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Perchè medito di Paul Fleischman567
Perchè medito* di Paul Fleischmann** Che significa meditare? - Il desiderio di conoscersi - La mia mente e il mio corpo - le leggi di natura - Sedersi per scoprire La necessità di uno strumento - L’autocontrollo - La pratica intensa - L’accettazione della realtà personale - L’amore coniugale Diventare una persona migliore - La responsabilità sociale La fede - Chi sono - Il ruolo della morte - Essere se stessi L’esperienza pratica della verità - L’eredità della meditazione Le mie motivazioni - Perchè sono qui seduto? - La libertà mentale - La consapevolezza intensa. (...) Stamattina, come prima cosa, ho meditato per un’ora. Lo faccio da tantissimi anni, coscienziosamente, e ho trascorso serate, giorni e settimane in questa occupazione. * Tratto dal libro di Paul Fleischmann Karma e Caos Ubaldini editore. Estratto. ** Paul R. Fleischman, M.D., pratica la psichiatria da più di venticinque anni. Nel l993 ha ricevuto l’Oscar Pfister dall’American Psychiatric Association per “i suoi importanti contributi all’aspetto umanistico e spirituale dei problemi psichiatrici” forniti nel libro The Healing Spirit (Paragon House, New York, l989). La sua opera più recente è Cultivating Inner Peace (Tarcher/Putnam, New York, l997). Ha fatto il suo primo corso di Vipassana, con sua moglie Susan, nel l974, in India, sotto la guida di S.N. Goenka. Nel l987 i Fleischman furono nominati Assistenti nell’insegnamento di Vipassana, e nel l998 S.N. Goenka li ha nominati Maestri. Altri suoi testi in www.pariyatti.org. 1 Perchè medito Che significa meditare? La parola “meditare” in passato aveva un significato piuttosto vago; con questo termine si intendeva una serie di attività che andavano dalla riflessione profonda e prolungata alla preghiera e alla contemplazione religiosa. In anni più recenti, la parola “meditazione” ha assunto una pseudo -specificità: “Meditazione Trascendentale”, rilassamento profondo o condizionamento con onde alfa, il tutto caratterizzato da manifestazioni culturali induiste quali i mantra, i guru e gli stati alterati di coscienza. Gli addetti ai lavori parlano di ‘sedersi’, parola chiave che può suggerire varie realtà dell’assembramento di persone accovacciate come polli nella stia, alla vacuità della noia fino alla penetrazione della visione profonda. Parto da questa indeterminatezza per spiegare perché ho passato migliaia di ore ‘sedendo’ e perché ho fatto di questa attività il centro della mia vita. Il desiderio di conoscersi (...) Ho sempre desiderato conoscermi. Trovo strano che, mentre passiamo la maggior parte della nostra vita a studiare, ad osservare, a contemplare il mondo che ci circonda, indirizziamo così raramente le nostre organizzate facoltà mentali verso il mondo interiore. Questa apparente indifferenza nasconde certamente una buona dose di ansietà, di riluttanza o di paura e ciò, naturalmente, mi rende ancor più curioso. La maggior parte delle nostre attività sono dirette all’esterno e questo ci distrae dall’introspe- 2 Perchè medito zione; questa ossessiva tendenza all’esteriorizzazione persiste indipendentemente da necessità di sopravvivenza come quelle di cibo e di calore, e persino dal piacere: attimo dopo attimo, fino all’ultimo respiro ci lasciamo catturare da ciò che vediamo, da ciò che gustiamo, da parole, da movimenti, da stimoli elettronici. É singolare che anche molte attività normali che apparentemente facilitano la riflessione, come fumare la pipa o contemplare un tramonto, in definitiva ci impediscono di fermare l’attenzione sulla realtà della nostra vita. Non è quindi per pura adesione intellettuale al socratico ‘conosci te stesso’ che io ‘mi siedo’ ma perché mi rendo conto che io e i miei simili siamo continuamente condizionati da stimoli esterni, siamo fondamentalmente incapaci di controllarci, e siamo mossi unicamente dalle nostre reazioni. Voglio conoscere questo essere vivente semplicemente osservandolo, così com’è, non come appare mentre viene sballottato da un avvenimento all’altro. Questo fa parte del mio lavoro di psichiatra, ma le mie motivazioni vanno più in profondità: esse sono personali ed esistenziali. La mia mente e il mio corpo Mi interessa la mia mente e mi interessa il mio corpo. Prima di coltivare l’abitudine di meditare, avevo riflettuto su me stesso e avevo usato il mio corpo come strumento per afferrare una penna o spaccare la legna, ma non l’avevo mai osservato in modo sistematico, non avevo mai fatto attenzione a ciò che 3 Perchè medito esso prova, o l’avevo fatto saltuariamente e distrattamente, non certo attimo dopo attimo, per ore e giornate intere. Né mi ero mai applicato ad osservare l’influenza reciproca di mente e corpo in situazioni di fatica e di riposo, di fame, di dolore, di rilassamento, di eccitazione, di apatia o di concentrazione. Il mio desiderio di conoscere non è puramente obiettivo e scientifico. Questa mente-corpo è il recipiente della mia esistenza. Ne voglio bere il nettare e, se necessario, la feccia; ma voglio conoscerlo, voglio immergermi nella sua vita segreta, per lo stesso impulso, credo, che ad ogni inverno e primavera spinge l’oca selvaggia delle nevi a volare per diecimila miglia. Mi pare chiaro che le forze della creazione e le leggi della natura dalle quali sono nati questa mente e questo corpo continuano ad operare incessantemente in me, e lo fanno ora, in questo momento ed ogni volta che faccio lo sforzo di osservarle. Vorrei conoscere queste leggi, le forze che operano in essa, chi mi ha fatto; vorrei partecipare a questa continua creazione, ed anche osservarla. Le leggi di natura La scienza moderna si basa sul presupposto che c’è un unico mondo durevole, un solo ordine ininterrotto ed un insieme di leggi che governano sia la terra che il cielo. Così, basandomi su questo principio e sulle antiche tradizioni dell’India presumo che le leggi fisiche delle stelle siano anche le leggi del mio corpo. La mia vita è una loro espressione, ed è incessantemente collegata da causa ed effetto a tutto ciò che è stato, che è, e che sarà. É evidente allora 4 Perchè medito che i fenomeni fisici e mentali che continuamente si affollano in me sono un’espressione delle leggi di natura; essi devono diventare il mio laboratorio di ricerca. Voglio poter cantare come un uccello - e come un uomo; voglio crescere e marcire come un albero - e come un uomo. Voglio ‘sedermi’, mentre la mia mente e il mio corpo fanno emergere e scorrere davanti a me e dentro di me il materiale umano fatto della stessa sostanza e governato dalle stesse leggi di galassie e scriccioli. Sedersi per scoprire Sono percorso da un’armonia dolce e tremenda al tempo stesso; vorrei poterla gustare e invece riesco a malapena a intuirla. Per questo voglio ‘sedermi’ con forte determinazione, per sbarazzarmi del brusìo delle distrazioni e dallo sfilacciamento di inutili preoccupazioni. ‘Sedermi’ vuol dire scoprirmi come manifestazione di ciò che è universale. É un’impresa appassionante e senza fine; e spero proprio di poterla proseguire anche di fronte al cunicolo della morte. É un pensiero, questo, che mi infonde una gioia e una forza straordinarie. Medito perché amo la quotidianità, per approfondirla e per gustarla sempre più. I grandi poeti cantano tutte le piccole cose straordinarie sotto cui si nasconde il mistero; ma io so anche con quanta facilità e frequenza io ceda alla distrazione, all’irritazione, quanto angusta sia la mia visione. Non vorrei fallire la mia vita nel modo in cui una volta persi l’aereo a La Guardia. 5 Perchè medito La necessità di uno strumento Può sembrare assurdo che io abbia bisogno di una tecnica, di una pratica, di una disciplina semplicemente per liberarmi dalle mie fantasie e dalle mie preoccupazioni, eppure è così; ed io mi arrendo a questa assurdità facendo ciò che devo fare per sbarazzare la mia mente da inquietudini effimere, per svegliarmi ad albe sempre nuove, per vedere il mio bambino che cresce e si trasforma. Per essere in pace con me stesso io devo dunque darmi da fare; questa alternanza di meditazione e di vita mi ha insegnato che l’ ‘essere in pace’ non è uno stato della mente, ma della mente e del corpo. Al centro della mia vita c’è una ricettività che ha bisogno di essere alimentata; la semplice bellezza delle cose provvede a questo scopo. Vivo per soddisfare questa mia esigenza e tuttavia la bellezza mi sfugge. Posso cercare di catturarla imbarcandomi in viaggi emozionanti - alla volta dell’India o dei laghi coronati di verde delle Montagne Rocciose - ma questo genere di bellezza mozzafiato è soltanto un intermezzo, un segno di punteggiatura. Mi ricorda ciò che ha più importanza, ma un punto esclamativo ha un impiego limitato. Cammino solo nella foresta autunnale, su e giù per le colline di gneiss e scisti e per le creste del Vermont, e non riesco a capire se questo forte pulsare, questo martellare, sia il frullio delle ali dei galli cedroni o il battito del mio cuore, accelerato dall’ultima salita. Non conta tanto quello che mi eccita, mi commuove o mi ammaestra, quanto la sorpresa di riconoscere, il diapason della mia vita che vibra in 6 Perchè medito risposta a ciò che vive. Questa capacità di ricevere - un po’ come quella che fa accettare il biscotto bagnato e mezzo rosicchiato del proprio bambino - ha bisogno di una struttura, di una matrice nel mio corpo, che io semplicemente non posseggo. Per acquisire, per conoscere, mi serve una preparazione fisica. L’ autocontrollo Per questo medito, mi ‘siedo’, per aprire i miei pori, quelli della pelle e quelli della mente, alla vita che c’è dentro e fuori di me, che continuamente si presenta alla mia soglia o, quantomeno, per farlo un pò più spesso. Mi ‘siedo’ per esercitarmi a riconoscere e ad accogliere in pace tutto quello che è abituale e inevitabile. Come il pavimento di legno che scricchiola nella camera dai muri storti in cui dormo con mia moglie, o il mio bambino di due anni che trascina un rametto per volta per aiutarmi ad accatastare legna nella neve di gennaio. Per seguire la mia via, sento il bisogno di un timone, di una chiglia, e cioè di un metodo e di una tecnica. Provo sempre di più il bisogno di autocontrollo - che non è certo costrizione, mortificazione o inibizione. Mentre si medita non ci si alza né ci si muove, non si fanno soldi né si passano esami, e neppure si può essere rassicurati da una certa telefonata. Si potrebbe obiettare che anche il servizio militare, una lezione di violino o la formazione medica permettono di esercitare l’autocontrollo. Ma l’azione di ‘sedersi’ 7 Perchè medito dà modo di esercitare l’autocontrollo nei confronti di valori specifici. Qui l’azione viene completamente sostituita dall’osservazione. Certo, non varrebbe la pena dedicare la propria vita a questa pratica se poi si passasse il tempo in sogni erotici o nella preoccupazione di essere riconosciuti ed accettati. Purtroppo ciò avviene comunque, fa parte della nostra umanità. Le varie culture non avrebbero prodotto gli onnipresenti codici morali, i Dieci Comandamenti (ed i Cinque precetti), se non traboccassimo di centomila impulsi incontrollati. Esortazioni morali e prediche mi sono però sempre apparse rimedi insufficienti tutt’al più mi danno la misura dei miei istinti più striscianti e incontrollabili. Mi servono delle lenti indistruttibili, o sempre rinnovabili, attraverso le quali poter scorgere l’amore al di là delle mie voglie e la fede al di là delle mie inquietudini. Come distinguere ciò che in me è convinzione radicata, ciò che forma il nucleo della mia identità, da semplici velleità destinate a cadere? Quali sono i personaggi che continuano a passare davanti allo specchio della mia anima giorno dopo giorno, anno dopo anno e quali invece i buffoni che occupano il palco per la durata di una scena? La pratica intensa Una volta l’anno, sotto la guida di un insegnante io mi siedo per l’intera giornata, e questo per periodi di dieci giorni o anche per periodi assai più lunghi. Praticare con questa intensità genera sofferenza fisica; di conseguenza, affrontare il dolore è diventato 8 Perchè medito parte normale ed inevitabile della mia vita. So che è così per tanta gente – per quelli che faticano, che sono poveri, infermi, che soffrono di malattie inguaribili, che hanno freddo e fame, in tutto il mondo. Ma la mia non è identificazione sentimentale e masochista; semplicemente, osservo un altro lato di me stesso. Mentre istintivamente cerco di evitare il dolore, una saggezza che prevale sulla pura reazione automatica mi avverte, con le parole di Socrate, che “… dolore e piacere non sono mai presenti nell’uomo simultaneamente; e tuttavia chi vuole l’uno è obbligato a prendere anche l’altro: si tratta infatti di due corpi con una sola testa”. Voglio veramente essere la persona che dichiaro di essere? Fino a che punto accetto di essere integrato con questo corpo petulante che pretende di mangiare, dormire, essere collocato nella posizione giusta, ed in caso contrario protesta in modo insopportabile? L’ autodisciplina e il vero amore ‘Mi siedo’ perché so di aver bisogno di un’autodisciplina che non metta sotto accusa le mie tendenze, o le soffochi, ma che riordini il desiderio in amore, trasformi paura e dolore in fede. Per quel che mi è dato di capire, l’amore non è un’emozione, ma è l’organizzarsi delle emozioni. Non è una stanza ma il luogo in cui ci si sente a casa; non è un uccello, ma è una rotta migratoria. É un complesso di sentimenti che va al di là dei sentimenti. É il contrario del colpo di fulmine e della sensualità romantica. 9 Perchè medito ‘Sedermi’ mi ha aiutato a trovare l’amore, a vivere l’amore, o quantomeno a viverne di più. Ha ravvivato entro i limiti delle mie possibilità il marito, il padre, lo psichiatra, il cittadino che c’è in me. La meditazione mi ha permesso di scrutare impietosamente e di superare certi miei atteggiamenti sentimentali, ed i miei giudizi morali, e mi ha fornito uno strumento, un’attività in cui esprimere l’amore. Essa mi fa da leva, e nel medesimo tempo mi stabilizza. Qualcuno ha scritto che è soltanto ‘l’ambivalenza che rende l’amore significativo – o addirittura possibile’. In altre parole, è soltanto perché siamo sia separati che uniti che esiste l’amore. Senza un’esistenza individuale e degli impulsi personali, il mondo sarebbe soltanto un globo omogeneo, spoglio di emozioni, inconsapevole, come un dito su un braccio. E tuttavia se fossimo irrimediabilmente separati, saremmo come fredde stelle autonome poste l’una accanto all’altra nello spazio morto. Per me l’amore significa l’organizzazione delle emozioni umane in quello stato complesso in cui separazione e fusione, individualità e coinvolgimento, io e mancanza di un io paradossalmente coesistono. Solo un individuo può amare, ma per farlo deve cessare di essere tale. ‘Sedermi’ mi ha aiutato a svilupparmi in entrambe le direzioni. Quando mi rinchiudo, mi costringe a spalancarmi e quando mi stacco, come una scheggia che salta via, mi ricongiunge al corpo a cui appartengo. ‘Sedermi’ potenzia lo sforzo che faccio nei miei confronti, mette in moto la mia volontà ed il mio impegno, ma nello stesso tempo demolisce le tattiche che adotto per proteggermi e per definirmi, 10 Perchè medito sconvolgendo il concetto che ho di me stesso. Costruisce e nello stesso tempo smonta questo ‘me’, pezzo per pezzo. In me dilagano tutte le speranze, tutte le aspirazioni, tutte le paure. Non posso più fingere di essere una selezione dei miei ricordi o dei miei tratti caratteristici. Se li osservo senza reagire, tutti questi contenuti psichici diventano accettabili, sono ovviamente parte di me stesso – sono infatti lì, nella mia mente, li vedo davanti a me; eppure sono anche impersonali, legati dalla casualità, sono fenomeni oggettivi dell’esistenza che scorrono incessantemente ed inesorabilmente sullo schermo della mia vita, senza sforzo o possibilità di controllo da parte mia, senza di me. Nella misura in cui sono meno spinto da queste forze, riesco a vedere più cose, a tollerare di più. Tutte queste pulsioni mi appaiono semplicemente come elementi della natura o colombe che attraversano il mio cielo interiore. Nel momento in cui va a pezzi l’immagine artificiosa in cui mi riconoscevo, sono sopraffatto dalla complessità della mia mente. Fortunatamente, la determinazione e la pazienza che devo coltivare semplicemente per poter osservare, si sviluppano con l’esercizio, come i muscoli. Questa miscela di tolleranza e fermezza che pratico nella meditazione, trabocca naturalmente sulle mie relazioni con gli altri. L’accettazione della realtà personale Sono certamente poche le cose che ascolto dagli altri – ed ascoltare è la mia occupazione quotidiana 11 Perchè medito – che io non scopra in me stesso quando ‘mi siedo’. Dipendenza, isolamento, sensualità, stanchezza, avidità, arroganza, perversione, avarizia, smania, presunzione, sono tutti vecchi amici miei. Sono in gradi di accettarli sinceramente e cordialmente in chi mi sta vicino, sia perché li conosco dal di dentro e non posso condannare senza condannare me stesso, sia perché ho imparato a imbrigliare e a sfruttare la loro energia. Per poter amare cerco di tener a bada la complessa realtà di me stesso e, nello stesso tempo, di afferrare la complessità della realtà dell’altro. Conosco mia moglie perché medito da tanti anni. Ci siamo dati appuntamenti ed abbiamo nuotato insieme, ci siamo sposati e ci siamo scontrati, abbiamo viaggiato e costruito capanne, comprato case, partorito e cambiato pannolini insieme; in breve abbiamo fatto dappertutto cose normali. Si tratta di realtà banali che, in un mondo di miliardi di persone non dovrebbero influire affatto sul motivo per cui ‘mi siedo’ e invece influiscono, eccome. La gratitudine che proviamo l’uno per l’altra attutisce i colpi: la vita che conduciamo ci affila come lame. Quando mi siedo, la vita scorre attraverso me – anche la mia vita di uomo sposato. Anche questo aspetto della mia esistenza, con i suoi eterni coinvolgimenti, si presenta alla mia solitaria coscienza. Per il marito che io sono, la meditazione costitui sce una specie di porto al riparo del mio meschino egoismo, dove i venti del risentimento e della collera hanno il tempo di calmarsi. Sedendomi ho il modo di assaporare il calore e la generosità di cui sono stato oggetto. ‘Mi siedo’ e sono come una zucca, con la sua consistenza fibrosa e la sua limitata 12 Perchè medito dolcezza, ma con un ricco apporto di elementi vitali per chi vorrà nutrirsene; ‘mi siedo” come uno dei buoi di una squadra che traina un carro pieno di cavalli a dondolo, macchinine e verande da ripitturare. ‘Sedendomi’ sono già quel vecchio malato in attesa della sola persona che può prendersi cura di lui, oppure dell’altro che, un giorno, seduto accanto ad un letto di ospedale, sarà il solo in grado di tenere a bada la morte per un’altra ora. ‘Mi siedo’ come un qualsiasi uomo, con desideri qualsiasi, un sognatore che, con i mattoni di un destino condiviso, costrui sce un sogno comune. Ma quel che è certo è che “mi siedo’ da solo. Che fortuna avere questa caverna, questo rifugio, questa roccia, questo specchio che è la meditazione, con cui posso, senza smarrirmi, forgiare, lasciare andare e riprendere, toccare e sbloccare il mio amore. L’amore coniugale La meditazione è la bussola con la quale solco i mari dell’amore coniugale. Succede che diventi la tagliola con cui fermo la volpe diretta alla stia. L’amore è fatto di ardore profondo e di arduo impegno ed ovviamente non può essere portato avanti da soli. Ci sono molti modi di aiutarsi reciprocamente: secondo Martin Buber, un uomo e una donna non possono amarsi senza un terzo punto con cui formare un triangolo stabile; esso può essere un dio, una missione, un interesse, cioè un significato che li oltrepassi. Che dire di due che a malapena conoscono la stella polare? 13 Perchè medito C’è una battuta scherzosa in ‘Peanuts’: “Io amo l’umanità. Sono le persone che detesto”. L’amore è un progetto che va continuamente realizzato. Se è un sentimento generalizzato e informe rimane una banalità, una vaga aspirazione, una difesa contro un vero coinvolgimento. L’uso sdolcinato che ne fanno dà alla parola amore un suono terribilmente falso. D’altra parte, se l’amore è soltanto un dare ed avere, rimane nel campo del possesso, dell’intimistico, del narcisismo. Si tratta dell’amore possessivo che si ha per la propria casa, la propria macchina, la propria famiglia. Penso che l’amore vero copra tutte due le dimensioni: sorretto dalle ali dell’ideale, porta con sé quelli che trova sulla propria strada. ‘Mi siedo’ per amare di più mia moglie e quegli amici e compagni con cui condivido anche soltanto una giornata nel mio cammino dal noto all’ignoto. In certi momenti, in cui vorrei buttar giù i muri che racchiudono il mio destino, mi è difficile amare quella con cui il mio destino è più strettamente legato, anche se è facile amarla quando ci inzuccheriamo il tè a vicenda. É normale provare affetto per gli amici che incontro nei fine settimana dedicati alla famiglia e allo sport all’aria aperta; più difficile è lasciarsi coinvolgere dalla loro vita e dai loro problemi di salute e di soldi, ne va della serenità della mia vita. Ma la cosa più difficile è mettere al primo posto, tra tutti gli altri, questo mio modo di essere e continuare a rischiare. Dovrei tenermi tutti i miei soldi o avere il coraggio di darli via per scopo caritativo? Dovrei applicarmi a studiare il testo sanzionato dalla autorità o cantare la canzone del mio cuore? 14 Perchè medito Quando ‘mi siedo’ il denaro non mi serve a granché, il desiderio di essere approvato si spegne: è allora che le corde del mio cuore fanno veramente risuonare il loro motivo, per il bene o per il male. ‘Mi siedo’ per legarmi all’albero maestro, per udire meglio la canzone dell’amore, che continuamente mi sfugge, ma a cui non posso sottrarmi. Un neonato ha l’aria così fragile, ma se dimentichi il suo pasto o lo tieni in braccio malamente, le tue orecchie dovranno fare i conti con gli acuti della sua collera. L’ira scaturisce da quell’istinto primario di sopravvivenza dell’organismo, e ne è parte integrante. Ma quanti guai procura alla nostra vita quotidiana, per non parlare dei disastri sociali che provoca! Penso che la cosa più inutile di questo mondo sia quella di mettersi a meditare con la rabbia dentro. Che senso ha un così inutile ribollire? Diventare una persona migliore ‘Mi siedo’ per crescere, per diventare una persona migliore, per assistere al sorgere e allo svanire di collere inconsistenti, e vedere che le divergenze cui davo tanta importanza la mattina, a mezzogiorno sono già sfumate. ‘Mi siedo’ per essere costretto a riordinare, a ristrutturare, a ripensare la mia vita, in modo che, vivendo in modo decente, io riesca a trasformare poco a poco la mia collera meschina in flessibilità, comprensione, capacità di scorgere il punto di vista altrui. ‘Sedermi’ mi aiuta a trascendere il bambino irritabile e petulante che c’è in me. 15 Perchè medito La responsabilità sociale Ma questo risolve soltanto i contorni del problema. Ormai non mi agito più tanto per i miei affari personali. Sono arrabbiato perché i miei voti e le mie tasse servono solo ad opprimere altri paesi; sono arrabbiato di dover essere giudicato per tutta la vita sulla base di esami a quiz; sono arrabbiato perché c’è gente che, invece di cercare, si imprigiona nel dogma e lo impone agli altri; sono arrabbiato perché si scavano le montagne per estrarne l’energia che serve a fabbricare lattine da buttar via. E allora ‘mi siedo’ anche per esprimere la mia rabbia, e la forma in cui la esprimo è la determinazione. ‘Siedo’ con forza, con volontà e quando il dolore si fa sentire, anche con una buona dose di veemenza, ‘sedermi’ mi aiuta a imbrigliare la mia collera sacrosanta. Per tutti questi anni mi sono seduto almeno quindici ore alla settimana. Quando, come spesso accade, mi rendo conto che parte della convinzione con cui perseguo il mio scopo mi viene da una rabbia che non ammette che le pianure boscose e i pascoli montani della mia psiche siano sconvolti dai bulldozer della TV, dal dover ingerire cibi che non nutrono, da notizie inventate, da un mare di nozioni inutili, da manifestazioni in favore di capi di stato, di divinità e dell’antiproibizionismo. Le voci del gregge non riusciranno facilmente a strapparmi dal mio rifugio silvestre di ben ponderata autonomia e di franco linguaggio, perché ho potuto esercitarmi in questo tipo di fermezza. La collera del bambino può diventare la scintilla di una volontà adulta. 16 Perchè medito La fede Da quello che posso capire la pratica di ‘sedersi’, divenuta norma di vita, non è esattamente una religione, e tuttavia non può non dirsi religiosa. Per quanto mi riguarda, non mi sono legato a scritture, a dogmi, a gerarchie; non ho posto divieti alla mia intelligenza e alla mia autonomia politica, né mi sono creato miti per pormi al riparo da realtà sgradevoli. Ma mi sto sempre più accorgendo del ruolo insostituibile che la fede svolge nella mia vita pratica. La fede che ho progressivamente scoperto in me stesso non è né cieca né irrazionale né immotivata: non è un voler credere. Penso proprio che ‘sedermi’ mi abbia sbarazzato delle mie credenze più di quanto lo abbia fatto la mia formazione scientifica. La fede per me non riguarda neppure ciò che costituisce la mia vita: scopi, preferenze, impegni, affetti che riflettono i miei ideali, le mie opinioni, i miei gusti – tutti molto importanti, ma che non sono la fede. Fede è quello che mi fa vivere, che mi dà la carica: la batteria, la pompa cardiaca del mio essere. Non è l’altra sponda, ma la barca con cui tento di raggiungerla. Non ciò che conosco, ma il modo in cui la conosco. É presente, non passata o futura ed è la mia risposta più piena ed autentica, assolutamente viscerale. Paul Tillich identifica la fede con l’interesse supremo dell’uomo – il fondamento di tutto ciò che prendiamo veramente sul serio. Vorrei poter descrivere la fede come io l’ho scoperta, e cioè come fame esistenziale. La fame scaturisce dal mio corpo, viene prima della mia vita mentale e psicologica anzi, può persino 17 Perchè medito distruggerla. Io non mangio in ragione di quello che credo, spero o desidero, o secondo le prescrizioni di una qualche autorità, o in base a ciò che leggo. Mangio perché ho fame. Il mio corpo è un organismo dinamico e metabolizzante, un permutatore di energia, che continuamente incorpora, trasforma, rimodella – con la vitalità che è propria di qualsiasi essere umano o di una quercia o di un cervo. Questo essere che io sono consuma, ricostruisce e poi crea nuova vita emotiva e spirituale. La fede non è quello che digerisco, ma è il processo ordinato che dà coerenza e direzione a questo organismo perpetuamente attivo. La fede non è qualcosa che ho e che mi fa dire ‘Credo!’ ma qualcosa che so benissimo che mi è già stato dato, su cui si fonda il senso di ‘me’. Non la trovo o la ricerco una volta per tutte, ma ripetutamente e continuamente, non è un insieme di pensieri e non fornisce risposte concrete e limitative. Chi sono? Cos’è questa vita? Da dove viene? Non lo so. In merito a questi importanti quesiti non ho credenze. Eppure non accade mai che questo strano uccello, la mia fede, traballi sulla sua gruccia! Io ‘mi siedo’ con spassionata neutralità. Perché? Perché quest’attività non ha lo scopo di darmi delle risposte in base a cui vivere la mia vita. É la mia vita. Così come mangio, leggo, lavoro, gioco, io ‘mi siedo’. Anche se non ho forti convinzioni intellettuali con cui giustificare la mia giornata, me stesso, la mia vita, la mia cena, in ogni caso mangio! E, di solito, anche con piacere. Non sono né un esistenzialista né un marxista né un anoressico. Così come la fame del mio corpo, anche la fame della mia esistenza richiede un nutrimento quotidia- 18 Perchè medito no. Il cibo che prendo diventa il mio corpo; ciò con cui sostento la mia esistenza diventa il mio essere. Meditando io sono vivo, vigile, in grado di osservare, in pace con me stesso e con gli altri; vibro in incessante mutamento, ma niente può smuovermi. É così che compio la traversata in questo mondo incandescente. Chi sono? Scientificamente so di essere vivo solo perché sono all’interno del corpo della vita. Dal punto di vista fisico, so di essere il prodotto di altre vite – genitori, antenati. Repiro l’ossigeno creato dalle piante, perciò, quando inspiro ed espiro, sono un tubo collegato all’intera vita della biosfera, un piccolissimo numero dipendente da tutto il resto. Con la digestione e il metabolismo, biotraformo le molecole organiche create da piante e animali, che io chiamo cibo, in altre sostanze biochimiche, con le quali plasmo questa forma chiamata corpo, che continuamente si modifica e si rimodella, come fanno le nuvole. Alla fine, questo processo di rigenerazione cesserà e questa forma svanirà, così com’è nata, grazie a forze e cause naturali. Non ho difficoltà a capire questa realtà fisica, così ovvia e scientifica. Ma anche la mia persona, la mia realtà psicologica sono il risultato di varie cause: le cose che mi sono state insegnate, le esperienze che ho avuto, le convinzioni culturali, le spinte sociali. Questa fitta rete di causalità – fisica, biologica, psicologica, culturale – che collega il passato al futuro 19 Perchè medito passando per il presente, è l’oceano in cui galleggia, per un istante, la bolla della mia vita. Per una bollicina così effimera, la morte non può che essere inevitabile. E tuttavia, nel momento in cui c’è, percepisco quanto sia vitale questo essere che respira e che pulsa, vivo, in dialogo sonoro col passato e col futuro, con persone e cose – che crea, interpreta, conosce – solido punto nella tela, messaggio nella mente sintattica della creazione. La fede su cui si fonda la mia pratica non risiede nella mia mente, ma è l’equivalente psicologico della vitalità fisica. Non la percepisco come pensiero ma come impulso potente che continuamente fa sbocciare la vita. ‘Sedendo’ io posso conoscere, assumere, diventar questa diretta effusione di energia. Mi ritrovo ‘seduto’ anche quando sono annoiato, sofferente, pigro, distratto, preoccupato; non perché penso che meditare mi faccia bene o che mi procuri il paradiso, e neppure perché ho una particolare forza di volontà. Semplicemente è la mia vita che compie la sua traiettoria. Einstein ci ha dimostrato che ogni massa è energia. La mia vita risplende e io ‘siedo’ nella luce. Il ruolo della morte ‘Sedermi’ mi ha mostrato e mi ha costretto ad accettare il ruolo che la morte svolge da sempre nella mia vita. Ogni creatura cosciente sa che la somma totale delle sue pulsazioni è limitata. Da bambino mi chiedevo: dov’ero prima di nascere? Dove andrò quando muoio? Quanto è lunga l’eternità e quando 20 Perchè medito finisce? Studiando la storia ho imparato che anche gli eroi muoiono; ho visto nelle mappe i colori degli imperi ritirarsi ed avanzare come maree. Posso scovare qualcosa la cui legge non sia l’impermanenza? Una volta cercavo di nascondermi dietro la mia giovinezza (ma poi sono aumentate le rughe attorno agli occhi ed i capelli bianchi) e mi assicuro contro i rischi di malattia; ma non c’è nascondiglio che tenga: ogni giornata termina col buio; le cose vanno fatte oggi o non accadranno mai più. Stranamente, invece di togliermi l’appetito e di produrmi ‘nausea’ (probabilmente conseguenza delle indigeste salse francesi più che di una vera filosofia), la tristezza della notte che scende mi induce a far tesoro della vita. Non è forse l’avvertimento più universale che l’uomo possa ricevere? Allora, spaccando la legna faccio più attenzione a far cadere la scure nelle fessure del ceppo di quercia, valuto attentamente ogni libro che intendo leggere, mio figlio mi chiede di essere amato e curato, i sentieri del bosco richiedono manutenzione: per me si tratta di un unico mandato, chiaro ed inequivocabile. ‘Mi siedo’ all’alba, ed il giorno passa. Ancora un’altra alba, ma la serie è limitata, così giuro a me stesso che non mancherò un solo giorno. ‘Sedermi’ mi inchioda all’evidenza psicologica che la morte è l’accesso alla vita: nessun potere può salvarmi. E poiché sono consapevole della morte, ed ho paura, desidero vivere non in modo automatico e reattivo, come un animale, né in maniera dipendente come un bimbo che pretende che il padre si occupi di lui, ma scegliendo coscientemente e con determinazione il materiale di ogni fuggevole istan- 21 Perchè medito te della mia vita. So che i petali racchiudono uno splendore effimero, e per ricordarmi di questo, mentre l’istinto è sempre quello di sfuggire alla realtà, occorre che io continui a confrontarmi con quel limite, con quel metronomo che dà il giusto valore ad ogni cosa: la morte. ‘Mi siedo’ perché sapere che morirò arricchisce e semplifica la mia vita; perciò devo fare di tutto per trovare una disciplina ed una stabilità che mi permettano di guardare in faccia questa realtà. Per riabbracciare la vita, devo stringere la mano alla morte e per riuscire a far questo ci vuole molta pratica. Ogni atto di ‘sedermi’ significa morire a ciò che accade intorno a me, abbandonare la distrazione, far cessare ogni desiderio di gratificazione. É la vita di questo momento, senza sovrapposizioni. Questa rigorosa messa a fuoco mi riuscirà molto, molto utile un giorno. Ma lo è fin d’ora. Essere se stessi Medito per essere me stesso, uno che non dipende dal giudizio proprio o da quello altrui. Per tanti anni della mia vita sono stato classificato: prima a scuola, poi dagli amici ed infine nella vita sociale. Per quanto cercassi di combattere questa forma di dipendenza, non riuscivo a sganciarmene. Come spesso accade, per il mio bene i miei genitore mi soppesarono con gli strumenti di confronto: ero bravo in questa cosa o incapace, bravo quanto il tale, o migliore o peggiore, o il migliore di tutti o una frana. 22 Perchè medito Oggi, meditando, scopro l’assurdità dell’emulazione. La mia vita consiste in ciò che effettivamente vivo, non nelle valutazioni che le si sovrappongono. ‘Sedermi’ mi permette di andare al di là di una mentalità di editorialista, di accanito commentatore, e di scavarmi una galleria in profondità, verso la verità immediata. Ho fatto progressi: sto diventando sempre più uno zainetto vuoto, un bambino che trova che la scuola è chiusa. Cosa c’è da guadagnare o da perdere quando mi siedo? Chi c’è da battere o da rincorrere? Sul vassoio del mattino mi giunge solo questo giorno concreto, pieno e assolutamente nuovo, e soltanto questo. Sono contento perché sto sempre meglio con me stesso, in me stesso. Mi lamento di meno. Mi è più facile lasciar andare idee, speranze e smettere di pretendere da me stesso, perché il semplice fatto di parlare, sperare ed agire sono già una ricompensa sufficiente. Mi sono ‘seduto’ senza puntelli, gingilli, comodità e sicurezze, per osservare me stesso, quando niente e nessuno poteva darmi delle risposte. Mi è accaduto di ‘sedermi’ e di non chiedere nulla, di non aver bisogno di nulla e di sentirmi saziato. La mia spina dorsale e le mie mani ora hanno una diversa solidità. Adesso, quando mi succede di perdere l’equilibrio, riesco a cadere più come un gatto che come un sasso. Nella mia vita quotidiana mi esercito a diventare la persona con cui dovrò convivere alla mia prossima seduta. Quando medito, nessuno , amico o nemico, può darmi ciò che mi manca, otogliermi ciò che sono; e nessun mediatore, più o meno benevolo, può interferire nella disamina che, in base ai fatti, io faccio di me stesso: scopro di essere meno scaden- 23 Perchè medito te di quanto credevo – o peggiore; ma decisamente reale e pieno di gemme. Che sollievo rinunciare a desideri e ripicche, e lasciare che la distesa della mia vita si increspi in piccole onde. Mi sento in compagnia di tanti altri bulbi primaverili, come una foglia in un bosco di alberi caduchi: un semplice particolare piccolo e fragile, tutto solo con il mio destino, e nello stesso tempo partecipe del coro frusciante di una foresta sterminata. L’esperienza pratica della verità Prima che mi insegnassero a meditare esploravo la vita in modo prevalentemente intellettuale: libri e conferenze mi fornivano ispirazione e suggerimenti, ma, in ultima analisi, tutto ciò che veniva detto e scritto eludeva il problema. Meditando io prendo posizione per qualcosa e sono qualcosa, non soltanto a parole, ma con la mia mente, il mio corpo e l’intera mia vita. Qui – protetto dal maestro, dall’insegnamento e dalla pratica – trovo modo di scendere gradino dopo gradino nella luce e nell’oscurità che sono in me, nell’Hitler e nel Buddha nascosti dentro me. Rivivo il bambino spaventato che, in un mondo minacciato dall’olocausto, percorre in autobus, d’inverno, le strade buie della città, o il ragazzo che, con il sacco in spalla, cammina sotto cattedrali di abeti splendenti nel sole e che, gridando o piangendo, percorre tutta la gamma del potenziale umano, dal sadismo all’amore. Ora vedo che porto la frusta e gli stivali d’aguzzino e soffre con i più miserabili, e bevo ai torrenti di 24 Perchè medito montagna con poeti ed esploratori: tutte le vite sono presenti in me, e tutto questo potenziale psicologico si esprime in azioni della mia vita quotidiana, sia pure implicitamente o simbolicamente. Tutto ciò che sono sgorga dall’universalmente umano. Meditando ne scorgo chiaramente l’impatto, così come percepisco il condizionamento della storia e l’ispirazione che mi viene dalla visione profonda. ‘Mi siedo’ in aperto confronto con tutto ciò con cui mi sono scontrato e a cui ho reagito; la mia risposta del momento è quello che mi plasma. La vita ha inizio in una selva di condizionamenti; le nostre reazioni istintive a questi condizionamenti creano altrettante limitazioni. Per liberarci occorre che diventiamo consapevoli del processo di condizionamento, e che impariamo a dargli una risposta adeguata. La meditazione mi rende cosciente di ogni mia scelta sicché, quando passo all’azione, mi ritrovo più attento, più concentrato, più aperto e comprensivo. L’eredità della meditazione La meditazione trasforma anche i motivi per cui medito: ho cominciato per ragioni legate alla mia situazione storica e personale, ma la tecnica che ho ricevuto e che è servita a milioni di esseri umani nel corso di migliaia di anni, ha dilatato il mio orizzonte su visioni senza tempo. La mia è una ricerca individuale ma non solitaria: se posso usare questo strumento è perché mi è stato trasmesso. Altri prima di me hanno iniziato questa ricerca di una vita piena- 25 Perchè medito mente umana, altri la continueranno; anche la mia fragilità, la mia stessa cattiveria allora acquistano un senso, perché formano l’humus su cui devo crescere. E per quanto grandi mi appaiono questi miei sforzi, essi non sono che una parte esigua del lavoro immane che gli altri hanno compiuto. Ora so che posso fiorire, come un arbusto, in una foresta illuminata di incessanti cicli di vita. Fiorire, per un essere umano, significa applicarsi sinceramente e scrupolosamente ad osservare la propria vita, perché solo da questa osservazione scaturisce l’immagine vera della propria umanità. Anche se condizionato dal nichilismo e dalla paura, senza il confronto di credenze elementari e consapevole della malvagità e dell’odio spaventoso che esistono nell’uomo, io posso essere, io voglio essere un’espressione di fede, di una fede senza oggetto. Non sarà un gran ché, ma posso radicarmi profondamente in ciò che è vero, imparare a vederlo e trasmettere ad altri la mia visione. Le mie motivazioni Ho imparato a meditare in risposta al male, alla paura, alla mancanza di senso, all’individualismo paranoico che domina questo nostro tempo: ed anche per coerenza verso la speranza, l’idealismo ed il senso di eternità che hanno permeato la mia giovinezza. La meditazione mi aiuta a vivere quella che prima era una fede inconscia, mi suggerisce – sia a livello umano che professionale – parole che guariscono e che per me hanno senso anche in condizio- 26 Perchè medito ni apparentemente assurde, perché rappresentano l’anello di congiunzione con l’universale. Mi fa toccare in ogni momento il fondamento umano di ogni mio gesto e di ogni azione altrui. Mi esercito a conoscermi, e quello è il mio laboratorio di ogni giorno. Non misuro più gli eventi sul metro angusto della mia vita. Spesso mi accade di dimenticare il tempo e di sentirmi nel cuore della storia. ‘Siedo’ in solitudine per liberarmi dal mio isolamento. Quando sono sprofondato nel mio io scuro, trovo la vera sorgente della mia appartenenza. Freud riteneva che alla base della paura ci fosse timore della castrazione, più temibile della morte stessa. Io interpreto questo complesso come paura del dolore fisico, della mutilazione, dell’isolamento sociale, dell’ostracismo, della perdita del senso di appartenenza, della capacità generativa e della continuità nel ciclo delle generazioni. Accade che le due maggiori difficoltà con cui devo confrontarmi quando medito per ore o giorni interi, siano il dolore fisico ed il timore di perdere la posizione sociale che ritengo mi competa. Un dolore che inizia nelle ginocchia o nella schiena può invadere l’intero corpo e continuare a bruciare senza tregua. Nel tormento di quelle ore interminabili, previsioni e calcoli di vantaggi sociali perdono ogni consistenza. Mi balenano altri desideri: una casa migliore, delle vacanze invernali ai tropici; la deferenza di colleghi che pendono dalle mie labbra man mano che avanzo nella carriera. Mi invento le crisi finanziarie a cui sono meno preparato, sperimento con la fantasia il rifiuto umiliante che schiaccia il derelitto 27 Perchè medito colpevole di essere povero o di un’altra razza, o in qualsiasi modo impotente, mali oscuri nascosti nelle mie radici o forse nel mio futuro ( e nelle radici e nel futuro di ogni uomo). Perché sono qui seduto? Un tordo vola su un ramo basso, al limite della radura e la tranquilla sera del Vermont con il suo canto squarcia trionfale. Io rimango qui, immobile. Ho ricevuto come un tramite, ricolmo dei doni di coloro che hanno amato e lasciato una traccia; ed il rimanere fermo in questa posizione di fuoco è il canto della mia specie. La meditazione mi fa superare le mie paure più profonde, mi fa più libero di vivere secondo il mio cuore, accettando le conseguenze, ma anche raccogliendo i frutti di questa autenticità. Spesso ho chiamato dolore ciò che era soltanto solitudine e paura; se osservate, queste si dissolvono. Trovo che dover sostenere per un pò questo sforzo rigoroso è un prezzo molto esiguo da pagare per la musica che sento dentro – musica feconda che scaturisce dal cuore della vita stessa. La libertà mentale Medito per trovare la libertà mentale. Ho avuto in sorte la capacità di pensare in modo razionale, logico, scientifico, in una cultura in cui il pensiero sintetico ed aggressivo rappresenta un’arma di sopravvivenza. Ma anche il più grande apologista della 28 Perchè medito Ragione, Socrate, ha dimostrato di avere lo stesso rispetto per la raffigurazione mitico – poetica. Molti dialoghi socratici, infatti, indicano i limiti della logica ed il ruolo essenziale del mito. Mentre medito, un milione di pensieri mi attraversano la mente ma, conformandomi alla tradizione che mi viene dai grandi maestri indiani del passato, cerco di lasciarli andare tutti, di lasciarli scivolar via come nuvole, come l’acqua, come il tempo. Manco a dirlo, spesso mi lascio intrappolare e mi ritrovo a girare intorno a un punto fisso, come un aquilone che si è impigliato nei rami di un albero. Ma, dopo un pò, vuoi per la noia, per la stanchezza, per volontà o per un’intuizione improvvisa, una raffica di vento mi libera e posso ripartire. La meditazione è la strada che mi riporta alla fluidità di uno stato pre-mentale, all’atmosfera pregnante da cui scaturiscono, come scintille, metafora, intuizione e ragione. Immerso in una cultura di conquiste intellettuali, mantengo una integrità, una riserva in cui il cerbiatto della poesia riesca a circolare liberamente tra i portabagagli stipati di valigette mediche e di testi di conferenze. Quando gli impegni minacciano di soffocarmi, la meditazione è come un provvidenziale dolorino che non mi dà tregua, il chiacchierone che mi tiene sveglio, l’indice ammonitore che mi avverte e mi rimette in fuga. Devo ritornare sempre a ciò che è potenziale, perché qualsiasi rotta non è che una risposta mutevole, imposta dalle circostanze, al vento che spira non si sa da dove. 29 Perchè medito La consapevolezza intensa ‘Mi siedo’ per ancorare la mia vita a certi stati d’animo, per allinearla su cuore e mente e per irradiare sugli altri le mie scoperte. Non posso buttar via i miei ideali giovanili e compromettere la serenità della mia vecchiaia. Nel quieto benessere e nel profondo rilassamento che accompagnano i momenti di consapevolezza intensa e silenziosa, la mia vita si sfoglia strato dopo strato. Ogni nuovo strato di verità che viene allo scoperto, viene a sua volta assottigliato, raschiato via, finché appare un altro strato più profondo. Medito per forgiare la mia vita su ciò che è chiaro, semplice, universale, che ha già in sé la sua realizzazione. Ed è una impresa senza fine. Tanti giorni della mia vita non sono stati realmente vissuti; ma dopo ogni fallimento mi sono sempre rituffato in questo cammino di autocontrollo e di ricettività affettuosa. Medito semplicemente per esprimere l’amore e la dignità di tutto ciò che è umano. Revisionato da Biblioteca Vipassana, 2015 I titoli dei paragrafi sono stati posti dalla Redazione. 30