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“Chiamati a Seveso”

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“Chiamati a Seveso”
Comunità Pastorale S. Pietro da Verona
Seveso
“Chiamati a Seveso”
Testimonianze
vocazionali raccolte durante
la Settimana Eucaristica 2015
1
Testimonianza di Francesco Beretta
seminarista
Premesse:
Non sono qui a fare la testimonianza
vocazionale per dire che Gesù, chiamandomi ad essere sacerdote, mi ha voluto più bene degli altri. Vocazione è qualcosa
che riguarda tutti e ciascuno di voi.
Che cosa è per me vocazione: rispondere all’amore di Dio che
ho incontrato nella vita; questa risposta può essere diversa
(sacerdozio, matrimonio, consacrazione religios…) ma è sempre vocazione. È la via per la quale ci sentiamo chiamati ad
essere santi. Vocazione è rispondere ad un Dio che si fa presente col suo amore nella storia di ciascuno di noi.
Quattro “punti nodali” della mia storia vocazionale:
La mia famiglia: è il luogo dove per primo ho sperimentato
l’amore di Dio attraverso l’amore dei miei genitori che hanno
desiderato per me il battesimo e, in virtù di questo battesimo,
si sono impegnati a crescermi facendomi conoscere Gesù.
Nella famiglia ho imparato a pregare, è stato il primo luogo
dove ho imparato a dire il “Padre Nostro”.
Persone incontrate nel mio cammino: sono le persone che attraverso il loro atteggiamento e modo di vivere mi hanno testimoniato Gesù e mi hanno trasmesso la passione di conoscerlo e seguirLo; sono quelle persone che con la loro testimonianza di gioia mi hanno spinto verso Gesù. Tra queste
vorrei ricordare anzitutto mia nonna, poi i preti che ho incontrato nel mio oratorio e la mia catechista delle elementari e
medie suor Luisa.
L’esperienza dell’oratorio: è stata quella cosa che ha fatto
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nascere dentro di me la passione per la figura del sacerdote.
È nel mio oratorio che mi sono sentito chiamato a seguire il
Signore sulla via del sacerdozio, è lì che è nato in me il desiderio di diventare prete per Gesù. Mi piaceva molto andare in
oratorio, facevo il catechista adolescenti e questa attività mi
appassionava e generava dentro di me quella domanda pressante che poi mi ha condotto a pensare l’ingresso in Seminario: “Se io sono felice di stare con i ragazzi, di educarli, di guidarli, di spiegargli il Vangelo, non è che questa felicità e passione è perché il Signore mi sta invitando a seguirlo sulla via
del sacerdozio?”
La preghiera: ultima ma non per minore importanza … è stata l’esperienza centrale della mia vita dove ho scoperto il vero
amore di Dio e dove l’ho potuto farne esperienza attraverso la
Parola e l’Eucarestia, “scrigno”dell’Amore concreto di Dio. Ci
sono due brani della Bibbia che mi hanno accompagnato e che
descrivono bene la mia esperienza di preghiera:
Is 43,5: “Perché tu sei prezioso ai miei occhi”
Mc 10: l’episodio del giovane ricco (“Fissatolo lo amò”)
È questo ciò che ho trovato nella mia preghiera personale e
che mi ha portato a rispondere “Eccomi” alla richiesta di Gesù: “ Una cosa sola ti manca: va vendi tutto quello che hai e
dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”.
La preghiera mi ha fatto conoscere, e tutt’ora continua a farmi vedere, un Dio che fissa lo sguardo su di me per amarmi e
questo sguardo continuo a trovarlo presente nell’Eucarestia.
Proprio da qui, da questo sentirmi amato, è venuto il coraggio di dire “Si” all’ingresso in Seminario.
Concludo con questa immagine: le grandi scelte della nostra
vita sono un po’ come un coraggioso lancio col paracadute: c’è
tanta paura del lanciarsi ma, ancor più forte della paura, è la
fiducia nel sostegno e nell’intervento del paracadute, che nelle
scelte della nostra vita è proprio Gesù.
È Lui che ci da il coraggio di lanciarci!
3
Testimonianza ai giovani alla
comunità pastorale di Seveso
di Don Salvatore Bilotta
Ogni giorno come il primo giorno …
A quindici anni nutri tanti progetti e tanti desideri.
Non sai quale saranno quelli giusti e su quale via ti condurranno le tue decisioni. Stai lì a pensare, a sognare anche in
grande ma ancora la meta non è perfettamente chiara, le idee
ancora non hanno preso forma. Eppure continui a immaginare un futuro in cui la vita ti conduce verso strade che non hai
mai visto o sognato. A quell’età è facile farsi prendere dall’entusiasmo e dalla tentazione del “subito, qui ed ora” ma dalla
storia impari, cerchi soprattutto di renderti disponibile all’ascolto della vita e comprendi che il cammino è solo appena
iniziato. C’è ancora tanto da fare e la voglia di continuare a
progettare è sempre lì. Avviene però qualcosa. Il Signore,
quasi senza accorgertene, viene e bussa alla tua porta e niente
è più uguale da quel momento in poi. Quasi non ti riconosci in
quello che eri, pensavi, facevi. Sei sempre tu ma con una vita e
un progetto diverso, un progetto che ti ha cambiato e modellato in modo profondo, indelebile, ineguagliabile. Ti appartieni più di prima pur avendo donato ora la vita ad un Altro. Conosci e comprendi meglio le tue difficoltà, le tue capacità, i
tuoi doni, i limiti da superare pur avendo prima trascorso tanto tempo a dare un senso ad ogni cosa. Prima del tuo “si” al
Signore ogni cosa era relativa perché mancava del suo centro.
Solo dopo aver conosciuto Lui, il vero Maestro, sei pronto a
farti plasmare ogni giorno, come il primo giorno.
Parlare della propria vocazione penso sia, per alcuni
versi, una delle cose più difficili e nello stesso tempo una delle
gioie più grandi per un sacerdote o qualsiasi chiamato. Non è
semplice descrivere i luoghi, le persone e i momenti che ti
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hanno portato a rispondere alla chiamata personale di un Dio
che ti chiama per nome. Eppure avverti la necessità di comunicare il tuo dono, l’amore che hai provato il giorno del “si”, la
vita che ti si è dischiusa davanti dopo la tua risposta alla chiamata di Dio. Circa trentacinque anni fa la mia parrocchia ancora non esisteva e neanche io... Santo Janni era una piccolissima frazione di Catanzaro, distante pochi chilometri dal centro cittadino. Poche case e pochi lavoratori dalla vita rurale. I
più piccoli paesi della provincia potevano vantare una tradizione centenaria in termini di fede e di religiosità. Non così
Santo Janni che non aveva neanche un piccolo ritrovo per la
fede dei suoi abitanti. Le uniche occasioni utili per mantenere
il contatto con Dio erano relegate alla presenza saltuaria di
qualche sacerdote in una cappellina di una località adiacente e
nei “pellegrinaggi” che si era quasi costretti a intraprendere,
con pioggia, vento e neve nelle parrocchie limitrofe. Un popolo abbandonato a se stesso, senza un pastore, senza una guida.
L’agire di Dio, però, è sempre oltre le nostre aspettative e
predispone ogni cosa per il nostro più grande bene. Grazie
all’opera dell’ispiratrice e fondatrice del Movimento Apostolico, una donna umile, semplice ma ricca di tanta fede e di tanto
amore per il Signore, grazie alla perseveranza della sua missione e al suo amore costante per la Parola di Dio cominciò a
muoversi qualcosa. Si iniziò a celebrare la Santa Messa in
questo piccolo paese, prima in un sottoscala, poi in un magazzino, infine, per interessamento del Vescovo che vedeva crescere dinanzi ai suoi occhi un popolo, in una Chiesa. E così
iniziò un cammino di fede che mi ha aiutato, sostenuto e condotto alla scoperta della mia vocazione al sacerdozio. Il movimento di risveglio è stato per tutti: giovani, bambini, anziani,
famiglie, coppie di fidanzati, studenti, lavoratori e molte furono le vocazioni. Dalla sola parrocchia di Santo Janni sono
uscite dieci vocazioni al sacerdozio e altre cinquanta nelle altre parrocchie. Molte anche le consacrate laiche nell’Istituto
Secolare “Maria Madre della Redenzione”. I giovani, sempre
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numerosi, si sforzano di testimoniare la loro fede nelle parrocchie, in diocesi, con la loro presenza attiva, la crescita nella
formazione e la realizzazione dei musical, pensati e strutturati
come strumento di evangelizzazione. La freschezza della loro
testimonianza è per me incoraggiamento costante a proseguire sul cammino tracciato dal Signore. Con la gioia nel cuore,
certo della grandezza della missione affidata da Cristo ad
ogni chiamato, chiedo al Signore la forza e la volontà di proseguire su questa strada sempre, ogni giorno con la gioia, il
coraggio e l’amore del primo giorno.
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Testimonianza di Maria Roggiani ausiliaria diocesana
Nell’anno che il Papa ha dedicato alla VITA CONSACRATA
è bello per me, per noi, accogliervi nella nostra casa
È bello poter girare nelle varie realtà religiose presenti in Seveso e lasciarsi accompagnare e guidare nella preghiera e
nell’adorazione del Signore Gesù. Siamo qui, davanti al nostro Dio, siamo davanti al nostro Signore e Salvatore,
a colui che ci ha chiamato, che ci ha amato e ha dato se stesso
per noi, per me. Sostare davanti all’Eucarestia è poter dialogare con Gesù, è potersi fermare a contemplare, a ringraziare
e dire tutto il mio amore per il Signore, per il mio creatore,
è mettersi davanti a Colui che mi ama e aprire a Lui il mio
cuore, i miei pensieri, è raccontare a Lui le gioie e le preoccupazioni, è affidare a Lui la mia vita e quella di chi incontro
ogni giorno. In questa prima parte della nostra preghiera ci
soffermeremo sulla “CHIAMATA”
Il Vangelo ascoltato non è il racconto di una chiamata a seguire Gesù, ma ugualmente questa parabola, questo insegnamento vuole aiutarci a riflettere su cosa significa essere chiamati. Tutti siamo chiamati a cercare il nostro tesoro, la nostra perla preziosa, ovvero quella strada, quella vita buona
per me che mi fa arrivare a gustare il Regno che Dio Padre e
il Figlio Gesù hanno preparato per me e per ciascuno.
Il Regno dei cieli è il tesoro, è la perla preziosa
e se è così prezioso, importante per noi, siamo disposti a metterci alla ricerca di questo tesoro, siamo disposti a fare fatica
per scoprirlo, siamo disposti a rinunciare a tutto pur di averlo. Il tesoro, la perla, diventano l’unica cosa necessaria per
me, e più nulla mi distrae, non temo di restare senza niente,
vendo tutto, pur di averlo. Dio ci chiama, chiama ciascuno di
noi a cercare la perla preziosa, la vita vera con Lui.
Ognuno di noi è chiamato a stare con Lui, in modo diverso,
unico, personale,: chi nella vita consacrata, sacerdotale, mona7
stica, secolare, chi nel matrimonio. Ma
dobbiamo avere il coraggio di prendere la
decisione di lasciarci incontrare da Lui,
dobbiamo avere il coraggio di guardare e
ascoltare il nostro cuore per scorgere il
desiderio grande che si nasconde. A volte
siamo ripiegati su di noi, sul nostro essere,
sulle nostre cose, sul nostro avere e ci lasciamo soffocare dalle cose e dal mondo.
Per me, per noi Ausiliarie, è nella consacrazione a Dio, nella chiesa diocesana, che
troviamo la nostra perla, il nostro tesoro.
Per noi la chiamata alla vita consacrata è
quella chiamata che Gesù ci rivolge per
stare con Lui, per vivere con Lui nel suo
amore per me e per il mondo. La vita consacrata è quel tesoro trovato che mi fa
gioire e per il quale sono disposta a lasciare tutto. Papa Francesco, nel discorso alle
superiore generali ci ricorda che la vocazione è iniziativa di Dio e non nostra, perché è Lui che per primo sceglie noi. Dice il
papa: “è Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo”
da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul
suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri
progetti”E ancora, ai seminaristi e novizi/e: “nel chiamarvi
Dio vi dice: “tu sei importante per me, ti voglio bene, conto su
di te”e da qui nasce la gioia! Dal sentirsi amati da Dio, sentire
che per Lui noi siamo persone e che è Lui che ci chiama”.
Siamo chiamati per testimoniare la gioia che proviene dalla
certezza di sentirci amati, dalla fiducia di essere dei salvati.
È facile questo? È facile stare/vivere la sequela di Gesù? È
facile vivere la chiamata alla vita consacrata? Ma vale lo stesso per la chiamata alla vita matrimoniale: è facile? No, non è
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sempre facile, bello. Gesù non ci ha detto “vieni, seguimi e
non farai più fatica, non preoccuparti perché non avrai più
delusioni né amarezze, non sarai più odiato… Ma ci dice “non
temere, io sono con te”.Ci sono e ci saranno le difficoltà, le
delusioni, le fatiche, lo scoprire le nostre debolezze… ma questo vale per tutti. Non possiamo fermarci e lasciarci schiacciare, sopraffare da tutto questo, non possiamo arrenderci.
Gesù ci invita a guardare in alto, a non temere, a guardarci
con i suoi stessi occhi che vedono la bellezza che siamo, Gesù
ci invita a guardare alla vita che Dio ci ha donato, a guardare
al bene e al bello e al buono che c’è dentro di noi e attorno a
noi. Ci invita a guardare al suo amore per noi, a rialzare lo
sguardo e gioire per i suoi doni. Gesù ci chiama a servirlo nella sua chiesa, con ciò che siamo e con le nostre capacità. Ci
chiama a sostenere la fede dei fratelli e delle sorelle, ma per
prime noi abbiamo bisogno di metterci in ascolto della sua
parola, di chiedere la forza dello Spirito Santo.
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Testimonianza di Paola Monti ausiliaria diocesana
Abbiamo letto nel vangelo di Matteo la pagina, come direbbe
il cardinal Martini, una icona biblica, delle donne della risurrezione. Questo è un brano “SIMBOLO” per noi ausiliarie
diocesane, perché proprio a partire dalle donne della risurrezione, nasce l’intuizione dell’Istituto data dall’allor Cardinal
Montini arcivescovo di Milano prima di essere eletto Paolo
VI e che ora la chiesa ha proclamato Beato.
Il Beato Paolo VI scriveva nella Pasqua del 1961: penso a
quelle benedette donne del Vangelo, che ebbero la somma
ventura di incontrare per prime il beato annuncio della risurrezione del Signore, e per prime lo diffusero fra i discepoli di
Lui; e continuava penso che la nostra diocesi ha bisogno di
donne consacrate che si offrano per il servizio pastorale.
Queste donne della risurrezione le vediamo qui rappresentate
nella vetrata centrale della nostra cappella e contemplando
questa pagina e chiedendomi come essere donna della risurrezione ogni giorno sono chiamata a scovare e a contemplare i
segni di risurrezione nella mia vita e nella vita degli altri.
A partire da questa pagina sono chiamata a portare speranza,
che non è un semplice dire speriamo che tutto vada bene, che
un problema si risolva quasi magicamente, ma è anzitutto la
certezza che il Signore mi è vicino sempre, è con me e anche
nei momenti difficili il Signore porta la difficoltà con me.
Forse il nostro tempo, la nostra cultura ha perso la speranza,
ci si comporta come se l’evento della risurrezione non ci fosse
stato. Penso che siamo chiamatI ad andare al centro della nostra fede che come dice Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium il cuore del Vangelo è la bellezza
dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto
e risorto. Forse qualche volta viviamo come se questo evento
non ci sia stato.
Le ausiliarie sono chiamate a vivere la carità pastorale.
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E questa carità pastorale prende spunto dal brano evangelico
di Gesù buon Pastore, prende spunto dalla compassione che il
Signore ha ad esempio per le folle come abbiamo ascoltato in
questi giorni nella liturgia. Come il buon pastore offrono la
loro vita a Dio per le pecore. Una caratteristica di questa carità pastorale che mi ha sempre colpito è l’essere per tutti, nessuno escluso, un po’ come la nostra diocesi per prima e le nostre parrocchie a seguire hanno. Il Vangelo è per tutti, la cura
e l’attenzione, la compassione è per tutti.
Ma per primo sento che è il Signore è per me, ha compassione
di me e allora la mia non può che essere un fragile riflesso di
quella compassione. Il prendersi cura, il prendersi a cuore tutti, dai piccoli ai grandi agli anziani. Questo amore di carità
determina, decide, definisce tutto di noi (dal cuore, dagli atteggiamenti, dalle scelte) perché l’ausiliaria è chiamata e scelta a vivere come Gesù, con Lui e di Lui.
Vi invito a pregare per le ausiliarie diocesane perché sull’esempio di Gesù buon pastore e le donne della risurrezione
sappiano testimoniare che in Dio tutto è gioia perché tutto è
dono.
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Testimonianza delle Suore infermiere di San Carlo
(Casa di riposo Masciadri Seveso)
LA GIOIA DI ESSERE CHIAMATI
CHIAMATI A SCEGLIERE
Carissimi fratelli e sorelle,
la nostra comunità – piccola – di Suore Infermiere di S. Carlo
Borromeo è ben felice e contenta di accogliervi questa sera,
per condividere, nella fede e nella speranza, questo momento
di intensa preghiera e di profonda adorazione.
Vogliamo insieme adorare Gesù Eucaristia, come a Betlemme
– casa del pane – Lo hanno adorato Maria, sua Madre e Giuseppe; come lo hanno adorato gli Angeli, i pastori, i santi Magi venuti dal lontano Oriente.
Vogliamo adorare e pregare per le vocazioni religiose, in quest’anno voluto da Papa Francesco come anno della vita consacrata. Nella preghiera di offerta quotidiana al Sacro Cuore di
Gesù, nel mese di Gennaio, ogni giorno noi abbiamo pregato
così: “Perché in questo anno dedicato alla vita consacrata i
religiosi e le religiose ritrovino la gioia della sequela di Cristo
e si adoperino con zelo al servizio dei poveri”. E poi noi Suore
Infermiere di S. Carlo ogni giorno dell’anno innalziamo a Dio
una preghiera per le vocazioni religiose. Gesù è presente con
noi stasera. E’ presente nell’Ostia Santa consacrata che con
viva fede contempliamo e adoriamo.“E’ presente – come dice
il Concilio Vaticano II nel n° 7 della Sacrosantum Concilium
– quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: Dove
sono due o tre riuniti nel mio Nome, là sono Io, in mezzo a loro” (Mt. 18,20) (Sacr. Conc. 7).
Se poi, noi, apriamo la porta dei cuori e Gli offriamo l’accoglienza delle buone disposizioni, Egli siederà con noi alla
mensa eucaristica, come ha fatto con i due discepoli di Emmaus.
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Anzi, noi ceneremo con Lui e Lui con noi. Come è scritto nel
libro dell’Apocalisse: “All’angelo della Chiesa che è a Laodicea scrivi: “…Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre la porta, verrò da lui, cenerò
con lui ed egli con me” (Ap. 3,20). “Il Signore chiama ancora?” viene da domandarci; bussa ancora alla porta del cuore
dei giovani e delle giovani?
Gesù Maestro fa sentire ancora la sua voce, la sua parola,
come l’ha sentita il piccolo Samuele nel cuore della notte?
Sono domande che noi tutti qui in cappella di Casa Masciadri
ci facciamo con sano realismo e grande fiducia. Gesù ha chiamato i Dodici, ha amato e chiamato anche il giovane ricco, il
quale se ne andò triste perché aveva molti beni.
Siamo sicure che Gesù chiama ancora.
Noi abbiamo fiducia che il Signore non può far mancare i religiosi e le religiose alla Sua Chiesa. Gesù chiama oggi, Gesù
chiama sempre.
Noi siamo una piccola Congregazione religiosa di diritto
pontificio, che recentemente si è aperta alla missione.
Abbiamo due sorelle, Suor Rita e Suor Morena che in Centrafrica lavorano tra i più poveri dei poveri in stretta comunione e collaborazione con i Padri Betharramiti.
Il nostro Padre fondatore, un Padre oblato vicario, Padre
Giovanni Masciadri, ci ha lasciato un programma di vita
molto semplice e concreto racchiuso in tre parole: UMILTA’
– SACRIFICIO – CARITA’. Qui in questa Casa noi siamo a
servizio a tempo pieno dei nostri cari Ospiti.
Nel loro volto, dopo la celebrazione della S. Messa e dopo le
nostre preghiere, riusciamo a vedere il volto di Gesù.
Occorre qui ricordare, in modo particolare quella pagina del
Vangelo di Matteo che piace moltissimo al nostro caro papa
Francesco: è la grande pagina, è la grande parabola del giudizio finale (cfr. Mt. 25,31-46), in cui l’amore diventa il criterio per la decisione definitiva sul valore o disvalore di una
vita umana.
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Gesù, presente nell’Ostia Santa consacrata, in questa pagina
di vangelo si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati: “Ogni volta che avete fatto
queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40):
Ma noi, Suore Infermiere di S. Carlo, siamo poche, da
anni non abbiamo vocazioni: il nostro servizio di amore agli
ammalati è grande ma ci mancano le forze. Ci impegnamo
con generosità e dedizione: ma la messe è molta e gli operai e
le operaie della nostra Congregazione sono poche.
Ci facciamo mendicanti questa sera e stendiamo la mano a
Gesù Eucaristia: con fede grande a Lui anzitutto diciamo una
preghiera: “Mandaci qualche brava ragazza che voglia seguirTi, Signore Gesù, nella povertà, nella castità, nell’obbedienza,
nella vita fraterna, secondo il carisma di Padre Masciadri, che
è sepolto nella nostra cappella.
Certo, sappiamo che il primo miracolo è la nostra santità: i
Santi, tutti i nostri santi Fondatori hanno attirato numerose
vocazioni. E allora chiediamo a Gesù eucaristia: “Rendici santi e sante!”.Qualche giorno fa il Consiglio permanente della
Conferenza episcopale italiana, in vista del 2 Febbraio, 19a
giornata mondiale della vita consacrata, ha inviato a noi religiosi e religiose un messaggio dal titolo:“Portate l’abbraccio
di Dio”.
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Ci dicono i nostri Vescovi:
“L’opera di tante persone
consacrate diventi sempre più il segno dell’abbraccio di Dio all’uomo e
aiuti la nostra Chiesa a
disegnare il nuovo umanesimo cristiano sulla
concretezza e la lungimiranza dell’amore. L’anno
della vita consacrata – è
bene sottolinearlo – non
riguarda soltanto le persone consacrate ma l’intera comunità cristiana, e il
nostro desiderio è che
costituisca una propizia
occasione di rinnovamento e di verifica per i singoli Istituti così come per
le diverse realtà ecclesiali. Il segno che avremo
saputo cogliere la grazia
in esso contenuta sarà la
crescita della comunione
e della corresponsabilità
nella missione fino agli
estremi confini dell’esistenza e della terra”.
Con questi sentimenti nel
cuore preghiamo e adoriamo!
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Testimonianza di suor Teresa Martino
Tutta la Chiesa si occupa dei poveri, in tutti i modi possibili,
perché Gesù ha detto i poveri li avrete sempre con voi, me
non mi avrete sempre…quindi curatevi di loro e vi sentirete
dire:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e
mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere,
ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e
mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i
giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato
da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto
malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà
loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Mt 25, 31-46
Sappiamo che alcuni sono chiamati a collaborare con Dio in
modo speciale. Dio parla in modo particolare ad alcuni esseri
umani e coloro che rispondono, maschi e femmine, vengono
formati da lui secondo il progetto che ha in serbo per loro.
Lo Spirito forgia servitori di Dio: apostoli e apostole, profeti e
profetesse, maestri e maestre … e li inserisce in una storia.
La storia di quest’Opera, come tutte le storie di Dio, è una
storia umana-divina. Più divina che umana. È frutto di un
ascolto. Dio parla e l’essere umano ascolta. Dio parla e fiorisce il deserto. La realtà prende corpo, colore e azione e il senso delle cose fiorisce.
Signore Gesù noi ti vogliamo accogliere tutto: la cura sola del
corpo non basta; l’assistenza da sola non basta, è necessaria
l’accoglienza totale dell’essere umano: anima e corpo.
La persona ha necessità immediata delle cose essenziali come
cibo, acqua e vestiti sia per il corpo che per l’anima. Quindi il
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pane che gli manca non sarà solo quello per la pancia, ma sarà
anche il Pane di Dio, il Pane della Vita eterna; così per l’acqua, così per i vestiti: l’acqua si, ma anche quella dello Spirito;
i vestiti, certo, ma anche l’abito della grazia ...
Un’altra Parola della Scrittura alla quale facciamo riferimento
è questa:
“Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero,
per farli sedere con i nobili e per assegnare loro un trono di gloria.
Perché al Signore appartengono i cardini della terra e su di essi
egli poggia il mondo” 1 Samuele 2,8
Tutti sentiamo la necessità di essere valorizzati, non importa
quanto grandi o piccole tante o poche siano le cose che sappiamo fare, o dire; non importa quanto belli o brutti siamo,
abbiamo bisogno di sentirci gratificati, riconosciuti nella nostra identità… Abbiamo bisogno di promozione umana e cristiana. Noi dell’Opera Fratel Ettore, troviamo questa gioia
nel sentirci utili agli altri. Ognuno di noi ha qualcosa da fare
di buono e di utile per l’altro. Insieme ci occupiamo delle nostre case, dei malati, di chi senza il nostro aiuto fattivo non
riuscirebbe nemmeno ad alzarsi.
Dopo poco tempo che il nuovo ospite arriva trova subito il
suo posto, subito viene amalgamato nell’attività: tanta, poca,
nulla… perché c’è anche chi non può fare nulla. Ma tutti possiamo pregare e lodare Dio; c’è chi non sembra capace nemmeno di questo, ma avrei tante cose da raccontare a proposito
di chi sembrava non comprendere nulla della preghiera e poi
avrebbe avuto da insegnare agli altri…
…Questa è l’intuizione di fratel Ettore Boschini, religioso
camilliano, fondatore di quest’Opera. Il fatto che fosse camilliano connota ulteriormente l’Opera con un’attenzione particolare verso il malato: il malato è due volte povero, diceva
fratel Ettore. Altra peculiarità camilliana è accompagnare alla
morte chi termina la sua vita nelle nostre case. Accompagnare i poveri nella loro pasqua è compito divino, diceva san Camillo de Lellis.
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Il fatto che fratel Ettore abbia scelto una donna a subentrargli alla guida, connota ulteriormente quest’Opera. Ancor di
più se si pensa che dopo una settimana dalla morte di fratel
Ettore questa scelta femminile è stata confermata dall’arrivo
di altre due donne: Ester e Laura.
C’è un brano nel Siracide al capitolo 36, ne leggiamo il versetto 27, che dice : “dove non esiste siepe, la proprietà viene saccheggiata, dove non c’è donna l’uomo geme randagio” ... Voglio intendere per uomo non un neutro assoluto, ma l’uomo e la
donna, il maschio e la femmina, l’umanità intera che Dio affida in modo particolare alla cura della donna … e allora dico
che ci sentiamo anche noi molto valorizzate, gratificate
nell’essenza più profonda dell’essere donna, per questo affidamento che il Signore ci fa dell’umanità intera.
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Testimonianza di un Memores Domini
Intervista a don Luigi Giussani - di Lucio Brunelli e
Gianni Cardinale 30Giorni
01/05/1989
I "Memores Domini", si propongono di vivere la memoria del
Signore da laici nel mondo del lavoro.
Nascono nel 1964, nel 1981 sono riconosciuti come "Pia associazione laicale" dal vescovo di Piacenza, monsignor Enrico
Manfredini, sette anni dopo, l'8 dicembre 1988, è la Santa Sede che li approva e riconosce loro personalità giuridica come
"Associazione ecclesiale privata universale".
Come e quando nacque l'idea dei Memores Domini?
LUIGI GIUSSANI: Molto tempo fa, all’inizio degli anni 60,
alcuni ragazzi di Gioventù studentesca (il movimento solo più
tardi prenderà il nome di Comunione e liberazione) hanno
insistito perché fossero seguiti nel vivere una dedizione a Dio
dentro il mondo. La proposta mi trovò ammirato ma non immediatamente compiacente. Tanto che, all'inizio, partecipai
non molto appassionatamente ai loro ritrovi quindicinali di
preghiera, e solo dopo un periodo di due o tre anni con evidenza mi sono accorto che quella poteva essere una provocazione ad una realizzazione particolare, ma significativa, della
esperienza cristiana da noi iniziata anni addietro. Allora ho
protetto la decisione di alcuni di questi giovani di adattare
come loro casa, loro centro logistico, un cascinale nella estrema periferia di Milano, che a distanza di tanti anni, debitamente riadattato, funge ancora da casa madre per l'attuale
Memores Domini.
Quali sono le regole fondamentali di vita a cui un membro dell'associazione deve prestare ubbidienza?
GIUSSANI: Sono sintetizzabili nelle categorie in cui, tradizionalmente, la Chiesa riassume l'imitazione di Cristo. L'ob19
bedienza, nel senso che lo sforzo spirituale, la vita ascetica,
sono facilitate e autenticate da una sequela. La povertà, come
distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose. La
verginità, come rinuncia alla famiglia per una dedizione anche formalmente più totale a Cristo.
Competenze vaticane a parte, cosa distingue l'associazione Memores Domini da una congregazione religiosa o
anche dagli istituti secolari?
GIUSSANI: L'associazione Memores Domini non implica
l'esplicitazione, nei classici "voti", della prospettiva di vita in
cui ci si impegna. E questo non per una sorta di reticenza, ma
perché a noi sembra che il battesimo e la cresima possano essere sufficienti per fondare una dedizione totale a Cristo e alla
Chiesa; senza dover ricorrere alla caratteristica formale della
vita religiosa che si esprime, appunto, nei voti. La mia immagine è quella di un laico che liberamente vive una esistenza
totalmente immersa nel mondo con una totale responsabilità
personale. Ad esempio se è imprenditore è totalmente padrone e corresponsabile con altri eventuali soci della sua impresa.
Non è la pretesa di una maggiore libertà, ma un documento di
stima e di fiducia totale nella responsabilità personale del laico cristiano. C'è un momento, comunque, nel cammino della
Memores Domini, in cui l'impegno vocazionale viene assunto
davanti a tutta la comunità come impegno permanente. Tale
momento è sempre stato inteso come un'assunzione di responsabilità di fronte a tutto il mistero della Chiesa. La professione.
Come è stato per me.
Nel momento in cui intuii che quella dei Memores Domini
avrebbe potuto essere la strada che Cristo aveva scelto perché
lo potessi incontrare chiesi un appuntamento a don Giorgio
Pontiggia che allora era responsabile della verifica e gli dissi
che ero venuto da lui per essere aiutato ad avere dei criteri
per capire se quella dei Memores poteva essere la mia strada;
ero lontano dall'aver deciso di diventare Memores! Lui mi
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disse: "pensa a tutto quello che è successo nella tua vita, collega tutti i punti e dimmi se portano qui. Però - aggiunse - me
lo devi dire adesso". Io rimasi alcuni minuti in silenzio, ripensai alla mia vita e collegai tutti i punti poi gli risposi: "la cosa
mi fa paura ma quei punti mi pare che portino qui".
E lui: "la paura è giusto che ci sia perché inizi una strada che
non conosci; l'unica cosa è non aver paura della paura perché
questo diventa obiezione".
Era un martedì, il 14 marzo del 1995 e mi invitò ad una lezione della verifica che ci sarebbe stata la domenica successiva.
"Dopo la lezione - mi disse - vieni a cercarmi".
Andai alla lezione e poi a cercarlo. Quando fummo uno di
fronte all'altro mi chiese: "allora, cosa è cambiato questa settimana per la decisione di dare la vita a Cristo?". Era una domanda a bruciapelo e rimasi un attimo a pensarci; cosa poteva
essere cambiato di così rilevante? Dopo qualche esitazione
risposi così: "guarda io di solito, quando sono in macchina, se
mangio una caramella la carta la butto fuori dal finestrino.
Questa settimana non l'ho fatto perché mi sembrava che non
c'entrasse nulla". La sua risposta fu: "è un buon segno". E così
andai avanti sempre più entusiasta.
In vent'anni devo dire che questo seme si è sviluppato ma in
quel seme c'era già dentro tutto. Cristo è interessante se ha a
che fare con ogni istante del mio vivere; quella volta mi ero
accorto che c'entrava con la carta della caramella, piano piano
ha cominciato a c'entrare sempre con più cose e la vita ha cominciato a diventare drammatica.
Perché? È l'ultima cosa che dico. C'è stato un periodo che facevo orari di lavoro abbastanza pesanti. Un giorno tornavo in
auto da Como che erano le 20.30; ero stanco e ho messo in
bocca una cicca. Dopo dieci minuti la cicca ha perso il suo sapore e dopo venti minuti avrei voluto buttarla dal finestrino
però mi è accaduto di dire tra di me: "Cristo, io la cicca non la
butto ma non per uno spirito ecologista, non la butto per
amore a Te". Sono arrivato a casa e l'ho buttata nel bidone.
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Il giorno dopo la scena si è ripetuta, volevo buttarla via e non
mi veniva più quello slancio di amore verso Cristo del giorno
prima.
Nello stesso tempo riconoscevo che quello che mi era successo il giorno prima era più vero. Ecco, qui ho capito che tutto
il dramma umano è racchiuso nel dire di si ad una cosa che si
è riconosciuta come vera.
Lo stesso dramma della Madonna che dopo aver detto di si
all'Angelo si è ritrovata tutta sola nel dir di si a Dio nella vita
di tutti i giorni, banale, nella quale nessuno avrebbe potuto
credere che era incita per opera dello Spirito. Da vent'anni
cammino su questa strada per far crescere la familiarità con
Cristo che ho scoperto sempre di più essere contemporaneo a
me e quindi compagno di strada.
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