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1 Torquato Tasso Il duello di Tancredi e Clorinda

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1 Torquato Tasso Il duello di Tancredi e Clorinda
1
T
[Gerusalemme
liberata, XII, 48-70]
Torquato Tasso
Il duello di Tancredi e Clorinda
• guerra e fede
• amore idealizzato
Argante e Clorinda stanno per rientrare a Gerusalemme dopo aver
fatto strage di cristiani. La guerriera pagana indossa un’armatura
nera al posto della consueta armatura bianca che le è stata sottratta da Erminia. Mentre la Porta Aurea della
città si apre per accoglierli, i soldati cristiani accorrono, e solo Argante riesce ad entrare, mentre Clorinda
resta fuori. Tancredi la individuerà come nemico ma, non riconoscendola come propria amata, la ucciderà in
duello per poi battezzarla dietro sua richiesta. Per comprendere appieno l’episodio occorre sapere che, per
dissuaderla dalla missione troppo pericolosa, l’eunuco Arsete aveva rivelato a Clorinda la sua origine
cristiana, disobbedendo alla madre di lei che gli aveva affidato la figlia ordinandogli di farla battezzare. Arsete
e la stessa Clorinda avevano inoltre avuto lo stesso sogno premonitore la notte precedente (Clorinda
sconfitta e battezzata in punto di morte), ma ciononostante la guerriera decide di tentare la sortita notturna
col fido Argante.
48
da T. Tasso, Rime,
Gerusalemme liberata,
Aperta è l’Aurea porta, e quivi tratto
a cura di L. Caretti,
Mondadori, Milano 1976.
è il re, ch’armato il popol suo circonda,
per raccòrre i guerrier da sì gran fatto,
quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i due su ’l limitare, e ratto
diretro ad essi il franco stuol v’inonda,
ma l’urta e scaccia Solimano; e chiusa
è poi la porta, e sol Clorinda esclusa.
49
Sola esclusa ne fu perché in quell’ora
ch’altri serrò le porte ella si mosse,
e corse ardente e incrudelita fora
a punir Arimon che la percosse.
Punillo; e ’l fero Argante avisto ancora
non s’era ch’ella sì trascorsa fosse,
ché la pugna e la calca e l’aer denso
a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso.
50
Ma poi che intepidì la mente irata
nel sangue del nemico e in sé rivenne,
vide chiuse le porte e intorniata
sé da’ nemici, e morta allor si tenne.
Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata,
nov’arte di salvarsi le sovenne.
Di lor gente s’infinge, e fra gli ignoti
cheta s’avolge; e non è chi la noti.
metrica ottava rima.
48 La Porta Aurea [di Gerusalemme] è aperta, e lì
(quivi) si è recato (tratto è) il re [: Solimano], che
fa disporre in cerchio la sua gente armata per accogliere (raccòrre) i guerrieri dopo un’impresa
(fatto) così audace, quando abbiano l’occasione
favorevole (fortuna…seconda) a tornare. I due
[: Argante e Clorinda] saltano sulla soglia (su ’l limitare) e rapidamente (ratto) i soldati (stuol) franchi irrompono in grande quantità (v’inonda) dietro
essi, ma Solimano si scontra con loro (l’urta) e li ricaccia indietro; e poi la porta viene (è) chiusa, e solamente Clorinda resta fuori. L’Aurea porta di Ge-
rusalemme è quella che guarda a Oriente. Di qui sarebbe passato Cristo la domenica della Palme, ed
è possibile che Tasso le attribuisca un valore simbolico.
49 Solo lei rimase fuori perché nel momento in cui
qualcuno chiuse (serrò) le porte, lei si mosse e corse fuori (fora), furiosa (ardente) e vendicativa (incrudelita) per punire Armone che l’aveva colpita
[alle spalle]. Lo punì, e il fiero Argante non si era ancora accorto (avisto) che lei si era allontanata a tal
punto (sì trascorsa fosse), dato che (ché) la mischia (pugna), la folla (calca) e l’aria scura (aer
denso) toglievano ai cuori la considerazione (cura) e agli occhi la percezione (senso). Clorinda re-
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana sta fuori dalla Porta che si sta chiudendo perché un
guerriero franco, Armone, la colpisce alle spalle e
lei decide di tornare indietro per ucciderlo. Il suo fedele compagno Argante non se ne è ancora accorto, perché la notte e la battaglia lo hanno distratto.
50 Ma dopo che [Clorinda] ebbe placata (intepidì) la mente irata nel sangue del nemico e ritornò in
sé, vide la porta chiusa e si vide circondata da nemici, e allora si considerò (si tenne) morta. Tuttavia (Pur), vedendo che nessuno guarda (guata)
verso lei, le venne in mente un nuovo modo (arte)
di salvarsi. Finge di essere uno di loro [: dei Franchi], e silenziosa (cheta) si mescola (s’avolge) tra
quegli sconosciuti (ignoti).
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
51
Poi, come lupo tacito s’imbosca
dopo occulto misfatto, e si desvia,
da la confusion, da l’aura fosca
favorita e nascosa, ella se ’n gìa.
Solo Tancredi avien che lei conosca;
egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
vi giunse allor ch’essa Arimon uccise:
vide e segnolla, e dietro a lei si mise.
52
Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima
degno a cui sua virtù si paragone.
Va girando colei l’alpestre cima
verso altra porta, ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d’armi suone,
ch’ella si volge e grida: “O tu, che porte,
che corri sì?” Risponde: “E guerra e morte”.
53
“Guerra e morte avrai”; disse “io non rifiuto
darlati, se la cerchi”, e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,
ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende;
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e d’ira ardenti.
54
Degne d’un chiaro sol, degne d’un pieno
teatro, opre sarian sì memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e ne l’oblio fatto sì grande,
piacciati ch’io ne ’l tragga e ’n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama loro; e tra lor gloria
splenda del fosco tuo l’alta memoria.
55
Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
51 Poi, come un lupo torna nel bosco (s’imbosca) silenziosamente (tacito) dopo un delitto (misfatto) senza essere visto (occulto), e si allontana dalle vie battute (si desvia), ella se ne andava
(se ’n gìa) favorita e nascosta dalla confusione e
dall’aria scura (fosca). Solo Tancredi si accorge di
lei (avien che lei conosca): egli è sopraggiunto
qui molto prima: vi è giunto quando lei aveva ucciso Arimone. La vide e la tenne d’occhio (segnolla) e la seguì.
52 Vuole sfidarla a duello (ne l’armi provarla):
crede che sia un uomo (un uom la stima) degno di confrontarsi col suo valore. Lei (colei) sta
aggirando la collina montuosa (alpestre cima)
verso un’altra porta, dove ha intenzione (dispone) di entrare. Lui la segue fremente (impetuo-
so), perciò molto prima del suo arrivo accade che
(avien) si sentano risuonare (suone) le sue armi,
così che (in guisa…ch’) lei si volta e grida: «O
tu, che cosa porti (porte), che corri così (sì)?».
[Tancredi] Risponde: «[Porto] guerra e morte».
Tancredi è a cavallo e segue a distanza Clorinda.
Freme perché vuole misurarsi col cavaliere sconosciuto. Il rumore dell’armatura lo precede, e
Clorinda si volta.
53 «Avrai sia la guerra che la morte: io non rifiuto
di dartela (darlati), se la cerchi» dice [Clorinda] e
si ferma ad aspettarlo. Tancredi, che ha visto il nemico a piedi (pedon) non vuole usare il cavallo, e
scende. Ed entrambi impugnano la spada (ferro,
per metonimia) appuntita (acuto), accrescono il
proprio onore cavalleresco (orgoglio) e s’infervo-
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana rano (l’ire accende); e si vanno a scontrare
(vansi a ritrovar) come due tori gelosi e pieni d’ira. Da notare l’ultima metafora (i tori gelosi), che
allude all’elemento erotico presente in tutto l’episodio.
54 Gesta (opre) così memorabili sarebbero degne
di un sole luminoso, di un teatro pieno [di spettatori]. O notte, che hai nascosto nel tuo profondo e
scuro grembo e nell’oblio un fatto così grande, lascia che io lo tragga fuori da lì (ne ’l tragga), e lo
esponga (spieghi) e tramandi (mande) in piena luce (’n bel sereno) alle epoche future. Viva la loro
fama, e risplenda insieme alla loro gloria [anche] la
nobile (alta) memoria del tua tenebra (fosco).
55 Nessuno di loro vuole schivare né parare [i colpi] né ritirarsi, e qui non c’è posto per la destrez-
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l’ombra e ’l furor l’uso de l’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d’orma non parte;
sempre è il piè fermo e la man sempre ’n moto,
né scende taglio in van, né punta a vòto.
56
L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l’onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s’aggiunge e cagion nova.
D’or in or più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co’ pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
57
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da que’ nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fer nemico e non d’amante.
Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tinge
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
58
L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue
su ’l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l’ultima stella il raggio langue
al primo albor ch’è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!
59
Misero, di che godi? oh quanto mesti
fiano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
za. Non fanno finte, né affondi (colpi…pieni), né
colpi di assaggio (scarsi): l’oscurità e il furore
escludono (toglie) l’uso della tecnica (arte). Si
sentono le spade che si urtano a metà lama con
suono raccapricciante (orribilmente), e il piede
non si stacca (non parte) dalla sua orma; il piede sta sempre fermo e la mano sempre in movimento, né scende inutilmente un colpo dato di taglio o a vuoto un colpo dato di punta. I colpi non
vanno a vuoto ma feriscono l’avversario, provocandone la reazione e aumentandone l’aggressività. Le regole della cavalleria si vanno man mano
perdendo e prevalgono l’ira e l’orgoglio: come
l’amore, la guerra dimentica presto di essere
un’arte e diventa pura passione distruttiva, come
si vedrà bene nei versi seguenti.
56 La vergogna (onta) eccita (irrita) l’orgoglio
(sdegno) alla vendetta, e la vendetta a sua volta
rinnova [nell’avversario] la vergogna [di essere stato colpito]; per cui (onde) un nuovo stimolo e una
nuova ragione (cagion) si aggiungono sempre alla volontà di ferire e alla fretta [di farlo]. Di ora in ora
il combattimento (pugna) si fa confuso (si mesce)
e diviene più serrato (ristretta) ed è inutile (non
giova) adoperare la spada: si danno addosso
(dansi) con le else (co’ pomi) e inferociti (infelloniti) e crudeli cozzano insieme con gli elmi e con gli
scudi.
57 Il cavaliere stringe per tre volte la donna con le
braccia robuste, e altrettante volte lei si divincola da
quelle strette (nodi) tenaci, che sono strette di un
nemico feroce (fer) e non di un amante. Ritornano
alla spada, e la spada colora di sangue (tinge) l’uno
e dell’altro, con molte ferite (piaghe); e stanco e
sfinito l’uno e l’altro tuttavia (pur) finalmente si ritira, e riprende fiato dopo la lunga fatica. Il narratore
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana avverte che gli abbracci di Tancredi e Clorinda non
sono quelli di due amanti, ma di guerrieri. In questo
modo la metafora sessuale sottesa a tutto il duello
viene dichiarata nel momento stesso in cui è esplicitamente negata
58 L’uno guarda l’altro, e appoggia il peso del proprio corpo dissanguato (essangue) sul pomo della
spada. La luce del pianeta Venere (ultima stella) si
sta già spegnendo alle prime luci dell’alba che si sono accese ad oriente. Tancredi vede che il nemico
sanguina più di lui, mentre lui si vede non eccessivamente ferito. Ne gode e insuperbisce. Oh nostri
sciocchi pensieri che basta un minimo soffio di fortuna ad illudere (estolle, letteralmente ‘innalza’)!
59 Povero [Tancredi]! Di cosa ti rallegri? Oh quanto saranno (fiano) tristi (mesti) i tuoi trionfi ed infelice il tuo vantarti! I tuoi occhi [se resti in vita] pagheranno un mare di pianto per ogni goccia (stilla) di
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:
60
“Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
e lode e testimon degno de l’opra,
pregoti (se fra l’arme han loco i preghi)
che ’l tuo nome e ’l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onore”.
61
Risponde la feroce: “Indarno chiedi
quel c’ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese”.
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: “In mal punto il dicesti”; indi riprese
“il tuo dir e ’l tacer di par m’alletta,
barbaro discortese, a la vendetta”.
62
Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta,
benché debili in guerra. Oh fera pugna,
u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,
ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spaziosa porta
fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna,
ne l’arme e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
63
Qual l’alto Egeo, perché Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta ei però, ma ’l suono e ’l moto
ritien de l’onde anco agitate e grosse,
tal, se ben manca in lor co ’l sangue vòto
quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno.
quel sangue. Così, tacendo e guardando (rimirando), questi guerrieri sanguinanti si fermarono un poco (cessaro alquanto). Infine Tancredi ruppe il silenzio e disse, affinché l’altro gli rivelasse il suo nome. Il narratore onnisciente sa che Tancredi si pentirà di aver ferito (e poi ucciso) Clorinda, e per ogni
goccia di sangue dell’amata verserà cento lacrime
(è un’iperbole, cioè un’esagerazione retorica).
60 «È davvero (è ben) una sfortuna per entrambi
che s’impieghi tanto valore in questo duello (qui)
circondato dal silenzio. Ma poiché accade (vien)
che la sorte malvagia (rea) ci nega sia lodi sia testimonianze degne dell’impresa, ti prego (se in battaglia c’è posto per le preghiere) di rivelarmi il tuo nome e il tuo rango (stato), affinché io sappia, a seconda che io sia sconfitto o vincitore, chi onorerà
(onore) la mia morte o la mia vittoria.
61 «Chiedi invano (Indarno) ciò che io uso a nascondere (non far palese). Ma chiunque io sia, tu
vedi davanti a te uno di quei due che hanno incendiato la grande torre d’assedio». A quelle parole
Tancredi avvampò di rabbia (sdegno) e [disse]: «Lo
hai detto nel momento sbagliato (In mal punto)»
e quindi riprese: «sia ciò che dici sia ciò che non
vuoi dire, o pagano irrispettoso della legge della
cortesia, mi invoglia (alletta) alla vendetta. Clorinda avrebbe violato le regole della cavalleria: prima
perché non ha voluto dichiarare il proprio nome, e
poi perché si è vantata di un atto che Tancredi considera grave (ha incendiato con Argante la torre
d’assalto dei Franchi).
62 La rabbia ritorna nei cuori e li trascina, benché
deboli, a combattere. Oh feroce combattimento
(pugna), dal quale (u’ = ‘dove’) le regole (l’arte)
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana sono bandite, dove la forza è già venuta meno, dove, invece [di essi], combatte il furore dei due contendenti! Oh che apertura larga e piena di sangue
fanno entrambe le spade, ovunque arrivino: nell’armatura (arme) o nella carne! E se la vita non esce
[da quei corpi] è perché la rabbia la tiene (tienla)
attaccata al petto.
63 Come (Qual) il profondo (alto) mare Egeo non si
calma (non s’accheta) per il solo fatto che cessino
il vento Aquilone o il Noto, che prima lo sconvolsero e
mossero (scosse) tutto, ma conserva (ritien) il suono e il movimento delle onde ancora agitate e grosse,
così (tal), sebbene in loro manca insieme al (co ’l)
sangue versato (vòto = ‘svuotato’) quel vigore che
aveva mosso le braccia a colpire, conservano ancora lo slancio iniziale (primo), e spinti da esso continuano ad aggiungere (a giunger) danno a danno.
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
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Ma ecco omai l’ora fatale è giunta
che ’l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ’l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e ’l piè le manca egro e languente.
65
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch’a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtù ch’or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
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“Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sì; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave”.
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
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Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
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Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
64 Ma ecco che ormai (omai) è giunta l’ora fatale
in cui la vita di Clorinda deve [giungere] alla sua fine. Egli spinge nel bel seno la spada (ferro) di punta, che vi si conficca e beve avidamente il sangue;
e le riempie di un caldo fiume [di sangue] la veste,
che, trapunta di bell’oro, le cingeva in modo tenero e lieve le mammelle. Lei si sente già morire, e il
piede le vacilla, debole e sfinito (egro e languente). È l’ottava decisiva, del colpo fatale dato da Tancredi a Clorinda. Ancora allusioni erotiche, e una
straordinaria mescolanza di crudeltà e tenerezza in
questa descrizione. Vediamo la veste di Clorinda riempirsi di sangue sotto la corazza, con gli occhi del
narratore, non con quelli di Tancredi, che ancora
non sa di avere ucciso una donna.
65 Egli persegue la vittoria, e incalza e sottomette
(preme) la vergine trafitta, minacciandola. Lei,
mentre cadeva, muovendo la bocca sofferente per
parlare (la voce afflitta movendo: è uno zeugma, perché “muovere” è riferito alla “voce” e non
alla bocca da cui esce). Disse le ultime parole: parole che le detta un nuovo spirito, uno spirito di fede, di amore, di speranza: una virtù che ora Dio le
infonde, e se fu ribelle in vita, [Lui] la vuole fedele
servitrice (ancella) in morte. Clorinda è stata rubella a Dio in vita (come il Virgilio dantesco, «ribellante a la sua legge» in Inf. I, 125), ma ora nella morte, cioè nella vita eterna, gli sarà devota.
66 «Amico mio, hai vinto: io ti perdono…perdonami anche tu: non il mio corpo, che non ha più nulla
da temere, ma l’anima. Orsù (deh)! Prega per lei, e
dammi il battesimo che purifichi (lave) ogni mia colpa.» In queste parole (voci) deboli (languide) risuona qualcosa di delicato (flebile) e soave, che
scende fino al cuore dell’uomo e spegne (ammorza) ogni rabbia, e lo induce e sforza a piangere. La
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana conversione di Clorinda non suona inattesa al lettore: prima della sortita, l’eunuco Arsete le aveva rivelato le sue origini cristiane e la volontà della madre di lei di farla battezzare. Si noti che Tancredi non
ha ancora scoperto l’identità del suo avversario.
67 Poco lontano da lì (quindi), nel fianco (sen) della collina, zampillava un ruscelletto mormorante. Tancredi vi corse per riempire l’elmo alla fonte, e tornò
serio (mesto) al compito (ufficio) grande e santo
[: al battesimo]. Si sentì tremare la mano, mentre liberò [dall’elmo] e scoprì la fronte ancora sconosciuta. La vide, la riconobbe (conobbe) e restò senza
parole e paralizzato (senza…moto). Ah, che vista,
ah, che conoscenza! Altro momento ricco di pathos:
per battezzarla con l’acqua del ruscello, Tancredi deve sollevare l’elmo e finalmente riconosce l’amata.
68 [Tancredi] non morì perché in quell’istante (punto) raccolse tutte le sue forze (virtuti) e le mise a
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ’l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: “S’apre il cielo; io vado in pace”.
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D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a’ gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e ’l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.
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Come l’alma gentile uscita ei vede,
rallenta quel vigor ch’avea raccolto;
e l’imperio di sé libero cede
al duol già fatto impetuoso e stolto,
ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sede
la vita, empie di morte i sensi e ’l volto.
Già simile a l’estinto il vivo langue
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.
protezione del cuore, e reprimendo (premendo) la
sua angoscia si rivolse a dare vita con l’acqua a colei che la spada aveva ucciso. Mentre lui pronunciò
(il suon…sciolse) la sacra formula [del battesimo], lei si trasformò, assumendo un’espressione di
felicità, e sorrise; e nell’atteggiamento di una morte lieta e vivificatrice (vivace) sembrava che dicesse: «Il paradiso si sta aprendo, io vado in pace». Ricevuto il battesimo, Clorinda può finalmente vivere,
perché nella concezione cristiana la morte non è la
fine della vita, se si ha fede e amore per Dio. Da notare che mentre la Porta Aurea si era chiusa prima
che Clorinda potesse entrarvi, le porte del paradi-
so invece si aprono per la sua anima che, felice, ha
finalmente trovato la pace che cercava.
69 [Clorinda] ha il volto bianco sparso (asperso)
di un bel pallore, come sarebbero (sarian) i gigli misto alle viole [cioè: il rosa delle guance si mescola
al pallore della morte], e fissa (affisa) gli occhi verso il cielo, e il cielo e il sole sembrano rivolti (converso: riferito ad entrambi i sogg., cielo e sole),
per la pietà; e alzando la mano nuda [cioè senza
guanto] e fredda verso il cavaliere gli rivolge invece
delle parole un segno di pace [: gli tende la mano].
In questo atteggiamento (forma) trapassa (passa)
la bella donna, e sembra che si sia addormentata.
70 Non appena (Come) egli (ei) vede l’anima nobile (gentile) uscita [dal corpo], lascia andare (rallenta) quelle forze (vigor) che aveva concentrato;
e abbandona (cede) il libero controllo (imperio) di
sé al dolore già divenuto (fatto) violentissimo (impetuoso) e folle (stolto), che (ch’) si stringe al cuore e, mentre [il dolore] rinchiude la vita in un piccolo spazio (in breve sede), riempie il volto e i sensi
di morte. Il vivo [: Tancredi] è abbandonato (langue)
ormai (Già) come (simile a) il morto [: Clorinda]
quanto al colore, al silenzio, all’atteggiamento (a gli
atti), al sangue [: che ricopre il suo corpo come
quello di Clorinda].
Analisi e interpretazione
le forme
Unità e varietà Il canto XII è esemplare di come lavora
Tasso perché unisce episodi molto diversi tra loro in un insieme coerente e drammatico. Il centro del canto è infatti la
morte di Clorinda: a questo evento fanno riferimento tutti i
momenti della narrazione, dalla profezia di Arsete (che qui
per motivi di sintesi non possiamo riportare) fino al colpo
inferto dall’ignaro Tancredi alla donna amata. L’unità, per
Tasso, è molto più importante della varietà: da sola quest’ultima non basta per la buona riuscita del poema, anzi deve
essere decisamente subordinata alla prima. In questo, Tasso è fedele alla concezione aristotelica, che esclude la varietà e la discontinuità strutturale e il moltiplicarsi di scene
ed episodi e impone all’azione una forte unità drammatica.
Da questo punto di vista, Tasso si pone in netto contrasto
rispetto al suo predecessore Ariosto, e del resto mentre la
trama della Gerusalemme liberata è lineare e si concentra
intorno a pochi nuclei tematici, l’Orlando furioso appare al
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana confronto un grande labirinto dove è molto facile perdersi
(torneremo a parlare di tutto questo più avanti).
i temi e i motivi
Amore e morte Il duello di Tancredi e Clorinda e la morte
della donna rilanciano la centralità dell’opposizione amore/
morte, che è uno dei temi portanti della Gerusalemme liberata. In questo duello i due ambiti, che fino a questo momento erano stati separati, si fondono. Ad una lettura attenta,
infatti, il combattimento viene presentato come un incontro
erotico dalle conseguenze tragiche.
La conclusione tragica Il duello ha un esito tragico, perché come in molte tragedie classiche accade che il protagonista scopre di aver ucciso una persona amata (nella
celebre tragedia di Sofocle, ad esempio, Edipo scopre di
aver ucciso il padre Laio). Qui Tancredi uccide Clorinda ma
si accorge solo alla fine che si tratta della donna amata,
perché l’armatura nera lo ha ingannato. Rispetto alla tra-
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Torquato Tasso ~ Il duello di Tancredi e Clorinda
gedia greca, però, in Tasso c’è un elemento tipicamente
cristiano. Quando Clorinda chiede a Rinaldo di darle il battesimo, avviene infatti una riconciliazione, non sotto l’insegna dell’amore terreno, ma sotto quella della fede cristiana.
Tancredi e Clorinda possono finalmente riconoscersi solo
quando diventano simili, fratelli dello stesso credo religioso,
e quando riconoscono che esiste qualcosa più grande e più
importante delle loro vite.
La simbologia cristiana Tutto l’episodio è ricco di simbologie religiose. L’armatura scelta da Clorinda per la sortita
notturna è nera e nero è il colore del lutto. Quando Clorinda
resta chiusa fuori dalle mura di Gerusalemme, possiamo
già presagire il suo allontanamento dalla comunità degli
“infedeli” e la sua conversione alla “vera” fede. Clorinda
sale poi verso una «alpestre cima» (52, 3), e anche a questo
movimento verso l’alto può essere attribuito un significato
religioso. Anche la contrapposizione notte/alba ha un valore simbolico: la sortita e il duello con Tancredi avvengono
durante la notte, ma Clorinda viene uccisa all’alba (quando
tra l’altro l’«ultima stella», cioè il pianeta Venere, simbolo
dell’amore pagano, si spegne): la sua morte è così presen-
g. b. palumbo editore • Letteratura italiana tata come un progressivo uscire dalle tenebre del peccato
verso la nuova alba della conversione. Il sole (Dio) illumina
pietosamente il momento della morte (69,3-4) e della rinascita in Paradiso.
tasso e noi
Il “bifrontismo” di Tasso L’episodio del duello fra Tancredi e Clorinda è profondamente ambiguo. Da una parte,
come abbiamo visto, Tasso compie un’operazione ideologica, presenta cioè la conversione di Clorinda come un
modello di virtù e celebra il trionfo della fede cristiana.
Dall’altra però dissemina la descrizione di piccoli dettagli
e allusioni erotiche che suggeriscono che il duello sia una
metafora dell’atto sessuale: Tancredi infatti «Spinge la spada nel ben sen di punta, / … / e la veste, che d’or vago trapunta / le mammelle stringea tenera e leve, / l’empie d’un
caldo fiume», 64, 3, 5-7). E quando Clorinda muore il suo
volto sembra più bello («D’un bel pallore ha il bianco volto
asperso», 69, 1). Questa ambiguità, o, come è stato chiamato dal critico Lanfranco Caretti, questo «bifrontismo» di
Tasso, è molto moderna.
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