Primo Levi (La Tregua) e Liana Millu (I Ponti di Schwerin) : il ritorno
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Primo Levi (La Tregua) e Liana Millu (I Ponti di Schwerin) : il ritorno
Primo Levi (La Tregua) e Liana Millu (I Ponti di Schwerin) : il ritorno alla vita. Universiteit Gent Faculteit Taal- & Letterkunde Academiejaar 2007-2008 Tine Balthau Master Italiaans-Frans Promotor : Prof. Dr. S. Verhulst 2 Primo Levi (La Tregua) e Liana Millu (I Ponti di Schwerin) : il ritorno alla vita. 3 Indice Ringraziamenti 6 Introduzione 7 Capitolo 1 : Presentazione del corpus 11 1.1. L‟argomento 11 1.2. Gli autori e la stesura 11 1.3. La struttura 14 1.4. Il contesto letterario e la ricezione 16 Capitolo 2 : Il ritorno___________________________ 2.1. L‟itinerario fisico 2.1.1. Il viaggio nella letteratura : modelli di riferimento a) Ulisse b) Dante c) L‟esodo d) La letteratura picaresca 2.1.2. I compagni 2.1.3. Il termine del viaggio 19 19 19 19 20 21 22 27 34 2.2. Il cammino della vita 36 2.3. L‟itinerario psichico 40 2.3.1. Ritorno dei sensi 2.3.2. Ritorno della corporeità 2.3.3. La maturità 41 42 48 4 2.4. Il cambiamento del mondo 2.4.1. Cambiamento del tempo 2.4.2. Cambiamento dei colori 2.4.3. Presenze animalesche 2.4.4. Ritorno dell‟altro sesso e dei bambini 2.4.5. Ritorno della cultura Capitolo 3 : Dopo il ritorno, vita nuova o vita traumatizzata ?______ 49 49 51 51 53 57 60 3.1. Il trauma ne La Tregua e ne I Ponti di Schwerin 60 3.2. Il trauma di Liana Millu e di Primo Levi 64 3.2.1. La strategia di Liana Millu 3.2.2. Le opere come specchio del processo di rassegnazione 3.2.3. Il suicidio Capitolo 4 : Realtà e invenzione – La questione dell’autobiografismo 4.1. Invenzione 4.1.1. Elementi di finzione 4.1.2. L‟(im)possibilità della finzione dopo Auschwitz 4.2. Realtà 4.2.1. Elementi di veridicità e di autobiografia 4.2.2. L‟(im)possibilità dell‟autobiografia dopo Auschwitz 4.3. Conclusione 64 66 68 71 72 72 75 77 77 78 80 Conclusioni 81 Bibliografia 84 Allegati 87 5 Ringraziamenti Ringrazio la Professoressa Sabine Verhulst per il supporto e la pazienza, per le suggestioni e le correzioni, per avermi trasmesso la sua passione per la letteratura italiana. Desidero ringraziare il Professore Luigi Surdich e il Professore Stefano Verdino dell‟Università di Genova, per avermi mandato il volume della rivista «Resine» dedicato a Liana Millu. Tengo a ringraziare i bibliotecari delle varie biblioteche dell‟Università di Gent e di Anversa, soprattutto la signora Tanja Vertriest, per il gentile aiuto. Un sentito ringraziamento ai miei cari : ai miei genitori, a mio fratello, alla mia famiglia, per il supporto incondizionato, nonostante le preoccupazioni del semestre scorso, a Nicholas, per il sostegno incrollabile, ai miei amici, per la loro simpatia e il loro affetto. Grazie anche a Stijn Raes per avermi aiutato con i testi in tedesco, e a Nicholas Hendrickx per aver concepito il disegno sulla prima pagina. Tine Balthau, luglio 2008. 6 Introduzione Scelta del corpus Ad aprile 2008, durante la stesura di questa tesi, è apparsa la traduzione nederlandese del Rapporto sull'organizzazione igienico-sanitaria del campo di concentramento per ebrei di Monowitz1, redatto da Primo Levi e Leonardo De Benedetti alla fine della loro prigionia nel campo di Buna-Monowitz. Due mesi prima, il giornale De Morgen2 aveva pubblicato un‟intervista con Shlomo Venezia, autore di una testimonianza avvincente sul suo lavoro nel Sonderkommando, una squadra ad Auschwitz destinata ad organizzare la cremazione dei prigionieri gassati. Anche se ormai passato da più di sessant‟anni, Auschwitz continua ad intrigare : gli editori si danno la pena di farne rivivere il ricordo con testimonianze edite, riedite o tradotte. La maggior parte di queste testimonianze concerne l‟esperienza stessa : i fatti specifici, l‟orrore visto e vissuto, Auschwitz come la concretizzazione dell‟inferno. Mostrano un universo totalmente in bianco e nero, senza sfumature, un universo che si scompone in binomi : il bene e il male, lo schiavo e il potente, la vita e la morte. Invece, come argomento di questa tesi, ho voluto trattare un altro tipo di testimonianza. Ho trovato due opere che descrivono un universo che non si scompone in queste opposizioni, ma che si trova tra di loro. L‟universo in questione è pieno di incertezze, di dubbi, di confusione. La morte non è più certa, ma non lo è neanche la vita. Di conseguenza anche il lettore sarà coinvolto in questo smarrimento : il sentimento indifferenziato di compassione verso la vittima e di ribrezzo verso il malfattore cede il posto ad un sentimento confuso, così ambiguo come quello che sente il protagonista. La Tregua3 di Primo Levi era per me la prima occasione di immergermi in questo tipo di universo. Primo Levi costituisce il pilastro della letteratura testimoniale intorno al campo di 1 Il titolo della traduzione in nederlandese è Auschwitz-rapportage, traduzione di Patty Krone e Yond Boeke, Anversa, Meulenhoff, 2008. 2 PEARCE J., De overlevingsdrang was groter dan de doodswens, «De Morgen», 23 febbraio 2008. 3 LEVI P., La tregua, Torino, Einaudi, 1963. 7 Auschwitz, e senza dubbio ha funzionato nella mia esposizione come punto di riferimento. Avevo già studiato un capitolo del suo debutto Se questo è un uomo, e quindi conoscevo l‟enorme forza evocativa del suo stile. Leggere La Tregua mi ha dato l‟occasione di guardare oltre al limite del primo libro e di seguire il protagonista-scrittore anche dopo la sua esperienza nel Lager di Monowitz. Mi rendo conto della frequenza con la quale la figura di Primo Levi e le sue opere sono state studiate. Difendo in ogni tempo la necessità di studiare e di ristudiare l‟enorme ricchezza che ci ha lasciata, però a mio parere ci vogliono dei nuovi approcci per evitare uno studio ripetitivo. Perciò per questa tesi ho cercato un punto di vista unico per affrontare l‟opera leviana, e l‟ho trovato nella comparazione con un altro libro, meno conosciuto però certamente non di minore valore, cioè I Ponti di Schwerin4 di Liana Millu, che tratta ugualmente il ritorno dal campo alla patria. Ho apprezzato il libro della Millu per il suo approccio totalmente diverso, innovativo e personale dell‟argomento. La mia esposizione dimostrerà che se tante sono le somiglianze tra le due opere, tante sono anche le differenze. D‟altronde, tra Liana Millu e Primo Levi esisteva una relazione d‟amicizia, basata sull‟esperienza comune : «L‟avevo visto (...) a Torino, e poiché lo ringraziavo per certe righe, mi aveva detto : “Tra noi non occorrono parole”,» ha scritto la Millu nel 19995. E ha aggiunto l‟episodio della matita trovata durante il viaggio di ritorno insieme ad un Tagebuch vuoto. Per la Millu questa matita significava l‟inizio di una fase più felice nella sua vita : «Non solo sapevo ancora scrivere : possedevo di nuovo una cosa mia !»6 È specificamente questa matita il legame tra lei e Primo Levi : All‟improvviso, decisi che gliel‟avrei affidata. (...) Brevemente gli scrissi spiegandogli la storia della matita e tutta la situazione. Scelsi una busta spessa, accomodai il pezzettino di matita in un angolo e spedii : doveva mancare poco a Natale. Mi giunse questa risposta : «Cara amica, ho ricevuto lo strano e prezioso dono e ne ho apprezzato tutto il valore. La conserverò. Anche per me i giorni si stanno facendo corti ma le auguro di conservare a lungo la Sua serenità e la capacità di affetto che ha testimoniato inviandomi quel “mozzicone del Meclemburgo” così carico di ricordi per Lei (e per me). Con affetto. Suo Primo Levi.»7 4 MILLU L., I ponti di Schwerin, Genova, Le Mani, 1998, con una prefazione di Laura Lilli e un‟introduzione di Francesco De Nicola. 5 MILLU L., Dopo il fumo. «Sono il n. A 5384 di Auschwitz Birkenau», Brescia, Morcelliana, 1999, p. 77. 6 Ibid., p. 76. 7 Ibid., p. 77. 8 Scritto il sette gennaio 1987, il biglietto costituiva l‟ultimo contatto tra Primo Levi e Liana Millu : la scomparsa di Levi data dell‟undici aprile dello stesso anno. «Quanto alla matita che mi stava tanto a cuore,» scrive la Millu, «non ne ho saputo più niente.»8 Struttura della tesi Il primo capitolo di questa tesi fornisce al lettore alcune informazioni che stanno alla base dell‟analisi che segue. Il punto 1.1. abbozza lo sfondo storico delle storie raccontate ne La Tregua e ne I Ponti di Schwerin. La biografia ridotta degli autori (punto 1.2.) serve come punto di partenza per il quarto capitolo, che parla degli elementi autobiografici nei libri. Non abbiamo voluto neanche ignorare il procedimento della stesura (anche nel punto 1.2.) perché, come stima Giovanna Zaccaro, «l‟atto stesso della scrittura, del raccontare, si costituisce come “percorso”»9 : metaforicamente, la stesura è un itinerario pieno di gioie e pene, del tutto analogo al viaggio di ritorno stesso. Nel punto 1.3. affronteremo già una differenza tra le due opere, cioè la struttura, cronologica e lineare presso Levi, frammentaria presso la Millu. Infine, osserveremo il modo in cui La Tregua e I Ponti di Schwerin sono stati accolti dai lettori e dalla critica. Le ragioni possibili della presenza abbondante de La Tregua e della relativa assenza de I Ponti di Schwerin nella critica emergeranno nel corso dei capitoli seguenti. Le informazioni per questo primo capitolo ci sono fornite soprattutto da Marco Belpoliti, Ernesto Ferrero, Stefano Verdino, Francesco De Nicola, Fiora Vincenti, JoAnn Cannon e Marta Baiardi. Il centro della nostra analisi si presenta nel secondo capitolo, che focalizza il tema del viaggio di ritorno. L‟itinerario assume aspetti diversi. Il viaggio fisico (2.1.) può essere avvicinato metaforicamente al «cammino della vita» (2.2.) : osserveremo le varie tappe nella vita di Primo Levi e Liana Millu. Ovviamente, il viaggio è ugualmente lo sfondo per un‟evoluzione psicologica, soprattutto dopo l‟esperienza estrema del campo di Auschwitz. Questi cambiamenti interni dei protagonisti vengono descritti nel punto 2.3. Da ultimo (2.4.) analizzeremo l‟evoluzione del mondo nel quale i reduci si muovono : il tempo cambia, ritornano i colori, i segni della cultura e della civiltà, ecc. 8 9 Ibid., p. 78. ZACCARO G., , La tregua di Primo Levi, «La Nuova Ricerca», 2003, vol. 12, p. 336. 9 Le osservazioni nel secondo capitolo si basano soprattutto su un‟analisi profonda dei testi stessi, perciò la nostra scelta di introdurre molte citazioni nella nostra esposizione. Esse servono ad illustrare le varie evoluzioni percepite nelle due opere. I dati testuali sono completati con osservazioni di vari specialisti. I maggiori ispiratori per il capitolo sul ritorno sono stati Giovanna Zaccaro, JoAnn Cannon e Robert S.C. Gordon (per quel che concerne Primo Levi) e Francesco De Nicola e Risa Sodi (per quel che concerne Liana Millu). Il terzo capitolo studia il periodo dopo il ritorno. È possibile una vita dopo Auschwitz o rimane soltanto la delusione e il rancore ? Nel punto 3.1. parleremo del trauma causato dall‟esperienza del campo come è descritto nei libri stessi. Anche se il libro della Millu fornisce molto più informazioni a questo proposito comparato a La Tregua, tenteremo di trovare le analogie nella storia postbellica di Primo Levi personaggio e Elmina Misdrachim, la protagonista de I Ponti di Schwerin. Il punto 3.2. riguarda invece gli autori stessi : Primo Levi e Liana Millu hanno conosciuto un processo di rassegnazione simile o no ? Ci siamo basati per questo capitolo sulle osservazioni di tra l‟altro Ernesto Ferrero e Gudrün Jäger. Nel quarto e ultimo capitolo intendiamo collocare le opere di Primo Levi e Liana Millu sulla scala che va da «invenzione» a «realtà». Laddove l‟autobiografia totale non è possibile (punto 4.2.2., basato sulle idee di Manuela Günter) e la finzione intorno ad Auschwitz viene severamente criticata (punto 4.1.2., basato sulle osservazioni di Sue Vice), Levi e Millu cercano – ognuno nel suo modo – una via di mezzo tra finzione e fattualità. Laddove speriamo di offrire al lettore di questa tesi un approccio originale di un argomento già abbondantemente studiato, la nostra preoccupazione principale rimane la stessa di quella che stimola ogni altro studioso, storico o letterato, dell‟Olocausto, e che ha stimolato gli autori de La Tregua e de I Ponti di Schwerin. Perciò mi esprimo con le parole di Liana Millu stessa : “Mi rivolgo a tutti, particolarmente ai ragazzi perché conoscere quel passato è garanzia per il loro, il nostro avvenire. Avvicinate quel passato, il vostro presente ne sarà rafforzato. (...) Studiarlo porterà bene alla vostra vita : non limitatevi a un giorno. (...) Questo vi auguro. E vi benedico in nome di quelli che non potranno farlo (...) Che Dio vi aiuti a non dimenticare. Mai.” 10 10 MILLU L., Nel giorno della memoria, «Resine», 2005, vol. 27, n° 103, p. 5. 10 Capitolo 1 PRESENTAZIONE DEL CORPUS Il nostro studio si costruirà intorno a La Tregua di Primo Levi e I Ponti di Schwerin di Liana Millu. Per semplificare i riferimenti ai testi, utilizzeremo le abbreviazioni LT e PS. Le pagine menzionate si riferiscono alle edizioni di rispettivamente Einaudi (1963) e Le Mani (1998). Per completare la ricerca, spesso faremo riferimento anche ad altre opere degli autori, più specificamente al debutto leviano Se questo è un uomo (SQU), all‟ultima opera di Levi I Sommersi e i salvati (SS) e al Tagebuch (TB), opera postuma della Millu, legata in modo molto stretto a I Ponti di Schwerin per quel che concerne il contenuto. 1.1. L’argomento___________ _____________________________ Lo sfondo de La Tregua e de I Ponti di Schwerin è quello storico della fine della guerra e dell‟immediato dopoguerra. Verso la fine del 1944, l‟Armata Rossa riesce ad avanzare e forza così i Tedeschi a fuggire. Quelli evacuano il campo di Auschwitz e costringono i cinquanta mila prigionieri a spostarsi in piedi verso Buchenwald e Mauthausen. Già totalmente indeboliti dalla fame, dal lavoro durissimo e dalla malattia, la maggior parte non sopravvive la «marcia della morte». Il 27 gennaio 1945, l‟Armata Rossa libera il campo di Auschwitz e ci trova ancora 7500 persone malate o moribonde. Per quelli che ritrovano una certa energia vitale, le prove non sono finite : devono intraprendere con le proprie forze il viaggio di ritorno verso la patria. Per i reduci italiani questo significa colmare una distanza di più di 1500 chilometri a volo d‟uccello. 1.2. Gli autori e la stesura_________________________________ Primo Levi11 nasce il 31 luglio 1919 a Torino in una famiglia ebrea medio borghese. Finiti gli studi al liceo D‟Azeglio a Torino, si iscrive nel 1937 alla Facoltà di Scienze dell‟Università della sua città di nascita. Nonostante le leggi razziali riesce ad ottenere il suo diploma di chimico nel 1941. Trova un lavoro clandestino in un laboratorio chimico vicino a Lanzo e sin 11 Per la biografia di Primo Levi, ci siamo basati soprattutto su FERRERO E., Primo Levi. La vita, le opere., Torino, Einaudi, 2007 e su BELPOLITI M., Primo Levi, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998. 11 dal 1942 lavora a Milano in un‟impresa svizzera. Già durante gli studi a Torino, e più tardi anche a Milano, frequenta gli ambienti antifascisti. Nel 1942 conferma questo suo impegno politico entrando nel Partito d‟Azione, partito antifascista non comunista e non cattolico. L‟anno seguente si associa ad un gruppo di partigiani nella Valle d‟Aosta. Sarà quella la ragione per la quale Levi sarà arrestato il 13 dicembre 1943 e incarcerato in una caserma ad Aosta per poi essere trasportato al campo di internamento a Fossoli. Il 22 febbraio 1945 viene messo su un convoglio che lo porta ad Auschwitz. Durante undici mesi è forzato di lavorare a Buna-Monowitz, uno dei tre campi che fanno parte del grande complesso del campo di Auschwitz. I prigionieri sono liberati dai Russi il 27 gennaio del 1945. Dapprima, Levi soggiorna per qualche mese nel campo di sosta di Katowice, poi intraprende il viaggio di ritorno in Italia. Il resoconto di quest‟ultima esperienza è scritto da Levi solo nel 1961-196212, più di dieci anni dopo il suo debutto Se questo è un uomo del 1947. Il libro nasce da una necessità interiore di raccontare anche l‟esperienza del ritorno : «la genesi di questo romanzo è quindi da rintracciare nel bisogno di raccontare, un bisogno “patologico” di liberarsi testimoniando,» stima Giovanna Zaccaro13. Per la stesura de La Tregua, Levi si basa da un lato su un piccolo appunto fatto durante il viaggio, con un sommario delle destinazioni14, dall‟altro lato parte dall‟oralità : La storia del libro è la storia dei racconti che ho fatto per anni, invariabilmente, agli amici, ai pochi amici che ho qui a Torino, vecchi compagni di scuola, al caffè, a casa mia, passeggiando sul Lungo Po, i quali mi chiedevano sempre perché non li pubblicavo.15 Quindi, i vari aneddoti nascono, crescono, e vengono aggiustati in un contesto orale. Questo ha come vantaggio che Levi può tenere conto delle reazioni dei suoi ascoltatori e fare gli adattamenti necessari. La creazione dell‟opera scritta durerà circa quattrocento giorni. Liana Millu16 nasce il 21 dicembre 1914 a Pisa con il nome di Liana Millul17. All‟età di due anni, diventa orfana : sua madre muore e il padre si risposa, lasciando la piccola Liana alle 12 Eccetto i due primi capitoli, scritti già nel ‟47-‟48, come menziona Giovanna ZACCARO, La tregua di Primo Levi, «La Nuova Ricerca», 2003, vol. 12, p. 336. 13 ZACCARO G., art. cit., p. 336. 14 Ibid., p. 335. 15 LEVI P., Conversazioni e interviste, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, p. 102. Citato in : ZACCARO G., art. cit., p. 336. 12 cure dei nonni materni e della zia, gente della piccola borghesia. Già da giovane, la Millu è ambiziosa e ardente : all‟inizio degli anni Trenta collabora al giornale universitario «Il Pisa» e al giornale livornese «Il Telegrafo». Intanto ottiene il diploma nel 1937. Dopo la laurea, lavora come insegnante nella scuola elementare di Montolivo, un paesino vicino a Volterra. Per Millu, questo è l‟occasione ideale per lasciare la famiglia iperprotettrice : si trasferisce a Volterra. Continua ad accettare degli incarichi per vari giornali e riviste, tra l‟altro per «Il Manicomio di Volterra». Però sin dal 1939, le leggi razziali la costringono ad allontanarsi dalla scuola e dalla sua attività giornalistica. Per difendere la propria indipendenza, lavora come istitutrice privata, dattilografa e cartomante. Sulle orme dell‟antifascista Vincenzo Cardinale, si trasferisce nel 1940 a Genova, dove entra nel gruppo Otto, che organizza la resistenza genovese. Viene arrestata dalla Gestapo nel marzo 1944 e nel maggio dello stesso anno viene trasportata ad Auschwitz. La Millu ci rimane soltanto sette mesi, perché in ottobre, viene trasferita a Malchow, un campo di lavoro – e non come Auschwitz un campo di sterminio –. Anche lei, dopo la liberazione nel maggio 1945, intraprende il viaggio verso l‟Italia e si stabilisce a Genova. Dopo la sua prima opera Il Fumo di Birkenau, una raccolta di sei racconti del 1947, e parecchi contributi alla stampa periodica, quasi tutti ispirati all‟esperienza del campo, Liana Millu progetta all‟inizio degli anni Settanta un nuovo progetto letterario di più ampio respiro. La stesura del suo primo vero romanzo, che porterà il titolo I Ponti di Schwerin comincia nel 1972 e durerà non meno di due anni, a causa della struttura complessa del libro, con diversi piani temporali e modi narrativi. Visto il carattere semi-autobiografico della storia, Liana Millu si basa in primo luogo sui ricordi personali, ma anche sul Tagebuch, diario scritto durante il suo viaggio di ritorno dal campo e pubblicato solo dopo la morte dell‟autrice nel febbraio 2005. 16 Per la biografia di Liana Millu, ci siamo basati soprattutto su VERDINO S., Notizie bio-bibliografiche, «Resine», 2005, vol. 27, n° 103, pp. 45-48 e DE NICOLA F., Introduzione a I Ponti di Schwerin di Liana Millu, Genova, Le Mani, 1998, pp. 11-22. 17 Secondo Francesco DE NICOLA (art. cit., p. 11), Liana Millul cambiò il suo nome sotto pressione dalla famiglia : «Fino alla metà del Novecento per una donna era disdicevole non solo svolgere attività – come l‟attrice – che secolari pregiudizi ritenevano peccaminose, ma anche altre più moderne che dovevano invece appartenere rigorosamente alla sfera maschile. (...) Nessuna meraviglia allora se la poco più che ventenne Liana Millul (...) abbia tentato un po‟ ingenuamente di alterare in Liana Millu la propria identità per aderire, certo senza entusiasmo, alle richieste dei suoi familiari.» 13 1.3. La struttura__________________________________________ Sia Primo Levi sia Liana Millu partono dallo stesso sfondo storico. Il loro modo di rappresentazione invece, è totalmente diverso. Primo Levi, La Tregua La narrazione de La Tregua è una testimonianza vera e propria. Si situa su tre livelli, che sono in ordine d‟importanza crescente quello storico, quello collettivo e quello personale. Il libro comprende un periodo che va dai «primi giorni del gennaio 1945» (LT, p. 9) al giorno di ritorno di Levi a Torino : «Giunsi a Torino il 19 di ottobre.» (LT, p. 254). Conformemente all‟intenzione dell‟autore di una rappresentazione abbastanza fedele e per garantire la cronologia della narrazione, sono frequenti le indicazioni temporali specifiche. Per quanto riguarda l‟aspetto geografico del viaggio, Levi aggiunge – oltre alle indicazioni geografiche nel testo – una carta geografica con il suo percorso18. All‟inizio de La Tregua, Levi non menziona più il contesto del campo : per una comprensione precisa della scena iniziale, va letto il libro precedente di Levi, Se questo è un uomo, con il quale La Tregua forma infatti una specie di dittico. Comunque l‟incipit de La Tregua offre una breve carrellata generale degli avvenimenti guerreschi : Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell‟Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano (...) : ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di «ricuperare», a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. (...) i malati furono abbandonati a loro stessi. Da vari indizi è lecito dedurre la originaria intenzione tedesca di non lasciare nei campi di concentramento nessun uomo vivo ; ma un violento attacco aereo notturno, e la rapidità dell‟avanzata russa, indussero i tedeschi a mutare pensiero (LT, p. 9). Al posto del testimone, parla qui la voce dello storico, non solo descrivendo fedelmente le vicende storiche, ma anche analizzandole (cfr. «vari indizi», «dedurre»). Poi l‟autore riduce progressivamente il quadro : partito dagli ottocento malati rimasti nell‟infermeria del Lager di Buna-Monowitz, zuma poi su una collettività meno ampia, ricorrendo alla prima persona del plurale. Solo dopo qualche pagina focalizza finalmente il vero protagonista : «io solo» (LT, p. 13). Infatti, La Tregua è il resoconto di un itinerario personale, però questo non vuol dire che 18 Questa mappa è la prima a figurare nell‟opera leviana, ma non l‟ultima. Altre carte geografiche si trovano nell‟edizione scolastica di Se questo è un uomo, in Se non ora quando, Il Sistema periodico, La Chiave a stella e La ricerca delle radici, come segnala Marco BELPOLITI, op. cit., pp. 114-115). Per Levi, la mappa è un mezzo d‟aiuto nella raffigurazione delle sue idee e nella visualizzazione delle strutture narrative. 14 La Tregua sia una confessione emozionale. Delle proprie emozioni, Primo Levi parla con molta discrezione. Liana Millu, I Ponti di Schwerin La struttura narrativa del libro di Liana Millu è molto più complicata, e i tre piani che abbiamo identificati nell‟opera leviana sono anche meno distinguibili. L‟incipit dell‟opera proietta il lettore in medias res : «In cantina» disse Jeannette. «Sono sicura che in cantina c‟è ancora qualcosa. Lo capisci, sì o no ? Bisogna che tu vada in cantina !» Lo ripeteva fissandomi con occhi spiritati e io scrutai quasi con odio il viso emaciato che emergeva dalla coperta tirata fino al mento. Bisogna, bisogna... e perché non ci andava lei, in cantina ? (PS, p. 27). Il lettore sembra assistere ad una scena abbastanza normale, quasi domestica, fino al momento in cui appare un dettaglio terrificante : «Tu non vuoi andare in cantina soltanto perché hai paura del morto.» (PS, p. 27). Solo dopo qualche pagina, appare il primo riferimento allo sfondo storico della guerra : «Forse, la guerra era finita da una settimana.» (PS, p. 30). Durante la narrazione de I Ponti di Schwerin, questa frase sarà l‟unica indicazione temporale più o meno precisa. Anche le indicazioni geografiche sono scarse. L‟unica città menzionata è Schwerin, una città nel Nord della Germania, ma che raggiunge nel libro piuttosto una funzione simbolica. Laddove Primo Levi esprime le sue esperienze in modo cronologico, la storia di Elmina Misdrachim si situa su vari piani temporali. La Millu racconta nel tempo presente l‟itinerario del ritorno alla patria. I flashback, invece, trattano sia l‟infanzia, sia l‟anno a Montolivo, sia il tempo con l‟amante Oal19. Due piccoli capitoli (e dunque due livelli temporali) sono sempre legati tra di loro ; il passaggio non è mai brusco, ma avviene tramite un gioco di ricordi e di connessioni tra le varie fasi nella vita di Elmina. La scena del conflitto con i compagni di viaggio, ad esempio, fa pensare la protagonista ad un episodio della sua infanzia, vissuto insieme con l‟amica Lisa («Molti anni prima, un altro si era mostrato così...», PS, p. 88). A suo turno, Lisa «somigliava a una delle sorelle di Benito nella foto di famiglia che lui non aveva mancato di mostrarmi», e così la Millu riporta la narrazione di nuovo al presente. La struttura de I Ponti di Schwerin risulta così abbastanza frammentaria. 19 Oal o Alberico rappresenta probabilmente Vincenzo Cardinale. (Cfr. la biografia della Millu nel punto 1.2.) 15 1.4. Il contesto letterario e la ricezione_______________________ Già nella ricerca di informazioni per questa tesi, abbiamo notato la differenza enorme nel grado di notorietà di cui godono i due autori e le due opere. La critica su Primo Levi contiene un numero quasi illimitato di libri, articoli, recensioni eccetera. In quanto alla Millu, l‟informazione disponibile è molto più ridotta. Primo Levi, La Tregua Dopo la ricezione abbastanza fredda20 del primo libro di Levi, Se questo è un uomo (1947) probabilmente dovuta al clima ottimistico del dopoguerra, non disposto a ritornare alle crudeltà della guerra -, La Tregua è accolto in modo più positivo. Ovviamente i primi recensori focalizzano il confronto con il libro d‟esordio di Levi. Dapprima regna la sorpresa : «Si poteva continuare un libro come quel primo ? Non doveva, in quel senso, restare il Levi l‟autore di un solo libro ?»21 Dopo, la sorpresa si trasforma in ammirazione. I critici lodano Levi per «l‟affinamento progressivo delle doti narrative» e ancora di più per aver scritto non solo un secondo, ma anche un altro libro22. Levi non è più considerato «uno scrittore d‟occasione»23. La pubblicazione presso la casa editrice Einaudi nel 1963 non è solo un indizio dell‟aumento di stima per l‟autore dalla parte degli editori, ma ha anche promosso lo status di best-seller del libro presso il pubblico e la critica. Comunque solo negli anni Ottanta l‟opera di Levi si è liberata dall‟etichetta stretta di letteratura dell‟Olocausto, per definirsi in un ambito più ampio, quello della letteratura italiana in generale24. Significativo del successo de La Tregua è il fatto che già nell‟anno stesso della pubblicazione, il libro vince la prima edizione del Premio Campiello, assegnato da una giuria popolare 25. Ancora nel 1963, La Tregua ottiene un terzo posto nel Premio Strega. L‟uscita del film di 20 Cfr. BELPOLITI M., op. cit., p. 56 : «Anche se le prime recensioni di Se questo è un uomo nel 1947 davano conto del valore letterario del libro (...), il libro ebbe scarso seguito critico. (...) La lettura del libro sembra inizialmente confinata entro la cerchia dei lettori torinesi, intelletuali e politici legati al Partito d‟Azione o alle esperienze della resistenza.» 21 VINCENTI F., Invito alla lettura di Primo Levi, Milano, Mursia, 1976, p. 164. Vincenti riformula i dubbi di Franco Antonicelli in una recensione su «La Stampa» del 20 marzo 1963. 22 Cfr. Ibid., p. 167. 23 CANNON J., Canon-Formation and Reception in Contemporary Italy : The Case of Primo Levi, «Italica», 1992, vol. 69, n° 1, p. 31. 24 CANNON J., art. cit., p. 32. 25 BELPOLITI M., op. cit., p. 12. 16 Francesco Rosi nel 1997 è un‟indicazione dell‟interesse per la storia di Levi, ma inversamente ha ugualmente avvicinato i giovani lettori alle opere leviane, come stima Marco Belpoliti26. Liana Millu, I Ponti di Schwerin Nel caso di Liana Millu, le cose sono molto diverse. Laddove Primo Levi è stato considerato alla fine della sua vita e forse ancora di più dopo la sua morte un esponente importante del patrimonio culturale italiano – letterario e filosofico –, Liana Millu è sempre ridotta ad una scrittrice dell‟Olocausto. Lei è sempre rimasta «la reduce», mentre Levi alla fine era sia reduce, sia chimico, sia scrittore27, sia filosofo. Questa constatazione contiene un aspetto contraddittorio, perché è specificamente la Millu ad aver lasciato progressivamente nelle sue opere l‟argomento del Lager, laddove Levi ci è sempre ritornato28. Quando nel 1976, prima della vera pubblicazione del testo, partecipa al Premio «RapalloProve», i giudizi della critica sono elogiativi per lo stile e la qualità di scrittura, però certi criticano la Millu a causa della diversità troppo grande delle due parti del romanzo. Il manoscritto viene rifiutato dalla casa editrice Mondadori, forse per la stessa ragione, forse perché il contesto letterario non ammette il ritorno ad argomenti legati alla guerra. Infatti, Francesco De Nicola considera I Ponti di Schwerin un libro controcorrente : Conclusasi la stagione fortemente impegnata del neorealismo (...) i temi nati dal confronto con i grandi eventi della storia più recente erano ormai divenuti alquanto estranei al laboratorio dei nostri scrittori, i quali nella seconda metà degli anni Settanta, (...) erano per lo più attratti o dalla contemporaneità più bruciante ed effimera (...) o da quella più politicamente attuale (...) o, al contrario, da storie fantasiose e ingegnose ambientate nel Medio Evo.29 Dopo una rielaborazione e la creazione di collegamenti più profondi tra le due parti, il testo viene comunque pubblicato presso l‟editore Lalli nel 1978 e diventa immediatamente finalista del premio Viareggio. Nuove edizioni seguono, nel 1994 presso la Ecig, e nel 1998 presso Le Mani (entrambi a Genova). Contemporaneamente appare anche la traduzione tedesca del libro, presso le edizioni Kunstmann di Monaco di Baviera. 26 Ibid., p. 60. Persino come scrittore, Levi ha più facce. Marco BELPOLITI lo chiama «uno scrittore-testimone, autore di racconti fantascientifici e „fantabiologici‟, come li definisce Calvino, e narratore del mestiere di chimico : molte anime per uno scrittore solo.» (op. cit., p. 13). 28 Vedi il terzo capitolo, punto 3.2.2. 29 DE NICOLA F., art. cit., p. 19. 27 17 Nonostante il relativo successo del libro, soprattutto negli anni Novanta dopo la seconda edizione30, i contributi critici su I Ponti di Schwerin e sull‟opera di Liana Millu in generale sono scarsi. Solo un gruppo ridotto di studiosi sembra occuparsene, tra l‟altro Stefano Verdino, Gudrün Jäger, Giovanni Meriana e Francesco De Nicola. Per di più manca un‟analisi profonda dei testi : troppo spesso gli articolo critici si limitano ad un abbozzo generale della sua vita e del contenuto dei libri. Nel suo contributo sui due libri postumi di Liana Millu (Campo di betulle e Tagebuch), Marta Baiardi rileva : Non esiste fino ad oggi un inventario completo dei suoi scritti né uno studio bibliografico accurato, strumenti essenziali per una ricostruzione e una valutazione approfondita di questa figura di intellettuale e scrittrice-testimone, cruciale nel panorama della deportazione italiana. 31 Solo nel 2006, Piero Stefani segnala un interesse crescente per gli scritti della Millu : «Sono già avviati a essere studiati dal punto di vista letterario. I critici se ne stanno occupando sempre di più, crescente è il numero di tesi di laurea dedicate alla sua opera in Italia e all‟estero.»32 30 Francesco DE NICOLA nota che il libro «distribuito con le ridotte forze di un piccolo editore, ebbe una circolazione alquanto limitata, non tanto però da passare inosservato.» (art. cit., p. 17). Giovanni MERIANA osserva che la seconda edizione (presso la Ecig) «ebbe comunque successo e fu diffuso dal Comune [di Genova] tra gli studenti della maturità del 1995 presenti a palazzo Ducale a un incontro al quale partecipava anche l‟autrice.» (I Ponti di Schwerin : il libro autobiografico, «Resine», 2005, vol. 27, n° 103, p. 33). 31 BAIARDI M., Liana Millu. Due libri postumi. Appunti bibliografici, «DEP (Deportati, esuli, profughi)», 2007, n° 7, p. 301. 32 STEFANI P., Introduzione al Tagebuch di Liana Millu, Firenze, La Giuntina, 2006, p. 12. 18 Capitolo 2 IL RITORNO 2.1. L’itinerario fisico_____________ ______________________ Nei due libri presi in considerazione, Levi e Millu sono riusciti a descrivere – in modo più o meno fedele alla realtà ma in ambedue le opere in modo estremamente commovente – il loro ritorno dal campo di rispettivamente Buna-Monowitz e Birkenau alla patria. Le carte geografiche in allegato rappresentano gli itinerari dei protagonisti. Presso Levi, il tema centrale, quello dell‟itinerario, è rilevato già nell‟intitolazione dei capitoli : più della metà dei titoli ci si riferiscono. Denominano un nome geografico o un luogo (Il Campo Grande, Katowice), una direzione (Verso sud, Verso nord, Da Staryje Doroghi a Iasi, da Iasi alla Linea) o contengono delle nozioni relative al concetto dell‟itinerario (Vecchie strade, Il bosco e la via). Millu mette in evidenza l‟aspetto geografico menzionando nel titolo dell‟opera in questione il nome del termine da raggiungere, cioè la città tedesca di Schwerin33. 2.1.1 Il viaggio nella letteratura : modelli di riferimento Il motivo del viaggio è probabilmente uno dei più tradizionali nella letteratura universale. Il viaggio è lo spostamento dell‟uomo verso una meta spesso ben precisa, raggiungibile o meno. Durante l‟itinerario, il viaggiatore fa conoscenza con lo sconosciuto, cioè con fenomeni o persone che non appartengono alla sua sfera abituale. Sul livello metaforico, il viaggio si presenta come un‟esperienza antropologica profonda, che influisce fortemente la personalità del viaggiatore. a) Ulisse 33 Città tedesca del Meklemburg a 50 chilometri da Amburgo, dove i reduci dei campi venivano smistati verso l‟Est o verso l‟Ovest. (DE NICOLA F., Introduzione a I Ponti di Schwerin di Liana Millu, Genova, Le Mani, 1998, p. 17). 19 Il paradigma per eccellenza del viaggiatore è ovviamente Ulisse, l‟eroe omerico che dopo la fine della guerra di Troia, intraprende il viaggio di ritorno alla patria, l‟isola di Itaca. Primo Levi ha fatto il legame con il viaggiatore mitico già in Se questo è un uomo34 e lo riprende ne La Tregua, tra l‟altro riferendosi ai compagni di viaggio, che sono «allegri, tristi e stanchi (...) come i compagni di Ulisse dopo tirate in secco le navi» (LT, p. 66). Riconosce in Ulisse un precursore del proprio destino, un personaggio di riferimento, sia nel campo che in «quell‟itinerario felice [che] si profilava lungo e laborioso e non privo di sorprese : una piccola odissea ferroviaria entro la nostra maggiore odissea.» (LT, p. 221). Daniela Amsallem35 osserva il parallelo notevole tra la storia di Ulisse e quella di Primo Levi : «L‟auteur aussi a espéré en un monde plus juste, après ces années de massacres, et son voyage des lieux de l‟horreur vers sa patrie a connu mille vicissitudes. Lui aussi, arrivé à bon port, a eu du mal à se faire connaître, tellement il avait changé d‟aspect, et a dû affronter encore des épreuves et les difficultés de la réinsertion.» Inoltre, l‟Odissea si deve considerare come un‟opposizione all‟Iliade, cioè alla battaglia, alla violenza, alla morte. Come La Tregua, l‟Odissea esprime la scelta per la vita. b) Dante L‟eroe pagano Ulisse è messo in un contesto cristiano da Dante nella Commedia. Per Levi, l‟opera dantesca costituisce un punto di riferimento non solo per l‟episodio di Ulisse che ci è ripreso e riscritto, ma anche per il viaggio immaginario attraverso l‟Inferno, il Purgatorio e il Paradiso che l‟autore ci descrive. Il parallelo con La Tregua consiste soprattutto nell‟aspetto psicologico dell‟itinerario. Dante personaggio subisce una purificazione della sua anima : all‟inizio si trova «in una selva oscura / che la diritta via era smarrita»36, e camminando raggiunge poco a poco un sentimento di felicità e una maggiore conoscenza di sé. Ne La Tregua, i riferimenti a Dante sono leggermente diversi rispetto a quelli in Se questo è un uomo. Laddove nel debutto leviano, l‟autore insiste sull‟infernalità dell‟ambiente, lo sfondo de La Tregua è sia come il limbo (cfr. LT, p. 28), sia come il purgatorio : Levi fa menzione di un‟«atmosfera di purgatorio, piena di sofferenze passate e presenti, di speranze e di pietà» (LT, p. 29). Il limbo è il luogo dove soggiornano quelli che non meritano l‟inferno, 34 A questo proposito vorremmo fare riferimento alla tesina che abbiamo scritta nel 2007, intitolato Il Canto di Ulisse in „Se questo è un uomo‟ : l‟inferno di Primo Levi, sul „Canto di Ulisse‟, undicesimo capitolo di Se questo è un uomo, nel quale Primo Levi si ricorda di alcuni versi della Commedia di Dante sul viaggio mitico di Ulisse. 35 AMSALLEM D., Primo Levi, Paris, Ellipses Édition, 2000, p. 71. 36 DANTE ALIGHIERI, Commedia (con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi), Inferno, I, v. 3-4, Bologna, Zanichelli, 1999, p. 5. 20 ma che non sono neanche ammessi nel paradiso. Nel purgatorio i peccatori vengono purificati e questa catarsi gli consentirà poi l‟entrata nel paradiso. Facendo uso dei due termini, invece di scegliere uno dei due, Levi rivela la questione centrale della sua opera, cioè se dopo l‟esperienza del campo è ancora possibile raggiungere una specie di paradiso o se il reduce è condannato a rimanere per sempre in una condizione di limbo. Comunque, in generale si tratta di una fase precaria, incerta e transitoria, che si situa tra l‟orribilità e la felicità. c) L’esodo All‟interno della letteratura cristiana, il modello di riferimento per eccellenza a proposito del viaggio è ovviamente l‟episodio biblico dell‟esodo37 : Il Signore disse: «Ho visto l‟oppressione del mio popolo che è in Egitto, ho udito il suo grido di fronte ai suoi oppressori, poiché conosco le sue angosce. Voglio scendere a liberarlo dalla mano dell‟Egitto e farlo salire da quella terra a una terra buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele, nel luogo del Cananeo, dell‟Hittita, dell‟Amorreo, del Perizzita, dell‟Eveo e del Gebuseo.38 Dio fece girare il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso : ben equipaggiati, i figli d‟Israele uscirono dalla terra d‟Egitto.39 Anche se Levi non si considera un ebreo credente40, il legame tra il proprio itinerario e quello biblico degli Israeliti è presente ne La Tregua. L‟inizio del viaggio di ritorno vale come la conclusione del «tempo della nostra schiavitù» (LT, p. 37) : Levi mette in evidenza l‟aspetto collettivo, cioè il destino comune di un gruppo di persone legate dalle origini religiose. Il viavai di reduci e di soldati nella stazione di Katowice, viene chiamato uno «spettacolo ad un tempo corale e solenne come una migrazione biblica» (LT, p. 94). Per quanto riguarda il termine del viaggio, i reduci sperano di ritrovare «la Terra Promessa» (LT, p. 41), anche se alla fine, quella gli appare «sotto forma di una spietata pianura deserta» (LT, p. 41). Come emerge dal commento appena fatto, è soprattutto Levi che cerca di appoggiarsi su modelli letterari precedenti. In Millu, i riferimenti letterari sono scarsissimi : persino quando fa menzione dell‟«inferno di Auschwitz» (PS, p. 214), l‟autrice lo fa senza riferirsi veramente 37 Oltre all‟episodio concreto dell‟esodo, l‟itinerario del reduce si avvicina anche al modello del pellegrinaggio, cioè il viaggio verso un posto divino che, nel caso dei reduci, è la casa. 38 Bibbia Ebron, Milano, Edizioni San Paolo, 2005, Esodo 3 : 7-8, p. 76. 39 Ibid., Esodo 13 : 18, p. 87. 40 Alla domanda di Ferdinando Camon «Lei non è credente ?», Levi risponde : «No ; non lo sono mai stato ; vorrei esserlo, ma non riesco. [Il mio ebraismo] è un puro fatto culturale.» Comunque riconosce un legame con l‟ebraismo, provocato dalle legge razziali : «Questa doppia esperienza, le leggi razziali e il lager, mi hanno stampato come si stampa una lamiera : ormai ebreo sono, la stella di Davide me l‟hanno cucita e non solo sul vestito.» (Camon F., Conversazione con Primo Levi, Parma, Ugo Guanda, 1997, p. 71-72.) 21 ad una tradizione qualsiasi. Liana Millu non cerca precursori o modelli. Per lei, il viaggio di ritorno è un evento del tutto unico e personale. d) La letteratura picaresca In termini di teoria letteraria, La Tregua e I Ponti di Schwerin si ricollegano al genere picaresco, descritto in modo esaustivo da Stuart Miller in The Picaresque Novel41. Come elementi principali della definizione del genere picaresco, Miller cita le caratteristiche seguenti, tutte più o meno individuabili nelle due opere in questione : (1) A picaresque novel is a novel with an episodic plot.42 (2) The episodic plot (...) projects a universe in a state of chaos.43 (3) Since that disorder is universal and continuing, it cannot be escaped except in death. Therefore, the picaresque novel has a more or less open ending.44 (4) The picaresque novel generally limits its point of view to the picaro. It may or may not be autobiographical; the essential thing is that the reader identifies himself with the protagonist and vicariously undergoes the shocks of his chaotic experience.45 (5) The picaresque novel is typically written in an unorthodox irregular style in order to enhance its effects [of disorganization].46 Vari studiosi segnalano il legame tra La Tregua e il genere picaresco. Giovanna Zaccaro, ad esempio, definisce la scrittura de La Tregua come «connotata da una significativa contaminazione tra biografico, picaresco e avventuroso.»47 JoAnn Cannon da parte sua, constata che l‟opera «in many ways resembles a picaresque novel»48. Sui tratti picareschi de I Ponti di Schwerin, la critica rimane piuttosto vaga. Tutt‟al più, si parla della storia di Elmina Misdrachim in termini di un viaggio di formazione49. 41 MILLER S., The picaresque novel, Cleveland (Ohio), Press of Case Western Reserve University, 1967. Le caratteristiche picaresche come sono definite da Miller, sono riformulate in modo chiaro da Wim ORNÉE nella sua prefazione a LANGENDIJK P., Het Wederzyds Huwelyksbedrog, Zuthpen, Thieme, 2004, p. 23-24. 42 Ibidem, p. 131 43 Ivi. 44 Ibidem, p. 132. 45 Ibidem, p. 131. 46 Ibidem, p. 132. 47 ZACCARO G., La tregua di Primo Levi, «La Nuova Ricerca», 2003, vol. 12, p. 338. 48 CANNON J., Storytelling and the Picaresque in Levi‟s “La tregua”, «Modern Language Studies», 2001, vol. 31, n° 2, p. 1. 49 Tra l‟altro VERDINO S., Memoria di una testimone : l‟opera di Liana Millu, «Storia e memoria», 2005, vol. 14, n° 1, p. 93. 22 Esaminiamo ora le caratteristiche picaresche nelle opere di Levi e Millu. (1) L‟episodic plot che Miller stima fondamentale in una storia picaresca si ritrova anche presso Levi e Millu. Per quel che concerne l‟opera leviana, JoAnn Cannon specifica la sua definizione de La Tregua : la storia di Levi è «a series of loosely connected episodes recounting the adventures and the narrow escapes of a band of rogues»50. Ne I Ponti di Schwerin ritroviamo una trama episodica simile : la protagonista descrive non solo le avventure vissute durante il viaggio di ritorno, ma anche tutti gli episodi della sua vita anteriore e posteriore. Di conseguenza, la struttura risulta molto spezzata e frammentata. Francesco De Nicola51 ci accenna implicitamente menzionando il concetto di „sequenzialità‟ nella sua introduzione al libro della Millu. (2) Ambedue gli autori descrivono un universo analogo a quello che appare spesso nelle storie picaresche. Dopo la liberazione, sia Millu sia Levi ritrovano il mondo di prima in uno stato di distruzione totale. In certe zone, «la terra appariva sconvolta e inaridita dalle unghiate furibonde della guerra» (PS, p. 118). In un‟intervista, Levi ha dichiarato : «Il mio destino ha voluto che io trovassi l‟avventura proprio in mezzo al disordine dell‟Europa devastata dalla guerra»52. Ne La Tregua l‟autore fa giustamente il paragone tra il mondo rovinato del dopoguerra e il caos del mondo primigenio : In quei giorni e in quei luoghi, poco dopo il passaggio del fronte, un vento alto spirava sulla faccia della terra : il mondo intorno a noi sembrava ritornato al Caos primigenio, e brulicava di esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi ; e ciascuno di essi si agitava, in moti ciechi o deliberati, in ricerca affannosa della propria sede, della propria sfera, come poeticamente si narra delle particelle dei quattro elementi nelle cosmogonie degli antichi. (LT, p. 36) (3) Conformemente al terzo elemento della definizione del genere picaresco, La Tregua e I Ponti di Schwerin hanno una fine aperta. L‟itinerario dei protagonisti non finisce con l‟arrivo nella patria : il cammino della vita continua. Nel libro di Liana Millu è reso bene questo continuum, soprattutto perché lei – nel secondo capitolo del romanzo – getta un ponte con la vita del dopoguerra. In questa 50 CANNON J., art. cit., p. 1. DE NICOLA F., art. cit., p. 19. 52 LEVI P., Conversazioni e interviste, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, p. 89. Il riferimento viene menzionato in : ZACCARO G., art. cit., p. 340-341. 51 23 seconda parte, la struttura episodica prosegue e alla fine l‟autrice annuncia nuovi ponti nella vita di Elmina : «si avviò verso il nuovo ponte di Schwerin della sua vita.» (PS, p. 325). Anche Levi mette in evidenza la continuità della sua avventura, ma piuttosto in chiave negativa. Per lui non ci sono nuovi ponti da raggiungere ; c‟è solo un brutto sogno che si ripete in eterno e che si finisce solo con la morte53. (4) In quanto al quarto segmento della definizione, c‟è una differenza netta tra le due opere. L‟opera di Levi non è strettamente autobiografica, visto che l‟autore mette in risalto soprattutto le avventure altrui. Come dice Daniela Amsallem : «Levi assiste aux aventures de ses camarades, (...) mais il ne s‟abandonne jamais au temps présent et garde une distance critique.»54 La storia de I Ponti di Schwerin invece focalizza integralmente le vicende vissute da Elmina. È lei il personaggio centrale, verso cui convergono tutti gli episodi e tutti gli altri personaggi. In questo senso, il libro della Millu è più picaresco dell‟opera leviana. (5) L‟ultima caratteristica del genere picaresco riguarda lo stile narrativo dell‟opera picaresca. In Levi, questo stile rimane abbastanza formale e chiaro. Però un elemento che potrebbe contribuire ad una certa irregolarità stilistica, è la confusione delle lingue. Subito dopo la fine della guerra, in Europa erravano innumerevoli persone di diverse nazionalità e di diverse lingue. Primo Levi incontra sul suo itinerario Francesi, Inglesi, Russi, Tedeschi, Polacchi, Rumeni, Ungheresi, Greci, ecc. Questo provoca ogni tanto situazioni confuse : Arrivò dopo qualche ora un gendarme polacco, baffuto, rubicondo e corpulento; mi interrogò invano nella sua lingua; risposi con la prima frase che si impara di ogni lingua sconosciuta, e cioè «nie rozumiem po polsku», non capisco il polacco. Aggiunsi, in tedesco, che ero italiano, e che parlavo un poco il tedesco. Al che, miracolo! il gendarme prese a parlare italiano. (LT, p. 62). Il modo in cui Millu ha costruito la sua narrazione, riflette bene il caos dell‟universo : il suo libro è una catena di ricordi anteriori e posteriori all‟esperienza del Lager. Considerando le caratteristiche della figura picaresca come sono descritte da Stuart Miller, è possibile dimostrare in che modo Primo Levi si definisce ne La Tregua come un picaro. Come 53 54 Sulla morte di Primo Levi ritorniamo nel punto 3.2.3 del terzo capitolo di questa tesi. AMSALLEM D., op. cit., p. 27. 24 primo elemento tipico, Miller menziona il fatto che generalmente il picaro non ha avuto una giovinezza protetta. Questo vale parzialmente per Levi, se si prende in considerazione che è stato deportato già all‟età di ventiquattro anni, età nella quale il confine tra giovinezza e età adulta non è ancora totalmente oltrepassato. Questo giovane avventuriero intraprende un lungo viaggio (un «viaggio interminabile», LT p. 242), che lo conduce da un‟avventura particolare ad un‟altra. Il picaro si lascia guidare in primo luogo dalla curiosità e dal carattere avventuroso. Che questa caratteristica possa anche attribuirsi a Primo Levi – che nei suoi libri autobiografici risulta piuttosto un uomo tranquillo e attaccato alla casa – si dimostra sorprendentemente attraverso la citazione seguente dell‟autore : «la famiglia, la casa, la fabbrica sono cose buone in sé, ma mi hanno privato di qualche cosa di cui ancora oggi sento la mancanza, cioè dell‟avventura.»55 L‟inclinazione all‟avventura emerge in Levi soprattutto in compagnia del suo amico Cesare : Accettai di buon grado l‟invito di Cesare ad accompagnarlo qualche volta al mercato, come apprendista, interprete e portatore. Lo accettai, non solo per amicizia, e per fuggire la noia del campo, ma soprattutto perché assistere alle imprese di Cesare, anche alle più modeste e triviali, costituiva una esperienza unica, uno spettacolo vivo e corroborante, che mi riconciliava col mondo, e riaccendeva in me la gioia di vivere che Auschwitz aveva spenta. (LT, p. 92-93). Durante il suo itinerario, si butta in tutti i lavori che gli possono fornire benefici 56. Così Levi testimonia in modo ironico in una lettera scritta nel 1945 a Bianca Guidetti Serra : «Ho fatto un numero incredibile di mestieri : l‟aiuto muratore, lo sterratore, lo spazzino, il facchino, il beccamorti, l‟interprete, il ciclista, il sarto, il ladro, l‟infermiere, il ricettatore, lo spaccapietre : perfino il chimico !»57 Quest‟autosufficienza enorme trova la sua origine nel contatto precoce con una società corrotta e crudele come quella di Auschwitz e della guerra. Testimone e vittima della malvagità del mondo e dell‟umanità, il picaro è spinto anche lui all‟astuzia per difendere la sua personalità. Un‟ipotesi interessante ci è offerta da Cannon, che sostiene che non è Levi ad occupare il ruolo di picaro, ma piuttosto il suo compagno Cesare, personaggio le cui virtù sono «extolled 55 LEVI P., Conversazioni e interviste, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, p. 89. Il riferimento viene menzionato in : ZACCARO G., art. cit., p. 340-341. 56 Cfr. MILLER S., op. cit., p. 70 : « There is no part that the picaro will not play. Typically, he can turn his hand to anything, assume the social disguise of every profession and vocation.» 57 BELPOLITI M., Note ai testi, P. LEVI, Opere, Torino, Einaudi, 1997, vol. 1, p. 1417. Il riferimento viene menzionato in : ZACCARO G., art. cit., p. 337. 25 above all others»58. Infatti, Cesare è di sicuro il personaggio più inventivo, avventuroso, furbo e picaresco dell‟opera. A lui «piacciono le eleganze, i virtuosismi, mettere il prossimo nel sacco senza farlo soffrire» (LT, p. 90). Però le due possibilità non si escludono, visto che – conforme alla definizione di Stuart Miller – il picaro è sempre fedele ad un compagno o ad un maestro di cui condivide destino e stile di vita. Anche se Cesare si presenta probabilmente come il picaro per eccellenza, questo non priva Primo Levi di una caratterizzazione simile, dimostrata attraverso gli aspetti sopraccitati. Anche nel libro della Millu, la caratteristica picaresca si rivela fondamentale. Nella sua introduzione a I Ponti di Schwerin, Francesco De Nicola mette in evidenza l‟aspetto educativo del viaggio picaresco : le avventure della protagonista costituiscono delle «successive tappe della formazione di Elmina, che in buona sostanza richiamano le tappe esterne della formazione di Liana.»59 Anche Stefano Verdino parla di una successione di «momenti e tappe di una formazione femminile, umana e civile»60. L‟elemento picaresco che emerge di più ne I Ponti di Schwerin, è l‟idea della giovinezza infelice. A casa dei Misdrachim, la nascita della piccola Elmina non sembra essere per niente un evento gioioso : Volevano il maschio. Invece era nata una femmina, bruttina per soprappiù, così non si può dire che la venuta al mondo di Elmina fosse molto festeggiata. Vedendo i visi lunghi, le espressioni deluse del marito e dei parenti prossimi, alla puerpera vennero perfino le lacrime agli occhi. Chinò la testa verso il fagottino che le avevano messo in braccio e non disse più una parola. (PS, p. 43). Morta la madre e partito il padre61, Elmina viene allevata dalle zie, delle vecchie zitelle. La loro iperconservatorismo cozza fortemente con la spregiudicatezza che caratterizza Elmina. In questo senso, la protagonista de I Ponti di Schwerin è pienamente picara : proviene di una famiglia del tutto sradicata, che la confronta sin dall‟inizio della vita con le ingiustizie dell‟esistenza. 58 CANNON J., art. cit. p. 4. DE NICOLA F., art. cit., p. 20. 60 VERDINO S., art. cit., p. 93. 61 Cfr. «Dalla morte della sua povera madre se l‟erano allevata. Le avevano risparmiato di crescere sotto matrigna perché il vedovo aveva fatto presto a consolarsi. Ah, gli uomini sono tutti uguali ! Un anno e tre mesi dalla scomparsa della giovane sposa e si era rifatto la famiglia. Invece di sentire il dovere di essere la loro consolazione...» (PS, p. 56). 59 26 Il sentimento di essere abbandonata dal padre e di non essere compresa dal resto della famiglia, provoca presso Elmina un profondo senso di solitudine. «As a result of his lack of love, » stima Stuart Miller, « the picaresque hero attains a loneliness that is oddly similar to that of some tragic heroes.»62 Questa solitudine la accompagnerà anche durante il suo itinerario di ritorno, perché anche in quel momento non sembra che ci sia qualcuno che possa cogliere l‟orribilità dell‟esperienza da lei fatta. 2.1.2. I compagni L‟itinerario verso la patria non è per Primo Levi e Elmina Misdrachim un percorso del tutto solitario. Sulla strada del ritorno, incrociano vari personaggi, tra i quali alcuni diventano veri compagni del protagonista. Nel caso di Levi, l‟itinerario riceve così una dimensione collettiva : Levi fa parte di una specie di «banda» di reduci, un gruppo abbastanza coerente di compagni di sventura (con tra l‟altro Cesare, Leonardo, Daniele e il Moro), all‟interno del quale regna una certa solidarietà. L‟altro tipo di compagni, sono quelli che accompagnano il protagonista per un certo periodo e poi scompaiono di nuovo dall‟orizzonte. In questo caso si trova la protagonista di Liana Millu. La collettività è certamente presente ne I Ponti, però prevale l‟idea che Elmina viaggia da sola, come abbiamo già menzionato. Ha preso la decisione di ritornare a casa completamente indipendentemente dalla sua compagna nel campo, Jeannette : «Allora me ne vado da sola. Domani. È l‟ultimo giorno che passo qui, ci puoi giurare!» (PS, p. 48). Si unisce poi ad un gruppo di reduci italiani, che abbandona di nuovo dopo un conflitto. Ferita in un incidente con un cane feroce, è mandata ad una casa dove si trattiene un comando russo e qualche donna. Proseguendo la strada del ritorno da sola, incontra ad un certo punto l‟Olandese Willem, che la spinge a deliberarsi progressivamente della sua inclinazione verso la solitudine. Però alla fine – colla morte del suo compagno a qualche chilometro di Schwerin – Elmina rimane sola soletta. Anche se la collettività risulta in ambedue le opere più o meno fondamentale, questo aspetto non si presenta più sotto la sua forma anteriore : l‟epoca della collettività prepotente del Lager, che assorbe ogni segno di individualità, è finita. La collettività sin da questo punto non 62 MILLER S., op.cit., p. 70. 27 ha più una sola faccia, ne ha moltissime, tutte uniche e individualmente definite. Per Levi, questa compresenza di caratteri umani diversi costituisce l‟occasione per eccellenza per dare sfogo alla sua capacità antropologica : La Tregua è infatti una «lunga galleria di ritratti», «une galerie de portraits en ronde-bosse, de personnages hauts en couleurs», come constatano rispettivamente Grassano63 e Amsallem64. In Millu, la personalità degli altri personaggi risulta a prima vista meno importante (e anche meno descritta), soprattutto perché loro si definiscono in primo luogo attraverso la loro relazione con la protagonista, su cui si focalizza l‟attenzione. Però questo non impedisce di riconoscere anche presso la Millu la volontà di una descrizione antropologica. In un‟intervista con Gudrün Jäger, la scrittrice, che inizialmente lavorava come giornalista, afferma : «Compito dei giornalisti è osservare gli uomini.»65 L‟insieme dei ritratti nelle due opere ci mette in grado di delineare il profilo dei caratteri umani più notevoli che si mostrano sulla via del ritorno. 1. Il dittatore – Nel campo di sosta di Katowice, Primo Levi incontra una figura quasi caricaturale : il ragionier Rovi. Anche senza mandato dalla parte dei Russi e senza sopporto degli altri abitanti del campo, lui si considera „colonnello del comando italiano‟. È una personalità intrigante, persino «uno spettacolo di estremo interesse» (LT p. 67) per lo sguardo naturalista di Levi scrittore, perché incarna l‟amore del potere, principio fondamentale della guerra. Quindi la figura di Rovi si deve considerare non solo al livello situazionale del campo di Katowice, ma anche ad un livello storico : i tratti caratteristici di Rovi sono anche quelli di un Hitler, di uno Stalin o di qualsiasi altro dittatore. Accanto all‟ossessione del potere, Rovi non ha nessuna qualità. È uno sciocco, privo di qualità intellettuali e morali, un misantropo di cui la caricaturalità è messa in evidenza da Levi tramite la descrizione ironica della sua uniforme : Aveva capito l‟importanza, anzi la necessità, di possedere una uniforme. Se ne era combinata una non priva di fantasia, abbastanza teatrale, con un paio di stivaloni sovietici, un berretto da ferroviere polacco, e giacca e pantaloni trovati non so dove, che sembravano di orbace, e forse lo erano : si era fatto cucire mostrine al bavero, filetti orati sul berretto, greche e gradi sulle maniche, ed aveva il petto pieno di medaglie. (LT, p. 68). 63 GRASSANO G., Primo Levi, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 45. AMSALLEM D., op. cit., p. 27. 65 JÄGER G., “Che bella camicia di sete che avevo!” – Un‟intervista-ritratto a Liana Millu, «Qualestoria», 2005, vol. 32, n° 2, p. 158. Cfr. anche VERDINO S., art. cit., p. 87 : «Osservare, testimoniare, due verbi che sono il fulcro della sua attività di scrittrice.» 64 28 2. Il „survivor‟ – Un personaggio centralissimo nella storia di Levi è Mordo Nahum, a cui è dedicato un intero capitolo. È probabilmente l‟unico personaggio in tutta la storia di cui la personalità non si è intaccata a causa della guerra. Per il Greco, «guerra è sempre» (LT, p. 57), la vita è una lotta continua e quindi è necessario poter cavarsela in qualsiasi situazione. Mordo Nahum viene caratterizzato come un uomo forte e freddo, solitario e loico, che si era mosso fin dall‟infanzia per entro le maglie rigide di una società mercantile. Era (o era stato) accessibile anche ad altre istanze : non era indifferente al cielo e al mare del suo paese, ai piaceri della casa e della famiglia, agli incontri dialettici ; ma era stato condizionato a ricacciare tutto questo ai margini della sua giornata e della sua vita, affinché non turbasse quello che lui chiamava il “travail d‟homme”. La sua vita era stata di guerra, e considerava vile e cieco chi rifiutasse questo suo universo di ferro. (LT, p. 57-58). Di fronte alla forza mentale e l‟autosufficienza del Greco, Levi si rende conto della propria inadattabilità alla vita pratica66. Il Greco conferma a più riprese questa imperizia e il sentimento di inferiorità che ne è generato : «Allora sei uno sciocco, – mi disse tranquillamente. – Chi non ha scarpe è uno sciocco» (LT, p. 45), «Je n‟ai pas encore compris si tu es idiot ou fainéant.» (LT, p. 56). 3. Il furbo – La capacità del Greco di prendere la vita in mano, indipendentemente dalle difficoltà della situazione, la troviamo anche nel personaggio di Cesare. Levi stesso nota il parallelo tra i due uomini : «Cesare, benché avesse poco più di vent‟anni, vantava una preparazione merceologica sorprendente, paragonabile a quella del greco.» (LT, p. 92). Significativo a questo proposito è la scena in cui Cesare riesce a vendere ad un contadino polacco una camicia bucata : «sventolava la camicia nel sole, tenendola stretta per il collo (sotto il colletto c‟era un buco, ma Cesare la teneva in mano proprio nel punto dove c‟era il buco), e ne proclamava le lodi con eloquenza torrenziale.» (LT, p. 95). La differenza tra il Greco e Cesare sta invece nella positività che emana il secondo, e alla quale Primo Levi guarda con ammirazione : «Cesare era un figlio del sole, un amico di tutto il mondo, non conosceva l‟odio né il disprezzo, era vario come il cielo, festoso, furbo e ingenuo, temerario e cauto, molto ignorante, molto innocente e molto civile.» (LT, p. 92). 4. Il „Cristo‟ – Sia Levi sia Millu si servono ogni tanto di un vocabolario religioso nella descrizione del loro itinerario, però Levi è il solo ad introdurre tra i personaggi anche un vero Cristo, e ciò nella figura del dottore Gottlieb, un medico a Katowice che fornisce a Levi le medicine e la cura appropriate per guarire la sua malattia mal definibile. Sembra avere un 66 Cfr. ZACCARO G., art. cit., p. 345. 29 enorme potere curativo, che mette al servizio «del suo prossimo meno dotato» (LT, p. 113). Però allo stesso tempo, intorno a Gottlieb si avvolge «una nuvola quasi visibile» (LT, p. 113) di mistero, che gli dà un carisma sovrannaturale. Levi considera la sua guarigione quasi come un miracolo di tipo religioso, e non esita a riutilizzare le parole bibliche : Gottlieb mi portò la salute come un taumaturgo. Venne una prima volta a studiare il caso, poi varie altre munito di fiale e siringhe, e un‟ultima volta, in cui mi disse: – Alzati e cammina –. Il dolore era scomparso, il mio respiro era libero; ero molto debole e avevo fame, ma mi alzai, e potevo camminare. (LT, p. 113). 5. L‟uomo mite – In generale i personaggi maschili che appaiono nella storia di Elmina Misdrachim sono caratterizzati da una certa aggressività o almeno da un carattere tipicamente macho. C‟è però un solo uomo che sembra totalmente abbattere questo cliché, cioè Willem, che è anche l‟unico personaggio di cui la Millu abbozza il carattere in modo abbastanza preciso e dettagliato. Già nel primo momento in cui Elmina incontra l‟Olandese, la sua gentilezza la sorprende : “Allò!” disse passandomi vicino. Nel dirlo toccò il berretto. “Allò!” risposi meravigliata. Il gesto era stato gentile e lo sguardo dei suoi sporgenti, slavati occhi chiari, lento e mite. Osservando il suo passo misurato, mi sentii assurdamente risentita perché se ne era andato via liquidandomi con un semplice “Allò!”. (PS, p. 152). Elmina deve riabituarsi all‟idea che qualcuno si occupi di lei, e quella le dà una «sensazione strana» (PS, p. 154). Dopo la morte inaspettata di Willem, Elmina lo ricorderà metaforicamente come «una sera di fine primavera in campagna. Una barba biondorossa, gli occhi calmi, la voce calma. Willem : il grano alto e la tenerezza.» (PS, p. 209). La bontà di Willem è parzialmente ispirata dalla sua fede incondizionata in Dio : «Certo che ci credeva. Come si potrebbe accettare il mondo e resistergli senza fede in Dio? La vita e la morte sono misteri troppo grandi perché possano essere spiegati. (...) Solo la fede in Dio può dare una risposta di pace.» (PS, p. 164). Laddove il dottore Gottlieb acquisisce il suo statuto di „Cristo‟ grazie alla «sicurezza, l‟abitudine alla vittoria, la fiducia in se stesso» (LT, p. 113), Willem è quasi un apostolo : semplicemente accompagnando Elmina durante il suo itinerario, occupandosi di lei, curando le sue ferite, ecc. dà espressione alla sua fede. 30 Willem può ugualmente essere avvicinato ad un altro personaggio che appare nel romanzo leviano, cioè Daniele. I due uomini hanno in comune una clemenza incredibile : sono capaci se non di perdonare, almeno di non odiare i Tedeschi che hanno ammazzato la loro famiglia. Allora gli chiesi se non odiava chi lo aveva privato della casa, della libertà, della moglie. Willem scosse la testa. (...) “Vivere odiando sempre, avere nel sangue e nella mente, giorno e notte, quella collera cupa... è una condanna orribile. Gli uomini che per gli altri uomini hanno inventato tanti spaventosi supplizi si autopuniscono con la quotidiana tortura dell‟odio. Non sanno cosa è la pace.” (PS, p. 176). Fra i tronchi, sdraiati al sole proni, cotti dal sole, stavano una dozzina di prigionieri tedeschi, bradi. (...) Ci videro, e alcuni fra loro mossero verso noi con passi incerti da automi. Ci chiesero pane (...). Rifiutammo, poiché il nostro pane era prezioso. Ma Daniele non rifiutò : Daniele, a cui i tedeschi avevano spento la moglie forte, il fratello, i genitori, e non meno di trenta parenti ; Daniele, che della razzia nel ghetto di Venezia era il solo superstite, e che dal giorno della liberazione si nutriva di dolore, trasse un pane, e lo mostrò a quelle larve, e lo depose a terra. (LT, p. 142). 6. Il rappresentante di un nuovo inizio – Sullo sfondo del paesaggio ungherese percorso dal treno, nel mezzo dei reduci appare un personaggio che apporta con sé una nuova atmosfera. Il piccolo Pista, quattordici anni, porta gli stigmata della guerra : Padre e madre? Qui era più difficile farsi intendere : trovai un mozzicone di matita e un pezzo di carta, e disegnai un uomo, una donna, e un bambino in mezzo; indicai il bambino dicendo «Pista», poi rimasi in attesa. Pista si fece serio, poi fece un disegno di terribile evidenza: una casa, un aereo, una bomba che stava cadendo. Poi cancellò la casa, e disegnò accanto un grosso cumulo fumante. (LT, p. 244). Però allo stesso tempo non si perde di coraggio : è un ragazzo allegro, intelligente e diligente. «Tutti gli vollero subito bene.» (LT, p. 244). Cantando delle canzoni del suo paese e ridendo felicemente, fa ridere tutti. Pista incarna un futuro felice, che è possibile malgrado tutti gli orrori passati. Un personaggio dello stesso tipo è la giovane Galina, diciottenne che Levi incontra nel campo di sosta a Katowice. Anche lei rappresenta un nuovo inizio, una nuova vita : Preoccupazioni Galina non ne aveva, neppure l‟ombra. (...) Era una ragazza di campagna, sveglia, ingenua, un po‟ civetta, molto vivace, non particolarmente colta, non particolarmente seria ; eppure si sentiva operante in lei la stessa virtù, la stessa dignità dei suoi compagni-amici-fidanzati, la dignità di chi lavora e sa perché, di chi combatte e sa di aver ragione, di chi ha la vita davanti. (LT, p. 75). In Millu, sembra essere Elmina Misdrachim stessa ad occupare questo ruolo positivo67. Accanto ad una distinzione secondo il carattere dei personaggi, è possibile riconoscere vari tipi di persone secondo il loro stato civile. La protagonista de I Ponti di Schwerin incontra tra 67 Ci riferiamo tra l‟altro a Francesco DE NICOLA, art. cit., p. 20, che chiama la protagonista della Millu un «modello positivo». Vedi anche il punto 3.2.1 nel terzo capitolo di questa tesi. 31 l‟altro la vergine Jeannette, la prostituta Genovefa, il fidanzato Vito, il vedovo Willem. Per Elmina questa distinzione è importantissima perché lei stessa non è per niente sicura di come deve definire la sua relazione con Oal, il suo amante nel periodo prebellico. Sono innamorati o fidanzati ? Alla domanda di Benito «Sei sposata ?», Elmina non sa rispondere immediatamente : Stavo per dirgli di sì, inventando una storia commovente che lo inducesse al rispetto del marito lontano, ma subito mi convinsi che non era il caso. Il ragazzo poteva essere tenuto a posto facilmente e, soprattutto, era meglio che mi credesse signorina. «Sono fidanzata.» Mi venne alla bocca spontaneamente e subito dopo pensai a Oal. Ero davvero la sua fidanzata ? Di matrimonio non avevamo mai parlato. Del resto, anche volendo, con le leggi razziali matrimoni tra ebrei e ariani erano impossibili. (PS, pp. 82-83). Non soltanto non sa definire la sua relazione con Oal ; si rende anche conto del fatto che la guerra ha cambiato tutti i rapporti esistenti. Forse Oal è morto nella guerra : allora Elmina deve considerarsi vedova ? Infatti, dopo il suo ritorno Elmina sarà confrontata con la realtà amara : Oal non l‟ha aspettata, si è sposato con un‟altra donna. Ovviamente le relazioni tra tutti questi uomini di caratteri così divergenti si situano su livelli ben distanti. Certi personaggi non costituiscono che una semplice „compagnia‟ : l‟unica relazione tra il protagonista e questi compagni sta nella loro compresenza ad un certo momento e in una certa situazione : «Mi trovai dunque caricato su di una carretta militare a cavalli, insieme con una decina di compagni che non conoscevo.» (LT, pp. 36-37). Una tale relazione si caratterizza dalla passività : l‟essere insieme non è una scelta. Quando all‟interno di questa compagnia nasce però la coscienza di un‟esperienza emotiva collettiva e dunque di un destino comune, emerge un sentimento di solidarietà. Nel convento nel quale Levi e Mordo Nahum trovano un alloggiamento, Levi è intenerito dalla «bella, esaltante esplosione di solidarietà nazionale, anzi, di spontanea umanità» (LT, p. 50) dalla parte dei suoi compatrioti. Ne I Ponti di Schwerin, quasi tutti i rapporti tra la protagonista e gli altri personaggi si basano su questo stesso tipo di solidarietà : quando Vito, il Volterra, Benito e Salvatore trovano Elmina per strada, la loro origine comune li spinge ad accogliere la ragazza nel loro gruppo. 32 La solidarietà implica che alla fine ambedue le parti si trovano sullo stesso livello. Questo non è il caso quando si tratta di un rapporto di stima. Secondo lo Zingarelli68, la stima è «l‟opinione buona, favorevole, delle qualità, dei meriti, dell‟operato altrui» : una delle due parti sente un‟ammirazione per l‟altra e di conseguenza la considera superiore. Ne La Tregua, questo tipo di rapporto è messo in evidenza nel terzo capitolo, che racconta le vicende di Levi in compagnia di Mordo Nahum. Immediatamente, Levi nota le qualità eccessive del suo compagno : «Non era un greco qualunque, era visibilmente un maestro, un‟autorità, un supergreco.» (LT, p. 48). Quindi descrive il loro rapporto come uno di «simpatia, bilaterale, e [di] stima, unilaterale» (LT, p. 43). La vera amicizia è ancora un passo più in avanti. Per i reduci che sono vissuti per un lungo tempo in un clima pieno di diffidenza e di tradimento, non è evidente aprirsi di nuovo al prossimo e credere nella bontà dell‟altro. Ne La Tregua la nozione di amicizia viene inizialmente definita in opposizione con l‟ostilità. Quando Primo Levi e Cesare, al momento che raggiungono un piccolo villaggio dove vogliono scambiare i loro piatti contro una gallina, gridano agli abitanti «Siamo amici. Italianski.» (LT, p. 157), intendono soprattutto spiegare che non sono nemici. Questa opposizione in bianco e nero (amicizia versus non-amicizia) viene messa in evidenza nel film che i reduci guardano nel campo di Staryje Doroghi : per la folla degli spettatori «era come se i personaggi del film, anziché ombre, fossero amici o nemici in carne ed ossa.» (LT, p. 203). Il compagno con cui Levi ha un rapporto di vera amicizia è Cesare. La loro relazione si basa sulla solidarietà : Cesare, invece, lo conoscevo appena, poiché era arrivato a Buna da Birkenau pochi mesi prima. Mi chiese acqua, prima che cibo: acqua, perché da quattro giorni non beveva, e lo bruciava la febbre, e la dissenteria lo svuotava. Gliene portai, insieme con gli avanzi della nostra minestra: e non sapevo di porre così le basi di una lunga e singolare amicizia. (LT p. 82). Inoltre il sentimento è reciproco. Anche Cesare considera Levi come un vero amico : «Mi spiegò il suo sentimento : con me era amico.» (LT, p. 91) Se in Levi, la nozione di amicizia appare ancora abbastanza frequentemente, in Millu l‟amicizia profonda è quasi assente. Le relazioni amichevoli sono molto più precarie. Infatti, il libro della Millu comincia con la rottura parziale tra Elmina e la sua compagna Jeannette : 68 Lo Zingarelli, Bologna, Zanichelli, 2006. 33 Jeannette rifiutava di capire. Aspettava la Croce Rossa. Intendeva restare alla fattoria fino all‟arrivo della Croce Rossa. Rifiutava di capire, ostinata nella sua speranza. (...) Le amiche che eravamo state non esistevano più e poiché ognuna personificava nell‟altra il ricordo di tutte le umiliazioni e le pene passate impossibile era sentirci libere finché si continuava a vederci. (PS, p. 48). Ne I Ponti di Schwerin, il vero amico è rappresentato da Willem. La base della sua amicizia con la protagonista si trova nell‟esperienza comune, e nell‟enorme capacità di Willem e di Elmina di comprendere l‟altro e di accettarlo con tutte la sue debolezze. Della profondità del loro rapporto parleremo ancora nel punto 2.3.2. Insomma, questo piccolo studio del modo in cui i compagni dei protagonisti vengono presentati, rende chiara l‟intenzione diversa degli autori. Presso Levi, i numerosi ritratti dettagliati rivelano lo scopo antropologico dell‟autore e aumentano l‟aspetto collettivo dell‟esperienza e della narrazione. Nel libro della Millu, tutta la storia, i dialoghi e gli altri personaggi si collegano con la protagonista Elmina. Qui non ritroviamo la collettività che ci descrive La Tregua. Se La Tregua racconta dunque la storia di una «comunità itinerante» (LT, p. 130), I Ponti di Schwerin mostra in primo luogo il viaggio del tutto personale di un individuo. Come scrive Francesco De Nicola, «la vicenda individuale della protagonista Elmina, protesa all‟emancipazione, rimane centrale e presenta una sua netta autonomia.»69 2.1.3. Il termine del viaggio I due viaggiatori, Primo Levi e Elmina Misdrachim, intraprendono il lungo viaggio attraverso l‟Europa con uno scopo preciso : hanno ambedue una meta da raggiungere. Il termine del viaggio acquisisce sia ne La Tregua sia ne I Ponti di Schwerin un aspetto simbolico. Per il reduce Primo Levi, il termine dell‟itinerario è la propria casa in Corso Re Umberto, Torino. Levi ci è sempre stato molto attaccato : ha vissuto per tutta la sua vita nella stessa casa (eccetto durante gli anni della prigionia). Philip Roth, autore dell‟intervista famosa con Primo Levi del 1986, scrive : «I don‟t personally know of another contemporary writer who has voluntarily remained, over so many decades, intimately entangled and in such direct, 69 DE NICOLA F., art. cit., p. 15. 34 unbroken contact with his immediate family, his birthplace, his region, the world of his forebears, and, particularly, with his local working environment.»70 Da un lato, la casa è significante come luogo vero e proprio. Però Roth riconosce che per Primo Levi è anche stato importante come «anchor for value»71. Il viaggio a casa equivale per Levi ad un ritorno ai valori tipici della sua vita prebellica. In opposizione al «non-luogo» del Lager, la casa rappresenta prima di tutto la sicurezza, la certezza, la stabilità. Ma la nostalgia della casa è ne La Tregua ugualmente «la nostalgia di un affetto» (LT, p. 99) : la casa è il luogo della famiglia, della moglie, dell‟intimità, della vita privata che è stata cancellata dalla guerra, sostituita dalla collettività del campo. Il significato forte che prende la casa nel libro di Primo Levi, non lo assume ne I Ponti di Schwerin. Per la Millu, la strada del ritorno non finisce in una casa72, e non c‟è nemmeno una famiglia da raggiungere73. Alla sola casa che ha mai abitata, associa l‟idea della prigionia : «Abitavano a pianterreno e tutte le finestre erano protette da una inferriata, aumentando il senso della prigionia.» (PS, p. 57). Quindi l‟esclamazione «A casa, a casa!» (PS, p. 140) non indica veramente un sentimento di nostalgia ad un luogo specifico, simbolo di stabilità e sicurezza. La vita di Liana Millu (e della sua protagonista Elmina) non è mai stata tranquilla, stabile o sicura. Questo non vuol dire che non ci sia in lei un certo desiderio di una casa. Lo esprime alla fine del libro : «Da quanti anni non aveva più una casa? (...) Voleva fornelli veri in una casa vera. (...) Desiderava soltanto una casa dove vivere in compagnia di se stessa, in pace.» (PS, pp. 321-322). Comunque, Liana Millu ha scelto un altro termine del viaggio, cioè il ponte di Schwerin. Laddove Levi viaggia verso un luogo stabile, la protagonista de I Ponti di Schwerin si dirige verso un luogo che funziona da punto di passaggio verso altri luoghi, altri viaggi e altre esperienze. Sogna il ponte come un simbolo di libertà, di una nuova vita : Sognai il ponte di Schwerin. Un ponte che sembrava non avere mai fine, fatto di tante arcate altissime sopra un gran fiume. In fondo, c‟era una nebbiolina che nascondeva tutto. (...) Sapevo che il ponte era 70 Citato da Robert S.C. GORDON, How Much Home Does a Person Need ? Primo Levi and the Ethics of Home, «Annali d‟Italianistica», 2001, vol. 19, p. 218. 71 Ivi. 72 Cfr. «La casa di zia Nella e zia Linda me l‟ero lasciata alle spalle appena ero diventata maggiorenne ; poi non ne avevo più avuta una.» (PS, p. 49). 73 Piero STEFANI conferma nella sua introduzione al Tagebuch (p. 13), parlando dello «struggimento per i propri cari : per il marito, la moglie, i figli» che «entrata e uscita sola dal Lager, Liana fu salvata anche da questa mancanza del pensiero rivolto ai parenti stretti.» 35 vicino ma non riuscivo ancora a vederlo. Correvo, ansiosamente, incalzata da una musica assordante che m‟inseguiva dandomi un senso di sgomento. Finalmente, al termine di una strada angusta, delimitata dalle facciate scure di case altissime dai tetti spioventi, lo vedevo, lo raggiungevo. (...) Il ponte era come una passerella sospesa su quel paesaggio lontano. Non sentivo più il fastidio dell‟abito e mi accorgevo che si era trasformato in una gran sciarpa che il vento faceva ondeggiare. Di nuovo avevo i capelli lunghi e li sentivo tendersi all‟aria mossa. (PS, pp. 139-140). Le copertine delle due edizioni prese in considerazione raffigurano il termine del viaggio di ambedue i reduci. La copertina de La Tregua mostra un disegno di Marc Chagall, che rappresenta un uomo volando sopra una casa. Quella de I Ponti di Schwerin mostra un ponte sul quale si stende il corpo di una donna. 2.2. Il cammino della vita___________________________________ È chiaro che il movimento concreto del rimpatrio deve essere collocato in un movimento più generale e più astratto, quello del «cammin di nostra vita»74, per riprendere le parole dantesche. «Il viaggio,» ritengono Antonio Gargano e Marisa Squillante, «costituisce la metafora dell‟esistere.»75 I due schemi presentati qua sotto rappresentano il cammino della vita dei due protagonisti (Primo Levi autore e personaggio da una parte, Liana Millu e Elmina Misdrachim dall‟altra). Primo Levi Nel caso di Primo Levi, possiamo individuare una fase pre- e una fase post-Lager, nelle quali il protagonista gode di una (relativa) libertà. Ne La Tregua, Levi conferma la continuità tra questi due periodi, denominando il periodo del Lager «la cesura di Auschwitz, che spaccava in due la catena dei miei ricordi» (LT, p. 227)76. Infatti, al periodo che si trova nel mezzo si collegano le nozioni di prigionia e di morte. Nello schema, il periodo prima dell‟esperienza del campo è stato denominato colla A, mentre il periodo dopo il ritorno a Torino riceve la lettera A‟ : non c‟è dunque un parallelismo completo. Nel capitolo 3 spiegheremo perché A diventa A‟, in altre parole perché non è più possibile per il protagonista la vita A pura, autentica. 74 DANTE ALIGHIERI, Inferno, I, v. 1, op. cit., p. 4. GARGANO A. & SQUILLANTE M. (a cura di), Il viaggio nella letteratura occidentale tra mito e simbolo, Napoli, Liguori Editore, 2005, p. 2. 76 La citazione ci è suggerita da Robert S.C. GORDON, Primo Levi : le virtù dell‟uomo normale, Roma, Carocci, 2004, p. 56. 75 36 pre-Lager casa (Torino) Lager campo (Auschwitz) post-Lager casa (Torino) libertà prigionia libertà vita morte ? vita ? distruzione ricostruzione costruzione Illustrazione 1 : Il cammino della vita di Primo Levi Le frecce designano le fasi transitorie tra due periodi di vita, cioè la deportazione e il ritorno. La prima è descritta da Levi nel primo capitolo di Se questo è un uomo77, la seconda ne La Tregua. Nei due casi si tratta non solo di un cambiamento di stato e di atmosfera, ma ugualmente di uno spostamento concreto. È notevole come ne La Tregua, Levi descrive la seconda transizione quasi come un rito di inaugurazione, che per molti aspetti è parallelo al trattamento rituale all‟entrata nel Lager. Prima i reduci devono spogliarsi78, cioè disfarsi degli abiti della vecchia vita, «spogliarci delle vestigia della nostra vita di prima, di fare di noi degli uomini nuovi» (LT, p. 19). Poi segue un bagno79, da un lato misura necessaria per garantire l‟igiene e la salute80, dall‟altro simbolo di stampo religioso fondato sulle qualità purificanti dell‟acqua81. Levi segnala il parallelismo con l‟entrata nel Lager : «Anche qui, come ad ogni svolta del nostro così lungo itinerario, fummo sorpresi di essere accolti con un bagno» (LT, p. 18). E l‟autore ne conferma il valore simbolico : 77 LEVI P., Se questo è un uomo, Einaudi, 1985, pp. 11-22. Ibid., p. 24 : « poi bisogna spogliarsi e fare un fagotto degli abiti ». 79 Cfr. GRASSANO G., Primo Levi, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 44. 80 In primo luogo, Levi stesso non concepisce il bagno come una misura funzionale e necessaria, però dopo conferma : « Non intendo già mettere in dubbio che un bagno, per noi in quelle condizioni, fosse opportuno : era anzi necessario, e non sgradito. » (LT, p. 19). 81 Pensiamo in questo contesto ai sacramenti nella religione cristiana, soprattutto al battesimo, durante il quale si versa l‟acqua benedetta sulla testa del neonato. 78 37 Ma non fu quello un bagno di umiliazione, un bagno grottesco-demoniaco-sacrale, un bagno da messa nera come l‟altro che aveva segnato la nostra discesa nell‟universo concentrazionario, e neppure un bagno funzionale, antisettico, altamente tecnicizzato, come quello del nostro passaggio, molti mesi più tardi, in mano americana : bensì un bagno alla maniera russa, a misura umana, estemporaneo ed approssimativo. (LT, p. 18). La nuova vita dei liberati comincia con l‟assegnazione di vestiti («Ci assegnarono camicia e mutande», LT, p. 20) e con l‟atto tagliante definitivo del barbiere82, che rasa i capelli e la barba («per l‟ultima volta della nostra carriera ci fossero rasi i capelli a zero.», LT, p. 20). Ultimo aspetto del rito di transizione è la separazione. La deportazione non significava soltanto l‟allontanamento dalla patria e dai non deportati, ma anche la separazione dai compagni deportati : Entravano in campo quelli che il caso faceva scendere da un lato del convoglio; andavano in gas gli altri. (...) Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli. Quasi nessuno ebbe modo di salutarli. Li vedemmo un po‟ di tempo come una massa oscura all‟altra estremità della banchina, poi non vedemmo più nulla. (SQU, p. 20-21). Anche se la separazione dopo la liberazione non è connotata in modo lugubre e funebre, rimane una vicenda triste che causa in Levi un sentimento di vuotezza : « Qui ci separammo : Charles ed Arthur, guariti e relativamente ben portanti, si ricongiunsero al gruppo dei francesi, e sparirono dal mio orizzonte. Io, malato, fui introdotto nell‟infermeria.» (LT, p. 2021). Questa tristezza che segue all‟abbandono riviene alla fine del libro, quando Cesare, il compagno favorito di Levi, decide di continuare da solo il viaggio di ritorno : sopra ogni cosa ci attristava la mancanza di Cesare. Aveva lasciato fra noi un vuoto doloroso : in sua assenza, nessuno sapeva di cosa parlare, nessuno più riusciva a vincere la noia del viaggio interminabile, la fatica dei diciannove giorni di tradotta che ormai ci pesavano sulle spalle. Ci guardavamo l‟un l‟altro con un vago senso di colpa : perché lo avevamo lasciato partire ? (LT, p. 242). Liana Millu L‟itinerario di Liana Millu e del suo personaggio Elmina è più complesso. 82 LEVI P., Se questo è un uomo, ed. cit., p. 25 : «Entrano con violenza quattro con rasoi, pennelli e tosatrici (…), ci agguantano e in un momento ci troviamo rasi e tosati. Che facce goffe abbiamo senza capelli !». Si nota la ricorrenza della nozione di violenza per descrivere l‟atto del barbiere : « Il barbiere (…) esercitava la sua arte con inconsulta violenza » (LT, p. 20). 38 Pre-Lager famiglia & “casa” Lager vivere da solo post-Lager campo ? casa ? (Pisa) (Volterra & Genova) (Auschwitz) (Genova) “prigionia” libertà prigionia libertà “morte” vita morte ? vita ? costruzione distruzione ricostruzione Illustrazione 2 : Il cammino della vita di Liana Millu / Elmina Misdrachim Alla base si trova uno stesso movimento A - B - A come lo troviamo da Levi. Però dobbiamo fare uno schema con quattro periodi di vita, perché la vita prebellica della Millu si condivide in due periodi. Durante l‟infanzia (dopo la morte della madre e la partenza del padre), ha abitato a casa delle zie. Parlando della giovane Elmina, la Millu scrive : «Contava i giorni e vivendo come un prigioniero si affacciava a guardare spiragli di mondo dalla finestra della cucina.» (pp. 56-57). Anche se questo periodo (A) è l‟unico nel quale Liana Millu si sa circondata dalla famiglia, non lo considera come una fase felice della sua vita. Il suo desiderio di indipendenza la spinge a lasciare la casa : nel periodo B la giovane Millu, appena maggiorenne, fa conoscenza con la vera libertà. Chiamiamo il terzo periodo, che inizia dopo la deportazione, il periodo A‟, perché riviene la nozione di prigionia e di «non-vita» o morte. L‟ultima fase nella vita della Millu è una fase di ricostruzione : «Volevo rimettere insieme le radici, affondarle dove ero nata. Il futuro ? La guerra aveva purgato il mondo da quel veleno e ormai c‟erano soltanto cose da ricostruire : erano tante.» Ritrova la libertà da lei acquistata faticosamente nella fase B, e perciò quest‟ultima fase si chiama B‟ : «Credeva che mai più nella vita avrebbe goduto di una tale ebbrezza di gioiosa liberazione. Non poteva immaginare che l‟avrebbe fuggevolmente ritrovata in Germania, su quella strada che doveva portarla al 39 ponte di Schwerin.» (PS, p. 61). Di nuovo, l‟accento segnala l‟analogia incompleta dei due periodi. All‟opposto di Levi, la Millu non descrive nessun rito di transizione, però colpisce ne I Ponti di Schwerin la ricorrenza frequente del motivo della strada. Infatti, la strada accompagna la protagonista (e l‟autrice) in tutte le fasi della sua vita. Lascia l‟infanzia quando percorre con un‟amica una «strada malfamata» (PS, p. 89). Durante l‟occupazione, dopo una piccola missione illegale nel bosco su incarico di Vincenzo, Elmina è sollevata di poter nuovamente «camminare sull‟asfalto» (PS, p. 192). A Malchow, il campo di lavoro, marcia alla fabbrica con gli occhi chiusi, riaprendoli ogni tanto per poi essere colpita dal «baluginare biancastro della strada» (PS, p. 148). Insomma, la strada prende ne I Ponti di Schwerin un significato simbolico. È per Elmina/Liana una «vecchia e cara amica.» (PS, p. 55), lo sfondo del suo cammino della vita83 personale. 2.3. L’itinerario psichico_________________________ __________ Tradizionalmente, il viaggio letterario non si limita al semplice spostamento fisico. Lo spazio nel quale si svolge il movimento geografico sarà ugualmente lo sfondo per un‟evoluzione mentale del protagonista, cosicché arrivi infine ad una «nuova percezione del sé, la conquista o la riconquista di una identità»84. All‟inizio de La Tregua e de I Ponti di Schwerin predomina ancora l‟istinto primitivo nell‟uomo. Levi e Millu menzionano delle scene analoghe in cui i prigionieri affamati ammazzano e divorano interamente delle mucche85 o dei cavalli86. Auschwitz ha dunque spinto l‟uomo verso il suo comportamento più istintivo possibile. Certi compagni di Levi ritornano definitivamente ad uno stato di primitività e inciviltà, ad esempio il Velletrano. Reduce di Auschwitz anche lui, si è ritirato nel bosco vicino al campo di Staryje Doroghi, dove vive scalzo e seminudo, come un uomo selvaggio : 83 Cfr. «Per camminare regolarmente nella vita è necessaria la zavorra di un certo buon senso.» (PS, p. 166). ZACCARO G., art. cit., p. 335. 85 «Verso mezzogiorno arrivò un bambino spaurito, che trascinava una mucca per la cavezza. (...) Non saprei dire come, il povero animale venne macellato in pochi minuti, sventrato, squartato.» (LT, p. 15). 86 «Chi aprí la caccia fu, naturalmente, il Velletrano : venne a svegliarci un mattino, insanguinato da capo a piedi, e teneva ancora in mano l‟arma primordiale di cui si era servito, una scheggia di granata legata con cinghie di cuoio in cima a un randello biforcuto.» (LT, p. 187). «“Anche quel pezzo di cavallo che si mangiò lungo la strada era crudo. Non te ne ricordi ?” “Per forza dovetti mangiarlo ! Dopo due giorni di diguino e sempre camminando : avrei voluto vedere ! Però, a Birkenau, tu volevi fare la cannibale. Me li ricordo bene, io, i discorsi che facevi con quell‟ungherese : erano discorsi da antropofaghe. Te lo sognavi anche di notte il gusto di affettare il culo di qualcuno !”» (PS, pp. 39-40). 84 40 Viveva come i nostri lontani progenitori : tendeva trappole alle lepri e alle volpi, si arrampicava sugli alberi per nidi, abbatteva le tortore a sassate, e non disdegnava i pollai dei casolari più lontani. (...) Dormiva sulla nuda terra, coricato accanto alle braci. Ma, poiché era figlio d‟uomo tuttavia, perseguiva a suo modo la virtù e la conoscenza, e perfezionava di giorno in giorno le sue arti e i suoi strumenti : si fabbricò un coltello, poi una zagaglia e un‟ascia, e se ne avesse avuto il tempo, non dubito che avrebbe riscoperto l‟agricoltura e la pastorizia. (LT, p. 179). Comunque il Velletrano rimane un‟eccezione : generalmente nelle reduci ritornano poco a poco i segni della civiltà. Il viaggio di ritorno costituirà così un periodo di transizione, un passaggio progressivo verso l‟umanità. 2.3.1. Ritorno dei sensi Un primo segno del ritorno alla vita si trova nella descrizione più sensitiva del mondo. Colpisce però il fatto che, sin dalle prime pagine de I Ponti di Schwerin, Liana Millu presenta al lettore un‟osservazione sensitiva della realtà tutt‟altra rispetto a quella di Levi. Infatti, la descrizione leviana si basa meramente sul senso della vista. Lo sguardo non è per lui solo uno strumento di osservazione, ma anche un elemento fondamentale nella caratterizzazione dei personaggi. Il Kleine Kiepura ad esempio, ha uno sguardo «fisso nel vuoto» (LT, p. 28). Il Greco con cui Levi fa conoscenza nei primi giorni dopo la liberazione, gli guarda generalmente con uno «sguardo torvo» tipico (LT, p. 56) o «coi suoi freddi occhi di savio serpente» (LT, p. 59). Ambigui sono lo sguardo del bambino Hurbinek, «uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo» (LT, p. 22), e quello di Galina, «in cui una pietà incerta si accompagnava con una definita repulsione» (LT, p. 73). Comunque sarebbe esagerato pretendere che Levi trascuri gli altri sensi. Ogni tanto l‟autore descrive una percezione olfattiva. Da un lato si tratta di profumi odorosi («Ci sentivamo liberi, per il buon odore che veniva dalla terra», LT p. 162), dall‟altro di un fetore disgustoso («acuto odore ferino», LT p. 186). Che nel romanzo della Millu, l‟osservazione sensitiva risulti più presente e più varia, è dimostrato attraverso il passo seguente, in cui la scrittrice riunisce i sensi dell‟udito, della vista e dell‟olfatto. L‟ultima frase può eventualmente riferirsi in modo implicito al senso tattile : Tendevo l‟orecchio ai suoni della campagna : un gracidare di rane, qualche fruscio indistinto. Guardavo, turbata, i fiori del ciliegio così irrealmente candidi sui neri rami protesi verso la casa e intanto mi 41 sembrava che l‟odore, «quell‟odore» inquietante e terribile strisciasse sotto la porta, si avvicinasse al divano. Lo sentivo come una presenza soprannaturale. (PS, p. 41) La doppia connotazione (positiva – negativa) dell‟esperienza sensitiva si ritrova anche in Millu. All‟inizio de I Ponti di Schwerin, l‟odore è ancora legato soprattutto alla morte e alla caducità : «turandomi il naso mi sentii schifata e pieno di risentimento verso l‟uomo che lentamente cominciava a disfarsi nella fredda umidità della cantina.» (PS, p. 29). Verso la fine dell‟itinerario rientrano gli odori più positivamente connotati, tra l‟altro «quell‟aria di merenda di campagna» (PS, p. 203) e «l‟odore di pulito e di fresco» di una casa (PS, p. 185). La sensazione tattile si esprime inizialmente soltanto attraverso il contatto con l‟animale («stringendosi al petto il gatto bianco e grigio (...) carezzando il gatto amorosamente», PS p. 39) ma progressivamente è stabilito anche il contatto fisico tra uomini, elemento sul quale ritorniamo nel punto 2.3.2. Dalla descrizione sensitiva dei due autori in questione, è possibile dedurre come vogliono definirsi nel loro libro. Primo Levi riveste in primo luogo il ruolo di osservatore : il senso della vista prevale ne La Tregua, perché Levi incarna lo sguardo. In Millu, la descrizione sensitiva è più legata alla protagonista : descrivendo il mondo che la circonda a partire dei sensi di Elmina, l‟autrice stabilisce un legame diretto tra la protagonista e il suo ambiente. 2.3.2. Ritorno della corporeità Nonostante le analogie tematiche fra le opere di Levi e Millu, Risa Sodi87 nota una grande differenza nel modo in cui gli scrittori concepiscono il concetto di „itinerario‟ come „rinascita‟. Levi mette in risalto in primo luogo la rinascita morale e spirituale, il ritorno della gioia, della confidenza, dell‟amicizia e della speranza88. Quello che rende la testimonianza di Liana Millu così innovativa e particolare, è la descrizione diretta della corporeità. La Millu parla del proprio corpo (o del corpo della sua protagonista Elmina) senza provare nessun pudore. Da donna indipendente, che si è liberata da tutti i pregiudizi sulle donne, non tiene più conto dei tabù che toccano il corpo. Quindi, l‟itinerario percorso da Elmina non è soltanto 87 SODI R., Many Bridges to Cross : Sex and Sexuality in Liana Millu‟s Holocaust Fiction, «Nemla Italian Studies», 1997, vol. 21, p. 159-161. 88 Cfr. Ibid., p. 157 : «The toll on the body is often related as tragically inevitable, essentially physiological or merely incidental.» 42 psichico, ma anche fisico : l‟opera della Millu si caratterizza per un «acceptance of the physical alongside the spiritual. In her works, as in her life, the two realms are inseparable.»89 Prima di poter raggiungere una rinascita corporale, bisogna sentirsi di nuovo il proprietario del suo corpo. Levi esprime questa sua necessità interiore : «sentivo un bisogno imperioso di riprendere possesso del mio corpo, di ristabilire il contatto rotto da ormai quasi due anni.» (LT, p. 124). Solo essendo cosciente della propria esistenza e concretezza fisica, il reduce sarà di nuovo in grado di curare il proprio corpo e progredire ugualmente verso la cura dell‟anima. A questo proposito, Liana Millu cita nel suo contributo su La normalità del reduce un episodio significavo circa le donne francesi a Birkenau : Una volta alla settimana, quando ci davano un cucchiaio di margarina, tutti lo finivano fino all‟ultimo più piccolo residuo, leccandosi la mano fino a lucidarla. Le francesi invece, conservavano un‟ultima piccolissima parte per passarsela sotto gli occhi, come una crema per le rughe. 90 A questa maggiore cura del corpo, la Millu attribuisce l‟ottimismo ammirabile delle francesi : solo proclamandosi possessore del proprio corpo e considerando se stessi come persone in carne ed ossa (e non come una „cosa‟), si può resistere al terrore anche sul livello psicologico. Dopo la presa di coscienza della propria esistenza fisica, il ritorno della corporeità si presenta su tre livelli : la salute, l‟esteticità e la sessualità. a) La salute Soprattutto ne La Tregua viene messo in evidenza lo stato di salute preoccupante del protagonista. Infatti, l‟inizio del suo itinerario si colloca nell‟infermeria del Lager : «non trovavo sonno, a causa della fatica stessa e della malattia. Avevo tutte le membra indolenzite, il sangue mi pulsava convulsamente nel cranio, e mi sentivo invadere dalla febbre.» (LT, p. 13-14). Però la liberazione dal campo non significa una guarigione immediata perché nelle condizioni precarie della guerra non ancora totalmente finita, «i medici, per lo più malati essi stessi, erano poche decine, le medicine e il materiale sanitario mancavano del tutto» (LT, p. 21). La guarigione rimane dunque un‟azione meramente autonoma dalla parte del malato, e 89 Ibid., p. 161. MILLU L., Sulla normalità del reduce, in: SPAD MILVIA, Le parole di un uomo. Incontro con Primo Levi, Di Renzo Editore, Roma, 2003, p. 121. 90 43 per quello sarà considerata spesso una prima vittoria personale del reduce, e un primo passo nel ritorno verso la normalità, come sostiene Marta Baiardi91. Levi conferma : «Al quinto giorno la febbre era sparita : mi sentivo leggero come una nuvola, affamato e gelato, ma la mia testa era sgombra, gli occhi e gli orecchi come affinati dalla forzata vacanza, ed ero in grado di riprendere contatto col mondo.» (LT, p. 21). In Millu, la descrizione più rilevante del corpo malato segue all‟evento probabilmente più tragico dell‟intero romanzo. Dopo la morte dell‟amico Willem, un gruppo di reduci trova Elmina più morta che viva : «Bernard era sceso a darmi un‟occhiata e aveva visto che non ero morta. Però ci mancava poco. Deliravo, avevo la febbre alta. Così mi avevano raccolta e messa sul carro.» (PS, p. 200-201). Tuttavia, se si prende in considerazione il contesto della citazione, si può sostenere che in questo caso la malattia del corpo equivale ad un‟instabilità psicologica, causata dal lutto per Willem. Il motivo del corpo esausto, frequente ne I Ponti di Schwerin, va visto nella stessa luce, cioè come la manifestazione fisica di uno stato d‟anima. b) L’esteticità Il motivo del corpo estetico, anche se generalmente valutato come una caratteristica tipicamente femminile, è presente sia ne La Tregua sia ne I Ponti di Schwerin. Primo Levi e Elmina Misdrachim si rendono conto che «il nostro aspetto non doveva essere gradevole» (LT, p. 39). Ambedue gli autori menzionano più o meno gli stessi elementi per farci riferimento. L‟elemento più caratterizzante dell‟aspetto del reduce è ovviamente la chioma rasata, risultato di un procedimento di uniformazione dalla parte degli oppressori. Per le donne la perdita dei capelli corrisponde inoltre alla perdita della femminilità. Risero tutti, rumorosamente, come a una gran scempiaggine e diventai rossa e mortificata perché quelle risate mi obbligavano a rendermi conto che ero soltanto un mucchietto d‟ossa ricoperte da pelle smorta. I capelli erano ricresciuti radi, senza forza e arricciandosi sembravano ancora più corti. Inoltre, mi erano caduti dei denti e quando sorridevo senza controllarmi si vedeva e non doveva essere un bello spettacolo. (PS, p. 70). Come è noto, in Lager avevamo i capelli rasati ; alla liberazione, dopo un anno di rasatura, a tutti, e a me in specie, i capelli erano ricresciuti curiosamente lisci e morbidi : a quel tempo i miei erano ancora molto corti, e Cesare sosteneva che gli ricordavano la pelliccia di coniglio. (LT, p. 156-157). Di fronte a Galina mi sentivo debole, malato e sporco; ero dolorosamente conscio del mio aspetto miserevole, della mia barba mal rasa, dei miei abiti di Auschwitz. (LT, p. 73). 91 BAIARDI M., „Liana Millu. Due libri postumi. Appunti bibliografici.‟, DEP (Deportati, esuli, profughe), n° 7, 2007, p. 309. 44 È notevole che sia Millu sia Levi descrivono l‟aspetto del protagonista in relazione a quello dell‟altra gente (cfr. tutti in Millu, Galina in Levi). Quindi il sentimento di non-esteticità dei protagonisti è causato dalla presa di coscienza di una certa anormalità. Visto che il viaggio al ponte di Schwerin di Elmina viene concepito come un ritorno alla normalità, sarà ugualmente un ritorno all‟esteticità. In un sogno, Elmina si vede raggiungere il ponte come una bella ragazza : «Non sentivo più il fastidio dell‟abito e mi accorgevo che si era trasformato in una gran sciarpa che il vento faceva ondeggiare. Di nuovo avevo i capelli lunghi e li sentivo tendersi all‟aria mossa.» (PS, p. 140). c) La sessualità Dopo essersi resi conto della sopravvivenza e del valore del proprio corpo, i reduci sono pronti ad entrare di nuovo in contatto con l‟altro, e questo non solo mentalmente. Nel Lager, un‟esperienza di tipo sessuale era quasi impensabile, come fa intendere Liana Millu : «E in lager ? Cosa succedeva, in lager ? Come si arrangiavano ? Non succedeva proprio niente. Le Fasce Rosse, i kapò, soltanto quelli potevano arrangiarsi e di solito se la vedevano tra loro. Per i soldati sceglievano il meglio agli arrivi. Una volta in lager, figuriamoci!» (PS, p. 314). Con la liberazione del campo scade dunque l‟idea del corpo come solo strumento di lavoro e ritorna quella del desiderio sessuale, del piacere fisico. Tanti scrittori hanno però evitato l‟argomento nelle loro opere sull‟Olocausto, a causa della innaturalità della combinazione di sesso e morte. Ogni segno di sessualità avrebbe dissacrato la realtà tragica dei campi. In Primo Levi, questa tensione viene incarnata da Jadzia, una ragazza di più o meno ventiquattro anni. Davanti agli uomini, Jadzia dimostra un‟attrazione sessuale disperata : Il suo involucre carne anemica era tormentato, lacerato dall‟interno, sconvolto da una segreta continua tempesta. Aveva voglia, bisogno, necessità impellente di un uomo, di un uomo qualsiasi, subito di tutti gli uomini. Ogni maschio che passasse nel suo campo la attirava. (LT, p. 29). Giuseppe Grassano92 riconosce in questo comportamento un istinto in cui sesso e morte si identificano quasi : ossessionatamente in cerca di un contatto fisico con l‟altro sesso, Jadzia alla fine si annienta. Ne I Ponti di Schwerin, sesso e morte si congiungono in una scena situata nel periodo prima della guerra. Delusa nella vita e limitata nella sua libertà a causa delle leggi 92 GRASSANO G., op. cit., p. 47. 45 razziali, Elmina sta considerando il suicidio su un ponte, quando ad un tratto appare un uomo che la convince a non buttarsi. Finiscono in una camera d‟albergo, dove il giovane corpo di Elmina prese contatto con quello dello sconosciuto con un impeto che era desiderio di annullamento, come se la presa di quelle membra robuste potesse disfarla più rapidamente di quanto non avrebbe potuto fare il fluttuante lavorio limaccioso dell‟acqua. (PS, p. 115). Accanto alla combinazione problematica di sesso e morte sopraddescritta, c‟è un altra tensione che trattiene tanti scrittori dal descrivere la sessualità in o dopo il campo, cioè quella tra l‟unicità dell‟evento storico dell‟Olocausto e la normalità di certi aspetti sessuali (maternità, gravidanza, aborto, ecc.) come parti della vita femminile93. Per la Millu, la descrizione della sessualità non è per niente una negazione dell‟orrore dei campi ; è invece un modo per riaffermare la sua normalità come donna viva. In questo senso, è logico che ne I Ponti di Schwerin, che è giusto il libro del ritorno alla normalità, la sessualità costituisca un filo conduttore nella descrizione della personalità di Elmina. Risa Sodi94 stima che la vita della protagonista andrebbe proprio divisa in fasi in base al criterio della sessualità. Riconosce tre periodi (la giovinezza, il ritorno da Auschwitz e il dopoguerra), con i rispettivi partner sessuali (Armando, Willem e Oal). Visto che la storia de I Ponti di Schwerin comprende la vita di Elmina dalla nascita fino al primo Natale dopo la liberazione, è possibile mostrare una certa varietà di aspetti sessuali95, laddove questa possibilità non esiste nel libro di Levi, che descrive solo il viaggio di ritorno. Comunque rimane notevole che la scrittrice non mostri nessun riserbo nel descrivere i brancicamenti dalla parte di vecchi zii della famiglia nell‟infanzia di Elmina96, la prima esperienza sessuale97, lo stupro dalla parte di un soldato98, la gravidanza indesiderata e 93 Cfr. BRAVO A., introduzione a OFER D. & WEITZMAN L.J. (a cura di), Donne nell‟Olocausto, Firenze, Le Lettere, 2001. Ci si riferisce Stefania LUCAMANTE, Non soltanto memoria. La scrittura delle donne della Shoah dal dopoguerra ai giorni nostri, in : Scrittori italiani di origine ebrea ieri e oggi : un approccio generazionale, a cura di Reinier Speelman, Monica Jansen & Silvia Gaiga, Italianistica Ultraiectina 2, Igitur, Utrecht Publishing & Archiving Services, 2007, p. 80. 94 SODI R., art. cit. p. 169. 95 Risa SODI (art. cit., p. 172) parla dei «possible stops along a young woman‟s erotic itinerary ». 96 «Infatti, quasi tutti gli anziani che frequentavano la casa (...) sentivano il bisogno di dichiarare a Elmina che la conoscevano da quando era nata. Perciò le cingevano paternamente la vita dandole buffetti sulle guance. Ma trovandosi soli con lei, allungavano le mani brancicandola con furia, dappertutto, fin da quando il seno si era delineato sul suo magro busto di bambina. Di sesso, Elmina non conosceva neppure la parola. Pure, aveva intuito che parlare con le zie di quei brancicamenti avrebbe scatenato tempeste e non ne aveva mai detto niente, limitandosi a sgusciare da quelle mani avide.» (PS, p. 60). 97 «La strinse sempre più forte finché lei se ne senti quasi soffocata. Dal viso di Armando gocce di sudore scivolavano sul suo procurandole un profondo, disgustato senso di fastidio. Si sforzava di allontanare il viso e intanto sentiva il respiro di lui diventare sempre più rapido e affannoso. Poi una fitta dolorsa le si allungò nel 46 l‟aborto99, ecc. Nell‟Italia assai conservatrice degli anni Settanta, questi temi erano – e lo sono ancora in certi ambienti – molto controversi. La legge che consente alla donna l‟aborto entro i primi tre mesi della gravidanza data del 1978, proprio l‟anno in cui fu pubblicato I Ponti di Schwerin. Quando ci limitiamo alla sessualità ritrovata durante il viaggio di ritorno, l‟esperienza più significativa di Elmina è la sua relazione con Willem. Incontratisi casualmente per strada, i due viaggiatori solitari suscitano l‟uno nell‟altro una nuova curiosità dell‟altro e finiscono con l‟abbandonare la solitudine cercata per stabilire un‟alleanza stretta : «Avevamo ostentato d‟ignorarci per tutta la giornata, desiderosi di far capire quanto tenessimo alla nostra solitudine e indipendenza. Ma ormai sedevamo vicini e aspettando che l‟acqua si scaldasse ci sentimmo compagni e contenti di esserlo diventati» (PS, p. 153). In Willem, Elmina trova di nuovo una persona che si occupa di lei. Willem sa fare rinascere in lei un‟umanità perduta : «Era tanto tempo che qualcuno non si occupava di me che vederlo fare mi dette una sensazione strana. C‟era sorpresa e anche riconoscenza ed emozione intenerita.» (PS, p. 154). Anche se non c‟è dubbio sull‟onestà dei loro sentimenti reciproci di amicizia, è chiaro che entrambi cercano nell‟altro un surrogato dell‟amante perduto. Willem fa pensare Elmina ad Oal, il suo fidanzato di cui non sa se è ancora in vita, mentre per lui, Elmina sostituisce la moglie Margriet, morta in un bombardamento. Questa sostituzione arriva nel punto culminante del rapporto sessuale stesso : “Margriet!” Tendevo l‟orecchio, cercando di distinguere quello che diceva. “Margriet. Oh, Margriet, Margriet...”. Continuava a invocarla e non mi sentivo offesa. (PS, p. 181) ventre, constringendola a lamentarsi e irrigidirsi. (...) Tristemente (...) pensò che ormai era una donna.» (PS, p. 81). 98 «Quasi subito, due mani robuste la trovarono. La presero tenendola ferma ; la distesero percorrendola tutta. In silenzio, un greve corpo massiccio la coprì, quasi soffocandola, e un fiato pesante le alitò sul collo. “È stata Jeannette!” pensò lei mentre il breve, acuto dolore della penetrazione indicava come la castità della prigionia avesse disabituato il suo corpo all‟ingresso dell‟uomo. “Lo ha mandato da me per liberarsi. Qualunque cosa, pur di rimanere vergine!” Lo sconosciuto si agitò respirando forte, poi rimase immobile.» (PS, p. 72). 99 «Due feroci mani di metallo tiravano il suo ventre in direzioni opposte, tendendolo e quasi squarciandolo, finché Elmina credette che la carne avrebbe ceduto, spaccandosi in due. Ma sapeva di non dover gridare e non gridò (...). Nel profondo centro del suo ventre dei rasoi rullarono scandendo un ritmo veloce (...). Improvvisamente come avevano cominciato, gli orrendi rasoi smisero di rullare. Miracolosamente toccata da quel silenzio, la carne respirò, quasi incredula di essere liberata. (...) Quanto al telefono, non la interessava. Non doveva telefonare a nessuno, non sapeva niente del padre dei gemelli. Era uno sconosciuto, incontrato per caso la sera in cui aveva deciso di morire.» (PS, pp. 105-106). 47 Il rapporto sessuale tra Elmina e Willem non è dunque meramente „il sesso per il sesso‟ e non è neanche un „fare l‟amore‟. Trova invece la sua origine in una commistione di solidarietà, amicizia profonda, commiserazione, autocommiserazione, bisogno di affetto e di consolazione. Piuttosto che l‟espressione di un istinto quasi animalesco, il sesso diventa qui una medicina per curare il trauma dell‟esperienza fatta. Rispetto al romanzo della Millu, le menzioni di una ritrovata coscienza sessuale sono scarse ne La Tregua100, e in ogni modo non si riferiscono mai al protagonista.101 La prima forma di contatto fisico avviene nel Campo Grande, dove i prigionieri liberati vengono lavati da due ragazze russe, che li insaponano, strofinano, massaggiano e asciugano «con mani pietose» (LT, p. 19). Dal vecchio Arthur, questo nuovo confronto tra la propria nudità e le mani delle ragazze provoca qualche protesta : «nel suo subconscio il contatto di quelle mani femminili sulla pelle nuda veniva a conflitto con tabù ancestrali.» (LT, p. 19). Per quel che concerne la vera attività sessuale, Levi menziona che, durante il soggiorno a Staryje Doroghi, le donne, nella nostra colonia, erano poche, non più di duecento, e quasi tutte avevano presto trovato una sistemazione stabile : non erano più disponibili. Perciò, per un numero imprecisato di italiani, andare «dalle ragazze del bosco» era diventata una consuetudine, e l‟unica alternativa al celibato. Una alternativa ricca di un fascino complesso : perché la faccenda era segreta e vagamente pericolosa. (LT, p. 178). 2.3.3. La maturità Abbiamo già considerato il ritorno del reduce il passo verso un‟ultima fase della sua vita (quella „post-Lager‟). Primo Levi e Elmina Misdrachim hanno percorso una serie di esperienze che li hanno marcati e formati (cfr. la formazione del picaro). L‟itinerario descritto ne La Tregua e ne I Ponti di Schwerin conduce ad una maggiore maturità. Così, all‟inizio de La Tregua, lasciando il campo dietro di sé, Levi scruta ancora per l‟ultima volta «le baracche dove avevo sofferto e mi ero maturato.» (LT, p. 17). Millu non menziona il concetto di maturità in relazione diretta con la via del ritorno, però lo lega al motivo della strada in una frase che potrebbe perfettamente applicarsi all‟itinerario percorso dopo la liberazione : «Fu 100 Nella versione filmata del libro di Levi (The Truce, 1997), il regista Francesco Rosi introduce però una scena che mostra la riscoperta della sessualità del protagonista. Ovviamente in questa scelta hanno giocato anche dei motivi commerciali, come conferma Risa SODI (art.cit., p. 160). 101 Una sola volta, nel momento in cui gli è offerta una ragazza, Levi pone chiaramente : «No, non avevo bisogno di una donna, o per lo meno non in quel senso.» (LT, p. 148). 48 infatti nel breve percorso di quella strada che Elmina lasciò il mondo dell‟infanzia.» (PS, p. 89). Inoltre, la Millu conferma il processo di maturazione, annotando nel suo Tagebuch : «Innocenza! Be‟, piantiamola lì.» (TB, p. 47). Tuttavia, nonostante la maturità nuovamente acquistata attraverso il viaggio, i reduci non hanno perso totalmente il candore infantile. Infatti, dopo la liberazione del campo, ritrovano progressivamente l‟innocenza infantile che Auschwitz gli aveva tolta, cioè la capacità di contemplare le cose in modo ingenuo, non con uno sguardo contaminato. Elmina racconta : «ci sentivamo pieni di una gioia da palloncino colorato, infantile e innocente. Evviva!» 2.4. Il cambiamento del mondo____________________ _________ Laddove la vita interiore dei due protagonisti cambia radicalmente, il mondo intorno a loro subisce ugualmente una trasformazione profonda : «Nel corso di quei giorni, intorno a me si era verificato un mutamento vistoso.» (LT, p. 22). Si tratta di un cambiamento in senso positivo : è arrivata un‟epoca di pace che si fa vedere nel ritorno di cose liete, colorate, belle, innocenti, leggere e comiche. 2.4.1. Cambiamento del tempo Il tempo del cambiamento è rappresentato in primo luogo attraverso il cambiamento del tempo, un topos letterario nel quale il clima si modifica a seconda dello stato mentale del protagonista. La liberazione dei campi di Auschwitz data della fine di gennaio 1945102 : gli ultimi mesi di prigionia sono dunque vissuti dagli Häftlinge in condizioni invernali rigidi. Regna il buio della stagione più brutta, e quando appare il sole, anche questo sembra immerso nell‟orrore della morte : «il sole tramonta in un vortice di truci nubi sanguigne» (SQU, p. 33). Dopo la liberazione, il paesaggio comincia a disgelarsi e si trasforma in uno «squallido acquitrino» (LT, p. 16). Come momento di passaggio, torna frequentemente il motivo biblico 102 Levi menziona specificamente «il mezzogiorno del 27 gennaio 1945» (LT, p. 10). Millu non aggiunge nessuna indicazione a questo proposito. 49 del diluvio universale, provocato da Dio per cancellare la malvagità degli uomini103. Viene messa in evidenza la forza purificatrice dell‟acqua : pulisce la terra dall‟infezione della guerra e libera l‟anima dall‟offesa. Giocando sul nome del personaggio biblico, l‟autore de La Tregua annuncia poi la fine del diluvio e dunque la fine dell‟orrore : «Il diluvio era finito : nel cielo nero di Auschwitz Noah vedeva splendere l‟arcobaleno, e il mondo era suo, da ripopolare.» (LT, p. 31). Poco a poco appaiono i segni di una nuova stagione, la primavera, simbolo della freschezza, della vivacità e di una felicità tenera. In tutta la natura monta «la linfa di primavera» (LT, p. 98), cioè un‟energia vitale rinnovata. Su «quella terra di primavera rivestita di verde» (PS, p. 48), rinasce il tipo di locus amoenus spazzato via dalla guerra : I rami formavano un intrico sopra la nostra testa, fitto, ma non tanto da nascondere le bianche nuvole gonfie che veleggiavano solenni nel cielo tiepido della primavera. Gli occhi si chiudevano, il corpo si abbandonava al languore del sonno e dimenticava le fatiche passate. (PS, p. 30). Che il clima rifletta la psicologia dei reduci si evidenzia nella connotazione fra stagione primaverile e sensazioni positive. In Millu, i giorni splendidi vengono legati alle «dolcezze della libertà» (PS, p. 30). Levi, da parte sua, collega il trionfo della nuova stagione al trionfo della pace : «fuori l‟aria era piena di primavera e di vittoria» (LT, p. 114). Ma il tempo riflette anche lo stato d‟animo negativo, ad esempio nel nono capitolo de La Tregua. Mentre la patria si trova verso Sud, i Russi conducono la carovana in direzione del Nord, verso il campo di sosta di Staryje Doroghi. Causano così presso i reduci un profondo senso di delusione, che sarà rappresentato dal tempo : «andavamo a nord, via dal mare, via dall‟Italia, verso la prigionia, la solitudine, il buio, l‟inverno.» (LT, p. 145). 103 «Allora il Signore vide che la malvagità dell‟uomo era grande sulla terra e che ogni progetto concepito dal suo cuore non era rivolto ad altro che al male tutto il giorno : di conseguenza il Signore fu dispiaciuto di aver fatto l‟uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Sicché il Signore disse : “Io voglio cancellare dalla faccia della terra l‟uomo che ho creato : uomo e bestiame e rettili e uccelli del cielo, poiché mi dispiace d‟averli fatti”. Tuttavia Noè trovò grazia agli occhi del Signore.» (Genesi, 6 : 5-7, 11-13). «E avvenne, al settimo giorno, che le acque del diluvio furono sopra la terra.» (Genesi, 7 : 10). Tratto da Bibbia Ebron, Milano, Edizioni San Paolo, 2005, p. 23. 50 Dopo una prima – precaria – felicità, quella della primavera, viene «il sole ardente della calda estate» (LT, p. 151). L‟estate simboleggia la sicurezza della pace e il calore umano ritrovato. Ne I Ponti di Schwerin, Willem e Elmina lodano il sole : Poco a poco, tra gli strati di nuvole si allargarono spiazzi celestini e infine il sole vinse ed emerse irraggiando : grande, benefico e bello. Il dio Sole ! «Avevano ragione gli antichi» disse Willem. «Facevano bene ad adorarlo.» (PS, p. 195). 2.4.2. Cambiamento dei colori In Se questo è un uomo, Levi metteva in evidenza il grigiore del campo, il colore sporco del fango, il buio del paesaggio. Nei primi capitoli de La Tregua, questa atmosfera continua : «A noi [i soldati russi] parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo» (LT, p. 10). Poco a poco rientrano i colori più positivi, prima «una penombra verde-nera» (LT, p. 132), poi i colori freschi della primavera che sta per arrivare nelle «colline verdeggianti della Moldavia» (LT, p. 228). Un passo chiave a questo proposito è il seguente, già citato nel contesto del cambiamento del tempo (punto 2.4.1), che rappresenta tutta l‟evoluzione verso un mondo più colorato, quindi più positivo : «nel cielo di Auschwitz Noah vedeva splendere l‟arcobaleno, e il mondo era suo» (LT, p. 31). Paragonando l‟universo leviano e quello descritto dalla Millu, il secondo risulta più colorato del primo, probabilmente perché la descrizione di Liana Millu è più imperniata sui sensi. Presso Millu, la percezione dei colori si rivela importantissima sin dall‟inizio del romanzo. Nel momento in cui Elmina e Jeannette escono dall‟oscurità della cantina, sono immerse in un mondo primaverile multicolore : ammirano la bianchezza dei fiori del ciliegio (PS, p. 30) e delle «nuvole gonfie» (PS, p. 30). Così come in Levi, i paesaggi sono colorati di un verde fresco : «Era bello camminare senza fretta su quella terra di primavera (...) rivestita di verde» (PS, p. 48). Nella descrizione dell‟incontro tra Elmina e Willem, il cielo riceve i colori positivi «di rosso e di rosa» (PS, p. 153). 2.4.3. Presenze animalesche Nelle testimonianze sull‟Olocausto colpisce la ricorrenza di metafore tratte dall‟ambito del mondo animalesco. Generalmente, i reduci descrivono se stessi e i loro compagni nel campo come delle presenze bestiali, cioè delle creature senza ragione e coscienza, prive di qualsiasi 51 caratteristica umana104. Nei due libri presi in considerazione, le metafore cambiano, nel senso che alle „bestie‟ vengono attribuite progressivamente dei tratti umani. Nei primi capitoli de I Ponti di Schwerin, Liana Millu parla ancora di «bestiole soddisfatte» (PS, p. 30). Però dopo un certo tempo riesce a considerare se stessa e il suo prossimo in modo più positivo e definito. Dopo la partenza dal campo di Malchow, la contentezza provocata dalla sensazione di libertà spinge Elmina a sdraiarsi «sull‟erba della riva, socchiudendo gli occhi come fanno i gatti contenti» (PS, p. 51). Durante il suo itinerari, si descrive come un «uccello notturno» (PS, p. 139). E ritornata a casa, la protagonista, ammirando la sua amica Benny, nota che «ogni suo gesto ricordava i movimenti leggeri di un uccello, il suo aspetto faceva pensare vagamente a un passerotto biondo.» (PS, p. 305). Inoltre, Marta Baiardi105 nota come nel Tagebuch Liana Millu utilizza inversamente le parole „bestiali‟ per denominare i Tedeschi : descrive lo sguardo di un soldato tedesco come quello «di una bestia catturata e impaurita, lo sguardo del cane che aspetta il colpo.» (TB, p. 67). Anche presso Levi, la bestialità del campo continua ad emergere, ad esempio sotto forma di una «voracità animalesca» (LT, p. 79). Certi personaggi non riescono neanche a disfarsi del loro aspetto di «animali umiliati e domati» (LT, p. 144). Comunque le „bestie‟ del campo che quasi non ricordavano più gli uomini che erano stati una volta, diventano ne La Tregua di nuovo uomini veri e propri, le cui caratteristiche sia positive sia negative fanno pensare ogni tanto a quelle di certi animali. Non si tratta più di bestie indefinite e senza valore, ma di animali concreti che hanno i loro movimenti specifici, e nei quali viene persino sospettata la presenza di un carattere, cioè di un‟anima. Il ventaglio di animali menzionati da Levi è molto più ampio. Al cavallo106, l‟autore lega soprattutto il valore della forza e della virilità. Così Noah, personaggio di un vigore vitale eccezionale che Levi incontra all‟inizio del suo itinerario, viene descritto come un uomo «forte come un cavallo, vorace e salace» (LT, p. 30). Lo stesso vale per il Moro di Verona, un «gran vecchio scabro dall‟ossatura da dinosauro, alto e ben dritto sulle reni, forte ancora come un cavallo» (LT, p. 114). Gli uccelli, che appaiono anche spesso – come abbiamo dimostrato – nel libro della Millu, vengono caratterizzati dalla 104 Per quel che concerne il vocabolario bestiale in Se questo è un uomo di Primo Levi, vorremmo fare riferimento alla tesina che abbiamo scritta nel 2007, nella quale facciamo un piccolo elenco delle parole che Levi utilizza per denominare la condizione bestiale degli Häftlinge. Si tratta tra l‟altro di bestialità (e le parole derivate), animali e animale-uomo. 105 BAIARDI M., art. cit., p. 311. 106 Cfr. BELPOLITI M., Primo Levi, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998, p. 31 : «L‟animale più citato è il cavallo, la cui carne diventa la salvezza per il narratore denutrito». 52 loro condizione permanente di libertà, legata all‟idea del volo (cfr. «libero come un uccello», LT p. 79, e «uccello d‟alto volo», LT p. 30). In questo senso, gli uccelli si collegano all‟atmosfera primaverile : rappresentano la positività apportata dalla nuova stagione. Tuttavia, Levi mette anche in evidenza le reazioni impaurite degli uccelli («davanti al male fuggiva, come gli uccelli davanti alla tempesta», LT p. 243). I movimenti agili e veloci di certi personaggi vengono resi attraverso il paragone con una scimmia («agili movenze scimmiesche», LT p. 208) o un‟anguilla («sgusciando come un‟anguilla attraverso innumerevoli posti di blocco», LT p. 119). Per descrivere l‟aspetto di una donna, l‟infermiera militare Marja, Levi ricorre ad un paragone con un gatto : «Marja era (...) simile a un gatto di bosco per gli occhi obliqui e selvatici, il naso breve dalle narici frontali, e le movenze agili e silenziose.» (LT, p. 70). Un‟altra immagine del gatto ci è offerta nella metafora di Cesare, che «tornò all‟alba del quarto giorno, malconcio e ispido come un gatto reduce da una tregenda sui tetti» (LT, p. 99). L‟elenco si conclude con i riferimenti al giovane Pista, che vagabonda per le stazioni «come un cane randagio» (LT, p. 245), e allo «sguardo di falco» (LT, p. 252) di un reduce, simbolo del sentimento di libertà, di forza e di sicurezza. 2.4.4. Ritorno dell’altro sesso e dei bambini a) Uomini & donne All‟arrivo nel campo di concentramento, uno dei primi procedimenti organizzati dai Tedeschi era la separazione di uomini, donne e bambini. Nei campi, il contatto con persone dell‟altro sesso era severamente vietato107. Va dunque da sé che la riapparizione dell‟altro sesso nell‟universo dei liberati provoca, se non uno shock, almeno una sensazione di novità. Abituato ad un universo strettamente maschile, Primo Levi descrive le prime figure femminili che entrano nel campo dopo la liberazione come delle presenze ambigue : Vedemmo aggirarsi per il campo altre ragazze polacche, pallide di pietà e di ribrezzo : ripulivano i malati e ne curavano alla meglio le piaghe. Accesero anche in mezzo al campo un enorme fuoco, che alimentavano con i rottami delle baracche sfondate, e sul quale cucinavano la zuppa in recipienti di fortuna. (LT, p. 15). Da una parte, le ragazze sono curanti e premurose, apportano un nuovo calore, rappresentano in qualche modo un‟atmosfera domestica e familiare. Dall‟altra, rimangono comunque degli 107 In un flashback, Levi parla di Flora, una donna che era stata messa a spazzare i pavimenti della fabbrica di Buna : « Era la sola donna che vedessimo da mesi, e parlava la nostra lingua, ma a noi Häftlinge era proibito rivolgerle la parola. » (LT, p. 196). 53 esseri di un altro mondo : la distanza rispetto agli abitanti del campo si mostra nel loro atteggiamento di ribrezzo e di ripulsione. Più avanti ne La Tregua, Levi incontra una donna incinta nell‟infermeria del campo di sosta di Staryje Doroghi. Ora sono i suoi propri sentimenti in confronto a questa donna a risultare totalmente ambigui : In modo vago eppure insistente, a quella immagine femminile ricollegavo un nodo di sentimenti intensi : di ammirazione umile e lontana, di riconoscenza, di frustrazione, di paura, perfino di astratto desiderio, ma principalmente di angoscia profonda e indeterminata. (LT, p. 195). Una stessa ambiguità si ritrova ne I Ponti di Schwerin. Dopo l‟esperienza del Lager, uno dei primi contatti della protagonista Elmina con un uomo avviene in una notte oscura : un soldato russo viene a trovarla e la violenta. Questo atto aggressivo e denigratore provoca ovviamente un‟ansia terribile, però allo stesso tempo significa anche un nuovo inizio. Risa Sodi108 nota a questo proposito : «Oddly enough, beginning with this forced sexual encounter, her inner emotional core begins to thaw.» Lo stupro causa in Elmina la liberazione del suo corpo e della sua mente e la inizia di nuovo al mondo. Per quanto riguarda i personaggi femminili, colpisce la presenza delle tre rappresentanti stereotipate della femminilità, cioè la madre, la moglie (o l‟amante) e la prostituta. Presso Levi, la figura della madre è incarnata da Frau Vita. Giovane vedova con un «dolce viso chiaro» (LT, p. 31), Frau Vita si caratterizza per un amore incondizionato per il suo prossimo. In un tentativo frenetico di liberarsi dal proprio trauma, è sempre «in cerca di pene da allevare» (LT, p. 33) : si occupa dei bambini e dei malati. In Frau Vita, Levi riconosce «il calore umano» (LT, p. 31) tipico di una madre. Non per niente, la donna riceve un nome che si riferisce alla creazione di una nuova vita, alla (ri)nascita. Ne I Ponti di Schwerin, la figura materna è totalmente assente, anche nei frammenti in cui Elmina si ricorda della sua giovinezza. La ragione sta nella morte precoce della madre di Liana Millu. Delle tre figure femminili, la moglie è quella meno presente. Ne La Tregua, questa assenza relativa è dovuta in primo luogo al fatto che non viene esplicitato frequentemente l‟ambiente familiare dei compagni di Levi. Sia Millu sia Levi accennano però alla tragedia della moglie defunta. Levi lo fa in modo molto disadorno, senza descrivere troppi dettagli : «Daniele, a cui 108 SODI R., art. cit., p. 173. 54 i tedeschi avevano spento la moglie forte» (LT, p. 142). Il fatto parla da sé. Liana Millu ha preferito una descrizione più romanzesca nella scena d‟incontro tra Elmina e Willem : La moglie? La moglie... Abbassò la testa e parve che rispondere gli comportasse la fatica di smuovere un gran peso di dolore. La moglie era morta in un bombardamento, insieme al cagnetto Tim. (PS, p. 153). Un‟altra ragione dell‟assenza della moglie si trova nella distanza enorme che separa il reduce dalla casa. Per vari reduci, la moglie non appartiene più alla nuova vita che hanno cominciato, lontano dalla patria : gli uomini erano scarsi in Polonia, e molti erano gli italiani che si erano «sistemati», spinti non solo dal mito amatorio nazionale, ma anche da un più profondo e serio bisogno, dalla nostalgia di una casa e di un affetto. Come conseguenza, in alcuni casi il coniuge defunto o lontano era stato sostituito non solo nel cuore e nel letto della donna, ma in tutte le sue mansioni, e si vedevano italiani scendere coi polacchi nei pozzi di carbone per portare «a casa» la busta paga, servire al banco in bottega, e strane famiglie alla domenica, decorosamente a spasso per i bastioni, l‟italiano con la polacca a braccetto, e un bambino troppo biondo per mano. (LT, p. 99). Tuttavia, se la moglie è presente, lei incarna il concetto della casa, della famiglia, della sicurezza e del termine da raggiungere : tolsero dai portafogli le fotografie delle famiglie ; me le mostrarono con orgoglio. «Je t‟attends» aveva scritto una giovane moglie sulla fotografia che la ritraeva seduta, modestamente atteggiata e modestamente vestita, a lato di un letto matrimoniale accuratamente rifatto. (PS, pp. 203-204) Un‟ultima figura femminile è la prostituta. La storia guerresca è inimmaginabile senza la sua presenza ed è dunque a ragione che Levi e Millu l‟hanno inserita nei loro libri. Levi parla discretamente delle «ragazze del bosco» (LT, p. 178), ma introduce ne La Tregua anche una scena meno discreta. Quando nel campo di Sluzk incontra di nuovo il Greco Mordo Nahum, quello gli chiede francamente : «Hai bisogno di una donna ?» (LT, p. 148) e sembra perfino aver organizzato una piccola attività commerciale con una ventina di fanciulle «bionde e rosee» (LT, p. 148). Presso Millu, la prostituta diventa un personaggio concreto : Genovefa. Anche se lei tende a chiamare il suo compagno di letto Vito «marito», il giudizio degli altri compagni è chiaro : «Genovefa era una gran puttana.» (PS, p. 65). La ragazza polacca simboleggia la figura femminile che si annienta completamente per mettersi a servizio di un uomo. Perciò Elmina prova pietà : Quella povera Genovefa che al confine doveva essere lasciata perdere, buttata via come una valigia che non serve più, mi fece compassione. Rispondeva al desiderio del suo uomo con un desiderio uguale e perciò la chiamavano troia e puttana, invece di lodarla. Questo non succedeva soltanto verso il ponte di Schwerin ed era molto ingiusto. (PS, p. 66). 55 b) Bambini Soprattutto nel libro di Primo Levi, il rientro dei bambini109 è molto notevole. La prima storia che colpisce – e che probabilmente è la più commovente e toccante dell‟intera opera – è quella di Hurbinek, «un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz» (LT, p. 22). Hurbinek, nato nel Lager, è il simbolo dell‟innocenza in mezzo alle crudeltà della guerra. È il simbolo anche dell‟innocente che è muto, e che per conseguenza non può essere ascoltato e compreso da nessuno : «La parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva» (LT, p. 22). È il simbolo infine dell‟innocenza morta, quell‟innocenza diventata impossibile dopo l‟orrore di Auschwitz : «Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui : egli testimonia attraverso queste mie parole.» (LT, p. 24). Quindi, ritorno di figure infantili. Però si tratta veramente di bambini ? A proposito di Hurbinek, Levi menziona lo sguardo particolarmente «maturo e giudice», innaturale per un bambino di solo tre anni. Il personaggio di Hurbinek fa pensare al motivo sia letterario che pitturale del puer senex110 : il bambino Hurbinek è già maturo in quanto porta con sé un‟esperienza crudele che equivale alla sua intera esistenza e che gli ha sempre impedito di essere veramente un bambino. Questo tipo di bambino adulto quale si manifesta nel personaggio del Kleine Kiepura, figura sia tragica che enigmatica. Appena dodicenne, il Kleine Kiepura – con la sua presenza irregolare nel Lager, dove normalmente non entravano i bambini – era diventato la mascotte del campo. Protetto dal Lager-Kapo, si considerava una persona stimata e allo stesso tempo un uomo adulto. Levi rivede il ragazzo dopo la liberazione, osserva la sua «sagoma patetica e sgradevole» (LT, p. 27), lo sente persino balbettare nel suo sogno aggressivo di adulto («Di nuovo sporco, tu, sacco di m... fai attenzione, io non scherzo. Ancora una volta che ti pesco, e te ne vai in crematorio», LT, p. 28). Grazie alla descrizione travolgente di Levi, il lettore intuisce l‟aspetto quasi lugubre di questo personaggio paradossale : 109 Questo tema viene anche menzionato da Giovanna ZACCARO, art. cit., p. 343. Zaccaro aggiunge all‟elenco ancora i personaggi di Henek, Hanka e Jadzia. 110 Per una definizione del concetto di „puer senex‟, ci riferiamo a Sabine VERHULST, La “stanca fantasia”. Studi leopardiani, Milano, FrancoAngeli, 2005, p. 30 : « Idealmente dunque il topos si riferiva all‟unione della forza fisica giovanile e della maturità del giudizio caratteristica dell‟uomo attempato. Il puer senex insomma è il giovane che ha raggiunto la maturità dell‟uomo anziano risparmiando il tempo dell‟esperienza. » 56 la sua presenza offendeva come quella di un cadavere, e la compassione che egli suscitava in noi era commista ad orrore. Tentammo invano di strapparlo al suo delirio : l‟infezione del Lager aveva fatto in lui troppa strada. (LT, p. 29). Ne I Ponti di Schwerin, le apparenze di personaggi infantili sono più rare. Comunque, scegliendo la strada della libertà, una delle prime cose che riscopre Elmina, sono i bambini : «Vi trovavo cose che avevo dimenticato e riscoprivo con meraviglia : (...) davanti ad una porta, seduti sullo scalino, due bambini piccoli, biondi, giocavano seri, in silenzio.» (PS, p. 52). Laddove presso Levi, i bambini sono veramente inquinati dalla guerra, in Millu rappresentano una nuova speranza, un‟innocenza che la protagonista stessa ha perduto. Questo vale anche per Benito, un «ragazzo simpatico» (PS, p. 64) che fa parte di un gruppo di reduci con cui si unisce Elmina. Non è più un bambino, ma in ogni modo nell‟intero libro di Liana Millu questo personaggio è il più giovane e il più innocente di tutti. «In lui,» constata Elmina, «non ribolliva il rancore furibondo degli altri.» (PS, p. 65) : nonostante il suo nome, la guerra non ha fatto strada in lui. Benito è fortemente legato all‟idea della famiglia, il che è dimostrato per mezzo del motivo della fotografia : «Era di famiglia veneta. (...) Tra fratelli e sorelle erano in dieci (...) Aprì il portafoglio e mi mostrò il ritaglio. C‟era anche lui, neonato, col camicino nero e le bretelle di Figlio della Lupa.» (PS, p. 64-65). Nel contatto con Elmina, si mostra assai bisognoso di affetto e di colloquio, ed a questo proposito si distingue fortemente dai veri uomini del gruppo : «Aveva bisogno di colloquio e non di sesso.» (PS, p. 83). 2.4.5. Ritorno della cultura Anche se i Tedeschi non sono mai riusciti a spegnere totalmente ogni segno di cultura tramite gli Häftlinge111, per i reduci il reinserimento nella vita normale è ugualmente una riscoperta della cultura : riappaiono il gioco, lo sport112, il teatro, la letteratura113, la poesia e il canto114. 111 Ci riferiamo tra l‟altro all‟undicesimo capitolo di Se questo è un uomo, intitolato Il Canto di Ulisse, nel quale Levi racconta come cita al compagno Pikolo una parte della Commedia di Dante. 112 «A metà maggio ebbe luogo un incontro di calcio fra la squadra di Katowice ed una rappresentativa di noi italiani.» (LT, p. 108). 113 «Passavo le interminabili giornate coricato, leggendo avidamente i pochi libri scompagnati che riuscivo a catturare : una grammatica inglese in polacco, Marie Walewska, le tendre amour de Napoléon, un manuale di trigonometria elementare, Rouletabille alla riscossa, I forzati della Cajenna, e un curioso romanzo di propaganda nazista, Die Grosse Heimkehr («Il Grande Rimpatrio»), che rappresentava il tragico destino di un villaggio galiziano di pura razza tedesca, angariato, saccheggiato, e infine distrutto, dalla feroce Polonia del maresciallo Beck.» (LT, p. 113). 114 «Improvvisamente, una bella voce d‟uomo cantò, sempre più alta e sonora e molte altre le fecero coro. Elmina tese l‟orecchio. Avrebbe desiderato che continuassero.» (PS, p. 72). 57 Ne La Tregua, la prima grande riapparizione della cultura avviene quando nel campo di Bogucice viene organizzata dai reduci una rappresentazione teatrale. Levi descrive l‟effetto di catarsi che si produce sul pubblico : Uscimmo dal teatro leggermente intronati, ma quasi commossi. Lo spettacolo ci aveva soddisfatti nell‟intimo : era stato improvvisato in pochi giorni, e si vedeva ; era stato uno spettacolo casalingo, senza pretese, puritano, spesso puerile. Ma presupponeva qualcosa di non improvvisato, anzi antico e robusto: una giovanile, nativa, intensa capacità di gioia e di espressione, una amorevole ed amichevole famigliarità con la scena e col pubblico, lontana dalla esibizione vuota e dalla astrazione cerebrale, dalla convenzione e dalla pigra ripetizione di modelli. Perciò era stato, nei suoi limiti, uno spettacolo caldo, vivo, non volgare, non qualunque, ricco di libertà e di asserzione. (LT, p. 106). Mette in evidenza la vitalità che apporta il teatro, e la sua forza comica. Più avanti nel libro, Levi dedica un intero capitolo allo spettacolo organizzato nel campo di sosta di Staryje Doroghi. Si tratta di una specie di rivista, durante la quale vari abitanti del campo utilizzano tutti i loro talenti per divertire il pubblico. Colpisce soprattutto il modo in cui i pezzi – comici, parodistici o seri – alludono alla vita nel campo e alla situazione dei reduci. Un numero semplice come la canzone infantile del «Cappello a tre punte» ad esempio, produce un‟impressione profonda sul pubblico, perché «vi si ravvisava l‟impotenza e la nullità della nostra vita e della vita» (LT, p. 211). Sarà anche «in teatro e attraverso il teatro» (LT, p. 214) che avverrà l‟annuncio della partenza verso la patria. Teatro e realtà si mescolano completamente, il lieto fine della rappresentazione diventa il lieto fine dell‟esilio dei reduci : Tendeva il dito verso il mare e gridava : – Una nave ! – e mentre tutti noi, con un nodo alla gola, ci preparavamo al lieto fine di maniera dell‟ultima scena, e a ritirarci ancora una volta nei nostri covili, si sentì uno schianto subitaneo, e si vide il capocannibale, vero Deus ex macchina, piombare verticalmente sul palcoscenico, come se cadesse dal cielo. (...) Gridò con voce di tuono : – Domani si parte ! (LT, p. 215). Ne I Ponti di Schwerin, l‟espressione culturale prevalente è la poesia. Un poema del poeta cinese T‟Ao accompagna Elmina durante il suo itinerario : Finalmente diretto a casa! Avanti indirizza il cammino che passa tra verdi prati in un luminoso mattino. Quello che è stato è stato... All‟opposto dell‟opinione della vecchia zia Nella («Aria fritta, roba fatta di vento !», PS, p. 50), la poesia serve a qualcosa. È per Elmina una presenza consolatrice dopo l‟esperienza di Birkenau, un luogo puro dove «la mente trova asilo fuggendo dal mondo terribile.» (PS, p. 50). E anche qui – come nel teatro di Levi – l‟arte e la vita si incontrano e si intrecciano : «Era 58 già poetico e dolce sentirsi vivi in quella pace e aprire ogni tanto gli occhi per guardare l‟acqua limpida» (PS, p. 51). 59 Capitolo 3 DOPO IL RITORNO, VITA NUOVA O VITA TRAUMATIZZATA ? «Finalmente !» La parola frequentemente ripetuta nell‟opera della Millu esprime la gioia del ritorno e marca la fine del viaggio e la ripresa della vita prebellica (la fase A‟ per Primo Levi e la fase B‟ per Liana Millu115). Però per molti reduci, la felicità totale non può più essere raggiunta. Scrive la Millu : «La terra ritrova presto la sua pace ; noi, invece, dobbiamo faticarcela. Dentro di noi, l‟erba non ricresce spontanea. E non può darsi che in qualche cuore calcinato non rispunti più ?» (PS, p. 176). 3.1. Il trauma ne La Tregua e ne I Ponti di Schwerin ______ Sia La Tregua sia I Ponti di Schwerin alludono alla vita dopo il ritorno. Presso Primo Levi, questa descrizione si limita ad un solo capitolo, dal quale il ritorno a casa occupa soltanto una pagina. La Millu dedica l‟intera seconda parte del libro al periodo dopo il ritorno, intitolato Il secondo ponte, il che le dà la possibilità di descrivere profondamente tutti gli aspetti della vita postbellica della protagonista Elmina. Vari elementi nei testi stessi indicano che la lotta dei reduci non è finita : devono combattere contro il trauma che li opprime. Levi descrive la sua vita A‟ in modo breve ma molto simbolico. All‟ultima pagina de La Tregua testimonia di aver ritrovato «il calore della mensa sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare» (LT, p. 254). Questi tre aspetti formano l‟essenza della sua vita postbellica. Al suo ritorno, Levi ritrova la madre, la sorella, gli amici in buona salute, persino «pieni di vita» (LT, p. 254). Il lavoro diventerà per lui, ancora più di prima, una passione e un rifugio. E ancora più del lavoro, la scrittura lo aiuterà a maneggiare – nella misura del possibile – il ricordo orribile dell‟esperienza fatta. Tutto sembra dunque diventare come prima : il reduce ha ritrovato una certa stabilità. Però Levi spezza questa 115 Cfr. il punto 2.2. : il cammino della vita. 60 illusione, raccontando un «sogno pieno di spavento» (LT, p. 254) che non smette di perseguitarlo : È un sogno entro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde : in un ambiente insomma placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena ; eppure provo un‟angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti, al procedere del sogno, a poco a poco o brutalmente, ogni volta in modo diverso, tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e l‟angoscia si fa più intensa e più precisa. Tutto è ora volto in caos : sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo : sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all‟infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno : la famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota ; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell‟alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa : alzarsi, «Wstawać». Laddove nell‟intero libro, Levi ha tentato di mantenere una certa oggettività nella descrizione, in questa scena finale lascia guardare il lettore nella sua anima : il sogno è uno specchio della sua angoscia personale. L‟autore abbandona il „noi‟ collettivo per concludere l‟opera con un „io‟ tormentato che rimane tutto solo. D‟altronde, l‟ultima parola del libro sta in relazione stretta con il titolo116. Levi considera il viaggio di ritorno come una tregua, cioè come un intermezzo relativamente felice tra due periodi di conflitto. È un breve sogno di pace e di riposo. Però dopo il risveglio ritornano i ricordi e vengono altre tragedie, perché «guerra è sempre» (LT, p. 57). In Millu, il ritorno è concepito diversamente. L‟itinerario è molto più penoso (con tra l‟altro l‟evento tragico della morte di Willem). Non è una tregua, ma piuttosto un calvario necessario per poter raggiungere un futuro migliore. Infatti, gli incubi fanno parte del trauma dei reduci. Nel sesto capitolo de La Tregua, appropriatamente intitolato I sognatori, Levi racconta i tormenti di D‟Agata, un suo compagno al campo di sosta : «Era ossessionato dal terrore delle cimici. Queste incomode compagne non piacevano a nessuno, naturalmente ; ma tutti avevamo finito col farci l‟abitudine. (...) D‟Agata si era ridotto a dormire di giorno, e passava le notti appollaiato sul letto, guardandosi intorno con occhi dilatati dall‟orrore.» (LT, p. 122-123). E ironicamente Levi aggiunge che tutti lo invidiavano persino, perché era l‟unico ad avere un nemico concreto, presente, suscettibile di essere combattuto. 116 Cfr. FERRERO E., Primo Levi. La vita, le opere., Torino, Einaudi, 2007, pp. 43-44. 61 L‟incubo che però prevale nelle opere di Levi è quello di non essere ascoltato 117. L‟autore lo descrive già in Se questo è un uomo : «Qui c‟è mia sorella, e qualche mio amico non precisato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando, e io sto raccontando (...). Ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. Anzi, essi sono del tutto indifferenti : parlano confusamente d‟altro fra di loro, come se io non ci fossi.» (SQU, p. 74). Ne La Tregua, questa situazione avviene realmente : mentre sta parlando ad un gruppo di Polacchi curiosi, Levi nota che l‟avvocato-traduttore adatta certe sue parole (anche se per proteggerlo). «Qualcosa del genere avevo sognato, tutti avevamo sognato, nelle notti di Auschwitz : di parlare e di non essere ascoltati, di ritrovare la libertà e di restare soli.» (LT, p. 61). Nel romanzo di Liana Millu, i sogni emergono continuamente nella mente dei reduci. Quando Elmina passa la notte in terra accanto al suo compagno di viaggio Willem, né lei stessa né l‟Olandese non riescono a dormire quietamente : Sprofondai nel pozzo di un sonno nerissimo dal quale mi trasse un grido affannoso dell‟olandese. «Cosa c‟è ? Vi sentite male ?» cominciai a scuoterlo e si svegliò anche lui, con un braccio alzato a proteggere il viso da qualcosa che si poteva immaginare terribile. «Sempre quell‟incubo !» disse calmandosi poco a poco. «Sempre quell‟incubo !» (PS, p. 173). Da Elmina, l‟incubo si concretizza nella presenza continua immaginata del piccolo Marcolino, che ha visto esser lacerato nel campo : «Si sentiva Marcolino accanto. Così vicino che, oltre che udirlo, le sembrava perfino di toccarlo.» (PS, p. 268). Inoltre, anche Elmina viene confrontata con la realizzazione dell‟incubo di essere ignorata : Inoltrandomi, vidi qualche donna, qualche vecchio e tutti, passandomi vicino, chinavano la testa o guardavano fisso davanti a sé, con uno sguardo vuoto che rifiutava di vedermi. (PS, p. 52) «Sei sposata ?» chiese infine la donna. «Hai figli ?» Un‟altra chiese da quale lager venivo. Parlavamo nel nostro tedesco faticoso quando entrò un soldato. Prese una sedia e senza dar segno di avere notato la mia presenza cominciò a raccontare qualcosa e le donne non si occuparono più di me. Mi sentivo tagliata fuori e desideravo tornare nel granaio. (PS, p. 132). Ne I Ponti di Schwerin colpiscono le diverse reazioni della gente al ritorno di Elmina, un aspetto che Levi tocca anche, ma meno concretamente. Certi non esitano a mostrare il loro ribrezzo nei confronti della ragazza magra e sporca che gli viene davanti : «Avevo la 117 Ci fa riferimento tra l‟altro JoAnn CANNON, Storytelling and the Picaresque in Levi‟s “La tregua”, «Modern Language Studies», 2001, vol. 31, n° 2, p. 9. 62 camicetta fatta con i tovaglioli ed era spiegazzata e sporca. Lui la guardava schifato. “Vada e si metta in ordine” non staccava gli occhi dalla camicetta. “Insomma, una donna...”.» (PS, p. 241). La società inesorabile non permette ad Elmina nessun attimo di tregua. Altri accolgono Elmina cordialmente, e vogliono sapere tutto delle sue esperienze, senza tenere conto di quello che vuole Elmina stessa. Di conseguenza, si sente disgraziatamente «l‟attrazione della giornata» (PS, p. 240). La protagonista de I Ponti di Schwerin incontra una reazione più amara quando rivede al suo ritorno il padre di Marcolino, morto nel campo. Nelle sue parole, Elmina scorge il rancore, l‟invidia, persino un‟accusa concreta : «Secondo te, era meglio essere eliminati subito, non entrarci nemmeno. Ma, per te, è stato diverso ! Ci entrasti, ne sei venuta fuori mica male ! Ora te ne vai a spasso col tuo numero sul braccio e, se vuoi, puoi anche fartelo levare. Hai tutta la vita, davanti ! Sei tornata tu che non hai una famiglia, non hai una casa... hai sempre fatto quello che ti pare. Lui, invece, non è tornato. Era un ragazzo d‟oro : dovevi averla tu, la fortuna ! Pensare quante madre di famiglia, quante povere famiglie che si volevano bene... Non è giusto! (PS, p. 275). Queste reazioni rimproveratrici rafforzano il sentimento di vergogna che i sopravvissuti portano già dentro di sé e che Levi ha analizzato fino in fondo118 : è «la vergogna (...) che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.» (LT, p. 10-11). Invece l‟esperienza più traumatica, Elmina la subisce al momento in cui si realizza che il mondo non ha smesso di tornare durante la sua assenza. Mentre lei sopportava i tormenti del campo di concentramento, il suo grande amore Oal (soprannome di Alberico) si è sposato con la Rosetta, si è sistemato in casa dei suoceri, che gli hanno affidato anche il magazzino. Laddove prima Oal era il suo amante, il suo amico intimo e come lei attaccato alla propria libertà, rappresenta ora tutto che lei non è e non ha : la stabilità, la sicurezza, l‟equilibrio, la casa, la famiglia : Era preparata a visitare la sua tomba, non a vederlo trasformato in un Alberico. Perché non era morto ? Come lo avrebbe potuto amare ! Come lo avrebbe avuto vicino ! Il piccolo sorriso, il lampo di quella ironia allegra sarebbero rimasti fissati. Invece, era diventato il marito di Rosetta Terlin. Il marito della Rosetta ! (p. 227). Elmina si sente tradita : sembra che persino i suoi prossimi abbiano chiuso gli occhi per la tragedia che stava succedendo. Una sensazione simile è descritta da Levi. Percorrendo gli 118 Cfr. FERRERO E., op. cit., p. 114. 63 ultimi chilometri attraverso la Germania in direzione della patria, si chiede se i Tedeschi sapevano della strage ad Auschwitz : «Se sì, come potevano andare per via, tornare a casa e guardare i loro figli, varcare le soglie di una chiesa ?» (LT, pp. 250-251). Insomma, ambedue gli autori descrivono nella loro testimonianza un trauma stimolato sia dall‟interno sia dall‟esterno. Devono fare fronte da una parte ai ricordi e agli incubi, dall‟altro alle reazioni di incomprensione, di indifferenza o persino di imputazione. Levi riassume : «Nessuno ci guardava negli occhi (...) : erano sordi, ciechi e muti.» (LT, p. 251). 3.2. Il trauma di Liana Millu e di Primo Levi _______ 3.2.1. La strategia di Liana Millu In un contributo molto personale al libro di Milvia Spad su Primo Levi, Liana Millu si attarda alla condizione del reduce, in particolare delle donne. Infatti conferma tutte le reazioni e tutti gli aspetti descritti ne I Ponti di Schwerin (e ai quali abbiamo accennato nel punto 3.1) come verità : Quelle che sono tornate non hanno avuto una vita facile. (...) Più o meno tutte furono disconosciute o sospettate, anche dalle loro stesse famiglie. Si racconta per esempio di una donna, alla quale il marito rimproverava in un certo senso di «essersela cercata», di essersi messa in pericolo da sé. Altri che pensavano malignamente : ma come ? Era lì con i Tedeschi, come mai le altre sono morte e lei se l‟è cavata ? Si insinuava insomma un sospetto.119 E Millu non esita ad affidare al lettore la sua esperienza personale, non meno ardua : Anche io ero un reduce strano, diciamo una persona non-normale. E su questo punto credo che la gente non si sbagliasse, perché chi tornava dal Lager non era una persona normale ; però tutti dovevamo necessariamente tornare ad inserirci nella normalità. Questa era la cosa più dura, anzi, diciamo pure tragica.120 Malgrado questo trauma, Francesco De Nicola constata nella sua introduzione a I Ponti di Schwerin che Liana Millu presenta la sua protagonista Elmina come un «modello positivo, perché comunque e contro tutto, anche contro la storia più cieca e violenta che ha il suo apice nell‟indiscriminata persecuzione razziale, continua a lottare e fortificarsi fino alla pagina 119 MILLU L., Sulla normalità del reduce, in : SPAD M., Le parole di un uomo. Incontro con Primo Levi, Di Renzo Editore, Roma, 2003, p. 122. 120 MILLU L., art. cit., pp. 122-123. 64 finale.»121 Infatti, il lettore può notare nel libro della Millu un senso di positivismo che vince ogni abbattimento, senza però rimuovere il proprio trauma in modo forzato : «Io non ho voluto raccontare la morte, ma la vita, »122 ha testimoniato la Millu. Sembra che l‟attitudine della protagonista rifletta del tutto quella dell‟autrice, che ha dichiarato : «Io non amo la disperazione. Non sono capace di disperazione. Mi pare che la disperazione paralizzi.»123 Ovviamente non ci sono strategie di sopravvivenza infallibili : la distruzione dalla parte dei Tedeschi succedeva in base a criteri in gran parte arbitrari, e così avviene anche nella vita. Primo Levi ha scritto che nel Lager «sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili»124. Liana Millu invece testimonia di una tutt‟altra strategia di sopravvivenza, cioè il distacco. Nel campo, le donne prigioniere si distaccavano dall‟orrore aderendo alla normalità : prestavano ad esempio molta attenzione al loro aspetto, usavano una parte della razione settimanale di margarina come crema per proteggere il viso dalle rughe, scambiavano delle ricette125 ecc. Attaccandosi a certi aspetti della vita «normale», le donne tentavano di non perdere la speranza di ritornarci una volta. Dopo la liberazione, Liana Millu continua a distaccarsi in modo controllato dall‟esperienza del campo : «Distanziarsi dall‟accaduto, assumere la prospettiva dell‟osservatrice era frutto di un‟azione cosciente, era la sua strategia di sopravvivenza.»126 Se dopo la guerra si prende il compito di andare a testimoniare dappertutto in Italia e se si costringe così a ripetere innumerevoli volte la sua storia, non lo fa con un‟intenzione di (auto)analisi sempre approfondita127, procedimento che – come presso Levi – può essere molto doloroso. Tenta invece di «non lasciarsi allagare l‟animo dall‟immensità della tragedia»128, di difendere la propria dignità e di far prevalere un messaggio positivo. Nel Tagebuch, scritto durante il ritorno alla patria, scrive già : «Non rimprovero niente al destino. Quello che è stato è stato, a che pro rivangare il passato ? Domani sarà tutto giusto se ieri fu tutto sbagliato. Sì, Maestro Lin! Domani non sarà tutto giusto, magari, avrà però la ricchezza della vita passata.» (TB, p. 55). E conferma questo ottimismo stupefacente più tardi : 121 DE NICOLA F., Introduzione a I Ponti di Schwerin di Liana Millu, Genova, Le Mani, 1998, p. 20. MILLU L., art. cit., p. 121. 123 MILLU L., art. cit., p. 120. 124 Citazione di Primo Levi, citata da Ernesto FERRERO, op. cit., p. 114. 125 Cfr. JÄGER G., “Che bella camicia di sete che avevo!” – Un‟intervista-ritratto a Liana Millu, «Qualestoria», 2005, vol. 32, n° 2, p. 157. 126 JÄGER G., art. cit., p. 156. 127 La preoccupazione più importante di Liana Millu è invece di diffondere la storia dell‟Olocausto tramite le generazioni seguenti. 128 STEFANI P., Introduzione al Tagebuch di Liana Millu, Firenze, La Giuntina, 2006, p. 13. 122 65 In una scuola una volta un ragazzino mi chiese : «Se potesse tornare indietro, cosa farebbe pur di non tornare ad Auschwitz ?» Io gli risposi : «niente». (...) Ora che sono anziana posso dire che sono «contenta» di esserci stata. Contenta non è il termine giusto, ma voglio dire che non vorrei non aver fatto quell‟esperienza, perché, come dicevo, ho visto tantissime cose, ho visto gente di tutta l‟Europa in un‟unica mescolanza. Ho visto – e questa è la cosa più importante – il comportamento umano di fronte alla morte. È un‟esperienza così grande e così istruttiva, che vale la pena pensare di averla fatta. 129 3.2.2. Le opere come specchio del processo di rassegnazione Visto che la scrittura equivale sia per Levi, sia per la Millu allo «stendermi sul divano di Freud» (la citazione è di Levi130), le evoluzioni nelle opere possono essere uno specchio dell‟evoluzione psicologica degli autori. Presso la Millu, il processo di rassegnazione si realizza in modo lineare : l‟autrice ha percorso nella sua opera varie tappe che fanno parte di un‟evoluzione netta. Lei stessa ha confermato : «il mio racconto è diventato diverso.»131 La prima tappa è costituita dal Tagebuch (scritto nel 1945), una riproduzione diaristica fedele alla realtà autobiografica. Nel Fumo di Birkenau (1947), l‟autrice si distacca progressivamente dall‟esperienza del Lager : Marta Baiardi ne menziona la difformità rispetto ad altre testimonianze degli anni Quaranta, e più specificamente «la quasi assenza nel libro della Millu di una narrazione autobiografica della propria deportazione. Non troviamo, come di solito avviene, le vicende dell‟io narrantetestimone »132, bensì le storie di varie eroine, raccontate in terza persona. I Ponti di Schwerin (opera pubblicata nel 1978), si trova sullo stesso livello : il (ritorno dal) Lager non costituisce più l‟argomento principale ma è ridotto ad un punto di partenza per digressioni più ampie sul passato e sul presente fuori dal campo. Dieci anni più tardi, il distacco è – nei limiti del possibile – completo : ne La Camicia di Josepha, la Millu presenta una serie di piccole storie che confermano il ritorno alla vita. Lo notano anche Michelangelo Pesce e Giovanni Meriana133 : 129 MILLU L., art. cit., p. 128. CAMON F., Conversazione con Primo Levi, Parma, Ugo Guanda, 1997, p. 49-50. 131 MILLU L., art. cit., p. 124. 132 BAIARDI M., Liana Millu. Due libri postumi. Appunti bibliografici., «DEP (Deportati, esuli, profughe)», 2007, n° 7, p. 312. 133 PESCE M. & MERIANA G., La camicia di “Josepha” (Liana Millu), «Il Foglio», 1988, n° 3, http://www.tiglieto.it/foglio/198803.htm (consultato il 17 febbraio 2008). Cfr. anche Francesco DE NICOLA (art. cit., p. 16) : «E sempre più si allontanava dai temi suggeriti dalle vicende della guerra.» De Nicola cita poi Pier Antonio ZANNONI : «L‟autrice non è rimasta prigioniera del passato. Descrive il mondo della propria quotidianità, le sensazioni, gli stati d‟animo, i timori, le fantasie, le speranze attuali ; anche i ricordi, ma filtrati dall‟accumulo dell‟esperienza» (ZANNONI P.A., Introduzione a La Camicia di Josepha, Genova, Ecig, 1988). 130 66 Con La camicia di Josepha, il distacco di Liana Millu dalla narrativa ispirata all‟esperienza del lager è pressoché definitivo. In realtà ne I ponti di Schwerin l‟autrice aveva affrontato temi nuovi. (...) Ne La camicia di Josepha la scrittura è ancora più libera e, sorretta ora da una distaccata ironia, ora da sorridente malizia, ora da ombre e da sfondi inquietanti, si abbandona al gioco delle suggestioni fantastiche. Ovviamente il ricordo del Lager rimane, e non è negato, però anche nei pochi racconti che sfiorano l‟argomento dell‟Olocausto, «il filo conduttore è costituito dalla vita, anzi, dal piacere di vivere e di veder vivere gli altri»134. All‟evoluzione lineare percorsa dalla Millu si oppone il processo di rassegnazione molto più precario di Primo Levi. Nelle sue opere, non c‟è un‟evoluzione tematica netta : Levi riutilizza e rimugina sempre gli stessi temi. Tentare di accettare l‟esperienza fatta, presso Levi, equivale ad un eterno ritorno a questa esperienza : «Nel suo volo circolare Levi torna al Lager, o meglio, non l‟ha mai abbandonato,» scrive Ernesto Ferrero135. Ne testimonia il fatto che il suo ultimo libro, I sommersi e i salvati (1986), può essere considerato un «summing up» di cose descritte nelle sue opere precedenti, come osserva Maurice Wohlgelernter136. Tuttavia, dobbiamo ammettere che anche nella carriera letteraria di Levi è possibile distinguere un periodo137 nel quale l‟autore tenta di distaccarsi dall‟argomento del Lager con due raccolte di racconti, cioè due opere di pura invenzione : Storie naturali e Vizio di forma. Per quel che concerne la prima opera citata, è già significativo il ricorso di Levi allo pseudonimo di Damiano Malabaila : per Levi è un modo per diventare provvisoriamente una persona che lui non è e che non può essere138. Per di più, lo pseudonimo allude di nuovo all‟esperienza del reduce : Malabaila significa «cattiva balia» ; ora, mi pare che da molti dei miei racconti spiri un vago odore di latte girato a male, di nutrimento che non è più tale, insomma, di sofisticazione, di contaminazione e di malefizio. (...) Per tutti noi superstiti, il Lager, nel suo aspetto più offensivo e imprevisto, era apparso 134 PESCE M. & MERIANA G., art. cit. FERRERO E., op. cit., p. 112. 136 WOHLGELERNTER M., ”Down there” : or, Primo Levi‟s Ending : A Review Essay, «Modern Judaism», 1989, n° 1, p. 121. 137 In realtà, nel caso di Levi, la delimitazione di periodi nella sua carriera letteraria non è così semplice. Infatti la stesura delle Storie naturali copre il periodo tra il 1952 e il 1964. «Quindi soltanto alcuni [racconti] sono posteriori a La tregua (la cui stesura definitiva, come si ricorderà, risale agli anni 1961-1962), » constata FIORA VINCENTI, Invito alla lettura di Primo Levi, Milano, Mursia, 1976, p. 103. 138 Ferdinando CAMON suggerisce un‟ipotesi simile nella sua Conversazione con Primo Levi, ed. cit., p. 63 : «Può darsi che lo pseudonimo fosse suggerito da timore e pudore ; ma è probabile che, a livello profondo, sia suggerito dalla coscienza di non essere un autore ma due : di essere per così dire sdoppiato.» Ovviamente gioca anche il clima del «politicamente corretto» degli anni Sessanta, come segnala FERRERO, op. cit., p. 50 : «Come poteva il testimone di Auschwitz abbandonarsi a quei fantasiosi “divertimenti”, che avevano le apparenze di un‟involuzione gratuita, quasi di un abbandono di campo ?». 135 67 proprio questo, un mondo alla rovescia, dove (...) i professori lavorano di pala, gli assassini sono capisquadra, e nell‟ospedale si uccide.139 Però questo tentativo precoce di distacco (iniziato già nel 1952 colla stesura della prima Storia naturale) sembra piuttosto innaturale e forzato. Fiora Vincenti osserva a questo proposito che «nel risvolto di copertina [delle Storie naturali] lo stesso autore faceva riferimento ai suoi due libri sui campi di sterminio accennando ad “un vago senso di colpevolezza” nel dare alle stampe i quindici racconti contenuti nella raccolta e da lui definiti “racconti-scherzo”»140. Anche nella seconda opera soprammenzionata, Vizio di forma, Levi non può evitare il legame con l‟esperienza del campo : «Fra il Lager e queste invenzioni una continuità, un ponte esiste : il Lager, per me, è stato il più grosso dei “vizi”, degli stravolgimenti (...), il più minaccioso dei mostri generati dal sonno della ragione.»141 Quindi, attraverso i «sperimenti» con una scrittura di invenzione, Primo Levi si è reso conto della propria incapacità di distaccarsi completamente dall‟esperienza del campo : anche se Levi tende dunque ad affrontare nuovi tipi di scrittura, il Lager rimane sempre molto presente. Infatti, nel 1981 Levi pubblica Lilít, una raccolta di racconti scritti tra il 1975 e quell‟anno, di cui Ernesto Ferrero nota : «L‟elemento più evidente è il ritorno dei racconti sul Lager. Quella che lo scrittore chiamava “la memoria meccanica” produce nuovi affioramenti, episodi e personaggi che non avevano trovato posto nei libri precedenti. (...) Torna a farsi sentire l‟esigenza di una rimeditazione dell‟esperienza del Lager.»142 3.2.3. Il suicidio Considerando la questione del trauma degli autori, non possiamo ignorare la morte di Primo Levi. Levi fu trovato l‟11 aprile 1987 ai piedi della tromba delle scale della propria casa in Corso Re Umberto a Torino : l‟ipotesi del suicidio prevale. Ernesto Ferrero, autore del recente Primo Levi. La vita, le opere, non considera lecito esaminare fino a fondo le cause della morte dell‟autore, però riconosce tuttavia che le ultime poesie di Levi testimoniano di uno sconforto e un‟insoddisfazione totale che presagiscono la sua ultima scelta143. Anche in interviste, 139 Citazione di Primo Levi, citata da FERRERO E., op. cit., p. 51. VINCENTI F., op. cit., p. 101. 141 Citazione di Primo Levi, citata da FERRERO E., op. cit., p. 53. 142 FERRERO E., op. cit., pp. 58-59. 143 Ibid., p. 123. 140 68 Primo Levi ha indicato di aver pensato al suicidio a più riprese : «Io sono stato vicino al suicidio, all‟idea di suicidio, prima e dopo il Lager, mai dentro il Lager.»144 Laddove nelle opere testimoniali di Levi, il motivo del suicidio non viene quasi mai toccato in modo concreto145, la Millu l‟inserisce due volte ne I Ponti di Schwerin. Una volta riguarda la vita prebellica : Elmina, appena subito l‟aborto, considera togliersi la vita : Morire. L‟unica cosa dignitosa e saggia che potesse fare. (...) Si sporse verso il fiume guardando l‟acqua scura. Immaginò il tonfo sordo della caduta, i disperati istanti dell‟inevitabile annaspare prima di scendere a picco. Sentirsi trascinare dalla corrente, risucchiare dalla melma, voler risalire e non potere, dibattersi sul fondo mentre in superficie anche l‟ultimo cerchio si è dissolto. (PS, pp. 107-111). Anche nella seconda parte del libro ritorna l‟idea del suicidio. Il Natale del 1945 procura alla protagonista un profondo senso di malinconia. «Oal era a tavola con la famiglia. Benny e Bonny stavano per partire, la rossa Leontina dell‟infanzia non esisteva più.» (PS, p. 310). I quattro personaggi simboleggiano tutto quello che Elmina ha perduto : l‟amante e la famiglia, gli amici e l‟infanzia. Solo una via d‟uscita le sembra possibile : «Correvo sotto la pioggia fitta. Mentre stavo per attraversare la strada vidi le luci di un autobus e mi fermai, incerta. Era una soluzione. Così semplice e anche definitiva. Bastava avanzare di qualche passo, aspettare, buttarsi.» (PS, p. 310). La scena si riferisce alle esperienze personali dell‟autrice : «Io mi ricordo che negli anni tra il 1945 e il 1947 attendevo sempre il giorno giusto per uccidermi. Era un periodo molto amaro.146 Pensavo al suicidio perché non avevo né fiducia, né speranza.147» Comunque, sia il personaggio sia l‟autrice de I Ponti di Schwerin hanno finalmente scelto la vita. Primo Levi no. Allora che cosa ha spinto Levi alla morte ? Certi vedono l‟esplicazione del suo suicidio fuori dall‟esperienza del Lager, nel suo stato di salute psichica precario. In una conversazione con Ferdinando Camon nel 1986 – meno di un anno prima della sua morte – Levi ha dichiarato : «Ho avuto, dopo la prigionia, alcuni episodi di crisi depressive. Non sono sicuro che si ricolleghino a quell‟esperienza, perché hanno delle etichette diverse, di volta in volta.»148 Altri, come Ernesto Ferrero, riconoscono presso Levi verso la fine della sua vita una stanchezza filosofica : nella sua (auto)analisi eternamente approfondita, Levi non è 144 BELPOLITI M, Primo Levi, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998, p. 7. Solo ne I Sommersi e i salvati Levi inserisce un capitolo sul suicidio di Jean Améry, intitolato L‟intellettuale ad Auschwitz. 146 JÄGER G., art. cit., p. 162. 147 MILLU L., art. cit., p. 123. 148 CAMON F., op. cit. pp. 66-67. 145 69 arrivato a conclusioni per lui sufficienti. E le conclusioni che ha tuttavia potuto trarre non sono ottimistiche : «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo.»149 Anche a noi, questo continuo ritorno all‟esperienza traumatica, come l‟abbiamo descritto nel punto 3.2.2., sembra costituire la prima causa del suicidio di Primo Levi. Più di Liana Millu, Primo Levi era perseguitato dall‟incubo di Auschwitz e frustrato dall‟incapacità di distaccarsene. Infine in Levi è ritornata l‟agonia, come annuncia il poema150 di S.T. Coleridge all‟inizio de I Sommersi e i Salvati. È anche il titolo di quest‟ultima opera di Primo Levi che possiamo reinterpretare alla luce del nostro punto di vista sulla questione del trauma, considerando Primo Levi come sommerso e Liana Millu come salvata. 149 FERRERO E., op. cit., p. 116. Since then, at an uncertain hour, / That agony returns : / And till my ghastly tale is told / This heart whithin ne burns. (S.T. Coleridge, The Rime of Ancient Mariner, vv. 582-85). 150 70 Capitolo 4 REALTÀ E INVENZIONE – LA QUESTIONE DELL’AUTOBIOGRAFISMO In quest‟ultimo capitolo, intendiamo focalizzare una differenza fondamentale tra La Tregua e I Ponti di Schwerin, più specificamente quella che concerne il confine tra realtà e invenzione. Un confronto dell‟incipit delle due opere svela immediatamente l‟intenzione diversa degli autori. Ripetiamo il passo iniziale de La Tregua : Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell‟Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco o con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz agirono diversamente : ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di «recuperare», a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. Perciò tutti i prigionieri sani furono evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a loro stessi. (LT, p. 9). L‟incipit scritto da Liana Millu ne I Ponti di Schwerin sembra molto diverso, già nel lay-out : «In cantina» disse Jeannette. «Sono sicura che in cantina c‟è ancora qualcosa. Lo capisci, sì o no ? Bisogna che tu vada in cantina !» Lo ripeteva fissandomi con occhi spiritati e io scrutai quasi con odio il viso emaciato che emergeva dalla coperta tirata fino al mento. Bisogna, bisogna... e perché non ci andava lei, in cantina ? Jeannette intui il mio pensiero perché ebbe uno dei soliti scatti d‟impazienza. Gettò la coperta in terra e la voce si alzò in un tono stridulo. «Io non posso scendere. Non ce l‟ho mai fatta : se metto il piede su una scala a pioli mi vengono le vertigini. Ho la febbre ! Sì, ho la febbre, anche se a te fa comodo far finta di non crederci. Sto male !» «Perché io sto meglio ?» «Molto meglio di me.» (PS, p. 27). Ovviamente la differenza si trova nel fatto che Levi, sin dall‟inizio del suo libro offre al lettore una descrizione orientata verso la realtà, verso la storia, verso i fatti, mentre Liana Millu affronta lo stesso argomento in un modo più libero, che tende molto di più verso il romanzesco. 71 4.1. Invenzione _ _ 4.1.1. Elementi di finzione Enfatizzazione del discorso Paragonato ad un testo descrittivo con intenzioni storiografiche, il testo fittizio si caratterizza da una maggiore enfatizzazione del discorso. L‟autore tenta non di descrivere le scene in modo secco, ma di farle rivivere riproducendole totalmente o parzialmente nel loro dettaglio e cogliendole nella loro vivacità. Vari procedimenti linguistici aiutano ad enfatizzare il testo. Tramite il discorso diretto, l‟autore riproduce i dialoghi come sono formulati originariamente dai personaggi storici. Questo tipo di scrittura risulta molto più frequente ne I Ponti di Schwerin che ne La Tregua. Sono rari i passi descrittivi ininterrotti da dialoghi. Invece, nelle parti che considerano l‟infanzia e la giovinezza di Elmina, Liana Millu evita il discorso diretto, scegliendo una descrizione più distaccata. Nell‟opera leviana, il discorso diretto è quasi assente. Se Levi utilizza tuttavia le virgolette, lo fa nella struttura indiretta x diceva «che ...» («mi assicurò “che la faccenda del giuramento non era vera”», LT, p. 238), in frasi con connotazione ironica («Non tutte, ma in gran parte, avevano abbandonato “volontariamente” il loro paese», LT, p. 143) o per indicare una parola o un sintagma in un‟altra lingua o la traduzione di un tale sintagma («“Po malu, po malu!” (“adagio, adagio!”); furono le prime parole russe che udii.», LT, p. 19). Anche per mettere in evidenza una frase, Levi si serve ogni tanto delle virgolette. In opposizione a strutture tipicamente indirette («chiesi se...», «dichiarai che...»), la frase «Voi non parlate yiddisch; dunque non siete ebrei!» nel brano seguente è riformulata nella sua formulazione e lingua originarie perché contiene l‟idea chiave del paragrafo, il preconcetto delle due ragazze : Con audacia inconsueta, mi rivolsi alle ragazze, le salutai, e sforzandomi di imitarne la pronunzia chiesi loro in tedesco se erano ebree, e dichiarai che anche noi quattro lo eravamo. Le ragazze (avevano forse sedici o diciott‟anni) scoppiarono a ridere. – Ihr sprecht keyn Jiddisch: ihr seyd ja keyne Jiden! – : «Voi non parlate yiddisch : dunque non siete ebrei!» Nel loro linguaggio, la frase equivaleva ad un rigoroso ragionamento. Eppure eravamo proprio ebrei, spiegai. Ebrei italiani: gli ebrei, in Italia e in tutta l‟Europa occidentale, non parlano yiddisch. (LT, p. 133-134). In sé, l‟uso del discorso diretto non è un elemento di finzione : un dialogo può essere registrato o ricordato e poi essere trascritto in modo quasi perfetto. Però nel caso del libro 72 della Millu, il periodo trascorso tra la scena reale e la trascrizione di questa scena contiene circa trent‟anni. Perciò è improbabile che i dialoghi ne I Ponti di Schwerin riproducano la realtà del 1945. Nei dialoghi, Liana Millu fa parlare certi suoi personaggi una lingua tipicamente parlata. Così i dialoghi si disfanno di uno stile troppo letterario e diventano più „reali‟. Già nelle pagine iniziali de I Ponti di Schwerin, la Millu impiega una struttura con dislocazione a destra, tipica della lingua parlata : «Non c‟era nessun morto. C‟era soltanto un sacco chiaro rovesciato in un angolo : ne avevo, della fantasia!» (PS, p. 27). Un po‟ più in avanti, uno dei personaggi si fa sfuggire : «Chilometro più, chilometro meno, a noi che cazzo ce ne importa ? La strada ci va, diritta diritta, questo lo sappiamo. O sei come questa scema che vorrebbe chiederlo a ogni crucco che s‟incontra?» (PS, p. 62). La lingua parlata si caratterizza ugualmente da una grande frequenza di esclamazioni e di interiezioni. I passi seguenti dimostrano la vivacità della scrittura di Liana Millu ne I Ponti di Schwerin : Monsieur Gilbert aveva giurato di segnalare la nostra presenza al primo posto di soccorso ; dunque, la Croce Rossa poteva arrivare da un momento all‟altro. Un po‟ di pazienza ! Oh la la, un po‟ di pazienza : ne avevamo avuta tanta ! (PS, p. 31, la sottolineatura è nostra). Ma ragazze ! C‟era la linea di demarcazione. Russi da una parte, americani e inglesi dall‟altra. Zac, zac! Gli alleati si erano affettata la Germania. Oh, quanto alle fette si poteva giurare che non le avrebbero mollate più. Ben gli stava, a quei porci nazisti ! (PS, p. 32, la sottolineatura è nostra). In Levi, questi procedimenti di enfatizzazione sono relativamente assenti. Le interiezioni che utilizza appartengono più spesso ad un registro alto : «Spuntava appena il giorno quando il greco mi svegliò. Ahi disinganno ! dove era sparito il gioviale convitato della sera avanti ?» (LT, p. 50, la sottolineatura è nostra). Ogni tanto Levi rappresenta le tracce di una lingua parlata. Quando descrive ad esempio l‟attività commerciale di Cesare al mercato, non esita a riprodurre le parole del ciarlatano, pronunciate nel gergo del ghetto di Roma : – Vedi ? capisci ? non sei d‟accordo ? – Sto zlotych, – ripeté quello, testardo. – Questo è de Capurzio ! – mi disse Cesare. Poi, come colto da improvvisa stanchezza, e in un estremo tentativo di accordo, gli mise una mano sulla spalla e gli disse maternamente : – Senti. Senti, compare. Tu non mi hai capito bene. Facciamo così, mettiamoci d‟accordo. Te me dài tanto così – (e gli disegnò 150 col dito sul ventre), – te me dài Sto Pingisciu, e io te la mollo sulla groppa. Va bene ? Il panzone bofonchiava e faceva di no col capo, con gli occhi rivolti in giù ; ma l‟occhio clinico di Cesare aveva colto il segno della capitolazione : un movimento impercettibile della mano verso la tasca posteriore dei pantaloni. – E dài ! Caccia „ste pignonze! – incalzò Cesare, battendo il ferro finché era caldo. 73 (...) Cesare mi strappò energicamente alla mia ammirazione estatica. – A compà: famo resciutte, sennò questi svagano er búcio –. (LT, p. 97). Invece è chiaro che l‟intenzione di Primo Levi è tutt‟altra di quella di Liana Millu. Come abbiamo dimostrato, in Millu, la lingua parlata serve di metodo di enfatizzazione ; rende il discorso più vivo e più veridico. Levi, da parte sua, considera la lingua come inerente al personaggio che sta descrivendo. Per lui la riproduzione del linguaggio di un personaggio fa dunque parte dell‟atto descrittivo antropologico. La psicologia del protagonista Generalmente, il testo fittizio si distacca dal testo storiografico per una maggiore caratterizzazione psicologica dei personaggi. Nel caso de I Ponti di Schwerin, il lettore può effettivamente guardare nella mente della protagonista e seguire i suoi pensieri. Un passo chiave a questo proposito è la scena che descrive con il procedimento dello stream of consciousness le idee che percorrono la mente di Elmina dopo l‟evento tragico della morte del suo compagno Willem. Elmina sviene e delira : Oal, deve venire anche Oal. Anche Willem e Margrete. Ahi ! Ci sono le formiche perché è maggio. In maggio abbiamo tante rose nel giardino. Linda, vieni a vedere le rose ! Il giardino lo hanno bombardato. Bombardato, bombardato, bombardato. Oh mamma, sento le bombe nel cervello. Di maggio a Montolivo cantano le litanie, Willem cantiamo le litanie. Rosa mistica. Stella matutina. Regina virginum. Refugium peccatorum. (...) Oh Dio, c‟è la motocicletta. Perché arrivano le motociclette ? Via ! Andatevene via ! Mi fanno male nella testa, mi arrivano nella testa. Willem, andiamo via. Andiamo via, Willem ! (...) Dov‟è il cane ? Marcolino, non correre, è peggio. Non correre, non correre ! Mamma, c‟è il cane che mi morde. C‟è il cane. Scemagn Israel, il CANE ! (PS, p. 199). Anche nella descrizione dei suoi sentimenti, la protagonista Elmina è molto precisa e franca. Riconosce ad esempio un suo bisogno interno : «Avevo bisogno d‟immaginare il viaggio di ritorno come qualcosa di trionfale.» (PS, p. 85). Il contrasto con lo stile leviano è evidente. In Levi, l‟espressione dello stesso sentimento diventa molto più generale e collettiva : «[il Moro di Verona] ci benedisse col gesto solenne dei pontefici, augurandoci un buon ritorno e ogni bene. L‟augurio ci fu grato, poiché ne sentivamo il bisogno.» (LT, p. 254). Un‟altra fonte : il Tagebuch Esiste un‟altra fonte per verificare il grado di finzione de I Ponti di Schwerin, cioè il Tagebuch che Liana Millu ha scritto durante il suo ritorno dal Lager. Il diario contiene le impressioni e le esperienze reali e più personali della reduce. Come constata Piero Stefani nella sua introduzione all‟edizione recente del Tagebuch, il documento è di inestimabile 74 valore, perché «l‟eccezionalità sta nell‟essere stato scritto in re. Nessuna distanza temporale c‟è tra lo scrivere e l‟oggetto di cui si parla.»151 Però, visto che nel suo diario, Liana Millu esprime non tanto i fatti dell‟itinerario, bensì le emozioni, gli stati d‟animo e i movimenti psicologici suscitati da esso, il documento non ci dà le informazioni necessarie per poter considerare I Ponti di Schwerin come un‟opera in gran parte autobiografica. Al contrario, la maggior parte degli eventi descritti nel romanzo non si ritrovano nel diario : non c‟è traccia di ad esempio l‟amicizia con e la morte di Willem. Nomenclatura dei personaggi Il Tagebuch ci fornisce tuttavia delle informazioni sui personaggi che appaiono ne I Ponti di Schwerin. Se il nome della protagonista Elmina Misdrachim non equivale al nome dell‟autrice, questo è anche il caso per vari altri personaggi. I nomi dei reduci italiani incontrati durante il suo itinerario – tra l‟altro Vito, il Volterra, Salvatore e Benito – non vengono menzionati nel diario. Forse – ma non di sicuro –, queste figure possono essere avvicinate delle persone enumerate all‟inizio del Tagebuch (la pagina 32). Anche la nomenclatura dei personaggi ne I Ponti di Schwerin costituisce dunque un elemento importante che contribuisce al carattere fittizio dell‟opera. 4.1.2. L’(im)possibilità della finzione dopo Auschwitz Dall‟analisi degli elementi di finzione ne I Ponti di Schwerin e ne La Tregua, risulta chiaro che il grado di finzione è molto più grande nell‟opera di Liana Millu. Apparentemente, l‟autrice ha voluto scrivere una narrazione romanzesca, partendo delle sue proprie esperienze. I motivi possibili per una tale scelta sono numerosi. Forse la scrittrice ha voluto proteggere la propria „privacy‟ di reduce, creando il dubbio sul grado autobiografico degli eventi e delle emozioni descritti. Le sue esperienze proprie, le conosce soltanto Liana Millu stessa. La narrazione fittizia permette inoltre di modificare o aggiungere delle cose sotto la spinta di considerazioni letterarie. Così la Millu si è protetta come autrice. Un terzo stimolo possibile è il lettore. Svanendo il confine tra realtà e invenzione, al lettore viene data l‟occasione di far funzionare la sua immaginazione. 151 STEFANI P., Introduzione al Tagebuch, Firenze, La Giuntina, 2006, p. 12. 75 Questa scelta di un autore di una narrazione fittizia non è logica, dato che rischia di non essere preso sul serio. Tra gli studiosi che segnalano il giudizio negativo della critica nei confronti della finzione intorno all‟Olocausto, Sue Vice ha trattato la problematica il più profondamente. Inizia l‟introduzione al suo libro Holocaust Fiction con una tesi del tutto provocatoria : «Holocaust fictions are scandalous : that is, they invariably provoke controversy by inspiring repulsion and acclaim in equal measure. To judge by what many critics have to say, to write Holocaust fictions is tantamount to making a fiction of the Holocaust.»152 Questa attitudine respingente emerge già subito dopo la fine della guerra e fa parte di una discussione più generale sulla possibilità o l‟impossibilità di rappresentare l‟Olocausto nell‟arte. Vice menziona Theodor Adorno, Claude Lanzmann e Elie Wiesel come i rappresentanti più importanti della posizione negativa in questo dibattito. Adorno pone francamente che dopo Auschwitz, scrivere una poesia sarebbe barbarico, perché non è accettabile trarre un piacere estetico da un‟opera d‟arte che concerne l‟Olocausto. Lanzmann è ancora più radicale : secondo lui, «certain things cannot and should not be represented.»153 Infine, Elie Wiesel, lui stesso sopravvivente del campo di Monowitz, considera l‟Olocausto come ispirazione letteraria una contradictio in terminis : «Wouldn‟t that mean, then, that Treblinka and Belzec, Ponar and Babi Yar all ended in fantasy, in words, in beauty, that it was simply a matter of literature?»154 Esiste dunque un «mistrust of invention in relation to the Holocaust»155. Anche se la storia raccontata dalla Millu ne I Ponti di Schwerin non è completamente inventata, l‟autrice ha chiaramente scelto un approccio romanzesco, non storiografico. Non ci sembra del tutto impossibile che la relativa mancanza di attenzione per l‟opera di Liana Millu sia parzialmente dovuta a questa scelta. 152 VICE S., Holocaust Fiction, London, Routhledge, 2000, p. 1. Ibid., p. 5. 154 WIESEL E., The Holocaust as Literary Inspiration, in: Elie Wiesel, Lucy S. Dawidowicz, Dorothy Rabinowicz and Robert McAfee Brown, Dimensions of the Holocaust by Elie Wiesel, Lucy S. Dawidowicz, Robert McAfee Brown, Evanston, Northwestern University Press, 1977, p. 7. Citato in : VICE S., op. cit., p. 5. 155 VICE S., op. cit., p. 4. 153 76 4.2. Realtà_______________________________________________ 4.2.1. Elementi di veridicità e di autobiografia Confrontando le biografie degli autori e la storia dei protagonisti, i paralleli sono evidenti. Gli autori stessi hanno segnalato in varie interviste il grande grado di autobiografismo delle loro opere. Forse nel caso di Levi, questa conferma sembra superflua. Però visto l‟abbondanza di elementi di finzione nell‟opera di Liana Millu, non è inutile la sua dichiarazione che I Ponti di Schwerin racconta «la mia storia»156. Di nuovo, vogliamo fare appello alla nostra fonte supplementare. Se nel punto 4.1.1. abbiamo apportato il Tagebuch per dimostrare il grado di finzione, il diario personale contiene ugualmente qualche legame evidente con I Ponti di Schwerin, quindi elementi che possiamo classificare come strettamente autobiografici. Così, già nell‟introduzione al Tagebuch, Piero Stefani segnala il motivo dell‟«improvviso odore di violette percepito nitido e presente» che ricorre sia ne I Ponti di Schwerin sia ne La camicia di Josepha, altra opera della Millu. Un altro motivo è quello della Morte rappresentata come una «figura in motocicletta» (TB, p. 39), che ritorna nel passo soprammenzionato di stream of consciousness ne I Ponti (PS, p. 199). Anche la frase dall‟amante Cen «Chi dice mah cuor contento non ha» (TB, p. 51) è riutilizzata nel romanzo. Rivenendo ora alle due opere in considerazione, il lettore può accorgersi di certi elementi nei testi stessi che segnalano l‟autobiografismo. Prima persona & nomenclatura del protagonista Sia La Tregua, sia I Ponti di Schwerin sono scritti in prima persona, il che indica che si tratta di testimonianze di un personaggio (vero, fittizio o „realistico‟157). Questo personaggio osserva e descrive se stesso e le figure che lo circondano. Infatti, ripensando i ricordi del periodo prebellico, Elmina si considera contemporaneamente la propria «spettatrice, giudice e erede» (PS, p. 35) e così si è considerata senza dubbio anche Liana Millu durante la stesura 156 MILLU L., Sulla normalità del reduce, in: SPAD MILVIA, Le parole di un uomo. Incontro con Primo Levi, Di Renzo Editore, Roma, 2003, p. 120. 157 Con il termine „personaggio realistico‟ intendiamo dire un personaggio che non è totalmente fittizio, ma che è creato in base alle caratteristiche di una persona reale. 77 del libro. In Levi è importante l‟alternanza tra la prima persona singolare e plurale, quest‟ultimo essendo utilizzato per rappresentare la dimensione collettiva dell‟esperienza. Che l‟«io» ne La Tregua indica l‟autore stesso, diventa chiaro (se non lo era già per il lettore senza background) solo nel quarto capitolo : «Mi chiese come mi chiamavo. Quando a “Levi” aggiunsi “Primo”, i suoi occhi verdi si illuminarono» (LT, p. 71). Ne I Ponti di Schwerin non è – come abbiamo menzionato – Liana Millu ad essere la protagonista, ma il personaggio fittizio Elmina Misdrachim. Risa Sodi ha però segnalato il legame con il nome dell‟autrice, «the name “Elmina” being an anagram for “Liana M.”»158 Un argomento per questa ipotesi ci dà il Tagebuch, nel quale qualcuno chiama Liana Millu «Limmina» (TB, p. 39), il che assomiglia ancora di più a «Elmina». Indicazioni cronologiche e topografiche159 Un aspetto quasi totalmente assente nel libro della Millu ma molto frequente nell‟opera leviana è l‟indicazione del tempo e dei luoghi. Ad ogni tappa del suo itinerario, Levi menziona molto accuratamente i luoghi visitati o passati e la durata del percorso : «Rimanemmo a Staryje Doroghi, in quella Casa Rossa piena di misteri e di trabocchetti come un castello di fate, per due lunghi mesi : dal 15 luglio al 15 settembre del 1945.» (LT, p. 174). E come conferma Günter Butzer : «Die Topographie wird als Beglaubigung der Authentizität und als Ordnung der Erzählung betont.»160 Per aumentare il grado storiografico della sua opera, Levi ha aggiunto al testo una carta con il suo percorso. 4.2.2. L’(im)possibilità dell’autobiografia dopo Auschwitz Nel punto 4.1.2 abbiamo accennato all‟attitudine rifiutatrice della critica nei confronti del «Holocaust Fiction». Fare una narrativa fittizia sull‟Olocausto equivarrebbe a fare finzione dell‟Olocausto. Quindi impossibilità della finzione dopo Auschwitz. Questo però non significa che l‟unica soluzione si trovi nell‟autobiografia stretta. Manuela Günter, autrice del saggio Writing Ghosts. Von den (Un-)Möglichkeiten autobiographischen Erzählens nach dem 158 SODI R., Many Bridges to Cross : Sex and Sexuality in Liana Millu‟s Holocaust Fiction, «Nemla Italian Studies», 1997, vol. 21, p. 168. 159 Cfr. anche punto 1.3. 160 BUTZER G., Topographie und Topik. Zur Beziehung von Narration und Argumentation in der autobiographischen Holocaust-Literatur, in : GÜNTER M., Überleben schreiben, Zur Autobiographik der Shoah, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2002, p. 51. 78 Überleben.161, constata la paradossale «gleichzeitiger Unmöglichkeit und Unvermeidbarkeit der Autobiographie.»162 Gli autori dell‟Olocausto si trovano di fronte al rapporto teso tra «Faktualität» («fattualità») e «Fiktionalität» («finzionalità») : sono spinti verso una scrittura testimoniale, però allo stesso tempo si rendono conto del fatto che «alles Schreiben ist notwendig Poiesis»163 È notevole in questo senso la differenza nell‟opinione di Elie Wiesel (di cui abbiamo riassunto il punto di vista nel punto 4.1.2.) e di Imre Kertész, ambedue reduce del campo di Auschwitz, ambedue letterato e vincitore del Premio Nobel. Laddove Wiesel non crede nella Letteratura come rappresentazione dell‟Olocausto, Kertész è d‟avviso che «das Konzentrationslager nur als Literatur vorstellbar sei, als Realität nicht.»164 Kertész stima che, dal momento che l‟esperienza reale è passata, non se la può più considerare (né raccontare) come Realtà : «Ist mein Leben nicht eine Erzählung ? Wie könnte ich diese Erzählung zum Reden bringen ? Nur als erzählbare Wirklichkeit ; als Wirklichkeit keineswegs.»165 Inoltre gioca l‟effettività della memoria. Col tempo, la forza e l‟esattezza dei ricordi diminuisce. Günter conferma che «die notwendige permanente Verschiebung des Erinnerten zeigt, daß das Vergessen immer schon am Werk ist.»166 Levi stesso ha analizzato il procedimento del ricordo nel primo capitolo de I Sommersi e i salvati, intitolato La memoria dell‟offesa : La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. (...) I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra ; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. (...) Anche in condizioni normali è all‟opera una lenta degradazione, un offuscamento dei contorni, un oblio per così dire fisiologico, a cui pochi ricordi resistono. È probabile che si possa riconoscere qui una delle grandi forze della natura, quella stessa che degrada l‟ordine in disordine, la giovinezza in vecchiaia, e spegne la vita nella morte. (SS, p. 663). 161 GÜNTER M., Writing Ghosts. Von den (Un-)Möglichkeiten autobiographischen Erzählens nach dem Überleben, in: GÜNTER M., Überleben schreiben, Zur Autobiographik der Shoah, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2002, pp. 21-50. 162 Ibid.., art. cit., p. 23. 163 Ibid., art. cit., p. 24. 164 Ibid., art. cit., p. 44. 165 KERTÉSZ I., Ich – ein anderer (traduzione dall‟ungherese al tedesco di Ilma Rakusa), Berlino, 1998. Citato in : GÜNTER M., art.cit., p. 45. 166 GÜNTER M., art.cit., p. 45. 79 4.3. Conclusione__________________________________________ In conclusione, si può dire che una rappresentazione della Shoah è dunque inevitabilmente un‟unione tra «finzionalità» e «fattualità», due modelli narrativi che si sintetizzano in un terzo, nuovo modello. Considerando però La Tregua e I Ponti di Schwerin, si constata che le due opere tendono ad occupare posizioni diverse all‟interno di questo terzo «Erzählmodelle»167. Liana Millu aderisce più al modello della finzione : rappresenta i fatti, però in chiave fittizia. Scrive Gudrün Jäger : L‟io-narrante e la sua storia sofferta restano così distanti sullo sfondo che spesso il lettore si chiede in quale rapporto autobiografia e finzione letteraria stanno tra loro. Per Liana Millu nessuna delle due costituisce una contraddizione all‟altra. (...) Questo atteggiamento [di distanziamento dall‟accaduto] diventa, dal momento della stesura dell‟esperienza vissuta, addirittura un processo poetico. 168 Per quel che concerne l‟opera di Levi, l‟autore stesso afferma : «Quanto ai miei ricordi personali, ed ai pochi aneddoti inediti che ho citati e citerò (...) : il tempo li ha un po‟ scoloriti, ma sono in buona consonanza con lo sfondo, e mi sembrano indenni.» (SS, p. 673). Sceglie dunque una rappresentazione che va verso la storiografia. Possiamo rappresentare questa nostra sintesi come segue : 167 Ibid., p. 26 : «die beiden konträren Erzählmodelle von Faktualität und Fiktionalität verbinden sich und generieren ein drittes.» 168 JÄGER G., “Che bella camicia di sete che avevo!” – Un‟intervista-ritratto a Liana Millu, «Qualestoria», 2005, vol. 32, n° 2, pp. 155-156. 80 Conclusioni Il presente studio aveva come obiettivo principale un‟analisi profonda di due opere, La Tregua di Primo Levi e I Ponti di Schwerin di Liana Millu, che trattano uno stesso argomento, cioè il ritorno dal campo di concentramento alla patria. La nostra intenzione generale è stata di segnalare sia le analogie sia le diversità tra le due rappresentazioni letterarie di questa esperienza. 1) esperienza collettiva vs. esperienza personale Dopo una presentazione generale del corpus nel primo capitolo, abbiamo focalizzato nel secondo capitolo il tema centrale delle opere, cioè il viaggio di ritorno. Lo studio di vari aspetti del ritorno – fisici, psichici o metaforici – ci permette di riconoscere gli approcci in gran parte differenti dei due autori. Con La Tregua, Primo Levi ha scritto un documento quasi storiografico e antropologico : sceglie un tono e una lingua strettamente descrittivi, fa frequentemente riferimento allo sfondo storico e analizza il comportamento dei suoi compagni accuratamente, descrivendoli con tutte le loro sfumature di carattere. Come in uno studio scientifico, l‟io dell‟osservatore scompare quasi totalmente per cedere il posto al „noi‟ collettivo. Liana Millu invece, ha affrontato il tema del ritorno in modo molto personale. Racconta il viaggio di ritorno in prima persona, dipinge la psicologia della protagonista, per i passi descrittivi parte dalle sue osservazioni sensitive e definisce i personaggi secondari attraverso la loro relazione con la protagonista. Inoltre, l‟opera della Millu è innovativa, perché tocca degli aspetti, ad esempio la corporeità e i rapporti sessuali, che di solito vengono evitati nelle testimonianze intorno al campo di concentramento. Ovviamente, l‟argomento analogo delle due opere provoca anche un grande parallelismo nella rappresentazione. Colpisce ad esempio il modo in cui sia Primo Levi, sia Liana Millu mostrano il processo di maturazione psichica che subisce il reduce durante l‟itinerario. Entrambi abbozzano anche un universo che cambia insieme al protagonista. 81 2) trauma vs. vita Nel terzo capitolo, abbiamo trattato il periodo dopo il ritorno. Le descrizioni della vita postbellica ne La Tregua e ne I Ponti di Schwerin mostrano elementi paralleli : gli incubi, l‟eterno ritorno dei ricordi, l‟incomprensione di chi non ha vissuto questa esperienza orribile. Abbiamo tuttavia potuto individuare sia nelle due opere in considerazione, sia in citazioni degli autori, sia nella loro opera completa un maggiore positivismo presso la Millu e un maggiore pessimismo presso Levi. Il personaggio Elmina Misdrachim e l‟autrice Liana Millu guardano verso il futuro, versi nuovi ponti. Levi invece, ritorna sempre all‟esperienza del campo, analizzandone ripetutamente tutti gli aspetti e confermando sempre il suo trauma. 3) «fattualità» vs. «finzionalità» Nell‟ultimo capitolo, abbiamo eseguito una piccola analisi degli elementi di finzione e di autobiografia nelle opere in considerazione. Grazie alle osservazioni di Sue Vice e Manuela Günter, abbiamo capito che dopo Auschwitz non sono più possibili né l‟autobiografia stretta, né la finzione totale. Günter ci è offerto l‟ipotesi di un terzo modello di rappresentazione, che unisce finzione e fattualità. La Tregua e I Ponti di Schwerin rispondono alla definizione di questo terzo modello, anche se la prima opera va verso una rappresentazione fedele e storiografica, mentre la seconda si presenta piuttosto come un romanzo, nel quale l‟autrice non esita ad introdurre una buona parte di inventio. 4) ricezione diversa Nel primo capitolo, le osservazioni sulla ricezione dei due opere ci hanno spinti a chiederci : perché l‟opera di Primo Levi è così abbondantemente presente nella critica, mentre l‟opera della Millu sembra conosciuta soltanto presso un gruppo ridotto di studiosi e lettori ? L‟analisi che abbiamo presentata nei capitoli 2, 3 e 4 ci permette di enumerare gli elementi seguenti come ipoteticamente responsabili del diverso grado di notorietà : a) L‟opera di Primo Levi non è la testimonianza di una sola persona, bensì quella di molti reduci. La Tregua prende dunque un significato universale. Liana Millu invece, sceglie un approccio del tutto personale, eliminando così l‟elemento collettivo e universale. 82 b) Liana Millu focalizza in primo luogo le emozioni personali della protagonista. Inoltre i contatti con altri personaggi sono scarsi. I Ponti di Schwerin è dunque un documento autoanalitico. Primo Levi invece, studia i comportamenti dei suoi compagni all‟interno di un gruppo. La Tregua risulta dunque di più grande valore sul livello antropologico e filosofico. c) Un elemento che certamente negli anni Settanta e Ottanta potrebbe aver provocato la relativa assenza del libro della Millu nella critica, è il fatto che affronta certi tabù, come l‟aborto, lo stupro, le relazioni fisiche tra persone di generazioni diverse, ecc., cioè argomenti controversi nella società italiana di questi anni. d) Come abbiamo dimostrato nel punto 4.1.2., la finzione intorno all‟Olocausto è stata criticata severamente. Probabilmente questo è anche l‟aspetto decisivo nel giudizio di tanti critici sul libro della Millu : secondo molti studiosi, il carattere fittizio de I Ponti di Schwerin ne diminuisce il valore storiografico e letterario. e) Un ultimo aspetto che potrebbe aver contribuito alla maggiore notorietà di Primo Levi, - anche se non vogliamo pronunziarci francamente su questa questione -, è il suo suicidio. Forse dopo la morte misteriosa di Primo Levi è cominciato un processo di mitizzazione. Comunque, senza dubbio, la morte dell‟autore ha provocato una maggiore interesse per la sua opera. Con questa tesi, abbiamo avuto l‟intenzione di compensare la mancanza di attenzione per l‟opera di Liana Millu, mettendola allo stesso livello del grande Primo Levi. Lo studio de La Tregua e de I Ponti di Schwerin ha messo in evidenza il dualismo del fenomeno di Auschwitz. Primo Levi ci mostra l‟universalità della tragedia, Liana Millu descrive Auschwitz e il ritorno come un evento del tutto privato e personale. 83 Bibliografia Testi letterari Bibbia Ebron, Milano, Edizioni San Paolo, 2005. DANTE ALIGHIERI, Commedia (con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi), Inferno, Bologna, Zanichelli, 1999. LEVI, PRIMO, La tregua, Torino, Einaudi, 1963. ID., Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1985. ID., I sommersi e i salvati, in : Opere, vol. 1, Torino, Einaudi, 1987, pp. 651-822. MILLU, LIANA, I ponti di Schwerin, Genova, Le Mani, 1998, con una prefazione di Laura Lilli e un‟introduzione di Francesco De Nicola. ID., Tagebuch, Firenze, La Giuntina, 2006, con una prefazione di Paolo di Benedetti e un‟introduzione di Piero Stefani. Testi critici ALLOISIO, REMO, Il n. A 5384 di Auschwitz Birkenau, «Patria Indipendente», 27 febbraio 2005, pp. 39-40. ID., Liana Millu : dalla Resistenza al campo di Auschwitz, «Patria Indipendente», 29 gennaio 2006, pp. 21-22. 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