di impianto, sia per le tariffe. In sostanza non sono state recepite le modifiche richieste. Per il grande eolico il contingente messo ad asta per il biennio di riferimento è pari a 800 MW e quindi 400 MW all’anno, valore fortemente penalizzante considerando i livelli di installazione che fino a tre anni fa procedevano ad un ritmo costante di oltre 1.000 MW all’anno, con una tariffa a base d’asta in decisa diminuzione e pari a 110 €/MWh. Forte riduzione registrata anche per i piccoli impianti con tariffe in diminuzione del 30% e contingente pari a 60 MW complessivi nel biennio, accesso diretto invece per gli impianti al di sotto dei 60 kW. Per quanto riguarda l’offshore, invece, è previsto per i due anni di riferimento un contingente di soli 30 MW, introdotto nell’ultima bozza di DM. Il Decreto, che si pone come finalità il perseguimento degli obiettivi stabiliti nella SEN, Strategia energetica nazionale, esplicitati nel PAN, non consentirà, con i contingenti previsti, di raggiungere i livelli individuati per l’eolico, ovvero 12.680 MW (incluso l’eolico offshore), riducendo il contributo che l’energia dal vento può dare in termini di riduzione dell’anidride carbonica e di contenimento dei cambiamenti climatici. Infatti, a fronte dell’installato eolico di 8.665 MW al dicembre 2014, con i soli 400 MW di contingente annuo previsti dal Decreto per le aste non si arriverà alla quota inserita nel PAN, che implicherebbe un contingente di almeno 800 MW annui fino al 2020. DICONO DI NOI in pillole Risponde ad Argusmedia.com Simone Togni, Presidente ANEV Quali fonti e quali tipologie di impianti avranno i maggiori vantaggi dalla razionalizzazione delle risorse all’interno del tetto stabilito di euro 5,8 miliardi/anno? Secondo quanto riportato dallo studio Elemens, commissionato da ANEV, entro la fine del 2015 dovrebbero liberarsi risorse per circa 100 milioni di €, a cui se ne aggiungerebbero ulteriori 300 nel 2016, senza tener conto delle risorse che potrebbero liberarsi a seguito dei contenziosi relativi alle irregolarità riscontrate negli impianti ammessi nelle aste precedenti. Ai ritmi attuali ciò consentirà di incentivare 1,5 GW di potenza rinnovabile, con un’incognita generata però dagli ex zuccherifici riconvertiti a impianti a biomasse per il quale è previsto, nel biennio 2015 – 2016, un contingente di 135 MW e che possono accedere direttamente agli incentivi andando a restringere ulteriormente la capacità incentivante per nuovi impianti. energia pulita newsletter 19 A quanto ammonta l’attuale potenza eolica installata in Italia? con i nuovi incentivi si possono raggiungere gli obiettivi UE al 2020? Attualmente in Italia risultano installati 8.665 MW di eolico, a cui, essendo ottimisti, si potranno aggiungere ulteriori 500/600 MW nei prossimi tre anni suddivisi tra impianti relativi alle nuove aste e quelli relativi alle prossime due procedure. Gli obiettivi fissati dal PAN (Piano d’Azione Nazionale), 12.680 i MW installati al 2020 in Italia, con una media annua di nuove installazioni pari a circa 660 MW, difficilmente verranno raggiunti con gli attuali trend di crescita e incentivazione dei nuovi impianti. Risponde a Public Policy Simone Togni, Presidente ANEV Si conferma il meccanismo delle aste che in passato avete già criticato. Che ne pensa? 20 Quello delle aste è un meccanismo che in altri Paesi europei funziona. È necessario quindi che lo stesso sistema venga migliorato e fatto funzionare a dovere anche in Italia. In particolare nel nuovo Decreto vengono introdotte alcune misure che permetteranno una decisa selezione tra i progetti che parteciperanno alle procedure, prima tra tutte la circostanza per la quale risulterà necessario che i progetti siano in possesso di titolo autorizzativo e che il preventivo di connessione sia accettato in via definitiva. Sarà inoltre necessario disporre sia la dichiarazione di un istituto bancario che attesti la capacità finanziaria sia una capitalizzazione pari almeno il 10% dell’investimento previsto per la realizzazione dell’impianto. C’è inoltre la possibilità di rinuncia entro 6 mesi dall’aggiudicazione da parte dei soggetti aggiudicatari, a fronte dell’esclusione del 30% della cauzione definitiva e ciò dà luogo allo scorrimento della graduatoria.n eventi 15 – 18 settembre 2015 Husum Wind 2015 Husum, Germany 4 – 7 ottobre 2015 WINDaba 2015 Cape Town, South Africa 16 ottobre 2015 China Wind Power 2015 Beijing, China 4 novembre 2015 Convegni ANEV Ecomondo Key Wind Fiera di Rimini 3 – 4 novembre 2015 Corso di formazione ANEV Il Minieolico Ecomondo Key Wind Fiera di Rimini 5 - 6 novembre 2015 Corso di formazione ANEV Operation& Maintenance Ecomondo Key Wind Fiera di Rimini 17 – 20 novembre 2015 EWEA 2015 Annual Event Paris, France ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO ANEV I Gruppi di Lavoro ANEV, aperti a tutti i soci, si riuniscono periodicamente presso la sede dell’ANEV per occuparsi di questioni d’interesse per l’Associazione e del settore eolico. Si riassumono di seguito le principali attività e obiettivi delle ultime sedute dei GDL ANEV. Gruppo di Lavoro Normativa Nella seduta dell’ultimo GDL Normativa è stata analizzata l’ultima bozza in circolazione dell’emanando DM sulle FER non fotovoltaiche, riscontrando che per gli impianti sopra il MW è stata recepita la definizione di potenza di impianto proposta da ANEV ai tavoli istituzionali e che il contingente per l’eolico on-shore è stato aumentato da 700 a 800 MW. È stato inoltre presentato l’esito del tavolo tecnico ANEV Terna sugli Adempimenti, ai sensi della 595/2014, sottolineando che Terna ha confermato l’inesistenza di obblighi per l’installazione di nuovi misuratori ma, qualora un operatore decidesse deliberatamente di inserirne, è invitato ad informare Terna il prima possibile rispondendo alla comunicazione inviatagli dalla stessa, con in copia il GSE, avente per oggetto “Richiesta elenco informazioni necessarie all’attuazione dell’articolo 14.4 dell’Allegato A alla Deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico n. 595/2014/R/EEL”. Ultimo argomento trattato è stato il DCO dell’AEEGSI sull’abolizione della progressività nei servizi di rete e negli oneri di sistema, invitando tutti gli associati a presentare per il mese di luglio eventuali osservazioni. Gruppo di Lavoro Mercato Nell’ultimo GdL Mercato si è deciso di ultimare l’elabora- zione del Report Tecnico “Strategie e metodi per l’integrazione delle FRNP nel mercato elettrico, con particolare riferimento alla fonte eolica”. Gruppo di Lavoro Comunicazione Nell’ultimo GDL Comunicazione si è fatto il punto sugli eventi della Giornata Mondiale del Vento dell’11 giugno a Roma, ovvero il Convegno “Eolico italiano: costi e benefici” presso l’auditorium del GSE e la lezione concerto sul Vento di Danilo Rea, all’auditorium del Maxxi. Sono stati registrati riscontri positivi. Sono state definite la tematiche dei convegni di KeyWind 2015. energia pulita newsletter 21 parola agli associati Nordex, società tedesca produttrice di turbine eoliche, ha compiuto da poco 30 anni. É stata fondata infatti nel 1985, prima ancora che le turbine eoliche conoscessero, in tutto il mondo, il boom della prima metà degli anni ‘90 e, sin dalla sua costituzione, Nordex ha puntato sulla produzione di impianti eolici dalle performance elevate, realizzati su larga scala. Il gruppo Nordex opera anche nel nostro Paese ed è rappresentato da Francesco Paolo Liuzzi, Managing Director della società italiana che ha risposto alle nostre domande. stri clienti nella proposta commerciale e di partnership nella fase di analisi dei progetti, bancabilità e scelta delle soluzioni più efficaci per la finalizzazione e realizzazione di un progetto. L’intuizione di sviluppare un prodotto specifico per i siti a basso vento quale la N117 da 2,4 MW e poi la N131 da 3MW ha dato ulteriore slancio ai risultati di Nordex globalmente e, per fare un esempio, ha consentito di avere un market share a due cifre in Germania, obiettivo mai raggiunto in un mercato di 4GW annui, consolidato la ottima posizione in Turchia e riguadagnato la leadership in Francia. Francesco Paolo Liuzzi Managing Director Nordex Silvia Martone 22 In questi 30 anni la Nordex ha raggiunto ottimi traguardi a livello internazionale. Può riassumerci in breve la storia di successo di questa realtà? Compiere 30 anni di attività per una società che lavora in un comparto così giovane come l’eolico è davvero un bel traguardo, sta ad indicare che abbiamo mosso i primi passi sin dalla preistoria di questo business e che abbiamo nel DNA una solida cultura industriale e di sviluppo. Cultura dello sviluppo che si è concentrata soprattutto su macchine di grande taglia, basti pesare che la prima macchina da 2,5MW è stata messa in commercio nel 2007 quando i nostri concorrenti neanche pensavano a questo traguardo. Non solo sviluppo di macchine performanti e di grande taglia ma anche sviluppo di progetti in alcune aree selezionate in Europa e Sud America. Il nucleo principale della crescita è stato la Francia propagandosi anche in altri paesi quali Polonia, Svezia e Sud America. Questa attività ha dato completezza al nostro know-how consentendoci di vedere e rispondere a 360 gradi alle esigenze dei no- In Italia quali sono i numeri raggiunti da Nordex e come reputa il mercato italiano? Benchè la società Nordex Italia sia stata fondata qualche anno prima, l’attività commerciale vera e propria è iniziata alla fine del 2007 inizio 2008. Da allora abbiamo istallato più di 600 MW in quasi tutte le regioni del Meridione, ma anche in Piemonte. Il service è cresciuto notevolmente e oggi gestiamo quasi tutta la flotta istallata in Italia ed in Grecia attraverso una struttura di Service interno. A partire dal 2012, anno del cambio di struttura di incentivazione, la nostra attività di vendita ha avuto una contrazione in linea con le difficoltà in cui ha versato e versa il mercato eolico. Il mercato italiano rappresenta un’anomalia nel quadro dei paesi che si sono votati a questo tipo di tecnologia, infatti, dopo una riduzione su scala globale dovuta alla crisi finanziaria, questo è l’unico Paese che segna ancora il passo rispetto a Francia, UK e Germania, che invece stanno decollando. Stagnazione da addebitare non soltanto al sistema delle aste in sé, quanto alla cieca decisione di limitare i contingenti a soli 300/400 MW per anno, laddove l’Italia aveva mostrato di poter supportare un mercato di ben oltre i 1000 MW annui. L’estensione del contingente insieme agli aggiustamenti che si stanno apportando al Decreto porte- rebbe infatti stabilità, sicurezza e possibilità di programmazione da parte degli operatori professionali e neutralizzerebbe quelle iniziative che intentano una scommessa al ribasso. Infatti, mentre oggi queste iniziative sono di sicuro danno per tutto il comparto perché non realizzate o realizzate con soluzioni sub ottimali, in un contesto di maggiore volume avrebbero un peso minimo e poco significativo dal punto di vista dell’impatto sulla salute di questo mercato che, al momento, è un mercato drogato. Di questo passo potremmo trovarci fra qualche anno a dover comprare energia dall’estero perché Francia e Germania ci venderanno energia prodotta dal vento a prezzo più basso, mentre noi continueremo a giocare con i numeri e a far pagare il sistema industriale l’inefficienza delle nostre politiche. Quali gli sviluppi futuri? Gli sbocchi di un mercato italiano sono ancora notevoli se si pensa a due capitoli principali. Il primo è lo sfruttamento di aree un tempo considerate non profittevoli perché a basso vento che oggi assumono grande interesse grazie alle performance degli aerogeneratori di nuova generazione. Il secondo grosso capitolo è costituito da quei progetti istallati circa 15 anni fa che potrebbero essere ripristinati con nuove macchine a vantaggio della minor occupazione di territorio. Col passare del tempo sempre più progetti avranno queste caratteristiche. Altra frontiera che una tecnologia matura come la nostra può raggiungere a medio termine è la partecipazione ad aste in cui concorrono tutte le tecnologie per la produzione di energia. Già oggi, se si tiene conto del parametro LCOE (Levelized Cost Of Energy) che mette in relazione il costo dell’investimento e la energia prodotta in 25 anni oltre al costo del carburante per poterla generare, siamo in ottima posizione. A livello internazionale, invece, quali aree geografiche reputa più appetibili? Nordex è presente con proprie stabili organizzazioni in 28 paesi al mondo. L’Europa è considerata un mercato domestico costituito principalmente da Germania, Francia, UK, Turchia e Italia, attorno a cui ruotano Svezia, Irlanda, Olanda, Sud Africa e Pakistan, oltre al grande mercato americano sia Centrale che del Sud. Negli ultimi anni abbiamo fatto un grande balzo in avanti in Uruguay, per esempio, e siamo presenti in Cile e in Messico. Poi ci sono i mercati prospects su cui in maniera sistematica volgiamo l’attenzione in funzione di capacità di sviluppo e normativa. Nessuna area del mondo è esclusa. n energia pulita newsletter 23 I membri del Coordinamento FREE raccontano Verso Parigi 2015 Sergio Andreis Direttore Kyoto Club “Non c’è dubbio che l’incisività dei cambiamenti previsti comporterà la rimessa in discussione dell’attuale modello economico, obbligando a una marcia accelerata verso la sostenibilità ambientale del sistema industriale, dei trasporti, dell’edilizia, dell’agricoltura. È qui che si verificherà la capacità dei governi di anticipare il futuro, di avviare azioni coraggiose, di compiere scelte efficaci. Dall’azione delle istituzioni dipenderà la possibilità di interi segmenti produttivi di anticipare i cambiamenti” (2 Gradi – Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia. Gianni Silvestrini – Kyoto Books – Edizioni Ambiente 2015). dell’Europa sulla scena globale. Quattro le priorità per il nostro Paese: Per quanto riguarda l’energia: l’Italia può coprire il proprio fabbisogno energetico con l’uso efficiente delle risorse, l’efficienza energetica e le rinnovabili, dimenticando i progetti dannosi e controproducenti, oltre che dai risultati limitati, delle trivellazioni per sfruttamento di idrocarburi. L’Italia dovrebbe varare, e insistere perché la UE vari, un piano straordinario con obiettivi vincolanti per l’efficienza che garantisca nuova occupazione attraverso la riqualificazione spinta di interi edifici e quartieri, la cosiddetta “deep renovation”, con consumi almeno dimezzati che richiede soluzioni finanziarie innovative - e rilanci le energie 25 Gli Stati generali sui cambiamenti climatici, convocati dal governo lo scorso 22 giugno, dovrebbero essere l’inizio di un percorso che dovrebbe portare, anche sui temi dell’energia e della sostenibilità, ad una forte iniziativa italiana in sede europea, perché la UE torni ad avere, al di là dell’asse USA – Cina, un ruolo trainante nella diplomazia climatica, con proposte per azioni ambiziose e vincolanti - come è richiesto dalla gravità della situazione e come è nell’interesse dei settori più innovativi dell’economia del nostro continente - nelle trattative per il nuovo trattato globale sul clima. Se ciò non avvenisse, alla Conferenza delle Nazioni Unite, a Parigi, dal 30 novembre all’11 dicembre, si rischierebbe un accordo al ribasso, essenzialmente cosmetico e una nuova marginalizzazione rinnovabili in accordo con la Energy Union promossa dalle istituzioni UE - anche per evitare i cosiddetti aiuti di Stato, con particolare attenzione all’energia solare, sia fotovoltaica che termica, come pure all’eolico e a tutte le rinnovabili frutto di ricerca e innovazione sia italiana che europea. La consapevolezza dell’importanza del dibattito energetico, sulla sostenibilità e degli effetti dei cambiamenti climatici è ancora limitata: andrebbero avviate, con il coinvolgimento di tutte le forze economiche, sociali, delle organizzazioni della società civile, delle università, degli Enti Locali e di testi- sviluppo economico dei territori ed offrono nuove opportunità di lavoro. Il sostegno deciso alla bioeconomia e alla correlata economia circolare, in favore della quale il Parlamento europeo ha già votato e per la quale la Commissione europea ha annunciato per il prossimo settembre un’iniziativa – quadro, dovrebbe essere una priorità dell’azione del Governo, con zero rifiuto organico in discarica. Continuiamo ad avere un comparto dei trasporti, responsabile di circa un terzo delle emissioni CO2 equivalenti, quasi del tutto dipendente dai combustibili fossili. Sono urgenti iniziative da parte del Governo in favore della mobilità elettrica con l’obiettivo di 1 milione di auto elettriche al 2025, della mobilità urbana sostenibile e, finalmente, il ribaltamento delle percentuali di trasporto dalla gomma al ferro. Siamo di fronte a sfide enormi. Come lo è stata, a metà degli anni 80 del secolo scorso, quella della progressiva distruzione dello strato di ozono che ci protegge dalla radiazioni ultraviolette del sole e che causò danni alla salute di milioni di persone nelle aree più esposte. Nel settembre 2014 gli esperti delle Nazioni Unite hanno reso noti i risultati del monitoraggio sugli effetti del Trattato di Montreal, del 1987, sottoscritto da quasi tutti i Paesi: ventisette anni dopo, grazie all’azione internazionale concertata contro i gas distruggi - ozono, la situazione è significativamente migliorata, con il ritorno, previsto entro il 2050, dello strato di ozono ai livelli degli anni 80. Un’altra dimostrazione che unendo le forze è possibile cambiare le tendenze in atto, anche dei cambiamenti climatici, di politiche energetiche ancora troppo timide e ambientalmente non-sostenibili. n unendo le forze è possibile cambiare le tendenze in atto, anche dei cambiamenti climatici monial, campagne informative di lungo periodo nei media, nei luoghi di lavoro e nelle scuole, con la spiegazione delle implicazioni e delle opportunità: in termini di adattamento e mitigazione, per la trasformazione ragionata dei comportamenti quotidiani, il miglioramento della qualità della vita con la sempre maggiore espansione dell’economia verde, contribuendo, allo stesso tempo alla riduzione delle emissioni di CO2 e gas climalteranti. La bioeconomia: in Europa vale duemila miliardi di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di persone. L’Italia è all’avanguardia e con ogni mille tonnellate di bioplastiche prodotto, si possono creare sessanta nuovi posti di lavoro. Il futuro è nel collegamento tra le imprese e i territori, tra la ricerca, l’industria e l’agricoltura. Il mondo dell’agricoltura, della chimica e delle biotecnologie, con l’obiettivo di agevolare la diffusione di bioraffinerie che adottino processi innovativi, favoriscono lo RINNOVIAMO INSIEME Il COORDINAMENTO FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha lo scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nel quadro di un modello sociale ed economico ambientalmente sostenibile, della decarbonizzazione dell’economia e del taglio delle emissioni climalteranti, avviando un’azione più coesa delle Associazioni e degli Enti che ne fanno parte anche nei confronti di tutte le Istituzioni; con 29 Soci Associazioni e un ampio ventaglio di Enti e Associazioni Aderenti (senza ruoli decisionali) il COORDINAMENTO FREE è la più grande Associazione del settore presente in Italia. ASSOCIATI LEGAMBIENTE Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma ADERENTI Per informazioni: Tel: +39 06 485539 +39 06 4882137 Fax: +39 06 48987009 Email: [email protected] www.free-energia.it PIANETA TERRA il Davide Astiaso Garcia Eolico, l’adeguamento normativo alla disciplina del rumore 29 La legge 30 ottobre 2014 n. 161, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, all’art. 19, conferisce la delega al Governo per l’armonizzazione, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della predetta legge, della normativa nazionale con le direttive europee in materia di inquinamento acustico, in particolare con le direttive 2002/49/CE, 2000/14/CE e 2006/123/CE e con il regolamento (CE) n. 765/2008. In relazione a ciò, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha chiesto ad ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) di fornire, nell’ambito delle proprie funzioni di organo tecnico, un supporto per lo studio delle tematiche oggetto della delega, con il coinvolgimento dei principali stakeholder nazionali. Per quanto concerne le tempistiche di riferimento, il Ministero dell’Ambiente a richiesto ad ISPRA di inviare entro fine ottobre i contributi tecnici propedeutici alle bozze dei decreti previsti dall’art.19 della Legge 161/2014. Dal momento che uno dei vari ambiti di l’ISPRA ha istituito dei tavoli di lavoro a cui l’ANEV ha partecipato applicazione a cui la legge fa riferimento è l’adeguamento della normativa nazionale alla disciplina del rumore prodotto dall’esercizio degli impianti eolici, l’ISPRA, attivatasi per individuare i vari stakeholder per ogni argomento da trattare, ha individuato l’ANEV come interlocutore indispensabile per tale specifica tematica. Conseguentemente, nel mese di maggio scorso l’ISPRA ha istituito dei tavoli di lavoro sulla revisione della normativa sull’acustica, a cui l’ANEV ha partecipato unitamente al CNR, l’ARPA Puglia, l’ARPA Toscana ed alcuni accademici esperti in materia di emissioni acustiche ed impianti eolici. Gli obiettivi e le attività del tavolo tecnico, in linea con quanto richiesto dalla delega, hanno incluso anzitutto l’inserimento nella Legge Quadro della sorgente “impianti eolici” e l’allargamento delle com- 30 petenze dello Stato a tali impianti, apportando modifiche agli articoli 2 e 3 della L.Q.447/95. A tal riguardo, durante il primo tavolo tenutosi a maggio scorso, il gruppo di lavoro ha concordato l’inserimento anche dell’art. 11 tra quelli oggetto di modifica, in modo da far rientrare la sorgente “impianti eolici” tra quelle oggetto di uno specifico regolamento di esecuzione. Nonostante l’obiettivo del tavolo tecnico, così come richiesto espressamente dalla legge, può considerarsi soddisfatto a fronte delle modiche alla legge quadro, già condivise durante la prima riunione del gruppo, l’ISPRA ha ritenuto opportuno provare a continuare le attività per la predisposizione del regolamento di esecuzione, che dovrà essere emanato nei tempi previsti dalla stessa legge quadro. A tal fine, le attività del gruppo da espletare nei prossimi mesi riguarderebbero la definizione delle categorie di impianti eolici disciplinati dal futuro regolamento, l’individuazione dei limiti specifici, nonché la definizione di procedure di misura specifiche. Nel particolare, la definizione di procedure di misura e di modellizzazione specifiche dovrà essere realizzata previa analisi delle norme e delle procedure per la stime dell’impatto degli impianti eolici (tra tutte la norma UNI di riferimento e la procedura ISPRA), nonché alla luce delle più recenti pubblicazioni scientifiche in materia (particolare importanza è stata data agli atti del convegno Wind Turbine Noise 2015). Durante il primo tavolo di lavoro sono stati inoltre introdotte particolari tematiche da approfondire nei prossimi mesi, quali l’applicazione dei valori limite (immissione, emissione e differenziale), l’utilizzazione territorio nazionale in merito all’applicazione dei limiti. Al riguardo, come prima decisione si è convenuto di mantenere la definizione attualmente presente nelle norme relative alle infrastrutture dei trasporti. È stata inoltre affrontata la necessità di considerare, per un recettore, gli impatti acustici cumulativi e regolamentarne le specifiche autorizzazioni. Per quanto concerne i valori limite, la discussione tenutasi durante il primo tavolo tecnico ha riguardato la possibilità di avere limiti specifici, svincolando la sorgente “impianti eolici” dal rispetto dei valori limiti individuati dalla classificazione acustica (immissione ed emissione) e l’ipotesi di eliminazione del rispetto del valore limite differenziale misurato all’interno delle abitazioni, cercando di utilizzare un analogo criterio, che garantisca la stessa tutela, ma sia misurabile in esterno e con gli impianti in esercizio. Si è argomentato inoltre sulla difficoltà per la sorgente specifica di individuare zone di rispetto/fasce di pertinenza al pari delle altre sorgenti (strade, ferrovie, aeroporti) e quindi sulla possibilità di introdurre valori limite mobili. n 31 di specifici fattori correttivi, l’individuazione di zone di rispetto/fasce di pertinenza, la definizione di specifici limiti e l’armonizzazione con i piani di classificazione acustica in sede di pianificazione di nuovi impianti. Considerando invece la definizione delle categorie di impianti eolici da disciplinare con il futuro regolamento, utilizzando la classificazione energetica, ovvero basata sulla potenza nominale, il gruppo di lavoro ha anzitutto condiviso l’esclusione dalla norma specifica degli impianti microeolici e l’inclusione degli impianti macroeolici. L’inclusione o meno nella norma specifica degli impianti minieolici è stata oggetto di discussione, trovando comunque concordi i presenti nell’inserimento anche di questi ultimi nel campo di applicazione della futura norma specifica, considerando che per questi parchi eolici i recettori possono trovarsi a distanze notevolmente inferiori rispetto a quanto avviene tipicamente per gli impianti macroeolici. Con l’occasione, occorrerebbe inoltre precisare con maggiore chiarezza la definizione di “ricettore”, al fine di evitare le notevoli discrepanze che si registrano sul Carta, penna e diritto Avv. Massimo Ragazzo Studio Gerosa Lo spalma-incentivi per le fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico: conclamati profili d’incostituzionalità e sulle tariffe elettriche degli incentivi alle energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo termine dagli impianti esistenti, i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico - titolari di impianti che beneficiano di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio - possono, per i medesimi impianti, in misura alternativa: a) continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo. In tal caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno più diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti, incluso ritiro dedicato e scambio sul posto, a carico dei prezzi o delle tariffe dell’energia elettrica; b) optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, volta a valorizzare l’in- 33 Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 2014, è entrato in vigore il decreto attuativo che regola la rimodulazione volontaria degli incentivi alle fonti rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico (d.m. del Ministero dello Sviluppo economico 6 novembre 2014), il quale, in attuazione dell’articolo 1, commi 3, 4, 5 e 6 del decreto legge 23 dicembre 2013 n. 145, cosiddetto “Destinazione Italia”, convertito dalla legge n. 9 del 21 febbraio 2014, ha stabilito le modalità di determinazione dei nuovi incentivi riconosciuti sull’energia elettrica prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili esistenti, diversi dagli impianti fotovoltaici, i cui esercenti optino per l’estensione del periodo di incentivazione di sette anni, previsto dall’art. 1, comma 3, lett. b), del d.l. n. 145 del 2013 (cfr. art. 1 del d.m.). Invero, l’art. 1, comma 3 del citato decreto legge, convertito con modificazioni dalla citata legge n. 9/2014, ha previsto che, al fine di contenere l’onere annuo sui prezzi tera vita utile dell’impianto. In tal caso, a decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine di cui al comma 5 dello stesso art. 1 (ovvero entro 90 giorni dall’entrata in vigore del d.m.; N.d.R.), il produttore accede a un incentivo ridotto di una percentuale specifica per ciascuna tipologia di impianto, definita con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, da applicarsi per un periodo rinnovato di incentivazione, pari al periodo residuo dell’incentivazione spettante alla medesima data, incrementato di 7 anni. Diversi operatori del settore eolico, dopo opportune analisi, hanno valutato che la possibilità di aderire all’opzione del suindicato d.m. è tutt’altro che vantaggiosa e non è affatto compensata dall’incremento dell’incentivo per sette anni. Il quadro delineato da tali nuove disposizioni li ha, dunque, convinti ad impugnare l’avversato decreto ministeriale, com’era già stato fatto da alcuni operatori del fotovoltaico con il precedente “Decreto Competitività” (d.l. n. 91/2014), che aveva modificato il regime di incentivazione per l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kW. Ora, malgrado il carattere alternativo delle opzioni indicate dall’art. 1, commi 3 e 4, del d.l. 145/2013, il decreto ministeriale in questione si configura come un intervento su rapporti di durata già cristallizzati in contratti di diritto privato (le convenzioni con il GSE), o comunque su 34 decisioni già assunte dai produttori, che hanno effettuato investimenti e contratto oneri in base a previsioni economiche di cui l’aspettativa dell’incentivo è parte determinante. Ciò risulta, in primo luogo, in contrasto con i principi di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione. Risultano inoltre violati i principi comunitari di irretroattività, proporzionalità, legittimo affidamento, ragionevolezza e certezza del diritto, ora richiamati col più generale rinvio ai “principi generali dell’ordinamento comunitario”, dall’art. 1, comma primo, della l. n. 241/1990, come mod. dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005. Ora, com’è noto, fermo il dato costituzionale, sul quale ci si soffermerà nel prosieguo, le energie rinnovabili sono oggetto di una disciplina multilivello distribuita tra trattati internazionali, direttive comunitarie e normative nazionali. Il raggiungimento degli obiettivi europei di aumento della percentuale di consumo finale di fonti rinnovabili, previsti, dalla dir. 2009/28/CE, per rispettare gli obblighi internazionali di riduzione delle emissioni nocive discendenti dal rispetto del Protocollo di Kyoto del 7 dicembre 1997, è attualmente affidato, dagli Stati membri, all’adozione di regimi nazionali di incentivazione. Si tratta di meccanismi riconducibili senza alcun dubbio, sotto il profilo concettuale, alla nozione giuridica di incentivazione, ossia alla previsione normativa di un beneficio diretto a stimolare il compimento di un’attività economica, collegandone l’attribuzione al suo effettivo svolgimento (ed, eventualmente, ai risultati da questa prodotti). La necessità di questi regimi di incentivazione, al fine di accrescere la produzione di fonti rinnovabili, ravvisa il proprio fondamento nelle basi giuridiche della politica energetica europea (art. 194 TFUE), nonché nei vantaggi non monetizzabili associati alla loro produzione. L’ordinamento europeo, fra le possibili tipologie di interventi di incentivazione, non ha ritenuto adeguato, di regola, il ricorso esclusivo a poteri e funzioni amministrative (atti di pianificazione, imposizione di limiti, autorizzazioni, sanzioni amministrative). La disciplina europea propende in effetti, a tal fine, per l’introduzione di strumenti di mercato come l’erogazione di incentivi o lo scambio di certificati rappre- nologico per individuare le soluzioni più innovative al fine di ridurre sempre più gli effetti negativi sull’ambiente della propria attività. Il Titolo V del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, si occupa dei regimi di sostegno all’energia prodotta da fonti rinnovabili e all’efficienza energetica attraverso il riordino ed il potenziamento dei vigenti sistemi di incentivazione. La necessità di tutelare l’affidamento del cittadino sulla certezza delle situazioni giuridiche assume in relazione al fenomeno dell’incentivazione economica, ossia dell’azione pubblica con una funzione promozionale verso l’ottenimento di determinate finalità «sociali», profili assai delicati perché incide sull’esplicazione della libertà d’iniziativa economica privata, alla luce dell’art. 41 Cost. Tale principio, in effetti, è stato ritenuto dalla Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 155 del 4 aprile 1990, strettamente connesso a questa libertà «non solo nel momento iniziale, ma anche durante il suo dinamico sviluppo» e quindi tale da investire, senza dubbio, anche gli atti di destinazione del capitale finanziario. La sua applicazione, peraltro, assume una forza assai pregnante, nel caso del susseguirsi delle discipline di incentivazione, per la connotazione sostanzialmente contrattuale della relazione che si instaura fra potere pubblico e soggetto privato attraverso l’introduzione di un regime incentivante. sentativi di quantitativi di produzione, sia pur indirizzati e supportati dall’esercizio del potere pubblico. Tali meccanismi consentono una maggior diversificazione delle misure da attuare in relazione alla varietà delle condizioni ambientali e produttive, e offrono alle imprese una maggiore flessibilità nella scelta dei modi per conseguire gli obiettivi ambientali. L’utilizzo di meccanismi di mercato, inoltre, mette gli attori economici maggiormente in grado di diminuire i costi da questi complessivamente sostenuti per adeguarsi alla normativa ambientale o di ricercare soluzioni migliori per rispettarle. Al tempo stesso, incentiva le imprese ad impegnarsi nello sviluppo tec- 35 Con la sentenza (non definitiva) 23 giugno 2015, n. 8614, il TAR Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dello “Spalma incentivi” fotovoltaico L’esame della giurisprudenza costituzionale consente di evidenziate una progressiva apertura verso il riconoscimento del principio di tutela dell’affidamento. La sentenza n. 416 del 4 novembre 1999 rappresenta nel processo del riconoscimento del principio del legittimo affidamento una fondamentale svolta, in quanto in detta pronuncia la Corte appare finalmente avviarsi verso il riconoscimento del principio di legittimo affidamento come valore autonomo. Nella successiva sentenza n. 525 del 22 novembre 2000, la Corte si spinge ancora oltre nel suo cammino verso il riconoscimento del principio del legittimo affidamento come valore autonomo, qualificando l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica come «principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti». Che il problema del riconoscimento della tutela dell’affidamento come valore sia imprescindibilmente collegato alla problematica della retroattività si evince inoltre chiaramente da una successiva pronuncia della Consulta, la sentenza n. 446 del 12 novembre 2002; ma è nella sentenza n. 24 del 2009 che la Corte individua più chiaramente gli altri limiti - genericamente ravvisati (nelle precedenti sentenze) negli «altri principi o valori costituzionalmente protetti», chiarendo che questi debbano essere più specificamente individuati con i «principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giu- 36 ridiche». La posizione assunta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2009 ha trovato successivamente conferma nella sentenza n. 124 del 1° aprile 2010. In tale decisione, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio del legittimo affidamento da parte della normativa censurata, ha confermato quanto disposto nella pronuncia n. 24, secondo cui «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principî generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche [… ]. La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali». Con la sentenza (non definitiva) 23 giugno 2015, n. 8614, il TAR Lazio, Sezione III-Ter, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dello “Spalma incentivi” fotovoltaico (il D.L. n. 91/2014); il sospetto paventato dal giudice amministrativo è che l’art. 26 comma 3 del Decreto Competitività violi il principio di ragionevolezza e di legittimo affidamento, oltre che il principio di autonomia imprenditoriale, di cui agli artt. 3 e 41 della Costituzione. Se l’esame dei giudici costituzionali dovesse confermare tale dubbio, dalla sentenza della Consulta potrebbe discendere l’obbligo di risarcire il danno contestualmente a quello di restituire, da parte del GSE, la differenza tra l’incentivo che toccava in base alla convenzione originaria e quello rimodulato al ribasso dallo “Spalma incentivi”. Più precisamente, secondo il TAR, «(…) per effetto del regime introdotto dall’art. 26 d.l. n. 91/2014 (omologo al d.m. afferente alla rimodulazione del regime incentivante commi della disposizione». Con la stessa sentenza non definitiva, il TAR fa sapere di aver ritenuto (con ordinanza citata all’interno della sentenza, ma ancora non pubblicata) rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del d.l. 91/2014, conv. l. 116/2014, per violazione, in particolare, degli articoli 3, 41 e 77 della Costituzione, nonché per violazione del principio del legittimo affidamento, rimettendo alla Consulta il pronunciamento sulla legittimità costituzionale del provvedimento (decisione che dovrebbe intervenire nell’arco di un anno). Senza voler essere considerati facili profeti, ma soltanto utilizzando il buon senso, è da ritenere che analogo provvedimento il TAR potrà adottare non appena verrà fissata l’udienza di trattazione del merito dei ricorsi proposti avverso il decreto che regola la rimodulazione volontaria degli incentivi alle fonti rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico (d.m. del Ministero dello Sviluppo economico 6 novembre 2014). Invero, anche nel caso di quest’ultimo decreto, è da ritenere che possa senz’altro individuarsi un affidamento tutelabile, stante il progressivo riconoscimento, da parte anzitutto del giudice europeo e poi di quello costituzionale, dei principi del legittimo affidamento del cittadino e di certezza delle situazioni giuridiche, quali valori autonomi, ossia non ancorati ad una contestuale lesione di altri interessi costituzionali. Come s’è detto, l’esame della giurisprudenza costituzionale consente di evidenziate una progressiva apertura verso il riconoscimento del principio di tutela dell’affidamento, quale valore da stimare come prevalente e meritevole di autonoma considerazione. n 37 degli impianti diversi da quelli fotovoltaici; N.d.R.) parte ricorrente subisce una lesione immediata e diretta della propria situazione giuridica soggettiva, coincidente con la pretesa al mantenimento dell’incentivo riportato nella convenzione, laddove è obbligata alla scelta – da esercitarsi entro il 30 novembre 2014 – di una delle tre opzioni di rimodulazione di detti incentivi previste dalla norma citata. Le opzioni di cui al comma 3 dell’art. 26 ad.l. 91/2014, esplicando un effetto novativo sugli elementi di durata e importo delle tariffe, senza considerare i costi di transazione derivanti dalla necessità di adeguare gli assetti in essere alla nuova situazione, operano in senso peggiorativo. A parte la riduzione secca delle tariffe di cui alla lett. c), avente chiara portata negativa: - l’allungamento della durata divisata dalla lett. a) (estensione a 24 anni con proporzionale riduzione delle quote annuali), oltre a comportare una differita percezione degli incentivi, di per sé (notoriamente) pregiudizievole, non può non incidere sui parametri iniziali dell’investimento, impattando anche sui costi dei fattori produttivi (si pensi ad es. alle attività di gestione, alla durata degli eventuali finanziamenti bancari, dei contratti stipulati per la disponibilità delle aree, delle assicurazioni, ecc.), ferma la necessità del parallelo adeguamento dei necessari titoli amministrativi (cfr. comma 6); la lett. b) determina una riduzione degli importi per il quadriennio 2015-2019 (…). Ne deriva che la lesione, attualmente riferibile alla posizione delle ricorrenti, consegue all’immediata operatività dell’obbligo, imposto dall’art. 26 comma 3° d.l. n. 91/2014, di scelta di uno dei tre regimi peggiorativi previsti dalla norma, da operarsi senza conoscere l’esatta portata ed effetto delle misure compensative previste dai successivi PIANETA TERRA il Daria Palminteri 39 La necessaria riforma normativa sugli incendi boschivi La materia ambientale è stata esplicitamente introdotta nella Costituzione italiana solo nel 2001 con la riforma del Titolo V, Parte II, all’art. 117, comma 2, lett. s). Prima di tale data si assisteva pertanto ad una difficoltà nella ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni con riferimento agli interventi relativi alla tutela dell’ambiente. Ad arginare parzialmente tale difficoltà è più volte intervenuta la Corte costituzionale, che ha contribuito a delineare un sistema basato su criteri di ripartizione di tipo sussidiario, ovvero legati alla dimensione territoriale dell’interesse. Il novellato art. 117 Cost. riserva ora alla competenza esclusiva dello Stato la materia ambiente, ma il comma 3 dell’art. 117 Cost. affida alla legislazione concorrente una serie di materie che investono profili inscindibilmente connessi con la tutela dello stesso quali, in particolare, la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, nonché la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; ciò ha dunque comportato inevi- 40 tabilmente problemi di coordinamento, con il conseguente incremento del contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Un problema di raccordo fra competenze statali e locali si pone, fra l’altro, con riferimento alla legislazione in materia di incendi boschivi, in relazione al quale l’esigenza di una disciplina organica venne per la prima volta affrontata con la Legge quadro 353/2000. La Legge Quadro attribuisce, infatti, rilevanti compiti alle Regioni per la prevenzione e lotta agli incendi; nel dicembre 2001, in attuazione all’art. 8 comma 2 della L. 353/2000, sono state emanate le “Linee guida relative ai piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”. Le Regioni, sulla base di tali linee-guida, sono tenute ad approvare piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi, classificando il territorio secondo i diversi livelli di rischio e rappresentandone le aree corrispondenti in apposite planimetrie. Le difficoltà di individuazione delle relative competenze rispettivamente di Stato e Regioni emerge, tuttavia, con riferimento a questa materia con tutta la sua evidenza, difficoltà a monte dovute alla formulazione della legge in oggetto. La legge quadro, infatti, delinea un sistema che genera una eccessiva frammentazione di competenze istituzionali fra i vari soggetti coinvolti; ne consegue che il più delle volte le strutture incaricate della prevenzione e della repressione degli incendi operano senza una vera e propria organizzazione e senza alcun coordinamento fra loro poiché molteplici sono gli enti a cui viene affidato tale compito, determinando peraltro un eccessivo vento è previsto, manca la previsione di qualunque forma di raccordo fra Corpo dei Vigili del fuoco - privi in ogni caso di qualunque poteri di coordinamento delle attività - e Corpo Forestale, che ha poteri di polizia ambientale, accanto ad un’altra serie di competenze in altri settori. A ciò si aggiunga che l’apporto dello Stato all’attività di spegnimento aereo degli incendi boschivi è oggi attuato mediante l’impiego della flotta aerea antincendio del Dipartimento della Protezione Civile, che si avvale a tal fine del Centro Operativo Aereo Unificato, il quale, anche laddove sia previsto la partecipazione dei Vigili del Fuoco, conserva comunque il comando e la responsabilità delle attività, con conseguente scissione, in questi casi, tra soggetto deputato allo svolgimento dell’attività di programmazione e controllo e soggetto concretamente chiamato a svolgere attività di intervento, privo di poteri decisionali e di iniziativa. L’articolato sistema codificato dalla legge sugli incendi boschivi presenta pertanto elementi di forte criticità, a causa della disorganicità e frammentazione di competenze che pregiudica in maniera sensibile l’efficienza tecnica ed operativa degli interventi, con il rischio ulteriore di generare fenomeni speculativi discendenti da una degenerazione dell’impiego dello strumento della Convenzione, fenomeni che aggravano la dispersione di risorse, le lungaggini operative e la sovrapposizione di interventi. Da più parti si sottolinea, pertanto, la necessità di una riforma che ponga fine alla scarsa chiarezza nella distribuzione dei ruoli e al dispendio eccessivo e superfluo di risorse pubbliche, che hanno un inevitabile ripercussione negativa sul positivo funzionamento del sistema. n dispendio di denaro pubblico. Si assiste pertanto, molto spesso, ad un accavallarsi di interventi, senza che questo impiego massiccio e simultaneo di risorse si traduca in effettivo incremento dell’efficacia delle azioni preventive e repressive ma, anzi, generando un sistema che in numerose occasioni si traduce in un intralcio reciproco e conseguente rallentamento delle operazioni. La legge in oggetto, inoltre, prevede la possibilità che le Regioni stipulino convenzioni con vari enti e corpi per la lotta agli incendi, in base ad una scelta discrezionale che comporta come, ad esempio, in alcune Regioni sia previsto l’intervento dei Vigili del fuoco che in altre non è invece contemplato. Peraltro, anche laddove tale inter- 41 la necessità di una riforma che ponga fine alla scarsa chiarezza nella distribuzione dei ruoli e al dispendio di risorse pubbliche PIANETA TERRA il Silvia Martone Il Manifesto della green economy per l’agroalimentare attività e produzioni non alimentari cresciute nelle campagne, le misure da adottare anche nell’agricoltura per far fronte alla crisi climatica in atto, la necessità di sostenere la diffusione delle buone pratiche di un’agricoltura sostenibile e di qualità, quelle per rafforzare i controlli e la sicurezza alimentare, come combattere lo spreco di alimenti e di risorse agricole e come far fronte agli inquinamenti e al continuo consumo di suoli agricoli”. L’agroalimentare in Italia ha raggiunto traguardi importanti in direzione “green”: la produzione di energia rinnovabile di origine agricola è cresciuta da 6 a 7,8 milioni di Tep tra il 2010 e il 2012 e oltre 21.500 aziende agricole possiedono impianti per la produzione da FER; l’agricoltura italiana ha ridotto le emissioni di gas serra di 10 Mtep dal 1990 al 2013 ed è responsabile del 7,1% delle emissioni di gas serra nazionali. In flessione anche l’uso di fitofarmaci passati da 11,2 Kg/Ha nel 2010 a 9,2 nel 2013; inoltre le coltivazioni biologiche occupano ben il 10% della superficie agricola italiana (1,3 milioni di ettari) e il nostro Paese è secondo in Europa per coltivazioni bio subito dopo la Spagna. È necessario però lavorare ancora per risolvere alcune criticità, come la crescita delle frodi alimentari che sono salite del 48,6% tra il 2010 e il 2012, 43 Con Expo 2015 di Milano e il suo leit motiv “nutrire il Pianeta” non poteva non nascere un connubio tra sviluppo sostenibile, green economy e agroalimentare. A consacrarlo il Consiglio Nazionale della Green Economy che ha approvato il “Manifesto della green economy per l’agroalimentare”. Questo manifesto, che tradotto in inglese e in francese sarà diffuso a livello internazionale, punta a proporre, in occasione dell’Esposizione universale, alcuni indirizzi di green economy per l’agricoltura, che provengono da una riflessione radicata nel modello italiano, ma che possono essere “esportati”. Adottare la visione della green economy significa aggiungere valore economico e ambientale al comparto agroalimentare. Il Manifesto, ha detto Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che è l’organismo di supporto del Consiglio Nazionale della Green economy, “si propone di contribuire al dibattito nazionale e internazionale, con proposte sui temi cruciali per l’agricoltura nella nostra epoca: la necessità di uno sviluppo durevole e di buona qualità delle produzioni agroalimentari per nutrire la popolazione mondiale, il rapporto che va regolato per coordinare la priorità della produzione di cibo con le altre con un valore economico pari a 4 miliardi di euro, e la riduzione del suolo agricolo a fronte di un consumo di suolo che cresce a ritmo di 55 ettari al giorno nel 2013. Le sette proposte contenute nel Manifesto, nel dettaglio, sono le seguenti. Adottare la visione della green economy per assicurare uno sviluppo durevole e di qualità della produzione agroalimentare. L’agricoltura deve essere in grado di produrre cibo necessario alle presenti e alle future generazioni, producendo reddito adeguato agli agricoltori, occupazione e qualità delle colture. Ciò può essere reso possibile utilizzando i saperi della tradizione e le buone pratiche dell’eco-innovazione. Coordinare la multifunzionalità con la priorità delle produzioni agroalimentari. La bioeconomia, le bioenergie e le attività come l’agriturismo, quando sono integrate e sostenibili per i territori, non producono impatti ma al contrario contribuiscono al presidio del territorio, al recupero di aree degradate e a fornire possibilità aggiuntive di reddito. Alcuni numeri possono aiutare a comprendere l’importanza della multifunzionalità. La produzione di energia rinnovabile di origine agroalimentare (legna, biocombustibile e biogas da impianti agro zootecnici) è in crescita da 6 milioni di TEP nel 2010 a circa 7,8 milioni di TEP nel 2012. Al 2013 sono 21.573 le aziende agricole italiane che possiedono impianti di autoproduzione di energia da FER. In tale ambito è bene citare l’esperienza di due aziende presenti al convegno di presentazione del Manifesto. La prima, il Gruppo Lungarotti, è una nota realtà vitivinicola umbra che dal 2008 produce energia da biomasse con i residui delle potature pari a circa 720 MWh l’anno, sufficienti per soddisfare completamente i consumi termici dell’azienda (acqua calda e acqua surriscaldata) e circa il 30% dei consumi elettrici delle macchine frigorifere a compressione e con un risparmio di 100 tonnellate di CO2 all’anno. Altro caso esemplare è quello delle “Fattorie 44 della Piana”, cooperativa casearia di Rosarno che ha dato vita ad un “sistema integrato autosufficiente e auto sostenibile”, grazie ad una centrale a biogas da 998 kW, alimentata dagli scarti dell’azienda, quali liquami e scarti caseari, che è in grado di soddisfare i bisogni di 2.180 famiglie e ad un impianto fotovoltaico da 4 kW. Attuare misure di adattamento alla crisi climatica. Il cambiamento climatico ha già un forte impatto sull’agricoltura, che può dare un contributo importante alla mitigazione delle crisi climatica, sia con attività di assorbimento di gas serra (attraverso la gestione delle risorse forestali, dei terreni e dei pascoli), sia riducendo le emissioni (con l’uso di FER, diminuendo l’utilizzo di fertilizzanti azotati etc.) Ma è necessario anche rafforzare ed estendere misure di adattamento accelerandone la diffusione di azioni e pratiche agronomiche in grado di aumentare la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici. Superare modelli agricoli non più sostenibili e promuovere la diffusione delle buone pratiche. È opportuno promuovere una green economy agroalimentare basata su produzioni sostenibili di qualità, veri e propri motori di sviluppo delle economie e delle colture locali. Occorre puntare su territori ben coltivati e con buone pratiche agricole, supportate da alti livelli di formazione e di conoscenza e da un maggior contributo della ricerca e dell’eco-innovazione. Tutelare la sicurezza alimentare, potenziare i controlli e le filiere corte. Il punto debole dell’agroalimentare è proprio questo. L’aumento delle frodi alimentari in Italia dal 2010 al 2012 è stato pari al 48,6% a causa di carenze dei controlli a livello internazionale. Per tutelare la qualità della filiera agroalimentare occorre potenziare i controlli su scala globale, armonizzare le normative, puntare sulla tracciabilità, sull’origine garantita e protetta e rafforzare le filiera corte e le produzioni locali. Fermare lo spreco di alimenti, assicurare la circolarità dell’economia delle risorse alimentari. Lo spreco alimentare nei Paesi industrializzati, pari a 220 Mton, equivale alla produzione alimentare dell’Africa Sub Sahariana. Per contrastare sprechi di questa rilevanza è necessario introdurre buone pratiche e una migliore educazione alimentare. È inoltre necessario applicare alle filiere agroalimentari un sistema di economia circolare, puntando a minimizzare i rifiuti e prevenire attivamente scarti e perdite in tutte le fasi. Fermare le minacce alla produzione agroalimentare e ai suoli agricoli. In Italia la superficie agricola utilizzata è in continua riduzione. Si è passati da 15 milioni di ettari nel 1990 al 12,8 nel 2010. Particolare allarme suscita lo sviluppo incontrollato delle urbanizzazioni e delle infrastrutture che alimenta consumo dissennato di suolo agricolo. Le politiche di gestione e di uso dei suoli vanno cambiate, con lo scopo di preservare il quello agricolo. su qualità e tracciabilità dei prodotti, preservare la biodiversità, puntare sulle rinnovabili e aumentare la competitività della aziende, che in Italia hanno mostrato forza e non si sono slegate dal territorio”. Inoltre, il Ministero sta ponendo tutta una serie di strumenti e azioni a sostegno del settore agroalimentare, primo fra tutti il “Piano strategico nazionale per l’innovazione e la ricerca nell’agricoltura”, mirato a far sì che tradizione e innovazione cooperino per qualificare il mondo agricolo. Infine, il “Piano di sviluppo rurale 2014 – 2020”, che prevede una serie di misure mirate al contrasto dei cambiamenti climatici tramite la promozione delle energie rinnovabili, alla tutela degli ecosistemi e delle foreste, alla promozione del “bio” e alla corretta gestione del territorio. Il Ministero delle Politiche Agricole sembra quindi essersi già messo in gioco per la realizzazione dei temi proposti dal Consiglio nazionale della Green economy, mostrando ampio interesse e valutando positivamente l’iniziativa. Come accennato, l’idea del Manifesto è nata in vista dell’Expo 2015 di Milano e non poteva mancare l’intervento del Presidente del Comitato scientifico di Expo Milano, Claudia Sorlini, la quale ha ribadito l’importanza della sostenibilità in campo alimentare. È necessario ridurre le perdite e gli scarti anche migliorando la resilienza e le colture di alta qualità, migliorare la fertilità dei suoli attraverso la rotazione e il miglioramento dell’agrochimica. È necessario poi favorire l’educazione alimentare e valorizzare la dieta mediterranea, premiando i casi di agricoltura così detta “eroica”, ovvero quelli in cui, seppur in condizioni ostili, riesce a produrre prodotti pregiati, come ad esempio il Passito di Pantelleria. In Italia i prodotti agroalimentari di qualità (DOP, IGP, STG) sono in aumento e rappresentano il 22% del totale europeo, con 261 prodotti. Tale patrimonio va riconosciuto e sviluppato. n Fondamentale per mettere in pratica i dettami del Manifesto è il supporto delle istituzioni e in particolare del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che era presente alla presentazione per voce del Vice Ministro Andrea Olivero, che ha espresso l’interesse del Ministero alla creazione di un nuovo modello di sviluppo per l’agricoltura. “Vent’anni fa la globalizzazione era percepita come omologazione e da subito il mondo agricolo cercò di opporvisi. Oggi di fatto si tende a valorizzare la differenziazione delle colture e la diversità è diventata un valore aggiunto”, ha commentato Olivero. “È necessario conciliare rispetto per l’ambiente e sostenibilità, investire 45 l’idea del Manifesto è nata in vista dell’Expo 2015 di Milano PIANETA TERRA il Cristina Parisi Ambiguità e opportunità della politica energetica cinese nel Continente africano questo Paese sul Continente africano si nota che l’acquisizione delle materie prime, l’apertura di nuovi mercati emergenti e il supporto africano all’interno delle istituzioni internazionali risultano essere le aree di interesse principali. Per quanto concerne le materie prime, la Repubblica Popolare Cinese riesce ad attingere dall’Africa più del 30% del suo intero volume di importazione di greggio, materia prima necessa- ria per supportare la propria straordinaria crescita. Infatti il grafico sottostante, figura n. 1, ad opera dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, mostra come sia aumentata la produzione di energia dal 1971 ad oggi. Tale produzione, che al 2011 ammontava a circa 2.500 Mtoe, qualsiasi fosse la fonte di energia, è aumentata con andamento quasi costante fino al 2002, quando vi è stata un’impennata. La fonte maggiormente utilizzata rimane il carbone, seguito da petrolio e biocombustibili. Oltre al greggio, la Cina attinge dai Paesi africani anche ingenti quantità di rame, uranio, coltan, oro, argento, platino e legname. Il governo di Pechino ha fondato la sua strategia della sicurezza energetica su due pilastri: da una parte, ha fatto affidamento sui mercati internazionali e nazionali al fine di aumentare l’efficienza, la trasparenza e la stabilità; dall’altra, ha intrapreso una serie di iniziative politico-diplomatiche che concentrano l’attenzione sugli investimenti sostenuti all’interno dei Paesi africani al fine di migliorare le infrastrutture atte al trasporto delle risorse e per potenziare l’industria estrattiva nel suo complesso. Secondo molti autori1 , la Cina, a causa del suo sviluppo accelerato, è molto lontana dal raggiungere 47 Fonte: Agenzia Internazionale per l’Energia. È evidente che il quadro geopolitico del mondo sia mutato notevolmente nell’ultimo decennio e che protagonista indiscussa di tale mutamento sia stata la Cina. L’interesse cinese nei riguardi dell’Africa riflette una chiara ed evidente strategia politica ed economica. Da un’analisi più dettagliata delle operazioni di la sicurezza energetica. Si tenga conto che è diventata anche la seconda realtà al mondo, dopo gli Stati Uniti, per il consumo di energia e ha superato questi ultimi per l’emissione di gas serra, conquistandosi così il primo posto sulla black list dei Paesi che contribuiscono all’innalzamento delle temperature globali. La ricerca di risorse ha portato il Gigante asiatico in Africa, in particolar modo in Africa Sub-Sahariana, dove 19 Paesi sin dalla metà degli anni Novanta vedono crescere il proprio PIL del 4,5% all’anno2, grazie proprio alla presenza cinese ed al conseguente afflusso di IDE. Il fil rouge che accomuna queste economie è la costruzione di nuove infrastrutture o l’ammodernamento di quelle vecchie, in cambio dello sfruttamento delle materie prime presenti nel sottosuolo, con il conseguente aumento del volume delle esportazioni favorevole alle economie degli Stati presi in considerazione. La presenza cinese ha dunque innescato dei cicli virtuosi dal punto di vista economico in questi territori. Un esempio su tutti è quello del Congo. La Repubblica Democratica del Congo è da sempre oggetto degli appetiti, coadiuvati dalla forma politica statale debole, di varie potenze mondiali e regionali per via dell’abbondanza nel suo territorio di molte materie prime, tra cui petrolio, coltan, oro e rame. Mentre gli Occidentali hanno elargito prestiti senza sosta - permettendo che le infrastrutture si deteriorassero a tal punto che negli anni Ottanta solo un quarto di quelle esistenti negli anni Sessanta fosse effettivamente utilizzabile3 - i cinesi hanno iniziato l’opera di sollevamento dell’economia congolese proprio dalle infrastrutture. L’intervento cinese in Africa rappresenta per il Continente un’opportunità di rivalsa nell’economia globale, ma anche un mezzo per poter promuove la riduzione della povertà e perseguire così lo sviluppo. Purtroppo però, la mancanza d’attenzione cinese 1 48 D.H. Rosen, T. Houser, “China Energy, a guide for the perplexed”, China Balance Sheet, A Joint Project by the Centre for Strategic and International Studies and the Peterson Institute for International Economics; M. Lanteigne, “The Globalisation/Developmentalism Conundrum in Chinese Governance, The Chinese Party State in the 21st Century: Adaptation and Reinventation of Legitimacy”, ed. AndrèLalibertè and Marc Lanteigne, Milton Park, UK and New York, Routledge, 2008, pp.162183; ai principi della “good governance” e il sostegno ai regimi in Sudan e Zimbabwe hanno destato preoccupazione circa il ritardo nel perseguimento riforme volte a migliorare trasparenza e “accountability” nei Paesi africani. A ciò si aggiunga la scarsa importanza data al rispetto dei diritti umani, la presunta mancanza del rispetto dei diritti dei lavoratori, che ha già dato vita a rivolte anti-cinesi in vari territori africani, e dei diritti ambientali, che potrebbe esser dannosa non solo per la crescita dei Paesi stessi, ma anche per gli sforzi dell’intera comunità internazionale che da decenni si prodiga al fine di conseguire standard comuni in tali settori 4. Così è ormai già da qualche anno che la comunità internazionale interferisce nei rapporti tra Cina ed Africa, ritenendo troppo aggressiva la strategia di penetrazione cinese volta solo ed esclusivamente, secondo i governi Occidentali, ad esaudire gli interessi di Pechino. Diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’OCSE, ma anche l’UE e gli USA, infatti, hanno cercato di rendere più trasparente la politica cinese nel Continente 5. In particolare l’OCSE, per tentare di frenare l’aggressività delle imprese cinesi, ha elaborato una serie di principi che dovrebbero orientare per la realizzazione delle opere e dei servizi infrastrutturali. Dunque la Cina, affinché possa continuare a trarre benefico da questa “Win-Win Cooperation” dovrà rivedere la propria politica in Africa, non solo rendendo più trasparenti i processi decisionali, ma anche permettendo la compartecipazione di tutti gli stakeholders. Inoltre, al fine di non esser tacciata di mettere in atto una forma di neocolonialismo dai risvolti negativi, dovrà dare maggiore importanza alla sostenibilità ambientale e sociale del proprio operato, permettendo così che non solo le relazioni sino-africane permangano, ma che a beneficiarne realmente siano entrambi i protagonisti. n W. Jinglian, “China’s heavy industry delusion”, Far Eastern Economic Review, luglio/agosto 2005. 2 H. G. Broadman, “Africa’s silk road- China and India’s new economic frontier”, The World Bank, 2007. 3 S. GARDELLI, “L’Africa cinese- Gli interessi asiatici nel Continente Nero”, EGEA- Università Bocconi Editore, 2009, Milano. 4 A. Zafar, “The Growing Relationship Between China and Sub-Saharan Africa: Macroeconomic, Trade, Investment, and Aid Links”, The World Bank, 2007. 5 China aid is wake-up call to Europe, German official warns, in Deutsche Presse, 5 novembre 2006; Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento e al Comitato Economico e Sociale Europeo, Strategia dell’Unione europea per l’Africa: verso un patto euro-africano per accelerare lo sviluppo dell’Africa, [SEC(2005)125], Bruxelles, ottobre 2005; World Bank Group’s Africa Catalytic Grouth Fund, approvato il 22 febbraio 2006. Corsi di formazione per entrare o specializzarsi nel mondo del lavoro della green economy dalla porta principale dell’ ENERGIA RINNOVABILE EOLICA CORSO DI FORMAZIONE ANEV 3/2015 Il Minieolico 3 - 4 novembre 2015 Fiera di Rimini, in occasione di KeyWind CORSO DI FORMAZIONE ANEV 4/2015 Operation & Maintenance 5 - 6 novembre 2015 Fiera di Rimini, in occasione di KeyWind TUTTI I PARTECIPANTI POTRANNO INSERIRE IL PROPRIO CV CON SPECIFICAZIONE DELLA SPECIALIZZAZIONE ACQUISITA NELL’APPOSITA BANCA DATI CERTIFICATA ANEV RISERVATA ALLE MIGLIORI AZIENDE DEL SETTORE Il Corso può subire modifiche sulla base di eventi straordinari Per informazioni e iscrizioni Segreteria didattica: ANEV tel. +390642014701 - fax +390642004838 [email protected] - www.anev.org GRUPPO IVPC da 20 anni l’eolico in Italia SERVIZI Sede legale Centrale Operativa Ufficio Affari istituzionali e Trading I.V.P.C. Service Srl Viale Gramsci, 22 80122 Napoli Tel 081 6847801 - fax 081 6847814 [email protected] I.V.P.C. 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