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L`individuo e la società
La presenza inquietante delle nuove folle, insieme alle proposte più o meno utopistiche dei socialisti, spinse diversi intellettuali a riflettere sul destino dell’individuo nel tempo delle masse e sui meccanismi che permettono alla società di tenere sotto controllo e reprimerne gli impulsi nocivi per la convivenza civile. Nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento, numerosi scrittori si ispirarono e si professarono discepoli del filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche (1844-1900). Va innanzitutto precisato che Nietzsche non fu assolutamente antisemita: anzi, men- Critiche al tre in vari suoi scritti espresse un incondizionato apprezzamento per l’Antico Testa- nazionalismo tedesco mento (disprezzato, ricordiamolo, persino da Voltaire), nel 1878 infranse la lunga amicizia che lo legava al musicista Richard Wagner, che nelle proprie opere aveva iniziato a celebrare la nobile e spirituale indole dei tedeschi, contrapposta alla meschina e materialistica natura che egli attribuiva agli ebrei. In un primo tempo, Wagner e Nietzsche si trovarono uniti nel disprezzo per la società borghese, fredda, razionale e calcolatrice: in una parola, attenta solo ai dati positivi. Per Wagner, tuttavia, l’uomo vero doveva imparare a dominare le proprie passioni, la propria sete di potere, d’amore e di ricchezza; pertanto, dopo aver a più riprese negato che Gesù potesse avere qualche legame con il popolo ebraico, Wagner poté continuare a fare ampio uso della tradizionale simbologia religiosa, ad esempio quella del Sacro Graal, il calice del sangue di Cristo, che i nobili cavalieri tedeschi doveva trovare e custodire. Parsifal, l’eroe wagneriano ideale, era casto, puro, votato al sacrificio: secondo il musicista tedesco, proprio in questa romantica disponibilità a una Edvard Munch, Friedrich Nietzsche, totale e disinteressata offerta di sé si realizzava la più alta forma di umanità. 1906 (Stoccolma, Thielska Galleriet). Su questi argomenti, il dissidio tra Wagner e Nietzsche divenne totale, man mano che nella concezione nietzschiana la religione e l’ascetismo persero ogni aspetto di nobiltà e di grandiosità. Spiritualità e moralità, al contrario, vennero presentati come frutti della vendetta, dell’odio e del risentimento provati dagli uomini più meschini nei confronti di coloro che sapevano davvero gustare la vita: incapaci di vivere pienamente l’esistenza, secondo Nietzsche, i deboli e i malati hanno dichiarato guerra alla realtà terrena, cioè hanno definito «peccato» tutto quello che essi non sapevano apprezzare o ciò di cui non potevano godere. Il mondo, quindi, dalla religione era stato respinto in blocco come cattivo, e anzi considerato pericoloso e disprezzato proprio nei suoi aspetti più attraenti e più gratificanti per l’uomo. Nella sua sprezzante descrizione dei deboli, Nietzsche fece ancora uso, spesso, di un linguaggio affine a quello del darwinismo sociale; tuttavia, mentre negli scrittori positivisti il linguaggio biologico veniva messo al servizio della situazione sociale esistente, ritenuta immodificabile, in Nietzsche l’esaltazione degli esseri superiori assunse un valore eversivo, nel senso che era finalizzata a giustificare la rivolta dell’individuo eccezionale nei confronti della società. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C Il pensiero di Friedrich Nietzsche UNITÀ 1 CULTURA E IDEOLOGIE 1 L’individuo e la società L’individuo e la società APPROFONDIMENTO C La morte di Dio e il Superuomo UNITÀ 1 La figura del superuomo TRA ’800 E ’900: L’EPOCA DELLE MASSE E DELLA VELOCITÀ 2 Esaltazione della forza e della virilità Con l’espressione «morte di Dio», Nietzsche non volle solamente proclamare in termini particolarmente efficaci il proprio radicale ateismo, la formula voleva indicare, piuttosto, da un lato che gli uomini erano chiamati a compiere un gesto di deliberata rottura nei confronti della tradizione, e dall’altro che essi dovevano trarre nuove e imprevedibili conseguenze dalla negazione della divinità. Il tema è affrontato esplicitamente in un passo della Gaia scienza, in cui Nietzsche immagina che un uomo folle annunci l’evento della morte di Dio a un pubblico di individui che non credevano alla Sua esistenza. La scena del folle può essere assunta come metafora dell’impatto del pensiero nietzschiano sulla società tardo-ottocentesca: per quanto di fatto lontana dalla religione e dalle sue credenze, la cultura moderna era in realtà, secondo Nietzsche, molto più religiosa di quanto ritenesse di essere nei propri valori e nei suoi atteggiamenti di base. Inoltre, secondo Nietzsche, anche la società borghese continuava a ritenere necessaria la repressione degli istinti e imponeva ai propri cittadini rigide regole morali, in tutti i campi. A questa impostazione, nel suo capolavoro intitolato Così parlò Zarathustra (18831885) Nietzsche oppose la figura del superuomo. Si tratta di un essere che, innanzi tutto, sa ribellarsi a qualsiasi autorità, anche alle più venerabili e alle più antiche: egli rifiuta di sottomettersi a esse perché si crea da sé i propri valori morali, così come sono correntemente intesi, vivendo «al di là del bene e del male» e accettando in modo gioioso e totale tutti gli aspetti della vita. In uno dei passi più importanti del libro, Nietzsche fa uso di tre metafore per esprimere al meglio il proprio pensiero. L’uomo (termine che ha spesso in Nietzsche una sfumatura dispregiativa, in quanto indica l’individuo ancora soggiogato dalla religione e dalla morale corrente) è paragonato a un cammello, che accetta i comandamenti con pazienza e rassegnazione; il superuomo, invece, è descritto mediante l’immagine del leone, che in modo aggressivo lotta contro la morale convenzionale e crea nuovi valori, in condizione di assoluta libertà. Nel pensiero nietzschiano, certo, abbondano le espressioni forti, provocatorie, ambigue: per attaccare la religione dei deboli e dei malati, Nietzche, in vari testi, pare esaltare la forza e la virilità, se non la violenza vera e propria. Eppure, non dobbiamo dimenticare che Nietzsche stesso non considerava il superuomo esaurito nella metafora del leone che, per così dire, era solo un’immagine negativa; in positivo, il superuomo era descritto mediante la figura del bambino (la terza metafora), che danza leggero e ride di tutto quello che gli altri considerano sacro. Egli non ha mete o ideali cui sacrificarsi (perché dopo la morte di Dio la storia non ha più alcun fine cui tendere); senza rinunciare a nulla, il superuomo fanciullo accetta ogni esperienza con gioia suprema e vive ogni istante dell’esistenza con la massima intensità possibile, come se quello che fa in un dato momento dovesse ripeterlo all’infinito, per milioni e milioni di volte. Il pensiero di Nietzsche è senza dubbio individualista e aristocratico: proprio per questo, comunque, il suo superuomo fanciullo, che ride e che danza, è nello stesso tempo lontanissimo dall’eroe spirituale esaltato da Wagner, ripreso integralmente da Hitler come immagine del tedesco ideale. i protagonisti Zarathustra Come protagonista del suo testo più visionario e profetico, Nietzsche assunse la figura di un filosofo (noto anche con il nome greco di Zoroastro) che visse in Persia tra il VII e il VI secolo a.C. L’aspetto più importante del pensiero di Zarathustra fu la netta distinzione tra il bene e il male: ogni uomo doveva decidere se obbedire all’uno o all’altro di questi due principi che governano il mondo. Nell’opera di Nietzsche, quello stesso filosofo che, in passato, aveva definito con precisione il bene e il male, ora compie di nuovo, a distanza di secoli, la medesima operazione, ma rovescia completamente i criteri di giudizio e di valore. Pertanto, ad esempio, il nuovo messaggio di Zarathustra respinge il disprezzo del piacere (tipico della religione tradizionale) e lo sostituisce con un amore sconfinato per la vita, che l’uomo (o meglio, il superuomo) deve avidamente assaporare in tutti i suoi aspetti. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Il celebre divano di Freud, usato per le sedute con i suoi pazienti (Londra, Freud Museum). F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C UNITÀ 1 Il problema del rapporto tra il singolo uomo e la società, centrale nell’opera di Nietzsche e risolto a tutto vantaggio dell’individuo, con i suoi impulsi vitali e la sua sete illimitata di gratificazione immediata, occupa un posto di primaria importanza anche nel pensiero di Sigmund Freud (1856-1939), fondatore di un nuovo campo di studi detto psicoanalisi. Freud era un medico che, a Vienna, si occupava di neuropatologia; nel corso di un soggiorno di studio a Parigi, tuttavia, restò particolarmente colpito da alcuni malati che, pur non presentando alcuna lesione al sistema nervoso, avevano ugualmente perduto il dominio su alcune funzioni del proprio corpo, cioè erano affetti da paralisi del tutto inspiegabili sul piano puramente organico. Tornato a Vienna, Freud seguì la strada che gli era stata indicata dal grande psichiatra parigino Jean-Martin Charcot, che curava quei singolari pazienti servendosi dell’ipnosi; già questa scelta portò Freud fuori dalle rigidità della mentalità positivistica, che diffidava dell’ipnotismo e lo giudica- Il metodo ipnotico va un sistema terapeutico non-scientifico (perché difficile da spiegare in modo preciso e rigoroso, nella sua dinamica di funzionamento), viziato di misticismo e di irrazionalismo. Ma, nell’applicazione del metodo ipnotico, Freud restò colpito dal fatto che – in stato di trance – i pazienti ricordavano diversi e importanti dettagli della loro esistenza, che non rammentavano affatto quando erano pienamente coscienti. Inoltre, man mano che il malato riusciva a far emergere quei particolari, i suoi disturbi si attenuavano, fino a scomparire completamente. Partendo da questa constatazione, Freud elaborò in modo sempre più coerente il Il concetto concetto di inconscio, giungendo alla conclusione che gli individui tendono a ri- di inconscio muovere, cioè ad allontanare dalla propria vita psichica cosciente, i ricordi penosi e dolorosi. Essi vorrebbero cancellare definitivamente (cioè dimenticare) quelle esperienze traumatiche, ma non ci riescono, e d’altra parte non possono reggere il peso della memoria cosciente di quanto hanno vissuto e sperimentato. Pertanto, gli individui attivano la cosiddetta rimozione, un complesso meccanismo psichico di di- L’individuo e la società La nascita della psicoanalisi APPROFONDIMENTO C I CARATTERI FONDAMENTALI DELLA TERAPIA DI FREUD UNITÀ 1 L’interpretazione dei sogni TRA ’800 E ’900: L’EPOCA DELLE MASSE E DELLA VELOCITÀ 4 Il ruolo del terapeuta Presupposto Obiettivo Strumento Scoperta della complessità della vita psichica dell’essere umano Guarigione dei nevrotici Far emergere gli aspetti inconsci della vita psichica dell’individuo fesa per cui l’elemento penoso viene, per così dire, cacciato indietro, nel profondo, al punto da divenire inconscio; d’altro canto, non essendo affatto dimenticato, quanto è stato rimosso cerca di riemergere, con il risultato che l’individuo si logora, per tenere compresso il proprio inconscio, combattendo una vera e propria lotta. Uno dei risultati più durevoli delle ricerche di Freud fu la scoperta che i sogni sono un canale privilegiato che permette al terapeuta di penetrare nell’inconscio del paziente; nel 1899, pertanto, Freud pubblicò uno dei suoi testi più importanti, L’interpretazione dei sogni, nel quale spiegava la funzione rivestita dal sogno nella vita psichica degli individui: esso, frequentemente, si configura infatti come la realizzazione allucinatoria di un desiderio rimosso. In pratica, in sogno, emergono desideri o tendenze che una persona, a livello di coscienza, nega persino di avere o aver mai avuto; la rimozione è avvenuta perché la società e l’individuo stesso ritengono quel desiderio immorale o peccaminoso: in sogno, tuttavia, in modo allucinatorio (cioè in maniera figurata) la persona dà libero corso a quella tendenza e immagina che il suo desiderio proibito trovi completo appagamento. Il sogno, tuttavia, in genere non presenta in modo esplicito l’appagamento di quel dato desiderio, in quanto il controllo sull’inconscio è solo allentato, e non completamente eliminato. Nei sogni, dunque, bisogna distinguere un contenuto manifesto (che, nella maggior parte dei casi, si presenta in forma simbolica) e un contenuto latente, cioè nascosto, che esprime il vero desiderio rimosso della persona e si nasconde dietro i simboli stessi. Il compito del terapeuta, secondo Freud, era di mettere insieme tutti i frammenti di passato che emergevano nel corso della lunga e delicata analisi degli angoli più nascosti della psiche del paziente, compiuta nel corso di sedute in cui il malato doveva cercare di parlare di sé il più liberamente possibile, descrivendo i propri sogni e tutti i dettagli della propria esistenza, anche quelli più lontani nel tempo e apparentemente insignificanti. Anche se si considerò sempre uno scienziato e non un filosofo, Freud ci appare lontanissimo dalla mentalità positivistica, in quanto molte delle sue tesi non potevano trovare alcuna verifica sperimentale. Inoltre, l’introduzione del concetto di inconscio rendeva per lo meno problematica la pretesa positivistica di poter conoscere con oggettività e precisione la realtà; se l’uomo non conosceva del tutto nemmeno se stesso, risultava decisamente discutibile la pretesa di chi sosteneva la possibilità di comprendere in modo esatto il funzionamento della natura in tutti i suoi aspetti: molto più onesto appariva, invece, un atteggiamento dettato dalla consapevolezza che ogni affermazione umana è solo un tentativo di comprensione, una schema di riferimento, che inevitabilmente, prima o poi, dovrà essere corretto sulla base di un’osservazione più accurata e di un approccio complementare (che osservi la realtà da un altro punto di vista). F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Nel passo che riportiamo (tratto da Introduzione alla psicoanalisi, scritto nel 1915-1917) Freud esprime una lucida consapevolezza dell’importanza storica delle proprie scoperte. Con questo risalto dato all’inconscio nella vita psichica abbiamo però risvegliato gli spiriti più maligni della critica contro la psicoanalisi. Non meravigliatevene, né crediate che la resistenza contro di noi risieda solo nella comprensibile difficoltà dell’inconscio o nella relativa inaccessibilità delle esperienze che ne provano l’esistenza. A mio parere, la sua origine è più profonda. Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare da parte della scienza due grandi mortificazioni del proprio ingenuo amore di sé. La prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell’universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, nella sua grandezza, è difficilmente immaginabile. Essa è associata per noi al nome di Copernico, benché già la scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile. La seconda, poi, quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l’influsso di Darwin, di Wallace e dei loro precursori, non senza la più violenta opposizione da parte dei contemporanei. Perché le tre scoperte citate da Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell’uomo è destinata a suFreud costituiscono birla da parte dell’odierna indagine psicologica, la quale tende a dimostrare all’Io che non una mortificazione solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie ridell’«ingenuo amore guardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche. Anche questo richiamo a guardi sé» tipico degli darci dentro non siamo stati noi psicoanalisti, né i primi né i soli, a proporlo, ma sembra che esseri umani? tocchi a noi sostenerlo nel modo più energico e corroborarlo [rafforzarlo, convalidarlo, n.d.r.] con materiale empirico che tocca da vicino tutti quanti gli uomini. Di qui la generale ribel- Che cosa significa lione contro la nostra scienza, l’inosservanza di ogni norma di urbanità [civiltà, n.d.r.] e lo svinl’espressione colamento degli oppositori da tutti i freni della logica imparziale. secondo cui l’uomo «non è padrone in B. ZANUSO, La nascita della psicoanalisi. Freud nella cultura della Vienna fine secolo, Bompiani, Milano 1982, pp. 17-18 casa propria»? APPROFONDIMENTO C DOCUMENTI UNITÀ 1 Il significato storico della scoperta dell’inconscio L’individuo e la società 5 Sigmund Freud (il primo a sinistra) fotografato insieme ad altri psicoanalisti. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 UNITÀ 1 APPROFONDIMENTO C Le pulsioni dell’individuo e la civiltà TRA ’800 E ’900: L’EPOCA DELLE MASSE E DELLA VELOCITÀ 6 Un gruppo di bambini tedeschi in una fotografia del primo Novecento. Secondo Freud, molti disturbi psichici affondavano le loro radici nell’infanzia. Nel corso della sua esperienza terapeutica, Freud giunse a due conclusioni che, all’epoca, destarono scandalo, sgomento e stupore. Innanzi tutto, egli dimostrò che un numero molto rilevante di disturbi psichici affondavano le loro radici nell’infanzia dell’individuo; il bambino, pertanto, dopo gli studi di Freud non poté più essere considerato un essere dalla vita affettiva elementare, bensì apparve come una personalità complessa, a sua volta tormentata da impulsi e desideri intensi e profondi, capaci di determinare la vita futura dell’individuo. In secondo luogo, Freud scoprì che la maggior parte dei desideri e dei traumi che disturbavano i suoi pazienti erano di natura sessuale, cioè erano il frutto della continua repressione che la società esercitava nei confronti di questo aspetto dell’esistenza umana. Inoltre, Freud mise in luce che l’impulso sessuale esisteva anche nei bambini, tant’è che uno dei motivi più frequenti di disagio era la rimozione di quello che Freud chiamò il complesso di Edipo, che consiste nel desiderio di possedere in esclusiva la propria madre e di eliminare il padre, considerato come un pericoloso rivale. Partendo da questi risultati ottenuti in sede clinica, Freud si sforzò infine di dare coerenza alle proprie concezioni, esponendo sia una compiuta teoria del funzionamento della vita psichica degli esseri umani, sia le proprie idee sulla civiltà, cioè sull’organizzazione sociale degli uomini e sui sacrifici che essa provoca ai singoli individui. Alla base di tutto il meccanismo psichico, Freud pose gli istinti primari, da lui chiamati pulsioni, che rendono l’uomo un essere tendenzialmente a-sociale ed egoista; la civiltà, secondo Freud, ha come presupposto di base la coercizione, cioè la repressione delle pulsioni. È vero che in certi campi, come quello relativo all’esercizio della sessualità, Freud criticò la moderna società borghese, affermando che essa ave- F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 IL PENSIERO SOCIALE DI FREUD La repressione degli istinti è fondamentale per la conservazione della civiltà umana Rifiuto categorico dell’impostazione di Nietzsche La natura umana non è modificabile Rifiuto di tutte le ideologie impegnate a creare l’uomo nuovo Pessimismo antropologico e rifiuto dell’utopia F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C UNITÀ 1 7 L’individuo e la società va portato la repressione a un livello eccessivo, insopportabile soprattutto per le donne maritate, costrette a «scegliere soltanto tra il desiderio insoddisfatto, l’infedeltà o la nevrosi». Eppure, Freud non sostenne mai la necessità di una completa liberazione degli istinti, secondo modalità affini a quelle sostenute in modo profetico e visionario da Nietzsche: al contrario, egli ebbe sempre paura dello scatenamento delle pulsioni, che nella migliore delle ipotesi avrebbe portato gli uomini a diventare pigri, oziosi e indolenti, nella peggiore avrebbe ricreato uno stato di natura in cui nessuno sarebbe più stato al sicuro, una guerra di tutti contro tutti analoga a quella descritta da Hobbes. Il pensiero sociale di Freud è tutt’altro che rivoluzionario, e di conseguenza è pure radicalmente antiutopico. Mentre i marxisti ritenevano che, nella società socialista Rifiuto dell’utopia pienamente realizzata, la coercizione sarebbe scomparsa, perché l’assenza di proprietà privata avrebbe cancellato l’egoismo dall’animo umano, Freud fu sempre molto perplesso sulla possibilità di trasformare la natura umana, come scrisse in una lettera del dicembre 1914: «La psicanalisi, dallo studio dei sogni, e dagli errori mentali della gente normale così come dai sintomi dei nevrotici, ha tratto la conclusione che gli istinti primitivi, selvaggi, cattivi del genere umano non sono scomparsi in ogni individuo, ma continuano ad esistere sebbene in forma repressa e che essi non aspettano che l’occasione per dispiegare la loro attività. Inoltre ci ha insegnato che il nostro intelletto è una cosa debole e condizionata, un giocattolo ed uno strumento dei nostri impulsi e delle nostre passioni». La figura di Freud si colloca dunque, nel panorama culturale del periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, su un piano intermedio. Da un lato, infatti, il grande medico viennese comprese l’importantissimo ruolo che la componente istintuale e irrazionale della psiche rivestiva nel comportamento uma- L’importante ruolo no; dall’altro, in maniera tutta illuministica, egli affermò la necessità di porre rigi- della psiche di freni e drastici limiti a quella componente, pena la distruzione della civiltà. Come lo Stato Leviathan di Hobbes, la vita in società era un male minore: comportava disagio e sacrifici, in quanto esigeva la repressione delle pulsioni, ma era inevitabile, perché come unica alternativa aveva il caos e la violenza generalizzati. Nel contempo, con il suo freddo realismo, Freud si opponeva anche alle utopie di tutti coloro che, nel corso del Novecento, avrebbero promesso la costruzione di un uomo nuovo (comunista, fascista, nazionalsocialista), denunciando che tutti i tentativi di modificare la natura umana non solo sarebbero stati condannati al fallimento finale, a causa dei «limiti dell’educabilità umana», ma nell’immediato avrebbero richiesto una dose di violenza e repressione infinitamente più elevata di quella esistente nella moderna società borghese.