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Dio è una proiezione umana

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Dio è una proiezione umana
mito 2
Dio è una proiezione umana
“Ciò che l’uomo non è, ma ha il desiderio o la volontà di diventare, questo, e solo questo,
significa essere Dio”.
Ludwig Feuerbach
“Quando un individuo adulto scopre di essere destinato a rimanere fanciullo per sempre, che
non vivrà mai senza protezione da potenze superiori estranee, egli attribuisce loro le
caratteristiche della figura paterna; egli crea per sé stesso gli dei che teme, tenta di
riconciliarsi a loro, e a loro, nonostante tutto, affida la propria protezione… Un Dio personale è,
psicologicamente, niente altro che un padre esaltato”.
Sigmund Freud
Dio è una proiezione di padre umano, secondo
Sigmund Freud. Dio non esiste perché Egli è solo il
nostro anelito concettuale di un padre celeste. Egli è
un essere immaginario che vorremmo esistesse, per
proteggerci come ha fatto il nostro padre terreno
quando eravamo piccoli. Dio è come un padre per
adulti infantili, per dirla così. Usando le parole di
Freud: “Dio è un sostituto del padre, o più
precisamente un padre che è stato innalzato, oppure,
ancora, è una copia del padre, così come il padre è
stato visto e vissuto nell’infanzia”.
Il punto di vista di Freud ha molto senso se ci
pensi. Siamo infatti venuti al mondo come neonati inermi, bisognosi delle cure dei
nostri genitori per sopravvivere. Bramiamo sicurezza e protezione dalle minacce della
natura e dalla società. Ci manca il legame intimo che avevamo con i nostri genitori
quando eravamo tanto piccoli da dover dipendere da loro. E un Dio personale,
onnipotente, corrisponde alla figura che possa soddisfare tali desideri. Egli sarebbe
una perfetta fonte di cura, protezione e intimità.
“Se Dio non esiste, bisognerebbe inventarlo”, si beffò Voltaire. Infatti, non
importa quale sia la nostra convinzione riguardo l’esistenza di Dio, l’osservazione di
Voltaire è qualcosa con la quale sia gli scettici che i credenti concordano: esistono
immensi benefici nel credere in Dio. Un senso di protezione, benevolenza, scopo e
speranza attende coloro che si gettano tra le braccia di Dio, ed uguali livelli di certezza
e stabilità sopraggiungono a quanti lo fanno in maniera acritica. Qualsiasi nuovo
convertito esprimerebbe come sente che la propria vita sia migliorata dopo aver
abbracciato Dio, come avverta un senso di pace e amore, e come voglia condividere
questa scoperta con gli altri. Vi è un benessere di serenità intellettuale ed un sollievo
emotivo per coloro che attraversano la soglia della fede in Dio.
La conclusione sembra ovvia: Dio è una proiezione umana. Il Creatore è
piuttosto la creatura, a nostra immagine
e somiglianza. Invece di scontrarci con
la dura realtà di dover affrontare questo
mondo spaventevole da soli, e soffrire
la tragedia non avendo alcun significato
da attribuirgli, preferiamo scolpire un
Dio onnipotente, che ci protegge da un
ambiente ostile, che dona un significato
alla nostra esistenza, e che cancella l’angoscia della morte promettendo vita eterna.
Un amico immaginario rende più gradito il tragico cammino verso la tomba.
Non così semplice
Tuttavia, a prescindere da quanto convincente sia la prospettiva di Freud, c’è
una cosa che dobbiamo notare: essa non confuta l’esistenza di Dio. Presuppone
proprio ciò che tenta di dimostrare. È un argomento illuminante che spiega la
psicologia della fede se presumiamo che Dio sia una idea falsa e cerchiamo di spiegare
in che modo le persone giungono comunque a credere in Lui. Ma Freud non si riferisce
all’esistenza concreta di Dio in quanto essere vivente là fuori. L’inesistenza di Dio
viene presupposta.
Ma questo limite non squalifica la questione; essa continua ad offrire una
convincente psicologia di fede. Infatti, il problema è che è troppo convincente;
produce l’effetto contrario. Si potrebbe scommettere che tale questione mostra come
coloro che hanno un’opinione negativa del proprio padre terreno giungano a
desiderare che Dio non esista. Il loro padre assente o violento li porta a concepire Dio
come un bullo onnipotente, come una figura sovrastante che
li rifiuterà e li abbandonerà, e dunque rifiutano Dio per
questo. Un padre massimizzato all’eternità
sarebbe un
incubo terrificante: sperano con tutta l’anima che egli non
esista.
In effetti, molti dei più importanti atei della storia
sperimentarono la morte dei loro padri in tenera età, o
ebbero un rapporto terribile con i propri padri. Il padre
premuroso e amorevole di Friedrich Nietzsche morì quando
lui aveva 5 anni. Il padre di Hume morì quando lui aveva 2
anni; quello di Bertrand Russell quando lui ne aveva 4; quello
di Camus quando lui ne aveva 1; quello di Richard Carlyle quando lui ne aveva 4;
quello di Robert Taylor quando lui ne aveva 7; quello di Jean-Paul Sartre quando lui
aveva quindici mesi. Voltaire ebbe un rapporto competitivo con suo padre; Albert Ellis
sentì un profondo senso di abbandono e negligenza da parte del padre; Madalyn
Murray O’Hair cercò di uccidere suo padre con un coltello da macellaio; Freud stesso
disprezzava il padre considerandolo un debole e un incapace a provvedere alla
famiglia, e un pervertito sessuale. Samuel Butler considerava i propri genitori “brutali
e stupidi di natura”, riportando di suo padre: “Non gli sono mai piaciuto, né lui a me;
dai primissimi ricordi che posso richiamare alla mente, non c’è stata una volta in cu io
non l’abbia temuto o detestato…non un giorno è passato in cui io non abbia pensato a
lui più di una volta come all’uomo che di certo era contro di me”. Non c’è da stupirsi
che queste esperienze di abbandono e competizione abbiano influenzato persino i più
grandi pensatori nel considerare Dio qualcosa al quale resistere.
Conclusioni: il nostro padre terreno influisce sul
nostro modo di vedere il Padre celeste. Un Dio
premuroso ha più senso se abbiamo avuto un padre
premuroso. D’altra parte, un Padre benevolo è
emotivamente difficile da concepire se le nostre
esperienze di paternità sono state negative proprio
quando eravamo più fragili. Una fede profonda e
matura o lo scetticismo verso Dio ci richiedono di
considerare le nostre esperienze passate.
Potremmo essere inclini a una delle due vie
Per esaminare obiettivamente la questione dell’esistenza di Dio, dunque, non è
sufficiente limitarsi a dibattiti filosofici, scoperte scientifiche, discussioni teologiche e
sviluppi storici. Il maggior campo di inchiesta è in realtà l’arena della nostra anima e
delle sue immense paure, speranze e desideri. “La questione dell’esistenza e della
natura di Dio è una questione seguita da un esercito di conflitti d’interesse”, notò R.C.
Sproul. “Se consideriamo la questione con integrità, dobbiamo sia riconoscere che
affrontare le implicazioni dei nostri conflitti d’interesse. Se rifiutiamo di farlo, allora la
verità perirà, e noi con lei”.
Un onesto sguardo approfondito potrebbe mostrare che la nostra fede in Dio sia
una proiezione. D’altra parte, non possiamo sottrarci al fatto che esistono anche
benefici immensi nel non credere in Dio. Si avverte un senso di indipendenza, di
libertà da restrizioni morali che non si sentono proprie, un senso di controllo sulla
propria vita, una facile dissociazione da credenti che siano creduloni, appiccicosi o falsi
(o tutt’e tre insieme!). “[Credo che la ragione] per cui siamo tutti balzati all’Origine
[L’Origine della Specie] sia perché l’idea di Dio interferiva con i nostri costumi
sessuali”, rivelò Julian Huxley. “Il senso di sollievo spirituale che giunge dal rifiutare
l’idea di Dio come essere soprannaturale è enorme”. In maniera simile, C. S. Lewis
descrive come abbia preferito l’ateismo per anni, perché non voleva rinunciare al
controllo sulla propria vita e il proprio destino. “L’universo del materialista aveva
l’enorme seduzione per cui … la morte poneva fine a tutto…e se mai disastri finiti si
fossero dimostrati maggiori di quanto fosse possibile sopportare, il suicidio sarebbe
sempre stato possibile. L’orrore dell’universo cristiano
era che non avesse una porta con la scritta Uscita”.
Esistono motivazioni psicologiche forti, sia per
credere che per rifiutare Dio. Alcuni di noi temono la
morte e soprattutto la mancanza di significato, e
preferiscono un senso di protezione, scopo e
speranza, e sono così inclini alla fede in Dio. Altri di
noi temono di essere abusati, controllati e soprattutto
rigettati, e preferiscono un senso di indipendenza e
libertà, e sono così inclini all’incredulità verso Dio.
Tutti noi proiettiamo le nostre esperienze umane sull’orizzonte delle nostre anime.
Esplorazione consapevole e matura
Ciò che risulta più tragico non è l’alternativa che abbracciamo, ma quanto
consapevolmente o passivamente giungiamo ad essa. Ho la sensazione che la maggior
parte di noi non sia davvero attiva, ma si avvicina o si allontana da Dio passivamente.
Crediamo di essere persone che si sono fatte da sé, che decidono indipendentemente
e consciamente. Eppure le nostre scelte spirituali
potrebbero essere il risultato delle nostre relazioni,
educazione e preferenze di stile di vita più di quanto
non vogliamo riconoscerlo. L’approvazione di un
amico potrebbe essere più determinante alla nostra
fede delle argomentazioni di Aquino, ad esempio.
Oppure le nostre preferenze emotive potrebbero già
predisporci ad una direzione piuttosto che ad
un’altra, ad esempio, se bramiamo la stabilità o
temiamo l’autorità di Dio, o se privilegiamo il
prestigio della moralità o i piaceri dell’esplorazione
sconfinata.
La questione di Dio non è un esercizio teoretico; essa sgorga dal nostro
interiore come pure dalle nostre menti. Conoscere o rigettare Dio include non solo
studiare il mondo, ma anche esplorare sé stessi. Un esame obiettivo delle prove pro o
contro la fede in Dio è importante e necessario. Ma lo è anche un’esplorazione
soggettiva del nostro cuore e delle sue motivazioni più profonde, per quanto
spaventoso possa essere affrontare le nostre paure e i nostri desideri primari. Non
saremo più intellettuali se fuggiamo dal nostro cuore, lo saremo di meno.
Quindi a cosa porta un’esplorazione profonda dei nostri cuori? Secondo me,
porta lezioni di maturità sia per credenti che per non credenti. Per i credenti, una tale
esplorazione consente un’onesta valutazione della nostra fede. Quant’è consapevole la
nostra fede? Abbiamo meramente accettato ciò che ci ha insegnato, oppure crediamo
a ciò che facciamo con convinzione personale? Il Dio al quale ci relazioniamo è il vero
Dio, oppure una proiezione di nostra fattura, una distorsione della figura di Dio
secondo le nostre preferenze? Per i non credenti, un’esplorazione onesta dei nostri
cuori ci porta a dubitare dei nostri dubbi. L’incredulità nei confronti di Dio può essere il
risultato di una proiezione psicologica e di preferenze personali, proprio come lo può
essere la fede in Dio. Dunque, quant’è consapevole la nostra incredulità? È la
proiezione delle nostre esperienze negative dell’infanzia, oppure un tentativo di
adattarsi meglio ad un mondo in cui l’incredulità è più popolare della fede?
E la diversità religiosa?
E cosa dire di tutta la diversità religiosa che abbiamo visto nel corso della
storia? Gli umani sono intrinsecamente religiosi, e troveranno qualcosa da adorare a
dispetto delle circostanze, si tratti di vacche sacre, del
sole, di Madre Terra, o di Dio. Gli atei giungono alla
conclusione
per
cui
questa
tendenza
naturale
all’adorazione, sommata alla diversità di fede nel corso
della storia, sia la prova schiacciante contro Dio. Se
vediamo gli umani inventare oggetti di adorazione in
maniera tanto creativa e pervasiva, il Dio monoteistico è
sicuramente un’altra delle tante invenzioni, forse più
complesso e civilizzato degli altri, ma comunque una
creazione umana.
Ma per me l’evidenza punta precisamente nella
direzione opposta. Gli umani sono intrinsecamente
religiosi perché esiste un Dio reale che ci ha creati, e del
quale noi siamo alla ricerca. Abbiamo questa brama
innata perché esiste una soddisfazione vera per il nostro desiderio divino, proprio
come la nostra fame fisica dimostra che esiste cibo vero per appagare i nostri bisogni.
Il fatto che le persone mangino le cose più bizzarre - serpenti, foglie, uova di pesce –
non significa che la nostra fame fisica sia una proiezione, ma è l’esatta prova del
nostro bisogno di cibo. Allo stesso modo, la diversità della fede nel corso della storia
non prova che la nostra anima aneli una proiezione, ma è l’esatta prova che abbiamo
un bisogno disperato del divino, e cercheremo Dio persino nei luoghi più impensati.
“Se non esistesse Dio, non esisterebbero gli atei”, asserì G. K. Chesterton. Se
non ci fosse Dio, non ci sarebbe un Dio da negare. Il nostro vero diniego – di un Padre
eterno e onnipotente – assume la forma di ciò che esiste oggettivamente. Il nostro
dubbio riflette la nostra fede: non dovremmo negare l’esistenza di Dio se davvero non
ci fosse un Dio da negare.
Un Padre per adulti
Piuttosto, desideriamo Dio perché esiste un Dio da desiderare. “Tu ci hai creati
per Te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in Te”, scrive Agostino all’inizio
delle Confessioni. Allo stesso modo, Blaise Pascal, nei suoi Pensées, esplorò “il vuoto a
forma di Dio” nei nostri cuori, che ci lascia cronicamente insoddisfatti finché non
troviamo la nostra soddisfazione duratura in Dio. I nostri aneliti più piacevoli
d’intimità, di trascendenza da spazio e tempo, di significato e scopo profondo, di
accoglienza e di una casa che rimanga, sono impronte divine, indizi della nostra
origine e del glorioso destino che Dio sta preparando per noi.
Quindi, a prescindere dal nostro punto di partenza, il Padre ci aspetta. Per
alcuni di noi, ciò potrebbe essere un cammino logico, intuitivo. Se abbiamo avuto un
padre amorevole, un Dio buono ha molto senso. D’altra parte, molti di noi non hanno
avuto un padre, o ne hanno avuto uno cattivo, o hanno avuto una serie di esperienze
che ci hanno predisposto all’incredulità. Per noi la mera possibilità dell’esistenza di Dio
scatena un’angoscia esistenziale, e temiamo che
il Padre eterno abuserà di noi o ci abbandonerà
come ha fatto il nostro padre terreno. Se
abbasso le difese, Dio non mi ferirà e non mi
deluderà ancora?
Assolutamente no. E la prova di ciò è
l’immagine che Dio ci ha offerto di Sé stesso.
Secondo la fede cristiana, Dio ci ha mandato
un’incarnazione, l’opposto di una proiezione, per
mostrare com’è fatto; una soluzione concreta
alle nostre speculazioni su chi sia Dio o se Egli esista; un mediatore in carne ed ossa
che rimpiazza ogni bisogno di false proiezioni. Dio è come Gesù: pieno d’amore, gioia,
serenità; è gentile, comprensivo ed empatico; Egli non ci fulmina per i nostri sbagli,
ma piuttosto offre la Sua vita come riscatto per i nostri peccati, affinché possiamo
essere riconciliati al Padre. Gesù soffrì la piena bruttura dell’umanità, affinché noi
potessimo ricevere l’innocenza dell’offerta di vita nuova. Egli ci aiuta a perdonare
coloro che ci hanno ferito profondamente, a guardare la vita come un dono generoso,
piuttosto che un universo contro di noi, e forse ad essere aperti ad incontrare il Dio
vivente.
René Breuel
cesanlorenzo.it
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