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VENDITORE O COMMERCIALE: TU COME TI CHIAMI?
DOSSIER VENDITORE O COMMERCIALE: TU COME TI CHIAMI? PERCHÉ IL NOME FA ANCORA DIFFERENZA, E PERCHÉ I VENDITORI NON SONO ORGOGLIOSI DI CHIAMARSI COSÌ T utto è nato su Facebook, come succede spesso oggi. Abbiamo lanciato la domanda sulla pagina di V+ e le risposte hanno sollevato il velo su una questione che avevamo solo immaginato fosse sentita così importante: venditore o commerciale? Tu come ti chiami? I primi commenti a caldo mostrano un sostanziale schieramento: c’è chi preferisce “venditore”, chi “commerciale”. Per ragioni personali, il più delle volte, ma anche culturali, sociali, più genericamente umane, di rapporto con il cliente o con se stessi. L’obiettivo non è trovare, a nostra volta, una posizione, ma raccogliere più voci possibili e dare una panoramica. Per farlo, abbiamo girato la domanda del titolo ai collaboratori che scrivono su V+ e che, da venditori o formatori, hanno detto la loro. Non si ama se stessi: si difende la propria identità. E talvolta contro se stessi. (Roger Munier) 16 - Vendere di più UN PARCHEGGIO A ORE PER FANNULLONI di Valter Ribichesu Ogni volta che mi capita di consultare le offerte di lavoro negli annunci economici di un quotidiano o sui siti preposti a svolgere l’attività di recruiting, non posso fare a meno di notare come l’80% delle aziende cerchi venditori. Solo che tutte, ma proprio tutte, usano nomi variegati, pittoreschi, altisonanti e talvolta davvero molto, molto originali. Di solito infatti si cercano: responsabili sviluppo, consulenti commerciali, addetti marketing, responsabili acquisizioni, procacciatori d’affari, commerciali... E poi ci sono quelli che cercano di darsi un tono selezionando “Manager Sales Account” per vendere “la porchetta di Ariccia” nella zona del basso Lazio e dell’Agro Pontino. Condizioni queste che, con tutto il rispetto, non credo richiedano necessariamente la conoscenza dell’inglese. Il fatto è che in Italia continuiamo ad accomunare il termine “venditore” a quello di mercante, trafficante, bottegaio, piazzista... secondo, ovviamente, le accezioni più negative dei termini. Ciò avviene perché purtroppo nel nostro Paese manca completamente una “cultura alla vendita”. La scuola, a cui è delegato per ruolo istituzionale quello di educare e preparare i giovani al mondo del lavoro, trascura completamente questo processo fondamentale in qualsiasi ciclo economico. Si crea quindi, sin da subito, una lacuna formativa che solo di recente si cerca di colmare attraverso corsi di formazione più o meno efficaci e specializzati, che sovente sono però tenuti da docenti universitari, psicologi, esperti di Pnl, giornalisti, laureati o laureandi in Scienze della comunicazione o della formazione e network marketer, tutte persone sicuramente preparatissime, ma che non hanno mai venduto nulla in tutta la loro vita per ruolo professionale. Il nome giusto da usare è proprio “venditore”, esattamente come negli Stati Uniti si utilizza “salesman”. Lì, a differenza che da noi, le persone che svolgono questa fantastica professione vengono considerate colonne portanti per qualunque azienda. Non hanno alcun bisogno di mascherarsi dietro a nomignoli strani ma, al contrario, urlano forte ai loro clienti chi sono. In Italia si continua invece a pensare alla vendita non come a una professione e, lasciatemi dire, una delle più complesse e articolate che possano esistere, ma come a qualcosa che si fa... in attesa di trovare un lavoro. Come se vendere fosse un parcheggio a ore per fannulloni. Personalmente mi sono sempre considerato un venditore e rivendico con orgoglio questo termine. Da formatore sono consapevole che c’è molto da lavorare per far sì che questa professione riesca a essere identificata nell’immaginario collettivo come tale e non come una sorta di attività losca a scopo di lucro, svolta da malfattori in cravatta. Sono un venditore, e oggi sono qui per aiutarti a risolvere i tuoi problemi e migliorarti la vita. Valter Ribichesu Comincia come venditore in Pony Express, diventando responsabile del personale e capo filiale. Nel ‘96 fonda una società di estetica e benessere all’interno di Vanity Line e poi New Life Consulting, società di formazione e soluzioni integrate. Primo cliente: Gabetti Spa. NON SIAMO CATALOGHI PARLANTI di Alberto Claudio Tremolada Il venditore è colui che nell’immaginario collettivo “invade il tuo territorio” (antropologico) e vuole “approfittarsene” (scarsa reputazione) senza che ci sia bisogno o porti vantaggi tangibili. Molto hanno contribuito le aziende e gli pseudo professionisti che, con il loro modo opportunistico di lavorare, hanno creato un’immagine distorta. Ci sono poi diverse aziende che considerano erroneamente i venditori alla stregua di cataloghi parlanti che devono solo procacciare. Un male necessario per aumentare fatturato ma un costo da eliminare appena possibile. Ovviamente molti che svolgono l’attività di venditori non vogliono essere associati alla figura del venditore e usano “nomi di fantasia” pensando di qualificare la propria professionalità. Invece di fare un’operazione di puro maquillage, l’azienda e il venditore dovrebbero costruire assieme un lungo percorso fatto di formazione e strumenti per diventare generatori di vantaggi per la comunità. Solo allora la comunità riconoscerà il valore del ruolo che ricoprono. Un nome qualunque non esiste, per così dire non si dà in natura: ogni nome reca una certa carica di destino. (Tommaso Landolfi) ALBERTO CLAUDIO TREMOLADA È manager di Metatech Group (fonderie alluminio/ ghisa). Laurea in Economia aziendale e master in Comunicazione, ha lavorato come imprenditore/manager di fonderie. Membro gruppo UNI Adaci (Associazione italiana acquisti e supply management) e contributor per riviste. E IL CLIENTE “RIZZA IL PELO” di Franco Marmello Il termine “venditore” ha assunto nel tempo un significato peggiorativo, una semantica sociale per niente positiva. Per troppo tempo (ancora adesso troppo spesso) Vendere di più - 17 DOSSIER L’identità di un uomo consiste nella coerenza di ciò che fa e di ciò che pensa. (Charles Sanders Peirce) i venditori non sono stati formati al concetto di customer satisfaction. Bastava vendere, fare il budget... I termini usati dai venditori erano: “sbolognare”, “caricare il cliente”... Firmato il contratto il venditore spariva, il post selling non esisteva. Il venditore di polizze assicurative affascinava per la sua parlantina. Il perito, in caso di sinistro, cercava di non pagarti o pagarti il meno possibile. Compravi una cucina e non ti consegnavano le maniglie di un mobile. Impiegavi secoli a fartele portare. Venivano fatte in trattativa – in ogni settore – tante promesse. Ma non venivano mantenute. Così è nata nel cliente una naturale resistenza verso chiunque voglia vendergli qualcosa. Ecco il motivo per cui la gente, quando sente “venditore”, rizza il pelo. Questo il venditore lo sa e lo sente e cerca di evitare un’etichetta che non gli facilita la trattativa. E pensare che vendere dovrebbe voler dire “risolvere un problema a qualcuno”. FRANCO MARMELLO Formatore, membro storico AIF, giornalista, scrittore, fondatore della ‘Bottega del cambiamento’. Il progetto si rivolge alla valorizzazione dei talenti in ogni settore del lavoro e promuove corsi di formazione in Italia: indoor, outdoor, coaching. SE MANCA IL TOP PLAYER... di Paolo D’Intino La scorsa settimana sono stato invitato a un meeting per presentare, a un gruppo di operatori di settore, un piano marketing per il rilancio turistico di Francavilla al Mare, la cittadina turistica, sita nell’ameno Abruzzo, in cui ho la fortuna di vivere. Tra le diverse informazioni, ho fortemente sottolineato un aspetto, ovvero la necessità di inserire negli obiettivi del piano la “vendita” di prodotti e servizi turistici. A quel punto ho notato in sala delle mimiche facciali interdette e allora ho aperto un piccolo dibattito. Ho chiesto ai presenti se si sentissero venditori e che genere di importanza dessero a questo termine, così poco utilizzato. Ho infine evidenziato che oggi i principali problemi che hanno prodotto e stanno continuando a produrre la crisi economica che sta affliggendo i Paesi economici occidentali riguardano soprattutto questo elemento, ovvero la mancata attribuzione del giusto valore al concetto di vendita. Quando un’azienda sta chiudendo, pochi mettono in evidenza il fatto che 18 - Vendere di più probabilmente è il valore del saper vendere che è venuto meno che i prodotti non vengono più venduti, mentre al contrario si è soliti commentare la mancanza di commesse o di banche, che non supportano il sistema impresa, o la concorrenza dei mercati orientali. Problemi che comunque riconducono sempre al concetto di inconsistenza delle vendite, per cui è superfluo girare intorno a un problema, impariamo a chiamare le cose con il loro vero nome: un’azienda chiude o entra in crisi quando smarrisce la capacità di saper vendere i suoi prodotti, o forse questa capacità non l’ha mai posseduta, e mentre in tempi di “vacche grasse” l’incapacità di vendita è mascherata dalle buone condizioni generali del mercato, quando invece subentrano i periodi di crisi tutte le aziende che hanno questo gap sono le prime a entrare in un vortice negativo che le conduce alla chiusura o nella migliore delle ipotesi a un forte ridimensionamento. Tutto ruota intorno alle vendite. Il fine ultimo del marketing è la soddisfazione del cliente e la redditività dell’azienda, ma se non vendi e soprattutto se non vendi “bene”, pochi saranno i clienti soddisfatti e misera la redditività aziendale. La vendita sta al marketing così come un top player sta a una società di calcio. La società di calcio potrà avere un ottimo stadio, un’ottima organizzazione di gioco, un ottimo bacino di tifosi, un’ottima squadra, un ottimo allenatore, ma senza il top player che “vende”, cioè che segna, finalizzando la gran mole di gioco messa a punto dal sistema squadra, i risultati non arriveranno, e i tifosi, alias i clienti, della squadra saranno insoddisfatti e la redditività della società subirà conseguenze negative, si venderanno meno biglietti, si venderà meno merchandising, si venderanno meno contratti di sponsor, si venderanno meno diritti televisivi, si venderanno a minor valore i giocatori in vendita sul mercato, si venderà meno tutto. Ho trascurato di rispondere alla domanda iniziale: “Venditore o commerciale. Io come mi chiamo?”. Dopo aver scritto queste poche righe, lascio la risposta ai lettori. PAOLO D’INTINO Direttore commerciale di un’azienda leader nel settore della disinfestazione professionale. Artefice della cultura “green” senza veleni per la lotta agli agenti infestanti e appassionato di marketing management, organizza e gestisce reti di vendita. AVEVA RAGIONE GIULIETTA di Vincenzo Patti Venditore, agente, rappresentante, consulente, promoter, account, sales account, sales promoter, sales specialist… mai nessuna professione è stata nominata con così tanti job title. Gli stessi venditori oggi sono confusi: qual è la definizione più appropriata per dare la giusta connotazione al proprio lavoro, senza che il cliente sia colto da forti pregiudizi? L’intento iniziale degli esperti di marketing e di neuroscienze era quello di accrescere la consapevolezza del ruolo del venditore e della sua immagine agli occhi dei potenziali clienti, facendo passare inconsciamente, attraverso una parola che evocasse sensazioni positive, l’idea che “Io non vendo nulla, faccio consulenza…”. Ma è il nome che identifica un professionista o è lo stile e l’approccio con cui svolge il suo lavoro che lo qualificano? Sarà capitato a tutti noi di chiedere “Di cosa ti occupi?” a qualcuno che non si conosceva. Alla sua risposta “Sono il Senior Sales Consultant di XXX”, noi abbiamo replicato “Ho capito… fai il venditore, giusto?”. Se bastasse una parola ad accrescere il valore delle cose, potremmo chiamare resort un villaggio vacanze, antico un oggetto vecchio, attico una mansarda con balcone... anche se sono convinto che tutti noi ne comprenderemmo bene la differenza. La scelta del job title, a mio avviso, dipende da molti fattori, primo fra tutti il tipo di azienda e il suo settore di appartenenza, anche se alla fine sono d’accordo con Shakespeare quando, nella sua tragedia più famosa, fece pronunciare a Giulietta questa frase: “Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo con il nome rosa anche con un altro nome conserverebbe sempre il suo profumo”. Parole sagge! Vincenzo Patti Dal 2006 è trainer e consulente di Harris Italia per la formazione e sviluppo di reti di vendita. Ha maturato una significativa esperienza commerciale nel settore dei servizi. È autore con Tullio Miscoria dei libri Un perfetto gioco di squadra, Il venditore che cercavi e Da domani sarò un “nuovo” manager. www.harrisitalia.it “FINIRAI A FARE IL VENDITORE...” E INVECE NO: ONORE AI VENDITORI di Vittorio Galgano Il termine venditore è rifuggito perché vi si riconduce – per il deplorevole meccanismo della generalizzazione – un modello di persona inaffidabile, ruffiana e manipolatrice. Al figlio, scolaro negligente e indisciplinato, il padre diceva “Tu finirai a fare…” e concludeva con una di queste tre parole: il venditore! Il rappresentante! Il piazzista! Giorni fa ero in un negozio. Stavo per fare al negoziante la mia richiesta, ed entra, riconoscibile dal suo equipaggiamento, un venditore. Con un cordiale sorriso, saluta il proprietario: “Buongiorno, signor Fausto”. Il negoziante risponde: “Buongiorno anche a lei, ma oggi non ho proprio bisogno di niente”. Poi rivolto verso di me mormora a bassa voce: “L’accolgo sempre così, ma lui non si scoraggia mai; mi dimostra che non è vero e io finisco con l’acquistare. È una persona attiva, capace e onesta”. Questo episodio ci aiuta a rendere onore ai tanti bravi venditori che ogni giorno affrontano la difficile avventura della vendita. Eroi solitari che producono benessere! Spesso pressati dalle condizioni meteorologiche, dal traffico, dai clienti, dai superiori, dalle avverse condizioni di mercato, e che tuttavia si presentano sempre con un sorriso. Sono gli eroi del vendere, uno dei verbi più dinamici che nel significato più ampio significa “indurre all’azione”. Bisogna sempre chiamare le cose con il loro nome. (J. K. Rowling) Se il venditore deve essere capace di svolgere un processo persuasivo che induce il cliente all’azione di acquisto, allora anche un padre deve essere un “venditore” capace d’indurre i figli ad adottare nella vita comportamenti corretti e responsabili. E gli insegnanti? Gli insegnanti, devono vendere le loro materie per indurre agli studenti. E i manager? Devono vendere ai collaboratori gli obiettivi dell’azienda. Se ovunque, in ogni ambito sociale, ci fossero più venditori veramente degni di questa parola, la soVendere di più - 19 DOSSIER cietà farebbe un notevole passo avanti. Pertanto bisogna solo essere fieri di essere venditori, ma con la “V” maiuscola. VITTORIO GALGANO Presidente di Ottantaventi, società di formazione e consulenza. Da trent’anni lavora nel settore delle vendite con aziende nazionali e internazionali. Ha scritto Come diventare un asso nella vendita, Come vendere in negozio e Come sedurre il pubblico con la parola. I PREGIUDIZI SU CHI NON ASPETTA IL 27 DEL MESE di Benedetto Santangeli Se la ricerca spasmodica del cosiddetto posto fisso ha portato a relegare in un girone di serie B tutte quelle attività che non prevedono una retribuzione certa in un dato giorno del mese, c’è da chiedersi davvero se la creazione di un percorso di vita debba tener conto solo ed esclusivamente della Dare un nome alle cose è la grande e seria consolazione concessa agli umani. (Elias Canetti) sicurezze (oggi forse più insicurezze…) legate al 27 del mese! Proprio la mancanza di questo condizionamento psicologico costituisce un motivo di grande orgoglio per quelle figure professionali che, come il venditore, costruiscono giorno dopo giorno il loro futuro sulla base dell’impegno giornaliero, delle proprie capacità e degli obiettivi. Che sia questa la vera motivazione dei pregiudizi che esistono sul mondo della vendita? Personalmente credo di sì. Esiste poi un’altra categoria di motivazioni, che vede nella comunicazione persuasiva del venditore un elemento di negatività, perché equiparata all’insistenza. Per contrastare questa “miscela” critica, l’unico antidoto al quale ricorrere può essere solo una maggior consapevolezza nei mezzi e nelle qualità che si possiedono per modificare l’atteggiamento di molti colleghi. Spesso, inconsapevolmente, sono indotti a relazionarsi con l’esterno quasi giustificandosi. Il ricorso a termini sostitutivi della parola venditore quali “commerciale”, “consulente”, “funzionario” è sintomatico di un certo modo di intendere la propria figura. Risultato? Solo un rafforzamento di idee distorte su questo lavoro! E se, nonostante tutto, qualcuno vorrà ancora continuare a credere che il successo di un venditore sia un fatto puramente casuale, vorrà dire che, senza saperlo, avrà dato ragione al grande Jean Cocteau, che diceva: “Certo che la fortuna esiste. Se no come potremmo spiegare il successo degli altri?”. BENEDETTO SANTANGELI Responsabile di ufficio amministrativo in una multinazionale della vendita diretta. Precedenti incarichi come formatore per la rete vendita e responsabile di distretti commerciali. Altre esperienze come consulente di direzione in Mercurio Misura, promotore finanziario in Dival e product manager in Agip Petroli. UNA PAROLA “SPORCA” di Laura Piloni Ho provato a chiedere a conoscenti, che svolgono attività diverse, di associare una parola o un pensiero a “venditore”. Le risposte ricorrenti sono state: “uno che vende a tutti i costi” e “venditore di fumo”. Ho pensato: preconcetti e pregiudizi. Ho chiesto la stessa cosa a colleghe che fanno da tempo e bene questo lavoro e no, neanche a loro piace la parola venditore. Ho pensato: preconcetti e pregiudizi? Infine ho chiesto a mio nipote di sedici anni, che ha immediatamente associato la parola “truffatore”. Gli ho fatto notare che anch’io sono un venditore e la sua risposta è stata “Lo so, ma tu ti fai chiamare consulente”. C’è poco da girarci intorno: nell’immaginario collettivo il venditore non è proprio quel che si dice un galantuomo. Le parole sono piene di significato, e, se si sporcano, poi è difficile, forse impossibile, ripulirle e riabilitarle. E anch’io che faccio questo lavoro con passione, preferisco farmi chiamare consulente. Pensandoci, però, anche la “pettinatrice” che mi tagliava i capelli da piccola ora ha sull’insegna “hair stylist” e, anche se non la frequento più, so per certo che continua a pettinare. E la bottega del prestinaio è diventata la “boutique del pane”. Forse è arrivato il momento di cambiare, avendo cura di mantenere pulito il termine nuovo che sceglieremo. C’È UNO SPARTIACQUE, ED È L’ORGOGLIO di Vladimiro Barocco Sono favorevole al titolo di “venditore”, più preciso, diretto e qualificante dell’impreciso e disinformativo “commerciale”. Il venditore non sta ai vertici della graduatorie delle figure professionali e perde posizioni nei momenti di crisi quando diminuisce il reddito e aumenta l’incertezza. Forse è per questo che alle mamme e alle future suocere non piace la parola venditore. Il cinema l’ha rappresentato come venditore di auto usate, interpretato molto bene da Danny De Vito. C’è stato anche il film Morte di un commesso viaggiatore, ma quella era un’altra storia. Dopo il commesso è venuto il piazzista, concentrato solo sul proprio interesse: piazzare la merce e guadagnarsi la provvigione. Non è solo il venditore a soffrire della mancata posizione sociale; alcuni professionisti si presentano come consulenti quando nella realtà sono venditori e infatti sono pagati a provvigione. Lo spartiacque è rappresentato dalla professionalità che fa vivere con orgoglio lo status di venditore e porta con sè il successo, l’entusiasmo e la fiducia nel futuro che ha visto non pochi venditori passare al ruolo di imprenditori di successo. I venditori per primi dovrebbero investire nel loro sviluppo professionale. Il resto arriva con maggiore naturalezza. VLADIMIRO BAROCCO Con 30 anni di esperienza nel marketing e nella gestione aziendale, è senior partner di StudioCentro Marketing e consulente management certificato APCO/ ICMCI. Tra le sue pubblicazioni La gestione della forza vendita (come curatore), Il marketing del consulente e Il piano marketing per le Pmi (Franco Angeli). LAURA PILONI Ha lavorato per anni come dipendente di ente pubblico. Vent’anni fa sperimenta la vendita. Dopo aver fatto convivere le due esperienze, lascia il posto fisso e si dedica alla vendita a domicilio per Just Italia Srl. Dal 2006 volge anche funzioni di coordinamento e formazione di venditori. 20 - Vendere di più Vendere di più - 21