ebook nr.10 E.Schievenin D.Marin DUE MILIONI DI ANNI RUBATI
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ebook nr.10 E.Schievenin D.Marin DUE MILIONI DI ANNI RUBATI
ERIK SCHIEVENIN E DIEGO DIEGO MARIN GRUPPO “PANGEA” DUE MILIONI DI ANNI RUBATI LE PROVE CANCELLATE DALL’ARCHEOLOGIA UFFICIALE, A FAVORE DI UN’ETÀ DELL’HOMO SAPIENS MOLTO MAGGIORE AI 100.000 ANNI ACCETTATI… 1 LIBRO ELETTRONICO Gli autori di questo libro elettronico Diego Marin [email protected] Erik Schievenin [email protected] (Nella foto anche Ivan Minella [email protected]) Idea, progetto grafico e adattamento dei testi (qualora ritenuto necessario) a cura della redazione di “Tracce d’eternità”. Supervisione di Simonetta Santandrea Fotografie fornite dagli autori © 2011 di Erik Schievenin, Diego Marin e Gruppo “Pangea”. Tutti i diritti riservati. Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org In copertina Cranio scoperto da Robert Broom nel 1947 a Sterkfontein in South Africa. E' un cranio molto ben conservato di un Australopithecus Africanus adulto. Si tratta del miglior campione noto di Africanus. Risale a circa 2,5 milioni di anni fa, con una capacità cranica di circa 485 cc.. 2 "ATLANTIDI: I tre diluvi che hanno cancellato la civiltà" 15.000 anni fa un incredibile evento astronomico spostò i poli geografici e cambiò l’asse terrestre. I vulcani spenti furono attivati mentre la terra tremava e si spezzava, sanguinando magma dalle sue ferite. 200 generi di grossi mammiferi si estinsero per la morte di centinaia di milioni di animali. L’Antartide, l’Alaska e la Siberia Orientale venivano avvolte dai ghiacci, intrappolando in pochi istanti i loro abitanti, congelati con il cibo fresco nello stomaco. E l’uomo? Le vecchie calotte polari si scioglievano e il mare sollevava le sue onde, sbattendo rocce e navi sulla costa. L’uomo osservava con gli occhi colmi di terrore gli tsunami del Diluvio Universale. La civiltà e la specie umana si stavano estinguendo. La storia di Atlantide è la storia dei superstiti, civilizzatori delle zone protette dal Diluvio, ex foreste abitate da uomini primitivi. Questi guardarono con ammirazione divina le capacità dei nuovi arrivati, dalla pelle bianca e gli occhi chiari, capaci di erigere immensi templi e piramidi. Le tradizioni concordano: ci parlano di grandi architetti, astronomi monoteisti, giunti in un tempo di caos per liberare il mondo dalle tenebre. Venivano dall’ “Isola Bianca”, dove il giorno e la notte duravano sei mesi, dove le stelle tracciavano cerchi nel cielo… Li seguiremo da una calda Antartide fino al Perù, al Messico e al Mediterraneo, raccogliendo le tracce della loro lingua, dei loro monumenti, della loro religione, scoprendo tutte le Nuove Atlantidi, fondate lungo il cammino… 3 INDICE pag. PREFAZIONE di Gianluca Rampini 5 INTRODUZIONE degli autori 10 Australopiteco 13 Homo Habilis 31 Homo Erectus 37 Homo Sapiens Sapiens 48 4 PREFAZIONE IL RE E’ NUDO Nella fattispecie il re è la teoria dell’evoluzione. Quando Darwin formulò la propria teoria si rese presto conto che mancava di prove sostanziali che la convalidassero. Egli stesso lo ammise nel capitolo “Difficoltà della Teoria” nell’ “Origine Origine della specie”. specie Darwin sosteneva sostanzialmente che una delle più valide obiezioni alla sua teoria fosse una scarsa disponibilità di fossili che testimoniassero la presenza dei così detti “stadi intermedi” situazione che, per quanto riguarda l’uomo, ha condotto pletore di antropologi alla ricerca dell’ “anello mancante”. Leggendo in questo capitolo ci si imbatte molto spesso in frasi che più o meno si possono riassumere con: “Sono sicuro però che prima o poi questi fossili verranno trovati”. Senza voler mancar di rispetto per chiunque abbia dedicato la propria vita professionale all’antropologia basandosi sul lavoro di Darwin, mi sembra un assunto quanto meno azzardato. Chiunque altro al suo posto sarebbe stato deriso e rimandato a casa. Ma allora com’è possibile che una simile teoria abbia preso così prepotentemente il proscenio arrivando a essere considerata una verità insindacabile? Per giunta nonostante sia contraria e severamente invisa alla Chiesa che ha visto le 5 proprie idee creazionistiche derise e smontate completamente. Lungi da me dare ragione a quest’ultima, a dire il vero non saprei a chi dar più torto. Vi sono probabilmente più ragioni che hanno determinato l’accettazione incondizionata e la diffusione della Teoria dell’evoluzione. Innanzitutto il periodo storico in cui il positivismo e la fiducia nella scienza cominciavano a sostituire la fede in Dio. Un contesto in cui la rivoluzione industriale necessitava di un sostegno che andasse al di là del puro e semplice risultato, qualcosa che giustificasse una nuova ideologia basava sulla supremazia del più forte, che rendesse accettabile la corse alla supremazia in un mercato che per la prima volta cominciava a divenire globale. Centro di questo mercato erano ancora la Gran Bretagna e l’Europa che ancora risentiva dei postumi della Rivoluzione Francese, primo momento storico in cui la liturgia cristiana fu sostituita dal progresso e dalla scienza, in cui le croci furono sostituite da obelischi e piramidi, in cui alla gente fu mostrato come liberarsi senza troppi sensi di colpa di un Dio divenuto inutile. Essere atei divenne accettabile però coloro che incendiarono la rivoluzione ed i suoi falò filosofici non erano atei bensì credevano nell’esistenza di un Grande Architetto. La massoneria ritenne che era giunto il momento di inventarsi una nuova favola con cui addormentare il popolo. Abbandonata la storia 6 trita e ritrita della religione, imposero la fede nella Scienza. Solo la Scienza aveva le risposte, solo la Scienza indicava la via. In questa situazione il lavoro di Charles Darwin, come si dice, cadde a fagiolo. Il suo nome non compare nelle liste dei personaggi celebri associati alla massoneria, quello di suo nonno però sì. Personalmente ritengo che se anche non fosse propriamente iniziato, e non mi stupirei che lo fosse stato, di certo era vicino all’ambiente nella massoneria. Non voglio azzardare a dire che l’edificazione del suo traballante castello teorico sia stato deliberatamente funzionale agli scopi della massoneria ma ci sono alcuni indizi, per così dire, psicologici che potrebbero lasciar supporre una simile ipotesi. Quando cominciò a lavorare, sostanzialmente in segreto, alla stesura della teoria, iniziò a soffrire di numerosi disturbi psicosomatici che lo accompagnarono poi per decenni. Era lacerato da dubbi irrisolvibili come possiamo comprendere anche da alcune sue frasi: “E’ solo uno straccio di ipotesi, in cui vi sono tante incongruenze quante sono invece le parti sensate...”. A un altro collega scrisse, “Ho dedicato la mia vita a una fantasia”. Nella sua mente siffatti dubbi si contrapposero al dover render pubblica, e ovviamente sostenere apertamente, la propria teoria. Una discrasia tra pubblico e privato che potrebbe aver indotto una forma di distonia cognitiva, disturbo che avviene 7 appunto quando si è costretti, per varie circostanze, a dire, fare o vivere in un certo modo, essendo però intimamente convinti che sia sbagliato. Un po’ come essere vegetariani e lavorare in un macello per dar da mangiare ai propri figli. Mi domando cosa l’abbia spinto a farlo. Non poteva lasciar perdere se non era convinto? Aveva forse un impegno con qualcuno? Un patto con un diavolo che in cambio gli assicurò notorietà e fama, un diavolo che invece del forcone impugnava il compasso e la squadra? Vale anche la pena ricordare che l’affermazione della Teoria dell’Evoluzione ebbe conseguenze ben peggiori, che non il deterioramento della salute di Charles. L’Eugenetica ne fu una diretta conseguenza così come l’idea che la razza più forte dovesse eliminare quella più debole. Il Razzismo, aberrazione umana che ha percorso tutte le epoche della storia, trovò finalmente una base culturale su cui poggiare i propri granitici piedi. Non è quindi solo una questione teorica o filosofica. In tutto questo, il lavoro fatto dal Gruppo Pangea è un formidabile strumento al servizio di chi dubita della Teoria dell’Evoluzione, di chi si trova a discutere dell’argomento e ha bisogno di esempi concreti da citare, prove scientifiche così care ai sostenitori della teoria. Uno strumento che mette in ordine una notevole mole di dati in modo chiaro ed 8 esaustivo, “un’accetta di Occam” con qui abbattere il celebre albero che rappresenta lo scorrere dell’evoluzione dai primati all’homo sapiens sapiens. Leggendo questo libro si capisce bene che quella schematizzazione non ha più senso, che la storia umana va rivista e i dati per farlo ci sono. Questo libro è l’ottima base di partenza per spingersi con slancio verso questa ricerca che non possiamo più esimerci dal fare. Gianluca Rampini 9 INTRODUZIONE Un manifesto pressapochismo A cavallo tra il XIX e il XX secolo, sotto lo stimolo delle opere darwiniane L’origine delle specie (1859) e L’origine dell’uomo (1871), hanno iniziato a emergere dagli scavi le ossa dei primi ominidi, la prova del collegamento tra l’uomo e la scimmia. Già questo punto dovrebbe farci riflettere: è un caso che gli ominidi siano apparsi sulla scena esattamente quando la comunità scientifica ne aveva bisogno? Non parliamo di un complotto: semplicemente, una certa predisposizione mentale, arricchita da spasmodico entusiasmo, avrebbe potuto far vedere quello che non c’era. Quello che segue non è un attacco alla teoria dell’evoluzionismo, che condividiamo appieno, quanto piuttosto alle presunte prove che l’hanno convalidata e al metodo d’indagine utilizzato. Ciò che apparve agli occhi degli antropologi fu inizialmente un cocktail di crani, mandibole o denti, senza dubbio classificabili quali appartenenti a scimmie antropomorfe o a gorilla. La loro vicinanza a ossa di tipo umano contemporaneo li indusse però a credere che entrambe le tipologie di resti appartenessero alla stessa specie: una nuova specie intermedia. A seconda dei casi tale specie fu battezzata Australopiteco, Homo Habilis o Homo Erectus. 10 Poco a poco si sono costruiti dei modelli evoluzionistici e cronologici, che da queste presunte specie conducevano all’Homo Sapiens. Le raffigurazioni dei nostri pelosi antenati riempirono le riviste, mostrandoli in posizione eretta mentre marciavano fieri nella savana o realizzavano i primi utensili. Troppo tardi emersero scheletri più completi, i quali mostravano i reali femori, le mani, i piedi, eccetera, dei presunti ominidi. Erano questi la prova evidente che i presunti ominidi erano specie di scimmie o gorilla estinti, con mani e piedi adatti alla vita sugli alberi, a sospendersi e ad arrampicarsi. Provarono fuori da ogni dubbio la loro incapacità nel realizzare utensili. Nonostante ciò i modelli non furono più rivisti e curiosamente, quelle ossa di uomo moderno attribuite erroneamente agli ominidi, furono dimenticate. Furono dimenticate perché avrebbero costituito la prova che l’uomo moderno aveva convissuto per centinaia di migliaia di anni (forse milioni) con i presunti ominidi. L’autocensura dei paleoantropologi li condusse più tardi a ridicolizzare, a tacciare d’illusione o ad attribuire all’incompetenza dello scopritore, i numerosi ritrovamenti di ossa e scheletri completi di uomo moderno, contemporanei agli ominidi fin oltre ai due milioni di anni fa. Sembra che l’Homo Sapiens nell’antichità si nutrisse dei presunti ominidi, fatto 11 che spiega il diffuso ritrovamento di depositi misti di ossa d’uomo moderno e ominide. Quello che segue è un piccolo sunto dei principali ritrovamenti che hanno portato alla realizzazione del modello evoluzionistico attuale, completo di critica e di nuove interpretazioni. A chi desiderasse una visione completa e maggiormente dettagliata dei ritrovamenti consigliamo la lettura di “ARCHEOLOGIA PROIBITA”, un libro di Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, edito in Italia da Newton e Compton. Gli autori 12 Australopiteco Secondo l’opinione attuale, l’ominide più antico di cui si abbia notizia è l’Australopithecus, risalente a quattro milioni di anni fa, nell’età Pliocenica. Questa creatura aveva una statura compresa tra il metro e venti e il metro e mezzo, e una capacità cranica dai trecento ai seicento centimetri cubici. Si dice che dal collo in giù l’Australopithecus fosse molto simile agli esseri umani del giorno d’oggi, mentre il capo avrebbe mostrato fattezze in parte umane e in parte scimmiesche. Ritrovamenti: Nel 1924, Raymond Arthur Dart, antropologo dell’università di Witwatersrand a Johannesburg (Sud Africa), ricevette da un suo amico geologo, il dottor R.B. Young1, alcuni frammenti di roccia contenti fossili animali. Provenivano da una cava di calcare a Buxton, nei pressi di una città chiamata Taung, a trecentoventi chilometri circa da Johannesburg. Dart trovò delle ossa facciali e il calco completo dell’interno di un cranio grande quanto quello di un grosso gorilla. Le ossa facciali componevano il volto di un bambino dalla dentatura completa quanto a denti da latte, con i molari permanenti sul punto di spuntare. Successivamente l’antropologo osservò che il cervello del 1 Professore di Geologia all'università di Manchester. 13 bambino era inaspettatamente grande, circa cinquecento centimetri cubici: la capacità cranica media di un gorilla adulto ammonta a soli seicento centimetri cubici. Raymond Arthur Dart, antropologo dell’università di Witwatersrand a Johannesburg (Sud Africa). Nel 1947, in una galleria di Makapansgat, rinvenne frammenti di crani di australopitechi con cui si era nutrito un gruppo di Homo Sapiens. Dart notò l’assenza dell’arcata sopraccigliare pronunciata ed ebbe l’impressione che i denti mostrassero qualche caratteristica umana. Inoltre, il foramen magnum, l’apertura che consente il passaggio del midollo spinale, era situato al centro della base cranica, come negli esseri umani, invece di essere spostata all’indietro come nelle scimmie antropomorfe adulte. Nonostante si tratti di una caratteristica comune anche ai gorilla, secondo Dart avrebbe suggerito che la creatura camminasse in posizione eretta e fosse pertanto un antenato 14 dell’uomo. Dai fossili che accompagnavano il reperto, stimò la sua età di circa un milione di anni. L’ominide fu battezzato Australopithecus Africanus (scimmia antropomorfa dell’Africa meridionale) e molti studiosi al giorno d’oggi lo ritengono l’antenato di tutte le forme di ominidi. A sinistra: il teschio di un australopiteco bambino proveniente da una cava nei pressi di Taung nel Sud Africa. A destra: il teschio di un gorilla prima che l’individuo avesse raggiunto la piena maturità. Tuttavia, Grafton Elliot Smith2, in una conferenza tenuta nel 1925 all’University College, dichiarò come l’atteggiamento, la posizione della testa, la forma della mandibola e molti particolari del naso, del muso e del cranio dell’Australopithecus africanus, si ritrovassero essenzialmente identici nei cuccioli di gorilla e scimpanzé di un’età corrispondente al cranio di Taung. La stessa opinione era condivisa in Inghilterra da Sir 2 Anatomista australiano, ricoprì la cattedra di anatomia presso l'University College di Londra. 15 Arthur Keith3 e Sir Arthur Smith Woodward4. Sir Arthur Keith, fisiologo e medico britannico; fu direttore dell' Hunterian Museum in Scozia. G.W. Barlow, amministratore della cava di calcare a Sterkfontein, trovò nel 1936 il calco del cervello di un australopiteco adulto. Successivamente, il dottor Robert Broom5 rinvenne nello stesso sito diversi frammenti del cranio e lo ricostruì. Il deposito in cui il fossile era stato scoperto risaliva a un’epoca databile tra i due milioni e duecento mila e i tre milioni d’anni. Nello stesso sito seguirono molte 3 Fisiologo e medico britannico, si laureò in medicina all'Università di Aberdeen. 4 Paleontologo inglese presso il Dipartimento di Geologia del Natural History Museum. 5 Medico e paleontologo sudafricano, professore di zoologia e geologia al "Victoria College" di Stellenbosch, Sud Africa. 16 scoperte, compresa la parte inferiore di un femore. Nel 1946, Broom e G.W. Schepers6 descrissero questo femore come essenzialmente umano, stima riconfermata nel 1981 da Christine Tardieu7 che ne eseguì uno studio diagnostico. Dal momento che il femore fu trovato isolato, non è chiaro se appartenesse o no ad un australopiteco. Perciò è possibile che appartenesse a un ominide più progredito, forse ad un essere umano anatomicamente moderno. Cranio scoperto da Robert Broom nel 1947 a Sterkfontein in South Africa. E' un cranio molto ben conservato di un Australopithecus Africanus adulto. Si tratta del miglior campione noto di Africanus. Risale a circa 2,5 milioni di anni fa, con una capacità cranica di circa 485 cc. 6 Ricercatore sudafricano presso l’università di Witwatersrand a Johannesburg (Sud Africa). 7 Paleoantropologa francese del Museo Nazionale d'Histoire Naturelle a Parigi. 17 Interno delle grotte di Sterkfontein, Sud Africa. Nel 1938, uno studente di nome Gert Terblanche, trovò il frammento di un palato con attaccato un solo molare e diversi frammenti di cranio vicino alla fattoria Kromdraai, in Sud Africa. Ottenuto il fossile, Broom si recò sul posto e raccolse qualche frammento di cranio. Dopo averlo in parte ricostruito si accorse che apparteneva ad un esemplare diverso dall’australopiteco di Sterkfontein, poiché aveva i denti più grossi e la mandibola più grande: la nuova creatura fu chiamata Australopithecus Robustus. Il sito di Kromdraai si considera oggi risalente tra un milione e centomila e un milione e duecentomila anni fa. Broom trovò anche un frammento di omero e un frammento di ulna (l’uno l’osso del braccio e l’altro quello dell’avambraccio) e li attribuì con sicurezza all’australopiteco sebbene aggiunse: “Se fossero stati trovati isolati con ogni probabilità qualsiasi anatomista del mondo avrebbe detto che erano indubbiamente umani”. 18 Un’analisi condotta da H.M. McHenry8 nel 1972 stabilì che l’omero proveniente da Kromdraai “rientrava nel novero umano”, in netto contrasto con un robusto omero di australopiteco scoperto a Koobi Fora in Kenya che, secondo McHenry, non rientrava nel novero umano. Forse l’omero e l’ulna di Broom, così come il femore di Sterkfontein, appartenevano a qualcun altro. Forse ancora una volta siamo di fronte ad un indizio della convivenza dell’Homo Sapiens con i cosiddetti ominidi. Dopo la Seconda guerra mondiale, a Swarkrans, in Sudafrica, Robert Broom e J.T. Robinson trovarono: 1) i fossili di un Australopithecus Robustus dai denti grossi e forti, con una cresta ossea (cresta sagittale) sulla sommità del cranio. La cresta serviva per ancorare i possenti muscoli delle mascelle e la sua presenza esclude il Robustus (diversamente dal pur simile Africanus) dagli antenati dell’uomo. Al sito del ritrovamento è oggi attribuita un’età compresa tra il milione e duecentomila e il milione e quattrocentomila anni. 2) una mandibola di un’altra specie di ominide, più piccola e di tipo più umano di quella dell’australopiteco. Al sito del ritrovamento è 8 Professore di antropologia alla Davis University, California. 19 oggi attribuita un’età tra i trecentomila e cinquecentomila anni. Nel 1961, Robinson classificò la mandibola di Swarkrans attribuendola all’Homo Erectus. 3) una mandibola di tipo moderno, nello stesso deposito dei fossili di australopiteco. A sinistra: il cranio di una femmina di scimpanzé. A destra: cranio scoperto da Robert Broom a Sterkfontein, nel Sudafrica. Negli anni successivi alla guerra, Broom trovò un altro cranio di australopiteco a Sterkfontein. Scoprì poi altri resti di una femmina adulta di australopiteco, comprese parti della pelvi, della colonna vertebrale e delle gambe. La loro morfologia, insieme con alcune caratteristiche dei crani di Sterkfontein, dimostravano, secondo Broom, che gli australopitechi camminavano eretti. 20 Nel 1947, Raymond A. Dart, esaminando una galleria a Makapansgat, nel Sudafrica, trovò frammenti di crani di australopiteco e altre ossa, insieme a tracce di focolari e ossa annerite. Lo studioso concluse che gli ominidi di quel sito usavano il fuoco. Emersero inoltre quarantadue crani di babbuini, ventisette dei quali avevano la fronte sfondata e altri sette mostravano colpi inferti sul lato sinistro della fronte. Da tali testimonianze, Dart creò un’immagine tremenda di questo tipo di Australopiteco, dipingendolo come un uomo-scimmia assassino, che spaccava le teste servendosi di un osso come arma primitiva, e cuoceva sul fuoco le carni delle sue vittime nella caverna di Makapansgat. I paleoantropologi odierni come un descrivono l’Australopithecus semplice divoratore di carogne, non un cacciatore, e lo considerano incapace di accendere il fuoco. E allora chi ha lasciato i segni di focolai se non l’uomo moderno, l’unica specie attualmente ritenuta in grado di farlo? Forse, sia i crani dei babbuini che i crani di australopiteco costituivano dei trofei di caccia dell’Homo Sapiens, un’ipotesi che trova conferma in un ritrovamento di Pechino di cui parleremo. 21 Ingresso alla galleria di Magapansgat (Sud Africa). Nel 1959, Mary Leakey9 s’imbatté nei frammenti di un cranio di un giovane maschio di ominide nello Strato I della Gola di Olduvai. Quando i pezzi furono ricomposti, il marito Louis Leakey si accorse che la creatura aveva una cresta sagittale: una sporgenza ossea che correva per tutta la lunghezza della sommità del capo e che lo classificava come Australopithecus Robustus.Tra i frammenti del cranio furono 9 Archeologa e paleoantropologa inglese dell'università di Cambridge 22 rinvenuti degli utensili di pietra, tali da indurre a pensare ancora una volta ad una convivenza con l’Homo Sapiens. Il paleontologo Richard Leakley, secondogenito di Louis Leakley (paleontologo britannico dell'università di Cambridge). 23 Questo spaccato del pendio settentrionale della Gola di Olduvai mostra il punto in cui nel 1913 H.Reck trovò lo scheletro umano completo nello Strato II superiore. Lo strato II ha un'età compresa tra un milione e centocinquantamila e un milione e settecentomila anni. La Gola di Olduvai (Tanzania) dove nel 1913 fu trovato, dal professor Hans Reck, uno scheletro di uomo moderno risalente a 1.150.000 anni fa. La biografa di Leakey, Sonia Cole, sostenne che il reperto “con la sua cresta da gorilla sulla sommità del cranio e la fronte bassa, era ovviamente di gran lunga più simile ai robusti australopitecidi sudafricani di quanto lo fosse agli uomini attuali, con i quali, per essere sinceri, non mostrava alcuna somiglianza”. La questione della cresta sagittale complica le 24 cose: anche i maschi di gorilla e qualche maschio di scimpanzé hanno creste sagittali, assenti nelle femmine. La moglie di Leakey disse nel 1971: “La possibilità che l’Australopitecus Robustus e l’Australopiteco Africanus rappresentino il maschio e la femmina di una singola specie, merita una seria considerazione”. Se fosse verificata questa ipotesi, significherebbe che generazioni di esperti si sono clamorosamente sbagliate a proposito degli australopitechi. Donald Johanson10, rinvenne nel 1973 ad Hadar, nella regione di Afar in Etiopia, la parte superiore di una tibia e un femore distale (estremità inferiore di un femore). Da come la tibia e il femore si adattavano l’una con l’altro, Johanson ritenne di aver trovato la giuntura completa di un ginocchio, non di qualche antica scimmia, bensì di un antenato dell’uomo odierno. Il deposito che aveva restituito il fossile risaliva a tre milioni di anni fa. L’anno successivo, Alemayehu Asfaw, un etiope che lavora nel sito di Hadar insieme a Johanson, trovò qualche mandibola fossile che, con l’aiuto di Richard Leakey, giudicò appartenente al genere Homo. Johanson e Tom Gray11, nel novembre dello 10 Paleoantropologo americano, assistente e professore associato di antropologia alla Case Western Reserve University in Cleveland, Ohio, USA. 11 Paleoantropologo americano dell'università di Chicago. 25 stesso anno scoprirono dei frammenti di ossa appartenenti a un unico individuo (LUCY) che giacevano allo scoperto in superficie, in una gola vicino ad Hadar. Grazie a una combinazione di metodi di datazione (potassioargon, traccia di fissione e paleomagnetismo) si determinò per queste ossa un’età di tre milioni e mezzo di anni. Nel 1975, sul fianco di una collina, Johanson e la sua squadra rinvennero i resti fossili di tredici ominidi. Avevano un’età geologia di tre milioni di anni. Il lago Turkana, in Kenya, presso il quale nel 1972 Richard Leakley rinvenne nello stesso livello un cranio di Homo Habilis e due femori di uomo moderno. Data la differenza tra il femore e l’ulna del primo ritrovamento ad Hadar e lo scheletro di 26 Lucy, i tipi di ominide di Hadar dovevano essere due. Timothy D. White12, un paleontologo che aveva lavorato al lago Turkana con Richard Leakey13, convinse Johanson di trovarsi di fronte ad una nuova specie che battezzarono Australopiteco Afarensis. Si tratterebbe del più vecchio australopitecide mai scoperto, che avrebbe poi dato origine a due stirpi: l’Africanus e il Robustus. Ricostruzione dello scheletro di Lucy esposta al museo di storia naturale di Cleveland. 12 Paleoantropologo americano e professore di biologia integrativa presso l'Università di Berkeley, in California. 13 Paleoantropologo e politico keniano, lavorò per la Kenya Museum Society. 27 I fossili di Hadar non includono un cranio completo di Australopithecus Afarensis, ma Tim White mise insieme le ricostruzioni parziali ottenendo un cranio che assomigliava moltissimo a quello di una piccola femmina di gorilla. Quanto al corpo, Randall L. Susman14, Jack T. Stern15, Charles E. Oxnard16 e altri, lo hanno trovato molto scimmiesco, contraddicendo l’opinione di Johanson secondo il quale Lucy camminava eretta: la scapola era quasi identica a quella di una scimmia antropomorfa; la giuntura della spalla era volta verso l’alto indicando che le braccia le servivano probabilmente per arrampicarsi sugli alberi e per appendersi ai rami. Le ossa del braccio erano come quelle dei primati che vivono sugli alberi, e i punti di collegamento con la colonna vertebrale presentavano caratteristiche tali da far pensare a muscoli dorsali e spalle davvero possenti. Le ossa del polso e la zona del palmo della mano erano anch’esse adatte per potenti prese, e si poteva dire altrettanto delle ossa lunghe e curve delle dita. Anche i fianchi e le ossa delle gambe erano idonee alle arrampicate, e i piedi avevano dita ricurve, utili per aggrapparsi ai rami degli alberi. Se si ritiene che quest’ominide si sia evoluto in un essere umano, si deve comunque 14 Professore di antropologia evolutiva all'Università di Chicago. 15 Ricercatore sull'evoluzione del sistema muscolo-scheletrico primati presso l'Università di Chicago. 16 Antropologo australiano dell'università di Hong Kong. 28 ammettere che il suo aspetto anatomico è stato travisato per scopi propagandistici nell’immagine fornita da Johanson. Tra il 1950 e il 1960 Sir Solly Zuckerman17 pubblicò estesi esami biometrici in cui sosteneva che l’Australopithecus non era cosi simile all’uomo e Charles E. Oxnard alla fine del secolo aggiunse: “è piuttosto improbabile che uno qualunque degli australopitecidi potesse avere un qualsiasi legame filogenetico con il genere Homo”. Secondo Oxnard il cervello, i denti e il cranio dell’australopiteco erano del tutto identici a quelli delle scimmie. L’osso della spalla sembrava adatto per sostenere il corpo appeso ai rami degli alberi. Le ossa delle mani erano incurvate come quelle degli orangutan. La pelvi sembrava essere del tipo giusto per camminare a quattro zampe e per eseguire acrobazie. Lo stesso poteva dirsi per il femore e la caviglia. “Ci resta un’immagine di animali di media taglia, a proprio agio sugli alberi, in grado di arrampicarsi, di compiere qualche acrobazia e forse di servirsi delle braccia per appendersi ai rami”. Le obiezioni di Zuckerman e Oxnard furono presentate nel 1973 in un simposio della società di zoologia di Londra, senza risultato. Oxnard, come Louis e Richard Leakey, ritiene che l’uomo moderno risalga a un’epoca molto più remota di quanto sia comunemente ammesso, e richiama 17 Funzionario pubblico britannico, zoologo, consulente scientifico presso lo Zoological Society di Londra. 29 l’attenzione su alcuni ritrovamenti anomali di Homo Sapiens di cui parleremo. Zuckerman commentò amaramente che ormai “la voce della più alta autorità ha parlato, e al momento dovuto il suo messaggio sarà inserito nei libri di testo di tutto il mondo”. 30 Homo Habilis A sinistra: questo disegno mostra l'Homo Habilis come veniva rappresentato in genere prima del 1987. Dalla testa in giù, l'anatomia risulta essenzialmente umana. A destra: dopo che il primo individuo completo di Homo Habilis venne trovato nella Gola di Olduvai nel 1987, emerse una nuova immagine di questo ominide, di dimensioni minori e più simile a una scimmia di quanto lo si ritenesse in precedenza. La maggior parte dei paleoantropologi ritiene che l'Homo Habilis sia un diretto discendente dell'Australopithecus, dal quale si sarebbe separato circa due milioni di anni fa, agli inizi del Pleistocene. L'Homo Habilis doveva avere un aspetto molto simile al suo antenato, a parte una capacità cranica assai maggiore che va dai seicento ai settecentocinquanta centimetri cubici. 31 Ritrovamenti: • Nel 1960, Jonathan Leakey18, figlio di Luois Leakey19, trovò il cranio e le ossa di una mano e di un piede di un ominide nella Gola di Olduvai, nel nord della Tanzania. O.J. Lewis20, ha dimostrato che il piede era simile a quelli degli scimpanzé e dei gorilla. Riteneva che il piede fosse quello di un animale arboricolo, adatto alla vita sugli alberi. Randall L. Susman21 e Jack T. Stern22 si riferirono invece alla mano definendola adatta “per restare sospesi e arrampicarsi”. Tuttavia, le raffigurazioni dell’Homo Habilis lo ritraggono, per usare le parole di Cremo e Thompson, mentre cammina eretto e fiero attraverso le savane africane. Un drastico cambiamento nelle raffigurazioni si ebbe nel 1987, a causa del ritrovamento di uno scheletro completo di Homo Habilis, troppo scimmiesco per candidarlo antenato dell’uomo… Certo… se solo non fosse apparso troppo tardi per cambiare gli schemi. Ne parleremo. Negli anni successivi al 1960 seguirono molte altre scoperte, soprattutto denti, frammenti di 18 Uomo d'affari e primogenito di Louis Leakey, appassionato di paleoantropologia. 19 Paleontologo britannico dell'università di Cambridge. 20 Anatomista del Medical College all’ospedale St. Bartholomew di Londra. 21 Antropologia evolutiva dell'Università di Chicago. 22 Ricercatore sull'evoluzione del sistema muscolo-scheletrico dei primati presso l'università di Chicago. 32 mandibole e di crani. Alcune di queste ossa furono trovate nello strato II della gola. L'anatomista sudafricano Philip Thobias23 attribuì al primo cranio una capacità di seicentottanta centimetri cubici, troppo grande per un australopiteco e troppo piccola (di circa cento centimetri cubici) per un Homo Erectus. La nuova creatura fu chiamata Homo Habilis, cioè “capace”, in quanto Leakley la riteneva il fabbricante di alcuni utensili rinvenuti nella gola. La scoperta di una creatura contemporanea ai primi australopitechi ma con un cervello più grande, implicava secondo Leakley che l'Australopithecus non si trovasse sulla linea di discendenza diretta con l'uomo. E poiché Erectus era considerato un l'Homo allora discendente dell'Australopithecus, anche l'Homo Erectus doveva escludersi dagli antenati dell'uomo. • Nel 1972, il figlio di Louis Leakley, Richard24, scoprì a Koobi Fora presso il lago Turkana, in Kenya, un cranio di ominide fatto a pezzi. Dopo la ricostruzione si notò che la capacità cranica del reperto superava gli ottocentodieci centimetri cubici, risultando quindi maggiore di quella degli australopitechi. Richard Leakley attribuì il fossile all'Homo Habilis. Lo strato in cui fu 23 Paleoantropologo sudafricano e professore l'Università di Witwatersrand a Johannesburg. 24 Paleontologo e secondogenito di Luois Leakey. 33 presso scoperto si stendeva sotto il tufo, un deposito vulcanico che datato con il potassio-argon dava un'età di due milioni e seicento mila anni. Al cranio stesso fu attribuita un'età di due milioni e novecento mila anni, che lo rendeva contemporaneo del più vecchio australopiteco. A qualche distanza da dove era stato trovato il cranio, ma sullo stesso livello, John Harris, un paleontologo del Museo nazionale del Kenya, scoprì due femori del tutto umani, di cui uno associato a frammenti di tibie e fibule. Richard Leakley dopo un'attenta analisi concluse che “i femori erano diversi da quelli dell'Australopithecus e simili in modo stupefacente a quelli dell'uomo attuale. Non potevano essere riconosciuti al primo sguardo se confrontati con quelli dell’Homo Sapiens, tenendo in considerazione la gamma di variazioni note per questa specie”. Altri studiosi convennero con la sua analisi, compreso B.A. Wood, anatomista alla Medical School del Charing Cross Hospital di Londra, il quale dichiarò che i femori appartenevano “al tipo di locomozione corrispondente all’attuale deambulazione umana”. Della stessa idea era G.E. Kennedy25. Purtroppo, rifiutando l’idea di un Homo Sapiens vissuto due milioni di anni fa, la comunità scientifica attribuì infine le ossa all’Homo Habilis, contribuendo alla nascita di quelle raffigurazioni di cui abbiamo parlato 25 Paleoantropologo dell'Università di New York. 34 qualche riga indietro. Quando nel 1987 fu trovato il famoso scheletro completo, i cui femori differivano completamente dai femori in esame, nessuno si è preso la briga di rivalutare questi ultimi. • Gli studi effettuati dai paleoantropologi fino al 1987 attribuivano all'Homo Habilis un corpo essenzialmente umano, fatta eccezione per la testa, somigliante a quella di una scimmia. In quell’anno, Tim White26 e Don Johanson27 scoprirono nella Gola di Olduvai il primo individuo completo di Homo Habilis, con le ossa del corpo chiaramente associate al cranio. I resti scheletrici mostravano che la creatura era alta soltanto un metro circa e aveva braccia relativamente lunghe. Johanson e collaboratori giunsero alla conclusione che gli scienziati avessero, negli anni precedenti, attribuito per errore all’Homo Habilis molte ossa di arti. Detto questo, la transizione tra e l’Erectus coinvolgerebbe l’Habilis cambiamenti morfologici addirittura estremi, compreso un forte aumento delle dimensioni, in “soli” duecentomila anni. Richard Leakley, applicando i normali tassi di crescita umana, ha calcolato che un Homo Erectus adolescente scoperto nel 1984 sarebbe 26 Paleoantropologo americano e professore di biologia integrativa presso l'Università di Berkeley, in California. 27 Paleoantropologo americano, fu assistente e professore associato di antropologia alla Case Western Reserve University. 35 arrivato a raggiungere un metro e ottanta circa di altezza una volta diventato adulto. L'ominide di Habilis adulto trovato alla gola di Olduvai, era alto appena un metro o poco più. 36 Homo Erectus L'Homo Erectus discende ufficialmente dall'Homo Habilis, facendo la sua comparsa circa un milione di anni fa. Con una statura dal metro e mezzo al metro e ottanta e una capacità cranica tra i settecento e i milletrecento centimetri cubici, possedeva una fronte sfuggente dalle arcate sopraccigliari massicce, grandi mascelle e grossi denti, e una mandibola priva di mento. Si crede che la sua area di diffusione si estendesse dall'Asia all'Africa, all’Europa fino a circa duecentomila anni fa. I paleoantropologi ritengono che in quanto ad anatomia gli esseri umani attuali (Homo Sapiens Sapiens) siano emersi a poco a poco dall'Homo Erectus. Ritrovamenti: • 28 Nel 1891, presso il villaggio giavanese di Trinil, sulle rive del fiume Solo a Giava, verso la zona centrale dell'isola, Eugène Dubois28 rinvenne un dente di un primate (terzo molare superiore destro) e una calotta cranica molto fossilizzata e dello stesso colore del terreno di origine vulcanica. La caratteristica saliente della calotta cranica era l'arcata sopraccigliare grande e sporgente sopra le orbite, come quella di una scimmia antropomorfa. Presentava inoltre una profonda sutura tra la volta inferiore e l'arcata Paleontologo olandese dell'Università di Amsterdam. 37 superiore delle orbite, carattere che si trova solo nelle scimmie. Nel 1892, a 13 metri dai ritrovamenti del 1891, in mezzo a ossa di cervo, rinoceronte, iene, coccodrilli, maiali, tigri, ed elefanti estinti, Dubois trovò un femore simile a quello di un uomo moderno. Nonostante la distanza tra i reperti, ritenne che il femore e la calotta cranica appartenessero ad uno stesso esemplare di scimpanzé gigante estinto. Tuttavia, uno scambio epistolare con Ernst Haeckel, studioso tedesco che aveva predetto l’esistenza e commissionato un ritratto dell’ “anello mancante”, lo convinse di aver trovato proprio la congiunzione tra l’uomo e gli antropoidi. Eugène Dubois, paleontologo olandese dell'Università di Amsterdam, con la moglie Anna Lojenga in una foto del 1887. 38 Il volume del cranio di Giava si aggira tra gli 800-1000 centimetri cubici: per le scimmie odierne la media è di cinquecento centimetri cubici, mentre per l'uomo attuale si aggira intorno ai mille e quattrocento centimetri cubici, il che pone il cranio a metà strada tra i due. Tuttavia nel Pleistocene erano presenti molte specie di mammiferi con individui di taglia superiore a quella odierna: pertanto il cranio potrebbe appartenere a un gibbone eccezionalmente grande del Pleistocene medio ed esser così più sviluppato del cranio di un gibbone attuale. Secondo Dubois, il femore era quasi umano: questo gli fece concludere che l’ “anello mancante” camminava eretto, da cui il nome Homo Erectus. Non si deve dimenticare che il femore potrebbe non avere il minimo rapporto con il cranio, essendo stato recuperato in uno strato che conteneva centinaia di ossi di altri animali e a una distanza notevole dal luogo di rinvenimento del cranio; tali circostanze creano seri dubbi sul fatto che cranio e femore possano appartenere alla stessa creatura o a creature della stessa specie. Nel 1895, al congresso internazionale di zoologia a Leida, in Olanda, diversi scienziati non avvallarono le idee di Dubois, ritenendo l’animale una scimmia antropomorfa e sollevando seri dubbi sull’appartenenza del femore allo stesso individuo. Considerazioni simili seguirono nel dicembre dello stesso anno presso la Società 39 per l’antropologia, l’etnologia e la preistoria. Il presidente, dr. Virchow si rifiutò di presiedere alla riunione dichiarando: “Il cranio presenta una profonda sutura tra la volta inferiore e l’arcata superiore delle orbite. Una tale sutura si trova soltanto nelle scimmie, non negli esseri umani. Perciò il cranio deve appartenere a una scimmia antropomorfa. A mio parere questa creatura era un animale, un gibbone gigante o qualcosa del genere. Il femore non ha il minimo rapporto con il cranio”. L’anatomista Kollman della Società Antropologica di Karlsruhe dichiarò anch’egli che si trattava di una scimmia. Questo dimostrerebbe non solo che l’Homo Homo Erectus non è un antenato dell’uomo moderno, moderno ma (data la presenza del femore di tipo attuale) che addirittura l’uomo moderno e l’Homo Erectus hanno convissuto sul nostro pianeta. A conferma di ciò giunsero i risultati della spedizione degli anni 1907-1908 organizzata dal docente di zoologia dell’Università di Monaco, Emil Selenka, e da sua moglie, professoressa Lenore Selenka. Su quarantatre casse di fossili non fu ritrovato un solo nuovo frammento del presunto Homo Erectus. Emerse invece un dente sul quale George Grant MacCurdy29 ebbe a dire “La spedizione Selenka ci ha procurato un dente che Walkoff definisce indubbiamente umano [in senso moderno] emerso da depositi più antichi 29 Docente di antropologia a Yale. 40 [Pliocene] di quelli nei quali fu recuperato il Pithecanthropus Erectus”. La spedizione scoprì inoltre negli stessi strati del rinvenimento di Dubois ossi spaccati di animali, carbone e tracce di focolari, segni interpretati dalla paleontologia ufficiale accademica come prove della presenza dell’Homo Sapiens. Purtroppo oggi nessuno ne parla. • Nel 1907, Daniel Hartmann, un operaio che lavorava per l’Università di Heidelberg in una cava di sabbia di Mauer, in Germania, scoprì una grossa mandibola in fondo a uno scavo a una profondità di venticinque metri circa, in ottimo stato di conservazione. Nel 1972, David Pilbeam30 stimò, sulla base dei fossili tra i quali emerse il frammento, un'età compresa tra i duecentocinquantamila e i quattrocentocinquantamila anni fa. Stando a Frank E. Poirier31 (1977) e a T.W. Phenice32 (1972) i denti della mandibola possedevano caratteri più conformi ai denti di un attuale Homo Sapiens che a quelli dell'Homo Erectus asiatico, comprese le dimensioni e la forma delle cuspidi. Sempre nel 1972, Pilbeam descrisse un osso 30 Curatore di paleoantropologia presso il Peabody Museum di Archeologia ed Etnologia. 31 Antropologo fisico con cattedra al dipartimento di Antropologia alla Ohio State University di Columbus. Attivo nella ricerca sull’evoluzione dei primati nel deserto del Kuwait. 32 Dipartimento di Antropologia, Università del Kansas. 41 occipitale umano di tipo moderno rinvenuto a Vértesszollos, un sito del Pleistocene medio in Ungheria. Secondo il ricercatore, l’osso avrebbe all'incirca la stessa età della mandibola succitata. Siamo ancora di fronte ad indizi che confermerebbero la presenza dell’uomo moderno nel primo Pleistocene, contemporaneamente a scimmie antropomorfe che erroneamente chiamiamo ominidi. • Nel 1928, Davidson Black33, in una cava di calcare vicino la stazione ferroviaria di Chou Kou Tien, a quaranta chilometri da Pechino, rinvenne la metà destra di una mandibola dall'aspetto primitivo con tre molari permanenti in situ. L'anno seguente s’imbatté in un cranio umano quasi completo, in parte affondato nella sabbia sciolta e in parte racchiuso in una solida matrice: aveva la fronte bassa e le ossa orbitali pronunciate e sporgenti come quelle di un Homo Erectus. 33 Antropologo canadese, professore di neurologia ed anatomia a Pechino. 42 Davidson Black, antropologo canadese, professore di neurologia e anatomia a Pechino. Nel 1931, nella stessa località si rinvennero altri crani di Homo Erectus. Tutti questi reperti hanno un’età compresa tra i 460 e i 230 mila anni fa. Henry Breuil34 e altri ricercatori riferirono di aver trovato negli stessi strati spessi piani di cenere e centinaia di utensili di pietra indici, anche secondo la paleontologia 34 Archeologo, antropologo e geologo francese e professore di Preistoria al Collège de France. 43 dell’epoca, della presenza dell’Homo Sapiens. Henry Breuil, archeologo, antropologo e geologo francese, professore di preistoria al Collège de France. ed eminenti studiosi mi hanno espresso, e non di concerto, l’opinione che un essere fisicamente così diverso dall’uomo […] non fosse in grado di eseguire i lavori che ho appena descritto. In tal caso i resti scheletrici […] potrebbero considerarsi quali semplici trofei di caccia, attribuibili, così come le tracce di focolari e di manifatture, a un vero uomo, i cui resti non si sono ancora trovati.” Dichiarò Breuil: “Numerosi Nel 1934, lo studioso Franz Weidenreich35 scrisse una serie di relazioni riassuntive sui fossili dell'uomo di Pechino. Stando ai suoi 35 Anatomista e antropologo fisico. Professore all’Università di Chicago e successore di Davidson come direttore del Laboratorio di Ricerca sul Cenozoico del Servizio Geologico cinese. 44 resoconti, i resti fossili degli individui della specie Erectus, soprattutto i crani, fanno pensare che questa creatura sia stata vittima di pratiche di cannibalismo. Weidenreich osservò che a tutti i crani relativamente completi mancavano pezzi della parte centrale della base. Notò che nei crani attuali della Melanesia “si riscontrano le stesse mutilazioni in seguito cannibalismo rituale”. a pratiche di Franz Weidenreich, anatomista e antropologo fisico. E' stato professore all’Università di Chicago e successore di Davidson come direttore del Laboratorio di Ricerca sul Cenozoico del Servizio Geologico cinese. Nella foto è con Charles Falkenbask (a destra) durante lo studio dei fossili dell'uomo di Pechino. Oltre alla mancanza di parte della base cranica, Weidenreich osservò altri segni che potrebbero attribuirsi a una deliberata violenza: alcuni crani mostrano tracce di colpi 45 “riscontrabili soltanto se tali colpi vengono inferti quando l'osso si trova ancora in una condizione di plasticità”, e indicherebbero come “le ferite descritte possano essere state procurate quando la vittima era ancora viva o morta da poco”. Alcune ossa lunghe spezzate di Erectus rinvenute a Chou Kou Tien, recavano segni che secondo Weidenreich suggerivano l'intervento dell'uomo, forse per estrarne il midollo. Fece notare inoltre come si fosse operata una selezione delle ossa perché, a parte poche ossa lunghe, soltanto le teste vennero portate nelle caverne. Marcellin Boule, direttore dell'istituto di paleontologia umana in Francia, suggerì la possibilità che l'Homo Erectus fosse stato cacciato da un'altra specie di ominide più intelligente. Boule riteneva che la modesta capacità cranica di questa creatura implicasse che l'ominide non era abbastanza intelligente per aver fatto ricorso al fuoco e fabbricato gli utensili di pietra o di osso scoperti entro la caverna. Questi indizi confermano l’ipotesi di un Homo Sapiens che cacciava gli altri ominidi forse già nel Pleistocene, come suggerito già dai fossili di Australopiteco emersi a Makapansagat (Sud Africa). • Abbiamo già parlato della scoperta di due mandibole, una corrispondente al tipo Homo Erectus ed una al tipo Homo Sapiens, ritrovate a Swarkrans (Sud Africa) da R.Broom e J.T. 46 Robinson. La presenza della mandibola di Homo Sapiens in uno strato d’età compresa tra 1.200.000 e 1.400.000 anni fa indusse Robinson a ritrattare, attribuendo anch’essa all’Homo Erectus. Tuttavia, un confronto tra le due mandibole è sufficiente a escludere la loro appartenenza alla stessa specie. 47 Homo Sapiens Sapiens Secondo gli studi ufficiali, l'anatomia degli esseri umani attuali (Homo Sapiens Sapiens) è emersa poco a poco dall'Homo Erectus. A un certo momento, tra i trecentomila e i quattrocentomila anni fa, il primo remoto Homo Sapiens avrebbe fatto la sua comparsa. E’ descritto come una creatura dalla grande capacità cranica, di poco inferiore a quella degli uomini attuali, ma portatore, seppur in misura minore, di alcune caratteristiche dell'Homo Erectus: un cranio massiccio, una fronte sfuggente e pronunciate arcate sopraccigliari. Gli scienziati sono soliti sostenere che l'Homo Sapiens Sapiens dall’anatomia moderna comparve per la prima volta intorno ai quarantamila anni fa, sebbene molti autorevoli studiosi, alla luce di nuove scoperte nel Sud Africa e in altri luoghi, stiano ora spostando la data della sua comparsa ad oltre centomila anni fa. Rispettabili uomini di scienza del XIX secolo, scoprirono un certo numero di resti di scheletri di uomini dall'anatomia moderna in strati antichissimi, rinvenendo anche un nutrito numero di attrezzi di pietra di diversi tipi, così come ossa di animali che recavano i segni di un intervento umano. Gli “addetti ai lavori” giunsero sempre alla conclusione che si trattava di una cosa impossibile ed escogitarono qualche sistema per screditare i ritrovamenti, facendoli passare per sbagli, illusioni o scherzi. 48 Ritrovamenti: • nel 1899, Ernest Volk36, scoprì un femore umano in uno scavo per la posa di un tratto di binari a sud di Hancock Avenue, all'interno della cinta municipale della città di Trenton, nel New Jersey. Il femore, completamente fossilizzato, fu trovato a poco meno di un metro e mezzo sotto la superficie, insieme a due frammenti di calotta cranica umana intatti. Volk asserì che gli strati sovrastanti e quelli su ogni lato del reperto apparivano intatti. Le ossa umane “bianche e gessose” si uniformavano allo strato di sabbia bianca in cui erano incluse. Ciò esclude un’infiltrazione dagli strati superiori di colorazione gialla e rossa. Lo strato in cui furono estratti questi reperti risale a centosettemila anni fa37. Secondo le teorie correnti, gli esseri umani della specie attuale avrebbero fatto la loro comparsa nel Sud Africa circa centomila anni fa, e sarebbero migrati in America da non più di 30 mila anni. • Nel 1888, a Galley Hill, nei pressi di Londra in Inghilterra, Jack Allsop, un operaio che stava effettuando degli scavi civili, rinvenne uno scheletro umano di tipo moderno saldamente incluso nel terreno, a circa due metri e mezzo 36 Procacciatore di reperti per il Museo Peabody di etnologia e archeologia americana all’università di Harvard. 37 Datazione riferita da Ron Witte dell’istituto geologico del New Jersey. 49 sotto una superficie di sabbia, humus e ghiaia e poco più di mezzo metro al di sopra di uno strato di gesso. M.H.Heys, un insegnante che ebbe modo di osservare le ossa all’interno dei depositi prima che fossero rimosse si espresse in tal modo: “Nessun individuo dotato d’intelligenza media potrebbe sollevare dubbi sul fatto che le ossa siano state coperte dalla ghiaia nello stesso momento in cui si è depositata a formare lo strato”. Gli attuali criteri di studio farebbero risalire il sito di Galley Hill a circa trecentotrentamila anni fa. Nonostante le prove stratigrafiche riportate da Heys, Elliott38, K.P. Oakley39 e M.F.A. Montagu40, molti moderni paleoantropologi giunsero alla conclusione che lo scheletro doveva essere stato seppellito di recente nei depositi del Pleistocene medio. Kenneth P. Oakley, paleontologo e geologo, noto per il suo lavoro sulla datazione relativa di fossili in base al fluoro contenuto. 38 Collezionista di oggetti preziosi. 39 Paleontologo e geologo, noto per il suo lavoro nella datazione relativa di fossili sulla base del fluoro contenuto. 40 Antropologo e saggista inglese dell'università di Londra. 50 Prevalse l’opinione secondo cui le ossa, in quanto non fossilizzate, non potevano che risalire a pochi millenni prima. Si sostenne come la quasi completezza dello scheletro rappresentasse un indizio quasi certo di una deliberata sepoltura anche se, in realtà, allo scheletro umano mancavano quasi tutte le costole, gli avambracci, le mani e i piedi. Scheletri meglio conservati sono stati ritrovati Erectus, l’Habilis e per l’Homo l’Australopithecus, senza che per questo la comunità scientifica sollevasse dei dubbi. Secondo Sir Arthur Keith41, anche volendo accettare l’ipotesi della sepoltura, questa avvenne “quando lo strato di ghiaia più basso costituiva la superficie di un territorio”, così che la datazione a 330.000 anni fa rimane invariata. • Nel 1863, J. Boucher de Perthes7 scoprì una mandibola umana anatomicamente moderna, nella cava di Moulin Quignon ad Abbeville, in Francia, in uno strato di sabbia nera mista a ghiaia, sotto cinque metri dalla superficie della cava. Insieme alla mandibola furono trovati degli utensili di pietra di tipo acheuleano che, data l’età dei siti dell’Acheuleano ad Abbeville, farebbero risalire il frammento umano a trecentotrentamila anni fa. All’epoca, gli 41 Fisiologo e medico britannico, fu direttore dell' Hunterian Museum in Scozia. 51 studiosi ritenevano l'uomo di Neandertal un immediato antenato dell'Homo Sapiens e non accettavano l'autenticità della Mandibola di Moulin Quignon. Questa, infatti, avrebbe implicato l'esistenza di essere umani con una anatomia simile a quella dell'uomo attuale in un periodo precedente gli uomini di Neandertal (li si fa risalire tra i 150 mila ai 30 mila anni). Oggi, l’idea che il Neandertal sia il diretto antenato dell’uomo moderno è passata di moda e non è più sostenuta nell’ambiente accademico. Tuttavia, la sua età di 330.000 anni continua a non far accettare la mandibola di Moulin Quignon. Molti anni dopo, nello stesso sito, de Perthes effettuò nuovi scavi sotto l’osservazione di scienziati qualificati, rinvenendo molte altre ossa dall'anatomia umana moderna. Tali reperti costituiscono una dimostrazione significativa della presenza umana in Europa durante il Pleistocene medio, più di trecentomila anni fa. • Nel 1911, J. Reid Moir rinvenne uno scheletro appartenente ad un essere umano in tutto simile agli uomini del giorno d'oggi a Ipswish, nell’East Anglia, una regione dell'Inghilterra. Fu trovato a una profondità di meno di un metro e mezzo, tra uno strato di massi morenici tondeggianti di argilloscisto e i depositi sottostanti di sabbia glaciale: questa sabbia si è depositata tra l'inizio della glaciazione angliana, risalente a circa 52 quattrocentomila anni fa e l'inizio del periodo interglaciale hoxniano, databile a circa trecentomila anni fa. Nello stesso strato Moir trovò alcuni utensili di pietra e tracce di focolari. L’assenza di fratture e sconvolgimenti conduce a credere che l'età dello scheletro di Ipswish possa variare in questo periodo, seppure la comparsa degli esseri umani del tipo attuale si ritiene non abbia avuto luogo nell'Europa occidentale prima di trentamila anni fa. Keith dichiarò che le condizioni delle ossa erano simili a quelle degli animali fossili del Pleistocene trovati altrove nelle sabbie glaciali e aggiunse: “Se lo scheletro fosse stato anatomicamente primitivo… nessuno avrebbe dubitato che avesse la stessa età della morena di argilloscisto”. • Nel 1896, a Buenos Aires in Argentina, degli operai trovarono un cranio umano in un fosso perimetrale, scavato sul fondo di un bacino navale attraverso uno strato di toscanite, una roccia simile a un calcare molto duro. Secondo Ales Hrdlicka della Smithsonian Institution, la scatola cranica era del tutto identica a quella di un essere umano attuale. Il livello nel quale giaceva si trovava undici metri più in basso del letto del Rio de la Plata, nella parte più alta dello strato pre-ensenadiano, datato dai geologi odierni come minimo a un milione, un milione e mezzo di anni fa. Pur trattandosi di una chiara formulazione del 53 discutibile principio di una datazione basata sulla morfologia, molti studiosi tra cui lo stesso Ales Hrdlicka, definirono il privo di ritrovamento “geologicamente significato, poiché l'età del cranio umano non potrebbe arrivare a superare quella delle formazioni geologiche moderne, ancora incomplete...” • Nel 1855, a Foxhall in Inghilterra, John Taylor raccolse una mandibola umana in una cava, in uno strato che si trovava cinque metri sotto il livello del terreno. Le condizioni del fossile, completamente infiltrato dall'ossido di ferro, si accordavano con la sua localizzazione in quello strato che non aveva meno di due milioni e mezzo di anni. Si tratta dello stretto strato dei reperti di Moir. Studiosi come Charles Lyell42, George Busk43, Richard Owen44, Sir John Prestwich45 e Thomas Huxley46 Si mostrarono scettici sulla notevole età del reperto e, secondo la testimonianza del paleontologo americano Henry Fairfield Osborn, non si presero nemmeno il disturbo di visitare il sito “perché la forma della 42 Geologo scozzese dell'Università di Oxford. 43 Zoologo e paleontologo, è stato Hunterian Professor di Anatomia comparata e fisiologia al Royal College of Surgeons. 44 Sovrintendente delle collezioni di storia naturale del British Museum. 45 Geologo inglese, lavorò presso la Geological Society di Londra. 46 Biologo britannico, è stato presidente della Royal Society britannica. 54 mandibola non era primitiva”. Quasi nessuno degli autorevoli studiosi del giorno d'oggi menziona questo ritrovamento. • Nel 1913, il professor Hans Reck dell’università di Berlino, mentre conduceva delle ricerche nella Gola di Olvudai in Tanzania, all'epoca Africa orientale francese, trovò incluso in un solido blocco di sedimenti compatti un intero scheletro pienamente umano. La Gola di Olvudai è formata da una sequenza di cinque strati: lo scheletro giaceva nella parte più alta dello strato II, la cui età è stimata attualmente a un milione e centocinquantamila anni. Questo strato era coperto dai detriti di un vivido colore rosso provenienti dallo strato superiori III e dal calcare di crostone desertico dello strato V. A quanto sembrava, nel sito lo strato IV era stato asportato dall’erosione prima che si depositasse lo strato V. Questo spaccato del pendio settentrionale della Gola di Olvudai mostra il punto in cui nel 1913 H.Reck trovò lo scheletro umano completo nello Strato II superiore. Lo strato II ha un'età compresa tra un milione e centocinquantamila e un milione e settecentomila anni. 55 Reck considerò con attenzione la possibilità che lo scheletro umano fosse arrivato nello strato II in seguito a una sepoltura, osservando che le pareti della tomba avrebbero avuto confini ben definiti, un margine che avrebbe mostrato nel profilo una linea di divisione dalla pietra intatta. Il riempimento della sepoltura avrebbe presentato una struttura anomala e una miscellanea di materiali di scavo eterogenei, nei quali sarebbero stati inclusi ben riconoscibili frammenti di crostone desertico. Non fu trovato nessuno di questi segni nonostante il più accurato controllo. Louis Leakey47 visitò il sito ed esaminò lo scheletro, arrivando a dichiarare: “Sono stato fortunato quanto basta per esaminare di persona lo scheletro a Monaco mentre era ancora intatto nella sua matrice originale, e ho potuto constatare l’assoluta assenza di una tale mistura o di qualsiasi altro sommovimento”. C. Forster Cooper48 e D.M.S. Watson49 dissero in una lettera del 1932 a Nature che forse i ciottoli dello strato III si erano scoloriti. Tuttavia A.T.Hopwood50 fece notare che la sommità dello strato II nella quale era stato trovato lo scheletro era a sua volta rossastra, dichiarando: “il colore rossastro della matrice contrasta con la teoria che qualsiasi 47 Paleontologo britannico dell'università di Cambridge. 48 Zoologo dell'università di Camdbrige. 49 Zoologo dell'università di Londra. 50 Professore presso l'università di Camdbrige. 56 inclusione nello strato II potesse essersi scolorita”. Utensili “aurignaciani” sono stati trovati nel livello più basso dello strato V, risalente a 400.000 anni fa. Ciò nonostante, studiosi come P.G.H. Boswell51, J.D. Solomon52 e T. Mollison53 conclusero che lo scheletro arrivò da strati recenti tramite sepoltura. Essi furono in grado di fornire solo dubbie testimonianze e ragionamenti astratti, in quanto il sottile spessore dei sedimenti dello strato II, direttamente a contatto con il reperto, era intatto. Contraria all’ipotesi di una sepoltura tarda è inoltre la consistenza dello strato II, dura come la roccia. • Milioni di anni fa, durante il periodo del Pliocene, un mare caldo bagnava i pendii meridionali delle Alpi, depositando sul fondo strati di corallo e molluschi. 51 Geologo dell'Università di Liverpool. 52 Professore di antropologia presso l'Imperial College of Science and Technology. 53 Professore di antropologia all'università di Monaco di Baviera. 57 Questo spaccato del Colle del Vento, nei dintorni di Castenedolo, in Italia, mostra una posizione stratigrafica generale degli scheletri trovati in luogo: 1) I fossili umani scoperti dal geologo Ragazzoni nel 1860 giacevano sul banco costituito da coralli e conchiglie, nel punto sottostante all'argilla blu del Pliocene medio, a sua volta coperta dall'argilla rossa (ferretto) dilavata dalla sommità della collina. 2) Il gennaio del 1880, altri fossili umani, appartenenti a tre individui (un uomo e due bambini), furono scoperti circa quindici metri dal sito del 1860. Le ossa giacevano sul banco di corallo ed erano coperte da circa due metri di argilla blu del Pliocene, sopra la quale si stendeva uno strato di ferretto. 3) Il febbraio del 1880, si rinvennero le ossa di una donna alla profondità di un metro, entro l'argilla blu, ricoperta di uno strato di sabbia gialla e di ferretto di un rosso vivido. In tutti e tre i casi, Ragazzoni andò in cerca dei segni di una sepoltura ma non ne trovo alcuno. 58 Nel 1860, a Castenedolo (Brescia), in una cava ai piedi del Colle del Vento, il geologo Giuseppe Ragazzoni rinvenne un cranio (completamente riempito da pezzetti di corallo cementati con l'argilla), giacente lungo un banco di corallo e conchiglie. Il cranio fu trovato insieme ad altre ossa del torace e delle gambe, in un punto sottostante all'argilla blu del Pliocene medio, a sua volta coperta dall'argilla rossa (ferretto) dilavata dalla sommità della collina (1 1). A questa prima scoperta ne seguirono altre tra il dicembre del 1879 e il gennaio del 1880 (2 2), comprendenti frammenti di crani e mandibole, qualche dente, parti della colonna vertebrale, costole e resti ossei di braccia, gambe e piedi. Le ossa furono trovate a una profondità di due metri, al confine tra il banco di conchiglie e corallo e la sovrastante argilla blu, disperse come se fossero state sparpagliate dalle onde del mare. Secondo Ragazzoni “erano interamente coperte e colmate di argilla e minuscoli frammenti di corallo e di conchiglia, il che spazzò via ogni dubbio che si potesse trovare di fronte a resti di persone sotterrate in una sepoltura.” Il 16 febbraio venne alla luce un intero scheletro di donna anatomicamente moderno (3 3). Ragazzoni riporta: “Lo scheletro completo venne trovato nel mezzo di uno strato di argilla blu… Tale strato di argilla blu è spesso più di un metro, ha conservato la propria 59 stratificazione uniforme e non mostra alcuna traccia di sommovimenti. Lo scheletro aveva tutta l’aria di essersi depositato in una specie di fango marino, e non è stato sepolto in un periodo successivo, poiché in questo caso si sarebbero notate tracce della sabbia gialla sovrastante e dell’argilla rosso mattone chiamata ferretto.” L’argilla blu di Castenedolo è datata dai geologi odierni tra i 3 e i 4 milioni di anni fa. Il professor Giuseppe Sergi, anatomista dell’università di Roma, notò che la maggior parte delle ossa (a parte lo scheletro di donna) era disseminata in mezzo alle conchiglie e ai coralli sottostanti l’argilla blu, come si sarebbe potuto verificare su un’unica superficie piana. Ciò viene a sostegno dell’ipotesi che questi corpi siano finiti su un basso fondale. Quando si sono decomposti, l’acqua ha disperso le ossa. Tutti i citati ritrovamenti erano secondo Ragazzoni e Sergi incrostati di argilla blu del Pliocene e di frammenti di conchiglie e di corallo. Inoltre dichiarò Sergi che “lo scheletro quasi completo della donna non è stato trovato in un atteggiamento che potrebbe far pensare a una normale sepoltura, ma in una posizione contorta”. A favore delle scoperte di Ragazzoni si espresse anche Armand de Quatrefages54. 54 Antropologo presso il Museo Nazionale d'Histoire Naturelle. 60 • Negli anni compresi tra il 1850 e il 1860, a Savona, una città della Riviera, degli operai scoprirono sul fondo di un fosso, alla profondità di tre metri, uno scheletro dall'anatomia in tutto simile a quella umana attuale. Lo strato in cui si trovava tale scheletro risaliva a tre o quattro milioni di anni prima. Arthur Issel55 comunicò i particolari del ritrovamento al congresso di antropologia e archeologia preistorica di Parigi del 1867, dichiarando che l’uomo di Savona “era contemporaneo degli strati in cui venne trovato”. Al congresso di antropologia e archeologia preistorica del 1871, padre Deo Gratias, studioso di paleontologia, spiegò che “nel momento del ritrovamento, lo scheletro era atteggiato in una posizione distesa con le braccia protese in avanti, la testa leggermente ripiegata verso il basso e il torso più in alto rispetto alle gambe, come un uomo immerso nell'acqua. Non è logico pensare che un corpo possa essere sepolto in una posizione simile: infatti sembrava più la posizione di un corpo in balia delle onde. Il fatto di aver trovato lo scheletro di fianco a una roccia entro lo strato di argilla rende possibile che sia stato sospinto dal moto ondoso contro questo ostacolo”. E aggiunse: “Se si fosse trattato di una sepoltura, ci si doveva aspettare di trovare gli strati superiori mescolati con quello inferiore. 55 Professore di Geologia all’Università di Genova 61 Gli strati superiori contengono sabbie di quarzite bianca. Il mescolamento avrebbe ottenuto il risultato si schiarire in maniera evidente una ristretta zona dell'argilla del Pliocene in effetto sufficiente a suscitare qualche dubbio tra i presenti circa la fondatezza di un'età cosi remota come quella che veniva attribuita al reperto. Le piccole come le grandi cavità delle ossa dell'uomo erano riempite dall'argilla ormai compatta del Pliocene. Ciò si sarebbe potuto verificare soltanto ai tempi del Pliocene stesso, quando l'argilla aveva ancora la consistenza del fango.” L'uomo quindi potrebbe essere annegato durante il Pliocene, in quanto il sito era un tempo coperto dalle acque basse del litorale di un mare, come dimostrato dalla presenza di conchiglie fossili vicino allo scheletro. • Nel decennio tra il 1880 e il 1890, il dipendente del Museo di La Plata Santiago Pozzi trovò un atlante (la prima vertebra a partire dall'alto della colonna vertebrale) in una formazione sul monte Hermoso del primo Pliocene. All'epoca era ancora coperto dal caratteristico loess di un marrone giallastro della formazione montehermosana, risalente in un'epoca compresa fra i tre e i cinque milioni di anni fa. Quando il loess fu rimosso, gli esperti studiarono con cura il reperto: 62 Florentino Ameghino56 attribuì l'atlante a un antenato dell'uomo, simile a una scimmia identificandone delle caratteristiche a suo dire primitive; Ales Hrdlicka dimostrò tuttavia in maniera convincente che la sua forma era, in effetti, molto attuale; però secondo lui questo bastava a recente, supponendo una specie d’intrusione nello strato antico in cui si era rinvenuta la vertebra. Concludendo, più di tre milioni di anni fa in Argentina vivevano esseri umani di tipo anatomicamente moderno, poiché sull’atlante ci sono i segni di essere stato totalmente incluso in sedimenti della formazione montehermosana. Florentino Ameghino, paleontologo e direttore del Museo Nazionale di Buenos Aires. • Nel 1921, il curatore del museo di Miramar 56 Paleontologo e direttore del Museo Nazionale di Buenos Aires. 63 Lorenzo Parodi rinvenne nella località argentina una mandibola umana con due molari, in una formazione Chapadmalalan del tardo Pliocene: era incastra nella barranca (gola o canyon) a grande profondità negli strati Chapadmalalan, circa allo stesso livello del mare. La mandibola pertanto risalirebbe a circa due o tre milioni di anni fa. E. Boman57 diede per scontato che la natura pienamente umana del frammento di mandibola trovato a Miramar fosse da attribuire senza possibilità di equivoci a un'età recente. Ma ciò non esclude affatto la possibilità che questo fossile dimostri la presenza di esseri umani completamente sviluppati nell'Argentina del Pliocene. • Nel 1974, B.A. Wood, descrisse un astragalo (osso della caviglia) trovato al lago di Turkana, giacente tra il tufo KBS e il tufo Koobi Fora che si trova subito sopra. Egli confrontò l'astragalo fossile con quello degli esseri umani moderni, risultando conforme in tutte le sue misure. Questo reperto conta da un milione e mezzo a due milioni di anni, ed è all'incirca contemporaneo a creature distinte con i nomi Australopithecus Robustus, Homo Erectus e Homo Habilis. L’esame di Wood mostrò significative differenze con gli astragali degli attuali boscimani così che questo frammento osseo potrebbe appartenere ad un umano 57 Antropologo presso il Museo Louvre di Parigi. 64 dall'anatomia attuale vissuto Pleistocene o nel tardo Pliocene. • nel primo Nel 1932, Luois Leakey58 annunciò delle importanti scoperte avvenute a Kanjera e a Kanam, nei pressi del lago Vittoria, in Kenya. Leakey visitò Kanjera insieme a Donald McInnes59, trovando asce di pietra, un femore umano e dei frammenti di cinque crani (con una morfologia identica a quella degli uomini d'oggi). Gli strati che contenevano i fossili corrispondevano allo strato IV della Gola di Olduvai, quindi risalenti a un periodo compreso fra quattrocentomila e i settecentomila anni fa. Nello stesso anno a Kanam, un raccoglitore di nome Juma Gitau, mentre lavorava a pochi metri da Leakey (che aveva già trovato alcuni rozzi utensili di pietra), estrasse un blocco di travertino60 e spaccandolo con un piccone vide sporgere un dente da un frammento della roccia. Dopo aver spaccato ulteriormente il travertino intorno al reperto di Gitau, gli studiosi si trovarono di fronte a un frammento di mandibola umana con due premolari. Leakey ritenne che tale mandibola fosse molto simile a quella di un Homo Sapiens e annunciò la sua scoperta su Nature. Gli strati di Kanam risalgono al primo Pleistocene, due milioni di 58 Archeologo e antropologo inglese presso l'università di Cambridge. 59 Paleontologo e assistente di Luois Leakey. 60 Deposito roccioso di carbonato di calcio. 65 anni fa. Nel marzo del 1933, la sezione di biologia umana dell'Istituto reale di antropologia, sotto la presidenza di Sir Arthur Smith WoodWard61, si riunì per prendere in esame le scoperte di Leakey, giungendo alle seguenti conclusioni: 1) Geologiche - I fossili umani di Kanjera e di Kanam erano contemporanei agli strati in cui giacevano al momento della scoperta. 2) Paleontologiche - Gli strati di Kanam appartenevano al primo Pleistocene, mentre quelli di Kanjera risalivano almeno al Pleistocene medio. 3) Archeologiche – Utensili di pietra erano presenti negli stessi strati dei fossili umani di Kanam e Kanjera. 4) Anatomiche – I crani e il femore di Kanjera non mostravano alcuna caratteristica in contrasto con quelle attribuite all'Homo Sapiens. Quanto alla mandibola di Kanam, gli esperti di anatomia dissero di trovarla insolita sotto qualche aspetto, ma non seppero indicare alcun particolare incompatibile col tipo Homo Sapiens. Il geologo Percy Boswell mise in discussione i ritrovamenti fatti da Lakey, dal momento che gli sembravano poco chiare le condizioni geologiche del sito di scavo. Sostenne che "gli strati argillosi trovati in quella località hanno spesso subito molti sommovimenti e slittamenti", e che la mandibola di Kanam, pur 61 Paleontologo inglese dell'Università di Stato del Minnesota. 66 essendo stata trovata in una formazione appartenente al primo Pleistocene, poteva esservi entrata in qualche modo dall'alto per un “crollo” degli strati o attraverso un crepaccio. Leakey non accettò questa interpretazione giacché non era suffragata da nessuna prova e replicò: "Lo stato di conservazione del fossile [la mandibola] è identico sotto ogni rispetto a quello dei fossili del basso (primo) Pleistocene trovati insieme ad esso". A sostegno di Leakey, una conferenza sponsorizzata dall’UNESCO, tenutasi a Parigi nel 1979, vide i trecento delegati accettare all’unanimità il fatto che i crani di Kanjera facessero parte del Pleistocene medio. Nel 1962, Philip Tobias disse che la mandibola di Kanam somigliava molto più vicino da vicino a un'altra mandibola del tardo Pleistocene medio proveniente da Rabat, in Marocco, e alle mandibole del tardo Pleistocene medio quali quelle delle Caverne dei Focolari nel Sud Africa e di Dire Daua, in Etiopia. Secondo Tobias, queste mandibole mostravano caratteristiche neandertaliane. Accettando questa teoria ci si trova ancora in territorio minato, con i Neandertal nel primo Pleistocene, più di un milione e novecentomila anni fa. Stando agli studi ufficiale questi ominidi comparvero poco più di quattrocentomila anni fa e sopravvissero fino a trenta o quarantamila anni prima dell'epoca attuale. 67 In figura sono delineate alcune mandibole trovate in diverse parti del mondo: si noti che il contorno della mandibola di Kanam (h) è simile a quella dell'esemplare della Border Cave in Sud Africa (f) riconosciuto come Homo Sapiens Sapiens e a quella di un attuale indigeno sudafricano (g). Tutte e tre condividono due caratteristiche chiave del mento dell'uomo odierno, e cioè una lieve rientranza nella parte alta e lo sporgere alla base. Concludendo, i crani di Kanjera, considerati attuali sotto il profilo anatomico, potrebbero avere quindi un'età equivalente a quella dello strato VI dell'Olduvai, compresa tra i quattrocentomila e i settecentomila anni. Invece per la mandibola di Kanam le condizioni tassonomiche sono incerte, tanto che molti ricercatori attuali hanno esitato a definirla attuale, sebbene questa classificazione non possa essere del tutto esclusa. Se risale addietro nel tempo quanto la fauna di Kanam, che è più remota dello strato I dell'Olduvai, allora la mandibola di Kanam supera il milione e novecentomila anni di età. 68 I contorni delle mandibole mostrati qui sopra (senza alcun rapporto in scala) sono stati tratti da fotografie pubblicate, tranne per la a) e la g), ricavati da disegni: a)Australopithecus, Omo, Etiopia; b)Homo Erectus, Heidelberg (Mauer), Germania; c)primo Homo Sapiens, Arago, Francia; d)Neandertal, Shanidar, Iraq; e)Homo sapiens rhodesiensis ("neanderthaloide", secondo P.V.Tobias), Caverna dei Focolari, Sud Africa; f)Homo Sapiens Sapiens, Border Cave, Sudafrica; g)Homo Sapiens Sapiens, odierno indigeno sudafricano; h)Mandibola di Kanam. 69 70 71 72