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Capitolo III SISTEMI COMPLETAMENTE INTEGRABILI

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Capitolo III SISTEMI COMPLETAMENTE INTEGRABILI
Capitolo III
SISTEMI COMPLETAMENTE INTEGRABILI
L’integrabilità di un sistema di 2n equazioni alle derivate ordinarie equivale alla conoscenza
di 2n integrali primi. Quando queste equazioni sono di tipo canonico (nel senso che si possono
scrivere sotto forma di equazioni di Hamilton), è a volte sufficiente conoscere a priori solo n
integrali primi. Ciò accade nel caso dei cosiddetti sistemi completamente integrabili. Un
esempio di tale situazione, che esamineremo nel primo paragrafo, si incontra nell’ambito della
teoria della riduzione che abbiamo studiato nel precedente capitolo. I seguenti paragrafi
forniranno poi un’introduzione generale alla teoria dei sistemi completamente integrabili.
1. Il teorema di Jacobi-Liouville
Sia (V, ω) una varietà simplettica, di dimensione 2n, e siano f1 , . . . , fr funzioni differenziabili
su V che sono in involuzione, ovvero, {fi , fj } = 0 per ogni i, j = 1, . . . , r. Supponiamo che
(i)
i campo vettoriali hamiltoniani associati X (i) = Xdfi siano completi, e sia {ψs } il flusso di
X (i) . Poiché 0 = Xd{fi , fj } = [X (i) , X (j) ], i campi X (i) commutano, e pertanto commutano
anche i loro flussi:
(j)
(j)
ψs(i) ◦ ψw
= ψw
◦ ψs(i)
per ogni
i, j = 1, . . . , r, e ogni s, w ∈ R .
Possiamo definire un’azione φ di G = Rr su V , ponendo
φ(s1 ,...,sr ) (x) = ψs(1)
◦ · · · ◦ ψs(r)
(x) .
r
1
Essendo G abeliano, l’azione φ è poissoniana; l’applicazione momento è
J : V → Rr ,
J(x) = (f1 (x), . . . , fr (x)).
Supponiamo che µ = (µ1 , . . . , µr ) ∈ Rr sia un valore regolare di J. Con riferimento alla
notazione impiegata nel precedente capitolo a proposito del teorema di Marsden-Weinstein,
la sottovarietà Sµ ⊂ V è regolarmente immersa; inoltre in questo caso Gµ = G, e i campi
vettoriali X (i) sono tangenti a Sµ e indipendenti in ogni punto. Di conseguenza l’azione di
G su Sµ è localmente libera,1 e una varietà quoziente di dimensione 2(n − r)(che assumiamo
essere liscia) esiste almeno localmente.
Sia H una funzione su V , in involuzione con tutte le funzioni fi (ovvero, {H, fi } = 0,
i = 1, . . . , r); in altri termini, le funzioni fi sono costanti del moto per l’evoluzione del sistema
1L’azione ρ di un gruppo G su una varietà V è localmente libera se per ogni punto x ∈ V il gruppo di
isotropia Gx è discreto. Non è difficile dimostrare che se i generatori dell’azione di G su V sono linearmente
indipendenti in ogni punto allora l’azione è localmente libera.
III.1
III.2
dinamico dato dalla funzione H. Il teorema di Marsden-Weinstein permette di ridurre di 2r
l’ordine del sistema associato al campo vettoriale XdH . Si può mostrare che il sistema residuo
è integrabile per quadrature.2,3 Se r = n il sistema ridotto scompare, ed il sistema è integrabile
per quadrature.
2. Il teorema di Liouville-Arnold
Motivati dalla precedente discussione, definiamo la nozione di sistema completamente integrabile come segue. Sia V il fibrato cotangente di una varietà differenziabile n-dimensionale
Q, sia ω la forma simplettica canonica di V = T ∗ Q, e si fissi una funzione hamiltoniana H.
Fissati una n-pla di funzioni fi : V → R, i = 1, . . . , n e un punto µ = (µ1 , . . . , µn ) ∈ Rn ,
poniamo Sµ = f −1 (µ), essendo
f : V → Rn ,
f (x) = (f1 (x), . . . , fn (x)) .
Definizione 2.1. Diciamo che il sistema dinamico hamiltonianiano (V, ω, H) è completamente integrabile in un aperto U ⊂ V se esistono n costanti del moto f1 , . . . , fn (si assume
f1 ≡ H) soddisfacenti le seguenti condizioni:
(1) le funzioni fi sono in involuzione, {fi , fj } = 0 per ogni i, j = 1, . . . , n;
(2) per ogni x ∈ U i covettori dfi (x) ∈ Tx∗ (V ) sono linearmente indipendenti.4
Proposizione 2.2. Dato un sistema completamente integrabile in U ⊂ V , sia µ = (µ1 , . . . ,
µn ) ∈ f (U ) ⊂ Rn , e sia Sµ = f −1 (µ). Allora
(1) Sµ è una sottovarietà regolarmente immersa di V , invariante sotto i flussi dei campi
vettoriali Xdfi .
Se si assume inoltre che la varietà Sµ sia compatta e connessa,
(2) Sµ è diffeomorfa al toro n-dimensionale;
(3) l’evoluzione temporale avviene su Sµ ,5 e determina su Sµ un flusso condizionalmente
periodico; ovvero, esistono coordinate (ψ 1 , . . . , ψ n ) su Sµ , e costanti ν 1 , . . . , ν n , funzione dei
valori µ1 , . . . , µn , tali che l’evoluzione sia descritta su Sµ dalle relazioni
(1)
ψ i (t) = ν i t + ψ0i
dove le quantità ψ0i sono costanti;6
(4) le equazioni del moto del sistema sono integrabili per quadrature.
2Si veda ad es. P.J. Olver, Applications of Lie groups to differential equations, Springer-Verlag.
3Si dice che un sistema di equazioni differenziali è integrabile per quadrature se esso può essere risolto
mediante una successione di operazioni di tipo algebrico, inversioni di funzioni e calcoli di integrali.
4Quando questa condizione è soddisfatta si dice che le costanti del moto f sono indipendenti in U .
i
5Per questo motivo la sottovarietà S è detta essere un toro invariante del sistema integrabile.
µ
6Le equazioni (??) esprimono il fatto che in coordinate angolari il moto appare essere condizionalmente
periodico (o quasi-periodico). Notiamo che in generale le costanti ν i dipendono dai dati iniziali, e non solo
dalla struttura del sistema meccanico. È pertanto possibile che per opportuni dati iniziali le frequenze ν i siano
tutte commensurabili, ovvero, che i quozienti ν i /ν j siano tutti razionali. In questo caso dopo un certo tempo il
sistema si ritrova nelle condizioni iniziali, ed esibisce un comportamento periodico; per questo motivo il moto
è detto “condizionalmente periodico”.
III.3
Dimostrazione del punto (1). Essendo i covettori dfi (x) linearmente indipendenti per x ∈ U ,
l’applicazione f|U : U → Im f|U è una summersione, e Sµ è una sottovarietà regolarmente
immersa di V . Poniamo X (i) = Xdfi . Essendo
< X (i) , dfj > = X (i) (fj ) = {fi , fj } = 0
i campi vettoriali X (i) sono tangenti a Sµ , il che equivale a dire che Sµ è preservata dai loro
flussi.
Per ogni x ∈ Sµ , i vettori X (i) (x) sono linearmente indipendenti e quindi formano una base
dello spazio tangente Tx Sµ . Detta ι : Sµ → V l’applicazione che realizza Sµ come sottovarietà
di V , si ha
(ι∗ ω)(X (i) , X (j) ) = {fj , fi }(x) = 0 ,
ovvero ι∗ ω = 0; lo spazio Tx Sµ è un sottospazio isotropo di Tx V . Essendo dim Tx V =
2 dim Tx Sµ lo spazio Tx Sµ è in realtà un sottospazio lagrangiano, ovvero, Sµ è una sottovarietà
lagrangiana di V .
3. Dimostrazione del punto (2)
Cominciamo con l’introdurre alcune nozioni e risultati che saranno utili per dimostrare la
parte (2) del teorema di Liouville-Arnold. Ricordiamo che un reticolo Λ di rango k in Rn è
un sottogruppo di Rn generato su Z da k vettori linearmente {e1 , . . . , ek } di Rn :
( k
)
X
Λ=
mi ei , m1 , . . . , mk ∈ Z .
i=1
Il toro n-dimensionale
n.7,8
Tn
è definito come il quoziente Rn /Λ, essendo Λ un reticolo di rango
Definizione 3.1. Un sottogruppo Γ di Rn è detto discreto se ogni compatto di Rn contiene
solo un numero finito di elementi di Γ.
Evidentemente ogni reticolo di rango k è un sottogruppo discreto di Rn , con k ≤ n; anche
l’implicazione opposta è vera.
Lemma 3.2. Ogni sottogruppo discreto Γ di Rn è un reticolo.
7Ricordiamo che T n viene topologizzato mediante la topologia quoziente, mentre la struttura differenziabile
viene fissata dalla condizione che sia differenziabile l’applicazione
φ : π(Z) → Rn ,
φ(x) = (x1 , . . . , xn )
se
n
X
x = π(
xi ei )
i=1
essendo π : Rn → T n la proiezione, e Z ⊂ Rn la “cella elementare aperta” del reticolo, ovvero
k
X
Z = { xi ei ,
0 < xi < 1} .
i=1
Diversi reticoli di rango n danno luogo a quozienti diffeomorfi.
Ricordiamo inoltre che i generatori {ei } di Λ divengono sul quoziente delle curve chiuse γi , dette cicli
fondamentali del toro. I cicli fondamentali generano il primo gruppo di omotopia e il primo gruppo di omologia
a coefficienti interi del toro, entrambi isomorfi alla somma diretta di n copie di Z.
8Più avanti considereremo per convenienza il toro n-dimensionale definito come il quoziente Rn /2πΛ.
III.4
Dimostrazione. Evidentemente il punto 0 ∈ Rn sta sempre in Γ. Se Γ non ha altri punti,
abbiamo finito. Altrimenti, sia ~0 un altro punto9 di Γ. Se d1 è la distanza di ~0 dall’origine,
la sfera di raggio d1 centrata in 0 contiene un numero finito di punti di Γ. Si scelga fra questi
il punto ~1 sulla retta r = R~0 più vicino a 0, escludendo 0 (se ve ne sono due, se ne prenda
uno a caso). I punti sulla retta r sono tutti del tipo m~1 con m ∈ Z; infatti se su r vi fosse
un punto ~ compreso fra m~1 e (m + 1)~1 allora ~ − m~1 sarebbe più vicino a 0 di ~1 .
Se Γ non ha punti fuori di r, abbiamo concluso. Altrimenti se ~ 0 è un punto di Γ che non
sta in r, sia d2 la sua distanza da r, e si prenda il punto (o uno dei punti) ~2 della sfera di
raggio d2 centrata nella proiezione di ~ 0 su r più vicino a r, ma non giacente su r. Detto
π il piano passante per r e ~2 , si dimostra come prima che ogni punto di π è della forma
m1~1 + m2~2 , con m1 ed m2 interi.
Se Γ ha punti fuori da π si itera la procedura, che al più finisce all’n-simo passo.
Vogliamo adesso dimostrare il seguente risultato.
Proposizione 3.3. Sia W una varietà differenziabile n-dimensionale, connessa e compatta,
su cui sono definiti n campi vettoriali linearmente indipendenti, che commutano fra di loro.
Allora W è diffeomorfa al toro n-dimensionale.
(i)
Detti X (i) i campi vettoriali (che essendo W compatta sono completi), e Ψ i loro flussi,
possiamo definire un’azione di Rn su W fissando un punto x ∈ W e ponendo
(2)
(1)
(n)
~(x) = Ψ1 ◦ . . . Ψn (x), .
Scambiando il ruolo di ~ e x otteniamo un’applicazione
gx : Rn → W,
(1)
(n)
gx (~) = Ψ1 ◦ . . . Ψn (x) .
Lemma 3.4. Per ogni x ∈ W l’applicazione gx è
(1) iniettiva quando ristretta ad un opportuno intorno di 0 ∈ Rn
(2) surgettiva (ovvero, l’azione (??) di Rn su W è transitiva).
Dimostrazione. Notiamo che gx (0) = x. Scelte coordinate attorno a x, la matrice jacobiana di
gx in 0 è formata dalle componenti dei vettori X (i) (x) su queste coordinate. Essendo i vettori
linearmente indipendenti, la matrice ha identicamente caratteristica pari a n. Pertanto in un
intorno di 0 l’applicazione gx è un diffeomorfismo, ed in particolare è iniettiva.
Di conseguenza, ogni x ∈ W ammette un intorno aperto N tale che per ogni y ∈ N esista
un ~ ∈ Rn per cui vale y = gx (~). Per compattezza, W può essere coperto da un numero finito
di tali intorni. Inoltre, fissato y ∈ W , possiamo scegliere m+1 di questi aperti, che denotiamo
(N0 , . . . , Nm ), in modo che y ∈ Nm , x ∈ N0 , e Ni ∩ Ni+1 6= ∅, con i = 0, . . . , m − 1. Scegliamo
punti yi ∈ Ni ∩ Ni+1 e poniamo ym = y, y0 = x. Esistono ~ei ∈ Rn tali che gyi (~ei ) = yi+1 . Ciò
P
implica gx ( m−1
ei ) = y.
i=0 ~
9In questo capitolo denotiamo gli elementi di Rn sovrapponendo ad essi una freccia: cosı̀, ~
= (1 , . . . , n ).
III.5
Nota 3.5. La prima parte della precedente dimostrazione si modifica facilmente per dimostrare
che l’applicazione gx è un diffeomorfismo locale: ogni ~ ∈ Rn ha un intorno N tale che gx
ristretta a N è un diffeomorfismo.
Definizione 3.6. Il gruppo di isotropia (o stabilità) di W in un punto x ∈ W è il sottogruppo
Γx di Rn dato da
Γx = {~ ∈ Rn t.c. gx (~) = x} .
In realtà il gruppo di isotropia Γx non dipende da x: se ~ ∈ Γy vale ~(y) = y, ma y = ~η (x)
per qualche ~η ∈ Rn , per cui
~(~η (x)) = ~η (x) ;
questa si può anche scrivere
(1)
(n)
(1)
(n)
(1)
(n)
(1)
(n)
(1)
(n)
Ψη1 ◦ . . . Ψηn (x) = Ψ1 ◦ . . . Ψn ◦ Ψη1 ◦ . . . Ψηn (x) = Ψη1 ◦ . . . Ψηn ◦ Ψ1 ◦ . . . Ψn (x)
da cui si ricava ~(x) = x, ovvero, ~ ∈ Γx e quindi Γy ⊂ Γx . Poiché vale anche Γx ⊂ Γy , si ha
Γy = Γx . Possiamo quindi parlare del gruppo di isotropia Γ di W .
Dimostriamo che Γ è discreto. Si ha ovviamente 0 ∈ Γ; essendo gx iniettiva in un intorno
di 0, esiste un intorno di 0 che non contiene altri elementi di Γ. Questo intorno contiene una
sfera piena aperta Bd (0) di raggio d, a patto che d sia sufficientemente piccolo. Se ~ è un
altro elemento di Γ, la sfera Bd (~) di raggio d centrata in ~ non contiene altri elementi di Γ
(se ~η ∈ Bd (~) allora ~η − ~ ∈ Bd (0)). Quindi Γ è un sottogruppo discreto di Rn , ed è pertanto
un reticolo.10
Dimostrazione della Proposizione ??. Sia π : Rn → Rn /Γ la proiezione. Fissiamo x ∈ W , e,
dato y ∈ W , scegliamo un ~ ∈ Rn tale che y = gx (~). Definiamo un’applicazione f : W → Rn /Γ
ponendo y 7→ π(~). L’applicazione è ben definita perché se anche ~η verifica y = gx (~η ) allora
~η − ~ ∈ Γ, e quindi π(~η ) = π(~).
L’applicazione f è surgettiva: se p ∈ Rn /Γ, sia ~ ∈ Rn tale che π(~) = p. Posto y = ~(x)
vale f (y) = x.
L’applicazione f è iniettiva: se f (y1 ) = f (y2 ), sia y1 = gx (~1 ), y2 = gx (~2 ). Da ciò segue
~1 − ~2 ∈ Γ. D’altra parte si ha
(1)
(n)
1
1
y1 = Ψ1 ◦ . . . Ψn (x),
(1)
(n)
2
2
y2 = Ψ1 ◦ . . . Ψn (x),
da cui y1 = gy2 (~1 − ~2 ). Essendo ~1 − ~2 ∈ Γ si ha y1 = y2 .
Quindi f è bigettiva. Inoltre f è differenziabile, ed essendo un diffeomorfismo locale (come
segue dalla Nota ??), il suo inverso è pure differenziabile. Quindi f è un diffeomorfismo.
Essendo W compatta, Γ ha rango n, e Rn /Γ è un toro.11
Nota 3.7. Fissato come al solito x ∈ W , i parametri 1 , . . . , n possono essere usati come
coordinate su un intorno aperto Z di x in W . Mediante l’identificazione W ' Rn /Γ, queste
10Si noti che Rn /Γ ' T k × Rn−k , essendo k il rango di Γ.
11Ciò in realtà dimostra che se non assumiamo che W sia compatta, dimostriamo che W è diffeomorfa ad
un prodotto T k × Rn−k per un k compreso fra 0 ed n. In questo caso però, venendo a mancare la compattezza,
dobbiamo assumere che i campi vettoriali X (i) siano completi. Anche la dimostrazione del punto (1) del Lemma
?? andrebbe modificata.
III.6
coordinate si identificano con le coordinate angolari sul toro Rn /Γ indotte dai generatori di
Γ, e per Z si può prendere la cella elementare del reticolo.
Notiamo inoltre che, avendo assunto che la costante del moto f1 coincida con l’hamiltoniana
H, il parametro 1 si può identificare con il tempo t.
Possiamo adesso dimostrare il punto (2) della Proposizione ??. I campi vettoriali X (i)
commutano fra loro anche una volta ristretti a Sµ . Siamo allora nelle ipotesi della Proposizione
??, e il punto (2) della Proposizione ?? rimane provato.
4. Variabili azione-angolo
Possiamo fissare in U (eventualmente restringendo quest’ultimo) 2n funzioni (φ1 , . . . , φn , f1 ,
. . . , fn ) che ristrette ad ogni Sµ (con µ ∈ f (U )) costituiscono un sistema di coordinate su Sµ ,
e che insieme alle funzioni (f1 , . . . , fn ) forniscono un sistema di coordinate in U . In generale
queste coordinate non sono simplettiche; se cosı̀ fosse, in queste coordinate le equazioni del
moto di Hamilton assumerebbero la forma canonica
dφi
∂H
=
= ν̃ i ,
dt
∂fi
dfi
∂H
=− i =0
dt
∂φ
dove le ν̃ i sono costanti durante dell’evoluzione. Ricordando che H = f1 si ha
ν̃ i =
dφi
∂H
=
= δ1i ,
dt
∂fi
ovvero, una sola delle “frequenze” ν̃ i è diversa da zero, il che in generale è falso.
È possibile però sostituire le coordinate (φ1 , . . . , φn ) con nuove coordinate angolari (ψ 1 , . . . ,
e le funzioni f1 , . . . , fn con nuove funzioni I1 , . . . , In , da esse dipendenti, in modo che le
2n funzioni (ψ 1 , . . . , ψ n , I1 , . . . , In ) siano un sistema di coordinate simplettiche, dette variabili
azione-angolo . Come discuteremo più avanti, mediante l’introduzione di tali coordinate
dimostreremo anche il punto (4) del teorema di Liouville-Arnold.
ψ n ),
Esempio 4.1. Cominciamo con l’introdurre queste coordinate in un semplice esempio unidimensionale, un oscillatore armonico con funzione hamiltoniana H = 21 p2 + 12 q 2 . Lo spazio
delle fasi V di questo sistema è diffeomorfo a R2 ; la funzione H è indipendente dove dH 6= 0,
ovvero, fuori dall’origine. La condizione di involutività è banalmente verificata. In questo
caso i tori invarianti sono le circonferenze H = costante, e ogni toro invariante si identifica
con il suo ciclo fondamentale γ1 . Introduciamo in V coordinate polari ponendo
p = r cos φ,
q = r sin φ;
evidentemente φ è una coordinata angolare sui tori invarianti. Se poniamo I = 12 r2 = H la
forma simplettica si scrive
ω = dp ∧ dq = dI ∧ dφ,
per cui le funzioni (φ, I) formano, sullo stesso aperto su cui sono definite le coordinate polari,
un sistema di coordinate simplettiche, ovvero, sono coordinate azione-angolo (in questo caso
queste coordinate coincidono con le coordinate (φ, f1 = I) del precedente paragrafo).
III.7
Vediamo ora di trovare una trasformazione canonica12 che produca la trasformazione di
coordinate (q, p) 7→ (φ, I). Se assumiamo che questa trasformazione canonica sia descritta da
una funzione generatrice W (q, I) di seconda specie, devono valere le relazioni
(3)
p=
∂W
,
∂q
φ=
∂W
.
∂I
L’hamiltoniana trasformata è I, per cui deve valere l’equazione di Hamilton-Jacobi
dW 2 1 2
1
+ 2q = I
2
dq
dove vediamo la funzione incognita W come funzione di q con una “dipendenza parametrica”
da I. Questa equazione è evidentemente risolta dalla funzione
Z p
W (q, I) =
2I − q 2 dq ;
in particolare si ha
Z
dq
q
p
= arc sin √ = φ .
2
2 I
2I − q
R
La funzione W si può scrivere W = p dq (come si vede anche direttamente dalle equazioni
(??) pensando di fissare il valore di I), ed essendo p dq la forma di Liouville (forma presimplettica), in un certo senso W è l’integrale della forma di Liouville. Si noti come l’integrale
Z 2π
H
p dq =
r2 cos2 φ dφ = π r2 = 2π I
∂W
=
∂I
0
fornisca 2π volte la variabile I, e allo stesso tempo coincida con l’area della regione di V
H
contenuta nel toro invariante definito dal valore r della coordinata radiale. Il simbolo
rappresenta l’integrale lungo il ciclo fondamentale. Infine notiamo che la variabile I dipende
solo da H (in questo caso vale addirittura I = H).
Definizione 4.2. Sia dato un sistema completamente integrabile, con integrali primi in involuzione f1 , . . . , fn . Un sistema di coordinate locali simplettiche {ψ 1 , . . . , ψ n , I1 , . . . , In } è un
sistema di variabili azione-angolo se
1) le coordinate Ij , dette azioni,13 dipendono solo dai valori degli integrali primi fi ;
2) le funzioni {ψ 1 , . . . , ψ n } sono coordinate angolari sui tori invarianti, ovvero, dato un toro
invariante S, esiste un diffeomorfismo S → Rn /2πΛ che identifica le funzioni {ψ 1 , . . . , ψ n }
con le coordinate angolari naturali di Rn /2πΛ; Λ è il reticolo “standard” generato dalla base
canonica di Rn .
12Usiamo qui il fatto che ogni diffeomorfismo di una varietà differenziabile induce una trasformazione di
coordinate; in particolare, se f è un diffeomorfismo di Rn , la sua rappresentazione y i = y i (x1 , . . . , xn ) nelle
coordinate canoniche di Rn permette di vedere le y i come un nuovo sistema di coordinate su Rn ; le “coordinate
y” di un punto p ∈ Rn sono le “coordinate x” di f (p). Le teoria delle funzioni generatrici delle trasformazioni
canoniche viene svolta in questo modo.
13Il termine “azione” proviene dal fatto che le funzioni I hanno le dimensioni fisiche un’azione (energia per
j
tempo), come segue dalla scrittura locale θ = pi dq i .
III.8
Procediamo adesso alla costruzione delle variabili azione-angolo. Si fissino valori µ1 , . . . , µn
degli integrali primi in modo da determinare un toro invariante S, e si scelgano su S coordinate angolari {φ1 , . . . , φn } con i corrispondenti cicli fondamentali γi , i = 1, . . . , n; il ciclo
fondamentale γi ha equazione
φi (ξ) = ξ,
φj (ξ) = 0
per j 6= i .
Sia θ la forma di Liouville di V = T ∗ Q, cosicché ω = dθ. Detta ι : S → V l’immersione locale,
poniamo θS = ι∗ θ. Si noti che dθS = ι∗ ω = 0. Definiamo infine la j-esima variabile d’azione
come
Z
1
(4)
Ij (µ1 , . . . , µn ) =
θS .
2π γj
Le variabili d’azione sono indipendenti dalla scelta delle coordinate angolari {φ1 , . . . , φn }.
Questo si può vedere con un argomento omologico: i cicli fondamentali γi0 associati ad un
diverso sistema di coordinate angolari si possono deformare con continuità nei γi , e pertanto
sono ad essi omologhi; i valori degli integrali (??) non cambiano. Esplicitamente, ciò siginifica
che l’unione dei due cicli γi e γi0 (uno dei due preso con orientazione rovesciata) è la frontiera
di una regione Σ di S. Si ha allora14
Z
Z
Z
Z
θS −
θS =
θS =
dθS = 0 .
γj0
γj
∂Σ
Σ
Le variabili (I1 , . . . , In ) verranno completate ad un sistema di coordinate, ed è pertanto
necessario assumere che esse dipendano in maniera bigettiva dalle coordinate (f1 , . . . , fn ).
Faremo quindi la seguente assunzione:
per ogni µ = (µ1 , . . . , µn ) ∈ f (U ) la matrice jacobiana
∂Ij
∂µk
è non singolare.
Facendoci guidare dall’esempio 1, determiniamo adesso coordinate angolari (ψ 1 , . . . , ψ n ) in
modo che insieme alle azioni (I1 , . . . , In ) esse formino un sistema di coordinate simplettiche.
Fissiamo un sistema di coordinate simplettiche (q 1 , . . . , q n , p1 , . . . , pn ) in V . Notiamo inoltre
che, essendo la forma θS chiusa, localmente essa è esatta. In particolare, detto Z l’aperto di
S corrispondente alla cella fondamentale, su di Z vale θS = dW per un’opportuna funzione
W . Fissato ad arbitrio un punto P0 ∈ Z abbiamo quindi
Z P
θS
W (P ) =
P0
dove P ∈ Z. Il cammino di integrazione da P0 a P può essere scelto ad arbitrio essendo θS
chiusa (ovviamente il cammino di integrazione deve essere completamente contenuto in Z,
e, in particolare, non si deve “avvolgere” attorno al toro). Se adesso riguardiamo W come
14Usiamo qui il teorema di Stokes: se η è una (k − 1)-forma differenziale su una varietà differenziabile orien-
tabile k-dimensionale V , e U è un aperto a chiusura compatta di V , la cui frontiera è una varietà differenziabile
orientabile di dimensione k − 1, vale
Z
Z
η=
dη .
∂U
U
Il teorema di Stokes della geometria differenziale rappresenta una generalizzazione, ed una enunciazione
unificata, dei vari teoremi di Gauss, Stokes, Green etc. dell’analisi matematica.
III.9
la funzione generatrice di seconda specie di una trasformazione canonica, che trasforma le
coordinate (q, p) in nuove coordinate simplettiche (ψ 1 , . . . , ψ n , I1 , . . . , In ), abbiamo le relazioni
(5)
pi =
∂W
,
∂q i
ψj =
∂W
∂Ij
dove vediamo W come funzione di (q 1 , . . . , q n , I1 , . . . , In ). Si noti che in generale le coordinate
pi non sono delle buone variabili di azione perché non assumono valori costanti lungo i tori
invarianti. Il secondo gruppo di equazioni determina i “nuovi” angoli ψ j .
R
Lemma 4.3. Le variabili ψ j soddisfano la condizione γi dψ j = 2π δij .
Dimostrazione. Esprimendo le quantità ψ j in funzione delle q e delle I, dalle equazioni (??)
si ottiene
Z
Z
Z j
∂ψ
∂ψ j
∂2W
k
dψ j =
dq k
dq
+
dI
=
k
k
k ∂I
∂I
∂q
∂q
j
k
γi
γi
γi
Z
∂
∂I
i
=
pk dq k = 2π
= 2π δij .
∂Ij γi
∂Ij
(Si è usato il fatto che dIk|S = 0.)
Le funzioni ψ j sono coordinate su S, e, a causa del precedente Lemma, il loro valore viene
incrementato di 2π quando si faccia “un giro” attorno ad un ciclo del toro. Esse sono pertanto
coordinate angolari; l’isomorfismo con il quoziente Rn /2πΛ (cfr. Definizione ??) è dato, in un
certo senso tautologicamente, dalle coordinate ψ j stesse.
Scrittura delle equazioni del moto. Essendo le variabili azione-angolo delle coordinate
simplettiche, le equazioni del moto assumono in esse la forma canonica
(6)
∂H
I˙j = − j ,
∂ψ
ψ̇ j =
∂H
.
∂Ij
Dal primo gruppo di queste, essendo le variabili d’azione costanti durante il moto, vediamo
come la funzione hamiltoniana sia ciclica in tutte le variabili d’angolo; ritroviamo in questo
contesto il risultato secondo il quale se la funzione hamiltoniana è ciclica in una variabile, il
momento cinetico coniugato è un integrale primo. Ritroviamo quindi il fatto che la funzione
hamiltoniana è esprimibile solo in termini delle variabili d’azione, H = H(I1 , . . . , In ) (questo
era già chiaro in precedenza, poiché le funzioni (f1 , . . . , fn ) si esprimono solo in funzione delle
azioni, e H = f1 ).
Dal secondo gruppo delle equazioni (??) segue che ψ̇ j = costante. Posto
ν j (I1 , . . . , In ) =
∂H
∂Ij
troviamo allora
ψ j (t) = ν j t + ψ0j
dimostrando cosı̀ il punto 3 della Proposizione ??. In particolare, vediamo come le frequenze
dei moti condizionalmente periodici di un sistema completamente integrabile si possono determinare scrivendo la funzione hamiltoniana del sistema in termini delle variabili d’azione,
e calcolandone poi le derivate rispetto a queste.
III.10
Dimostrazione del punto (4) della Proposizione ??. Tutte le operazioni che abbiamo
eseguito sono di tipo algebrico, oppure sono consistite nell’invertire o integrare funzioni note.
Inoltre, le variabili d’azione evolvono in modo banale, mantenendosi costanti durante l’evoluzione temporale, mentre le variabili angolari ψ j evolvono in maniera lineare, con frequenze
ricavabili nel modo appena descritto. In questo senso, il problema di integrare le equazioni
del moto del sistema è stato ricondotto alle quadrature, dimostrando l’ultima affermazione
del teorema di Liouville-Arnold.
Esempio 4.4. Consideriamo nuovamente l’oscillatore armonico, questa volta tenendo conto di
tutti i parametri da cui esso dipende. Scriviamo quindi una funzione hamiltoniana
p2
+ 1 mν 2 q 2
2m 2
essendo ν la pulsazione dell’oscillatore. I tori invarianti sono ellissi nel piano (p, q), aventi
equazione
p2
mν 2 q 2
+
=1
2mh
2h
essendo h un valore fissato dell’energia. Queste sono ellissi di semiassi
r
√
2h
b=
a = 2mh,
.
mν 2
La variabile d’azione è
I
1
area dell’ellisse
ab
h
I=
p dq =
=
= .
2π
2π
2
ν
H=
La funzione hamiltoniana si scrive15 H = Iν, ed effettivamente ν =
∂H
∂I
.
Esempio 4.5. Lo spazio delle fasi di un pendolo piano è un cilindro V = S 1 ×R, con coordinate
(q, p) e forma simplettica ω = dp ∧ dq. Mettendo a 1 tutte le costanti fisiche la funzione
hamiltoniana si scrive H = 12 p2 − cos q. L’integrale primo H è indipendente quando
dH = p dp + sin q dq 6= 0;
vanno quindi esclusi i punti di V dati da p = 0, q = 0, ±π. Il punto O, dato da q = p = 0,
corrisponde all’origine nella figura 1, mentre i due rimanenti punti sono in realtà lo stesso
punto P sul cilindro. Il punto O corrisponde alla quiete nella posizione di equilibrio stabile,
mentre il punto P corrisponde alla quiete nella posizione di equilibrio instabile.
I tori invarianti, disegnati in figura, hanno equazione H = 21 p2 − cos q = c; i “tori degeneri”
sono dati da c = −1 (l’origine) e c = 1 (in questo caso il toro non è liscio, esattamente nei
punti dove H non è indipendente). Il toro H = 1 divide il cilindro in tre regioni, denotate
A, B e C in figura. A e C sono diffeomorfe ad un cilindro, mentre B è diffeomorfa a R2 . In
ognuna di queste regioni si possono introdurre variabili di azione-angolo. I moti del pendolo
che avvengono nella regione B sono detti oscillazioni, mentre quelli che avvengono nelle regioni
A e C sono detti rotazioni (il pendolo, giunto alla sommità q = π, continua il moto nella stessa
direzione di rotazione). Le regioni A e C corrispondono a rotazioni nei due versi opposti.
15Il lettore che abbia conoscenze di meccanica quantistica potrà cogliere l’analogia con la relazione di de
Broglie E = hν, essendo h (costante di Planck) il quanto elementare di azione. In effetti il formalismo delle
variabili di azione-angolo è alla base delle cosiddette regole di quantizzazione di Bohr, che svolsero un ruolo
fondamentale nella formulazione della meccanica quantistica.
III.11
Esempio 4.6. (Completa integrabilità del sistema di Keplero) Consideriamo il sistema meccanico composto da un punto materiale che si muove in un campo conservativo di forze centrali.
È noto che un tale punto materiale si muove in un piano (il piano passante per il centro di
forza e normale al vettore momento angolare, che si conserva). Lo spazio delle configurazioni
è Q = R2 − {0} e lo spazio delle fasi (fibrato cotangente) V = T ∗ Q è diffeomorfo a R4 privato
di un piano bidimensionale. Poste in Q coordinate polari ρ, ϑ, risultano definite su V coordinate simplettiche ρ, ϑ, pρ , pϑ (in realtà queste coordinate sono definite su un sottoinsieme
aperto proprio ma denso di V ). La funzione hamiltoniana è
H=
p2ρ
p2ρ
p2
+ ϑ 2 + V (ρ) =
+ Ṽ (ρ)
2m 2mρ
2m
essendo V l’energia potenziale della forza centrale, e avendo definito
Ṽ (ρ) = V (ρ) +
p2ϑ
.
2mρ2
Le funzioni H e pϑ sono costanti del moto; vale {H, pϑ } = 0 proprio in quanto pϑ è una
costante del moto (vale infatti ṗϑ = −{H, pϑ }; oppure si noti che {ρ, pϑ } = {pϑ , pϑ } =
{pρ , pϑ } = 0). Le due costanti del moto sono indipendenti dove la matrice
pρ pϑ
0 (ρ)00100
−
Ṽ
m mρ2
ha caratteristica pari a 2. Ciò accade nell’unione degli aperti {pρ 6= 0} e {Ṽ 0 (ρ) 6= 0}. In
questa regione di V è definito un sistema completamente integrabile.
Assumiamo che V abbia la forma
V (ρ) = −α ρ−β
con α > 0, 0 < β < 2 .
La funzione Ṽ ha l’andamento mostrato in figura 2. Le costanti ρ∗ , µ∗1 il cui significato è
mostrato in figura 2 hanno i valori
1
2 2−β
µ2
µ22 mαβ 2(2−β)
mαβ β(2−β)
∗
∗
ρ =
,
µ1 =
−α
mαβ
2m
µ22
µ22
dove µ2 è il valore costante di pϑ . Denotiamo con µ1 il valore costante di H durante un moto.
Analizzando la figura 2 possiamo trarre delle conclusioni qualitative circa il moto:
1) non esistono moti con µ < µ∗1 .
2) Se µ = µ∗1 il moto avviene su una traiettoria circolare di raggio ρ∗ .
3) Se µ1 ≥ 0 il moto non è limitato; la varietà S è una superficie bidimensionale non
compatta.
4) Se µ∗1 < µ1 < 0 il moto avviene in una regione limitata. Ci possiamo aspettare che in
questo caso S sia una superficie bidimensionale compatta. Infatti dalla conservazione della
funzione H troviamo che
p
pρ = ± 2mµ1 ρ2 + 2mαρ2−β − µ2 .
Il radicando di questa espressione ha due radici positive, che forniscono i valori ρ− , ρ+ (vedi
figura 2); per ρ− < ρ < ρ+ il radicando è positivo, ed ha un solo massimo. Ciò significa che
III.12
le condizioni H = µ1 = costante, pϑ = µ2 = costante determinano una superficie diffeomorfa
ad un toro, esplicitamente realizzata incollando lungo i bordi due copie della corona circolare
{(ρ, ϑ) | ρ− ≤ ρ ≤ ρ+ , 0 ≤ ϑ ≤ 2π}
(cfr. figura 3).
Calcolo delle azioni. Fissiamo su S due cicli γ1 , γ2 , rispettivamente dati dalle condizioni
ϑ = costante, ρ = costante. Le azioni risultano essere
r
Z
Z
1
1 ρ+
(7)
I1 (µ1 , µ2 ) =
pρ dρ =
2m µ1 − Ṽµ2 (ρ) dρ
2π γ1
π ρ−
1
I2 (µ1 , µ2 ) =
2π
avendo posto Ṽµ2 (ρ) =
µ22
2mρ2
Z
pϑ dθ = µ2
γ2
− V (ρ) per evidenziare la dipendenza dal valore di µ2 .
Per β = 1 (caso kepleriano) anche l’azione I1 si può scrivere esplicitamente, risolvendo
l’integrale (??):
r
m
I1 (µ1 , µ2 ) = α −
− µ2 ;
2µ1
la funzione hamiltoniana si scrive in termini delle azioni nella forma
H=−
mα2
.
2(I1 + I2 )2
Le frequenze sono
ν1 =
∂H
∂H
mα2
1
=
= ν2 =
= (−2mµ1 )3/2 .
3
∂I1
∂I2
(I1 + I2 )
α
Le due frequenze sono uguali, il che implica che la traiettoria (orbita) sia una curva chiusa;
in questo senso, il moto è periodico.
Calcolo degli angoli. Per impostare il calcolo degli angoli scriviamo la funzione generatrice
W . Scegliamo come punto di partenza per l’integrazione il punto (ρ = ρ− , ϑ = 0) di S. Si ha:
Z (ρ,ϑ)
Z ρr
W (ρ, ϑ, I1 , I2 ) =
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ) dξ
(pρ dρ + pϑ ϑ) = µ2 ϑ +
(ρ− ,0)
ρ−
se pρ > 0 (ovvero sulla metà superiore del toro)
Z
(ρ,ϑ)
W (ρ, ϑ, I1 , I2 ) =
(pρ dρ + pϑ ϑ)
(ρ, 0)
Z
ρ+
= µ2 ϑ +
ρ−
r
Z
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ) dξ −
ρ
r
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ) dξ
ρ+
se pρ < 0 (ovvero sulla metà inferiore del toro)
III.13
dove i membri di destra dipendono da I1 , I2 tramite i valori µ1 , µ2 . Limitandoci per semplicità
al caso pρ > 0 otteniamo
∂W
ψ =
=
∂I1
1
Z
ρ
ρ−
1
m ∂µ
∂I1
r
dξ
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ)
ρ
= mν
ρ−
ψ2 =
Z
dξ
r
∂W
=ϑ+
∂I2
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ)
Z
ρ
ρ−
2m ∂I∂2 µ1 − Ṽµ2 (ξ)
r
dξ
2m µ1 − Ṽµ2 (ξ)
Nel caso kepleriano (β = 1) è possibile risolvere esplicitamente i due integrali.
Figura 1
III.14
Figura 2
Figura 3
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