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REAL LIFE - Giulio Di Sturco

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REAL LIFE - Giulio Di Sturco
REAL LIFE
«Il mio ex status:
uno stipendio da
dirigente, benefits vari,
assicurazione sanitaria.
Ma anche due figlie
a carico, un mutuo
e molta solitudine.
E adesso?»
di Fiona Diwan*
Foto di Giulio Di Sturco
CARO
DIARIO:
DA OGGI
SONO
SENZA
LAVORO
«Da 26 anni sono una giornalista e da dieci dirigo periodici. Ho 49 anni e una donna-dirigente-licenziata a questa età rientra
statisticamente nei soggetti socialmente deboli, i più a rischio in fatto di riassorbimento. Ma la verità è che io adoro il mio lavoro»
«Non è l'ottimismo rispetto al lavoro che mi manca. È la mancanza di ordine nel corso delle giornate, la scansione anarchica delle
ore, il fatto di essere in balìa di me stessa, dei miei umori. Ho un senso di sospensione, un non saper che fare né dove andare»
«Ho due figlie di 16 e di 13 anni. Sono il sostegno economico della famiglia, faccio da cuore, ragione e portafogli, il poliziotto buono e
quello cattivo. La loro empatia non è durata a lungo. Sono sempre in casa, il che vuol dire, per loro, una minor libertà di movimento»
«Mi accorgo che per le mie figlie, come per tutti gli adolescenti, lo status professionale dei genitori è una questione di identità.
Mamma, adesso sei una sfigata senza impiego? Siamo sfigate anche noi?, andremo ancora in vacanza? e in piscina?»
«Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo sulle cose che si possono avere gratis. Una mostra a Palazzo Reale, una conferenza al Teatro Dal
Verme. Un concerto al Conservatorio, altro luogo di Milano che adoro. Il programma prevede musiche di Mendelssohn e Brahms»
«No, noi non siamo quello che compriamo, anche se tutto congiura per far coincidere l’essere con lo spendere. Tuttavia,
irrimediabilmente, quello che metto nel mio carrello somiglia a ciò che sono in questo momento. Tutto è basico, low, sotto tono»
D 88
14 MARZO 2009
D 89
«L’ad le vuole parlare»
Milano. 20 Gennaio. Non riesco ancora a rendermene
conto. Mi hanno licenziato da una settimana. L’incredulità
prevale per parecchio. È così che succede, mi dicono.
Shock. Confusione. La fenomenologia del rifiuto (e un licenziamento è di fatto un rifiuto) è identica, si tratti di lavoro o di un fidanzato. Prima cerchi il tuo errore, vai a vedere
cosa hai fatto di sbagliato. E quando capisci che stavolta
tu non c’entri nulla, che non si trattava di te ma del fatto
che c’è una crisi - la peggiore da 70 anni a questa parte e che tu ci sei finita dentro, perdono quattrini e devono tagliare i costi per non chiudere, be’, monta la rabbia. Di fatto resta la percezione di un’infamia: la tua lealtà e professionalità ridicolizzate, la passione per il compito che ti era
stato affidato svilita. Non ci sono parole per descrivere lo
smarrimento, il lutto per la perdita del lavoro. Da 26 anni
sono una giornalista e da dieci dirigo periodici. Ho 49 anni
e una donna-dirigente-licenziata a questa età rientra statisticamente nei soggetti socialmente deboli, i più a rischio
in fatto di riassorbimento. Ma la verità è che io adoro il mio
lavoro ed è la cosa che di gran lunga so fare meglio, fatta
eccezione forse per un paio di ricette della cucina mediorientale che ho imparato da mia madre. Potrei in effetti ripiegare su un ristorante. Ma due ricette non bastano.
«Questa crisi ha il passo radicale di una rivoluzione: lavorare
il triplo, guadagnare la metà. È la fine della classe media»
Addio veloce: consegno
cellulare e pc. Sono una
mamma single
Prendo le mie ultime cose dall’ufficio, compio i gesti di rito, restituisco computer, chiavi e telefonino, come è di
prassi in questi casi. Tutti sono imbarazzati, si sentono in
colpa, io vado, loro restano. Li sollevo con una risata,
ostento un ottimismo che non ho. La mia ex segretaria
mi mette in mano un regalo d’addio, una piantina di peperoncino: «Ti auguro di continuare a essere vitale, bruciante, potente come questi spicchi di peperoncino», mi
dice. Scappo per non commuovermi. Non serve. Arrivo a
D 90
casa in lacrime. Cerco di nascondermi in camera da letto
e aspettare che passi. Niente. Le mie ragazze - ho due figlie di 16 e di 13 anni- mi abbracciano e poiché il pianto
è contagioso, si alza un lamento degno di un coro greco.
Mi lascio coccolare e insieme le tranquillizzo, mi faccio
forza, non voglio che sentano il morso dell’incertezza, il
senso della precarietà che già mi serpeggia dentro. Sono
l’unico sostegno economico della famiglia, faccio da madre e da padre, cuore, ragione e portafogli, il poliziotto
buono e quello cattivo. Il loro stato di solidale empatia
non durerà a lungo. Pochi giorni, una settimana: poi torna a prevalere l’energia vitale dell’adolescenza. Finita la
burrasca rieccole al solito quotidiano. Unica novità, la
mamma in casa. Uffa, e adesso come faccio a stare per
ore su facebook, a farmi risolvere i compiti di matematica
al telefono dal compagno secchione, a guardare SouthPark per un intero pomeriggio? Passeranno altre due
settimane e il licenziamento assumerà ai loro occhi i tratti
di una malattia degenerativa. Perdita progressiva di libertà (la loro), riduzione della paghetta che è stata dimezzata, congelamento fino a nuovo ordine dell’acquisto del
motorino. Mi accorgo che per loro, per gli adolescenti, lo
status professionale dei genitori è una questione di identità: «Mamma, adesso sei una sfigata senza impiego?
Siamo sfigate anche noi?».
Posso fare quello che
voglio: ma cosa voglio?
Resto in silenzio. Dopo giornate piene di determinazione
e ottimismo, ho smesso di telefonare a colleghi, editori,
direttori di altri giornali. Lo sto facendo da un mese. Uso
tutte le forze per non farmi annientare. Una volta che ti si
insinua dentro, l’incertezza non ti lascia più, mi dice Silvia, un’amica a cui è toccata la mia sorte: impari a dormirci insieme e a conviverci. Ecco, ci sono dentro. Dentro la disoccupazione, dentro le giornate che non hanno
più un ritmo, dentro la possibilità di non fare nulla, di lasciarmi scorrere. In fondo non ho più obblighi, posso fare
finalmente tutto quello che voglio. Ma che cosa voglio?
Gli amici sono una coperta straordinaria.
Li conti nel momento del bisogno.
I miei ci sono tutti. Li incontro in un bar del centro per un
tè o caffè: si piange, si parla, si ride, ci si scambiano notizie e gossip sul mondo giornalistico. Qui incontro mio
cugino Miro, che mi coccola allungandomi un libro a suo
avviso salvifico, Le leggi dell’attrazione: il pensiero crea e
attrae, crea un campo magnetico intorno a noi, mi dice,
dentro il quale finiscono i nostri desideri profondi. Il pensiero crea la realtà. Sarà: nel frattempo apprezzo il calore, la sua iniezione di gioia e ottimismo. La raffinata eccentricità di Miro mi spinge alla Libreria Scientifica in via
Visconti di Modrone (20% di sconto su tutti i libri, da
sempre): qui compro la biografia di Marina Cvetaeva di
Viktoria Schweitzer. Sono mesi che la cerco. Torno al caffè e la divoro in un’ora. Un amico al giorno toglie la tristezza di torno. Domani pranzerò con Magda, Sofia e Rosella al Ristorante Lifegate, in via Orti: è una mecca dei
disoccupati, un posto crisis-friendly, menu a prezzo fisso
10 euro all inclusive: riso venere e branzino, straccetti di
14 MARZO 2009
manzo e crema di ceci con cous cous di verdure, caffè,
acqua. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo sulle cose
che si possono avere gratis. Pianifico la mia giornata tutto gratis: Ore 11.00. Vado a vedere la mostra dei Post
Impressionisti a Palazzo Reale. Ore 13,30. Vado alla colazione su invito in un negozio in Via Montenapoleone
che presenta la sua nuova linea. Ore 17.00. Ascolto la
conferenza al Teatro Dal Verme su Precarietà ed Ebraismo, di Chaim Baharier, eccellente talmudista, matematico e psicanalista. Ore 20,30. Chiudo la giornata al Conservatorio. Il concerto in programma prevede musiche di
Mendelssohn e Brahms. Ho resistito tutto il giorno ma
adesso le note di Mendelssohn danno il via libera a un
torrente di lacrime.
«Una settimana concitata. Ho fatto il giro completo dei templi
dell’editoria milanese. Incontro tutti: ad, publisher, direttori»
Le puntarelle: sono di stagione, a quelle non rinuncio. Ne
agguanto due pacchi, 6,45 euro. E poi la carne, petti di
tacchino e carne trita formato famiglia, il tripudio del low
cost, niente pasta fresca. Giro l’angolo più pericoloso: tome, pecorini, i francesi. Al largo. Dimenticavo il reparto
toiletries: un dentifricio, 3 euro. Sono perplessa: è tanto o
è poco? Punto direttamente ai surgelati, lì i prezzi corti si
moltiplicano. Osservo il mio carrello. Mi guardo in giro,
che cos’hanno gli altri nei loro? Vedo pezzi di vitello rosei,
confezioni di ravioli freschi al tartufo e ricotta. Sospiro.
No, noi non siamo quello che compriamo anche se tutto
congiura per far coincidere l’essere con lo spendere. Tuttavia, irrimediabilmente, quello che metto nel mio carrello somiglia a ciò che sono in questo momento. Tutto è
basico, low, sotto tono. Senza nemmeno deciderlo, agguanto la bottiglia di Sauternes, torno indietro, punto ai
formaggi francesi. Sorrido. Ho risparmiato su tutto, mi dico. Conto: 80 euro. Il mio budget ne prevedeva 40.
Sì, per favore, ditemi sì
Qual è l’età dell’oro?
Un amico artista, Massimo Kaufmann, mi ha invitato in
studio a vedere la sua ultima serie di quadri: Golden Age,
li ha chiamati, l’età dell’oro. Ma quell’oro non c’è più, l’hai capito anche tu, vero Fiona?, mi dice, i suoi quadri
celebrano un mondo che muore, quel mondo in cui siamo cresciuti e che è finito, finito l’Eldorado, c’eravamo
dentro e non lo sapevamo. È bello starsene così a chiacchierare con un amico a mezzogiorno. Mi sembra di avere vent’anni, quando avevo davanti praterie di tempo. Mi
si chiarisce sempre di più il fatto che questa crisi ha il
passo radicale di una rivoluzione, segna l’inizio di
un’epoca nuova: lavorare il triplo, guadagnare la metà,
non andare mai in pensione, non avere nessuna certezza. La fine della classe media.
L’attrazione del low cost
Il frigo è vuoto. Devo stare nel budget. Brandisco il carrello della spesa. Agguanterò solo il 3X2, gli yogurt della
Repubblica Ceca che costano meno (e sono superlativi),
la pasta da 60 centesimi al chilo, la pummarola da 40
centesimi a scatola. Vietatissimi i prodotti bio, il prezzo è
sempre più proibitivo. Mi avvio: mele stark a 0,80 al chilo. Vedo i kiwi in offerta: sono miei. Le zucchine verde
chiaro, quelle rotonde: 3 euro per tre zucchine? Passo.
D 92
Una settimana concitata. Faccio il giro completo dei templi dell’editoria milanese. Li incontro praticamente tutti:
amministratori delegati, mega-direttori, publisher, editori,
direttori di divisione.
1- Martedì, palazzo del Sole 24 Ore: incontro uno dei direttori con cui da sempre vorrei lavorare. Dice che si farà
vivo. Bene.
2- Mercoledì, palazzo Mondadori. Il mega-boss è affabile
e sorridente, come sempre: «Devi aver pazienza e aspettare la schiarita, abbi fiducia». Bene.
3- Giovedì, palazzo Hachette-Rusconi. Niente frasi di circostanza, solo una forte stretta di mano. Le mani legate,
le assunzione sono congelate. Bene.
4- Venerdì mattina. Palazzo Condè Nast. Per ora non ci
sono posti disponibili, forse più avanti. Bene.
Se non ricordi più chi sei
Lo sento, si avvicina, sta per arrivare. È quello sfilacciamento del tessuto interiore che si chiama depressione. La
stoffa si strappa e dalla crepa escono fantasie oscure. E se
mi facessi male davvero, male fisico intendo? E se mi
schiantassi contro un albero? Almeno all’ospedale qualcuno si occuperebbe di me.
Io, e quelle come me
Dopo due anni di contratto a termine, due colleghe sono
state lasciate a casa. Giovanna è separata, con due bambini piccoli. Suzy è più giovane, flessuosa, bellissima. Ma
a piangere disperata è proprio lei, Suzy la ventenne. Mi
avvicino e abbraccio Suzy: voglio farle sentire il calore, la
vicinanza, trasmetterle forza, solidarietà. Sto per parlare
ma si alza una voce dietro di me, quella di Giovanna.
«Dai, vedrai che ce la farai, non piangere, in qualche
modo ne usciremo tutti, mica possiamo morire, no? Che
altro possiamo fare se non farcela? Che altro possiamo
fare se non vivere?». (Foto Ag. Grazia Neri)
(*) Ex direttore di Geo Italia e Gulliver ex condirettore di Flair.
Il suo diario/libro sarà pubblicato tra pochi mesi.
14 MARZO 2009
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