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UOMINI PER GLI ALTRI di P. Vito Bondani S.J.

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UOMINI PER GLI ALTRI di P. Vito Bondani S.J.
UOMINI PER GLI ALTRI di P.Vito Bondani S.I.
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Padre Vito Bondani S.J.
A Mondragone dal 1947 al 1953
Agli Ex Alunni del Collegio di Mondragone con grande stima e sincera amicizia
E’ doveroso ricordare gli ex-alunni viventi,
i quali spendono le loro energie
nei vari settori dell’attività umana:
nel campo della cultura, della politica,
della diplomazia, dell’industria,
e in altri campi meno prestigiosi
ma forse più essenziali
come quelli delle relazioni umane,
del lavoro professionale
e della famiglia
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Sono stato 7 anni nel Collegium Tusculanuum della Compagnia dal 1947 al 1953.
Un frammento della mia vita religiosa.
Ho apprezzato allora più che mai l'apostolato della educazione della gioventù, che
considero il fondamento di ogni apostolato sociale.
Vorrei in questa mia pubblicazione ricordare elencandoli quei giovani che poi
nella vita con spirito cristiano hanno operato a beneficio dei fratelli nei diversi
campi della umana attività.
Veramente « Uomini per gli altri ».
Con licenza del Superiore Regionale P. Armando Ceccarelli S.J. Roma, 31 marzo 1996
Edito anche da: Editrice “Domograf” Roma 1996
PREFAZIONE
L'idea non muore
Ai giovani che ho conosciuto a
Mondragone e a tutti gli altri Alunni
che ho amato senza conoscere.
Carissimi,
se vi dicessi, dopo tutto quello che è stato scritto, che Mondragone non chiude i suoi battenti, vi
meravigliereste. È vero. Mondragone è grande non per le vecchie robuste mura su cui si erge
l'edificio dell'architetto Martino Longo e del Vasanzio. Il Collegio non è conosciuto in Italia e
all'estero per la sua posizione incantevole, i viali di lecci freschi ed ombrosi e per tutti quei pregi
classici ed artistici che fa andare orgoglioso chi è stato educato in questa reggia.
Mondragone più che per queste bellezze esteriori è grande ed è famoso per l'idea che
rappresenta, per i principi che inculca, per la formazione che dà al carattere dei suoi giovani, per
tutto quel complesso di cose piccole e grandi per cui Mondragone è diventato una fucina di uomini.
Un giornalista ha chiamato Mondragone l'Oxford d'Italia. Non si è sbagliato. Oxford
rappresenta la cultura inglese: essere stato alunno di Oxford è una carta di presentazione molto
quotata in qualsiasi ambiente. Mondragone ha cercato di fare altrettanto.
L’idea non muore: Mondragone che rappresenta un'idea non muore e non può morire.
Voi andrete, cari giovani, dispersi per il mondo. Vi incontrerete forse un giorno in imprese di
responsabilità le più varie, negli uffici più impensati. La vita è piena di sorprese alcune volte
gradite altre volte ingrate. Qualunque sia il vostro posto, dovunque vi troviate per espletare la
vostra attività professionale guardate a Mondragone.
Mondragone è un faro: chi guarda al faro non può smarrire la rotta.
Mondragone è un rifugio: chi entra nel rifugio non è travolto dalla bufera e dalla tormenta.
Mondragone è un cuore: chi si avvicina a questi palpiti non può restare deluso.
Non è vero tutto questo? I giovani che hanno passato tra queste mura gli anni spensierati della
giovinezza, che nei cortili chiassosi e nelle aule scolastiche, che davanti a Mater Pietatis tutte le
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sere in ginocchio hanno chiesto la materna benedizione, tutti i giovani che qui sono stati temprati
all'amore di Dio e della patria, al rispetto ed all’amore per la Famiglia, al senso dell’onore e del
dovere, tutti questi giovani sono stati riscaldati da questo cuore, sono stati guidati da questo faro,
si sono trovati sicuri in questo rifugio.
Si volgono indietro e guardano, e, guardando, pensano. Un mucchio di ricordi riaffiora alla
memoria, un cumulo di nostalgiche reminiscenze forse farà velare gli occhi.
Troppo hanno amato e troppo sono stati amati perché possano dimenticare.
Avete amato tutto perché eravate qui, giovani, ed i giovani amano.
Avete amato intensamente tutto, perché l'entusiasmo giovanile veniva ogni giorno alimentato da
quelle sorgenti inesauribili che si chiamano Grazia e Paternità. La grazia operava all'interno, la
paternità dei vostri educatori dall'esterno tenevano sempre in fermento il vostro essere.
Avete amato tutto, dicevo, e amavate anche quando una incomprensione pareva farvi fremere,
anche quando un'apparente ingiustizia faceva bollire il sangue nelle tempia. Anche allora amavate:
ditelo, ditelo, ora che Mondragone non è più, non è forse vero? Amavate perché sapevate che tutto
quello che ricevevate era dato da cuori che amavano. Amavano come nessun altro, forse,nella vita
vi amerà. E l'amore che non si risparmia ma tutto si dona, l'amore che non soltanto accarezza ma
anche fa sentire le sue staffilate roventi, l'amore, voi ora lo conoscerete, era il movente dei vostri
educatori.
Scomparso l'amore, nel mondo d'oggi si odia. Voi invece porterete dovunque l'amore che Gesù
ci ha lasciato in eredità, l'amore che il mondo non conosce perché troppo pervaso di materialismo.
Voi farete onore a Mondragone, voi vi distinguerete dovunque se la vostra vita non sarà un
grido di aiuto ma un canto di amore.
Questo avete imparato tra le vecchie mura testimoni di giorni lieti. E dovunque voi starete,
volgetevi indietro.
Ricordate i Padri che trepidanti vi hanno seguito negli anni cruciali del vostro affacciarvi alla
vita. Siate certi che dovunque essi si troveranno non solo vi avranno sempre presenti, ma saranno
per voi un sicuro asilo e un punto garantito di riferimento nei momenti oscuri dell'esistenza. Questo
è il pensiero dei Padri, dei Professori e di tutti coloro che uno per uno vi hanno seguito nel lento
svolgersi della vostra personalità.
Un Padre del Collegio.
Il « Mondragone »
Un padre gesuita, a un mio amico che andava ultimamente a chiedere notizia sulla sorte del
collegio di Mondragone a Frascati, ebbe a ricordare che anche il sottoscritto era stato alunno di quel
collegio, e mi pare non se ne lodasse, facendo io professione di laico. Mi dispiace di parlare in
prima persona, ma vorrei ricordare quel collegio nel primo decennio di questo secolo, come un
ambiente singolare, e non posso farlo che sulla scorta dei miei ricordi personali. Per la verità, ero un
esterno del collegio, cioè vi andavo a scuola da Frascati tutte le mattine. Si chiamava allora il
Nobile Collegio di Mondragone. Piovesse o nevicasse, ancora quasi buio l'inverno, bisognava fare
la strada, cinquecento metri oltre l'abitato della città, pei viali della villa che era stata dei Borghese,
dei quali i pilastri del cancello serbavano il Dragone gentilizio. Col cattivo tempo, si prendeva una
botticella col mantice rialzato, che arrancava a passo d'uomo all'ultimo mezzo chilometro di salita,
il profondo e quasi buio viale dei lecci in cima al quale era stata eretta da poco la grande statua della
Vergine di marmo bianco come la neve. Tutte le mattine si rasentava il coupé del giovine conte
Muti-Bussi nell'uniforme color cenere del collegio; il quale aveva il privilegio di tornare la sera
nella sua villa dall'impenetrabile parco presso Grottaferrata. Spesso questo coupé si fermava
invitando a salire un professore che veniva da Roma col tranvai dei Castelli, un giovane prete che
insegnava lettere in alcune classi del ginnasio inferiore. Perché non tutti gl'insegnanti erano gesuiti a
Mondragone; alcuni erano preti secolari, e altri, per le materie scientifiche, laici, tra i migliori
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professori dei ginnasi romani più in fama di buoni studi, come il Visconti, gl'istituti in cui era un
impegno d'onore del collegio mandare agli esami di licenza i suoi migliori allievi e strapparvi le
migliori graduatorie: nella Roma di allora, la Roma dell'amministrazione di Ernesto Nathan, della
celebrazione massonica del XX Settembre, degli osti repubblicani, del Circolo Giordano Bruno in
una squallida casuccia all'ombra del Vaticano, a Porta Angelica.
Alla buona stagione, cominciando da certe giornate rigide e assolate di febbraio, era piacevole
fare la strada della scuola a piedi, perdersi un poco nei prati e cercarvi le prime violette il cui
profumo arrivava segreto tra l'odore delle foglie marcite e del legno fradicio del bosco. Oltre la
pineta di Villa Parisi, che fiancheggiava il viale dei lecci, un gruppo di cavalieri caracollava per la
pista. Si pensava soltanto a questo: che essi non andavano a scuola. All'uscita dalla lezione, di là
dalla pineta c'era una giovane donna sola, a cavallo. Bionda. La stagione era segnata mattina per
mattina dai mille fenomeni del parco; il biancospino fiorito, la bacca dei lauri matura, i cipressi
rinverditi come di un musco, le pozze d'acqua gelate, gli improvvisi ciclamini, gli olivi della tenuta
d'un più chiaro argento, le ghiande che si rompevano sotto i passi. E il giovane prete cui apriva lo
sportello del coupé Muti-Bussi, col suo pastrano invernale, o il soprabito di alpagas, o il ferraiolo
svolazzante e il cappello di pelo lustro.
La villa magnifica, già soggiorno dei papi, dava l'impressione d'una città chiusa in un solo giro
di mura, nel gusto delle antiche ville romane: il parco in un finto abbandono, un complesso agricolo
di case coloniche e di campi, e le illusioni della natura tradotte in pietra, fontane, cascate, grotte,
portici, terrazze; i migliori risultati dell'Arcadia come una vita urbana di continuo alle prese con la
nostalgia di una natura sterilizzata e senza affanno. Arrivando, si sentivano i galli cantare da
qualche casolare, e poi i rumori d'un quartiere di artigiani. Il collegio comprendeva nel suo
complesso nobile e domestico, fuori del mondo, calzolai, sarti. lavanderie, falegnami, fabbri,
legatori di libri. Da quelle botteghe uscivano i libri di scuola degli allievi, legati tutti ugualmente in
piena tela d'un rosso cardinalizio.
Noi esterni portavamo i libri foderati in carta canepina, e sedevamo all'ultimo banco. Come certe
opere scritte con una raffinata esperienza sociale e che sono incomprensibili a chi non abbia vissuto
e sofferto le regole e le convenzioni d'una società, per esempio i romanzi di Stendhal, così era per
un ragazzo ignaro Mondragone. Solo più tardi questo ragazzo ignaro capiva che i suoi compagni,
veduti dall'ultimo banco più alto, portavano i nomi delle maggiori casate di tutte le regioni italiane e
che basterebbe ricordare ora perché si apra una prospettiva storica; o perché evochino la nuova
borghesia ricca del principio del secolo, da Palermo a Napoli e da Torino a Venezia; o il mondo
della cultura, come il nome di Antici-Mattei con le sue suggestioni leopardiane. I ragazzi della
grossa borghesia imparavano i modi del bel mondo più dai loro compagni aristocratici che dai padri
gesuiti, naturalmente. Era la Oxford italiana. I loro predecessori, fatti uomini e nel mondo, avevano
lasciato le loro fotografie di collegiali, formato visita, nel grande salone delle cerimonie, il salone
degli Svizzeri; visti di un'epoca, mescolati alla storia di quel decennio del secolo, e che ho riveduto
in parte nella mostra fotografica di Roma ottocentesca a palazzo Braschi: un costume, un
atteggiamento, una responsabilità di classe dirigente. La dignità e il rispetto verso se stessi delle
vecchie fotografie. Girando poi per il mondo, incontrai qualcuno di quei ragazzi, qualcuno di quei
nomi affiorava nel mondo diplomatico, nei resoconti di corte, nell'anticamera pontificia, nella
diplomazia delle nazioni cattoliche. Stando a Parigi nel 1919, leggevo una mattina nel giornale che
nell'albergo di fronte si era ucciso un giovane, figlio di un diplomatico straniero a Roma, che io
ricordavo sullo stesso banco col suo italiano incerto e il chiaro viso di chi comincia la vita. Su quei
banchi, i più bravi portavano un senso di tradizione familiare e di dimestichezza con la cultura come
di cosa propria. I meno diligenti, una superiorità, eredi di un'epoca in cui l'arte aveva lavorato per
esaltarli o lusingarli.
In quel castello donde partiva un viale di cipressi dritto che qualcuno aveva progettato dovesse
arrivare fino a Roma, i padri gesuiti pareva avessero lunghe propaggini e rapporti. II padre
Vitelleschi, della famiglia di Tarquinia dove il palazzo oggi museo porta il suo nome, scriveva odi
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barbare al modo di Carducci, ma ribattezzate di un senso cristiano e cattolico; per la mente di un
ragazzo che leggeva Carducci, era curioso decifrare quel mondo paganeggiante tradotto dal gesuita
in formule pie, e quasi convertito, Vitelleschi dirigeva l'istituto. Il padre Rocci, un grecista morto
due anni fa più che ottantenne, era il preside. Fu un fatto singolare che un giorno egli mi chiamasse
nel suo studio per rendersi conto del ragazzo che potevo essere. Pochi giorni dopo, esposto sotto il
portico di Flaminio Ponzio, era il decreto della mia espulsione dall'istituto firmato da lui. Leggevo,
ho detto, Carducci. Me lo aveva veduto sotto il banco un ragazzo che è oggi un principe romano. Se
lo fece prestare. Evidentemente gli fu trovato. Conteneva l'Inno a Satana che io non capivo e che
non era di mio particolare gusto, ma c'era. E tanto bastava. L'edizione era di quelle popolari dello
Zanichelli, col viso plebeo del poeta maremmano tra un ramo d'alloro e un incudine sullo sfondo
d'una veduta del Foro Romano. I caratteri elzeviri, nuovi e profani per chi conosceva soltanto i
caratteri tondi dei libri di scuola, e quelle poesie intere invece dei frammenti riportati dai manuali di
metrica dello stesso Rocci, furono tra le prime ebbrezze delle mia vita e mi perdettero.
L'arrivo mattutino a Mondragone offriva altri incontri. Si incontrava il padre Genocchi, che
andava e tornava da Frascati pel suo ufficio di confessore e di predicatore degli esercizi spirituali in
qualche comunità religiosa; alto, forse sui sessanta anni, e vigoroso. E il padre Macinai, grecista
come il suo discepolo e confratello Rocci, il quale conduceva una lotta contro la massoneria con la
pubblicazione di documenti e inchieste e rivelazioni, in libri coi titoli in colore verde, il colore del
«serpente verde», come era detta la massoneria. L'anticlericalismo romano arrivava a Frascati, e a
Frascati si stampava L'Asino, il giornale di Podrecca. Il clero vi aveva la sua dimora estiva: i
giovani dei seminari sudamericani vi andavano a trascorrere le vacanze nei conventi sui colli, i
missionari della scuola in corso Rinascimento a Roma andavano nel convento dei francescani sopra
villa Falconieri dove era vissuto al suo ritorno dall'Africa il cardinal Massaia, 1'Abuna Messias
degli abissini: Le gite turbolente ai Castelli, le liti a volte sanguinose durante le elezioni, i
repubblicani con la cravatta nera svolazzante, i bevitori che venivano a saziarsi di vino nelle case
dove era uso servirlo a tavola negli annaffiatoi da giardino, le ville patrizie, una decina, con le loro
fontane, cascate, giuochi d'acqua, labirinti di mortella, alti prelati e cocchi padronali, questo era
allora Frascati con la sua luce settentrionale, la sua vegetazione di montagna e le vigne digradanti
sui colli a solatìo tra cui sorgevano ruderi romani.
* * *
Il giorno della premiazione a Mondragone farebbe oggi la delizia di più d'un giornale pettegolo e
di un esercito di fotografi. Coi cocchi e i primi modelli di automobili, arrivavano da Roma, i parenti
degli alunni, cioè l'aristocrazia romana e italiana, le donne piú famose, quelle i cui nomi si
leggevano nei resoconti della caccia alla volpe e per cui D'Annunzio aveva sparso molto del suo
inchiostro di cronista mondano. Un padre gesuita che pareva avesse l'incarico dei rapporti con la
mondanità, con un paio di occhiali turchini, riceveva l'elegante adunata; e i grandi cappelli piumati,
il fruscio delle vesti, i profumi, il chiacchiericcio mondano riempivano la sala severa su cui
troneggiava il cardinale in titolo della diocesi. Su una tribuna, uno dei migliori allievi leggeva una
prolusione su un quesito letterario, come per esempio: «Annibal Caro e il suo soggiorno nelle ville
romane»; ci sentiva la mano del professore che l'aveva riveduta. In un’altra circostanza quel
pubblico faceva la sua apparizione, ed era di carnevale, quando il teatro del collegio inscenava
commedie e melodrammi adattati da Goldoni, Cimarosa, Paisiello, con costumi che nel ricordo mi
paiono sfarzosi. Un noto mettiscena veniva da Roma. Le commedie e i melodrammi erano a
protagonisti soltanto maschili, come sempre nei collegi. Ma il personaggio femminile pareva, alla
mente adolescente, ridere sommessamente sotto la castigatissima superficie.
Quel poco di greco e di latino appreso a quella scuola, mi bastò, posso dire, fino agli anni
dell'università. L'insegnamento era l'opposto di quello che si pratica oggi: non tendeva a formare già
nella scuola giovani infarinati di cultura generale, con una somma di notizie più o meno imprecise e
senza esperienza. Al contrario, se ne usciva privi di nozioni generali ma abbastanza forniti di una:
ed era il metodo per accostarsi alla cultura. Si trattava di un esercizio paziente e ostinato intorno a
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fatti grammaticali, sintattici, logici, assai simile allo studio del pianoforte, un esercizio della
memoria e non dei riassunti, senza una sola preoccupazione estetica, senza cioè quel vago dire
«bello bello» che formò poi la preparazione dominante delle scuole italiane. Mi pare fosse
importante per quell'insegnamento mettere nella mente dell'alunno la misura stessa della bellezza
antica, e quindi la sua moralità. La fantasia della prima età compiva poi da sé l'operazione di creare
un'aura intorno a un brano latino o greco mandati a mente. Negli anni seguenti, quei brani ritornati
alla memoria si sarebbero arricchiti di sempre nuovi sensi, secondo la cultura e l'esperienza che si
acquistava a mano a mano. Era la scuola umanistica nella sua pratica tradizionale, per gente che alla
cultura, si presumeva, si sarebbe dedicata, per cui avrebbe avuto tempo, senza un tornaconto e un
utile immediati. La chiave della cultura per una classe dirigente sicura del suo avvicendamento e
della sua successione.
“La classe dirigente di domani», diceva nel suo fervorino del primo giorno di scuola il
professore, rivolgendosi ai primi banchi, e in questo atteggiamento poteva ricordare l’abate
settecentesco ai piedi della società dominante. Poi il mondo mutò, classe dirigente venne fuori
sempre meno da quella; ma nuove forze che scaturivano dalla guerra e dai rivolgimenti politici e
sociali. È questa la ragione per cui si è detto Mondragone avrebbe chiuso i suoi cancelli. Seguendo i
tempi, i gesuiti cercano in quelle categorie di ogni provenienza sociale «la classe dirigente di
domani».
CORRADO ALVARO
Un elogio
Sono le parole di S.S. Papa Benedetto XV in occasione del 50° (1915) di
fondazione del Collegio.
(1914-1922)
C’è un po’ di retorica secondo l’uso del tempo ma la sostanza è
considerevole.
“ I primi dieci lustri di Mondragone sono stati fecondi di
uomini illustri per il Sacro Collegio e per la Chiesa, per il
foro e per la milizia, per la vita pubblica e la privata.
In tutti i rami del vivere sociale gli Alunni di Mondragone
hanno tenuta alta la bandiera della Religione e della
Chiesa facendo apprezzare la bontà della educazione ricevuta all’aure dei colli Tuscolani”.
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PRIMA PARTE
Veduta di Mondragone da una vecchia stampa
UN PO' DI STORIA
Il Collegium Tusculanum ebbe come sede un grande edificio abbandonato, quasi cadente,
rimesso su alla meglio nella parte centrale per accogliere il piccolo gruppo di giovani (da principio
furono pochi, quanto le dita di una mano) che poi andò crescendo.
Questa grande casa ha una storia. Bisogna risalire al secolo XVI quando i grandi di Roma,
ecclesiastici o non, amavano costruirsi soggiorni piacevoli vicino alla capitale per riposare dalle
fatiche delle loro alte cariche, sia durante le ferie sia durante l'anno di lavoro. Questi soggiorni non
erano villette o ville di dimensioni modeste come si costruiscono oggi per una famiglia o due, ma
veri monumenti progettati e portati avanti nella costruzione da architetti famosi come il Longo il
Fontana il Vanvitelli il Vasanzio ecc. Si pensi a Villa Torlonia, a Villa Aldobrandini, a Villa
Rufinella, a Villa Falconieri, a Villa Tuscolana (villa Vecchia), a Villa Sora, a Villa Taverna ecc. La
casa nella quale ebbe la prima sede il Collegium Tusculanum fu Villa Mondragone. Questa villa fu
voluta ed edificata dal Cardinale Altemps sopra i resti di una villa romana, quella dei Quintili. Gli
architetti furono Martino Longo e il Vasanzio. Ospitò Papi e Cardinali. Divenne famosa anche per
un altro motivo: «Acquistava Mondragone un posto non dimenticabile nella storia, perché di qui fu
data da Gregorio XIII la celebre Bolla `Inter gravissimas pastoralis officii nostri curas' che riformò
il Calendario Giuliano. A piè di essa si legge infatti Datum Tusculi VI Kal. Martias 1582...».
Dagli Altemps la villa passò ai Borghese, i quali possedevano anche una villa più piccola «Villa
Taverna» dove abitavano abitualmente. riservandosi Mondragone per le occasioni più solenni. Sotto
di loro Mondragone acquistò grande splendore. Difatti costruita la galleria che congiunge il corpo
centrale alla Palazzina, detta la Ritirata, fu arricchita di opere dei più celebri artisti. Così per tutto il
secolo XVIII finché i proprietari rimasero a Roma. Quando poi per i noti avvenimenti di Francia e
la partenza dei Borghese da Roma e dallo Stato Pontificio, per diversi motivi non ultimo l'incuria
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degli amministratori e le alienazioni che facevano di opere d'arte ecc. la villa rimase abbandonata e
oggetto di spogliazioni da parte di chiunque volesse prendere qualcosa.
Tornati i Principi a Roma si dettero premura di salvare il salvabile nella villa abbandonata.
Verso la metà del secolo XIX sia la prima moglie del Principe Marcantonio Guandelina Talbot, sia
la seconda moglie Teresa de La Rochefaucaul, espressero il desiderio di vedere restaurate alcune
stanze del Mondragone. Pertanto furono restaurate e dipinte varie sale dell'edificio centrale, si iniziò
un lavoro di rafforzamento, si fecero progetti di restauro in grande stile, progetti che restarono
lettera morta: tuttavia rimessa in ordine la parte centrale dell'edificio il Principe presi accordi col
Provinciale d'Italia P. Ponza di S. Martino S.J. poté vedere aperto un Collegio della Compagnia di
Gesù, si inaugurò il 2 Febbraio 1965 festa della Purificazione o della Candelora.
I primi cinque convittori
Il primo gruppo di alunni fu, abbiamo detto, quanto le dita di una mano, 5. Lo costituirono tre
figli del Principe Marcantonio, Giancarlo Scotti di Milano e Carlo Rocchi di Roma. Il numero
crebbe rapidamente così da superare il centinaio nell’anno 1881. Furono necessari restauri piuttosto
grandiosi.
La fama del Collegio si diffuse per tutta Italia e anche all'estero. Pertanto in seguito vi saranno
alunni di diverse nazioni.
La proprietà del Collegio era sempre dei Principi Borghese. Ora, avvenne nel 1895 che al
Principe certi affari economici non andarono come avrebbe desiderato, e per far fronte alle
difficoltà incombenti si trovò nella necessità di vendere alcuni possedimenti fra i quali era la Villa
Mondragone, Villa Vecchia e parte del terreno adiacente. Il Collegio non aveva il denaro per
comprare l'edificio in cui risiedeva per munificenza del Principe e avrebbe dovuto licenziare i
giovani convittori. Furono avvisate le famiglie e le cose arrivarono a tal punto che si erano presi
accordi per il trasporto della mobilia. Ma i parenti degli alunni, vari collegi e case della Compagnia
di Gesù in Europa con le loro generose oblazioni, i cittadini di Frascati con le loro suppliche, illustri
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personaggi di ogni colore politico, parecchi eminentissimi Cardinali, fra cui il Card. Serafino
Vannutelli Vescovo di Frascati, con le loro intercessioni e soprattutto la parola augusta del Santo
Padre Leone VIII allontanarono dal Collegio la sua ultima rovina. II 15 agosto festa della
Assunzione il Santo Padre chiamò il P. Emanuele De Caro, Provinciale della Provincia Romana, gli
mostrò il desiderio che un Collegio per cui l'avevano supplicato 8 eminentissimi Cardinali
moltissimi signori della aristocrazia romana venisse conservato. Pertanto la S. Sede avrebbe
concorso finanziariamente all'acquisto della Villa Mondragone con le sue più necessarie
dipendenze.
Il desiderio del S. Padre venne soddisfatto e qualche giorno dopo nella festa del suo onomastico
annunziò la conservazione del Collegio di Mondragone e mostrò ai presenti i telegrammi di
ringraziamento che già aveva ricevuto da varie parti. E la sera di quel giorno nella notte calda
d'estate Mondragone risplendeva di mille luci quasi ad attestare al provvido Pontefice la sua
esultanza e gratitudine.
Assicurata l'esistenza del Collegio si pensò a normalizzare gli studi conformandoli alle leggi
ministeriali del regno d’Italia. Per maggior prestigio e utilità si chiese per il Ginnasio-Liceo di
Mondragone il pareggiamento ai regi. Si presentò la richiesta corredata dalle note esigite dalla
legge. Il Ministro della pubblica istruzione On. Guido Baccelli, che ricevé la domanda unita ai
documenti richiesti e appoggiata da una petizione in favore firmata da 107 Onorevoli del
Parlamento concesse il pareggio con documento ministeriale firmato il giorno 8 Dicembre 1898. Il
documento dopo una settimana comparve sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica
Istruzione e fu trasmesso al Rettore del Collegio. L’On. Guido Baccelli avrebbe detto a una
commissione del Mondragone che andò a ringraziarlo essere contento di aver compiuto un'opera
buona e non si sarebbe pentito di quello che aveva fatto. Purtroppo le cose andarono diversamente
da quello che le circostanze facevano sperare. Dopo appena tre giorni dalle date assicurazioni un
incaricato governativo si presentò al Rettore del Collegio e richiese a nome del Ministero della P.I.
il documento col pretesto che mancavano alcune formalità volute dalla legge. Il Bollettino Ufficiale
del Ministero della Pubblica Istruzione pubblicava il 12 Gennaio 1899, che «il Ministro della
Pubblica Istruzione avendo riconosciuto allo stato degli atti non conforme alle leggi il decreto
ministeriale che pareggia temporaneamente ai regi il Liceo-Ginnasio d: Mondragone lo ha ritirato».
da Don Chisciotte, 8 gennaio 1899
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Si accesero delle polemiche nel parlamento stesso e quasi tutti i giornali della nazione e parecchi
giornali esteri parlarono della faccenda. Si espressero favorevolmente al Collegio. Erano tempi di
lotta aperta fra lo spirito liberal massonico e la scuola cattolica. I1 fatto clamoroso in pratica fu una
reclame dell'Istituto che crebbe nella stima degli Italiani ed esteri. Forse questo avvenimento
indusse varie famiglie di nazionalità diverse a mandare i loro figli nel Collegio di Mondragone.
Dopo questa battaglia perduta, ma in favore, il Collegio continuò nella sua vita. Il corpo
insegnante secondo le leggi. I programmi secondo le norme ministeriali. I giovani si preparavano
con diligenza e ardore agli esami che subivano con ottimi risultati nei Licei di Roma. La media
delle licenze Liceali degli alunni del Mondragone dà il 75 per cento, quella delle licenze ginnasiali
il 91 per cento. Molti diplomi furono conseguiti con splendide votazioni e con speciali
congratulazioni degli esaminatori. Fu molto eloquente il risultato del biennio 1899-1900. Su 23
studenti di Liceo 19 conseguirono la licenza e su 29 studenti di Ginnasio 25 furono licenziati.
La vita dell'Istituto in pieno sviluppo quando si abbatté sull'Europa la prima grande guerra 19151918. Anche il Collegio dette il suo contributo con Ex alunni valorosi e anche eroi che morirono sul
campo di battaglia. Gli alunni dell'Istituto prestavano servizio di carità verso i feriti degenti negli
ospedali di Frascati e soprattutto verso i feriti ospitati a Villa Tuscolana (Villa Vecchia) di proprietà
del Collegio messa a disposizione di un gran numero di militari o feriti o ammalati. L'Ordinario
Militare Monsignor Bartolomasi veniva spesso a visitare i degenti ed era ospite gradito del
Collegio.
Passata la bufera della prima grande guerra il Collegio continuò più speditamente a vivere e a
prosperare.
Fra la prima e la seconda grande guerra mondiale, molte vicende si susseguirono. Per noi e
anche per l'Europa e il mondo cattolico fu di somma importanza la conciliazione fra la S. Sede e
l'Italia. I1 nostro Collegio in questa circostanza ebbe un momento di celebrità perché il S. Padre Pio
XI rivolse agli alunni andati in udienza speciale un discorso nel quale praticamente rispose ad
affermazioni poco esatte, dette in parlamento da Benito Mussolini dopo la firma dei Patti
Lateranensi.
Pio XI
1922-1939
II discorso:
«Ecco una delle tante combinazioni della Provvidenza, alle quali siamo avvezzi perché ne
abbiamo vedute di propriamente splendide in questi tempi, quando venivano maturandosi questi
avvenimenti importanti, il ricordo dei quali voi avete voluto associare a quello del Nostro
semisecolare sacerdozio e che con tanto giubilo vennero accolti da tutta la grande famiglia cattolica
anzi da tutto il mondo cattolico e non cattolico.
In questi ultimi tempi abbiamo veduto proprio molte graziosissime eleganti combinazioni e
preparazioni della Provvidenza Divina: abbiamo veduto realmente il Signore entrare per le porte. E
quello che oggi ci capita è proprio una di queste combinazioni, perché oggi (cioè all'indomani di
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ieri voi bene mi comprendete) è la seconda volta che un istituto di educazione viene a trovarci (oggi
che è la vigilia di domani cioè la vigilia della festa di S. Giovanni Battista de la Salle, un genio della
educazione cristiana uno dei grandi apostoli della educazione cristiana e cattolica) e tutto questo
all'indomani del giorno in cui si è così solennemente parlato come di tante altre cose della
educazione e dell'interferenza fra stato e chiesa in ordine alla educazione stessa. Voi comprendete
certissimamente che questa non è una combinazione che Noi abbiamo cercata: tanto meno cercata
che questa mattina allorché abbiamo ricevuto un istituto bello e caro, non molto sviluppato per altro
– quello della scuola Cavannis istituzione di due modesti sacerdoti che però conta oltre un secolo di
vita e che per opera di altri santi sacerdoti che lo hanno continuato ha portato un prezioso contributo
di educazione cristiana, a centinaia e migliaia di anime - quella visita ci coglieva proprio quando
stavamo appunto leggendo ciò che fu detto sull'accennato argomento e proprio non avevamo avuto
neanche il tempo di preparare quello che stavamo per dire. Non abbiamo però potuto fare a meno di
vedere nella presenza di quell'istituto una nobile semplificazione ed attestazione di quella grande
missione una delle più grandi missioni che Iddio ha affidato alla Chiesa nell'insieme della missione
salvifica di tutte le anime, la missione dell'educazione cristiana.
E davvero vien fatto di domandare a chi appartenga la educazione cristiana, se non a questa
madre e maestra depositaria della divina rivelazione e come dice il Poeta "conservatrice eterna del
Sangue incorruttibile”, a questa Madre e Maestra di tutta la vita e santità cristiana. Di questa
missione la Chiesa si è sempre fatta un diritto e un dovere né poteva essere altrimenti.
Ma a quel modesto istituto di questa mattina al quale anche per l'angustia del tempo non
abbiamo potuto rivolgere che brevi parole ora sottentrate voi il Collegio di Mondragone, uno dei
tanti collegi della Compagnia dei quali per la loro moltitudine non è neanche facile sapere il
numero. E poi quanti altri bisogna aggiungerne dello stesso tipo dello stesso carattere diretti a dare
ai giovani una squisita educazione cristiana e cattolica.
Ecco S. Giovanni Battista de la Salle con la moltitudine dei suoi figli e degli allievi delle sue
scuole cristiane, sono diciassettemila i Religiosi della sua istituzione e più di 300.000 gli allievi
della sue scuole. Sono 20.000 i religiosi della Compagnia di Gesù e se mettiamo tutti i collegi di
essa credo che andiamo, che andiamo, con le cifre molto più in su.
E poi dobbiamo aggiungervi tutti gli istituti ed alunni dei Salesiani e tanti altri di famiglie
religiose consacrate all'educazione cristiana; cosicché certamente ben presto raggiungiamo cifre di
milioni. Che se a tutti questi istituti religiosi vogliamo aggiungere ancora tutte le Congregazioni di
religiose consacrate allo stesso nobilissimo scopo come le religiose del Sacro Cuore, che ci stanno
vicino qui alla Trinità dei Monti, a Villa Lante ecc., quelle delle Sorelle della Scuola le
Schulschwestern tedesche che abbiamo incontrato dappertutto nei nostri né piccoli né infrequenti
viaggi all'estero raggiungiamo le centinaia di migliaia e i milioni, numeri così grandi da dare
addirittura le vertigini.
E quando ancora pensiamo che tutto questo non è sol-tanto la realtà di oggi ma che sempre la
chiesa secondo le possibilità dei tempi anche in quel medioevo che taluni con-tinuano a chiamare
tenebroso e che ha dato tante splendide cattedrali, dal sorriso della Sicilia alle nevi della
Scandinavia e tante opere di filosofia di teologia di medicina e di ogni scibile - opere che dobbiamo
confessarlo oggi duriamo a fatica a leggere - e tutto questo con sì pochi mezzi, ha egualmente
curaro l'educazione e l'istruzione, dobbiamo restare veramente colpiti dalla più profonda
ammirazione.
Poiché fino a quel lontano medioevo nel quale erano così numerosi - qualcuno ha voluto dire fin
troppo numerosi - i monasteri; i conventi. Le chiese, le collegiate, i capitoli cattedrali e non
cattedrali, presso ognuna di queste istituzioni era un focolare scolastico un focolare di educazione
cristiana. Ed a tutto ciò bisogna aggiungere le Università tutte le Università sparse in ogni paese e
sempre per iniziativa e sotto la guardia della Santa Sede e della Chiesa.
Quello spettacolo magnifico che ora vediamo meglio perchè è più vicino a Noi in condizioni più
grandiose come portano le condizioni del secolo fu lo spettacolo di tutti i tempi; e coloro che
studiano e confrontano gli avvenimenti restano meravigliati di quello che la Chiesa ha saputo fare in
quest’ordine di cose, meravigliati del modo col quale la Chiesa ha saputo corrispondere a quella
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missione che Iddio le affidava di educare le generazioni umane alla vita cristiana, e aggiungere tanti
magnifici frutti e risultati.
Ma se desta meraviglia che la Chiesa in ogni tempo abbia saputo raccogliere intorno a sé
centinaia e migliaia e milioni di allievi della sua missione educatrice, non minore è quello che ci
deve colpire quando si riflette a quello che ha saputo fare solo nel campo della educazione ma
anche in quello della istruzione vera e propria; poiché se tanti tesori di cultura di civiltà di
letteratura si sono potuti conservare si debbono a quell'atteggiamento per il quale la Chiesa anche
nei più lontani e barbari tempi ha saputo far brillare tanta luce nel campo delle lettere della filosofia
dell'arte e particolarmente dell'architettura. Chi guardi al passato non per fare della invenzione per
proprio uso e consumo ma per cercare rigorosamente la verità. non può non convincersi che la vera
storia è questa.
La vostra presenza poi ci suggerisce un'altra bella e ovvia considerazione. quella per la quale
voi stessi siete quella che ci fa vedere con quanta gratitudine e premura i padri e le madri di
famiglia, le famiglie cristiane abbiano corrisposto a questa operosità della Chiesa. Fino dai più
antichi tempi i genitori cristiani hanno capito che come era loro dovere così era anche loro interesse
quello di profittare di quel tesoro di educazione cristiana che la Chiesa cattolica metteva a loro
disposizione. E però attorno alle scuole e agli istituti di educazione ed istruzione cristiana in ogni
tempo le famiglie i padri e le madri cristiane vennero a battere a quelle porte ed affidare a quelle
istituzioni i loro figli piccoli e non più piccoli con tutta fiducia. Bellissime cose queste che con la
loro chiara eloquenza dimostrano due fatti di altissima importanza: la Chiesa che mette a
disposizione delle famiglie il suo ufficio di maestra e di educatrice e le famiglie che corrono a
profittarne, e danno alla Chiesa a centinaia a migliaia i loro figli; e questi due fatti richiamano e
proclamano un'altra grande verità importantissima nell'ordine morale e sociale.
Essi dicono che la missione dell'educazione spetta innanzi tutto; soprattutto in primo i;:,,co alla
Chiesa e alla famiglia, alla Chiesa e ai padri e alle madri; spetta a loro per diritto naturale e divino e
perciò in modo inderogabile, ineluttabile, insurrogabile.
Lo Stato certamente non può, non deve disinteressarsi dell'educazione dei cittadini, ma soltanto
per porgere aiuto in tutto quello che l'individuo e la famiglia non potrebbero dare da sé. Lo Stato
non è fatto per assorbire, per inghiottire, per annichilire l'individuo e la famiglia; sarebbe un
assurdo, sarebbe contro natura giacché la famiglia è prima della società e dello Stato. Lo Stato non
può dunque disinteressarsi dell'educazione, ma deve contribuire e procurare quello che è
necessario e sufficiente per aiutare, cooperare, perfezionare l'azione della famiglia per
corrispondere pienamente ai desideri del padre e della madre per rispettare sopra tutto il diritto
divino della Chiesa. In un certo modo si può dire che esso è chiamato a completare l'opera della
famiglia e della Chiesa, perché lo stato più di qualunque altro è provveduto dei mezzi che sono a
sua disposizione per le necessità di tutti; ed è giusto che li adopri a vantaggio di quegli stessi dai
quali essi vengono.
E’ poi ben chiaro che lo Stato nel campo dell'educazione potrà ben dare dei professionisti e degli
stipendiati coscienziosi, ma non potrà mai dare delle vocazioni. delle vite consacrate all'educazione
per intera e completa dedizione.
Non staremo noi a dire che per compiere l'opera sua nel campo dell'educazione sta necessario,
conveniente, opportuno che lo Stato allevi dei conquistatori; allevi alla conquista ... Quello che si fa
in uno stato si potrebbe fare anche in tutto il mondo ...
E se tutti gli stati allevassero alla conquista che accadrebbe? In questo modo non si
contribuirebbe alla pacificazione generale, ma piuttosto alla generale conflagrazione. A meno che
non si sia voluto dire - e forse proprio questo si voleva dire -; che si intende allevare alla
conquista della verità e della virtù, nel qual caso saremo perfettamente d'accordo. Ma dove non
potremo mai essere d’accordo è in tutto ciò che vuol comprimere, menomare, negare quel diritto
che la natura e Iddio hanno dato alla famiglia e alla Chiesa nel campo dell'educazione, - Su questo
punto Noi non vogliamo dire di essere intrattabili anche perché l'intrattabilità non è una virtù, ma
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soltanto intransigenti come non potremmo non essere intransigenti se ci domandassero quanto fa
due più due. Fa quattro e non è colpa nostra se non fa né tre né cinque né sei né cinquanta. Quando
si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime ci sentiremmo il coraggio
di trattare col diavolo in persona. Ed è proprio per impedire un male maggiore, che come tutti hanno
ben potuto sapere in qualche momento abbiamo trattato allorché si decideva della sorte dei nostri
cari esploratori cattolici; abbiamo fatto dei sacrifici per impedire mali maggiori ma abbiamo
documentato tutto il cordoglio che sentivamo per essere costretti a tarlo.
Come vedete diletti figli voi siete venuti in un momento ben propizio, in una di quelle
combinazioni che la Provvidenza dispone con la più grande opportunità e, diciamolo pure, eleganza.
Noi vi abbiamo parlato di intransigenza quando si tratta di principi e di diritti che non possono
essere messi in discussione. Dobbiamo aggiungere che non disponiamo di mezzi materiali per
sostenere questa intransigenza. Né questo d'altra parte ci dispiace perché la verità, il diritto, non
hanno bisogno di forze materiali perché ne hanno una propria inconfutabile, inderogabile,
irresistibile.
(Dalla Civiltà Cattolica 1929 volume 11 pagg. 402-407)
Nota. Nel discorso pronunciato il 13 maggio dall'Onorevole Mussolini alla Camera intorno agli
Accordi Lateranensi si diceva:
«Abbiamo avuto la fortuna di avere dinanzi a noi un Pontefice veramente italiano (i Ministri e i
Deputati sorgono in piedi e acclamano entusiasticamente e ripetutamente). Egli non si dorrà, io
credo, se la camera fascista gli ha tributato questo plauso sincero. Egli è il capo di tutti i Cattolici:
la sua posizione è supernazionale. Ma egli è nato in Italia in terra lombarda e ha della gente
lombarda la soda praticità ed il coraggio delle iniziative. È un uomo che ha molto vissuto
all'estero: ciò ha molto acuito non attenuato il suo senso di italianità; egli è uno studioso che
accoppia a un sentimento fervidissimo una dottrina formidabile; egli soprattutto sa che il regime
fascista è un regime di forza, ma è leale; dà quello che dà e non di più e lo dà con schiettezza, con
franchezza senza sotterfugi, egli sa che ci sono delle questioni nelle quali siamo intransigenti al
pari di lui e se per tutto il 1927 le cose stagnarono e tutto si limitò ad un mantenimento di contatti,
ciò si deve al dissidio determinato per l'educazione delle giovani generazioni, per la questione dei
boy-scouts cattolici (commenti), questione la cui soluzione voi conoscete. Un altro regime che non
sia il nostro, un regime demoliberale, un regime di quelli che noi disprezziamo può ritenere utile
rinunziare all'educazione delle giovani generazioni. Noi no. In questo campo siamo intrattabili
(prolungati applausi). Nostro dev'essere l'insegnamento. Questi fanciulli devono essere educati
nella nostra fede religiosa, ma noi abbiamo bisogno di integrare questa educazione, abbiamo
bisogno di dare a questi giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista sopra tutto,
abbiamo bisogno di ispirare loro la nostra fede, le nostre speranze (vivissimi applausi). Nel 1928
conclusa la parentesi scoutistica le trattative riprendevano».
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I Patti lateranensi, firmati l'11 febbraio 1929 dal cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini,
stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano. Presero il nome del
palazzo di San Giovanni in Laterano in cui avvenne la firma degli accordi, furono negoziati tra il
Cardinal Segretario di Stato Pietro Gasparri per conto della Santa Sede e Benito Mussolini, capo del
Fascismo, come Primo Ministro italiano. Il rapporto tra stato e chiesa era prima disciplinato dalla
Legge delle Guarentigie approvata dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di
Roma.
Da sinistra verso destra, Vittorio Emanuele III di Savoia, Papa Pio XI e Benito Mussolini.
Proprio in questi anni le larghe vedute e il coraggio di un Rettore del Collegio attuarono un'opera
grandiosa per rendere la villa Mondragone adatta alle esigenze di un istituto moderno e capace di un
numero maggiore di alunni. Si sa infatti che il numero degli alunni fu sempre piuttosto limitato e
per la selezione di quelli che chiedevano di entrare e per la impossibilità di riceverne molti:
qualcosa di più che un centinaio. Con i restauri e l'ampliamento della villa si poteva arrivare anche a
duecento.
Il Rettore coraggioso e geniale fu il P. Aristide Delmirani.
Veduta generale del Mondragone
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Come per la costruzione dell'edificio gli antichi proprietari cioè gli Altemps ebbero i grandi artisti
del tempo, cioè Martino Longo e il Vasanzio così per i restauri poderosi e l'ampliamento del
Collegio il P. Delmirani incaricò un architetto di gran nome, Busiri-Vici di Roma. Si trattava di
unire con grandi corridoi le parti dell'edificio.
Mentre prima dei restauri era soltanto la galleria a mettere in comunicazione l'edificio centrale con
la cosiddetta Palazzina, per il resto bisognava passare da una stanza all'altra come negli
appartamenti nobili. Pertanto ridotto l'edificio a Collegio gli alunni dovevano uscire nel piazzale per
andare nelle diverse aule scolastiche. Si trattava di erigere grandi corridoi al piano terreno, al primo
e secondo piano. Se non che l'esterno non doveva essere toccato essendo la villa monumento
nazionale. Il di fuori la facciata dalla parte del grande piazzale è stata portata in avanti pezzo per
pezzo di modo che appare tale e quale come prima del restauro.
Cartolina illustrata con il Piazzale Maggiore e parte del Giardino della Girandola
nello stato precedente alle modifiche del 1929-32
Un attento osservatore si accorgerà del cambiamento dalla mancanza di una fila di tigli. Mentre
prima erano due file di tigli ad abbellire il piazzale ora se ne vede una sola.
Grandi innovazioni furono fatte all'ultimo piano con la costruzione di 40 camerette per la
camerata dei Grandi e il restauro completo dei dormitori arricchiti di lavandini e acqua corrente.
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Fu necessario il concorso della S.Sede richiesto e concesso. Così l'Istituto poté accogliere un
numero maggiore di alunni come si desiderava.
La sua fama si diffuse oltre i confini della patria e vennero alunni stranieri d'Europa e di diversi
continenti. Fu durante il rettorato del P. Aristide Delmirani che il Collegio ottenne la parifica del
Ginnasio Liceo.
Purtroppo la vita dell'Istituto fu interrotta nel suo fiorire dalla seconda guerra mondiale.
Mondragone e Frascati come tante altri parti d'Italia si trovarono proprio in mezzo alla tormenta.
Frascati fu bombardata ed ebbe distruzione e morti in gran numero.
Fu bombardata più volte e il triste esodo dei Frascatani, dei superstiti verso il Collegio di
Mondragone si può dividere in tre periodi. Il primo periodo va dall’otto settembre 1943 al ventuno
dello stesso mese.
Immagini fotografiche di sfollati ospitati nel Collegio da Il Mondragone 1944
Son centinaia che chiedono asilo e vengono accolti e sistemati nel migliore dei modi. Tornata una
relativa calma tutti ritornano a Frascati. II secondo periodo va dal 21 settembre al 21 gennaio 1944.
È la volta di coloro che chiamati alle armi dal governo della Repubblica sociale italiana non
vogliono esporsi a questa tremenda avventura, ma c'è la minaccia ai trasgressori di un processo
secondo le leggi di guerra. Sono molti soldati e ufficiali dell'esercito nazionale disciolto e anche
giovani appena chiamati la prima volta alle armi che chiedono asilo e vengono accettati. Viene
stilato un regolamento di vita e un regolamento per occultarsi in caso di pericolo di requisizione. Il
terzo periodo va dal 21 gennaio al 4 giugno 1944.
Il 22 gennaio altro bombardamento sulla infelice Frascati. I superstiti ritornano a centinaia. Sono
400. Sono 500. Si mette un cartello alla porta del Collegio che non se ne possono accettare altri. La
processione continua e anche l'accettazione non viene meno. Ormai sono più di 900. Padri e alunni
del Collegio si danno da fare per aiutare tutti. sistemare tutti. Anche gli alunni perché il collegio non
fu chiuso durante la guerra e un piccolo gruppo di convittori fu compagno dei Padri nella buona e
cattiva sorte.
I più grandi aiutarono i Padri nel sistemare gli sfollati. E’ doveroso ricordarli questi convittori
che allo studio unirono ore di lavoro materiale a beneficio di quella povera gente: Bartolomeo e
Giacomo Attolico, Felice Costanzo, Franco e Luciano Delmirani. Federico Froelichsthal, Paolo
Federici, Fernando Fuyani. Alessio Kralj. Enrico Giacobazzi, Jack Sereggi, Fiorello e Nando Silla.
Intanto verso la metà di febbraio il piccolo gruppo di alunni in vista degli esami che si
prospettano alla fine dell'anno scolastico deve lasciare il Collegio per andare a Roma. Saranno
ospiti del Collegio Pio Latino Americano. “Curvi sui libri i ragazzi vissero la vita del Collegio e le
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ore fortunose che la patria attraversava. E questo contatto con la realtà tragica della vita se non
giovò direttamente allo studio fu per tutti una salutare disciplina formativa dell'animo e del
carattere”.
Con la partenza della maggior parte dei Padri e dei Convittori Mondragone si organizzò come
un vero paese. Rimangono in Collegio il P. Rettore Raffaele Cube, il P. Ministro Renieri, il P.
Benassi, Direttore Spirituale FeIdhous, Alberto Parisi e i tre fratelli Alberti Corsi e Marras. Vi
rimase ospite graditissimo Mons. Biagio Budellacci Vescovo di Frascati i rimasto illeso sotto il
primo bombardamento e salito insieme coi. i suoi figlioli spirituali verso Mondragone. Anche lui
aveva perduto tutto. Gli era rimasta solo la veste talare sporca di terra e di sangue. Rimase a
Mondragone vari anni. Scenderà ogni giorno a Frascati a lavorare fra i suoi rimasti laggiù. Darà
esempi luminosi di zelo di amore fraterno di povertà e di un lavoro apostolato infaticabile.
Intanto partono i tedeschi, vengono gli americani e le piaghe dalla guerra anche in Collegio si
rimarginare lentamente. Comunque Mater Pietatis ha salvato Mondragone…
Mater Pietatis
Patrona della Associazione Ex alunni di Mondragone
Immagine venerata nella cappella del collegio
ed attualmente a Galloro
Caro Collegio di Mondragone, il bene da te compiuto a favore di tante povera gente non sarà
mai dimenticato. La tua Patrona e Madre Mater Pietatis l'ha scritto a lettere d'oro nel libro della vita.
Da notare che alcuni ex-alunni di nazionalità (Stati Uniti) faranno in modo che le forze armate
statunitensi destinate ai diversi bombardamenti in Italia abbiano presente nel compito doloroso di
distruzione il Collegio che verrà sempre risparmiato.
Sbarcati gli americani ad Anzio alcuni ex verranno a rivedere il luogo della loro prima
educazione.
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Il metodo di insegnamento adottato dal Collegio
Prima che si compisse l'unità d'Italia con la occupazione di Roma i Padri seguirono le
indicazioni e le norme della Compagnia in Europa e dove la Compagnia di Gesù aveva scuola prima
della soppressione e dopo la restaurazione avvenuta nel 1814.
Dopo l'occupazione di Roma anche le scuole dei Gesuiti si uniformarono alle leggi del Ministero
della Pubblica Istruzione. Però il Mondragone aveva iniziato in precedenza a seguire vie nuove.
Allo studio della Lingua Italiana, Latina e Greca aveva aggiunto fino dal sorgere del Collegio lo
studio della lingua Francese, Inglese e Tedesca. Si dette maggior sviluppo a quello della Storia,
Geografia e Matematica. Si formarono gradualmente i gabinetti di fisica, chimica e scienze naturali.
Seguendo il consiglio e il desiderio del P. Angelo Secchi S.J fu
istituito l'osservatorio Meteorologico tuscolano. Nel 1871 fu
inaugurata la sala dedicata ai Principi Borghese poi detta
comunemente sala Ciampi perché vi lavorò il P. Felice Ciampi il
quale per il suo amore alle scienze naturali e la perizia nel dipingere
volle mostrare in bell'accordo astronomia, geologia, zoologia.
Nella volta raffigurò in vari compartimenti il cielo stellato dei due
emisferi rappresentandovi in rilievo con esattezza matematica le
dodici costellazioni, e nelle pareti l'aurora boreale, una eruzione
vulcanica, la fata Morgana, la carta geologica d'Italia, le correnti
marine. Ad ornamento dei pilastri uccelli di ogni specie e regione.
Compiono il disegno otto grandi medaglioni dei quali alcuni
rappresentano i grandi treni della scienza; fra questi è il P.Angelo
Secchi S.J. celebre astronomo del tempo.
Padre Angelo Secchi S.J.
Vi sono rappresentati personaggi che ebbero parte nella istituzione del
Collegio Tuscolano. Non poteva mancare il P. Alessandro Ponza di S.
Martino S.J.
Si andò formando a poco a poco una splendida collezione di animali,
dal piccolo uccello mosca a uno splendido esemplare dell'uccello del
Paradiso e dei grandi volatili delle nostre Alpi; dal ramarro ai serpenti più
qualificati, dal piccolo felino alla tigre e al giaguaro del Brasile. Questa
collezione che si arricchiva anno per anno anche per merito dei Padri
Missionari delle varie parti del mondo fu sistemata decorosamente in
vetrine a muro nel corridoio del secondo piano. Il merito al P. Ernesto
Rinaldi il penultimo Rettore del Collegio di Mondragone.
P. Felice Ciampi S.J.
Dopo questo excursus che mi è sembrato doveroso ecco come Corrado Avaro ex-alunno esterno del
Collegio descrive il metodo che si usava nell’insegnamento.
«L'insegnamento era l’opposto di quello che si pratica oggi: non tendeva a formare già nella
scuola giovani infarinati di cultura generale con una somma di notizie più o meno imprecise e senza
esperienza. Al contrario se ne usciva privi di nozioni generali, ma abbastanza forniti di una; ed era il
metodo per accostarsi alla cultura.
Si trattava di un esercizio paziente e ostinato intorno a fatti grammaticali e sintattici, logici, assai
simile allo studio del pianoforte, un esercizio della memoria e non dei riassunti senza una sola
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preoccupazione estetica, senza cioè quel vago dire «bello, bello» che formò poi la preparazione
dominante delle scuole italiane. Mi pare fosse importante per quell'insegnamento mettere nella
mente dell'alunno la misura stessa della bellezza antica e quindi la sua moralità. La fantasia della
prima età compiva poi da sé l'operazione di creare un'aura intorno a un brano latino o greco mandati
a memoria. Negli anni seguenti quei brani ritornanti alla memoria si sarebbero arricchiti di sempre
nuovi sensi secondo la cultura e l'esperienza che si acquistava a mano a mano. Era la scuola
umanistica nella sua pratica tradizionale per gente che alla cultura si presumeva si sarebbe dedicata
e per cui avrebbe avuto tempo senza un tornaconto e un utile immediato. La chiave della cultura per
una classe dirigente sicura del suo avvicendamento e della sua successione... ».
(Da «I1 Corriere della Sera» 1° gennaio 1954 - "Il MONDRAGONE- di Corrado Alvaro - Vedi
anche Libro di memorie, pag. 57 ).
Corrado Alvaro(1895-1956)
Questo il metodo per la educazione della mente e del cuore.
Per la formazione religiosa, giacché l'Istituto era una scuola cattolica, retta da Religiosi della
Compagnia di Gesù non mancavano lezioni di catechismo, direttori spirituali, confessori, pratiche di
pietà. Si erano istituite due Congregazioni Mariane, una per i Piccoli, l'altra per i Grandi. Si
inculcavano devozioni particolari: al Cuore SS. di Gesù, alla Madonna, che si invocava sotto il
titolo di Mater Pietatis, a S. Giuseppe sotto il cui patrocinio fu messo il Collegio. La Madonna
Madre della Pietà si venerava in una immagine copia felice della Mater Pietatis del noviziato
romano, posta nella bella cappella che tutti gli Exalunni conoscono ubicata a destra del portichetto
d'ingresso. San Giuseppe ebbe un suo tempietto nel giardino pensile. Ogni camerata aveva un
patrono speciale e ogni anno ne celebrava la festa con solennità.
Riguardo alla disciplina all'inizio del Collegio:
«era presso a poco come una famiglia e si viveva in molta intimità> Così diceva il Card.
Gennaro Granito Pignatelli di Belmonte uno dei primi alunni. È chiaro. Il numero degli alunni
crebbe rapidamente e si passò il centinaio. Allora fu necessaria una disciplina più rigida. Tuttavia
rimase sempre lo spirito di famiglia anche per la collaborazione delle singole famiglie con la
direzione del Collegio.
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SECONDA PARTE
Ci sono «uomini per gli altri» che dopo una lunga e sofferta preparazione hanno raggiunto un
traguardo e nella società ricoprono posti di fiducia incarichi di responsabilità, uffici di prestigio. Da
queste altezze possono aiutare il prossimo e lo aiutano realmente con la loro condotta, e mediante la
loro opera benefica intelligente, materiata spesso di sacrifici. Così si aprono strade a chi ha bisogno
di indirizzo, di sistemazione, di posti di lavoro, e famiglie bisognose in gran numero trovano mezzi
di sussistenza con un lavoro onorato e redditizio.
Vi sono “ uomini per gli altri “ i quali solo con la loro vita, con la luce delle loro virtù sono
benemeriti dell'umanità. Ecco i giovani, che il Signore nei suoi altissimi e inscrutabili disegni, a un
certo punto del loro cammino nella vita recide dall'ordito della medesima. Così sono e rimangono
eternamente giovani modelli di generosità e di virtù. Anche il Mondragone ne ha dati, fanciulli,
adolescenti, giovani ritratti in affettuose memorie e presentati esemplari ai contemporanei e a tutti
coloro ai quali quelle memorie arriveranno. Sono un buon numero:
1) ALFREDO DENTICE MASSARENGHI (1883).
2) ANTONIO SANTOVETTI (1894).
3) LUIGI GAMMARELLI (1898).
4) PIO TELEMACO TROTTA (1898).
5) GIUSEPPE CATTANEO (1899).
6) GIULIO DEGLI ALBERTI (1920).
7) URBANO BARBERINI (1931).
8) FRANCESCO BORGIA (1937).
Di ciascuno si potrebbe dire:
«Consummatus in brevi explevit tempora multa» (, ap. IV 13).
“ In breve tempo raggiunse la pienezza di tutta una vita».
Leggendo la vita di S. Domenico Savio e confrontando le virtù di questo giovanetto con gli atti
di pietà, di generosità di mortificazione dei nostri convittori e soprattutto la prontezza e l'abbandono
alla volontà di Dio nell'ora della morte si trova poca differenza fra l'uno e gli altri. Domenico Savio
si era preparato alla morte con una vita innocente sotto la guida di Don Bosco il santo della
gioventù. I nostri del Mondragone anch'essi si prepararono a quel momento tremendo e gioioso alla
luce del motto «La morte ma non peccati».
Questo motto si trova di rado espresso nelle memorie. che riportano, i propositi di questo e di
quello formulati soprattutto in preparazione alla prima comunione o durante i santi esercizi, che
ogni tanto facevano specialmente gli iscritti alla Congregazione Mariana sotto la guida dei loro
Padri Spirituali.
Il P. Vitelleschi nelle memorie pubblicate su Antonio Santovetti morto a diciassette anni ricorda i
propositi di questo giovane il giorno della prima comunione:
“ Pensa o Antonio che oggi hai preso Gesù vivo e vero nella sacrosanta ostia, il pane degli Angeli.
Ne eri degno? Ne eri degno? No, io rispondo, perché neanche gli Angeli sono degni. Figuriamoci se
ne sono degno io! ...
Senti Gesù che ti dice: Dimmi le grazie che vuoi e io te le farò. Queste sono Signore le vostre
parole: ma che mai io debbo chiedervi? Ecco ciò che vi chiedo: prima che preserviate da tutti i
pericoli tutti i miei parenti; poi fatemi buono e santo e datemi tutte quelle virtù che mi sono
necessarie.
Poi datemi un gran dolore di tutti i miei peccati e proponimento di non commetterli più. In
ultimo fatemi prima morire che commettere un peccato mortale. 7 Maggio 1887 Santovetti Antonio
«L'intensità della vita spirituale alimentata dalla preghiera e dalla frequenza ~:,e: sacramenti non
impediva a Toto di darsi con pass:ore non solo allo studio ma anche alla gioia della ricreazione
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Si mostrò sempre compiacente verso i compagni. Se in lui ci fu difetto ciò provenne talora da
troppo buon cuore. Si prestò sempre volentieri per loro sollievo. “Quantunque i suoi compagni tanto
diversi tra loro per ingegno per inclinazione, per modi, e di cosí varie province quante se ne
comprendono dalla Sicilia al Piemonte, tutti ammirarono sempre in Toto una rara affabilità di tratto
e un cuore grande e generoso sempre disposto a compiacerli… Né si contentava di offrire le sue
buone grazie ma sapeva aggiungervi parole e modi così insistenti che per non recargli dispiacere
conveniva darsi per vinti.. Ogni volta che nelle passeggiate ... avvenivagli di passare nelle vicinanze
di Grottaferrata non si dava pace finché i compagni cedendo ai suoi replicati inviti non lo seguivano
in casa dove offriva loro ogni ben di Dio.
Quando nella cameretta si trattava di mettere su qualche gita tutte le cure di Toto erano nel
procurare ai suoi compagni i mezzi per renderla ad essi più gradita e scriveva al padre e replicava
con insistenza le lettere per ottenere due tre e più cavalli da prestar loro per la gita. Ottenuto poi
quanto bramava era fuor di sé per la gioia e sapeva aggiungere tanto buon umore negli altri che era
(lui) non poca parte del diletto di quella passeggiata... Durante le ricreazioni negli ampi piazzali del
Collegio, Toto era la vita e l'anima di tutti i giuochi. Era anche il miglior ginnasta del Collegio».
Purtroppo un forte mal di denti nonostante le cure elementari di quel tempo che si risolsero nella
estrazione difficile e parziale del dente gli procurò una setticemia per la quale non ci furono rimedi
e Toto comprese e si preparò a morire rassegnato alla volontà di Dio.
Come di Antonio Santovetti si dica di Giuseppe Cattaneo che iniziati in Collegio gli studi li
compì con ottimi risultati nell'esame di maturità diremmo oggi. Aveva l'ideale del mare: entrare
nella Accademia Navale di Livorno e diventare ufficiale di marina... Mentre pensava a questo
traguardo e aveva fatto tutte le pratiche per entrare in quel prestigioso istituto il Signore lo chiamò a
sé... Pubblicò alcune memorie di Giuseppe Cattaneo Sacconi: « (In famiglia) fu sempre pio e nelle
orazioni umile e devoto talché chi l'avesse visto pregare sarebbe rimasto grandemente edificato dal
suo fervore e dal suo raccoglimento. Durante una grave malattia della sorella egli… si rivolse pieno
di fede e di speranza alla taumaturga Regina di Pompei per ottenerne la guarigione stimolando tutti
a fare altrettanto... Nell'Ottobre del 1888 ... entrò Giuseppe a far parte del Convitto di
Mondragone... Per l'indole amabile e scherzosa ... si trovò nella nuova dimora come in una seconda
famiglia... Nel Luglio 1889 fu accolto nella Congregazione degli Angeli Custodi».
Il 27 Aprile 1890 Festa del Patrocinio di S. Giuseppe anno venticinquesimo dalla fondazione del
Collegio Giuseppe fece la sua prima comunione per mano dell'Eminentissimo Cardinale Serafino
Vannutelli, Vescovo di Frascati e quella prima comunione fu per lui il suggello del tempo trascorso
e un forte impulso a continuare nella buona via intrapresa. Entrato nella Camerata dei Mezzani
domandò di essere ammesso nella Congregazione Mariana e vi fu inscritto il 25 Marzo 1892. «Ne
occupò in seguito le cariche più alte compresa quella di Prefetto e procurò con ogni mezzo che vi
regnasse costante il buono spirito... Nutrì un particolare affetto verso il P. Vitelleschi uomo di
spirito, di eccellente e di profonda cultura tanto che Corrado Alvaro lo paragona a un Carducci
Cristiano». Il P. Vitelleschi appassionato cultore di lettere era anche pianista sicché l'amicizia che
legava Giuseppe al suo Maestro lo portava all’amore per musica; «La musica scrive il suo
compagno Piero Misciatelli (entrato in collegio nel 1892), nel suo animo nobile e gentile
esercitava un fascino speciale. Il povero Beppe aveva proprio una passione per questa divina fra le
arti». Oh io non potrò mai dimenticare tante belle ore passate insieme con lui e con altri buoni amici
intorno al pianoforte ove sedeva il P. Vitelleschi quelle tristi giornate invernali buie piovigginose
che mettevano addosso l'uggia e la malinconia. Giuseppe Cattaneo quello che allora ci teneva più
allegri con i suoi scherzi con i suoi frizzi lanciati a tempo sul più bello d'una sonata; a volte lo
assalivamo tutti insieme tempestandolo perché cantasse e lui sempre buono cantava allora con
molta espressione e gli occhi cerulei gli brillavano di gioia... Sempre cortese si prestava volentieri a
rallegrare con la sua voce le nostre solennità. Pochi anni or sono il giorno 9 Dicembre in occasione
della distribuzione dei premi cantò con molta grazia ed applaudito vivamente da tutti i presenti un
«AVE MARIA» in francese composta dal P. Vitelleschi e credo fu quella una le prime volte che si
produsse in pubblico. Così a poco a poco divenne popolare nel collegio e i piccolini rammentano
sempre «Pipelet» che li fece tanto ridere e divertire nell'ultimo carnevale del '99... Giuseppe
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Cattaneo era uno dei veterani del nostro concerto, se ne occupava molto e ci teneva che facessimo
una buona figura...
Dove maggiormente si distinse fu nelle recite drammatiche del carnevale: assiduo alle prove
attento alle correzioni cercava d’interpretare per lo più il carattere serio e sostenuto che gli veniva
assegnato e nessuno meglio di lui sapeva dare ai personaggi il tono grave e maestoso che loro si
conviene… Cooperò in vari modi alle feste della Camerata non mancando mai di mettere da per
tutto la sua nota fresca e gioviale e io mi ricordo pure di averlo visto spesso ristabilire la quiete e la
gaiezza fra compagni un po' in lite per mezzo di una sola parola pronunziata a tempo... Da ciò si
comprende come egli fosse assai desiderato nei passeggi e nelle gite in campagna in cui nulla
diverte quando manca l'allegria...
Conseguita la licenza ginnasiale seguitò Giuseppe ad attendere agli studi e la sua condotta
lodevolissima in tutto il corso del Liceo faceva ben prevedere qual frutto avrebbe raccolto...
Ardentemente appassionato per il mare era questo il continuo oggetto dei suoi sogni giovanili ...
avviarsi alla carriera della Marina...
Purtroppo questi sogni che si sarebbero avverati (già Giuseppe aveva preparato gli incartamenti
per entrare nella Accademia di Livorno furono interrotti da una pericolosa febbre tifoidea che
nonostante le cure più adatte e affettuose, lo portò agli estremi.
La morte di Giuseppe fu edificante. La notte del 22 luglio mandò a chiamare il P. Spirituale:
«Padre sento che forse dovrò morire ed è bene che io pensi all'anima». Si confessò con grande pietà
e con vero sentimento di fede e pregò il P. Spirituale di voler tornare la mattina seguente. Tornai
infatti la mattina al suo letto scrive il P. Spirituale. Rimase lungo tempo a colloquio con me ... mi
raccomandò varie cose e mostrandomi la medaglia del Congregato «Con questa disse, voglio
morire». Fece l'offerta della sua vita al Signore: « A quale dura prova il Signore mi mette! Ma sia
fatta la sua volontà!» e lasciando cadere il crocefisso che teneva nelle mani placidamente spirò. Era
il 2 Agosto del 1898.
Antonio Santovetti (entrato in collegio nel 1884) e Giuseppe Cattaneo (entrato nel 1888)
giovani di 18 anni cresciuti nell'ambito di una famiglia cristiana educati in un collegio cattolico
dove mediante la cura dello spirito (non mancavano direttori spirituali e ottimi confessori) e uomini
ben preparati nel campo della cultura si cercava di formare il ragazzo, l'adolescente alle virtù
cristiane con una conveniente istruzione religiosa e la pratica delle virtù nelle Congregazioni
Mariane, mentre nella scuola con programmi, ispirati alla antica Ratio Studiorum gloria della
Compagnia di Gesù e adattati ai moderni programmi, uomini ben preparati procuravano di formare
e il cristiano e l'uomo di cultura. Così attraverso i vari compiti affidati loro dalla Provvidenza
avrebbero portato lo spirito cristiano nella società. Antonio Santovetti e Giuseppe Cattaneo alla
vigilia del loro ingresso nella vita furono colti dal Signore e la loro giovinezza si eternò per la loro
felicità eterna e ad esempio per tanti che li conobbero o di loro sentirono parlare. Certo la loro fama
non fu celebrata in modo massiccio come ad esempio il ricordo di Pier Giorgio Frassati o altri
dell'azione Cattolica i quali meritatamente furono e sono proposti come esempio e lo saranno in
seguito quando la Chiesa li metterà ufficialmente su gli altari.
Ci sono altri giovanetti che il Signore chiamò a sé dal giardino delle Congregazioni Mariane.
Luigi Gammarelli, Giulio degli Alberti, Francesco Borgia, Urbano Barberini.
LUIGI GAMMARELLI (entrato in collegio nel 1894)- Nel Maggio 1895 Festa del Patrocinio di
S. Giuseppe fece la prima comunione e annotò in un quadernetto pensieri veramente santi. Entra in
esercizi spirituali: «Io sono indegno di ricevervi o Signore... Aiutatemi in questi giorni santi fate che
non pensi che a Voi. La grazia di questi esercizi mi fa gioire. Alla visita della sera sono stato preso
da uno speciale atto di amore verso Gesù... Povero Gesù, spero avrete accolto il mio atto di amore e
vi sarete consolato. Questa sera prima di andare a letto il Signore è venuto con i suoi impulsi a
toccarmi il cuore».
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Ecco i propositi: «Obbedienza - Obbedire sempre di buona voglia, ai ministri di Dio, alla Chiesa
Cattolica, ai genitori, ai superiori ecc. e per amore di Dio anche agli inferiori. Che cosa è la nostra
obbedienza dinanzi a quella di un Dio, che ha obbedito agli uomini? Pensare spesso tra me alla
bontà di Gesù e per amore di Lui fare più volentieri i miei lavori. Astenermi sempre dalla lettura di
libri non buoni. Pregare spesso la Vergine per la Perseveranza finale. Fare la comunione nelle
domeniche di S. Luigi».
Fin da piccolo fu devoto della Madonna e questa devozione si consolidò in lui quando poté
appartenere alla Congregazione Mariana. Era amante dei poveri e quando piccolino metteva da
parte i suoi risparmi, questi erano destinati ai poveri e alla S. Infanzia. I Congregati poi facevano
visite alle famiglie bisognose di Frascati e davano elemosine ai poveri che in buon numero
venivano su al Collegio.
Ai propositi fatti in preparazione alla prima comunione Luigi fu sempre fedele e mostrò di averli
vissuti nei giorni del dolore e soprattutto nel giorno della morte.
Nonostante avesse momenti di profonda malinconia si mostrò esternamente sempre lieto e
gioviale. Anzi promosse delle passeggiate nei dintorni di Frascati; aveva progettato col permesso
del P. Rettore una cavalcata ad Albano insieme con i compagni di V Ginnasio ... ma il
sopraggiungere di una forte peritonite lo ridusse agli estremi. Quali furono i suoi sentimenti e come
si comportò negli ultimi giorni di vita lo sappiamo dal Diario della Congregazione Mariana:
«Luigi Gammarelli ... in vita era stato di edificazione esemplare e tra i più ferventi... La sua
morte fu quella dei giusti.
Come seppe che correva pericolo di vita non pensò che ad apparecchiarsi serenamente alla
morte. Si confessò più volte. Da se stesso chiese il viatico e si preparò a ricevere per l'ultima volta il
suo Dio con singolare fervore. Dopo averlo ricevuto si raccolse in preghiera allontanando da sé in
questi momenti preziosi le affettuose cure della madre per poter meglio pregare e parlare solo a solo
con Gesù. Ricevuto il SS. Sacramento migliorò tanto che non mai durante la malattia. Parve più
tranquillo. Disse a tutti cose di grande edificazione. Domandò perdono ai genitori ai superiori ai
compagni. Consolò gli inconsolabili genitori che non si allontanarono mai dal suo fianco... Li esortò
a rassegnarsi alla volontà di Dio... Volle discorrere poi con loro privatamente e diè loro consigli per
l'anima. Ricevuto l'olio santo e confortato dalla benedizione del Sommo Pontefice assistito dal P.
Direttore della Congregazione, dal R.P. Rettore e da molti Padri di casa, conservando quasi fino
all'ultimo l'uso dei suoi sentimenti pieno di rassegnazione e di confidenza nella bontà del Signore
sempre in santi affetti verso il suo Dio e la sua Madre Santissima chiuse con una morte invidiabile
la sua breve carriera lasciando noi tutti in profondo lutto». Aveva 14 anni.
Al ricordo di questi giovani, che come Luigi Gonzaga e Domenico Savio offrirono a Dio
generosamente la propria vita, si deve aggiungere la memoria di un ragazzo di 11 anni Pio
Telemaco Trotta della città di Toro nel Molise (28-5-1887 / 27-8-1898). Educato cristianamente in
famiglia fu posto in collegio perché si completasse la sua educazione fisica, morale, intellettuale.
Fece la prima comunione il primo giorno del mese di Maggio 1898. Aveva preparato un
quadernetto dove aveva cominciato a scrivere i buoni pensieri e i propositi, che aveva formulato in
quella circostanza. Mentre si preparava a partire dal Collegio il 1° Agosto di quello stesso anno si
ammalò di meningite e dopo diciassette giorni chiuse la sua breve esistenza. La sua vita angelica,
dicono le memorie, ebbe una fine degna di un santo. Il P. Paolo dell'Olio S.J. e il P. Lorenzo Rocci
composero il primo una poesia in onore del fanciullo scomparso, il secondo un'ode latina dedicata
al padre di Pio in ricordo e a conforto.
Un altro adolescente di 16 anni (20-2-1904 / 24-2-1920) GIULIO degli ALBERTI della
Marmora (entrato in collegio nel 1919) nato a Torino. Fece i primi studi in famiglia, seguì il corso
ginnasiale nella sua città alunno dell'Istituto "Massimo D'Azeglio. Entrò nel Collegio di
Mondragone per iniziarvi a compiere il liceo. Educato cristianamente in famiglia trovò nelle cure
dei Padri e nei fervori della Congregazione Mariana un incentivo a crescere nella vita dello spirito.
Anima sensibilissima sentiva un desiderio ardente di avvicinarsi a Dio. Il nulla, il vuoto delle
cose di questo mondo lo affliggevano. S. Ignazio guardando il cielo esclamava: < Quam sordet
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tellus cum coelum aspicio (quanto mi appare vile la terra quando guardo il cielo)! ». Così Giulio
guardava il cielo, guardava a Dio e desiderava unirsi intimamente a Lui.
Quali avvenimenti avevano influito a riempire di dolore e di disgusto la sua anima? La
improvvisa morte del padre e gli anni di guerra di quella guerra che il Papa della pace Benedetto
XV aveva definito «inutile strage» e aveva travolto popoli e nazioni portando nel lutto famiglie
senza numero. Questi due avvenimenti nell'animo di Giulio influirono a distaccarlo dal mondo e a
spingerlo verso Dio la pienezza della vita. Due anni prima della morte aveva scritto nel retro di una
immagine della Madonna: “ O beata e Santa Vergine, che amaste sì teneramente il vostro dolce e
adorabile figlio, abbiate un po' di amore per il mio povero piccolo cuore... Venite in mio aiuto nei
momenti della mia vita perché Iddio mi aiuti... Pregatelo perché mi liberi presto da questo mondo
odioso... Oh io sono ben vile, ma come non desiderare la morte pensando di trovarsi presto nella
suprema felicità? O Santa Vergine aiutatemi a sopportare questa vita che non è vita. Fate che sia
fatta la volontà di Dio piuttosto che la mia “.
Negli ultimi tempi poi parve che il desiderio di Dio si acuisse in lui potentemente. In un diario
che egli intitola `Brani di una vita vissuta troviamo la traccia delle sue lotte, dei suoi accoramenti
dei suoi entusiasmi ... il silenzioso avvicinarsi di Dio che viene:
«Non mi dite, scrive il 29 Gennaio, non mi dite o signore non mi dite se temi le cadute non
arrampicarti, aiutatemi a dire < Excelsius» e poi morire, nella vetta conquistai, nel bacio sublime di
Voi Essere infinito, e poi morire per rinascere in Voi...».
La lotta continua e cresce. Giulio il 30 Gennaio scrive: In Te Signore ho sperato, non sarò
abbattuto in eterno» e nella vicenda del combattimento già sente la vittoria prossima «Cerchiamo
piuttosto trionfare, si esprime il 5 Febbraio, ),mi sento a un altro mondo: Signore Signore dove sei
tu?».
E il Signore fu con lui nella morte il Signore fu con lui nella ira, nel giorno della eternità che
ebbe per lui una aurora e on avrà tramonto.
Un suo compagno di Congregazione scrive: «Giulio aveva letto con grande interesse le parabole
di Goergersen e una era stata veramente la parabola sua: quella del chicco di grano che vien gettato
nel solco e geme nelle tenebre, geme nella terra che l'opprime, ma poi ai raggi del sole feconda e
getta la sua spiga verso l'alto». Così Giulio morendo ha germinato nella letizia della primavera e
nella luce di esempi luminosi.
Un altro giovanetto di appena 13 anni prese il volo verso cielo dal Collegio di Mondragone. Fu il
26 Novembre 936 il giorno nel quale FRANCESCO BORGIA morì santamente dopo una vita
breve ma piena di bontà trascorsa nella innocenza e nell'adempimento quotidiano del proprio
dovere.
Devotissimo del Sacro Cuore di Gesù sapeva offrire a Lui i sacrifici che la vita di collegio
imponeva. Soprattutto durante l'ultima malattia nel dolore quando le sofferenze si acuivano egli
ripeteva: «Sacro Cuore di Gesù confido in voi». Ricevé l'Eucarestia più volte e con pietà e vivo
desiderio l’olio degli infermi. Un santo giovanetto non poteva morire se non coi segni di pietà che
Francesco mostrava. Fu sepolto nella tomba dei Padri di Mondragone. Nei ricordi dei compagni si
scoprono piccoli e grandi atti di virtù che Francesco sapeva fare. Enzo Pantò /entrò in collegio nel
1932) scrive di avere imparato da lui a servire la messa. Desiderava servire la messa ogni giorno e
al R.P. Rettore scrisse: «Non mi chiama più quest'anno per servire la S. Messa? Io sarei molto
contento di poterlo fare. Suo Francesco Borgia». Per tornare poi alla devozione che nutriva verso il
S. Cuore di Gesù ecco quello che scrive Vieri Morelli de Pazzi (entrato in collegio nel 1934):
«Francesco nel giorno del battesimo fu consacrato solennemente al S. Cuore e in questa devozione
si segnalò sempre specialmente dopo la consacrazione (al medesimo Sacratissimo Cuore) della
nostra camerata. Francesco Borgia era con noi: fu subito fra quelli che si distinsero con zelo
ardente in questa devozione. Ogni sera era fedele alla pratica dei nove uffici ed era sempre tra i
primi ad alzare la mano per andare in cappella per questo omaggio al Sacro Cuore. A proposito
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delle vacanze non lasciò mai le sue pratiche devote al S. Cuore di Gesù: in una lettera che scrisse al
prefetto dice testualmente così: “ Tutte le mattine vado nella cappellina a pregare il S. Cuore per
me, per i miei genitori, per il Rettore e per lei». Ma dove apparve la sua devozione al S. Cuore fu
nell'ultima malattia in cui ebbe da Gesù la ricompensa che egli ha promesso a coloro che sono
zelanti nella devozione al suo Divin Cuore. Borgia infatti in mezzo ai dolori non piccoli che soffriva
ripeteva sempre «Sacro Cuore di Gesù confido in Voi» e specialmente quando i dolori divenivano
più forti egli ripeteva più spesso questa giaculatoria. L'infermiere notò questo e un giorno disse al
Prefetto: « Quanto più soffre tanto più dice una preghiera che è sempre la stessa». “E qual'è
Francesco? », domandò il Padre al ragazzo. “ È la nostra giaculatoria Padre, S. Cuore di Gesù
confido in Voi ».
Aveva una bella immagine del S. Cuore di fronte al suo letto e un giorno che il Padre gli
suggeriva di offrire tutto al Signore rispose: «Io Padre non ho paura di niente perché ho il Sacro
Cuore vicino a me». «E tutti i tuoi dolori a chi e per chi li offri?». «Al S. Cuore per la camerata
nostra». Fino a pochi momenti prima della morte ripeté la sua giaculatoria ma poi non ricordandola
più domandò al P. Ministro come fosse quella giaculatoria e quasi subito dopo che il P. Ministro
gliel'ebbe sussurrata all'orecchio spirò placidamente. Questa devozione al SS. Cuore di Gesù
profonda e sentita era ispirata a tutti della camerata dal Prefetto P. Rotondi (1936-39) e dallo
zelante P. Spirituale Dino Dini (1936-37; 1948-49), che incoraggiava e Prefetti e alunni di tutte le
camerate a praticarla e a viverla.
Quanta impressione facesse nell'animo di tutti i Padri e alunni la vita breve e la morte santa di
Francesco Borgia lo dimostrano le parole del Preside Prof. P.Paolo Chiti (1937-1950) il giorno
della premiazione: «Ma appunto perché festa della scuola e però del dovere e del lavoro questa
solennità riveste un carattere quasi sacro: ecco perché noi sentiamo di poterla celebrare in letizia di
spirito e di cuore nonostante che gli animi nostri siano ancora tutti sotto la impressione dolorosa per
le recente gravissima perdita di uno fra i migliori dei nostri alunni, che un morbo inesorabile ha
strappato al nostro affetto e alla nostra ammirazione. La morte santa e invidiabile di Francesco
Borgia. La luce della fede che sola può darci parole non menzognere di conforto ci assicura che il
caro compagno non è del tutto assente da questa nostra festa, ma vi guarda e si compiace cari
giovani divenuto a sua volta comprensore di una gioia ineffabile di un trionfo senza fine...» (Da Il
Mondragone, 28 Dic. 1937).
URBANO BARBERINI (1931)- Fu per qualche tempo alunno esterno. Di lui basta dire che è in
corso il processo di beatificazione e canonizzazione presso la Congregazione dei Santi.
A questo gruppo di adolescenti e di giovani che nel fervore della loro fede dettero esempi di
virtù e offrirono a Dio generosamente la loro vita è opportuno unire altri giovani, i quali durante il
grande conflitto 1915-1918 oltre alle virtù cristiane mostrarono un grande eroismo per la difesa e
l'amore della patria.
DECIO RAGGI (1902)- Romagnolo generoso e forte come tutti i giovani Romagnoli fu convittore
nel collegio di Strada in Casentino dove compì con esito felice gli studi ginnasiali. Per il liceo
classico passò al Collegio di Mondragone. Arcangelo della Bianca nelle memorie che pubblicò
(Collana S. Giorgio) scrive: «Mondragone gli parve fatto apposta per sognare... Però come già in
Casentino Decio ebbe poco agio di sognare.
La filosofia le scienze naturali il commento dei classici richiedevano un mucchio di tempo e
giunta la sera gli occhi si chiudevano per soverchio leggere». Tuttavia lo studio non riuscì a far
deflettere Decio dal cammino che si era tracciato. Il primo fondamento lo aveva messo nella sua
famiglia dove regnava il timor di Dio. Il sentimento religioso lo ebbe dalla serena certezza della
mamma che egli esalterà poco prima di morire. La giusta austerità del padre la sua scrupolosa
onestà negli affari pubblici e privati, il suo attaccamento alla famiglia si trasfusero in gran copia nel
figliolo e crearono il clima più propizio a far germogliare a suo tempo virtù ed eroismo. Ogni azione
in Decio fu logica conseguenza di quei principi che lo guidavano. Quei principi di onestà e di
religione che assorbì nella famiglia si svilupparono e completarono nel clima della Congregazione
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Mariana a cui appartenne e nel terzo ordine Francescano al quale dette il nome. La sua figura di
cattolico che assiste alla Messa e frequenta con fervore i sacramenti , la sua personalità di studente
di laureato e di ufficiale è illuminata dall'occhio di Dio e Dio sempre egli invocò dalle prime lettere
al testamento.
Terminati gli studi liceali Decio frequenta l'università di Bologna. Si laurea in diritto, va sotto le
armi per compiere il servizio militare. Viene la grande guerra e lui pieno di amor patrio è
nell'esercito col grado di Tenente. Decio con l'undicesimo fanteria è a Capriva. Qui può meditare
alcuni giorni prima di attaccare il nemico. Qui in un semplice foglio scrive il suo testamento che poi
sarà consegnato alla famiglia: «Mentre la venerata Maestà di Vittorio Emanuele III con animo
paterno pensa di unire la nostra gente in una sola famiglia entro i naturali confini da Capriva il 2
Luglio 1915, faccio noto ai miei cari queste mie ultime volontà... Nel nome santo di Dio e nella
speranza di una vita migliore per la grandezza per l'unità, per l'onore della Patria per la libertà e
l'indipendenza dei fratelli oppressi nel nome sacro d'Italia, nell'amore e per l'amore di tutto ciò che è
italiano io muoio beato.
Né le fatiche, né i pericoli, né la fame, né la sete, né le veglie, né i disagi hanno mai scosso la
mia fede nelle nostre giuste aspirazioni nazionali... Quindi voi che mi volete bene non
abbandonatevi ad inutili rimpianti, ma coltivate l'amore per me come l'animo mio si nutrirà ancora
di un tale amore per voi.
Chiedo perdono a tutti coloro cui feci del male come ne dono a chi poté farmene...
Il mio corpo se è possibile riposi nel mio paese presso gli altri miei cari.,,»,
Presagivo la sua fine. Difatti morì ferito al petto mentre guidava all'attacco i suoi soldati. Ferito
gravemente fu portato nell'ospedale da campo dove ricevè i sacramenti della chiesa con tanta fede e
intenso amore dando a tutti esempio luminoso. Il corpo di Decio secondo il suo desiderio fu portato
a Savignano.
La Regina Madre mandò una corona di fiori con la scritta a carattere d'oro: “Date fiori a chi morì
per la patria”. La Maestà del Re decretò al caduto la medaglia d'oro. I1 2-1 Ottobre a Forlì il
Generale Crispo consegnando nelle mani della mamma di Decio la medaglia d'oro lesse la
motivazione:
«Nobilissimo esempio di mirabile eroismo sotto il grandinare dei proiettili superate le fortissime
insidiose difese avversarie si lanciava primo nella trincea nemica e ritto su di essa sfidando la morte
pur di trascinare i suoi soldati all'audace conquista li incitava e li rincuorava invocando le tradizioni
della forte Romagna e colpito a morte nel sacrificare la giovane vita alla patria li spronava ancora a
compiere l'impresa valorosa e si chiamava beato della sua sorte ed inneggiava al glorioso avvenire
d'Italia» (Podgora, 19 Luglio 1915 ).
GIOVANNI GALEOTTI OTTIERI DELLA CIAIA Nato in quel di Chiusi il 19 Febbraio 1895,
compiuti i primi studi privatamente in famiglia fu messo in Collegio il 1° Novembre 1904. Fece la
prima comunione il 14 Maggio 1905 festa del Patrocinio di S. Giuseppe. Da allora finché fu
convittore seguitò immancabilmente a comunicarsi più volte la settimana e in seguito negli anni di
università e anche nel tempo della milizia e della vita di guerra non lasciava passare quindici giorni
senza accostarsi alla mensa eucaristica.
Durante il Ginnasio e il Liceo fu esemplare. L'8 Dicembre 1909 venne iscritto a pieni voti alla
Congregazione Mariana. Era Direttore della Congregazione il P. Pietro Galletti (Padre Spirituale a
Mondragone dal 1905-10; 1913-14; 1919) e parla di Giovanni come di Congregato modello. La
devozione alla Madonna da quel tempo lo accompagnerà sempre fino alla morte.
Nonostante difficoltà di salute poté dare l'esame di licenza liceale, oggi si direbbe di maturità
classica al Liceo Visconti di Roma. Fu promosso con ottimi voti. L'ultimo anno di Collegio dove
aveva passato 5 anni di Ginnasio e tre di Liceo, scrive alla mamma:
«Mamma carissima. Questa ultima lettera che ti scriverò da convittore ti porterà la conferma
della mia vittoria... Mi pare un sogno di non essere più in liceo. Tutto lo studio di questi anni e
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specialmente di questo anno, la lunga malattia tante speranze e timori tutto è finito e la grande
soddisfazione me li fa provare come non esistiti. Ieri sera qui tutti si rallegrarono tanto con me. Il
distacco dal Collegio mi è penosissimo. Ti chiedo la santa benedizione. - Tuo Giovanni».
Amava il Collegio i compagni i Professori i Padri ed era sinceramente riamato.
Formato in Collegio al senso del dovere e ad una pietà profonda non c'è da meravigliarsi se nella
vita universitaria mostrò di essere un cristiano perfetto e un apostolo con l'esempio e con la parola.
Dal 1° Dicembre 1913 al 1° Dicembre 1914 fece l'anno di volontariato nel Reggimento di cavalleria
Piemonte Reale. Si acclimatò facilmente. Solo si meravigliava dei costumi liberi ed eccessivamente
franchi di alcuni dei suoi compagni. Nel giorno di Pasqua non fu libero la mattina. Verso
mezzogiorno i suoi se lo videro comparire in casa per uscire quasi subito. Doveva ascoltare la
messa e fare la comunione. Era ancora digiuno. Allora vigeva il digiuno rigoroso prima della
comunione dalla mezzanotte.
Fece tre mesi di complemento per essere promosso ufficiale e dal Piemonte Reale passò
sottotenente nel reggimento dei Cavalleggeri di Alessandria. Venne il richiamo anche per la sua
classe ed ebbe l'ordine di raggiungere il suo reggimento prima a Lucca poi a Livorno. Qui si recava
spesso dai Padri Gesuiti in Via Fagiuoli dove il P. Ludovico Macinai dirigeva una bella
Congregazione Mariana di giovani studenti. Qui dava sfogo alla sua pietà. I tempi liberi
generalmente vi passava a studiare. Voleva avvantaggiarsi negli esami alla Università per
conseguire la laurea in giurisprudenza. La Signora Servieri presso la quale abitava attesta di aver
ricevuto da questo giovane ufficiale esempi di pietà e di laboriosità.
Eravamo in guerra. Venne l'ordine di partire. Volò a Roma a salutare i suoi. Il 28 Maggio vigilia
della partenza si recò per l'ultima volta alla Congregazione Mariana di Via Fagiuoli e lì fece le sue
devozioni. Il giorno dopo sul campo: prima a Treviso poi a Cividale e a Moimacco. Passò nel
reparto dei ciclisti finché il 13 Settembre 1915 lasciò sul campo la vita. Tre mesi e mezzo soltanto
durò la sua vita di guerra.
Sapeva disimpegnarsi sempre con accortezza e con felice risultato. I Superiori lo stimavano e lo
amavano assai, gli affidavano con piena fiducia le ricognizioni più difficili. I suoi sottoposti non
solo lo rispettavano e lo amavano ma erano entusiasti di lui. Lo dice Giovanni stesso nelle sue
lettere: «I miei uomini mi sono molto affezionati... Sto sempre a contatto con i miei uomini e vivo
quasi la loro vita... I soldati mi sono affezionatissimi e fanno a gara per venire con me quando nelle
ispezioni ne conduco pochi... Ho combattuto in pattuglia, ho vigilato in trincea rattristato soltanto
dall'uccisione o dalle ferite di qualche mio soldato. Essi mi amano e hanno fiducia in me. Io li
guardo più come compagni che come sottoposti...». Uno di questi suoi uomini rende questa
testimonianza: “ Gli ufficiali non sogliono dormire vicino a noi. Il sottotenente Ottieri invece era
sempre con noi in trincea, parlava con noi, ci incoraggiava nel pericolo e quando una volta in
trincea cadde una granata e ammazzò un compagno fu lui solo che rimase con noi per prenderne il
cadavere... Una sera si tornò dalla trincea e quattro di noi non poterono trovare da dormire nel
fienile. Lo dicemmo a lui ed egli ci rispose: `Ebbene prendete le vostre coperte e venite con me”. E
ci condusse nella camera sua e ci fece dormire vicino a sé. Non ci ha mai risposto male e ci ha
sempre aiutati...».
Erano state formate nel settore dove Giovanni combatteva alcune squadre sussidiarie di ciclisti le
quali con ardite esplorazioni aiutavano i maggiori contingenti di truppa. Ad una di queste fu messo
a capo il sottotenente Ottieri. Ad un amico disse chiaro: «Non mi fo illusioni. Comprendo di
trovarmi in grande pericolo ma voglio far sempre il mio dovere a costo di rimetterci la vita... Del
resto sto sempre in pari con Dio mi confesso spesso sento la messa ogni volta che posso e mi
comunico quasi tutte le domeniche».
Due imprese, la prima sotto Tolmino, la seconda nei pressi di Zaga gli andarono bene. La terza
fu l'impresa fatale: si trattava di oltrepassare le linee nemiche attraverso un impervio terreno,
raggiungere la vetta ritenuta inaccessibile dello scosceso monte Javorcek tagliare i fili telegrafici di
un osservatorio austriaco catturare il presidio che poi fu trovato cento volte superiore di numero e se
possibile distruggere l'osservatorio stesso.
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Il sottotenente Ottieri comprese perfettamente le difficoltà a cui andava incontro tuttavia con un
piccolo gruppo dei suoi uomini andò. Il drappello dei 22 ciclisti superate le zone battute dal nemico
e deposte le biciclette dette la scalata allo Javorcek. Giunti a 500 metri dalla vetta si accorsero che
l'osservatorio era protetto da due fortini. Rincalzati da alcuni bersaglieri ebbero l'ardire di
raggiungere la vetta di attaccare il nemico e di intimargli la resa. E il nemico si sarebbe arreso se
fossero venuti a tempo i rinforzi richiesti. Invece giunsero prima i rinforzi austriaci e la lotta si
impegnò accanita fra quel pugno di volontari e i nemici. Giovanni fu ferito ad un piede. Nonostante
volle continuare a combattere, dal dolore svenne. Mentre i soldati lo portavano via reggendolo sul
pendio ripido e sassoso del monte una palla lo colpì alla testa. Così morì valorosamente Giovanni
Ottieri.
D. Angelo Cagneschi Cappellano dei Cavalleggeri di Alessandria scrive: “ Nei tre mesi che l'ho
avuto compagno in guerra veniva da me assai di frequente per confessarsi e comunicarsi e posso
assicurare ad onor suo che riguardo alle cose religiose non aveva il minimo rispetto umano ma si
diportava con piena libertà in presenza di chiunque ci fosse. Il Signore lo ha voluto a sé. È morto da
eroe e dico anche è morto da santo”.
Il Tenente Pietro Martellini: «Da eroe e da santo percorse il difficile cammino. Da eroe e da
santo combatté fortemente».
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TERZA PARTE
Alcuni esemplari di “Uomini per gli altri”
ROBERTO DARMON (entrato in collegio nel 1935) e SPECCHIO GIUSEPPE (entrato nel
1936) morti nel 1952, il primo alla vigilia di Laurea (medicina) il secondo giovane padre di
famiglia, nella clinica, dove sono ricoverati, danno esempi luminosi di virtù, mostrano attaccamento
e gratitudine ai Padri del Collegio e li ringraziano pubblicamente per aver loro istillato quella
grande fede che li rende forti nel dolore e sereni dinanzi alla morte. Il primo prega il papà a voler
fare quello a cui lui aspirava. Il secondo ha parole così cristiane e atteggiamenti tali da meravigliare
Suore e Medici i quali domandano al P Rettore del Collegio «Cosa insegnate ai giovani per renderli
così forti e sereni in faccia alla morte?»
ROBERTO DARMON - Questo giovane laureando medico che cosa voleva fare? Che cosa farà il
padre per attuare il desiderio del figlio? Lo scrive il Sig. Mario Darmon papà di Roberto in una
lettera a un Padre amico il 25 Giugno 1954 ...
“ ... Roberto riposa finalmente nella sua cappelletta al Verano riquadro 26 n. 2. Se tu vuoi recarti
a fargli una visita puoi andarvi quando vuoi chiedendo la chiave al giardiniere del riquadro.
Devi sapere, se già non l'hai letto sui giornali, che il giorno 10 di questo mese, terzo anniversario
della sua morte è stata posta a Napoli con la benedizione di S.E. il Cardinale Mimmi la prima pietra
di un Preventorio Antitubercolare, che ricovererà cinquecento neonati, che di solito nascono sani
figli di tubercolotici e li terrà cinque anni per renderli immuni da questo terribile male.
Io spero che i lavori si inizieranno in Luglio e che fra un paio d'anni entreranno le prime
creature.
Non ho tatto che essere l'esecutore di un testamento spirituale del mio adorato scomparso, che in
vita aveva vagheggiata questa idea: costruire una casa di salute per 100 letti, dove Lui medico
avrebbe potuto curare la povera gente.
In questo modo tutto quanto a Lui sarebbe spettato per eredità andrà a finire in quest'opera che lo
ricorderà in eterno.
Ormai tutto il mio lavoro e tutto quanto possiedo andranno anche loro a beneficio di questo
preventorio ...».
I giornali ai quali accenna il Sig. Mario Darmon sono "Il Tempo" di Milano, Giovedì 10 Giugno
1954 e "Il Popolo" di Napoli, Venerdì 11 Giugno dello stesso anno. Forse anche altra stampa avrà
ricordato l'avvenimento piuttosto singolare.
Per avere un'idea di questo preventorio ecco cosa scrive il Tempo di Milano:
«Il grandioso complesso si estenderà su un perimetro di 106 mila metri quadrati le cui
costruzioni comprenderanno oltre cinquemila metri cubi... Esso sarà costituito da un complesso di
edifici con tutte le attrezzature cliniche sanitarie e ricettive. Una Chiesa, una piscina, un parco e un
solarium che sarà nel suo genere il più completo d'Europa...».
SERGIO MOCHI ONORY (entrato in collegio nel 1918)- Il 1° Luglio 1953 moriva
improvvisamente a Milano il Prof. Sergio Mochi Onory lasciando un dolore immenso, tra colleghi,
amici e allievi. Così esordisce in un articolo il prof. Mario Viora della Università Cattolica di
Milano
Sergio Mochi Onory era professore di storia medioevale, e Preside nella Facoltà di Lettere e
Filosofia nella Università Cattolica del S. Cuore.
Aveva poco più di cinquanta anni, essendo nato a Cagli (Prov. Pesaro Urbino) il 20 Agosto
1902.
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Molto egli ebbe da natura, moltissimo dalla educazioni familiare e dalla scuola. Dalla illustre
famiglia marchigiana imparentata con molta parte della aristocrazia dell'Italia Centrale e Romana,
egli ebbe con la nobiltà di sangue una ricchissima eredità spirituale che lo distinse per gentilezza di
costumi, signorilità di tratto, finezza di conversare.
«Nel Collegio di Mondragone tenuto dai Padri Gesuiti attinse elemento saldo e sicuro a formare
la sua coscienza morale e religiosa, e temprare il suo carattere ed affinare la sua personalità aperta
già a quel mondo di idealità, di responsabilità e di tede che fu sempre la parte migliore di lui stesso»
come scrive Mario Viora o secondo benedetto Riposati. «Terminati gli studi ginnasiali in patria
passò poi al Collegio dei Gesuiti in Mondragone per gli studi liceali ed ivi la sua personalità morale
e religiosa si affinò e si plasmò definitivamente».
All'Università di Roma, dove alla scuola dell'insigne Maestro Brandileone si laureò in
giurisprudenza portò la sua esperienza giovanile e la sua passione allo studio e alla ricerca
scientifica che lo prepararono alla cattedra universitaria. Libero docente ottenne, appena trentenne,
l'incarico di Storia del Diritto e di Diritto Ecclesiastico nella Università di Siena. Vincitore di
concorso nel 1932 esercitò il suo straordinariato alla Università di Sassari da cui ritornò nel 1935
come ordinario di Storia del Diritto Italiano alla sua diletta Siena, che lasciò per trasferirsi con la
famiglia a Milano, chiamato nel 1941 alla cattedra di Storia Medievale nella Università Cattolica
del Sacro Cuore.
Nella grande famiglia di studenti si segnalò e padre e maestro. Tra i colleghi della facoltà strinse
legami di affettuosa collaborazione e fraterna amicizia. Fervore di attività scientifica, severità di
metodologia scolastica, organizzazione di seminario le doti che lo qualificarono. La facoltà lo
designò Preside alla unanimità per due volte. Sembrava nato a portare la sua dignità personale nel
nobile consesso del senato accademico.
Altissimo concetto egli aveva della dignità accademica. Più alto concetto egli aveva della vita.
Fu un cattolico militante, un cristiano integrale nello spirito, nel pensiero, nell'azione. Aprì la sua
casa alle adunanze di vita culturale religiosa. Si assise con i dotti e tra gli umili ad ascoltare ad
ammaestrare a Milano e tra gli umili ad ascoltare, ad ammaestrare a Milano come tra i contadini dei
suoi possedimenti per insegnar loro gli elementi della dottrina cristiana. Fu ad essi esempio di
specchiata probità.
A servizio delle sue persuasioni religiose egli pose la sua attività scientifica nel campo della
storiografia medioevale.
Accanto a Dio la famiglia. Nell'assillo del lavoro, nelle angustie della vita egli trovò nella nobile
compagna l'intelligenza, la bontà, lo sprone e il conforto; nei figli il sorriso, la carezza dell'affetto.
Li voleva tutti e quattro vicini a sé per formarli, alla vita, alla scienza con la sua voce da
padre e da maestro. Vide le figlie, le più grandi, varcare la soglia dell'Università Cattolica.
Anche del figlioletto più piccolo sognava fare un uomo come lui, più di lui degno erede
della sua nobiltà di sangue, di mente e di cuore.
MISCIATTELLI PIERO letterato e storico - Nacque a Firenze il 14 Febbraio 1882. Entrò nel
Collegio di Mondragone a dieci anni. Visse in Umbria a Siena e a Roma. Qui morì il 13 Febbraio
1937.
Si occupò di Storia dell'Arte e di Letteratura Medioevale in particolare di quella mistica con
edizioni di testi mistici rari corredati di preziose note introduttive e studi sintetici:
1) Chiara d'Assisi (Roma 1905)
2) Spiritualismo Umbro (ivi 1905)
3) Idealità francescane (Siena 1907)
4) Giovanni Colombini e il misticismo dei Gesuiti (Roma 1911)
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5) Caterina Vannini (Milano 1913)
6) Monte dell'Orazione (Preghiere antiche) (Siena 1925)
7) Savonarola (ivi 1925)
8) Mistici Senesi (Firenze 1932)
9) Cooperò agli studi cateriniani in Italia.
Dal 1913 curò l'edizione delle lettere di S. Caterina da Siena sul testo del Tommaseo con note
filologiche: seguirono
“ Lo spirito, il cuore, la parola di S. Caterina da Siena (Siena 1922) - S. Caterina da Siena e il
primo focolare del misticismo senese (Siena 1928) - Come parlava S. Caterina da Siena (Roma
1934) “.
A Roma si adoprò per far riaprire l'Oratorio di S. Filippo Neri del Borromini a concerti di musica
sacra, a conferenze storico-religiose. Fu uno dei più ardenti promotori della casa di Dante. Di
Misciattelli rimangono conferenze, discorsi, articoli vari su riviste (fondò la rivista "Vita d'arte").
Lasciò numerosi saggi di cultura varia tra i quali giova ricordare:
1) Personaggi del 400 Italiano (Roma 1914)
2) Pagine Dantesche (Siena 1921)
3) Dante parla d'amore (Roma 1928)
4) La libreria Piccolomini del Duomo di Siena (ivi 1933)
5) Storia e pensieri di Anacoreti (Siena 1923)
6) Fascisti e Cattolici (Milano 1924)
7) Studi Senesi (Siena 1931)
8) Lettere di Letizia Bonaparte (Milano 1936).
MARIO DI CARPEGNA - Nacque a Roma il 19 Agosto 1856. Nel 1866 entrò nel Collegio di
Mondragone aperto appena nel 1865. Nel 1867 fu Congregato mariano.
Dopo il corso degli studi medi superiori compiuto nello stesso Collegio iniziò gli studi di Diritto
alla Sapienza di Roma e qui si laureò. Conseguita la laurea con ardore giovanile si dedicò alla vita
pubblica secondo le direttive della S. Sede.
Dopo la grande guerra tutte le sue preoccupazioni furono mettersi al servizio della S. Sede e
lavorare nel campo dell'Azione Cattolica. Per lo straordinario prestigio della sua attività fu eletto
Presidente dell'Unione Internazionale delle Opere Cattoliche con sede a Parigi.
Il ramo che in questo campo lo attrasse fu quello dello Scoutismo. L'inglese Baden-Pawer che
era stato ufficiale nell'Esercito della Gran Bretagna nella guerra contro i Boeri in Africa colse
dall'attività dei piccoli Boeri in favore del loro esercito il carisma di quello che fu poi lo Scoutismo.
Con le piccole prestazioni, con i piccoli sacrifici proporzionati all'età, educare i ragazzi, i giovanetti
a fare opere di servizio a bene degli altri.
Così nacque lo Scoutismo con norme ben determinate, con una promessa dove primeggiava il
nome di Dio. Anche il governo italiano prese in sostanza questo modo di educare, ma essendo di
spirito liberai-massonico dalla promessa espulse il nome di Dio.
Mario di Carpegna si accorse di questa grave carenza e pensò non solo a prendere questo modo
di educare i giovanetti ma lo arricchì dello spirito cristiano nella educazione della mente, nel fervore
dello spirito mediante una vita modellata sul Vangelo, nella pratica dei sacramenti che danno e
accrescono la grazia. Ebbe frequenti contatti col fondatore Bade-Pawer e soprattutto informava del
suo lavoro il Papa Benedetto XV mentre procurava di estendere dovunque la sua attività in Italia e
all'estero, in Europa e negli altri continenti. Sorsero così i Capi-Scouts e con l'approvazione del
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Papa ebbe origine l'Ufficio Internazionale Scoutistico Cattolico e Mario di Carpegna ne fu eletto
Presidente. Si deve dire pertanto che Lui fu il fondatore dello Scoutismo Cattolico nel mondo.
E nel 1925 durante il giubileo indetto dal Papa Pio XI gli Scouts cattolici di tutto il mondo fecero
il loro pellegrinaggio. Piazza S. Pietro rigurgitava della massa di questi giovani esuberanti di vita in
un fervore ardente di pietà.
CORRADO ALVARO. Fu alunno esterno (dal 1905) del Collegio di Mondragone - Nacque a S.
Luca (Reggio Calabria) il 15. Aprile 1895. Svolse intensa attività giornalistica presso “Il Resto del
Carlino” il «Corriere della Sera» «Mondo» e «Risorgimento».
Collaborò a varie riviste italiane ed estere. Vinse nel 1931 il premio della «Stampa». Tra le sue
opere vanno ricordate:
«Poesie grigio-verdi» (1917)
«L'amata alla finestra» (1929)
«Gente di Aspromonte» (1930)
«Vent'anni» (1930)
«Itinerario Italiano» (1934)
« I Maestri del díluvio» (Viaggio nell'URSS 1935)
«L'Uomo è forte» (1938)
«Caffè dei Naviganti» (1939)
Alvaro era uno scrittore dotato di ricca vena umana ma di stile contenuto e controllatissimo. A
modo suo Alvaro fu un saggista a sfondi moralistici con sue chiare indicazioni etiche legate alla
tradizione regionalistica pur essendo scrittore che non si fermava ad ambientazioni localistiche ma
tendeva ad una letteratura e cultura di più ampio respiro. Dal 1932 al 1935 fu corrispondente per
«La Stampa» in Turchia, Grecia, Svizzera, Francia e Russia. Alla caduta della Dittatura prese la
direzione de « II Popolo di Roma». Venuti i tedeschi si rifugiò in Abruzzo per sfuggire alla cattura.
Dopo si dette esclusivamente alla sua attività letteraria. Altre sue opere:
«Incontri d'amore», «l'età breve», «Quasi una vita» (premio Strega 1952), «Il nostro tempo e la
speranza». Doveva essere pubblicato « Belmoro» ed erano annunciate le opere «Mastrangelina»,
«Roma vestita di nuovo», « La moglie e quaranta racconti».
(Dall'Avvenire d'Italia, 12 Giugno 1956 - In questo giorno il giornale annuncia la morte dello
scrittore avvenuta il giorno prima a Roma).
UGO DI CARPEGNA - Nasce il 10-12-1880 a Roma. A 7 anni (1888) entra nel Collegio di
Mondragone presso Frascati. A 18 anni ottenuta la maturità classica rientra in famiglia. Anticipa il
servizio militare facendo l'anno di volontariato come allievo ufficiale e va in congedo col titolo di
Sottotenente. Libero dal servizio militare Ugo cerca un impiego e viene assunto dalla Banca di
Sconto. Viene apprezzato dal Direttore generale che, per agevolargli la carriera, dopo averlo
sperimentato alcuni anni lo trasferisce alla sede di Milano. Tenendo conto dei doveri di ufficio ha
tempo di dedicarsi sia alla sua vita spirituale sia alle opere di carità. Si forma una famiglia. Sposa la
figlia del Marchese Brivio e va ad abitare in via XX Settembre 14.
Nascono dei bambini: al quarto parto la moglie Maria muore. Ugo sposa in seconde nozze la
sorella di Maria, Teresa. Si dové occupare dei beni dei figli e della moglie, di beni non suoi.
Deve partire per la guerra del 15-18. Tornato a casa si dà con entusiasmo alle opere di carità
nelle quali e per le quali si distingue in modo eccezionale.
«Difficilmente si sarebbe potuto trovare chi sapesse tenere il suo passo in una attività come
quella che egli aveva intrapresa e che portava avanti con tanta costanza e tanto impegno senza
badare a fatiche e sacrifici in un crescendo continuo di carità e generosità senza dire mai basta».
«Certo il Signore mi ha concesso di fare molte cose, scriverà Ugo, in condizioni di esistenza le
più varie. Sono stato in collegio per 11 anni, poi in caserma, in banca, poi in guerra e al deposito del
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reggimento per tre o quattro anni, poi ancora in banca, poi in amministrazione patrimoniale con
centinaia e quasi un migliaio di dipendenti: sempre e dappertutto ho lavorato...». Egli soleva
chiamare questa sua attività con l'epiteto di garibaldina in quanto egli era piuttosto per l'azione
pronta, immediata, rapida e decisa.
Qualcosa dell'apostolato di Ugo di Carpegna:
« in attesa di capitali, di fabbricati, insomma di un'opera organica e forse grandiosa non era da
escludere il lavoro modesto. facile, sbrigativo che poteva farsi anche da persone isolate profittando
e appoggiandosi alle varie provvidenze attuali».
Appoggiandosi all'idea di un tale programma minimo lo scrivente (Ugo) affermava di aver potuto
avvicinare da solo senza alcuna pubblicità delle centinaia e centinaia di poveri di tutte le età, di tutte
le provenienze e regioni, di tutte le condizioni e che per conto proprio riteneva che questo lavoro
capillare è realmente molto facile, non abbisogna di organizzazioni complesse: che di mezzi certo
ne sono occorsi ma per l'esperienza non si tratta di capitali cospicui.
Il lavoro che Ugo svolgeva in mezzo ai suoi preferiti era veramente un lavoro singolare,
straordinario e meraviglioso, difficile a spiegarsi e ancor più difficile a compiersi senza una
vocazione speciale e una grazia particolare.
«Nella mia modesta attività mi sono dedicato in questi ultimi anni alla categoria dei senza tetto e
senza tutto. Sono i poveri miei preferiti, per i quali ho una vocazione speciale e forse anche un
senso particolare che mi suggerisce modi e parole con cui mi sono cattivato una certa popolarità...
Per questo appena si è saputo che sarei stato uno degli incaricati di Via Cellini c'è stato chi si è
spaventato di veder concentrata colà la mia clientela...».
Di questo Ugo provava dispiacere. D'altra parte i suoi preferiti avevano da soffrire ben altre
molestie, e fame e freddo e nudità e privazioni materiali e morali di ogni genere dalle quali egli
faceva il possibile di sollevarli... «Di senza fissa dimora ne conosco a centinaia e mi se n'avvicinano
centinaia in varie località dove la Provvidenza me li fa incontrare... C'è qualcuno che è inorridito
i: pensiero che dei poveri più poveri di tutti quali sono i S.F.D. siano attirati in un dato posto da
persone caritatevoli per fare loro del bene... Dare e fare nel materiale quel poco che possiamo dare e
fare nello spirituale e nel religioso quel di più che ci è consentito e pregare e confidare nel Signore
che pensa a tutti e tien conto di tutto».
Tutti i poveri erano per lui oggetto della sua carità: dava duello che poteva dare e se i poveri
gradivano questo poco, gradivano anche che qualcuno ascoltasse le loro lagnanze e i loro sfoghi.
Amavano parlare.
Ugo a tutti i suoi poveri dava l'opportunità di aprirsi per ricevere conforto e consigli.
Con tutti i poveri Ugo si comportava con la più vera carità cristiana ma le sue finezze erano per i
più poveri fra i poveri, cioè per quelli che erano senza tetto e senza tutto. Così fino alla fine della
sua vita.
FULCO RUFFO DI CALABRIA (entrò nel 1898)- Il tenente Fulco Ruffo discendente di quella
famiglia principesca le cui origini risalgono ai principi sovrani di Calabria e che ebbe fra i suoi avi
Serio Ruffo grande maresciallo del regno di Napoli nella grande guerra 1915-1918 dette prova di
grande valore, di prestigiosa abilità aviatoria. Emulo del Baracca abbatté buon numero di velivoli
nemici.
Fulco Ruffo nato nel 1884 dopo aver compiuto gli studi nel Collegio di Mondragone quindi a
Napoli fu per vari anni al Benadir dirigendovi importanti aziende agrarie. Al principio della guerra
si arruolò volontario come allievo pilota e in breve eccelse nell'arte del volo.
Di carattere mitissimo, modesto e gentile nascondeva nervi d'acciaio sotto apparenza di squisita
delicatezza. Ora una notizia che completa la figura di Fulco nell'ambito della sua famiglia.
Suo fratello sposò una Signorina Belga e Belga era anche la loro madre perché la moglie del Duca
di Guardia Lombarda nasceva Mosselman du Chenoy e dal Belgio venne in Italia allo scoppio della
guerra. Ci siamo attardati su questi particolari perché sembra che la provvidenza abbia voluto unire
la famiglia Ruffo di Calabria alla nobile nazione Belga giacché l'attuale Regina dei Belgi Paola è
proprio di questa famiglia.
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Ritorniamo al nostro eroe. Abbiamo detto che eccelse nell'arte del volo, e come pilota fu un
esperto cacciatore di «Corvi». Emulo di altri e soprattutto del Capitano Baracca, l’asso
dell'aviazione nel tempo di guerra, ci fu un giorno nel quale Ruffo con due meravigliose imprese
superò lo stesso Baracca che aveva a suo onore 12 vittorie. Ruffo arrivò alla 13a. Aveva affrontato
da solo una squadriglia di cinque apparecchi Austriaci, era riuscito ad atterrarne uno che cadde in
fiamme, ne raggiunse un secondo e lo fece precipitosamente discendere, gli altri aviatori austriaci
dopo aver tentato di atterrarlo mentre era impegnato nella lotta fuggirono a precipizio. Con le due
vittorie (Luglio 1917) unite alle precedenti Ruffo in questa particolare circostan-za passò al primo
posto fra i cacciatori di «corvi» superando di un punto l'asso del momento, il Capitano Baracca, che
al suo attivo aveva 12 vittorie.
Oltre le congratulazioni dei colleghi Ruffo ebbe la soddisfazione di essere elogiato nel
Comunicato Cadorna.
«Al valoroso ufficiale che ha compiuto un atto forse unico nella storia breve ma pur ricca di
episodi eroici dell'aviazione bellica vada il plauso degli Italiani tutti che nell'arma dei cieli hanno
viva fede: che consentono negli sforzi compiuti per renderla sempre più formidabile e riconoscono
in essa il mezzo che potrà esser decisivo della nostra guerra se ad essa verrà concessa quella
autonomia di preparazione e di impiego che appare necessaria per il suo ulteriore grandioso
sviluppo».
(Il Piccolo - Giornale d'Italia, 22-23 Luglio 1917).
In seguito a coronamento degli atti di Valore compiuti anche Rutto di Calabria fu decorato con
medaglia d'argento e con la croce di guerra Francese con palme.
MATARAZZO ERMELINO - MATARAZZO FERDINANDO - Entrarono in Collegio nel
1932. La loro famiglia che ha operato in Brasile e in Italia ha a suo onore opere di carità, opere
sociali e culturali:
In Brasile
1) Ospedale Umberto I
2) Casa di salute Francesco Matarazzo
3) Cappella dell'Ospedale Matarazzo
4) Maternità Contessa Filomena Matarazzo
5) Scuola per infermiere Maria Pia Matarazzo. Dal 1986 il complesso ospedaliero cui sopra è
gestito dal governo di S. Paolo tramite la fondazione Ospedale Umberto I.
In Italia
1) Asilo di Bruzzolo (prov. di Torino) eretto alla memoria del Conte Ermelino Matarazzo ivi
. deceduto per incidente automobilistico
2) Istituto Conti Francesco e Filomena Matarazzo in Castellabate destinato ad accogliere gli
orfani della Provincia (Salerno)
3) Patrocinio di corsi per formazioni di operai specializzati presso il Senai SENAI (Servizio
Nazionale dell'Industria)
4) Borse di studio «Conte Francesco Matarazzo» destinate ai funzionari e figli di Funzionari
dell'impresa del gruppo Matarazzo.
Queste notizie provengono dalla famiglia omonima.
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QUARTA PARTE
« Dominus pars hereditatis meae... »
(Salmo XV v. 5)
(Sei Tu Signore l'unico mio bene)
È’ vero. Il Collegio di Mondragone come tutti i collegi della Compagnia di Gesù era una
istituzione per formare buoni cristiani, onesti cittadini, persone qualificate e di una certa cultura,
adatte a ricoprire un giorno posti di responsabilità.
Tuttavia, data l'educazione religiosa, la pietà, gli esempi degli educatori ecc. alcuni da
questo collegio dopo un certo periodo sono passati o alla vita sacerdotale o a quella consacrata in un
ordine o congregazione religiosa.
È giusto e doveroso ricordare questi alunni.
Sono un bel numero.
Fra i primi:
GENNARO PIGNATELLI DI BELMONTE - È un napoletano. Lo dice il nome. Fu ordinato
sacerdote dal Cardinale Sanfelice di Napoli il 7 giugno 1879. II 26 novembre 1899 fu consacrato
Vescovo perché come Arcivescovo titolare di Evessa doveva andare nunzio Apostolico in Belgio.
Di qui nel gennaio 1904 fu trasferito Nunzio Apostolico a Vienna. II 27 novembre 1911 il S. Padre
Pio X lo nominò Cardinale. Nel 1930 il Cardinale Pignatelli Vescovo di Albano divenne Decano
del Sacro Collegio e Vescovo di Ostia.
Dopo una vita piena di virtù e soprattutto di opere buone moriva a Roma il 10 febbraio 1948 all'età
di novantasette anni.
I religiosi Servi di Maria (il Cardinale era iscritto al loro Terz’ordine) hanno introdotto la causa di
beatificazione del Cardinale Gennaro Graito Pignatelli di Belmonte.
Mi sono indugiato a parlare di questo illustre Ex alunno perché fu sempre affezionato al nostro
Collegio, presenziava volentieri alle giornate degli Ex, raccontava con semplicità gli aneddoti della
vita del Collegio nei primi anni della sua esistenza.
Era uno della nostra famiglia.
Mons. FRANCESCO SANTOVETTI di Grottaferrata. I Santovetti famiglia profondamente
cristiana onorata da laici esemplari per virtù e opere di carità.
Mons. LUIGI MISCIATELLI Vice-Prefetto dei SS. Palazzi Apostolici. Venne in Collegio nel
1876. Finiti gli studi classici entrò nel Collegio Capranica. Di qui alla Accademia dei nobili
Ecclesiastici, dove fu ordinato sacerdote nel 1884. Trascorse quasi tutta la vita in Vaticano al
servizio di tre Papi, Leone XIII, Pio X e Benedetto XV. Pio X gli affidò la sovrintendenza e la
tutela dei tesori artistici contenuti nei Sacri Palazzi Apostolici. Mons. Misciatelli presentò al papa
un programma di rinnovamento artistico e seppe eseguirlo con tale intelligenza da renderlo oggetto
di approvazione incondizionata e di ammirazione. Oltre alla costruzione di nuovi palazzi per le
necessità della famiglia pontificia e la sistemazione della pinacoteca in edifici adatti, i nuovi locali
per la Tipografia Vaticana presso il cortile del Belvedere. Finalmente un'opera di squisita carità da
lui compiuta fu l'erezione dell'ospedale per i feriti nel terremoto calabro-siculo.
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Un'altra opera di squisita carità voluta da Mons. Luigi Misciatelli fu la fondazione di una
fiorente colonia agricola per giovanetti figli di agricoltori in una tenuta a Monte Mario. Ne affidò la
direzione a Don Orione e ai suoi Religiosi ...
(Dall'Osservatore Romano, 26 ottobre 1918).
Mons. GIULIO MALVEZZI di Viterbo - Entrò in Collegio nell'anno 1879.
Mons. LUDOVICO GRABINSCKI di Bologna - Fu canonico di S. Maria Maggiore e Segretario
della S.C. Cerimoniale. Mori 1'8 gennaio 1909 (Acta Ap. Sedis 1909). Era entrato in Collegio nel
1866.
Mons. GAETANO GIUSTINO di Belsito - Fu nominato monsignore il 24 febbraio 1922. Era
entrato in Collegio nel 1888. Siculo.
Mons. REGINALDO PIO DI REDMOND di Firenze Canonico di S. Pietro in Roma
(Dall'annuario delle Diocesi d'Italia del 1924).
GIOVANNI LYONS Irlandese - Entrò in Collegio nel 1875. Fu poi nel Collegio Capranica in
Roma. A motivo della salute fu costretto a ritornare in patria ma durante il viaggio morì a Firenze il
12 maggio 1878. Nei registri del Collegio Capranica al suo nome si legge «Ob valetudinem
infirmam in patriam redire coactus, medio itinere violenta vi morbi correptus Florentiae decessit dia
12 Maji 1878. Fuit adolescens carus omnibus, angelicis moribus ornatus, animi docilitate et eximia
pietate in Deum apprime clarus» Questo elogio è sufficiente per rendere encomiabile il nome di
questo exalunno.
Mons. MONALDUZIO LEOPARDI Vescovo di Osimo e Cingoli - Era nato il 21 agosto 1884 nel
palazzo stesso che fu casa del poeta del quale egli insieme col fratello Senatore Ettore custodiva le
memorie e la celebre biblioteca. Entrò nel Collegio di Mondragone nel 1893 dove erano stati i
fratelli Ettore e Monaldo. Fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1907. Nel santino ricordo distribuito il
giorno della prima messa si legge «Recanati 26 maggio 1907 - Ricordo della prima messa celebrata
da Monalduzio Leopardi il giorno sacro alla SS. Trinità nella Chiesa di S. Vito dove per la prima
volta nella Pasqua del 1894 celebrò anche il compianto fratello Monaldo»
Fu sacerdote zelante. Benedetto XV lo volle in Vaticano come cameriere segreto partecipante.
Chiese di ritornare in patria per darsi alle opere di ministero. Venne a Recanati insignito del
carattere episcopale. Fu Vicario Generale del Vescovo di Recanati-Loreto, quindi Amministratore
Apostolico delle diocesi di Osimo e Cingoli e poco dopo ne fu Vescovo ordinario.
Morì durante l'ultima grande guerra compianto da tutti specialmente per la grande bontà e le
opere di beneficenza. «Le disposizioni testamentarie sono un classico esempio della rivelazione di
un'anima santa e di un cuore particolarmente generoso contenendo oltre preziosissime affermazioni
di bontà una interminabile serie di elargizioni munifiche e degne di quel grande signore e
benefattore che per tanti anni si era mostrato a vantaggio dei poveri e di ogni opera di beneficenza e
di religione».
(Dal Bollettino ufficiale Ecclesiastico delle Diocesi di Osimo e Cingoli, gennaio-dicembre
1949).
Conserviamo di lui una foto che lo ritrae giovinetto. Nel retro del ritratto è scritto «Al caro Padre
Lorenzo Rocci - Monalduzio Leopardi - Recanati 10/4/99».
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MONALDO LEOPARDI, fratello di Monalduzio - Entrò in Collegio nel 1879. Entrò nella
Compagnia di Gesù 1'8 dicembre 1888. Nelle memorie che possediamo si fanno elogi di Monaldo
come convittore, si fanno elogi di lui come novizio della Compagnia. Per gravi motivi di salute i
medici consigliarono i superiori di rimandarlo in famiglia. Ristabilitosi alquanto tentò varie volte di
ritornare nell'Ordine ma sempre per ricadute dello stesso male (l'etisia che a quei tempi non
perdonava) dovette decisamente ritornare a Recanati. Ricevuti gli ordini maggiori e il Sacerdozio
celebrò solennemente la prima messa in patria la Pasqua del 1894. I poveri, i fanciulli più
abbandonati, gli infermi, formarono la sua delizia. La sua vita una continua missione. Predicare in
città e nelle campagne, aspettare pazientemente i penitenti al confessionale. Eresse le Congregazioni
Marane quella dei Nobili, degli Artisti e dei Contadini. Ma questo tenore di vita lo ridusse agli
estremi. Non si riebbe più. Mori santamente assistito dal Padre Luigi Nannerini nelle cui mani
emise i voti della Compagnia. Il P Nannerini mandò una relazione dettagliata di questo eccezionale
avvenimento al P. Ministro del Collegio di Mondragone il P Francesco Luzi.
Il P. BIAGIO PARLATO redentorista. Il P. Leone Quittelier Vicario generale dei Redentoristi il
20 Luglio 1953 dava queste informazioni riguardo al medesimo: «Il R. P Biagio Parlato fu alunno
del vostro Collegio Mondragone. Lo conosco bene. Nel catalogo C. SS. R. si dice: Parlato Blasio
nato a Gragnano diocesi di Castellammare di Stabia il 24 Febbraio 1884 fece la sua professione il
13/12/1900, fu ordinato sacerdote 1'8/9/1906,
Superiore Provinciale per 15 anni, Rettore 12 anni, Prefetto degli Studenti 2 anni, Maestro dei
Novizi 4 anni, Vocale al Capitolo Generale, Cappellano Militare 3 anni, Esaminatore Sinodale 6
anni. Questa settimana sta predicando gli esercizi spirituali a Cortona ai Padri della Provincia
Romana. È Rettore adesso a Napoli (a questo indirizzo) Piazzetta di S. Alfonso e S.Antonio a Tarsia
Napoli 2...».
A questa lettera tanto gentile e completa del P. Quittelier Vicario Generale dei Redentoristi fece
seguito un biglietto dello stesso P. Paralto in data 10 Agosto 1953: « M. Rev. P. Rettore
Mondragone: ricordo vivo, caro, indelebile della mia vita. Alba di giovinezza, avviata a serietà di
studio: primizia di spirito sollevata verso Dio sotto lo sguardo materno proteggente di Mater
Pietatis. Di avviati al sacerdozio ricordo solo Monalduzio Leopardi elevato alla sede episcopale di
Osimo. Solo qualche anno e qualche classe ci differenziava.
Lietissimo dell'incontro spirituale deferenti ossequi in unione di preghiere ecc. ... ».
Il P. Biagio Parlato era entrato in Collegio nell'anno 1896.
P. DIEGO D'AYALA VALVA delle Missioni Estere di Milano Per mezzo del P Luigi Fontana
S.J. chiesi informazioni e sempre per mezzo dello stesso Padre mi furono date. È un amico del P.
Fontana che gli scrive, un amico delle Missioni estere di Milano.
“ Roma 25 Nov. 1954 - Rev.mo Padre, Chi non muore s. rivede, vero? Tra l'ultima mia lettera e
questa vi è stato un periodo di tempo pieno di tante cose per me e specialmente di trasferimenti vari
per ministero in alta Italia fino alla mia definitiva sistemazione qui a Roma per un triennio così che
la questione del P. D'Ayala è passata completamente di testa.
Circa un mese fa però è capitato in questa casa generalizia il P D'Ayala in persona in procinto di
tornare ad Hong Kong e così mi son ricordato finalmente di Lei e della sua richiesta. Domandai
pertanto al sopradetto Padre una foto, ma egli sul momento non ne aveva; mi promise però che me
l'avrebbe fatta avere. Ora questa foto come vede mi è giunta e io gliela mando senz’altro sperando
che sia ancora in tempo.
Probabilmente se il P D'Ayala ne avesse saputa la destinazione non me l'avrebbe certo data.
Le invio pertanto i dati sulla sua vita che ho potuto avere: quanto ad altre informazioni su di Lui
se ancora Le occorrono melo faccia sapere ed io provvederò a procurargliele con sollecitudine.
“I1 P Diego D'Ayala Valva nato a Napoli il 17 febbraio 1910 fu battezzato il 18 dello stesso
mese in S. Maria Apparente. Entrò nel Collegio di Mondragone nel 1908. Qui il 2 maggio 1909
fece la prima comunione e 1'8 dello stesso mese ricevé il sacramento della Cresima. Fece il ginnasio
e il liceo nel Collegio di Mondragone. Entrò nell'Istituto delle Missioni Estere di Milano il 17
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Ottobre 1921. Il 30 Ottobre dello stesso anno ricevette la veste. Prese la tonsura a Milano il 23
dicembre 1922 nel Seminario Diocesano, gli Ordini Minori il 18 Novembre 1923 e il 30 Novembre
1924. Emise il giuramento il 19 Dicembre 1924 e il Diaconato in Duomo sempre a Milano il 6
Giugno 1925.
Partì per la missione di Hong Kong il 6 Ottobre 1925. Rimpatriò per malattia il 3 Maggio 1929 e
ritornò in Missione il 7 Ottobre 1930. È ritornato ancora quest'anno 1954 il 14 Luglio insieme col
suo vescovo alla testa del pellegrinaggio Cinese a Roma per l'anno mariano. È ripartito il 31 Ottobre
u.s. ...».
Le attività che Diego D'Ayala ha svolto nel campo missionario si possono facilmente
immaginare. Se ci sono in tutti i settori sociali uomini per gli altri molto più nel campo missionario
eccelle questo altruismo o meglio questo darsi a favore del prossimo questo amore fraterno.
S.E. Mons. FEDELE TUBINO MONGILARDI - Nato in Lima nel Perù il 31 Dicembre 1909;
compiuti gli studi elementari nel Collegio della Immacolata tenuto dai Padri Gesuiti, nel 1920 fu
mandato dai genitori nel vecchio continente e precisamente nel Collegio di Mondragone. Compiuti
gli studi, il Ginnasio e il Liceo, frequentò a Genova in quella università la facoltà di giurisprudenza.
La laurea ottenuta a Genova fu convalidata nella Università di Lima. Così fu dottore in diritto e
avvocato. Sentì la vocazione al sacerdozio. Pertanto ritornò nel vecchio continente e questa volta
nella Spagna dove frequentò la Università di Comillas. Ordinato sacerdote il 23 Dicembre 1944 e
licenziato in teologia tornò a Lima. Ebbe diversi incarichi nella Università Cattolica del Perù quali
la cattedra di lingua latina, quella di diritto civile monografico nella sezione magistero, la cattedra
di introduzione alla scienze giuridiche, deontologia forense. Fu Professore di filosofia del diritto. Di
questa Università divenne Rettore Magnifico. Inoltre per la sua scienza e per le sue virtù sacerdotali
il Sacerdote Fedele Tubino Mongilardi, Rettore Magnifico della Università Cattolica del Perù, fu
preconizzato Vescovo titolare di Cernizza il dì 11 Febbraio 1956 consacrato il 15 Aprile dello
stesso anno con l'ufficio di Ausiliare dell'Arcivescovo di Lima.
I1 P. FRANCESCO LUZI S.J. - Nato nel 1858 entrò nel Collegio di Mondragone nell'anno 1867.
Si distinse nella pietà e nello studio. Riusciva bene nel campo intellettuale e prendeva normalmente
i primo premi. Laureatosi in giurisprudenza entrò nella Compagnia di Gesù. Fece il noviziato nella
Provincia di Parigi ma lo terminò a Napoli perché i Gesuiti vennero esiliati dalla Francia nel 1880.
Studiò alla Gregoriana e dopo la filosofia fece il suo magistero nel Collegio stesso di Mondragone
dove era stato alunno. Fu Prefetto della Camerata dei Piccoli. Divenuto sacerdote ricoprì nello
stesso Collegio l'ufficio di Procuratore e Ministro. Anzi si trovò quale P. Ministro nel compito
doloroso di dover smantellare il Collegio quando nel 1895 la casa e terreni adiacenti furono messi
in vendita per il dissesto finanziario del Principe Borghese. Se non che come accennato nelle notizie
storiche venne in aiuto alla Compagnia di Gesù il S. Padre Leone XIII il quale volle che il Collegio
di Mondragone continuasse a vivere e fiorisse.
Non solo mostrò il suo desiderio ma contribuì finanziariamente all'acquisto della villa e dei
terreni circostanti.
Il P. Luzi che allora era Ministro nel diario di casa, nota la grande gioia provata da tutti il 15
Agosto 1895 quando fu nota la volontà del Sommo Pontefice. Quella sera Mondragone risplendeva
di mille luci quasi a manifestare al grande benefattore la sua riconoscenza. Ebbe vari incarichi
nell'ambito della Provincia Romana della Compagnia di Gesù. Negli ultimi venticinque anni della
sua vita si dedicò quasi esclusivamente ai ministeri spirituali. Nella Chiesa di S. Ignazio e nella
Chiesa del Caravita era assiduo alle confessioni. Ricercatissimo per la soda pietà e la discrezione
nel dare consigli riceveva tutti con bontà e pazienza, “dal più elevato patrizio, dice una memoria
fino all'ultimo figlio del popolo”. Si potrebbe aggiungere che Eminentissimi Cardinali, Vescovi,
Sacerdoti, lo richiedevano quale direttore spirituale.
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“Chiamato assai spesso al capezzale dei moribondi aveva la grazia di saperli disporre nel miglior
modo al gran passo, e più volte ridusse a Dio persone affatto traviate. Riusciva assai accetto nel
dare gli esercizi spirituali e nelle prediche a dialogo dette `il dotto e l'ignorante' dove impersonava
lo ignorante sapendo introdurvi convenientemente il romanesco lui romano de Roma.
Sempre pronto a compiere la volontà di Dio conforme a quel suo motto prediletto “Quello che
vuole il Padrone: facciamo quello che piace al Padrone”.
La sua morte fu veramente edificante. I funerali nella Chiesa di S. Ignazio degni di tanto
apostolo. Una grande scritta elogiativa alla porta principale della Chiesa indicava le sue doti e il
dolore di tanti figli spirituali.
(Dalle notizie edificanti della Provincia Romana. Anno 1927 - Giugno-Dicembre 1926. Pag. 69).
CARLO MARIA BONANNI S.J. - Nato a Udine il 5 Gennaio 1857 entrò nel Collegio di
Mondragone il 4 Luglio 1867. Il 22 Settembre 1873 domandò di essere ricevuto nella Compagnia di
Gesù ed iniziò il noviziato in Francia < Aux Alleux». La casa di noviziato apparteneva alla
Provincia Veneta S.J. Erano tempi calamitosi quelli per gli ordini religiosi date le condizioni
politiche della nostra patria. Pertanto la formazione del giovane Carlo Maria seguì un iter che in
tempi normali poteva sembrare ed era realmente eccezionale.
Fece Retorica nel 1876 e terminò la filosofia nel Collegio di Monaco (Principato) che
apparteneva alla Provincia Religiosa di Torino. Qui insegnò matematica in Liceo. Nel 1881 andò in
Brasile destinato al Collegio di Itù. dove fu professore fino al 1884. Tornato in Italia a motivo del
servizio militare passò qualche mese nella Casa di Gorizia e anche nel Collegio di Strada. Passate le
vacanze con i teologi e filosofi ad Albano nello stesso anno 1885 cominciò la teologia nella
Pontificia Università Gregoriana dove allora insegnavano uomini di gran nome, Billot, Mazzella,
Bucceroni ecc. Il 15 Agosto 1888 fu ordinato sacerdote in Roma dal Cardinale Tarocchi. Fece la
terza probazione in Albano. Gli ultimi tre mesi del 1890 e il Gennaio 1891 fu professore nel
collegio Massimo di Roma. Il 2 Febbraio 1891 fece la professione solenne nella Chiesa di S.
Ignazio. Nel Marzo dello stesso anno tornò ad Itù in Brasile. Fu Rettore del Collegio Anchieta di
Nuova Friburgo negli anni 1893-1894-1895.
Dal Settembre 1894 al Novembre 1895 fa anche Vice Superiore della Missione in Brasile. Negli
anni 1896 e 1987 fu Superiore della stessa Missione con residenza a Rio de Janeiro. Nel Settembre
1900 fu di nuovo a Roma. Il 24 Ottobre fu nominato Rettore del Collegio di Mondragone. L'8
Settembre fu nominato Professore di teologia nella Pontificia Università Gregoriana. Dopo un anno
ritornò in Brasile ad Itù. Nel 1907 fu Maestro dei Novizi. Dopo vari trasferimenti nelle case della
Missione dal 1920 al 1936 fu P. Spirituale prima a Villa Mariana (S. Paolo) quindi a Nuova
Friburgo, e per dieci anni nel Collegio S.Luigi a S. Paolo dove morì 1'11 Giugno del 1936. Vita
movimentata piena di attività apostoliche suggerite a questo uomo di Dio dallo zelo sacerdotale e
indicate dalla obbedienza.
Il P. GIUSEPPE STRICKLAND S.J. - Nacque a Malta. Suo padre un ufficiale Inglese, ottimo
cattolico, sua madre maltese degli stessi sentimenti religiosi. Entrò nel Collegio di Mondragone nel
1869. Fu richiamato in famiglia nel 1870. In questo intermezzo, perché poi rientrò in Collegio nel
1875, fu allievo dei Collegi di Feldkirch in Austria e in quello di Stonyhurst in Inghilterra. Rimase
in Mondragone fino al 1879. Era Rettore il P. Ponza di S. Martino che lo stimava molto. Uscito dal
Collegio nel 1879 nei quattro anni antecedenti il suo ingresso nella Compagnia di Gesù ebbe molta
libertà e viaggiò in varie parti di Europa alla maniera inglese. Fu una bella esperienza perché quei
viaggi ebbero uno scopo istruttivo. Non si trovò mai in impaccio, svelto a capire le cose, pronto
all'uso dei mezzi e degli avvenimenti più opportuni. Per qualche tempo pensò di intraprendere la
carriera diplomatica. Parlava correntemente cinque lingue, l'Italiano, l'Inglese, il Francese e il
Tedesco e l'Arabo.
Nell'Ottobre del 1883 entrò nel noviziato di Roenompton in Inghilterra ma sempre iscritto alla
Provincia di Roma. Dopo alcuni mesi venne a compiere la sua probazione a Castel Gandolfo. Qui
fece i due anni di Retorica dopo i quali andò a Mondragone con l'ufficio di Prefetto di camerata.
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Cominciò a frequentare l'Università di Roma per la laurea in lettere. Nel Novembre del 1889
intraprese il corso di filosofia alla Università Gregoriana facendone però l'anno terzo a Porteré in
Croazia.
Nel 1892 compì i suoi studi di lettere nell'Università di Torino ottenendo in ciascun esame voti
di prim'ordine. Negli anni 1893 e 1894 è di nuovo a Mondragone dove insegna prima nel Ginnasio
poi anche filosofia nel Liceo. In pari tempo frequentò l'Università di Roma per la laurea in filosofia
e svolse con molta erudizione e perizia la tesi su 1'«Accordo della moderna scienza dei centri
nervosi con le teorie degli scolastici».
La tesi fu accolta con plauso da tutti i professori componenti la commissione esaminatrice
eccettuato quello di filosofia teoretica il quale vedendo messi in onore gli scolastici si credé offeso
nelle sue convinzioni e si oppose alla proposta di rimeritare quel lavoro col massimo dei voti e con
la lode. Per il quadriennio teologico fu prima a Chieri poi a Roma alla Gregoriana e finalmente
ottenne dal P. Generale Martin di andare a St. Beuno's College in Inghilterra. Qui fu ordinato
sacerdote e celebrò la prima Messa nel Collegio di Stonyhurts dove lo richiamava la memoria del
suo padre il quale in quel collegio fece da giovanotto i suoi studi e poi vi tornò in vecchiaia a
chiudervi la sua carriera mortale.
Sul monumento erettogli è rappresentato il fatto della benedizione di Pio IX che il P. Strickland
ricordava con queste parole: «Il mio Padre di santa e venerata memoria fu ricevuto in udienza
particolare dal Papa Pio IX. Nel fervore della sua fede pregò il S. Padre di benedire anche la sua
spada affinché non avesse mai ad adoprarla salvo che in difesa della religione e della giustizia.
Pio IX prese le parole di mio padre per testo di una allocuzione agli Zuavi di guarnigione a Roma,
mentre noi suoi figli ne abbiamo eternata la memoria in un bassorilievo sul suo monumento».
Nel 1899 fece il terzo anno di probazione ad Angers in Francia. Dopo fu mandato nel collegio di
Starda in Casentino dove per tre anni insegnò filosofia in Liceo, lingua Inglese e Tedesca e fu
Vicepreside. Qui emise gli ultimi voti. Nel 1903 fu di nuovo a Mondragone per l'insegnamento
della filosofia e storia in Liceo.
Dal Settembre del 1903 fino al 1911 dimorò in Firenze. Qui ideò organizzò e condusse a felice
compimento quell'opera insigne che fu il Ricreatorio S. Giuseppe sorgente di tanto bene per tutta la
città.
I1 Ricreatorio S. Giuseppe ebbe due sedi: la prima, diciamo precaria. e fu in Via Pier Capponi
dove P. Strickland raccolse un gruppo di ragazzi organizzandovi una vita adatta alla formazione
cristiana dei giovanetti del popolo che aveva preso dalla strada.
La seconda fu la vera sede. Con quel fare gioviale e aperto suo proprio si era acquistato la
benevolenza di tanti e ottenne facilmente danaro per comprare un terreno adatto presso le rive del
Mugnone ai piedi delle colline fiesolane vicino alla barriera delle Cure. Qui sorse l'edificio in Via
Domenico Cirillo 2. Le parti più notevoli di esso erano la Cappella, le aule per la dottrina cristiana,
la scuola di musica, la palestra coperta, il teatro e il grande piazzale di 3.000 mq. Nella nuova sede
il Ricreatorio ebbe una evoluzione più ampia: aumentò il numero dei giovani, le pratiche di pietà
furono più numerose e meglio compiute, la fanfara di flauti alla maniera Scozzese divenne una
banda musicale completa, con montura distinta; la squadra di ginnastica pervenne alla sua
perfezione, e insieme una squadra di volenterosi si allenò particolarmente al gioco del calcio e non
mancarono nel teatro rappresentazioni drammatiche. Nel 1907 per fomentare lo spirito di pietà il P.
Strickland introdusse la Congregazione Mariana. Un nuovo passo fece associando la squadra di
ginnastica del Ricreatorio alla F.A.S.C.I. (Federazione Associazioni Sportive Cattoliche Italiane).
Fu il primo a prendere la iniziativa di riunire per regioni le varie società sportive e così indisse un
concorso di quelle appartenenti alla Toscana. Il concorso ebbe luogo nel 1911 nel piazzale del
Ricreatorio e riuscì a meraviglia. Nel settembre 1908 in occasione del concorso ginnico cattolico a
Roma vi condusse una parte dei giovani del Ricreatorio. Ebbero paterna accoglienza da parte del S.
Padre Pio X.
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L'opera del P. Strickland nel Ricreatorio popolare di Firenze appare ben chiara se si considerano
le molteplici attuazioni nelle quali si veniva svolgendo. Esse furono:
1) L’oratorio festivo.
2) La Congregazione Mariana.
3) La scuola di catechismo.
4) La conferenza di S. Vincenzo de Paoli.
5) Gli esercizi spirituali.
6) Le prime comunioni.
7) Il sollievo giornaliero.
8) Le recite nel teatro.
9) La squadra di calcio.
10) Le gite.
11) La Banda musicale.
12) Le ripetizioni estive.
13) La biblioteca circolante.
14) Il piccolo ufficio di collocamento per impieghi convenienti.
Attività ordinaria. Ogni giorno a una certa ora del pomeriggio un nuvolo di bambini terminata la
scuola attendeva alla porta del Ricreatorio il P. Direttore. Questi li introduceva per una breve visita
in cappella quindi nel vasto piazzale per i giochi. A notte erano rimandati a casa.
Allora incominciavano ad affluire i piccoli impiegati, i piccoli merciai, ed operai per prendersi
una oretta di riposo. Si trattenevano a giocare a leggere qualche buon libro a scrivere agli amici a
parenti a conversare col P. Direttore. Nei giorni festivi l'orario era diverso. Alle 7,30 si apriva il
Ricreatorio, alle 8,30 si celebrava la S. Messa. Dalle 7,30 alle 8,30 vi era possibilità di confessarsi.
Alle 8,30 i catechisti ordinavano la propria classe nella Cappella. Molte le confessioni e le
comunioni. Dopo la Messa giochi in piazzale, conversazioni nelle sale o nell'atrio. Alle 11 si
chiudeva il ricreatorio che si riapriva alle 2. Allora i catechisti con la propria classe si recavano
nell'aula loro assegnata per un'ora di catechismo. Dopo giuochi in piazzale o recita nel teatro.
Le prime comunioni. Era una pratica necessaria e caratteristica. Coloro che dovevano fare la
prima comunione si preparavano già remotamente dal mese di Febbraio ogni giorno con un'ora di
catechismo. Poi verso il Corpus Domini o la Pentecoste tre giorni prima della festa venivano nel
ricreatorio dove mangiavano dormivano e ascoltavano istruzioni e meditazioni appropriate. Non era
indifferente la spesa da parte del P. Direttore il quale si era dato da fare per trovare danaro e per il
mantenimento gratuito di quei tre giorni e anche per il vestiario nuovo da regalare ai più poveri.
Allora il ricreatorio era chiuso ai giuochi tutto avvolto di raccoglimento e di pietà.
Gli esercizi spirituali. Oltre il ritiro delle prime comunioni si soleva dare un corso di esercizi
spirituali ai giovani della Congregazione Mariana. Allora si trasferivano quei giovani p.es. nel
Collegio di Strada in Casentino e dopo tre giorni di ritiro vi erano altri tre giorni di svago e di gite
su quei monti.
Ripetizioni estive. Nei mesi di Luglio, Agosto, Settembre. Il Ricreatorio era aperto ogni giorno
dalle 9 alle 12. Il risultato era consolante. Il 3 Ottobre 1908 si era conclusa in Firenze la IV
settimana sociale alla quale presero parte personalità del campo cattolico Italiano.
L'Avvocato Gennaro De Simone Presidente del Congresso venne insieme con il Comm. Pericoli
Presidente della Gioventù Cattolica Italiana a visitare il Ricreatorio. Assisterono alla Messa insieme
con i giovani del ricreatorio furono salutati in teatro dal P. Strickland e l'Avvocato De Simone portò
ai giovani fiorentini il saluto dei loro fratelli operai del mezzogiorno uniti nella stessa fede animati
dal proposito di far trionfare il regno di Cristo nel mondo.
Quest'opera istituita dal P. Strickland in Firenze indica quanto quest'uomo alunno del
Mondragone religioso della Compagnia di Gesù sia stato in realtà uomo per gli altri. Lo dimostrò
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anche all'ultimo atto della sua vita quando chiese ed ottenne di poter seguire come Cappellano i
soldati Inglesi nella guerra 1915-1918 e a Malta a soli 53 anni concluse il periodo della sua vita
terrena.
I suoi Ex alunni del Ricreatorio S. Giuseppe a perenne ricordo gli innalzarono un monumento in
bronzo nell'atrio dell'Istituto.
P. DOMENICO MARIA PALERMO LAZZARINI S.J. Nato a Palermo il 19 Maggio 1869 fu
alunno del Collegio di Mondragone e a quindici anni entrò nella Compagnia di Gesù. Nella
memoria che gli Annali della Università Gregoriana conservano di lui non si dice nulla di dove e
come abbia compiuto il suo noviziato e i suoi studi fino al sacerdozio. C'è da supporre che tutto
abbia avuto luogo in Italia e alla Pontificia Università Gregoriana che in quegli anni si chiamava
piuttosto Collegio Romano. II 26 Luglio 1898 fu ordinato Sacerdote in Roma dal Cardinale Vicario
Parocchi.
Nel 1902 cominciò ad insegnare alla Università Gregoriana nel corso così detto seminaristico
ottimo tirocinio per accedere poi ai corsi accademici. Difatti nel 1915 successe nell'insegnamento al
P. Mattiussi e continuò ad insegnare fino al 1928. Dal 1920 fa anche Prefetto degli studi, ufficio che
mantenne fino all'anno 1935. Con diligenza e costanza promosse il progresso degli studi soprattutto
nei corsi di Magistero dopo gli studi di teologia e filosofia. Era uomo paziente accorto e pieno di
carità. Nell'insegnamento seguiva la dottrina di S. Tommaso. Nel corso accademico soleva trattare
con profondità ed ampiezza le questioni di teologia speculativa seguendo in questo campo
l'indirizzo del P. Billot del quale godeva l'amicizia. Quando si trattò di preparare la Costituzione
Apostolica `Deus Scientiarum Dominus' per la riforma degli studi nelle Università Ecclesiastiche
voluta dal Papa Pio XI il P. Lazzarini fu membro della Commissione addetta a questa riforma:
interveniva sempre alle sedute di studio e diceva il suo parere illuminato e sapiente. Promulgata che
fu la Costituzione quale Prefetto degli studi nella Pontificia Università Gregoriana procurò di
uniformare a quella gli statuti della medesima università nelle facoltà di teologia. filosofia, diritto
canonico, storia ecclesiastica e missiologia.
Fu consultore della Congregazione dei Seminari e Università degli Studi. Fu socio della
Accademia Romana di S. Tommaso d'Aquino e anche Esaminatore del Clero Romano. Prestava
servizio come confessore nella Chiesa di S. Roberto Bellarmino e aveva un gran numero di
penitenti di ogni condizione. Morì il 25 Luglio 1947. Fu molto stimato dal Sommo Pontefice Pio XI
e da molti eminentissimi Cardinali.
FROELICHSTAL VITTORIO di Vienna - Entrò in collegio nel 1940. Conseguita la maturità
classica scelse lo stato sacerdotale e si dedicò al ministero propriamente detto.
REINER SWOBDA tedesco - Fu convittore del Mondragone dal 1943. Terminati gli studi medi
superiori entrò in seminario in vista del ministero sacerdotale.
SIGISMONDO KRIPP di Bolzano - Entrò in collegio nel 1945. Ottenuta la maturità classica dopo
alcuni mesi di apostolato m mezzo agli Scauts cattolici inizió il noviziato della Compagnia di Gesù
(Provincia d'Austria). Ordinato sacerdote e terminato il corso di preparazione fu destinato
all'apostolato giovanile nella Università di Innsbruk.
Fin qui abbiamo ricordato più o meno ampiamente gli Exalunni che nel clero secolare o nella
Compagnia di Gesù o in diverse Congregazioni religiose hanno seguito una vocazione speciale
raggiungendo alcuni alti gradi nella gerarchia ecclesiastica e furono tutti alunni interni del Collegio
di Mondragone.
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Ora non vogliamo dimenticare quei sacerdoti e religiosi che da studenti frequentarono le scuole
del nostro collegio.
La serietà degli studi, la stima che godeva il Mondragone rendevano sicuri i Superiori della
Diocesi Tuscolana e i Superiori delle varie congregazioni riguardo alla formazione morale e
intellettuale dei loro seminaristi. Di questi scolari esterni due Ernesto Arrighetti e Giuseppe Le Moli
entrarono nella Compagnia di Gesù.
P. ARRIGHETTI ERNESTO, morto pochi anni fa' a Firenze, lavorò molto nel campo
dell'apostolato sociale. Fu direttore della Congregazione Mariana degli Universitari a Bologna
quando i Padri stavano in Via Irnerio e avevano qui anche un pensionato Universitario. Ebbe ospite
di questo pensionato e membro della Congregazione il giovane Giacomo Maffei morto nel fiore
dell'età in concetto di grande virtù. Lavorò nel Lazio, nelle Romagne, a Firenze molto apprezzato
dai Cardinali Florit e Benelli. I1 P. Le Moli Giusepppe venuto meno in età piuttosto giovanile per
un incidente automobilistico fu Professore di lettere nell'Istituto S. Francesco Saverio di Livorno e
poi nell'Istituto Massimo di Roma.
Dei seminaristi di Frascati che poi, seguendo la loro vocazione, divennero sacerdoti, si possono
ricordare i Reverendi Picco Giuseppe, Vinci Guido, Gabrielli Luigi. Fu alunno esterno di
Mondragone anche il seminarista Conti Arrigo, giovane di molta virtù e di forte ingegno. Fece a
Mondragone il Ginnasio e il Liceo. Morì nella guerra 1915-18.
Anche i Padri Scolopi che mandavano i loro speranzini (così chiamavano gli aspiranti al loro
ordine) ebbero buoni frutti dai giovanetti che frequentarono il Collegio di Mondragone: a una
richiesta di notizie su questo argomento, dal Collegio Nazareno di Roma venne questa lettera in
data 14 Agosto 1955:
“In relazione alla sua lettera del 25 Luglio u.s., le comunico l'elenco nominativo dei Padri
Scolopi che frequentarono da speranzini le scuole del loro collegio:
1) Santoloci Quirino (Rettore del Nazareno).
2) Sarandrea Stefano.
3) Pusino Vincenzo (Provinciale della Provincia di Roma).
4) Grande Serafino.
5) Tedeschi Eraclio.
6) Mangiapelo Antonio.
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1. COMMEMORAZIONE CENTENARIA
Il 2 febbraio (1965), festa della Purificazione, si è chiuso l'anno centenario dalla fondazione del
collegio di Mondragone, già tenuto dai PP. della Compagnia di Gesù presso Frascati. Avendo infatti
esso cominciato a funzionare precisamente il 2 febbraio 1865, l'anno decorso tra il 2 febbraio 1965
ed il 2 febbraio 1966 può a ragione considerarsi l'anno centenario del Collegio.
Questa ricorrenza è stata debitamente ricordata nella riunione annuale degli Ex del 1965,
convenuti in bel numero a Mondragone; però non ha dato, né poteva dar luogo ad una
commemorazione solenne, come sarebbe certamente avvenuto in altre circostanze.
È vero: il Collegio ora, già fino dal 1953, è chiuso. Per gli Ex è deserta la Cappella, son vuoti gli
studi, le aule, il teatro, i dormitori; nelle vaste sale, nell'atrio, nei piazzali, nel ninfeo, sotto il
classico portico del Vignola dominano la solitudine ed il silenzio, non rotto neppure, a sera, dal
rauco squittire dei pavoni appollaiati sugli alberi. Quel piccolo mondo, piccolo ma gaio e pieno di
vita fresca e gioviale, che era Mondragone, non è più con tutto l'incanto e le attrattive che gli erano
proprie. A tornarci su pare che anche il cielo sia men bello di una volta, meno limpido, meno
luminoso: è come se una sottilissima nebbiolina di tristezza e di malinconia, diffusasi
tutt'all'intorno, avesse attenuata la bellezza incantevole della natura circostante, penetrando fin
dentro lo spirito del reduce visitatore.
Ma, chiuso il Collegio, Mondragone è tutt'ora vivo nell'animo di tanti giovani, e non più giovani,
nei quali solo il nome basta a suscitare i più soavi ricordi di tempi lontani «anelanti a rinnovellare»,
i bei tempi della adolescenza e della prima giovinezza, che hanno segnato nello spirito una traccia
indelebile, che accompagna inseparabile per tutta la vita.
E Mondragone rappresenta anche una somma inestimabile di alti valori ideali e reali; un
patrimonio di dolci ricordi, di sentimenti profondi, di propositi generosi, che non deve lasciarsi
perire in nessun modo. E quanto sarebbe desiderabile che qualcuno, rendendosi interprete del
desiderio segreto di tanti, raccogliesse questi ricordi e queste memorie di fatti e di persone
indimenticabili in un volume, che risulterebbe un monumento perenne del caro Collegio e dell'opera
da esso svolta per circa un secolo a grandissimo vantaggio di tutta la nazione.
Aggiungo che nei suoi quasi novant'anni di vita Mondragone è stato nel senso più vero una faro
luminoso, acceso lassù, in alto, e che tanta luce di cristiana e civile saggezza ha diffusa dentro gli
orizzonti della patria italiana ed anche fuori, ed al quale si guardava da tutte le parti con serena
fiducia. Bisogna fare che quella luce continui a brillare tuttora negli spiriti per il necessario
orientamento nella vita.
A questi concetti, che certamente sono condivisi da molti, vuole ispirarsi questo breve articolo
commemorativo del centenario or ora concluso, dedicato a tanti cari amici, vicini e lontani, ed al
ricordo affettuoso di tutti quelli che non sono più, in modo particolare alla cara e soave memoria
dell'ultimo Rettore di mondragone, dell'indimenticabile P Alessandro De Giudici Albergotti,
spentosi all'avvicinarsi della ricorrenza centenaria il 3 novembre 1964, e che negli anni estremi
della sua vita ha portato in sé, fitto nell'anima, il vivo rammarico di aver dovuto proprio lui
diramare l'annunzio della chiusura del Collegio, al quale aveva dedicato tutte le sue cure, tutto se
stesso.
2. IL 2 FEBBRAIO 1865
L'idea prima della fondazione di Mondragone fu tutta del Principe Don Marcantonio Borghese,
per suggerimento, si dice, sia della prima che della seconda consorte, Donna Guandelina Talbot e
Donna Teresa della Rochefocault. Fu lui che nella sua splendida generosità di vero signore romano
e cristiano, nell'estate del 1864, presentatosi al P. Alessandro Ponza di S. Martino, Provinciale dei
Gesuiti in Roma, «Allo scopo di riunire un numero di giovani in luogo ameno e salubre per essere
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educati dai padri della Compagnia di Gesù... », metteva a disposizione il suo «castello di
Mondragone» presso Frascati.
La proposta fu accolta ben volentieri dal P. Ponza, che forse nutriva in sé qualche disegno del
genere, ed approvata in pieno dal Generale P. Pietro Beckx, e sopra tutto da Pio IX. In tal modo,
eseguiti celermente i necessari lavori di restauro e di adattamento, il 2 febbraio 1865, festa della
candelora, il progetto del munifico Principe poté esser attuato coll'inizio del funzionamento del
Collegio, con un gruppetto di cinque alunni, tre dei quali figli dello stesso Fondatore, Don
Marcantonio Borghese. E la data del 2 febbraio è rimasta poi sempre cara nella storia di
mondragone, considerata come il vero natale del Collegio. Ed era bello, in quella ricorrenza, vedere
gli antichi alunni accorrere numerosi, ance di lontano, per ritrovarsi insieme in Cappella, nel
refettorio, nel piazzale, per rivivere nostalgicamente, in dolce compagnia, almeno per poche ore, la
serena vita degli anni migliori. Immancabili in questa circostanza, con molti e molti altri, l'avvocato
carlo Rocchi, da Roma, uno dei primi cinque del 2 febbraio 1865, il Sig. Nicola Santovetti, dalla
vicina Grottaferrata, il Conte Augusto Cattaneo di S. Nicandro ed i fratelli Marchesi Augusto e
Giuseppe Sanfelice di Monteforte da Napoli, il P. Domenico Palermo Lazzarini, dell'Università
Gregoriana, il Principe Don Francesco Massimo, il primo presidente della Associazione degli Ex,
quando fu costituita il 2 febbraio del 1922.
«La fondazione di questo Convitto incontrò 1'aggradimento di tante famiglie facoltose, non solo
di Roma, ma di tutta quasi l'Italia», e l'Istituto, aperto con una convenzione della durata di due anni,
rinnovabile però, e difatti rinnovata nel 1868, vide i suoi alunni aumentare notevolmente di anno in
anno. I cinque del 2 febbraio 1865 nel 1866 erano già 31; nel 1867 essi salirono a 50, nel 1868 a
circa 80, fino a raggiungere assai presto il centinaio; il qual numero poi si mantenne costante per un
certo tempo, salvo le piccole oscillazioni solite verificarsi da un anno all'altro.
Un balzo notevole si ebbe nell'immediato primo dopoguerra, intorno al 1920, quando la famiglia
mondragoniana salì ad oltre 150 alunni, numero che poté sembrare eccessivo per le reali capacità
della fondazione. Questo aumento però dimostrava la stima che circondava il Collegio e la fiducia
delle famiglie nell'opera educativa della istituzione.
3. L'ASCESA DEL COLLEGIO
Nomi cari da ricordare
Chi, massime nei primi anni, guadagnò a Mondragone larghissima stima e solida fiducia fu il P.
Ponza, che ne fu il Rettore dal luglio 1869 al 1878, fino cioè alla sua morte, avvenuta il 26 maggio
di quell'anno. E la presenza del P Ponza a Mondragone fu veramente provvidenziale. Anzitutto v'era
il suo senno e la sua perspicace prudenza, arricchita da una grande conoscenza di uomini e di cose,
dovuta in gran parte alla sua lunga pratica di governo. Nominato infatti Rettore del Collegio di
Torino nel 18-15, dal 1850 al 1867 fu provinciale, prima a Torino, poi, dal 1859, a Roma. Nel 1868
quindi, deposta appena la carica di Provinciale, dal P Generale fu inviato Visitatore in Brasile;
finalmente, nel luglio del 1869, subito dopo il ritorno in Italia, ebbe la nomina di Rettore di
Mondragone. Certamente egli era molto adatto ed assai ben preparato all'alta missione di educatore
di quella gioventù per la quale il Collegio era stato aperto. Si comprende quindi agevolmente come
il suo rettorato possa essere stato definito < quasi il secolo d'oro» di Mondragone. Per suo merito la
fama del Collegio si vide salire sempre più ed affermarsi saldamente.
Ed il P Ponza ai suoi meriti personali univa il prestigio di un bel nome, essendo fratello del
Senatore Conte Gustavo Ponza di S. Martino, personaggio di primissimo piano nel mondo politico
italiano di allora, ed in altissima considerazione presso lo stesso Re Vittorio Emanuele II. E la
potenza di quel nome protesse il Collegio e lo salvò quando, estendendosi, dopo il 20 settembre
1870, ai territori dello Stato Romano le leggi eversive del vecchio Piemonte contro le istituzioni
religiose, anche Mondragone corse il pericolo di essere coinvolto nella rovina comune: se esso, solo
tra tutti i Collegi della Compagnia di Gesù in Italia, fu salvo nell'universale naufragio, lo dovette al
nome del suo Rettore.
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E, col ricordo del P. Ponza, sarebbe da richiamare la memoria di altri Rettori, benemeriti non
poco essi pure del Collegio. Farò alcuni nomi, specialmente dei più recenti. Successore del P. Ponza
fu il P Giovanni Bonanni, Rettore due volte, dal 1878 al 1881, e dal 1883 al 1887: quando egli
venne a morte nel 1919 era circondato da fama di grande santità. Dal 1900 al 1903 tenne l'ufficio di
Rettore l'ex alunno P Carlo M. Bonanni, precedentemente Superiore della Missione del Brasile. Egli
nel 1902 celebrò solennemente il XXV del culto di Mater Pietatis a Mondragone, introdottovi nel
1877 dal P. Ponza, e che tanta efficacia doveva aver sia per la vita religiosa del Collegio in
generale, che per la pietà dei singoli convittori.
E ricordiamo il P. Luigi Cappello (1913-1920); il P Vittorio Bovini (1922-1928), ancora vivi
nella memoria di tanti antichi alunni. Aggiungeremo anche il nome del P. Aristide Delmirani (19281935), che eseguì grandiosi lavori per una migliore sistemazione del Collegio; il P Raffaele Cubbe
(1941-1947) l'unico superstite di tutti i Rettori del Collegio; e finalmente il P, De Giudici (19351941; 1949-1953), che tutti abbiamo conosciuto ed amato, e che tutti ricordiamo con tanto affetto
per il suo gran cuore.
Tra i Rettori non ho menzionato il P. Giovanni M. Nobili Vitelleschi: questo per la troppo breve
durata del suo rettorato: fine luglio del 1907 - 19 marzo 1908. Ma ciò nonostante il nome del P.
Vitelleschi è indissolubilmente legato alla storia di Mondragone per altre ragioni. A Mondragone il
P. Vitelleschi fu a più riprese: 1878-1883; 1889-1903; 1907-1908, prima come apprezzatissimo
professore di letteratura italiana, e per alcuni anni anche come preside; ultimamente come Rettore
ideale per la finezza del tratto, per il suo equilibrio, ber la sua prudenza e profonda religiosità. Ma
purtroppo egli restò Rettore solo pochi mesi: il 19 marzo 1908 la morte troncò improvvisamente la
sua esistenza. A Mondragone il P Vitelleschi compilò anzitutto la sua eccellente antologia di prosa
e di poesia italiana, quindi poté coltivare a tutto bell'agio sia il suo delicato genio di compositore di
musica che l'estro di finissimo poeta dalla squisita vena classica, come attestano le sue
pubblicazioni sia musicali che poetiche, che gli meritarono plausi e consensi dai genuini intenditori
di arte.
Ed accanto al P. Vitelleschi poniamo il suo biografo, il P. Lorenzo Rocci, senza alcun dubbio
una delle figure più note e più care di Mondragone. I suoi meriti letterari di esimio latinista e di
sommo grecista sono troppo conosciuti perché sia necessario richiamarli. E, con il P. Rocci,
ricordiamo anche il P. Ludovico Macinai, altro cultore insigne di studi classici. E come non fare un
pur fuggevole accenno al P Arturo Pasqualini che, nei molti anni della sua permanenza a
Mondragone dal 1895 al 1921 come prefetto, Ministro ed anche Rettore (1908-1911), conobbe tante
generazioni di giovani succedutisi in Collegio in tutto quel lungo periodo? Né possiamo dimenticare
l'arguto P.Pietro Galletti, altra figura caratteristica e notissima, che molto si adoprò per la cristiana
formazione dei convittori nei vari anni che fu prima professore di lettere nel ginnasio, quindi padre
spirituale e direttore della Congregazione Mariana. Ed alla memoria si affollano i nomi di
innumerevoli altri padri che nel Collegio profusero i tesori della loro cultura e del loro spirito per il
bene dei giovani affidati alle loro cure: i PP. Caterini, Giovenale, Cannella, Maccioni, Pastorini,
Torri, Mezzetti, Innocenti, Camattari, Costa, Apolloni, Ravel, Moppi, e tanti altri. Ed ai Padri di
buon grado associamo nel nostro ricordo i Professori borghesi, collaboratori preziosi e diligenti
nella stessa opera formativa dei giovani: il D. Seghetti, i Proff. Gattafoni, Cupini, Giannuzzi, Don
Curzio Mancini; tutti degni, coi loro colleghi, di memoria incancellabile nella comune gratitudine.
Né possiamo omettere la simpatica figura del M°. Cav. Acquasanta, a cui ripensiamo sempre con
tanto piacere. E, come simbolo di tanti altri umili ma preziosi collaboratori, non è possibile
tralasciare il nome di Belisario, il solerte cameriere dei grandi; e del buon Crisanti, l'addetto alla
guardaroba, che ha dedicato tutta la sua vita a Mondragone, fin da ragazzo, e che riconosceva tutti
gli antichi alunni, ricordando però dei singoli più che il nome, il numero di matricola con cui erano
contrassegnati gli oggetti di ciascun convittore.
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4. MONDRAGONE E LA SUA STORIA
Ho detto sopra che mentre gli altri Collegi della Compagnia in Italia venivano forzatamente chiusi,
Mondragone fu il solo a non subire la sorte comune. Esso quindi per alcuni anni fu il solo Collegio
dei Gesuiti in tutto il territorio italiano dopo il compimento dell'unità nazionale: anche il «Fagiani»
di Padova, che, per sopravvivere, nel 1866 si era trasferito in territorio austriaco a Bressanone, ad
un certo momento dovette essere chiuso, colpito da sentenza di morte da parte delle autorità
austriache di Innsbruck. I nuovi istituti poi sorsero più tardi, quando cominciò a migliorare la
situazione generale: il primo fu il «Fida» di Cremona nel 1875, venne quindi il < Massimo» di
Roma nel 1879; poi gli atri nelle altre città via via se ne presentava l'occasione favorevole.
Mondragone invece, non soggetto alle comuni vicende dei nostri istituti di educazione del
periodo risorgimentale, continuò tranquillamente a progredire. Ad un certo momento però esso pure
corse serio pericolo di dover venire chiuso. Ciò avvenne nel 1895 per il profilarsi della minaccia
che la proprietà dello stabile e delle adiacenze passasse ad altre mani.
Ma, eliminato questo rischio mediante l'acquisto di tutta la villa, eseguito per volere espresso e per
intervento diretto di Leone XIII, senza scosse, senza altri urti che ne turbassero o in qualche modo
ne compromettessero la esistenza, esso continuò a svilupparsi ed a fiorire sempre più rigoglioso.
E si potrebbe aggiungere altresì che Mondragone, in questa sua continuità senza interruzioni, in
certo modo servì come di passaggio dal vecchio al nuovo, e fu quasi l'anello di congiunzione tra il
glorioso Collegio Romano e le nuove istituzioni. Mondragone infatti nei suoi primi anni fu legato
da vincoli assai stretti al Collegio Romano, al cui esempio si era modellato in sul sorgere, tanto che
i suoi alunni avevano il privilegio di essere ammessi agli esami nel Collegio Romano come se ne
avessero frequentati regolarmente i corsi.
E, soppresso nel 1870 il Collegio Romano, e, cancellatone anche, barbaramente, a furia di scalpello,
il nome di Gesù dalla facciata principale, come ancor oggi si vede, Mondragone quasi ne raccolse
l'eredità, cercando di continuare, per quanto possibile, la tradizione.
Se non che ben presto si sentì la urgente necessità di adattarsi ai tempi nuovi: questo adattamento
era condizione indispensabile di vita; il bene stesso degli alunni esigeva che gli ordinamenti, le
strutture scolastiche, i programmi di insegnamento si conformassero alla nuova realtà. E questo
lavoro di aggiornamento fu così completo che ad un certo momento si credette di avere tutte le carte
in regola per poter legittimamente aspirare al pareggiamento delle scuole alle scuole di stato, come
avevano già ottenuto tanti altri istituti privati. Ed a tale scopo nel 1898, mentre era Preside il P.
Vitelleschi e Rettore il P. Silvio Fabbri, fu rivolta al Ministero della Pubblica Istruzione regolare
domanda, appoggiata da una petizione firmata da 108 deputati al parlamento. Espletate tutte le
pratiche necessarie; dopo tutti gli accertamenti prescritti e le ispezioni regolamentari, il pareggio fu
concesso con decreto ministeriale dell'8 dicembre 1898, pubblicato sul Bollettino della Pubblica
Istruzione n. 50, del 15 dello stesso mese. Ma la concessione fu subito revocata dal Ministro stesso
che la aveva accordata, con una mossa poco chiara e poco leale, determinata da losche mene
massoniche. Tutto ciò diede luogo ad una vasta polemica giornalistica e parlamentare rimasta
famosa.
Uno dei 108 firmatari della petizione, l'ultimo della lista, era nientemeno che Francesco Crispi.
Ed egli nel corso della polemica scatenatasi alla concessione ministeriale ed alla sua revoca; non
ritirò affatto la sua firma; come fecero altri coprendosi di ridicolo, ma restò fermo in favore di
Mondragone dichiarando prima in una lettera: «A Mondragone si è educata la parte migliore della
generazione presente», e ribadendo, con non minore chiarezza, in un articolo comparso sul <
Mattino» del 10 gennaio 1899: «Il Collegio di Mondragone è di antica istituzione. Le principali
famiglie italiane vi mandano i loro figli per esservi educati». Nessun altro avrebbe potuto esprimere
in modo più netto ed incisivo la funzione nazionale del Collegio di Mondragone.
Ma, nonostante questo incidente, che del resto, a parte il pareggio che non venne, giovò non
poco alla reputazione del Collegio, che per un certo tempo fu quasi all'ordine del giorno di tutta la
nazione, Mondragone, frequentato da alunni di tutte le regioni d'Italia, specialmente del Sud, delle
province dell'antico Regno delle due Sicilie, ed anche di altre nazioni, continuò a provvedere alla
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formazione cristiana e civile di tante generazioni di ottimi giovani con una profonda istruzione
religiosa, con solida pietà. cor. una seria applicazione allo studio: tutto questo in quel cordiale
spirito di famiglia, che fin dall'inizio, per espressa volontà dei fondatori, fu caratteristica della vita
mondragoniana. conservata poi costantemente per lunga tradizione di anni.
5. SALUTO AGLI EX ALUNNI
Da Mondragone, nei suoi quasi novant'anni di esistenza, sono usciti in tutto circa tremila alunni.
Ed i giovani, usciti dal Collegio ed entrati nella vita, oggi uomini maturi, sono sparsi in tutto il
territorio della nazione, ed anche fuori, all'estero. La Agenda degli Ex del 1966, che, ovviamente,
non ha alcuna pretesa di volerci fornire un elenco completo né di nomi né di luoghi, ci attesta la
presenza degli antichi alunni di Mondragone in 52 province, pressoché in tutte le regioni della
penisola, ed in 20 stati esteri, nell'esercizio della più svariate attività. Ed essi, dovunque si trovano,
colla loro condotta, sempre e dappertutto, testimoniano della bontà della educazione ricevuta,
facendo onore alla scuola ed al Collegio che li preparò, giovinetti, alla vita; e, riandando colla
memoria agli anni della loro adolescenza e prima giovinezza, rivivono con piacere quei giorni
lontani, ripensando volentieri ai loro compagni di giuoco e di lavoro, ai maestri, ai superiori, a cui si
sentono sempre legati con tanto affetto, dolenti soltanto di non poter essi procurare anche ai loro
figli il medesimo beneficio loro concesso dalla bontà di Dio e dei loro genitori, e di cui ora godono i
frutti.
Sarebbe bello qui fare i nomi, a titolo di onore, degli antichi alunni che maggiormente hanno
illustrato il Collegio. Chiedo perdono se, deliberatamente, me ne astengo. Il libro d'oro di
Mondragone richiede ben altro lavoro. Ed ora sarebbe per me difficile, ed anche pericoloso, fare
una scelta, di pochi nomi soltanto fra tante e tante nobili figure di veri gentiluomini che hanno
onorato tuttora, le loro famiglie e l'intera nazione con una vita in tutto degna di benemeriti cittadini
e di schietti cristiani, nel disimpegno di alte e delicate mansioni, nella esplicazione di molteplici
attività a bene comune nel campo della politica e della diplomazia, nelle arti, nell'esercito, nelle
pubbliche amministrazioni, nelle magistrature, nella vita ecclesiastica e religiosa, nelle libere
professioni delle forme più varie.
Mi sia solo consentito di richiamare la singolare figura del Senatore Principe Don Prospero
Colonna, un tempo sindaco di Roma. Quando interveniva alle riunioni annuali degli Ex, durante il
banchetto sociale, il coro unanime dei commensali lo invitava insistentemente a parlare. Ed egli si
alzava e teneva il suo discorso scandendo le parole con voce grave e solenne, specialmente quando,
concludendo, accentuava la sua gratitudine per quelli che gli avevano insegnata « la via della lealtà
e dell'onore».
Inutile dire che applausi fragorosi coronarono la fine del suo discorso. E farò un cenno soltanto
al Card. Gennaro Granito Pignatelli di Belmonte, per più anni Decano del Sacro Collegio,Vescovo
Suburbicario di Albano e di Ostia, dopo una lunga attività diplomatica a servizio della Chiesa e
della S. Sede. Sopra tutto egli fu uomo di santa vita, al punto che si sta lavorando per introdurre la
causa per la sua beatificazione.
Chiudo con un saluto affettuoso a S.E. Mons. Fedele Tubino, Vescovo Ausiliare di Lima nel
Perù, salito già così alto nella gerarchia ecclesiastica. Nessuno avrebbe immaginato nulla di simile
quando egli, nel 1922, era nella mia camerata dei mezzanelli, insieme a tanti altri bravissimi e
carissimi ragazzi. “Ad maiora”, carissimo Monsignore per la gloria di Dio e della Chiesa, per il
bene delle anime, ed anche per l'onore di Mondragone: questo l'augurio dell'antico prefetto, dei
compagni di un tempo. di tutta la grande famiglia mondragoniana.
Ed a tutta questa grande famiglia, oggi così largamente estesa, con il più cordiale saluto l'augurio
delle miglioro benedizioni del Signore.
COSTANZO BIZZOCCHI S.I.
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LIRICA PER LA INCORONAZIONE
DI MATER PIETATIS
Quale dai roridi specchi montani
per arduo tramite balza e s'adima
L'onda precipite che allegra i piani
di messe opima
Tal vinto ogni argine dal petto mio
La piena o Vergine degl'inni ascende
Ov'arde indomito l'alto desio
che il cor m'accende
Ecco a l'attonito guardo sfavilla
De le tue candide forme il decoro;
La santa immagine vezzosa brilla
col serto d'oro
Ne l'alma specie de' tuoi sembianti
Ove la grazia ride sì pia,
Lo stuol tripudia de' figli amanti
Dolce Maria
O Primogenita fra le leggiadre
Opre onde apersesi l'eterno Amore,
D'immensi popoli REGINA E MADRE
Ti fe' il Signore
Ei de l'empireo su gli alti seggi
T'aderse il talamo nell'aureo sole:
Donde propizia guardi proteggi
l'umana prole
E regna disseti su la tapina
Sirpe che invocati Madre Pietosa
Fia salvo il misero che a Te s'inchina
che in Te riposa
Torva di tenebre su noi la notte
S'addensa: il gemito dell'egra gente
Cui la voragine d'abisso inghiotte
Odi o clemente
Vedi in qual s'agita pugne fatali
La rea progenie: vedi sul mondo
Quanto minaccia d'atroci mali
Immane pondo
Di pace agli uomini celeste segno
Su noi dispieghisi la tua orifiamma;
Trionfi o Vergine sotto il tuo regno
D'amor la fiamma
E questa immagine dove sì bella
Splendi di grazia fonte vivace
Fa' che s'inalberi su l'età fella
Vessil di pace
GIOVANNI M. VITELLESCHI S.J.
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BIBLIOGRAFIA
1) Libro antico di memorie.
2) Libro più recente di memorie.
3) GROSSIGONDI SJ.: «La villa dei Quintili e la Villa di Mondragone».
4) DOMENICO SEGHETTI: « Mondragone - Cenni storici».
5) GIOVANNI VITELLESCHI: «Antonio Sansovetti».
6) GIUSEPPE SACCONI: «Giuseppe Cattaneo dei principi di S. Nicandro».
7) P. LORENZO ROCCI S.J.: « P. Giuseppe Strickland S.J.».
8) Cenni biografici: «Luigi Gammarelli».
9) P. LORENZO Rocci S J. e P. PAOLO DALL'OLIO S .J.: «Pio Telemaco Trotta».
10) P. LORENZO ROCCI S J.: «Giovanni Galeotti Ottieri».
11) DELLA BIANCA ARCANGELO: «Decio Raggi».
12) ILARIO DA TEANO O.F.M.: «Il Card. Gennaro Pignatelli di Belmonte».
13) Stella Mattutina - Marzo-Aprile 1920: GIULIO DEGLI ALBERTI.
14) Commemorazione del Prof. MARIO VIORA della Cattolica di Milano Dal Settimanale di
cultura «IDEA» articolo di Benedetto Riposati «Sergio Mochi Onory».
15) Enciclica Cattolica - Volume VIII, pag. 1081 - « Misciattelli Piero».
16) L'Osservatore Romano, 3 Febbraio 1956 - Il Quotidiano di Roma, 5 Febbraio 1956 - O conte de
Carpegna fundador do escotismo catolico (Giov. Battista Selvaggi S.J. - Rivista Verbum Università
Cattolica - Rio de Janeiro - Brasile).
17) Dall'Avvernire d'Italia, 12 Giugno, martedì 1956 - Corrado Alvaro.
18) ANGELO RAINERO: Un esempio «Ugo di Carpegna».
19) LUIGI DOLCE: La guerra aerea Italiana - Fulco Ruffo di Calabria.
20)Cenni biografici: ACHILLE MAZZONI, aspirante medico caduto in guerra.
21)DEL VECCHIO Rettore dell'Università di Roma - In memoria di Tonino Reytani.
22) Diario di Casa - Diario della Congregazione Mariana - San Giovanni Bosco visita Mondragone.
23) Un Padre del Collegio - L'idea non muore - Da Il « Mondragone ». Giugno-Luglio 1953.
24)CORRADO ALVARO: Il « Mondragone » (dal Corriere della Sera - I° Gennaio 1954).
25) COSTANZO BIZZOCCHI S.J.: Per l'anno centenario dalla fondazione del Collegio (Da Gesuiti
della Provincia Romana, Marzo 1965).
26) Da Il « Mondragone», 28 Dicembre 1937, numero celebrativo del 75° - 8 Settembre 1943 - 4
Giugno 1944 - Novembre 1947 - Giugno 1950 Giugno-Luglio 1953.
27) Annuario, 1951.
28) Piccolo Annuario, 1960.
29) GIOVANNI M. VITELLESCHI S.I.: Liriche.
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