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Einstein - Fondazione Livia Tonolini
Einstein Una biografia personale (come premessa a una biografia scientifica) Nacque a Ulma, in Germania, il 14 marzo 1879. I genitori erano ebrei non praticanti. Nel 1880 la piccola impresa del padre è in difficoltà, e la famiglia si sposta a Monaco, dove Albert compie i primi studi. Impara a parlare molto tardi. La sorella Maja dirà: “Pronunciava ogni frase lentamente e usava ripeterla più volte a fior di labbra”. La madre lo avvia allo studio del violino, lo zio Jacob a quello dell’algebra, uno studente di medicina gli fa leggere libri di divulgazione scientifica. A quindici anni studia, da solo, il calcolo infinitesimale. Dopo il lento avvio, la personalità di Albert giunge precocemente e rapidamente a maturazione. Scriverà, nell’Autobiografia scientifica: “Attraverso la lettura di libri di scienza popolare mi ero convinto ben presto che molte delle storie che raccontava la Bibbia non potevano essere vere. La conseguenza fu che divenni un accesissimo sostenitore del libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente. Da questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni genere di autorità e di scetticismo verso le convinzioni particolari dei diversi ambienti sociali …” “Con la sua sola presenza lei distrugge il rispetto della classe nei miei confronti”, gli dirà un professore. Dopo alcuni anni di relativa prosperità la fabbrica di Monaco è in difficoltà. La famiglia si trasferisce in Italia, a Pavia, in cerca di miglior fortuna. Albert resta a Monaco, ma per poco. “Quando mio padre si trasferì in Italia, egli intraprese passi, su mia richiesta , affinché io fossi sciolto dalla cittadinanza tedesca, perché volevo diventare cittadino svizzero”. Si decide in famiglia che Albert si iscriverà al Politecnico di Zurigo. Nel 1895 fallisce la prova d’ammissione, per carenze nelle materie letterarie. Dovrà frequentare la scuola cantonale di Aarau (Argovia). L’anno dopo, l’iscrizione. Prende ben presto una decisione: non farà l’ingegnere, ma l’insegnante, forse il ricercatore. Poi la scelta definitiva: la fisica. “Mi accorsi [...] che le matematiche si dividevano in numerosi rami, ciascuno dei quali poteva facilmente assorbire il breve tempo che ci è concesso di vivere”; questo vale anche per la fisica, “ma in questo campo imparai subito a discernere ciò che poteva condurre ai principi fondamentali da quella pletora di cose che confondono la mente e la distolgono dall’essenziale”. Gli anni di Zurigo Al Politecnico, per la presenza di insegnanti come Herman Minkowski, E. “avrebbe potuto farsi una preparazione matematica veramente solida”, ma invece “lavorò per la maggior parte del tempo nel laboratorio di fisica, affascinato dal contatto diretto con l’esperienza”, dedicando il resto del suo tempo “a studiare a casa le opere di Kirchhoff, Helmholtz, Hertz, ecc.” “Lei è intelligente, estremamente intelligente, Einstein – gli dirà uno dei docenti, il fisico Heinrich Weber – ma ha un grande difetto: non vuole lasciarsi insegnare una sola cosa!” A Zurigo E. riceve altri stimoli. Michele Besso, un ingegnere italiano residente in Svizzera, lo indirizza alla lettura di Ernst Mach, il fisico, fisiologo e filosofo austriaco che avrà su di lui una notevole influenza. E. leggerà anche opere di Spinoza, Hume e Kant. Zurigo era allora percorsa da vari fermenti: vi soggiornarono futuri rivoluzionari, come Lenin, Plechanov, Trockij, Rosa Luxenburg, donne emancipate e politicizzate come Alexandra Kollontay e Florence Kelley. E. vi conobbe anche Friedrich Adler, un giovane socialista austriaco, dal quale udì trattare, forse per la prima volta, temi strettamente politici. All’atto del conseguimento del diploma, E. non ottiene il posto di assistente che gli era stato prospettato. Il 1902 è una anno di svolta. Gli anni di Berna Grazie all’amico Marcel Grossmann, un matematico, trova un impiego stabile presso l’Ufficio Brevetti di Berna Ottiene la cittadinanza svizzera Sposa Mileva Marič, un’esule serba, studentessa di matematica Conosce uno studente di filosofia rumeno, Maurice Solovine, e un matematico svizzero, Konrad Habicht I tre danno vita a un cenacolo, che battezzeranno Accademia Olympia A parte la mutua fecondità degli scambi fra E. e Besso e con Habicht e Solovine, questi amici fornirono una preziosa cassa di risonanza per quanto egli andava nel frattempo elaborando nel campo della fisica. I primi passi L’impiegato dell’Ufficio Brevetti ha del tempo libero: studia, elabora, e scrive articoli che invia a riviste scientifiche. Il suo primo articolo appare nel 1901. L’autore è appena ventiduenne. Lo scritto riguarda fenomeni di capillarità, e non si segnala come particolarmente cospicuo. Ma, già in una lettera a Mileva, del 1900, egli diceva di essere alla ricerca di fatti “che rendessero il più possibile certa l’esistenza di atomi di definite dimensioni finite.” Boltzmann era arrivato all’atomo attraverso i suoi studi di meccanica statistica. In tre articoli, pubblicati fra il 1902 e il 1904, Einstein elabora questa teoria, aggiungendovi uno studio specifico sulle ‘fluttuazioni’. Il fisico americano J. Willard Gibbs aveva pubblicato nel 1902 un suo trattato organico sull’argomento. E. ebbe a dire, molto più tardi, che, se ne fosse stato a conoscenza, si sarebbe limitato a pubblicare qualche dettaglio specifico. 1905: Annus mirabilis (EINSTEIN’S MIRACULOUS YEAR: Five Papers That Changed the Face of Physics, edited and introduced by John Stachel, Princeton University Press, 1998) Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari Sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo come prescritto dalla teoria cinetico-molecolare del calore Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto d’energia? L’annuncio a Habicht “Caro Habicht! Fra noi regna un silenzio solenne, al punto che mi sembra una profanazione venire a romperlo per qualche ciarla di scarso significato. Ma al sublime non succede sempre così a questo mondo? – Che cosa fa dunque Lei, Lei balena congelata, Lei pezzo d’anima affumicata e conservata, o cos’altro potrei ancora tirarLe in testa, pieno al 70% d’ira e al 30% di compassione? Solo l’ultimo 30% deve ringraziare se io, dopo che Lei per Pasqua – senza farsi vivo – non era apparso, non Le ho spedito un barattolo pieno di cipolle affettate e spicchi d’aglio. Ma perché non mi ha ancora spedito la Sua dissertazione? Ma non lo sa, miserabile, che io sarei uno degli 1 e 1/2 individui che se la leggerebbero tutta con interesse e piacere? Le prometto in cambio quattro lavori, il primo dei quali potrei inviarLe entro breve, dato che riceverò fra pochissino le copie omaggio ... … Tratta della radiazione e delle proprietà energetiche della luce, ed è molto rivoluzionario, come vedrà se prima mi spedisce il Suo lavoro. Il secondo lavoro è una determinazione della vera grandezza degli atomi a partire dalla diffusione e dall’attrito interno delle soluzioni liquide di sostanze neutre. Il terzo dimostra che, nel presupposto [della validità] della teoria molecolare del calore nei liquidi, particelle in sospensione già dell’ordine di grandezza di 1/1000 di mm devono compiere un moto disordinato percettibile, che è generato dall’agitazione termica; sono moti ‘inesplicati’ di piccoli corpi inanimati in sospensione – in effetti sono stati osservati dai fisiologi –, che sono stati da loro chiamati ‘moto molecolare browniano’. Il quarto lavoro esiste solo in abbozzo ed è un’elettrodinamica dei corpi in movimento [ottenuta] mediante l’utilizzazione di una modificazione della dottrina dello spazio e del tempo;la parte puramente cinematica di questo lavoro La interesserà di sicuro”. Le prime reazioni Walter Kaufmann, nel 1906, cerca di determinare la dipendenza della massa degli elettroni dalla velocità e afferma che i suoi risultati “non sono compatibili con le ipotesi fondamentali di Lorentz e Einstein”. Planck mostra che le equazioni “relativistiche per il moto degli elettroni” si possono far discendere da un principio d’azione. Hermann Minkowski formula la versione quadridimensionale della cinematica relativistica. Più importante di tutti i lavori precedenti per l’affermazione definitiva di E. fu la sua teoria quantistica del calore specifico dei solidi (1907). La formula derivata da E. indicava che i calori specifici dovevano tendere a zero al tendere a zero della temperatura assoluta. Walter Nernst fu da questo stimolato a iniziare, con i suoi collaboratori, un programma sistematico di misurazioni dei calori specifici a basse temperature. Di qui in avanti la carriera universitaria di E. si sviluppò in modo rapido. Nel 1908 divenne Privatdozent all’Università di Berna. L’anno seguente, resasi disponibile una posizione di professore associato a Zurigo, Friedrich Adler, in predicato per il posto, fu fermo nel ritirarsi a favore di E.. Nel 1911 gli fu offerto un posto di professore ordinario all’Università di Praga. Vi rimase un anno e mezzo. Nel 1912 ritornò infatti a Zurigo, dove gli era stata offerta analoga posizione. “Fra tutte le comunità a nostra disposizione [...] non ce n’è nessuna a cui vorrei appartenere , se non quella dei veri ricercatori ...” (lettera a Hedi Born, moglie di Max Born.) Nel 1911, Nernst indusse l’industriale belga Ernest Solvay a patrocinare una conferenza nella quale i fisici attivi nel capo dei fenomeni quantistici potessero fare il punto della situazione. E. fu uno degli invitati. “Fin da quando ero un giovane abbastanza precoce, la vanità delle speranze e degli sforzi che travolgono incessantemente la maggior parte degli uomini in una corsa affannosa attraverso la vita, mi aveva colpito profondamente. Ed anzi, avevo ben presto scoperto la crudeltà di questa cosa affannosa, che in quegli anni era mascherata di ipocrisia e di belle parole con cura molto maggiore di quanto si faccia oggi [...] Ora comprendo che il paradiso religioso della giovinezza, così presto perduto, fu un primo tentativo di liberarmi dalle catene del ‘puramente personale’, da un’esistenza dominata solo dai desideri, dalle speranze e da sentimenti primitivi. Fuori c’era questo enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi, esseri umani, e che ci sta di fronte come un grande, eterno enigma, accessibile solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero. La contemplazione di questo mondo mi attirò come una liberazione, e subito notai che molti degli uomini che avevo imparato a stimare e ad ammirare avevano trovato la propria libertà e sicurezza interiore dedicandosi ad essa ... ... Il possesso intellettuale di questo mondo extrapersonale mi balenò alla mente, in modo più o meno consapevole, come la meta più alta fra quelle concesse all’uomo. Gli amici che non si potevano perdere erano gli uomini del presente e del passato che avevano avuto la stessa meta, con i profondi orizzonti che avevano saputo dischiudere. La strada verso questo paradiso non era così comoda e allettante come quella del paradiso religioso; ma si è dimostrata una strada sicura, e non ho mai più rimpianto di averla scelta.” Lungo questo cammino, se non si perde l’amicizia di altre menti forgiate con lo stesso stampo, si è però portati a chiudersi a un mondo di relazioni e affetti più terreni e immediati. E. si sarebbe più tardi definito come “un viaggiatore solitario”: “Non mi sono mai dato con tutto il cuore né al paese che mi ha visto nascere, né alla casa, né ai miei amici, e nemmeno ai miei congiunti più prossimi.” Berlino val bene una messa Abbiamo lasciato E. a Zurigo. Ma Planck e Nernst si stavano già adoperando per portarlo a Berlino. Le condizioni erano oltremodo lusinghiere: E. sarebbe stato eletto, a soli trentaquattro anni, all’Accademia Prussiana delle Scienze, sarebbe stato nominato direttore del settore scientifico del Kaiser Wilhelm Institut, in via di costituzione, non avrebbe avuto obblighi d’insegnamento e avrebbe dunque potuto dedicare tutto il suo tempo alla ricerca. E. accettò. La famiglia lo seguì a Berlino, dove si era trasferito nell’aprile del 1914. Ma l’estate seguente Mileva ricondusse i figli a Zurigo. Era la fine di fatto del matrimonio. E. avrebbe sposato, nel 1919, subito dopo il divorzio, la seconda cugina Elsa. A Berlino sarebbe rimasto quasi vent’anni. Ma siamo nel 1914! Il soggiorno berlinese di E. non cominciava sotto i migliori auspici. “Svizzero” ed “ebreo”, era per ciò stesso isolato in un clima montante di nazionalismo già intriso della mitologia razzista sulla nazione tedesca. Quando poi le personalità più conosciute della cultura tedesca redassero un manifesto nel quale affermavano, fra l’altro, che cultura tedesca e militarismo tedesco erano la stessa cosa, e si esaltava la profondità della scienza tedesca, accusando di leggerezza e superficialità la scienza francese e anglosassone, egli sostenne attivamente l’iniziativa del collega fisiologo Nicolai, che, con buona dose di coraggio, preparava un controdocumento pacifista, un “Manifesto degli Europei”. Solo Nicolai, E. e altri due lo firmarono. Abbiamo seguito l’attività di ricerca di E. fino al 1907, anno della pubblicazione del suo importante articolo sul calore specifico dei solidi. Proprio in quell’anno egli aveva iniziato la lunga e difficile navigazione che lo avrebbe portato, otto anni dopo, nel ’15, alla formulazione del suo più importante contributo alla fisica: la nuova teoria della gravitazione nota come Teoria della relatività generale. Sempre in periodo bellico, nel ’17, apparve quel “Considerazioni cosmologiche sulla relatività generale” che avrebbe tracciato alcune delle linee guida della cosmologia fisico-matematica del ventesimo secolo. Né egli aveva trascurato la fisica quantistica, se è vero che, in quello stesso 1917, aveva prodotto una nuova derivazione, per molti aspetti illuminante, della legge di Planck. Una delle previsioni della teoria einsteiniana della gravitazione era che il Sole dovesse deviare le traiettorie dei raggi luminosi emessi dalle stelle che si trovino a passare in prossimità del Sole stesso. Come conseguenza, stelle disposte sulla volta celeste in prossimità del Sole, osservabili in occasione di un’eclisse totale di Sole, dovrebbero mostrare scostamenti radiali rispetto alla loro posizione abituale. Nel 1919 una spedizione guidata dall’astronomo britannico Arthur Eddington per osservare l’eclisse in condizioni favorevoli riportò di avere osservato l’effetto nella misura prevista (la figura mostra i dati riportati in un’occasione successiva – eclisse del 1922). La nascita del mito Il rapporto di Eddington suscitò un’impressione enorme prima di tutto negli ambienti scientifici britannici. Non bisogna dimenticare che in essi si era perpetuato per secoli il mito di Newton. Ed ecco che, per la prima volta, la sua teoria della gravitazione appariva confutata. “Newton detronizzato!”, si scrisse. Ma l’eco fu molto forte anche al di fuori di quegli ambienti, e presso l’intera opinione pubblica mondiale. Facciamo attenzione all’anno! È il 1919, ed è appena finito il primo conflitto mondiale, un orrendo inutile massacro. Ed ecco che un astronomo britannico verifica una previsione formulata da un fisico “tedesco”. La scienza può affratellare i popoli e far loro ritrovare l’innocenza perduta. La visione epistemologica della maturità e il Dio di Spinoza “La cosa più sorprendente del mondo è che esso è comprensibile” “...abbiamo il diritto di essere convinti che la natura è la realizzazione di tutto ciò che si può immaginare di più matematicamente semplice” “I concetti matematici utilizzabili possono essere suggeriti dall’esperienza, ma mai esserne dedotti...” “Credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’armonia di tutte le cose, non in un Dio che si interessa del destino e delle azioni degli uomini” “Sottile è il Signore Iddio, ma non maligno” “Quello che vorrei capire è se Dio ha avuto alcuna scelta nel costruire il mondo” Einstein “schierato”? L’armistizio e l’avvento in Germania della repubblica furono accolti da E. con eccitazione e grande senso di aspettativa. In una cartolina di quei giorni indirizzata a Born scriveva: “ ... i giovani che hanno vissuto tutto questo non diventeranno facilmente dei piccoli borghesi ...” “Le poche parole della cartolina – scrisse poi Born – mostrano quali speranze egli riponesse nel nuovo regime ... Einstein detestava profondamente il prussianesimo e il suo arrogante militarismo, li riteneva sconfitti per sempre e credeva che tutto sarebbe andato meglio”. Si sarebbe anche troppo presto dovuto ricredere: già nel 1920, al congresso di Bad Nauheim, il fisico Lenard mosse nei confronti di E. violenti attacchi di stampo antisemita. Einstein sionista? Diversi uomini di scienza cominciarono anche ad additare la relatività, apparentemente così svincolata dal campo dell’esperienza diretta, come esempio di scienza ebraica, cui contrapporre la sana concezione propria della scienza ariana. In questo contesto, nel 1921, E. si dichiarò pubblicamente sostenitore del sionismo. Si veda tuttavia un suo scritto molto più tardo, del 1938: “Io troverei più ragionevole un accordo con gli arabi sulla base della comune aspirazione a vivere in pace, piuttosto che ricorrendo alla creazione di uno stato ebraico, cinto di frontiere, con un esercito e un potere politico, non importa quanto esteso. Io temo per l’intimo danno che al Giudaismo ne deriverà, specialmente attraverso lo sviluppo nelle nostre stesse fila di un meschino nazionalismo, contro il quale noi abbiamo già dovuto combattere duramente, anche senza uno stato ebraico”. Il Nobel E. ricevette il Premio Nobel per la fisica nel 1921, “per il suo lavoro in fisica teorica e in particolare per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”. Va ricordato che il premio è di preferenza assegnato a ricerche che siano state suffragate da riscontri sperimentali importanti. Come pure che le conferme degli effetti relativistici (RR) furono tarde a venire, e che, dopo il clamore iniziale, l’interesse per la RG si andava attenuando in considerazione del numero ristretto dei riscontri e della piccolezza degli scarti dalla teoria newtoniana. Incidentalmente: E. devolvette interamente il premio alla ex moglie. La vita non è fatta solo di lavoro e d’impegno … ...ma ritorniamo alla fisica E., fino dal 1905, aveva apportato contributi fondamentali allo sviluppo della fisica quantistica (v. il Nobel! E la formulazione della prima statistica quantistica – S. Bose, A. E., 1924-25). Ma ora le cose stanno prendendo una piega che non gli piace. Lettera del 1924 ai coniugi Born: “Le idee di Bohr sulla radiazione mi interessano molto, ma non vorrei lasciarmi indurre ad abbandonare la causalità rigorosa senza prima aver lottato in modo assai diverso da come si è fatto finora. L’idea che un elettrone esposto a una radiazione possa scegliere liberamente l’istante e la direzione in cui spiccare il salto è per me intollerabile. Se così fosse preferirei fare il ciabattino, o magari il biscazziere, anziché il fisico”. Finalmente la meccanica quantistica A partire dall’introduzione del quanto d’azione da parte di Planck nel 1900 si era andata accumulando evidenza per una quantità di fenomeni quantistici, rispetto ai quali cioè il quanto d’azione gioca un ruolo fondamentale, e vari autori, Einstein in primo piano fra questi, avevano contribuito al tentativo di costruire uno schema formale sottostante – una “meccanica quantistica” – capace di inquadrarli globalmente. Gli eventi precipitano nel 1926, quando, indipendentemente, Werner Heisenberg a Gottinga e Erwin Schrödinger a Vienna e producono quelle che appaiono immediatamente come due possibili formulazioni generali della nuova meccanica: la “meccanica delle matrici” e la “meccanica ondulatoria”. ...ma a che prezzo! Nella formulazione di Schrödinger le particelle sono descritte come dei “pacchetti d’onda”. Per un po’ di tempo S. ritiene che si possa attribuire a queste onde una realtà sostanziale. Born mostra invece che devono essere consistentemente interpretate come “onde di probabilità”. Heisenberg (1927) mostra come, nella nuova meccanica, risulti impossibile determinare simultaneamente posizione e velocità di una particella: bisogna rinunciare al concetto di traiettoria. La nuova meccanica è inerentemente probabilistica: le probabilità non sono epistemiche, ma ontologiche. In una lettera molto più tarda E. scriverà a Born: “Le nostre prospettive scientifiche sono ormai agli antipodi tra loro. Tu credi in un Dio che giochi a dadi col mondo; io credo invece che tutto obbedisca a una legge, in un mondo di realtà obiettive che cerco di cogliere per via speculativa”. Ai congressi Solvay del 1927 e del 1930 E. si propone di mostrare che le regole d’indeterminazione di Heisenberg possono essere violate. Bohr si sente personalmente tirato in ballo e s’ingegna di neutralizzare le sue argomentazioni. Si possono avere idee divergenti, ma ragionarne in modo disteso … Seconda – e definitiva – rottura con la Germania: gli Stati Uniti Nel 1933, con i nazisti ormai dilaganti sulla piazza e in una recrudescenza di attacchi alla “scienza ebraica”, E., partì con la moglie per quello che si presentava in partenza come un soggiorno californiano. Appreso durante il viaggio di ritorno dell’avvento al potere di Hitler, si stabilì momentaneamente in Belgio. Accettò poi l’offerta dell’Institute for Advanced Study, nel New Jersey, un centro di ricerca che, una volta di più, lo avrebbe lasciato libero di dedicarsi interamente alla ricerca. Vi sarebbe rimasto definitivamente. Einstein a Princeton. La ricerca è cosa da giovani? Einstein's […] famous 1905 paper on special relativity has been cited "only" 450 times since 1974, making it his fifth most-cited pre-1930 paper. However, Einstein's most-cited article of all time is his 1935 paper with Boris Podolsky and Nathan Rosen, which has over 2000 citations. This paper - which suggests that quantum mechanics cannot offer a complete description of "physical reality" – introduced what is now known as the EPR paradox. Einstein aveva all’epoca 56 anni. Quel suo lavoro suscitò attenzione anche nell’immediato, in particolare da parte di Bohr, che replicò immediatamente con uno scritto sulla stessa rivista. A Princeton E. condusse ulteriori studi di qualche rilevanza sulla RG, curò edizioni successive del suo unico trattato, The meaning of relativity, e scrisse, in collaborazione con Leopold Infeld, una storia delle idee fondamentali della fisica (L’evoluzione della fisica). Ma il grosso del suo tempo fu dedicato al tentativo di formulare una teoria geometrica unificata della gravitazione e dell’elettromagnetismo. Questo sforzo generoso non produsse risultati veramente apprezzabili. Col suo attaggiamento critico rispetto alla meccanica quantistica Einstein si era sostanzialmente isolato dal grosso della comunità scientifica. Qui a Princeton, avrebbe scritto a Born nel 1949, “non ho molta influenza e sono considerato una specie di fossile, reso cieco e sordo dagli anni”. Ma gli eventi avevano già da tempo ricominciato a precipitare E questa volta la scienza avrà a che fare in modo molto diretto con la guerra 1939: Lise Meitner e Otto Frisch interpretano alcuni dati raccolti da Otto Hahn e Fritz Strassmann come dovuti a una fissione dell’uranio. La notizia si diffonde e molti fisici nucleari cominciano a pensare che potrebbe essere possibile realizzare ordigni nucleari. Fra questi, negli Stati Uniti, Enrico Fermi e Leo Szilard. Quest’ultimo convince Einstein a inviare una lettera al Presidente degli Stati Uniti: Signor Presidente, [...] Negli ultimi quattro mesi è stata confermata la probabilità [...] che diventi possibile avviare in una grande massa di uranio una reazione nucleare a catena capace di generare enormi quantità di energia [...] Questo nuovo fenomeno porterebbe alla creazione di bombe [...] Una sola bomba di questo tipo, trasportata da un’imbarcazione e fatta esplodere in un porto, potrebbe benissimo distruggere l’intero porto e una parte del territorio circostante [...] Alla luce di questa situazione potrebbe apparirle opportuno istituire un collegamento permanente tra l’amministrazione e il gruppo di fisici che si occupano di reazioni a catena negli Stati Uniti ... R. Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi: ...la decisione di Einstein fu presa nella convinzione “che il governo a cui raccomandava di interessarsi attivamente del ‘problema dell’uranio’ [...] avrebbe amministrato questa nuova potente energia con saggezza e umanità”. E. non ebbe alcun ruolo specifico nella realizzazione degli ordigni nucleari. Come molti di coloro che invece lavorarono attivamente nell’ambito del progetto Manhattan era angustiato dall’idea che a quel fine si lavorasse attivamente in Germania. E i tedeschi andavano battuti sul tempo. “Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a costruire la bomba atomica non avrei mosso un dito”. Del resto il pacifista Einstein fu, nel corso della guerra e nell’immediato dopoguerra, decisamente uomo di parte. Si veda la sua dedica (1944) “Agli eroi della battaglia del ghetto di Varsavia”: “Essi combatterono e morirono come membri della nazione ebraica, nella lotta contro le bande organizzate degli assassini tedeschi. [...] L’intero popolo tedesco è responsabile di questi assassinii in massa e deve essere punito in quanto popolo, se vi è una giustizia nel mondo e se la coscienza della responsabilità collettiva delle nazioni non deve morire del tutto sulla Terra”. E non perdonò ai colleghi di un tempo di aver sostenuto la Germania nazista. Quando, alla fine del conflitto, gli fu chiesto da un conoscente a chi, in Germania, dovesse portare i suoi saluti, continuò a ripetere monotonamente - con intenzione - “Grüssen Sie Laue für mich”: solo Laue. Max von Laue, colui che, durante la guerra, rischiando non solo la posizione, aveva aperto la sua casa a parenti di deportati e a prigionieri di guerra. Non così nel dopoguerra, nel clima di nascente tensione fra Stati Uniti e Unione Sovietica. In quel clima egli indirizza una lettera aperta all’Assemblea delle Nazioni Unite, invitandola a creare le premesse per un governo mondiale, e invita gli Stati Uniti a riformulare la loro proposta di un controllo internazionale sull’energia atomica in modo da renderla accettabile per l’Unione Sovietica. E poi c’è il periodo del maccartismo. Da una lettera (1953) a un insegnante di Brooklyn che si era rifiutato di testimoniare di fronte alla Commissione del Congresso: “Ogni intellettuale che viene chiamato di fronte a uno dei comitati deve rifiutarsi di testimoniare: ciò significa che egli deve essere preparato alla prigione e al disastro economico [...] Inoltre il suo rifiuto a testimoniare non deve basarsi sulla ben nota scappatoia di invocare il Quinto Emendamento contro una possibile auto-incriminazione, ma sull’affermazione che è vergognoso per un irreprensibile cittadino sottomettersi a quell’inchiesta e che quel genere d’inchiesta viola lo spirito della Costituzione. PS: Non è necessario che questa lettera sia considerata confidenziale” Allarmato dalla corsa agli armamenti nucleari, Bertrand Russell stava preparando una dichiarazione che, egli sperava, sarebbe stata firmata da un gruppo selezionato di intellettuali di ogni parte del mondo per allertare l’umanità circa il pericolo cui andava incontro. Russell si rivolse ad Einstein, che volentieri gli si affiancò nell’operazione. Il documento Russell-Einstein uscì con undici firme. Visto da molti, sul momento, come un gesto futile, avrebbe in seguito messo in movimento qualcosa. Già nel 1957 a Pugwash, in Canada, si tenne la prima conferenza dell’associazione di scienziati che, sulla scorta del documento, si impegnavano nella valutazione dei problemi e dei rischi relativi all’uso bellico dell’energia nucleare. La redazione del documento Russell fu l’ultimo atto pubblico di Einstein. Abraham Pais, Subtle is the Lord – The Science and the Life of Albert Einstein, Oxford University Press, 1982. “Deve essere stato intorno al 1950. Stavo accompagnando Einstein in una passeggiata dall’Istituto per gli studi avanzati a casa, quando improvvisamente si fermò, si volse verso di me e mi chiese se veramente credevo che la Luna esiste solo se la guardo”. Tempo di bilanci “Chi trova un pensiero che ci fa penetrare più a fondo, anche di poco, nell’eterno mistero della natura ha ricevuto una grande grazia. Chi, per di più, esperimenta il riconoscimento, la simpatia e l’aiuto delle migliori menti del suo tempo, ha avuto in dono quasi più felicità di quanta un uomo ne possa sopportare”. Lettera a Solovine, 28 marzo 1949: “Tu immagini che io guardi indietro al lavoro della mia vita con calma soddisfazione. Ma da vicino sembra molto diverso. Non c’è un singolo concetto circa il quale io sia convinto che reggerà solidamente, e non sono sicuro di essere in generale sulla traccia giusta”. Tutti gli uomini sono mortali Michele Besso morì nel marzo del 1955. Lettera di E. alla sorella e al figlio: “…mi ha preceduto di poco nel congedarsi da questo strano mondo. Ciò non significa nulla. Per noi fisici credenti la distinzione fra passato, presente e futuro è solo un’illusione, anche se ostinata”. Gravemente ammalato, chiese che, per la sua morte, non ci fosse servizio funebre, né tomba né monumento. Morì il 18 aprile 1955. Il suo corpo fu cremato e le ceneri disperse.